RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 18 - Testo della trasmissione di mercoledì 18
gennaio 2006
IL
PAPA E
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Iniziative di preghiera a Roma durante la Settimana per l’unità dei
cristiani
Per
la lotta all’influenza aviaria, la comunità internazionale ha stanziato 1,9
miliardi di dollari
In corso in India il Congresso
missionario internazionale dei frati minori conventuali
L’Iran chiede all’Europa di riaprire il dialogo sul nucleare ma minaccia
di non collaborare con l’AIEA in caso di deferimento al Consiglio di Sicurezza
dell’ONU
18
gennaio 2006
ALL’UDIENZA
GENERALE, ANNUNCIATA DA BENEDETTO XVI PER IL 25 GENNAIO
LA
PUBBLICAZIONE DELLA PRIMA ENCICLICA, DEUS
CARITAS EST.
LA
CATECHESI DEDICATA ALLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER
L’UNITA’ DEI CRISTIANI,
CHE
INIZIA OGGI E CHE SARA’ CONCLUSA DAL PAPA A S. PAOLO FUORI LE MURA
-
Intervista con il cardinale Walter Kasper -
Sarà pubblicata mercoledì prossimo, 25 gennaio, la prima
Enciclica di Benedetto XVI Deus Caritas est. E’ stato il Papa stesso a darne
l’annuncio, al termine della catechesi nell’udienza generale di questa mattina
in Aula Paolo VI, affollata da 8 mila persone e conclusa dalla singolare “coda”
di un piccolo ed apprezzato spettacolo circense. In precedenza, durante la
catechesi, il Pontefice si era soffermato sulla tradizionale Settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani che inizia oggi e che vedrà Benedetto XVI
raccogliersi in preghiera con ortodossi e protestanti, sempre mercoledì 25,
nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Il servizio di Alessandro De
Carolis.
**********
“Il 25 gennaio sarà finalmente
anche pubblicata la mia enciclica dal titolo già conosciuto Deus Caritas
est, Dio è Amore”. (applausi)
Un “gesto della Provvidenza”. La prima Enciclica del
Pontificato, sull’amore di Dio, resa pubblica nel giorno in cui le Chiese
cristiane si riuniscono con il Papa per invocare da quello stesso Amore il dono
dell’unità. Benedetto XVI ha voluto chiudere l’udienza generale con l’annuncio
atteso ormai da tempo. “Vorrei mostrare - ha affermato enunciando il tema
dell’Enciclica - il concetto di amore nelle sue diverse dimensioni” perché, ha
aggiunto, esso appare oggi “spesso molto lontano da
quanto insegna la Chiesa”. Specialmente per ciò che dell’amore viene percepito e vissuto all’interno della coppia:
“L’eros, questo dono
dell’amore tra uomo e donna, viene dalla stessa fonte della bontà del Creatore,
come poi la possibilità di un amore che rinuncia a sé in favore dell’altro. Che
eros si trasformi in agape nella misura nella quale i due si amano realmente e uno
finalmente non cerchi più se stesso, la sua gioia e le sue delizie, ma cerchi
soprattutto il bene dell’altro. Così, questo eros che si trasforma in carità,
in un cammino di purificazione, di approfondimento, si apre poi per la propria
famiglia, si apre per la più grande famiglia della società, per la famiglia
della Chiesa, per la famiglia del mondo”.
In modo analogo, ha proseguito Benedetto XVI, questo “atto
personalissimo dell’amore che ci viene da Dio” deve anche “esprimersi come atto
ecclesiale”, organizzativo, che genera la Chiesa, che è essa stessa
“espressione dell’amore di Dio”. “
(canto)
Nell’auspicare che l’Enciclica “possa illuminare ed aiutare la
nostra vita cristiana”, Benedetto XVI ha poi asserito
che essa rappresenta uno sfondo ideale per il tema dell’unità dei cristiani. Il
Papa vi aveva dedicato la riflessione d’apertura, centrandola sul quel valore
ritenuto dal Concilio Vaticano II “l’anima di tutto il movimento ecumenico”: la
preghiera. Una preghiera basata sulla “solenne assicurazione” di Gesù ai
discepoli: “Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare
qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà”. Al “centro del
problema ecumenico”, ha riconosciuto il Pontefice, vi è “l’obbedienza al
Vangelo per fare la volontà di Dio con il suo aiuto necessario e efficace”. E’
questo un terreno privilegiato d’incontro delle diverse confessioni cristiane:
“Gli elementi che,
nonostante la divisione permanente congiungono ancora i cristiani, sostengono
la possibilità di elevare una preghiera comune a Dio. Questa comunione in Cristo
sorregge tutto il movimento ecumenico e indica lo scopo stesso della ricerca
dell’unità di tutti i cristiani nella Chiesa di Dio. Ciò distingue il movimento
ecumenico da ogni altra iniziativa di dialogo e di rapporti con altre religioni
e ideologie”.
