RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 19  - Testo della trasmissione di giovedì 19  gennaio 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Un’occasione di dialogo ecumenico fruttuoso: così Benedetto XVI alla delegazione ecumenica finlandese, a Roma per il pellegrinaggio di Sant’Enrico, nella settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: intervista con il rev.do Matthias Türk

 

Prosegue la visita ad Limina dei vescovi della Repubblica Democratica del Congo: ai nostri microfoni l’appello di mons. Monsengwo Pasinya alla comunità internazionale

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

L’Europarlamento adotta una risoluzione contro l’omofobia ma punta al riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali nell’UE: il commento di mons. Aldo Giordano

 

Siria ed Iran contro l’intervento straniero nelle questioni mediorientali. Il presidente iraniano in visita a Damasco: intervista con Antonio Ferrari

 

Al via oggi a Bamako, in Mali, il Forum sociale mondiale. Al centro degli incontri l’emarginazione del Continente africano: ce ne parla padre Alex Zanotelli

 

CHIESA E SOCIETA’:

Appello dei vescovi europei e del Nord America a sostegno dei cristiani in Terra Santa

 

I medici turchi denunziano ritardi nell’azione di governo per fronteggiare l’influenza aviaria

 

Rapporto dell’ONU sulla precaria situazione umanitaria in Iraq: violati i diritti di donne, bambini e detenuti, anche a causa di operazioni militari delle forze di coalizione

 

Allarme inondazioni in Europa: nuova direttiva della Commissione Europea impone agli Stati misure per la mappatura dei rischi, la prevenzione e la gestione delle emergenze

 

In Nepal su 2 milioni e 600 mila bambini impegnati in attività lavorative solo 1 milione e 400 mila percepiscono una retribuzione dai propri datori di lavoro

 

24 ORE NEL MONDO:

Oltre 20 morti in due attentati a Baghdad

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

19 gennaio 2006

 

UN’OCCASIONE DI DIALOGO ECUMENICO FRUTTUOSO: COSI’ BENEDETTO XVI

ALLA DELEGAZIONE ECUMENICA FINLANDESE, A ROMA PER IL PELLEGRINAGGIO

 DI SANT’ENRICO, NELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI

- Intervista con il reverendo Matthias Türk -

 

“L’unità tra i cristiani è una grazia” e un dono da chiedere con insistenza a Dio. Il giorno dopo aver definito “un gesto della Provvidenza” l’imminente pubblicazione della sua prima Enciclica, Deus Caritas est, in coincidenza con la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, Benedetto XVI ha accolto e salutato questa mattina una delegazione ecumenica della Finlandia, giunta a Roma per il tradizionale pellegrinaggio nella Festa di Sant’Enrico, patrono del Paese nordico. Il servizio di Alessandro De Carolis.

 

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Un incontro che è uno degli appuntamenti fissi della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e che da molti anni testimonia dei buoni rapporti che esistono tra cattolici e luterani della Finlandia. Già con Giovanni Paolo II la visita a Roma e in Vaticano per la festa di Sant’Enrico si era trasformata in un’occasione di “dialogo ecumenico fruttuoso”. Benedetto XVI lo ha ricordato all’inizio del suo saluto alla delegazione guidata dal vescovo di Helsinki, Józef Wróbel, e da mons. Heikka:

 

“THESE VISITS ARE AN OCCASION…

Queste visite sono un'occasione per ulteriore lavoro produttivo, così come per un approfondimento dell’ecumenismo spirituale che consentono ai cristiani divisi di apprezzare quanto già li unisce”.

 

Nel ricordare il lavoro della Commissione luterano-cattolica, svedese e finlandese, in merito alla Dichiarazione congiunta sulla Dottrina della giustificazione, il Papa ne ha rilevato le implicazioni pratiche allo studio degli specialisti. In questo modo, ha affermato, la Commissione “cerca di richiamare le differenze ancora esistenti fra i luterani ed i cattolici su determinate questioni di fede e sulla vita ecclesiale”, dando sempre una fervente testimonianza della verità del Vangelo:

 

“DURING THESE DAYS OF THE WEEK OF PRAYER FOR…

Durante la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, siamo particolarmente consapevoli che l'unità è una grazia, e che dobbiamo continuamente chiedere al Signore questo dono”.

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Domani pomeriggio, alle 17.30, la delegazione ecumenica finlandese parteciperà, insieme con il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, a una solenne liturgia della Parola nella chiesa romana di Santa Brigida. La struttura, che ospita la Casa generalizia delle Suore Brigidine, accoglie per antica tradizione le delegazioni luterane di passaggio nella capitale, giacché la Santa mistica del Nord è molto venerata dai luterani. Oggi alle 16, nella Basilica romana di Santa Maria sopra Minerva – sede della cappella nazionale dei finlandesi - si svolgerà una celebrazione presieduta da mons. Wrobel, che vedrà la liturgia secondo il rito cattolico e un’omelia tenuta da un luterano.

 

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si presenta dunque ricca di appuntamenti all’insegna dell’ecumenismo. Per comprendere in quale modo sia progredito, in particolare, il rapporto tra cattolici e luterani, ecco il parere del reverendo Matthias Türk, specialista di questo settore in seno al Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. L’intervista è di Giovanni Peduto:

 

