RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 19 - Testo della trasmissione di giovedì 19 gennaio 2006
IL
PAPA E
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Appello dei vescovi europei e del Nord America a sostegno
dei cristiani in Terra Santa
I medici turchi denunziano ritardi nell’azione di governo per
fronteggiare l’influenza aviaria
Oltre 20 morti in due attentati a Baghdad
19
gennaio 2006
UN’OCCASIONE DI DIALOGO
ECUMENICO FRUTTUOSO: COSI’ BENEDETTO XVI
ALLA
DELEGAZIONE ECUMENICA FINLANDESE, A ROMA PER IL PELLEGRINAGGIO
DI SANT’ENRICO,
NELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI
-
Intervista con il reverendo Matthias Türk -
“L’unità tra i cristiani è una grazia” e un dono da
chiedere con insistenza a Dio. Il giorno dopo aver definito “un gesto della
Provvidenza” l’imminente pubblicazione della sua prima Enciclica, Deus Caritas est,
in coincidenza con la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani,
Benedetto XVI ha accolto e salutato questa mattina una delegazione ecumenica
della Finlandia, giunta a Roma per il tradizionale pellegrinaggio nella Festa
di Sant’Enrico, patrono del Paese nordico. Il servizio di Alessandro De
Carolis.
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Un incontro che è uno degli appuntamenti fissi della
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e che da molti anni testimonia
dei buoni rapporti che esistono tra cattolici e luterani della Finlandia. Già
con Giovanni Paolo II la visita a Roma e in Vaticano per la festa di
Sant’Enrico si era trasformata in un’occasione di “dialogo ecumenico
fruttuoso”. Benedetto XVI lo ha ricordato all’inizio del suo saluto alla
delegazione guidata dal vescovo di Helsinki, Józef Wróbel, e da mons. Heikka:
“THESE VISITS
ARE AN OCCASION…
Queste visite sono un'occasione per ulteriore lavoro produttivo, così
come per un approfondimento dell’ecumenismo spirituale che consentono ai
cristiani divisi di apprezzare quanto già li unisce”.
Nel ricordare il lavoro della Commissione
luterano-cattolica, svedese e finlandese, in merito alla Dichiarazione
congiunta sulla Dottrina della giustificazione, il Papa ne ha rilevato le
implicazioni pratiche allo studio degli specialisti. In questo modo, ha
affermato, la Commissione “cerca di richiamare le differenze ancora esistenti
fra i luterani ed i cattolici su determinate questioni di fede e sulla vita
ecclesiale”, dando sempre una fervente testimonianza della verità del Vangelo:
“DURING THESE DAYS OF THE WEEK OF
PRAYER FOR…
Durante la Settimana
di preghiera per l’unità dei cristiani, siamo particolarmente consapevoli che
l'unità è una grazia, e che dobbiamo continuamente chiedere al Signore questo
dono”.
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Domani pomeriggio, alle 17.30, la delegazione ecumenica
finlandese parteciperà, insieme con il cardinale Walter Kasper,
presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani,
a una solenne liturgia della Parola nella chiesa romana di Santa Brigida. La
struttura, che ospita la Casa generalizia delle Suore Brigidine,
accoglie per antica tradizione le delegazioni luterane di passaggio nella
capitale, giacché la Santa mistica del Nord è molto venerata dai luterani. Oggi
alle 16, nella Basilica romana di Santa Maria sopra Minerva – sede della
cappella nazionale dei finlandesi - si svolgerà una celebrazione presieduta da
mons. Wrobel, che vedrà la liturgia secondo il rito
cattolico e un’omelia tenuta da un luterano.
La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si
presenta dunque ricca di appuntamenti all’insegna dell’ecumenismo. Per
comprendere in quale modo sia progredito, in particolare, il rapporto tra
cattolici e luterani, ecco il parere del reverendo Matthias
Türk, specialista di questo settore in seno al Pontificio
Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. L’intervista è di
Giovanni Peduto:
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R. – DIE VIERTE DIALOGPHASE, ZWISCHEN LUTHERANERN UND
KATHOLIKEN, …
La quarta fase di dialogo tra luterani e cattolici, che si
è potuta concludere quest’anno, si è svolta sul tema della “apostolicità
della Chiesa”: sulle fondamenta degli apostoli e dei loro successori si
verifica, quindi, il passaggio dalla comunità del Vangelo alla comunità della
Chiesa. Il documento finale della Commissione internazionale per il dialogo,
previsto per la seconda metà dell’anno 2006, cercherà di indicare entro quali limiti sia possibile un ‘consenso’ tra cattolici e
luterani su questo argomento. Accanto a queste consultazioni di carattere
teologico, il progresso compiuto nei rapporti tra cattolici e luterani si è
visto nella celebrazione comune della liturgia e nei molti incontri tra le due
confessioni. Alti rappresentanti della Federazione luterana mondiale hanno
partecipato, l’anno scorso, alle cerimonie funebri per Giovanni Paolo II e alla
Messa per l’inizio di Pontificato di Benedetto XVI. Segno evidente dei rapporti
maturi è stata anche la prima udienza privata dopo l’inizio del Pontificato che
il Papa ha concesso al presidente della Federazione mondiale luterana, il
vescovo Mark Hanson, che è
anche presidente della Chiesa evangelico-luterana
degli Stati Uniti. In questo contesto, Benedetto XVI ha chiesto a cattolici e
luterani di approfondire il dialogo ecumenico: “Dobbiamo comprendere più profondamente
cosa abbiamo in comune e cosa ci divide”. La collaborazione tra luterani e
cattolici diventa importante anche in considerazione del generale clima di
insicurezza nei riguardi delle verità cristiane e dei principi etici, come ha
detto il Papa. Il Pontefice ha valutato il dialogo, e lo scambio di idee tra
Chiesa cattolica e Federazione luterana mondiale, molto produttivo
e promettente. La Dichiarazione comune sulla Dottrina della
giustificazione del 1999 – ha detto il Santo Padre – è una pietra miliare nel
dialogo ecumenico. Le differenze che ancora sussistono hanno bisogno di
ulteriori chiarimenti.
D. – Per il futuro, reverendo Türk,
quali sono le prospettive nel dialogo tra cattolici e luterani?