Pur definendo la divisione che ancora permane tra
cattolici, ortodossi e protestanti un “dramma” della comunità cristiana,
Benedetto XVI ha evidenziato non solo il valore della preghiera comune, che “in
forme, tempi e modi diversi”, ha detto, viene
innalzata in questi giorni con “il comune impegno” di ristabilire la piena
comunione tra i cristiani. C’è anche un cammino di riconciliazione che è stato
compiuto e che, pur non facile, resta un dono per cui
dire grazie al cielo:
“Possiamo anche
ringraziare il Signore per la nuova situazione faticosamente creata dalle
relazioni ecumeniche tra i cristiani nella ritrovata fraternità per i forti legami
di solidarietà stabiliti, per la crescita della comunione e per le convergenze
realizzate – certamente in modo diseguale – tra i vari dialoghi. Ci sono tanti
motivi per ringraziare e se c’è ancora tanto da sperare e da fare, non
dimentichiamo che Dio ci ha dato molto nel cammino verso l’unità, e siamo grati
per questi doni. Il futuro sta davanti a noi”.
I pellegrini di quattro continenti stipati nell’Aula
Paolo VI, tra i quali un gruppo di coreani, hanno goduto alla fine di un
simpatico fuori programma. Un gruppo di artisti del circo ha improvvisato sul
palco di fianco al Papa un breve spettacolo, sottolineato dai battimani dello
stesso Benedetto XVI che si è poi alzato per ringraziare personalmente acrobati
e giocolieri:
“Un saluto particolare
rivolgo agli artisti del mondo circense, presenti a Roma in questi giorni, e li
incoraggio a manifestare sempre con gioia la propria fede in Cristo”.
**********
La prima Enciclica di Benedetto XVI, “Deus
Caritas est”, sarà presentata mercoledì prossimo 25 gennaio alle ore 12 nella Sala Stampa della Santa
Sede. La pubblicazione avverrà dunque provvidenzialmente, come ha detto il
Papa, nel giorno della Festa della Conversione di San Paolo, in occasione della
chiusura della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Ascoltiamo in
proposito il cardinale Walter Kasper, presidente del
Pontificio Consiglio per la promozione dell’uni-tà dei cristiani, intervistato
da Philippa Hitchen:
**********
R. – Tutto il mondo aspetta questa Enciclica e così anche
i nostri amici ortodossi e protestanti. Il tema è la carità e l’amore, tema
fondamentale per l’ecumenismo, perché la piena comunione vuol dire anche il pieno
amore. Quindi, questa Enciclica avrà un grande impatto ecumenico. Questo tema
dell’amore è molto vicino a Papa Benedetto XVI, che è
un esperto di Sant’Agostino e di San Bonaventura. E nei due grandi teologi e
santi il tema dell’amore e della carità è centrale. Sarà un’Enciclica molto
importante.
D. – Parliamo di questa prima settimana di preghiera
per l’unità dei cristiani, in questo nuovo Pontificato …
R. – Penso che ci sia una perfetta continuità fra Papa
Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI, ambedue impegnati sulla strada
dell’ecumenismo. C’è una differenza di stile, ma non di continuità. Io ho
trovato una buona collaborazione con il nuovo Papa e trovo pieno supporto nel
nostro lavoro.
D. – Guardando all’anno passato,
secondo lei quali sono i punti chiave per quanto riguarda questo dialogo tra le
Chiese e il lavoro svolto qui da questo Dicastero?