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R. – DIE VIERTE DIALOGPHASE, ZWISCHEN LUTHERANERN UND KATHOLIKEN, …

La quarta fase di dialogo tra luterani e cattolici, che si è potuta concludere quest’anno, si è svolta sul tema della “apostolicità della Chiesa”: sulle fondamenta degli apostoli e dei loro successori si verifica, quindi, il passaggio dalla comunità del Vangelo alla comunità della Chiesa. Il documento finale della Commissione internazionale per il dialogo, previsto per la seconda metà dell’anno 2006, cercherà di indicare entro quali limiti sia possibile un ‘consenso’ tra cattolici e luterani su questo argomento. Accanto a queste consultazioni di carattere teologico, il progresso compiuto nei rapporti tra cattolici e luterani si è visto nella celebrazione comune della liturgia e nei molti incontri tra le due confessioni. Alti rappresentanti della Federazione luterana mondiale hanno partecipato, l’anno scorso, alle cerimonie funebri per Giovanni Paolo II e alla Messa per l’inizio di Pontificato di Benedetto XVI. Segno evidente dei rapporti maturi è stata anche la prima udienza privata dopo l’inizio del Pontificato che il Papa ha concesso al presidente della Federazione mondiale luterana, il vescovo Mark Hanson, che è anche presidente della Chiesa evangelico-luterana degli Stati Uniti. In questo contesto, Benedetto XVI ha chiesto a cattolici e luterani di approfondire il dialogo ecumenico: “Dobbiamo comprendere più profondamente cosa abbiamo in comune e cosa ci divide”. La collaborazione tra luterani e cattolici diventa importante anche in considerazione del generale clima di insicurezza nei riguardi delle verità cristiane e dei principi etici, come ha detto il Papa. Il Pontefice ha valutato il dialogo, e lo scambio di idee tra Chiesa cattolica e Federazione luterana mondiale, molto produttivo e promettente. La Dichiarazione comune sulla Dottrina della giustificazione del 1999 – ha detto il Santo Padre – è una pietra miliare nel dialogo ecumenico. Le differenze che ancora sussistono hanno bisogno di ulteriori chiarimenti.

 

D. – Per il futuro, reverendo Türk, quali sono le prospettive nel dialogo tra cattolici e luterani?

 

R. – INSGESAMT KANN, WIE MANCHMAL ZU HÖREN IST, VON KEINER EISZEIT …

Nell’insieme – così l’opinione comune – non si può più parlare di ‘epoca glaciale’ nei suddetti rapporti ecumenici. I percorsi di avvicinamento tra le Chiese e le comunità cristiane sono indiscutibili. In alcuni luoghi, per esempio in Germania, ci sono situazioni di una certa tensione e irritabilità. L’ermeneutica della fiducia è stata sostituita, in alcuni casi, dall’ermeneutica del sospetto. Per contro, dimostrazioni di avvicinamento sono il dialogo che continua imperterrito, l’ultimo documento di consenso cattolico-luterano sull’apostolicità, che sarà pubblicato quest’anno ed anche la presa di posizione della Federazione metodista mondiale sulla Dichiarazione comune della Dottrina della giustificazione, alla quale essa anche dà il consenso già riconosciuto da cattolici e luterani. Il punto fondamentale è il rispetto delle vicendevoli differenze, senza volerle nascondere. Da un punto di vista cattolico, non deve esistere una divergenza fondamentale nella comprensione del ministero e della Chiesa per poter ricevere insieme l’Eucaristia. Il fatto che la Chiesa luterana di Germania non partecipi più allo studio della traduzione comune della Bibbia, fortunatamente non è indicativo per lo stato generale dell’ecumenismo. Secondo le indicazioni fornite dalla “Bible Society” internazionale, attualmente sono in corso in tutto il mondo più di 70 progetti di traduzione comune della Bibbia. Il Pontificato di Benedetto XVI ha aperto un nuovo capitolo che apre alla speranza per quanto riguarda il progresso dell’ecumenismo.

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ALTRE UDIENZE

 

Benedetto XVI ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il ministro presidente del Land Baden-Württemberg, Günther H. Öttinger, con la consorte e il seguito, e l’ambasciatore di Bulgaria, in visita di congedo, Vladimir Gradev.

 

 

PROSEGUE LA VISITA AD LIMINA DEI VESCOVI DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA

DEL CONGO. AI NOSTRI MICROFONI, L’APPELLO ALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE DELL’ARCIVESCOVO DI KISANGANI, MONSENGWO PASINYA:

 “NON DIMENTICATE LE SOFFERENZE DEL POPOLO CONGOLESE”

 

Sono, questi, giorni particolarmente significativi per l’episcopato della Repubblica Democratica del Congo: dal 16 gennaio, è infatti in corso la loro visita ad Limina ed anche stamani, Benedetto XVI ha ricevuto in udienza alcuni presuli congolesi. Dopo gli anni terribili della guerra, che dal 1996 al 2003, ha provocato la morte di quasi 4 milioni di persone, ora il popolo dell’immenso Paese africano auspica il compimento della transizione verso la democrazia e la pace. Fondamentale, in questo sforzo per voltare pagina nella tragica storia del Congo, è il ruolo della Chiesa. Ai microfoni di Alessandro Gisotti, la testimonianza dell’arcivescovo di Kisangani e presidente della Conferenza episcopale congolese, mons. Laurent Monsengwo Pasinya:

        

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R. – Durante la guerra naturalmente abbiamo provato ad insistere sul valore della vita umana, sul Vangelo della vita, sul Vangelo della fratellanza e sul Vangelo della pace. Ma la pace di Gesù Cristo non è soltanto il silenzio delle armi, ma la pace dei cuori e delle menti.

 

D. – Quali oltre alla riconciliazione nazionale, sono i temi più importanti dell’atti-vità pastorale dei vescovi del Congo?

 

R. – C’è pure il fatto della dignità umana, perché spesse volte parliamo di democrazia, parliamo di Stato di diritto, ma questo ha un sostrato cristiano. Per noi cristiani la dignità umana è perché siamo stati creati ad immagine di Dio. Vogliamo soprattutto dei sistemi in cui la persona umana sia al centro sia dell’attività politica, sia dell’attività economica. Quindi, il valore centrale dell’uomo è lì perché noi abbiamo avuto un Dio uomo che ci ha dato un valore incomparabile, che noi stiamo difendendo. Quindi, noi teniamo al sistema democratico perché rappresenta meglio i valori di quella dignità umana che noi difendiamo.

 

D. – Medici Senza Frontiere ha sottolineato recentemente: “L’emergenza umanitaria del Congo è una delle più gravi al mondo, ma al tempo stesso una delle più dimenticate”. Quale appello si sente di rivolgere alla comunità internazionale?

 

R. – Credo che abbiano interamente ragione. Se dovessi fare un appello alla comunità internazionale, direi semplicemente che la guerra in Congo in sette anni ha ucciso 3 milioni e 900 mila persone, praticamente il 5 per cento della popolazione del Congo. E nessuno ne parla. Sembra una cosa normale. Tutti parlano del Congo, parlano delle risorse che abbiamo in Congo. Tutti vengono per lo sfruttamento delle risorse. Molti vengono per commerciare le armi, armi leggere, di cui il Santo Padre ha parlato anche recentemente. Ma quelle vite umane che sono state sacrificate, sembrano praticamente dimenticate da tutti. Dovremmo insistere di più, perché la comunità internazionale prenda le cose in mano, per evitare che il sacrificio supremo di quelle persone passi inutilmente, quando dovrebbe servire a ricordare a tutti che queste guerre devono trovare una soluzione definitiva. Ormai è tempo di porre fine a questi disordini e che quelli che possono facciano il possibile per porre fine a questa situazione.