R. – INSGESAMT KANN, WIE
MANCHMAL ZU HÖREN IST, VON KEINER EISZEIT …
Nell’insieme – così l’opinione comune – non si può più
parlare di ‘epoca glaciale’ nei suddetti rapporti
ecumenici. I percorsi di avvicinamento tra le Chiese e le comunità cristiane
sono indiscutibili. In alcuni luoghi, per esempio in Germania, ci sono
situazioni di una certa tensione e irritabilità. L’ermeneutica della fiducia è
stata sostituita, in alcuni casi, dall’ermeneutica del sospetto. Per contro,
dimostrazioni di avvicinamento sono il dialogo che continua imperterrito,
l’ultimo documento di consenso cattolico-luterano sull’apostolicità,
che sarà pubblicato quest’anno ed anche la presa di posizione della Federazione
metodista mondiale sulla Dichiarazione comune della Dottrina della giustificazione,
alla quale essa anche dà il consenso già riconosciuto da cattolici e luterani.
Il punto fondamentale è il rispetto delle vicendevoli differenze, senza volerle
nascondere. Da un punto di vista cattolico, non deve esistere una divergenza
fondamentale nella comprensione del ministero e della Chiesa per poter ricevere
insieme l’Eucaristia. Il fatto che la Chiesa luterana di Germania non partecipi
più allo studio della traduzione comune della Bibbia, fortunatamente non è indicativo
per lo stato generale dell’ecumenismo. Secondo le indicazioni fornite dalla “Bible Society” internazionale, attualmente sono in corso in
tutto il mondo più di 70 progetti di traduzione comune della Bibbia. Il
Pontificato di Benedetto XVI ha aperto un nuovo capitolo che apre alla speranza
per quanto riguarda il progresso dell’ecumenismo.
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ALTRE
UDIENZE
Benedetto XVI ha ricevuto nel corso della mattinata, in
successive udienze, il ministro presidente del Land Baden-Württemberg,
Günther H. Öttinger, con la consorte e il seguito, e l’ambasciatore di
Bulgaria, in visita di congedo, Vladimir Gradev.
PROSEGUE LA VISITA AD LIMINA DEI
VESCOVI DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA
DEL CONGO. AI NOSTRI MICROFONI, L’APPELLO ALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE
DELL’ARCIVESCOVO DI KISANGANI, MONSENGWO PASINYA:
“NON DIMENTICATE LE SOFFERENZE
DEL POPOLO CONGOLESE”
Sono, questi, giorni
particolarmente significativi per l’episcopato della Repubblica Democratica del Congo: dal 16 gennaio, è infatti in corso la loro visita
ad Limina ed anche stamani, Benedetto XVI ha ricevuto in udienza alcuni
presuli congolesi. Dopo gli anni terribili della
guerra, che dal 1996 al 2003, ha provocato la morte di quasi 4 milioni di
persone, ora il popolo dell’immenso Paese africano auspica il compimento della
transizione verso la democrazia e la pace. Fondamentale, in questo sforzo per
voltare pagina nella tragica storia del Congo, è il
ruolo della Chiesa. Ai microfoni di Alessandro Gisotti, la testimonianza
dell’arcivescovo di Kisangani e presidente della
Conferenza episcopale congolese, mons. Laurent Monsengwo Pasinya:
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R. – Durante la guerra naturalmente abbiamo
provato ad insistere sul valore della vita umana, sul Vangelo della vita, sul
Vangelo della fratellanza e sul Vangelo della pace. Ma la pace di Gesù Cristo
non è soltanto il silenzio delle armi, ma la pace dei cuori e delle menti.
D. – Quali oltre alla
riconciliazione nazionale, sono i temi più importanti dell’atti-vità pastorale
dei vescovi del Congo?
R. – C’è pure il fatto della
dignità umana, perché spesse volte parliamo di democrazia, parliamo di Stato di
diritto, ma questo ha un sostrato cristiano. Per noi cristiani la dignità umana
è perché siamo stati creati ad immagine di Dio. Vogliamo soprattutto dei
sistemi in cui la persona umana sia al centro sia dell’attività politica, sia
dell’attività economica. Quindi, il valore centrale dell’uomo è lì perché noi
abbiamo avuto un Dio uomo che ci ha dato un valore incomparabile, che noi
stiamo difendendo. Quindi, noi teniamo al sistema democratico perché
rappresenta meglio i valori di quella dignità umana che noi difendiamo.
D. – Medici Senza Frontiere ha
sottolineato recentemente: “L’emergenza umanitaria del Congo
è una delle più gravi al mondo, ma al tempo stesso una delle più dimenticate”.
Quale appello si sente di rivolgere alla comunità internazionale?
R. – Credo che abbiano
interamente ragione. Se dovessi fare un appello alla comunità internazionale,
direi semplicemente che la guerra in Congo in sette anni ha ucciso 3 milioni e
900 mila persone, praticamente il 5 per cento della popolazione del Congo. E nessuno ne parla. Sembra una cosa normale.
Tutti parlano del Congo, parlano delle risorse che abbiamo
in Congo. Tutti vengono per lo sfruttamento delle risorse. Molti vengono per
commerciare le armi, armi leggere, di cui il Santo Padre ha parlato anche
recentemente. Ma quelle vite umane che sono state sacrificate, sembrano
praticamente dimenticate da tutti. Dovremmo insistere di più, perché la
comunità internazionale prenda le cose in mano, per evitare che il sacrificio
supremo di quelle persone passi inutilmente, quando dovrebbe servire a
ricordare a tutti che queste guerre devono trovare una soluzione definitiva.
Ormai è tempo di porre fine a questi disordini e che quelli che possono
facciano il possibile per porre fine a questa situazione.
D. – C’è, dunque, bisogno,
riprendendo le parole di Benedetto XVI, di verità per ottenere la pace?
R. – La vera pace sta nella
verità e purtroppo quella verità non si vede molto nel trattamento di tutta la
situazione.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il tema
del nucleare: in merito al dossier iraniano l’Unione Europea chiede una
riunione straordinaria dell’AIEA.
Servizio vaticano – L’udienza d Benedetto XVI ad una Delegazione Ecumenica
della Finlandia in occasione della festa di Sant’Enrico.
Servizio estero - Iraq: un
rapporto dell’ONU denuncia gravi violazioni dei diritti umani.