R. – Al funerale di Papa Giovanni Paolo II tutte le Chiese
erano presenti ed è stata la prima volta nella lunga storia della Chiesa. Hanno
espresso tutti grande stima per il Papa defunto. Penso che questo sia un segno
degli enormi progressi fatti nell’ecumenismo. In secondo luogo, il nuovo Papa
già nel primo giorno del suo Pontificato ha sottolineato che l’unità della
Chiesa è la sua priorità e queste non sono state soltanto parole. Ha incontrato
le Chiese a Colonia, ha incontrato nel frattempo il nuovo segretario del
Consiglio Mondiale delle Chiese, i rappresentanti della Federazione luterana,
metodista, riformata e così via. Tutti sono stati molto contenti dopo le
udienze. Un altro punto
è che siamo stati capaci di rilanciare il dialogo con le Chiese
ortodosse con un buono spirito. E abbiamo intenzione di parlare adesso della
comunione, del primato, questione molto delicata per i nostri amici ortodossi.
Un ultimo punto è che avremo la firma della Federazione mondiale
metodista per la Dichiarazione congiunta sulla giustificazione. Abbiamo adesso
un certo allargamento del consenso. Debbo dire che abbiamo fatto dei passi
avanti.
D. – Quindi, un bilancio positivo per quest’anno, anche se
rimangono dei punti molto difficili…
R. – Rimangono sempre punti difficili. Siamo solo a metà
del viaggio. C’è una certa frammentazione tra le Chiese protestanti,
sfortunatamente, sulle questioni etiche. Questo è molto penoso per noi. Questa
problematica si vede soprattutto nella Comunione anglicana, ma anche in alcune
Chiese protestanti. C’è ancora la questione dell’ecclesiologia, della
concezione della Chiesa, del ministero. Abbiamo ancora molto da lavorare.
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ALTRE
UDIENZE
Al termine dell’udienza generale il Papa ha ricevuto
l’arcivescovo Pedro López Quintana, nunzio apostolico in India e in Nepal.
NOMINE
Il Papa ha nominato, per un ulteriore quadriennio, Rettore
Magnifico della Pontificia Università Lateranense, a norma dell’art. 10 degli
Statuti della medesima Università, mons. Salvatore Fisichella.
Vescovo titolare di Voghenza ed ausiliare di Roma,
mons. Fisichella è nato 54 anni fa a Codogno,
nella diocesi di Lodi, in Lombardia.
Il Santo Padre ha nominato preside del Pontificio Istituto
Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, a norma dell’art. 8 degli
Statuti del medesimo Istituto, per il prossimo quadriennio, il mons. Livio
Melina, ordinario di Teologia morale fondamentale e vice-preside della Sezione
Centrale dello stesso Istituto.
In Brasile, il Santo Padre ha nominato vescovi ausiliari
dell’arcidiocesi di Porto Alegre, il reverendo
sacerdote Remídio José Bohn,
del clero dell’arcidiocesi di Porto Alegre, finora
parroco della Parrocchia “Nossa Senhora
do Rosário”, assegnandogli la sede titolare vescovile
di Uchi maggiore, e
il padre scalabriniano
Alessandro Carmelo Ruffinoni, finora Superiore
provinciale della Provincia degli Scalabriniani con
sede a Porto Alegre, assegnandogli la sede titolare
vescovile di Fornos maggiore. Mons.
Bohn è nato a Feliz,
nell’arcidiocesi di Porto Alegre, Stato di Rio Grande
do Sul, il 21 maggio 1950. Il 29 novembre 1975 è stato
ordinato sacerdote. Mons. Ruffinoni
è nato il 26 agosto 1943 a Piazza Brembana, nella
diocesi di Bergamo (Italia). E’ stato ordinato sacerdote l’8 marzo 1970. Dal
1998 è Superiore provinciale della Provincia scalabriniana
“São Pedro”, con sede a Porto
Alegre.