 

D. – C’è, dunque, bisogno, riprendendo le parole di Benedetto XVI, di verità per ottenere la pace?

 

R. – La vera pace sta nella verità e purtroppo quella verità non si vede molto nel trattamento di tutta la situazione.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

 

Apre la prima pagina il tema del nucleare: in merito al dossier iraniano l’Unione Europea chiede una riunione straordinaria dell’AIEA.


Servizio vaticano – L’udienza d Benedetto XVI ad una Delegazione Ecumenica della Finlandia in occasione della festa di Sant’Enrico.

 

Servizio estero - Iraq: un rapporto dell’ONU denuncia gravi violazioni dei diritti umani.

 

Servizio culturale - Un articolo di Angelo Mundula su un’antologia della poesia napoletana dal500   ad oggi.

 

Servizio italiano - In primo piano sempre l’Unipol.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

19 gennaio 2006

 

 

L’EUROPARLAMENTO ADOTTA UNA RISOLUZIONE CONTRO L’OMOFOBIA

 MA PUNTA AL RICONOSCIMENTO GIURIDICO DELLE COPPIE OMOSESSUALI:

IL COMMENTO DI MONS. ALDO GIORDANO

 

L’Europarlamento ha adottato ieri  una risoluzione in cui si condanna l’omofobia, cioè ogni atteggiamento di disprezzo, di discriminazione  e di violenza contro gli omosessuali. L’iniziativa politica tuttavia, secondo gli osservatori, punta a legittimare da un punto di vista giuridico le coppie omosessuali nell’Unione Europea. La proposta, presentata da Popolari europei, Socialisti europei, Liberaldemocratici, Verdi e Sinistra europea, è stata approvata con 468 sì, 149 no e 41 astenuti. Per quanto riguarda l'Italia si sono espressi sostanzialmente contro la risoluzione gli europarlamentari della Casa delle Libertà. Si sono astenuti invece gli eurodeputati della Margherita. Su questa decisione del Parlamento europeo ascoltiamo il commento di mons. Aldo Giordano, segretario del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, intervistato da Luca Collodi:

 

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R. – Il primo interrogativo, abbastanza grosso e grave che ci facciamo è quello del modo e del metodo di questa iniziativa. C’è l’impressione che questa iniziativa venga da una minoranza, certamente una minoranza considerevole, che però ha usato un metodo che sembra mancare di trasparenza. E’ stato un tentativo abbastanza segreto di far passare questa risoluzione. In pratica, se si guardano i tempi disponibili, questi tempi non hanno permesso una vera riflessione pubblica. Il tema è talmente delicato che sarebbe stato interessante lanciare un dibattito pubblico in Europa su questo. Non ha permesso neanche ai parlamentari di rendersi veramente conto di cosa fosse in gioco. Quindi, abbiamo l’impressione che si facciano, escano delle risoluzioni, delle leggi, che non sono state a sufficienza considerate. Quindi, è mancato il tempo, è mancata la trasparenza. Una seconda osservazione è che sembra alle volte dominare una certa ideologia del pluralismo, per cui tutto ciò che esiste sembra essere buono, sembra essere umano, deve trovare un suo spazio. Manca veramente una riflessione su cosa sia veramente umano, su cosa sia la ricchezza dell’umano, su cosa sia bene, male, su cosa è la verità. 

 

D. – Secondo lei queste risoluzioni non rischiano di delegittimare il Parlamento europeo?

 

R. – Io sono convinto di sì, perché da una parte su certi temi, come i temi relativi alla famiglia, dovrebbe già essere chiaro che non sono di diretta competenza dell’Unione Europea, ma sono competenza riconosciuta delle singole nazioni. In realtà, poi, questa risoluzione passa sotto il titolo di diritti umani, che è una delle competenze. D’altra parte, la superficialità di certe decisioni, il rischio di certe decisioni, veramente ci fanno domandare dove stia la funzione del Parlamento europeo, questa funzione che dovrebbe cercare il bene comune per l’umanità, interrogarsi seriamente sul contributo che l’Europa può dare al mondo.

 

D. – Mons. Giordano, queste risoluzioni possono essere definite ideologiche?

 

R. – Io vedo questa dimensione ideologica, vedo questo tentativo di influenzare una mentalità, una cultura per interessi di parte, in fondo. Sono gruppi di potere che tentano di fare questo e in questi gruppi si vede anche alle volte un’avversione a certi valori della nostra tradizione, anche ai valori religiosi. Conosciamo la realtà di persone che vivono questa dimensione dell’omosessualità e la vivono come una realtà personale, ma non cercano di farne una legge per l’Europa, non cercano assolutamente di equiparare l’esperienza omosessuale con la famiglia. Quindi, abbiamo molto rispetto verso queste persone. Dall’altra parte, poi, c’è invece una lobby che è minoritaria, che curiosamente tenta di legiferare su questo e la stranezza è volere equiparare questa esperienza alla famiglia. Quindi, non si tratta della questione dei diritti umani degli omosessuali. E’ il fatto dell’incomprensione di cosa sia la famiglia. Non vuol dire che le Chiese non siano attentissime alle persone. La Chiesa è attenta a tutte le persone, però vede assolutamente problematico questo fatto di voler distruggere l’esperienza del rapporto umano, che noi riteniamo la più ricca, la più esaltante, la più fondamentale: il rapporto uomo-donna. Quindi il compito della Chiesa sarà anche questo: rilanciare l’antropologia, rilanciare la visione dell’uomo, rilanciare la bellezza e la ricchezza di questa visione.

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SIRIA E IRAN CONTRO L’INTERVENTO STRANIERO NELLE QUESTIONI MEDIORIENTALI.