Servizio culturale - Un
articolo di Angelo Mundula su un’antologia della
poesia napoletana dal ‘500 ad oggi.
Servizio italiano - In primo
piano sempre l’Unipol.
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19 gennaio 2006
L’EUROPARLAMENTO ADOTTA
UNA RISOLUZIONE CONTRO L’OMOFOBIA
MA PUNTA AL
RICONOSCIMENTO GIURIDICO DELLE COPPIE OMOSESSUALI:
IL COMMENTO DI MONS. ALDO
GIORDANO
L’Europarlamento
ha adottato ieri una
risoluzione in cui si condanna l’omofobia, cioè ogni atteggiamento di
disprezzo, di discriminazione e di
violenza contro gli omosessuali. L’iniziativa politica tuttavia, secondo gli
osservatori, punta a legittimare da un punto di vista giuridico le coppie
omosessuali nell’Unione Europea. La proposta, presentata da Popolari europei,
Socialisti europei, Liberaldemocratici, Verdi e
Sinistra europea, è stata approvata con 468 sì, 149 no e 41 astenuti. Per
quanto riguarda l'Italia si sono espressi sostanzialmente contro la risoluzione
gli europarlamentari della Casa delle Libertà. Si
sono astenuti invece gli eurodeputati della Margherita. Su questa decisione del
Parlamento europeo ascoltiamo il commento di mons. Aldo Giordano, segretario
del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, intervistato da Luca Collodi:
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R. – Il
primo interrogativo, abbastanza grosso e grave che ci facciamo è quello del
modo e del metodo di questa iniziativa. C’è l’impressione che questa iniziativa
venga da una minoranza, certamente una minoranza considerevole,
che però ha usato un metodo che sembra mancare di trasparenza. E’ stato un
tentativo abbastanza segreto di far passare questa risoluzione. In pratica, se
si guardano i tempi disponibili, questi tempi non hanno permesso una vera
riflessione pubblica. Il tema è talmente delicato che sarebbe
stato interessante lanciare un dibattito pubblico in Europa su questo.
Non ha permesso neanche ai parlamentari di rendersi veramente conto di cosa fosse in gioco. Quindi, abbiamo l’impressione che si facciano, escano delle risoluzioni, delle leggi, che non
sono state a sufficienza considerate. Quindi, è mancato il tempo, è mancata la
trasparenza. Una seconda osservazione è che sembra alle volte dominare una
certa ideologia del pluralismo, per cui tutto ciò che
esiste sembra essere buono, sembra essere umano, deve trovare un suo spazio.
Manca veramente una riflessione su cosa sia veramente
umano, su cosa sia la ricchezza dell’umano, su cosa sia bene, male, su cosa è
la verità.
D. – Secondo lei queste risoluzioni non rischiano di delegittimare
il Parlamento europeo?
R. – Io sono convinto di sì, perché da una parte su certi
temi, come i temi relativi alla famiglia, dovrebbe già essere chiaro che non
sono di diretta competenza dell’Unione Europea, ma sono competenza riconosciuta
delle singole nazioni. In realtà, poi, questa risoluzione passa sotto il titolo
di diritti umani, che è una delle competenze. D’altra parte, la superficialità
di certe decisioni, il rischio di certe decisioni, veramente ci fanno domandare
dove stia la funzione del Parlamento europeo, questa funzione che dovrebbe
cercare il bene comune per l’umanità, interrogarsi seriamente sul contributo
che l’Europa può dare al mondo.
D. – Mons. Giordano, queste
risoluzioni possono essere definite ideologiche?
R. – Io vedo questa dimensione ideologica, vedo questo
tentativo di influenzare una mentalità, una cultura per interessi di parte, in
fondo. Sono gruppi di potere che tentano di fare questo e in questi gruppi si
vede anche alle volte un’avversione a certi valori della nostra tradizione,
anche ai valori religiosi. Conosciamo la realtà di persone che vivono questa
dimensione dell’omosessualità e la vivono come una realtà personale, ma non
cercano di farne una legge per l’Europa, non cercano assolutamente di
equiparare l’esperienza omosessuale con la famiglia. Quindi, abbiamo molto
rispetto verso queste persone. Dall’altra parte, poi, c’è invece una lobby che
è minoritaria, che curiosamente tenta di legiferare su questo e la stranezza è
volere equiparare questa esperienza alla famiglia. Quindi, non si tratta della
questione dei diritti umani degli omosessuali. E’ il fatto dell’incomprensione
di cosa sia la famiglia. Non vuol dire che le Chiese non siano attentissime
alle persone. La Chiesa è attenta a tutte le persone, però vede assolutamente
problematico questo fatto di voler distruggere l’esperienza del rapporto umano,
che noi riteniamo la più ricca, la più esaltante, la più fondamentale: il
rapporto uomo-donna. Quindi il compito della Chiesa sarà anche questo: rilanciare
l’antropologia, rilanciare la visione dell’uomo, rilanciare la bellezza e la ricchezza
di questa visione.
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SIRIA E IRAN CONTRO L’INTERVENTO STRANIERO NELLE
QUESTIONI MEDIORIENTALI.