I
VESCOVI DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
IN
VATICANO PER LA VISITA AD LIMINA:
LA
TESTIMONIANZA DELL’ARCIVESCOVO DI KISANGANI MONSENGWO PASINYA
E’ iniziata lunedì scorso in Vaticano la visita ad Limina dei vescovi
della Repubblica Democratica del Congo. I presuli del terzo Paese più grande
dell’Afri-ca saranno a colloquio con Benedetto XVI fino a metà febbraio. Parleranno con
il Papa delle speranze e delle sofferenze della Chiesa e della popolazione
congolese che sta cercando le vie della pace dopo anni di guerre fratricide.
Della situazione di questo Paese ci parla mons. Laurent
Monsengwo Pasinya,
arcivescovo di Kisangani e presidente della
Conferenza Episcopale della Repubblica Democratica del Congo, intervistato
da Alessandro Gisotti:
**********
R. – E’
una situazione di un popolo che ha la speranza di arrivare alla fine di un
processo, il processo di democratizzazione, che è cominciato nel 1990. Quindi,
sono quasi 16 anni che stiamo attraversando una fase di transizione politica. E
adesso che abbiamo avuto il referendum costituzionale, al popolo congolese è
stata mostrata la retta via che va verso le elezioni e le scadenze elettorali.
Possiamo dire che si vede la luce fuori dal tunnel. E
questo è già in sé una speranza di stabilità, non soltanto politica, ma anche
economica, e quindi di pace, perché ci sarà uno Stato di diritto, e se c’è uno
Stato di diritto che osserva la legge, c’è la speranza che ciascuno possa
godere dei suoi diritti e osservare pure i diritti degli altri, che è il
fondamento della pace.
D. – Qual è oggi la realtà della Chiesa nella Repubblica
Democratica del Congo?
R. – Potrei dire che la Chiesa ha continuato il suo
lavoro, anche in tempi più oscuri, quando c’è stata la guerra. I vescovi,
infatti, e i sacerdoti sono rimasti al loro posto, continuando a visitare le
comunità cristiane, continuando a portare alla popolazione anche le cose più
elementari, che mancavano a causa della guerra. Quindi, la Chiesa è rimasta a
predicare, è rimasta a sostenere lo sviluppo. La Chiesa non ha dato le sue
dimissioni davanti a quella difficile situazione. Il culto cristiano, le Messe,
sono rimaste praticamente il punto di raduno di tutta la popolazione, il punto
dove arrivavano tutti, dove si consolavano, dove si riconfortavano gli uni con
gli altri, e il posto dove si offrivano al Signore le sofferenze, perché il Signore potesse
ridurle. Uno dei messaggi centrali riguardo a questo è stato quello che i
vescovi dicevano e cioè che l’integrità territoriale e la sovranità del Paese
non erano negoziabili. I dati statistici mostrano che la comunità cattolica ha
continuato a crescere e ad essere più dinamica, anche
se la popolazione è diventata molto più povera.
D. – In che modo in una società con delle ferite così
profonde la Chiesa sta lavorando per la pacificazione?
R. – La Chiesa ha sempre provato a mostrare a tutti che da
ambedue le parti ci sono cristiani. Quindi, siamo fratelli in Gesù Cristo.
Quindi, la fraternità universale in Gesù Cristo è stato uno dei punti che noi
abbiamo sempre rilevato, per far capire a tutti che non è perché uno Stato dichiara
guerra ad un altro Stato, che il popolo di quel Paese per forza sia colpevole
delle opzioni politiche dei suoi governanti. Questa, dunque, è stata la prima
cosa. La seconda cosa è che noi abbiamo sempre provato a dire che non si può
essere cristiani senza il perdono e senza la riconciliazione. Abbiamo fatto sì
che i vescovi, per esempio, dei Grandi Laghi – Rwanda, Burundi e Congo – si
radunassero regolarmente a rotazione in ciascuno dei Paesi, per mostrare
chiaramente che noi celebriamo tutti l’Eucaristia,
davanti al popolo cristiano di un Paese, e che quei pastori che vengono da
fuori sono i pastori di quei Paesi.