IL PRESIDENTE IRANIANO A DAMASCO

- Intervista con Antonio Ferrari -

 

Teheran e Damasco sono contro l'intervento straniero nelle questioni mediorientali”. Lo ha ribadito il presidente iraniano Ahmadinejad, che ha cominciato oggi a Damasco una visita di due giorni in Siria. La missione di Ahmadinejad giunge in un momento particolarmente delicato per i due Paesi. L’Iran ha infatti innescato una nuova crisi internazionale a causa del proprio programma nucleare: ancora oggi la Repubblica islamica ha minacciato l’Occidente, avvertendo che il prezzo del petrolio salirà vertiginosamente se Teheran dovesse essere sanzionata economicamente a causa delle sue ricerche atomiche, come sollecitato dagli Stati Uniti, che chiedono il deferimento dell’Iran al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La Siria invece è accusata di complicità nell’assassinio dell’ex premier libanese Hariri, avvenuto l’11 febbraio 2005 a Beirut. Ce ne parla Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere della Sera ed esperto di questioni mediorientali, intervistato da Giada Aquilino:

 

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R. – Da una parte abbiamo tutta la diplomazia araba - in particolare l’Egitto e l’Arabia Saudita, ma anche la Sira e il Libano - che sta studiando una via d’uscita per il presidente siriano Bashar al-Assad: la Commissione d’inchiesta Onu vorrebbe infatti ascoltarlo in merito all’organizzazione dell’assassinio dell’ex primo ministro libanese Hariri, ma il regime siriano non vuole esporre il proprio presidente come testimone perché questo potrebbe intaccare l’immagine della sovranità dello Stato. Si sta appunto cercando una via di mezzo, che potrebbe essere per esempio un intermediario del presidente Bashar da inviare alla Commissione Onu. Dall’altra parte abbiamo l’Iran. Quando la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha cominciato ad indicare persone vicine al presidente siriano come potenziali responsabili o comunque coinvolte nell’organizzazione dell’attentato, immediatamente la Siria ha stretto ancora di più la sua alleanza con l’Iran, nata agli inizi degli anni Ottanta. E Teheran, adesso, con questo viaggio di Ahmadinejad, che ha un altissimo significato politico, vuol dimostrare non soltanto solidarietà a Damasco, ma anche la volontà di rafforzare l’intesa tra i due Paesi per fronteggiare il comune nemico, cioè le pressioni internazionali e gli Stati Uniti d’America.

 

D. – Ahmadinejad ha ribadito che Teheran e Damasco sono contrarie all’intervento straniero nelle questioni mediorientali. E’ una messa in guardia per gli Stati Uniti e i loro alleati?

 

R. – Assolutamente sì. Teniamo presente che l’Iran ha una forza militare notevole. Non è l’Iraq, che dopo la sconfitta nella prima guerra del Golfo anche da un punto di vista militare si è dimostrato assai meno forte di quanto lasciasse immaginare. L’Iran ha questa componente nucleare, secondo alcuni ben più avanzata di quanto voglia far credere.

 

D. – Perché i due Paesi del cosiddetto “asse del male”, Siria e Iran, ora fanno più paura dell’altro componente, la Corea del Nord?

 

R. - La Corea del Nord è in una situazione, anche geografica, molto più limitata. Poi, Pyongyang ha compiuto qualche piccolo passo per sminuire la propria portata eversiva. Non dimentichiamo che dietro tutta la crisi c’è anche il problema dell’energia, che è forse il problema principale: gas e petrolio stanno diventando i veri protagonisti degli equilibri strategici mondiali. Quindi possiamo ben capire i problemi che a lungo andare si potrebbero creare sia sul fronte dei prezzi, sia sul fronte del controllo delle materie prime.

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AL VIA OGGI A BAMAKO, IN MALI, IL FORUM SOCIALE MONDIALE.

AL CENTRO DEGLI INCONTRI L’EMARGINAZIONE DEL CONTINENTE AFRICANO

- Intervista con padre Alex Zanotelli -

 

Al via oggi a Bamako, capitale del Mali, la VI edizione del Forum Sociale Mondiale. Presenti oltre 300 organizzazioni della società civile africana che per cinque giorni si confronteranno tra l’altro sulle questioni della pace, del debito estero dei Paesi più poveri, delle regole del commercio internazionale, delle politiche economiche e sociali. Al centro degli incontri anche l’emarginazione del Continente africano. Benedetto XVI ha parlato più volte delle responsabilità dell’Occidente verso l’Africa, vista spesso solo come terra di sfruttamento. Ascoltiamo in proposito la testimonianza del missionario comboniano padre Alex Zanotelli, che per 12 anni ha condiviso la vita dei più poveri  in una baraccopoli di Nairobi, "Korogocho" . L’intervista è di Alessandra Pizzuto:

 

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R. – E’ nostro interesse comune dare una mano a questo Continente. Se non daremo una mano a questo Continente saranno i problemi di questo Continente a travolgerci tutti. Quindi, al di là di etica e di morale, è nostro interesse dare una mano a questi Paesi africani, a questo Continente, a rimettersi in piedi.

 

D. – Rispetto alla questione africana, dunque, cosa rimprovera all’Occidente?

 

R. – Di aver emarginato l’Africa. Oggi l’Africa è il continente che chiamo “martire e crocifisso”. E’ dimenticato dai media, è dimenticato concretamente nell’aiuto. E la politica estera continua con rapacità incredibile nei suoi confronti. Basterebbe citare la guerra in Congo, fatta per enormi interessi, che riguardano soprattutto il coltan e l’ uranio, che ha fatto milioni di morti. E non prendiamo seriamente la questione: ad esempio c’è il documento sull’Africa, preparato dalla Commissione in buona parte africana, che è stata messa in piedi dal governo Blair in preparazione del G8, che chiede di far partire un Piano Marshall per l’Africa. Basterebbe che risparmiassimo ogni giorno metà pacchetto di gomme da masticare e ce ne sarebbe abbastanza per fare un Piano Marshall.

 

D. – Fino al 2001 il suo impegno missionario si è svolto in Kenya, a Korogocho, una delle baraccopoli attorno a Nairobi. Di questa esperienza cosa l’ha colpita di più?

 

R. – Quello che mi ha colpito di più sono stati i volti delle persone. I poveri di Korogocho mi hanno profondamente dilaniato. La loro sofferenza è diventata la mia sofferenza. Ho cominciato a capire cosa significhi vivere da quella parte, odorare come loro odorano, essere disprezzati come sono disprezzati.