IL PRESIDENTE IRANIANO A DAMASCO
- Intervista con Antonio Ferrari
-
“Teheran e Damasco sono contro
l'intervento straniero nelle questioni mediorientali”. Lo ha ribadito il
presidente iraniano Ahmadinejad, che ha cominciato oggi a Damasco una visita di
due giorni in Siria. La missione di Ahmadinejad giunge in un momento particolarmente delicato per i due Paesi. L’Iran ha infatti innescato una nuova crisi internazionale a causa
del proprio programma nucleare: ancora oggi la Repubblica islamica ha minacciato
l’Occidente, avvertendo che il prezzo del petrolio salirà vertiginosamente se Teheran dovesse essere sanzionata economicamente a causa
delle sue ricerche atomiche, come sollecitato dagli Stati Uniti, che chiedono
il deferimento dell’Iran al Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
La Siria invece è accusata di complicità nell’assassinio dell’ex premier
libanese Hariri, avvenuto l’11 febbraio 2005 a
Beirut. Ce ne parla Antonio Ferrari, inviato speciale
del Corriere della Sera ed esperto di questioni mediorientali, intervistato da
Giada Aquilino:
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R. – Da una parte abbiamo tutta la diplomazia araba - in
particolare l’Egitto e l’Arabia Saudita, ma anche la Sira
e il Libano - che sta studiando una via d’uscita per il presidente siriano Bashar al-Assad: la Commissione
d’inchiesta Onu vorrebbe infatti ascoltarlo in merito
all’organizzazione dell’assassinio dell’ex primo ministro libanese Hariri, ma il regime siriano non vuole esporre il proprio
presidente come testimone perché questo potrebbe intaccare l’immagine della
sovranità dello Stato. Si sta appunto cercando una via di mezzo, che potrebbe
essere per esempio un intermediario del presidente Bashar
da inviare alla Commissione Onu. Dall’altra parte
abbiamo l’Iran. Quando la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha
cominciato ad indicare persone vicine al presidente siriano come potenziali responsabili
o comunque coinvolte nell’organizzazione dell’attentato, immediatamente la
Siria ha stretto ancora di più la sua alleanza con l’Iran, nata agli inizi
degli anni Ottanta. E Teheran, adesso, con questo
viaggio di Ahmadinejad, che ha un altissimo significato politico, vuol
dimostrare non soltanto solidarietà a Damasco, ma anche la volontà di
rafforzare l’intesa tra i due Paesi per fronteggiare il comune nemico, cioè le
pressioni internazionali e gli Stati Uniti d’America.
D. – Ahmadinejad ha ribadito che Teheran
e Damasco sono contrarie all’intervento straniero nelle questioni
mediorientali. E’ una messa in guardia per gli Stati Uniti e i loro alleati?
R. – Assolutamente sì. Teniamo presente che l’Iran ha una
forza militare notevole. Non è l’Iraq, che dopo la sconfitta nella prima guerra
del Golfo anche da un punto di vista militare si è dimostrato assai meno forte
di quanto lasciasse immaginare. L’Iran ha questa componente nucleare, secondo
alcuni ben più avanzata di quanto voglia far credere.
D. – Perché i due Paesi del cosiddetto “asse del male”,
Siria e Iran, ora fanno più paura dell’altro componente, la Corea del Nord?
R. - La Corea del Nord è in una situazione, anche
geografica, molto più limitata. Poi, Pyongyang ha
compiuto qualche piccolo passo per sminuire la propria portata eversiva. Non
dimentichiamo che dietro tutta la crisi c’è anche il problema dell’energia, che
è forse il problema principale: gas e petrolio stanno diventando i veri
protagonisti degli equilibri strategici mondiali. Quindi possiamo ben capire i
problemi che a lungo andare si potrebbero creare sia sul fronte dei prezzi, sia
sul fronte del controllo delle materie prime.
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AL VIA
OGGI A BAMAKO, IN MALI, IL FORUM SOCIALE MONDIALE.
AL
CENTRO DEGLI INCONTRI L’EMARGINAZIONE DEL CONTINENTE AFRICANO
-
Intervista con padre Alex Zanotelli
-
Al via
oggi a Bamako, capitale del Mali, la VI edizione del
Forum Sociale Mondiale. Presenti oltre 300 organizzazioni della società civile
africana che per cinque giorni si confronteranno tra l’altro sulle questioni
della pace, del debito estero dei Paesi più poveri, delle regole del commercio
internazionale, delle politiche economiche e sociali. Al centro degli incontri
anche l’emarginazione del Continente africano. Benedetto XVI ha parlato più
volte delle responsabilità dell’Occidente verso l’Africa, vista spesso solo come terra di sfruttamento. Ascoltiamo in proposito la
testimonianza del missionario comboniano padre Alex Zanotelli, che per 12 anni ha
condiviso la vita dei più poveri in una baraccopoli di Nairobi, "Korogocho"
. L’intervista è di Alessandra Pizzuto:
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R. – E’ nostro interesse comune dare una mano a questo
Continente. Se non daremo una mano a questo Continente saranno i problemi di
questo Continente a travolgerci tutti. Quindi, al di là di etica e di morale, è
nostro interesse dare una mano a questi Paesi africani, a questo Continente, a
rimettersi in piedi.
D. – Rispetto alla questione africana, dunque, cosa
rimprovera all’Occidente?
R. – Di
aver emarginato l’Africa. Oggi l’Africa è il continente che chiamo “martire e
crocifisso”. E’ dimenticato dai media, è dimenticato
concretamente nell’aiuto. E la politica estera continua con rapacità
incredibile nei suoi confronti. Basterebbe citare la guerra in Congo, fatta per
enormi interessi, che riguardano soprattutto il coltan
e l’ uranio, che ha fatto milioni di morti. E non
prendiamo seriamente la questione: ad esempio c’è il documento sull’Africa,
preparato dalla Commissione in buona parte africana, che è stata messa in piedi
dal governo Blair in preparazione del G8, che chiede
di far partire un Piano Marshall per l’Africa.
Basterebbe che risparmiassimo ogni giorno metà pacchetto di gomme da masticare
e ce ne sarebbe abbastanza per fare un Piano Marshall.
D. – Fino al 2001 il suo impegno missionario si è svolto
in Kenya, a Korogocho,
una delle baraccopoli attorno a Nairobi. Di questa esperienza cosa l’ha colpita
di più?
R. – Quello che mi ha colpito di più sono stati i volti delle
persone. I poveri di Korogocho
mi hanno profondamente dilaniato. La loro sofferenza è diventata la mia
sofferenza. Ho cominciato a capire cosa significhi vivere da quella parte,
odorare come loro odorano, essere disprezzati come sono disprezzati.
D. – Uno dei temi che spesso affronta è “convertire
l’Occidente”…
R. – Oggi la ricchezza è il potere. Le armi sono in mano
alla “tribù bianca”. Quando vediamo un sistema che ammazza 50 milioni di
persone all’anno per fame, che spende mille miliardi
di dollari in armi, mentre ne basterebbero quaranta per risolvere fame e
sanità, portare avanti un sistema economico e uno stile di vita che sta
rovinando l’ecosistema, bisogna essere ciechi per dire che questo non è
peccato. Viviamo nel peccato e dobbiamo convertirci per permettere a tutti di
vivere in questo mondo e per permettere alla vita di andare avanti.