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“...MA DI TUTTE PIU’
GRANDE E’ LA CARITA’ ": la lettera di San Paolo ai Corinzi
DA’ IL TITOLO AL Convegno
Internazionale sulla Carità promosso dal
Pontificio Consiglio "Cor Unum", lunedi 23 e martedì
24 gennaio,
presso
L'Aula Nuova del Sinodo in Vaticano
Cita la lettera di San Paolo ai Corinzi (“..ma di tutte più grande è la
carità!”13,13) il titolo del Convegno Internazionale sulla Carità promosso dal
Pontificio Consiglio “Cor Unum” per la promozione umana e cristiana, lunedì 23
e martedì 24 gennaio presso l’Aula Nuova
del Sinodo in Vaticano. II convegno, contestualmente alla prossima
pubblicazione della prima Enciclica di Benedetto XVI, “Deus Caritas
est”, ha come scopo di tenere vivo nella
Chiesa il senso cristiano dell'impegno a favore del prossimo. Lezioni, interviste, testimonianze di vita da ogni
parte del mondo caratterizzano la scaletta dei lavori, per i quali è
prevista la partecipazione di 200 convegnisti, cardinali, vescovi, ambasciatori,
responsabili di istituzioni internazionali di aiuto e assistenza, responsabili delle Caritas nazionali e di
organizzazioni non governative. L’apertura del lavori,
lunedì 23 alle ore 9.00, è affidata all’arcivescovo Paul
Josef Cordes, presidente di “Cor
Unum”. Interverranno, durante la mattinata, James Wolfensohn, presidente
della Banca Mondiale dal 1995 al 2005, e Denis Viénot,
presidente di Caritas Internationalis; con la moderazione dell’arcivescovo dl
Dublino, Diarmuid Martin.
Si parlerà dei due grandi settori degli
aiuti umanitari: quello della società civile e quello del mondo ecclesiale.
A mezzogiomo, il Papa
rivolgerà la Sua parola al convegnisti. Nel
pomeriggio, il direttore della Sala Stampa Vaticana, dott. Joaquín
Navarro-Valls, presenterà sei testimonianze su “esperienze di carità”. Martedì 24 al
mattino, i lavori riprenderanno con un’intervista a Liliana Cavani,
regista italiana di esperienza internazionale, autrice tra gli altri di
“Francesco”, una biografia su San Francesco d’Assisi. A lei è affidato
il compito di illustrare come una regista laica sente il richiamo della carità nella
rappresentazione dell’amore nelle opere cinematografiche. II cardinale Francis George, arcivescovo di
Chicago, conclude con una lezione teologica sulla Carità. Il Convegno Internazionale terminerà, alle ore
17.00 di martedì 24 gennaio, con la celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, presieduta dal cardinale
Roger Etchegaray, vicedecano del Collegio dei Cardinali, presidente emerito del Pontificio
Consiglio Giustizia e Pace e del Pontificio Consiglio “Cor Unum”.
SVILUPPO
ECONOMICO E LAVORO, DEMOCRAZIA E PACE:
AL
CENTRO DEL DISCORSO DEL CARDINALE MARTINO PER L’APERTURA
DEL
CONVEGNO SULLE SFIDE DELLA COMUNITA’ GLOBALE NEL XXI
SECOLO,
PROMOSSO
DAI VESCOVI ASIATICI A PATTAYA, IN THAILANDIA
- A
cura di Paolo Scappucci -
“La testimonianza personale, frutto di una vita cristiana
adulta, profonda e matura, non può non cimentarsi con la costruzione di una nuova
civiltà, in dialogo con le altre religioni e con tutti gli uomini di buona
volontà, per la realizzazione di un umanesimo integrale e solidale”: è quanto
ha affermato il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della
Pace, cardinale Renato Raffaele Martino, aprendo stamane
a Pattaya, in Thailandia, il “Colloquio sulla
concordia attraverso la riconciliazione nel contesto asiatico”, promosso dai
vescovi del continente per celebrare il 40.mo anniversario della Costituzione conciliare Gaudium et Spes sulla
Chiesa nel mondo contemporaneo.
Riprendendo l’insegnamento del grande documento
conciliare, il porporato ne ha messo in luce le parti che orientano verso una migliore
comprensione delle esigenze relative all’annuncio del Vangelo nella società del
nostro tempo, con particolare riferimento ai temi cruciali dello sviluppo
economico e del lavoro, della democrazia e della pace. Egli ha così
sottolineato l’importanza che hanno, nella prospettiva della salvezza,
l’umanizzazione del mondo e la sua trasformazione per consentire all’uomo di esprimere le
sue potenzialità creative, oltre che di soddisfare i suoi fondamentali bisogni.