 

D. – Uno dei temi che spesso affronta è “convertire l’Occidente”…

 

R. – Oggi la ricchezza è il potere. Le armi sono in mano alla “tribù bianca”. Quando vediamo un sistema che ammazza 50 milioni di persone all’anno per fame, che spende mille miliardi di dollari in armi, mentre ne basterebbero quaranta per risolvere fame e sanità, portare avanti un sistema economico e uno stile di vita che sta rovinando l’ecosistema, bisogna essere ciechi per dire che questo non è peccato. Viviamo nel peccato e dobbiamo convertirci per permettere a tutti di vivere in questo mondo e per permettere alla vita di andare avanti.

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CHIESA E SOCIETA’

19 gennaio 2004

 

APPELLO DEI VESCOVI EUROPEI E DEL NORD AMERICA

 A SOSTEGNO DEI CRISTIANI IN TERRA SANTA. I PRESULI, AL TERMINE

DI UN INCONTRO A GERUSALEMME, CHIEDONO SICUREZZA

PER GLI ISRAELIANI E LIBERTA’ PER I PALESTINESI

 

GERUSALEMME.= Un invito a tutti i fedeli a pregare per la Terra Santa, a promuovere pellegrinaggi, a sostenere le Chiese locali, e ancora ad organizzare iniziative in favore della pace: è quanto chiede a favore della Chiesa della Terra Santa, il Coordinamento delle conferenze episcopali europee e nordamericane, che oggi a Gerusalemme ha diffuso il comunicato finale dell’incontro, il sesto della serie, iniziato lo scorso 14 gennaio. I presuli rivolgono anche un pressante appello alle autorità palestinesi e israeliane perché lavorino per una “giusta pace” “Come pastori – si legge nel documento diramato dall’agenzia SIR – invitiamo i fedeli delle nostre nazioni a ricordare la Chiesa di Terra Santa nelle preghiere, a sostenere le sue istituzioni, a recarsi in pellegrinaggio nei luoghi santi, a promuovere la pace e la giustizia per tutte le popolazioni della regione”. “La nostra preoccupazione per la Chiesa locale – affermano i vescovi – ci porta a condividere le paure e le sofferenza come le gioie e le speranze della gente. Riconosciamo il diritto legittimo di Israele ad adottare appropriate misure di sicurezza – si legge ancora – purché queste tengano conto del rispetto della dignità, dei diritti umani, della terra e dell’acqua dei palestinesi” diretta “conseguenza dei check point e del muro che danneggia lo sviluppo economico e la libertà di movimento”. “La sicurezza di Israele – prosegue il documento - è legata alla giustizia per i palestinesi”. Ricordando le parole di Giovanni Paolo II prima, e di Benedetto XVI poi, il Coordinamento invita quindi a “costruire ponti e non muri”. Per i presuli, è necessario impegnarsi “per una giusta pace che riconosca la sicurezza per Israele e la libertà per i palestinesi”. Di qui, l’appello anche “alle nostre rispettive comunità e governi”, affinché “si adoperino per una giusta soluzione del conflitto”. “La difficile situazione in Terra Santa – conclude il comunicato – non ci spinge all’ottimismo ma la nostra fede e i nostri incontri con i giovani” ci fanno “sperare in un nuovo inizio”. (A.G.)

 

 

I MEDICI TURCHI DENUNZIANO RITARDI NELL’AZIONE DI GOVERNO PER FRONTEGGIARE L’INFLUENZA AVIARIA.  DALL’EUROPA, IL PRIMO MINISTRO FRANCESE

 DE VILLEPIN PROPONE LA CREAZIONE DI UNA FORZA EUROPEA CONTRO LA PANDEMIA. IN IRAQ, ANCORA UN ALTRO CASO DI MORTE SOSPETTA

 

ANKARA.= In Turchia, l’influenza aviaria ha contagiato 21 persone, la presenza del ceppo H5N1 è segnalata ormai in molte province del Paese. L’Unione dei medici turchi (TTB) ha denunciato ritardi nelle azioni del governo, in quanto avrebbe lasciato diffondere l’influenza prima di agire. In una conferenza stampa, il dottor Mettin Bakkalaci, vicepresidente della stessa TTB, ha dichiarato che fino a questo momento,  i membri dell’Unione hanno taciuto, per non apparire come oppositori del governo, ma visto che la situazione è grave e richiede interventi tempestivi, hanno deciso di lanciare un appello al governo e alla popolazione turca. “I membri del governo hanno fatto delle dichiarazioni eccessivamente ottimistiche”, ha aggiunto Bakkalaci ricordando anche, che il ministro dell’Agricoltura, Mehdi Eker, affermò lo scorso ottobre, che “l’argomento influenza aviaria in Turchia era chiuso” e che il ministro della Sanità, Recep Akdag, aveva poi confermato, che “il virus dei polli doveva essere eliminato dall’agenda della Turchia”. Un altro caso di possibile contagio da influenza aviaria è stato riscontrato in un villaggio curdo vicino a Suileimanya, nel nord dell’Iraq. Benché le autorità irachene abbiano immediatamente negato, alcuni campioni di tessuto della vittima, una ragazza di 14 anni, sono stati inviati in Giordania per ulteriori accertamenti. In Cina, il numero delle morti per aviaria è salito a sei. Il virus, diffondendosi, continua dunque a mietere vittime. Ragion per cui, anche dall’Europa si seguono con molta apprensione gli sviluppi del fenomeno. È del primo ministro francese, Dominique de Villapin, la proposta che l’UE si doti di un team di esperti, per fronteggiare la minaccia della pandemia. Inoltre, in base ad un articolo pubblicato dalla rivista medica britannica “The Lancet, alcuni ricercatori sosterrebbero che l’efficacia di farmaci antivirali, come il Tamiflu, non andrebbe sopravvalutata. Gli studiosi sono giunti a tale conclusione, solo dopo aver esaminato una cinquantina di studi su quattro antivirali, perché un’eccessiva fiducia in soluzioni farmacologiche, potrebbe ridurre e ostacolare altre iniziative di intervento. In base ad un’analisi condotta dal mensile “Focus, su una serie di studi scientifici pubblicati negli ultimi anni e resa nota on line, risulterebbe che il virus dell’influenza aviaria sarebbe meno aggressivo del previsto. (A.E.)