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19 gennaio 2004
APPELLO DEI VESCOVI
EUROPEI E DEL NORD AMERICA
A SOSTEGNO
DEI CRISTIANI IN TERRA SANTA. I PRESULI, AL TERMINE
DI UN INCONTRO A GERUSALEMME, CHIEDONO SICUREZZA
PER GLI ISRAELIANI E LIBERTA’ PER I PALESTINESI
GERUSALEMME.= Un invito a tutti i fedeli a pregare
per la Terra Santa, a promuovere pellegrinaggi, a sostenere le Chiese locali, e
ancora ad organizzare iniziative in favore della pace: è quanto chiede a favore
della Chiesa della Terra Santa, il Coordinamento delle conferenze episcopali
europee e nordamericane, che oggi a Gerusalemme ha diffuso il comunicato finale
dell’incontro, il sesto della serie, iniziato lo scorso 14 gennaio. I presuli
rivolgono anche un pressante appello alle autorità palestinesi e israeliane
perché lavorino per una “giusta pace” “Come pastori – si legge nel documento diramato
dall’agenzia SIR – invitiamo i fedeli delle nostre nazioni a ricordare la
Chiesa di Terra Santa nelle preghiere, a sostenere le sue istituzioni, a
recarsi in pellegrinaggio nei luoghi santi, a promuovere la pace e la giustizia
per tutte le popolazioni della regione”. “La nostra preoccupazione per la
Chiesa locale – affermano i vescovi – ci porta a condividere le paure e le sofferenza come le gioie e le speranze della gente.
Riconosciamo il diritto legittimo di Israele ad adottare
appropriate misure di sicurezza – si legge ancora – purché queste tengano conto
del rispetto della dignità, dei diritti umani, della terra e dell’acqua dei
palestinesi” diretta “conseguenza dei check point e del muro che danneggia lo sviluppo economico e la
libertà di movimento”. “La sicurezza di Israele – prosegue il documento - è
legata alla giustizia per i palestinesi”. Ricordando le parole di Giovanni
Paolo II prima, e di Benedetto XVI poi, il Coordinamento invita quindi a
“costruire ponti e non muri”. Per i presuli, è necessario impegnarsi “per una
giusta pace che riconosca la sicurezza per Israele e la libertà per i
palestinesi”. Di qui, l’appello anche “alle nostre rispettive comunità e
governi”, affinché “si adoperino per una giusta soluzione del conflitto”. “La
difficile situazione in Terra Santa – conclude il comunicato – non ci spinge
all’ottimismo ma la nostra fede e i nostri incontri con i giovani” ci fanno “sperare
in un nuovo inizio”. (A.G.)
I MEDICI TURCHI DENUNZIANO RITARDI NELL’AZIONE DI
GOVERNO PER FRONTEGGIARE L’INFLUENZA AVIARIA.
DALL’EUROPA, IL PRIMO MINISTRO FRANCESE
DE VILLEPIN
PROPONE LA CREAZIONE DI UNA FORZA EUROPEA CONTRO LA PANDEMIA. IN IRAQ, ANCORA
UN ALTRO CASO DI MORTE SOSPETTA
ANKARA.= In Turchia,
l’influenza aviaria ha contagiato 21 persone, la presenza del ceppo H5N1 è
segnalata ormai in molte province del Paese. L’Unione dei medici turchi (TTB)
ha denunciato ritardi nelle azioni del governo, in quanto avrebbe lasciato
diffondere l’influenza prima di agire. In una conferenza stampa, il dottor Mettin Bakkalaci, vicepresidente
della stessa TTB, ha dichiarato che fino a questo momento, i membri dell’Unione hanno taciuto,
per non apparire come oppositori del governo, ma visto che la situazione è
grave e richiede interventi tempestivi, hanno deciso di lanciare un appello al
governo e alla popolazione turca. “I membri del governo hanno fatto delle
dichiarazioni eccessivamente ottimistiche”, ha aggiunto Bakkalaci
ricordando anche, che il ministro dell’Agricoltura, Mehdi
Eker, affermò lo scorso ottobre, che “l’argomento
influenza aviaria in Turchia era chiuso” e che il ministro della Sanità, Recep Akdag, aveva poi
confermato, che “il virus dei polli doveva essere eliminato dall’agenda della
Turchia”. Un altro caso di possibile contagio da influenza aviaria è stato
riscontrato in un villaggio curdo vicino
a Suileimanya, nel nord dell’Iraq. Benché le
autorità irachene abbiano immediatamente negato,
alcuni campioni di tessuto della vittima, una ragazza di 14 anni, sono stati
inviati in Giordania per ulteriori accertamenti. In Cina, il numero delle morti
per aviaria è salito a sei. Il virus, diffondendosi, continua dunque a mietere
vittime. Ragion per cui, anche dall’Europa si seguono con molta apprensione gli
sviluppi del fenomeno. È del primo ministro francese, Dominique
de Villapin, la proposta che l’UE si doti di un team di esperti, per fronteggiare la minaccia
della pandemia. Inoltre, in base ad un articolo pubblicato dalla rivista medica
britannica “The Lancet”, alcuni ricercatori sosterrebbero che
l’efficacia di farmaci antivirali, come il Tamiflu,
non andrebbe sopravvalutata. Gli studiosi sono giunti a tale conclusione, solo
dopo aver esaminato una cinquantina di studi su quattro antivirali, perché
un’eccessiva fiducia in soluzioni farmacologiche,
potrebbe ridurre e ostacolare altre iniziative di intervento. In base ad
un’analisi condotta dal mensile “Focus”,
su una serie di studi scientifici pubblicati negli ultimi anni e resa nota on line, risulterebbe che il virus dell’influenza aviaria
sarebbe meno aggressivo del previsto. (A.E.)
RAPPORTO
DELL’ONU SULLA PRECARIA SITUZIONE UMANITARIA IN IRAQ:
VIOLATI
I DIRITTI DI DONNE BAMBINI E DETENUTI.