Il cardinale Martino ha ribadito che, secondo il principio
della destinazione universale dei beni della terra, la giustizia sociale deve porsi
l’obiettivo di una migliore ripartizione di tali beni tra tutti gli uomini,
nell’ottica di quella solidarietà
planetaria, che non è una semplice
sollecitazione filantropica o umanitaria, ma un preciso obbligo morale, con il
dovere di creare strutture che favoriscano lo sviluppo di tutti i popoli. “Il
compito di un’economia a misura dell’uomo – ha detto il Presidente di Giustizia
e Pace - consiste
nel rimuovere le naturali disparità e di consentire a tutti i membri della
comunità, anche quelli non produttivi, di accedere ai beni necessari per il
loro sviluppo umano”.
Sempre rifacendosi all’insegnamento conciliare, il
cardinale Martino ha posto in evidenza che la reciproca autonomia nei rapporti
tra Stato e Chiesa implica una sana collaborazione tra società civile e società
religiosa, senza che ciò comporti né un assoggettamento della Chiesa allo Stato
né un uso strumentale dell’autorità dello Stato
per fini di evangelizzazione ad esso estranei. Egli ha anche ripetuto
che la genuina laicità dello Stato non comporta l’invisibilità o
l’insignificanza sociale della fede e considera la democrazia politica come
forma ottimale di governo. Sul tema vitale della pace nel mondo il porporato ha
poi riaffermato l’importanza del potenziamento degli organismi internazionali e
del superamento
degli squilibri economici, con una ferma condanna della corsa agli armamenti.
Infine, dopo aver ricordato che la straordinaria ed
impegnativa eredità degli insegnamenti sociali della Gaudium et Spes è
stata accolta interamente ed aggiornata nel Compendio
della dottrina sociale della Chiesa, il cardinale Martino ha annunciato che
il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace organizzerà sul Compendio, il 10 e l’11 novembre di
quest’anno a Bangkok, un Congresso continentale per l’Asia, come già fatto per
l’America nel novembre scorso a Città del Messico.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina - Il 25 gennaio
sarà pubblicata la prima Enciclica di Benedetto XVI “Deus Caritas
est”: l’annuncio dato dal Santo Padre all’udienza generale nel giorno
dell’inizio della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.
Servizio vaticano - Una pagina
dedicata alla Settimana di preghiera.
Servizio estero - Influenza
aviaria: alla Conferenza di Pechino stanziati 1,9 miliardi di dollari per
prevenire la pandemia.
Servizio culturale - Un
articolo di Angelo Marchesi dal titolo “Secolarizzazione, nichilismo e
concezione cristiana”: una raccolta di saggi di Massimo Borghesi.
Servizio italiano - In primo
piano sempre l’Unipol.
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18 gennaio 2006
EMERGENZA
SICCITA’ IN DIVERSE ZONE DEL KENYA:
A
RISCHIO CARESTIA PIU’ DI TRE MILIONI DI PERSONE,
MENTRE
SCORTE ALIMENTARI RESTANO INUTILIZZATE
-
Intervista con padre Giuseppe Caramazza -
E’
emergenza siccità in diverse zone del Kenya, in particolare nell’estremo Nord-Est. Per il momento, si parla di una quarantina di
vittime ma la carestia minaccia 3,5 milioni di persone. In realtà già da tre
anni si registrava una progressiva mancanza di acqua. Ed è sempre grave la
situazione di disparità tra poche persone molto ricche, circa il 2% della
popolazione, e la grande maggioranza che si colloca sotto il livello di
povertà. Nella capitale Nairobi sono 2 milioni le persone che vivono in
baraccopoli. Ma in tutto questo c’è da dire che ci sono aiuti alimentari non
utilizzati. E’ quanto denuncia padre Giuseppe Caramazza,
direttore della rivista dei comboniani “New People”, raggiunto telefonicamente a
Nairobi da Fausta Speranza:
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R. – Ci sono almeno 4 milioni di sacchi di mais nei luoghi
di raccolta del governo e ci sono oltre di 3 milioni di persone che stanno
soffrendo la fame. Dunque, c’è una sperequazione enorme tra il cibo presente e
il bisogno. Quello che è mancata è la volontà politica di affrontare la fame
sino da 3-4 mesi fa quando si sapeva che sarebbe
scoppiata la tragedia.