 

 

RAPPORTO DELL’ONU SULLA PRECARIA SITUZIONE UMANITARIA IN IRAQ:

VIOLATI I DIRITTI DI DONNE BAMBINI E DETENUTI.

SOTTO ACCUSA LE OPERAZIONI MILITARI CHE COLPISCONO I CIVILI

 

NEW YORK. = “I persistenti conflitti in  atto nel Paese e la debolezza nel far rispettare la legge continua a sortire un grave effetto sul rispetto dei diritti umani”. Questa la  situazione dell’Iraq fotografata da un rapporto della missione dell’ONU a Baghdad, in cui si denunciano gravi violazioni dei diritti delle donne, dei bambini e dei detenuti. In particolare, l’attenzione si concentra sui minori, “uccisi nel corso di bombardamenti  indiscriminati o vittime innocenti di scontri a fuoco”. Nel rapporto, si esprime preoccupazione anche per le azioni delle Forze della coalizione, che coinvolgono la popolazione civile e spesso sono dirette contro strutture ospedalierie e civili. Da qui, la necessità che “i leader politici e locali continuino a lavorare per contenere tali pratiche e migliorare i rapporti tra le comunità”. Il rapporto denuncia poi la scoperta di luoghi di detenzione gestiti dal Ministero dell’interno, dove sono stati inflitti abusi e torture ai detenuti. “L’identificazione di problemi legati a centri di reclusione non ufficiali in tutto l’Iraq deve portare ad assicurare alla giustizia chi ha commesso tali crimini a tutti i livelli di responsabilità”. (R.G.)

 

 

ALLARME INONDAZIONI IN EUROPA: NUOVA DIRETTIVA DELLA COMMISSIONE EUROPEA IMPONE AGLI STATI MISURE PER LA MAPPATURA DEI RISCHI, LA PREVEZIONE

E LA GESTIONE DELLE OPERAZIONI PER ARGINARE I DANNI A PERSONE E COSE

 

BRUXELLES. = In Europa, il rischio di inondazioni “potrebbe aumentare notevolmente nei prossimi decenni”: cambiamenti climatici, mancanza di una gestione  appropriata della rete idrografica, ma anche disboscamento ed eccesso di edilizia, ne sono le principali cause. La messa in guardia è della Commissione europea che ricorda dati inquietanti: dal 1998 ad oggi, lo straripamento di piccoli e grandi corsi d’acqua - dal Nord al Sud dell’Europa - ha causato 700 vittime, mezzo milione di sfollati e provocato non meno di 25 miliardi di perdite di beni. Bruxelles vuole correre ai ripari e propone una nuova direttiva europea per imporre ai singoli Stati l’obbligo “di procedere ad una valutazione preliminare dei bacini idrografici e delle zone costiere esposte al rischio di inondazioni”. Basti pensare che il valore dei beni - tra spiagge, terreni agricoli ed impianti industriali - situati entro 500 metri dalle coste europee, è stimato dagli esperti tra i 500 ed i 1.000 miliardi di euro. Agli Stati membri viene così chiesto di creare una mappatura dei rischi di inondazioni sul lungo periodo e in seguito di definire dei piani di gestione per queste zone. L’obiettivo della proposta, ha tenuto a sottolineare il commissario europeo all’ambiente, Stavros Dimas, è di aiutare i Paesi europei a dotarsi di strumenti per ridurre la probabilità delle inondazioni e limitarne le conseguenze. Ma anche - ha  aggiunto - rafforzare la cooperazione per la gestione dei fiumi  transfrontalieri e pure di  favorire lo scambio di informazioni tra le autorità competenti in materia di gestione delle acque e la comunità scientifica. Oltre a causare danni economici e sociali, le inondazioni possono avere effetti devastanti  sull'ambiente, quando coinvolgono impianti di trattamento delle acque reflue o impianti industriali con ingenti quantità di sostanze chimiche tossiche. Le inondazioni, inoltre, possono distruggere le zone umide e ridurre la biodiversità. (R.G.)

 

 

SU DUE MILIONI E 600 MILA BAMBINI IMPEGNATI IN ATTIVITÀ LAVORATIVE,

 SOLO UN MILIONE E 400 MILA PERCEPISCONO UNA RETRIBUZIONE

DAI PROPRI DATORI DI LAVORO. È QUANTO EMERGE DA UN RECENTE

SEMINARIO TENUTOSI IN NEPAL,

DAL TITOLO “DALLO SFRUTTAMENTO ALL’ISTRUZIONE”

 

KATHMANDU. = “Dallo sfruttamento all’istruzione” è il tema di un seminario svoltosi di recente nella capitale nepalese Kathmandu, cui hanno preso parte organizzazioni non governative ed esponenti dell’esecutivo. Dalla riunione è emerso come lo sfruttamento del lavoro minorile sia una realtà tristemente presente nel Paese. Infatti, risulterebbe che su un totale di 2,6 milioni di bambini impegnati in lavori di vario genere, solo 1,4 milioni sarebbe retribuito. Inoltre, da un rapporto pubblicato dall’ILO (Organizzazione internazionale del lavoro), risulta che il 55 per cento della forza lavoro nepalese sia costituita da bambine e ragazze. Come riporta l’agenzia MISNA, il presidente della ONG “Child Workers in Nepal Concerned Center” (CWIN), Gauri Pradhan, ha precisato come molte giovani, lavorando anche più dei ragazzi, non siano affatto retribuite. Infine, ha aggiunto che allo sfruttamento della manodopera infantile nel Paese contribuiscono le disparità economiche e sociali, la povertà e la mancanza di consapevolezza dell’importanza dell’istruzione. (A.E.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

19 gennaio 2006

 

- A cura di Fausta Speranza  -

 

Almeno 15 morti per due attentati a Baghdad. Le esplosioni sono avvenute - dicono fonti di Baghdad - in due ristoranti della capitale, e si ritiene che i due attentati siano legati alla festa sciita di oggi di 'Al Ghadir'. E' la ricorrenza in cui si celebra l'investitura da parte di Maometto, come suo successore, dell’Imam Ali, venerato dagli sciiti. Sul piano politico,  la missione internazionale di esperti incaricata di osservare le elezioni legislative irachene del 15 dicembre ha constatato nel suo rapporto finale che sono state commesse delle frodi ma non ha rimesso in causa i risultati globali. Intanto le forze armate irachene e americane fanno sapere di essere alla ricerca di 35 iracheni sequestrati lunedì a nord di Baghdad. E i leader religiosi sunniti scendono in campo per chiedere la liberazione di Jill Carroll, la giornalista freelance americana che dal 7 gennaio si trova nelle mani di rapitori che per catturarla hanno ucciso il suo interprete. Appelli e indagini si intrecciano in Iraq, mentre scorre il tempo dopo l'ultimatum di 72 ore dato dagli autori del sequestro, che chiedono agli USA la liberazione di tutte le donne irachene che si trovano nelle mani dei militari.