SOTTO
ACCUSA LE OPERAZIONI MILITARI CHE COLPISCONO I CIVILI
NEW YORK. = “I persistenti conflitti in atto nel Paese e la debolezza nel far
rispettare la legge continua a sortire un grave effetto sul rispetto dei
diritti umani”. Questa la
situazione dell’Iraq fotografata da un rapporto della missione
dell’ONU a Baghdad, in cui si denunciano gravi violazioni dei diritti delle
donne, dei bambini e dei detenuti. In particolare, l’attenzione si concentra
sui minori, “uccisi nel corso di bombardamenti indiscriminati o vittime innocenti di
scontri a fuoco”. Nel rapporto, si esprime preoccupazione anche per le azioni
delle Forze della coalizione, che coinvolgono la popolazione
civile e spesso sono dirette contro strutture ospedalierie
e civili. Da qui, la necessità che “i leader politici e locali continuino a
lavorare per contenere tali pratiche e migliorare i rapporti tra le comunità”.
Il rapporto denuncia poi la scoperta di luoghi di detenzione gestiti dal Ministero
dell’interno, dove sono stati inflitti abusi e torture ai detenuti.
“L’identificazione di problemi legati a centri di reclusione non ufficiali in
tutto l’Iraq deve portare ad assicurare alla giustizia chi ha commesso tali
crimini a tutti i livelli di responsabilità”. (R.G.)
ALLARME
INONDAZIONI IN EUROPA: NUOVA DIRETTIVA DELLA COMMISSIONE EUROPEA IMPONE AGLI
STATI MISURE PER LA MAPPATURA DEI RISCHI, LA PREVEZIONE
E LA GESTIONE
DELLE OPERAZIONI PER ARGINARE I DANNI A PERSONE E COSE
BRUXELLES. = In Europa, il rischio di inondazioni
“potrebbe aumentare notevolmente nei prossimi decenni”: cambiamenti climatici,
mancanza di una gestione
appropriata della rete idrografica, ma anche disboscamento ed eccesso
di edilizia, ne sono le principali cause. La messa in guardia è della
Commissione europea che ricorda dati inquietanti: dal 1998 ad oggi, lo
straripamento di piccoli e grandi corsi d’acqua - dal Nord al Sud dell’Europa -
ha causato 700 vittime, mezzo milione di sfollati e provocato non meno di 25
miliardi di perdite di beni. Bruxelles vuole correre ai ripari e propone una
nuova direttiva europea per imporre ai singoli Stati l’obbligo “di procedere ad
una valutazione preliminare dei bacini idrografici e delle zone costiere
esposte al rischio di inondazioni”. Basti pensare che il valore dei beni - tra
spiagge, terreni agricoli ed impianti industriali - situati entro 500 metri
dalle coste europee, è stimato dagli esperti tra i 500 ed i 1.000 miliardi di euro.
Agli Stati membri viene così chiesto di creare una mappatura dei rischi di inondazioni sul lungo periodo e in
seguito di definire dei piani di gestione per queste zone. L’obiettivo della
proposta, ha tenuto a sottolineare il commissario europeo all’ambiente, Stavros Dimas, è di aiutare i
Paesi europei a dotarsi di strumenti per ridurre la probabilità delle
inondazioni e limitarne le conseguenze. Ma anche - ha aggiunto - rafforzare la cooperazione
per la gestione dei fiumi
transfrontalieri e pure di favorire
lo scambio di informazioni tra le autorità competenti in materia di gestione
delle acque e la comunità scientifica. Oltre a causare danni economici e
sociali, le inondazioni possono avere effetti devastanti sull'ambiente, quando coinvolgono
impianti di trattamento delle acque reflue o impianti industriali con ingenti
quantità di sostanze chimiche tossiche. Le inondazioni, inoltre, possono
distruggere le zone umide e ridurre la biodiversità.
(R.G.)
SU DUE MILIONI E 600 MILA BAMBINI IMPEGNATI IN ATTIVITÀ
LAVORATIVE,
SOLO UN MILIONE E 400 MILA PERCEPISCONO UNA RETRIBUZIONE
DAI PROPRI DATORI DI LAVORO. È QUANTO EMERGE DA UN
RECENTE
SEMINARIO TENUTOSI IN NEPAL,
DAL TITOLO “DALLO SFRUTTAMENTO ALL’ISTRUZIONE”
KATHMANDU. = “Dallo sfruttamento all’istruzione” è il tema
di un seminario svoltosi di recente nella capitale nepalese Kathmandu,
cui hanno preso parte organizzazioni non governative
ed esponenti dell’esecutivo. Dalla riunione è emerso come lo sfruttamento del
lavoro minorile sia una realtà tristemente presente nel Paese. Infatti,
risulterebbe che su un totale di 2,6 milioni di bambini impegnati in lavori di
vario genere, solo 1,4 milioni sarebbe retribuito. Inoltre, da un rapporto
pubblicato dall’ILO (Organizzazione internazionale del lavoro), risulta che il
55 per cento della forza lavoro nepalese sia costituita
da bambine e ragazze. Come riporta l’agenzia MISNA, il presidente della ONG “Child Workers in Nepal Concerned Center” (CWIN), Gauri
Pradhan, ha precisato come molte giovani, lavorando anche
più dei ragazzi, non siano affatto retribuite. Infine, ha aggiunto che allo
sfruttamento della manodopera infantile nel Paese contribuiscono le disparità
economiche e sociali, la povertà e la mancanza di consapevolezza
dell’importanza dell’istruzione. (A.E.)
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19
gennaio 2006
- A cura di Fausta Speranza -
Almeno 15 morti per due attentati a Baghdad. Le esplosioni
sono avvenute - dicono fonti di Baghdad - in due ristoranti della capitale, e
si ritiene che i due attentati siano legati alla festa sciita di oggi di 'Al Ghadir'. E' la ricorrenza in cui si celebra l'investitura
da parte di Maometto, come suo successore, dell’Imam
Ali, venerato dagli sciiti. Sul piano politico, la missione internazionale di esperti
incaricata di osservare le elezioni legislative irachene del 15 dicembre ha
constatato nel suo rapporto finale che sono state commesse delle frodi ma non
ha rimesso in causa i risultati globali. Intanto le forze armate irachene e
americane fanno sapere di essere alla ricerca di 35 iracheni sequestrati lunedì
a nord di Baghdad. E i leader religiosi sunniti scendono in campo per chiedere
la liberazione di Jill Carroll,
la giornalista freelance americana che dal 7 gennaio si trova nelle mani di
rapitori che per catturarla hanno ucciso il suo interprete. Appelli e indagini
si intrecciano in Iraq, mentre scorre il tempo dopo l'ultimatum di 72 ore dato
dagli autori del sequestro, che chiedono agli USA la liberazione di tutte le
donne irachene che si trovano nelle mani dei militari.