D. – Che cosa ha impedito di affrontare questa emergenza?
R. – L’uomo politico è sempre più legato alla ricerca del
potere. Assolutamente non c’è interesse a servire la gente, la nazione, e la
fame, anche se si sapeva benissimo che stava per scoppiare, non è stata presa
in considerazione. Anche oggi che questo è finito sui giornali a livello
internazionale, il governo
temporeggia. Forse c’è la volontà di punire queste zone che
normalmente votano contro il governo e dunque sono dell’opposizione.
D. – Padre, lei ci parla di una situazione molto
drammatica, molto grave. Secondo lei c’è abbastanza informazione su questo di
cui ci sta parlando e non soltanto sull’emergenza siccità a livello
internazionale?
R. – Senz’altro qui in Kenya il dibattito è molto aperto.
Le Chiese, soprattutto quella cattolica, hanno preso una posizione molto dura
contro il governo, ma la gente, anche per la strada, si domanda il perché di questa
tragedia. Qui le fotografie delle persone che stanno soffrendo la fame sono
presentate in televisione tutte le sere. La gente le
vede e si domanda perché si è arrivati a questo.
D. – Padre, cosa ci dice sulla presenza della Chiesa in
Kenya e sul suo operato?
R. – La Chiesa in Kenya è presente in tutto il Paese anche
nelle zone a maggioranza musulmana e se non fosse per la Chiesa servizi
fondamentali, come la salute, l’acqua, la scuola non esisterebbero perché il
governo è completamente assente. E’ interessante vedere come la situazione di
oggi fa un altro parallelo a quello che è successo l’anno scorso a metà anno,
quando ci sono stati degli eccidi tremendi, persone e bambini trucidati nella
zona di Marsabit, nel Nord del Paese. La Chiesa
cattolica è l’unica realtà presente lì per aiutare le persone. Il governo,
però, nulla fa per aiutare la struttura cattolica presente.
D. – Padre, ci dice una parola sulla presenza di altre
comunità religiose?
R. – Certo, ci sono altre comunità cristiane , ma la Chiesa cattolica è la più grande. Dopo i cattolici,
abbiamo gli anglicani, che in questi tempi hanno preso delle posizioni molto
forti contro il governo. Le altre denominazioni sono molto piccole
però sono presenti in tutto il Paese. E’ chiaro che non hanno le
strutture della Chiesa cattolica, capaci di arrivare dappertutto. Molte forte è la presenza islamica sulla costa e nel Nord-Est
del Paese: sono circa il 6 per cento degli abitanti. Anche qui, però, ci
troviamo di fronte a persone che non hanno una struttura capace di portare
aiuti.
D. – Padre a parte l’emergenza, in generale com’è la convivenza
tra queste diverse formazioni religiose?
R. – Il Kenya è un esempio di possibilità di vivere insieme
fra gruppi di culture e di religione diverse. Non ci sono tensioni religiose
notabili. Ci sono stati tentativi nel passato di infiammare gli animi degli
islamici contro la popolazione cattolica e cristiana in generale. Ma i keniani
sono gente pacifica, che vuole l’armonia.
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INAUGURA
QUESTA SERA LA STAGIONE DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA
-
Intervista con Franco Zeffirelli -
L’Opera di Roma affida l’inaugurazione della propria
stagione lirica, questa sera, alle note sublimi di Mozart
con il suo capolavoro assoluto, Don
Giovanni. Un ricco e atteso allestimento che sarà diretto da Hubert Saudant e che porta la sicura
ed inconfondibile firma di Franco Zeffirelli. Presente
anche il capo di Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Servizio
di Luca Pellegrini.