 

Sembra che tre membri ad alto livello di Al Qaeda siano tra le vittime dell'attacco missilistico in Pakistan con il quale gli USA la settimana scorsa hanno cercato invano di  chiudere i conti con il numero due di Al Qaeda, il medico  egiziano Ayman al Zawahri. Potrebbe essere stato colpito  il genero di al Zawahri e  il capo delle operazione della rete fondata da Osama Bin Laden nella provincia afghana di Kunar. Dei tre non sono stati ancora trovati i corpi. Intanto sull’Afghanistan si pronuncia il Parlamento europeo, che concorda sull'espansione della presenza delle forze internazionali in  Afghanistan, ma chiede una revisione delle regole d'ingaggio ed invita la comunità internazionale a coordinare maggiormente gli  aiuti al Paese e a responsabilizzare le autorità locali. L’europarlamento condanna il trasferimento di prigionieri a Guantanamo, esprime preoccupazione per la ripresa della produzione di oppio nel Paese e ricorda la conferenza dei donatori che si terrà a Londra il 31 gennaio.

 

La Francia si riserva di rispondere in modo ''non convenzionale'', cioe' anche con armi nucleari, ai dirigenti di quei Paesi ''che abbiano fatto ricorso a mezzi terroristici contro di noi''. Lo ha detto il presidente della repubblica Jacques Chirac in visita alla base nucleare dell'Ile Longue.  A differenza degli Stati Uniti la Francia si è sempre rifiutata di pensare di ricorrere ad armi nucleari contro gruppi terroristici. Tuttavia - ha precisato Chirac - si riserva questo diritto contro Paesi che abbiano utilizzato il terrorismo. Il presidente francese non ha fatto riferimento a specifici Paesi.

 

Centinaia di diplomatici USA in Europa e a Washington saranno trasferiti verso nuove destinazioni, in Medio Oriente e Asia. In un discorso all'Università di Georgetown, il segretario di Stato americano Condoleezza Rice ha spiegato che si deve considerare che la Guerra Fredda è finita mentre sono forti le ‘minacce di terrorismo’, contrabbando di droga e malattie transnazionali. ''Le maggiori minacce - ha detto - emergono adesso più all'interno degli Stati che tra di essi''. E, dunque, secondo la Rice ''il carattere precipuo dei regimi ora conta di più della distribuzione internazionale del potere''.

 

Il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha incontrato oggi al Cairo il presidente egiziano Hosni Mubarak. Il ministro tedesco, che è arrivato ieri al Cairo per una visita di due giorni, ha discusso con il ministro degli esteri egiziano Ahmed Abul Gheit della questione nucleare iraniana e del processo di pace israelo-palestinese. Abul Gheit ha ribadito che l'Egitto è contro la proliferazione nucleare in Medio oriente ed è per una soluzione negoziata della questione con l'Iran.  L'Agenzia internazionale per l'energia atomica, del cui direttivo fa parte l'Egitto, deve votare per un'eventuale invio della questione al Consiglio di sicurezza dell'Onu per possibili sanzioni, dopo che l'Iran ha tolto la scorsa settimana i sigilli messi dall'Onu a installazioni nucleari. Il Cairo non ha fatto sapere come voterà.

 

Per il quarto giorno consecutivo Abidjan, la capitale economica della Costa d'Avorio, è paralizzata dalle proteste dei sostenitori del presidente Laurent Gbagbo, malgrado l'appello lanciato ieri da quest'ultimo a ''ritirarsi dalle strade''. Il nostro servizio:

 

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Ufficialmente, le manifestazioni di strada sono ancora  vietate in Costa d'Avorio, ma il punto è che a Abidjan oggi la presenza  di forze di sicurezza è quasi inesistente. Giovani sostenitori di Gbagbo presidiano numerosi blocchi stradali in città. C’è da dire che sono vuote le principali vie e quasi inesistente il traffico. Anche il Plateau, il quartiere amministrativo e degli affari, stamattina si presentava nuovamente deserto ma con numerosi  blocchi istituiti da quelli che si definiscono 'giovani patrioti'.  Tutto nonostante che ieri sera lo stesso Gbagbo e il primo ministro Charles Konan Banny hanno rivolto un appello alla popolazione ''a ritirarsi dalle strade'' e a ''riprendere il lavoro''. L’appello faceva seguito alla riunione  di diverse ore con il presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, presidente di turno dell'Unione Africana, giunto a Abidjan per cercare di salvare il processo di pace. Proprio ieri la situazione era degenerata nell'ovest del Paese, a Guiglo. Centinaia di sostenitori del presidente avevano dato l'assalto a una base dei caschi blu dell'Onu e i soldati del Bangladesh avevano risposto con le armi, uccidendo almeno tre ivoriani. La situazione in Costa d'Avorio, che resta il maggiore produttore mondiale di cacao, è nuovamente precipitata dopo che il Gruppo  di lavoro internazionale (GTI), incaricato di seguire l'evoluzione del processo di pacificazione tra le fazioni interne, ha deciso di non prolungare il mandato dell'Assemblea nazionale. L’Assemblea, nella quale sono in maggioranza i partigiani di Gbagbo, è scaduta a dicembre. 