Sembra che tre membri ad alto livello di
Al Qaeda siano tra le vittime dell'attacco missilistico in Pakistan con
il quale gli USA la settimana scorsa hanno cercato invano di chiudere i conti con il numero due di Al
Qaeda, il medico egiziano Ayman al Zawahri. Potrebbe essere
stato colpito il
genero di al Zawahri e il capo delle operazione della rete fondata
da Osama Bin Laden nella provincia afghana di Kunar. Dei tre non sono stati ancora trovati i corpi.
Intanto sull’Afghanistan si pronuncia il Parlamento europeo, che concorda
sull'espansione della presenza delle forze internazionali in Afghanistan, ma chiede una revisione
delle regole d'ingaggio ed invita la comunità internazionale a coordinare maggiormente
gli aiuti al Paese e a responsabilizzare
le autorità locali. L’europarlamento condanna il trasferimento di prigionieri a
Guantanamo, esprime preoccupazione per la ripresa
della produzione di oppio nel Paese e ricorda la conferenza dei donatori che si
terrà a Londra il 31 gennaio.
La Francia si riserva di rispondere in modo
''non convenzionale'', cioe'
anche con armi nucleari, ai dirigenti di quei Paesi ''che abbiano fatto ricorso
a mezzi terroristici contro di noi''. Lo ha detto il
presidente della repubblica Jacques Chirac in visita alla base nucleare dell'Ile Longue. A differenza degli Stati Uniti la Francia si è sempre rifiutata di pensare di ricorrere ad
armi nucleari contro gruppi terroristici. Tuttavia - ha precisato Chirac - si riserva questo diritto contro Paesi che abbiano
utilizzato il terrorismo. Il presidente francese non ha fatto riferimento a
specifici Paesi.
Centinaia di diplomatici USA in Europa e a Washington
saranno trasferiti verso nuove destinazioni, in Medio Oriente e Asia. In un
discorso all'Università di Georgetown, il segretario
di Stato americano Condoleezza Rice
ha spiegato che si deve considerare che la Guerra Fredda è finita
mentre sono forti le ‘minacce di terrorismo’,
contrabbando di droga e malattie transnazionali. ''Le
maggiori minacce - ha detto - emergono adesso più all'interno degli Stati che
tra di essi''. E, dunque, secondo la Rice ''il carattere precipuo dei regimi ora conta di più
della distribuzione internazionale del potere''.
Il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter
Steinmeier, ha incontrato oggi al Cairo il presidente
egiziano Hosni Mubarak. Il
ministro tedesco, che è arrivato ieri al Cairo per una visita di due giorni, ha
discusso con il ministro degli esteri egiziano Ahmed Abul Gheit della questione
nucleare iraniana e del processo di pace israelo-palestinese.
Abul Gheit ha ribadito che
l'Egitto è contro la proliferazione nucleare in Medio oriente ed è per una
soluzione negoziata della questione con l'Iran.
L'Agenzia internazionale per l'energia atomica, del cui direttivo fa
parte l'Egitto, deve votare per un'eventuale invio
della questione al Consiglio di sicurezza dell'Onu
per possibili sanzioni, dopo che l'Iran ha tolto la scorsa settimana i sigilli
messi dall'Onu a installazioni nucleari. Il Cairo non
ha fatto sapere come voterà.
Per il quarto giorno consecutivo Abidjan, la capitale
economica della Costa d'Avorio, è paralizzata dalle proteste dei sostenitori
del presidente Laurent Gbagbo,
malgrado l'appello lanciato ieri da quest'ultimo a
''ritirarsi dalle strade''. Il nostro servizio:
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Ufficialmente, le manifestazioni di strada sono ancora vietate in Costa
d'Avorio, ma il punto è che a Abidjan oggi la presenza di forze di sicurezza è quasi inesistente.
Giovani sostenitori di Gbagbo presidiano numerosi
blocchi stradali in città. C’è da dire che sono vuote le
principali vie e quasi inesistente il traffico. Anche il Plateau, il
quartiere amministrativo e degli affari, stamattina si presentava nuovamente deserto ma con numerosi
blocchi istituiti da quelli che si definiscono 'giovani patrioti'. Tutto
nonostante che ieri sera lo stesso Gbagbo
e il primo ministro Charles Konan
Banny hanno rivolto un appello alla popolazione ''a
ritirarsi dalle strade'' e a ''riprendere il lavoro''. L’appello faceva seguito alla riunione di diverse ore con
il presidente nigeriano Olusegun Obasanjo,
presidente di turno dell'Unione Africana, giunto a Abidjan per cercare di
salvare il processo di pace. Proprio ieri la situazione era degenerata
nell'ovest del Paese, a Guiglo. Centinaia di sostenitori
del presidente avevano dato l'assalto a una base dei caschi blu dell'Onu e i soldati del Bangladesh
avevano risposto con le armi, uccidendo almeno tre ivoriani. La situazione in
Costa d'Avorio, che resta il maggiore produttore mondiale di cacao, è nuovamente
precipitata dopo che il Gruppo di lavoro internazionale (GTI),
incaricato di seguire l'evoluzione del processo di pacificazione tra le fazioni
interne, ha deciso di non prolungare il mandato dell'Assemblea nazionale.
L’Assemblea, nella quale sono in maggioranza i partigiani di Gbagbo, è scaduta a dicembre.
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Drammatico bilancio di una
serie di scontri tra pastori all'estremo nord del Kenya, a cavallo dei confini
con Etiopia e Sudan. Almeno 38 i morti, a quanto riferisce oggi il quotidiano 'Nation'. Tutto sembra iniziato venerdì quando un centinaio
di predatori provenienti da Sudan ed Etiopia appartenenti alle etnie Doingiro e Toposa hanno fatto
irruzione nell'area di Zoyea, uccidendo un pastore e
rubando 190 capi di bestiame. Il giorno successivo si è sviluppata una grande
battaglia, nel corso della quale 30 aggressori hanno perso la vita, ed anche
sette keniani. Numerosi, ed alcuni in gravi condizioni, i feriti. La guerra tra poveri si sta
drammatizzando in questi giorni di tragica siccità sia in Kenya che nel Sud
Sudan e nell'Etiopia sud occidentale
La questione energetica tra
Russia e Ucraina sembra aver abbandonato la via dello scontro per incanalarsi
su quella del dialogo. Oggi una delegazione della società Gazprom
è a Kiev per incontrare le autorità ucraine dopo la
firma dell’accordo che ha aumentato il prezzo delle forniture di gas russo.
Intanto, l’aumento del consumo interno russo sta provocando la diminuzione
sensibile delle esportazioni di gas verso diversi Paesi europei, tra cui
l’Italia. Ma in quale clima avviene la missione russa a Kiev?
Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Pierantonio Lacqua, corrispondente dell’ANSA di Mosca:
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R. – Il
dialogo è soprattutto tra il presidente Yushenko e Gazprom, nel senso che Yushenko
ha accettato quest’accordo molto controverso e quindi lo sta difendendo a spada
tratta pur avendo contro la maggioranza del Parlamento. Quindi, c’è una volontà
della dirigenza ucraina di accettare comunque questo contratto, per molti
versi, capestro con Gazprom. La mossa di Gazprom, però, che vuole dei prezzi di mercato, tra tutti
gli altri Paesi ex sovietici sta creando chiaramente dei grossi problemi.
Quindi, non soltanto l’Ucraina, ma anche l’Armenia ha dovuto ingoiare un
aumento pesantissimo, superiore all’Ucraina, pur essendo di
fatto un Paese satellite di Mosca.
D. – A fianco alla questione del prezzo del gas c’è quella
del sensibile aumento, dell’utilizzo soprattutto interno. C’è il rischio che si
vada incontro ad un taglio delle forniture preoccupante,
soprattutto per l‘Europa?
R. – Proprio pochi minuti fa il governo russo ha
annunciato che è pronto ad usare le riserve energetiche strategiche per far
fronte a questa eccezionale ondata di freddo, che ha fatto scendere la
temperatura la notte, a Mosca, fino a meno 31 gradi centigradi. Quindi, c’è una
volontà del governo russo di evitare chiaramente sospensioni o riduzioni nelle
forniture di gas all’Occidente.
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Nel Bollettino mensile pubblicato oggi a Francoforte, la
Banca centrale europea ribadisce il proprio ottimismo sull'andamento della
congiuntura economica. Però i banchieri centrali confermano di non voler
abbassare la guardia
sui pericoli connessi all'inflazione. Ricordano, infatti, che “i rischi per la
stabilità dei prezzi
nel medio periodo rimangono orientati verso l'alto”.
Le elezioni legislative in Ungheria si terranno il 9 e il
23 aprile. Lo ha annunciato oggi il presidente Laszlo
Solyom. In palio alle elezioni, le prime dall’entrata
dell’Ungheria nell’Unione Europea, ci saranno tutti i 386 seggi del parlamento,
monocamerale. In base agli ultimi sondaggi il governo
di centro-sinistra del premier Ferenc Gyurcsany e il Fidesz, principale
partito di opposizione
di destra guidato dall'ex capo del governo Viktor Orban, sono praticamente appaiati.
E’ stato
firmato questa mattina presso la sede di Confindustria
il contratto di lavoro dei metalmeccanici. L’accordo, che riguarda 1 milione
600 mila lavoratori del settore, è arrivato dopo un anno di trattativa,
costellata da numerosi scioperi: Negli ultimi giorni la mobilitazione dei
metalmeccanici aveva bloccato strade e ferrovie in tutta Italia. Il servizio di
Giampiero Guadagni.
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Un braccio di
ferro estenuante. Alla fine l’accordo per i metalmeccanici c’è stato e come
sempre accade rappresenta il compromesso tra la richiesta iniziale del
sindacato di categoria e l’offerta dei datori di lavoro. L’aumento medio mensile,
naturalmente lordo, è di 100 euro. Ai quali si aggiungono 320 euro di una
tantum e 130 euro per i lavoratori finora senza secondo livello di
contrattazione, quello cioè decentrato - territoriale o aziendale - e per i
lavoratori ai minimi salariali. L’intesa riguarda anche la parte normativa del
contratto, con l’introduzione di nuovi elementi di flessibilità, a partire
dagli orari. L’importanza del contratto firmato sta nei numeri del settore. In
Italia ci sono 1 milione 600 mila metalmeccanici impiegati nelle 60 mila
imprese. Ma le difficoltà sono forti: negli ultimi quattro anni sono stati
persi 134 mila posti di lavoro e 187 mila persone sono finite in
cassa integrazione. La trattativa tra sindacati e imprese è stata un vero e
proprio muro contro muro. Con il corollario di scioperi e manifestazioni che
negli ultimi giorni hanno bloccato la viabilità in diverse zone d’Italia.Torna allora in primo piano la necessità di riformare il
modello contrattuale. Modello fissato nel 1993 e che non tiene conto dei
cambiamenti del sistema produttivo italiano. In molti ritengono indispensabile
rafforzare la contrattazione decentrata, lasciando al contratto nazionale la
funzione di fissare regole generali. La materia è di competenza delle parti
sociali. La politica in questo caso è solo spettatrice interessata e può semmai
svolgere un ruolo di mediazione. Difficile, tuttavia, in un clima di campagna
elettorale permanente, con la ormai consueta contrapposizione tra schieramenti
ma anche con la competizione all’interno degli stessi poli, ancora più accentuata
dopo il ritorno del sistema proporzionale. In discussione ancora una volta il
corretto utilizzo dei mezzi radiotelevisivi. E ieri il capo dello Stato, Ciampi, ha rivolto un nuovo appello perché sia rispettata una parità
effettiva tra le forze politiche in vista delle prossime elezioni.
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Un barcone lungo 17 metri con a
bordo 212 clandestini, salpato da un porto del Mediterraneo non ancora
identificato, ha gettato l’ancora la scorsa notte a pochi metri dal porto di
Lampedusa, nell’Italia del sud. I clandestini, tra i quali 10 donne e 17 minori
si trovano adesso nel centro di permanenza temporanea di Lampedusa. Ieri erano
arrivati altri 14 clandestini di origine tunisina.
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