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Drammatico bilancio di una serie di scontri tra pastori all'estremo nord del Kenya, a cavallo dei confini con Etiopia e Sudan. Almeno 38 i morti, a quanto  riferisce oggi il quotidiano 'Nation'. Tutto sembra iniziato venerdì quando un centinaio di predatori provenienti da Sudan ed Etiopia appartenenti alle etnie Doingiro e Toposa hanno fatto irruzione nell'area di Zoyea, uccidendo un pastore e rubando 190 capi di bestiame. Il giorno successivo si è sviluppata una grande battaglia, nel corso della quale 30 aggressori hanno perso la vita, ed anche sette keniani. Numerosi, ed alcuni in gravi condizioni, i feriti. La guerra  tra poveri si sta drammatizzando in questi giorni di tragica siccità sia in Kenya che nel Sud Sudan e nell'Etiopia sud occidentale

 

La questione energetica tra Russia e Ucraina sembra aver abbandonato la via dello scontro per incanalarsi su quella del dialogo. Oggi una delegazione della società Gazprom è a Kiev per incontrare le autorità ucraine dopo la firma dell’accordo che ha aumentato il prezzo delle forniture di gas russo. Intanto, l’aumento del consumo interno russo sta provocando la diminuzione sensibile delle esportazioni di gas verso diversi Paesi europei, tra cui l’Italia. Ma in quale clima avviene la missione russa a Kiev? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Pierantonio Lacqua, corrispondente dell’ANSA di Mosca:

 

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R. – Il dialogo è soprattutto tra il presidente Yushenko e Gazprom, nel senso che Yushenko ha accettato quest’accordo molto controverso e quindi lo sta difendendo a spada tratta pur avendo contro la maggioranza del Parlamento. Quindi, c’è una volontà della dirigenza ucraina di accettare comunque questo contratto, per molti versi, capestro con Gazprom. La mossa di Gazprom, però, che vuole dei prezzi di mercato, tra tutti gli altri Paesi ex sovietici sta creando chiaramente dei grossi problemi. Quindi, non soltanto l’Ucraina, ma anche l’Armenia ha dovuto ingoiare un aumento pesantissimo, superiore all’Ucraina, pur essendo di fatto un Paese satellite di Mosca.

 

D. – A fianco alla questione del prezzo del gas c’è quella del sensibile aumento, dell’utilizzo soprattutto interno. C’è il rischio che si vada incontro ad un taglio delle forniture preoccupante, soprattutto per l‘Europa?

 

R. – Proprio pochi minuti fa il governo russo ha annunciato che è pronto ad usare le riserve energetiche strategiche per far fronte a questa eccezionale ondata di freddo, che ha fatto scendere la temperatura la notte, a Mosca, fino a meno 31 gradi centigradi. Quindi, c’è una volontà del governo russo di evitare chiaramente sospensioni o riduzioni nelle forniture di gas all’Occidente.

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Nel Bollettino mensile pubblicato oggi a Francoforte, la Banca centrale europea ribadisce il proprio ottimismo sull'andamento della congiuntura economica. Però i banchieri centrali confermano di non voler abbassare la  guardia sui pericoli connessi all'inflazione. Ricordano, infatti, che “i rischi per la stabilità dei  prezzi nel medio periodo rimangono orientati verso l'alto”.

 

Le elezioni legislative in Ungheria si terranno il 9 e il 23 aprile. Lo ha annunciato oggi  il presidente Laszlo Solyom. In palio alle elezioni, le prime dall’entrata dell’Ungheria nell’Unione Europea, ci saranno tutti i 386 seggi del parlamento, monocamerale. In base agli ultimi sondaggi il governo di centro-sinistra del premier Ferenc Gyurcsany e il Fidesz, principale partito di  opposizione di destra guidato dall'ex capo del governo Viktor Orban, sono praticamente appaiati.

 

E’ stato firmato questa mattina presso la sede di Confindustria il contratto di lavoro dei metalmeccanici. L’accordo, che riguarda 1 milione 600 mila lavoratori del settore, è arrivato dopo un anno di trattativa, costellata da numerosi scioperi: Negli ultimi giorni la mobilitazione dei metalmeccanici aveva bloccato strade e ferrovie in tutta Italia. Il servizio di Giampiero Guadagni.

 

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Un braccio di ferro estenuante. Alla fine l’accordo per i metalmeccanici c’è stato e come sempre accade rappresenta il compromesso tra la richiesta iniziale del sindacato di categoria e l’offerta dei datori di lavoro. L’aumento medio mensile, naturalmente lordo, è di 100 euro. Ai quali si aggiungono 320 euro di una tantum e 130 euro per i lavoratori finora senza secondo livello di contrattazione, quello cioè decentrato - territoriale o aziendale - e per i lavoratori ai minimi salariali. L’intesa riguarda anche la parte normativa del contratto, con l’introduzione di nuovi elementi di flessibilità, a partire dagli orari. L’importanza del contratto firmato sta nei numeri del settore. In Italia ci sono 1 milione 600 mila metalmeccanici impiegati nelle 60 mila imprese. Ma le difficoltà sono forti: negli ultimi quattro anni sono stati persi 134 mila posti di lavoro  e 187 mila persone sono finite in cassa integrazione. La trattativa tra sindacati e imprese è stata un vero e proprio muro contro muro. Con il corollario di scioperi e manifestazioni che negli ultimi giorni hanno bloccato la viabilità in diverse zone d’Italia.Torna allora in primo piano la necessità di riformare il modello contrattuale. Modello fissato nel 1993 e che non tiene conto dei cambiamenti del sistema produttivo italiano. In molti ritengono indispensabile rafforzare la contrattazione decentrata, lasciando al contratto nazionale la funzione di fissare regole generali. La materia è di competenza delle parti sociali. La politica in questo caso è solo spettatrice interessata e può semmai svolgere un ruolo di mediazione. Difficile, tuttavia, in un clima di campagna elettorale permanente, con la ormai consueta contrapposizione tra schieramenti ma anche con la competizione all’interno degli stessi poli, ancora più accentuata dopo il ritorno del sistema proporzionale. In discussione ancora una volta il corretto utilizzo dei mezzi radiotelevisivi. E ieri il capo dello Stato, Ciampi, ha rivolto un nuovo appello  perché sia rispettata una parità effettiva tra le forze politiche in vista delle prossime elezioni.   

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Un barcone lungo 17 metri con a bordo 212 clandestini, salpato da un porto del Mediterraneo non ancora identificato, ha gettato l’ancora la scorsa notte a pochi metri dal porto di Lampedusa, nell’Italia del sud. I clandestini, tra i quali 10 donne e 17 minori si trovano adesso nel centro di permanenza temporanea di Lampedusa. Ieri erano arrivati altri 14 clandestini di origine tunisina.

 

 

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