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Wolfgang Amadeus
Mozart viene doverosamente
ricordato dall’Opera di Roma in questo 2006, anno celebrativo del 250.mo anniversario della nascita del
grande compositore salisburghese, affidando
l’allestimento di Don Giovanni alle
mani di un artista che non ha bisogno certo di presentazioni, perché nel mondo
è riconosciuta la sua statura di regista e di scenografo: Franco Zeffirelli. Nel corso della sua lunga carriera, non ha mai
tradito le ragioni della musica e del teatro e ci ha donato memorabili
allestimenti d’opera. Ora approda al Teatro lirico della Capitale la sua
produzione del capolavoro mozartiano allestita per il
“Metropolitan” di New York. Don Giovanni permette tantissime interpretazioni. Abbiamo chiesto
al regista e scenografo quali sono gli aspetti di questo capolavoro che più
l’hanno colpito:
R. – Nel Don Giovanni si affaccia la commedia buffa
napoletana, ma che non riesce mai ad essere completamente buffa. Dramma
giocoso, come hanno intitolato questo libretto: è poco giocoso e molto dramma,
anzi, è un arci-dramma, e poi finisce addirittura in uno dei più grandi
confronti che l’umanità possa affrontare ed è quello
fra il bene il male e fra la morte e la vita, tra Dio e il demonio, insomma …
finisce con questa straordinaria sfida! Quindi, io ho sentito sempre il Don Giovanni come un’opera immensa,
un’opera di grandissime proporzioni. Sono permeato di questa
cultura che poi divideva nettamente l’umanità: c’erano i signori, i ‘don’, poi
c’era il popolino che adoperava le sue astuzie, e poi c’erano i pazzi: c’erano
i pazzi come donna Elvira, pazza d’amore, e i pazzarelli,
come Leporello …
D. – Maestro, ci sono dei vincitori nell’opera oppure sono
tutti inevitabilmente dei vinti?
R. – Che domanda difficile, questa! Tanto per
incominciare, nella vita siamo tutti vinti, se ci pensiamo bene, a meno che non
abbiamo dentro di noi la forza di lasciare un messaggio che ci tenga in qualche
maniera in vita: un messaggio positivo, per cui
rimaniamo in vita. Ma rimaniamo in vita solamente nella
memoria altrui, quindi siamo tutti sconfitti e soprattutto nel Don Giovanni
sono sconfitti tutti: lo dicono, poi, nel Requiem finale: “Questo è il fin di
chi fa male …”, e ognuno segue il suo destino, cupamente, perché questo astro
fulgente e fiammeggiante che è stato don Giovanni, che ha animato la vita di
tutta questa gente, ormai si è spento. E anche le loro
vite, adesso, sono destinate ad una triste continuazione verso una fine
non gloriosa.
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18 gennaio 2004
INIZIATIVE
DI PREGHIERA A ROMA
DURANTE
LA SETTIMANA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI
- A
cura di Giovanni Peduto -
ROMA. = Anche
quest’anno la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani trova a Roma un
particolare programma di svolgimento in tutte le parrocchie di Roma e, in
particolare, presso la Basilica di San Paolo fuori le Mura, la basilica di
Santa Maria in via Lata su
via del Corso e in piazza Farnese, presso la chiesa
di Santa Brigida, la grande mistica del nord, venerata congiuntamente da
cattolici e luterani. La Comunità dei monaci benedettini di San Paolo fuori le
Mura celebrerà ogni giorno alle ore 17.00 la liturgia solenne dei Vespri,
dedicati in modo particolare alla preghiera per chiedere il dono dell'unità di
tutti i fedeli in Cristo. La novità di quest’anno è la
partecipazione non solo di autorevoli rappresentanti di altre
confessioni cristiane, ma anche di intere comunità che parteciperanno al rito
interconfessionale. Incoraggiata dal particolare mandato di Benedetto XVI, che
ha affidato ai monaci benedettini dell’Abbazia la cura e l’organizzazione di
liturgie e programmi ecumenici con il Motu proprio
“L’antica e venerabile Basilica” (31 maggio 2005), la Comunità si è rafforzata
con l’arrivo di una decina di monaci da varie Abbazie di tutto il mondo ed ha
recentemente promosso varie celebrazioni liturgiche e iniziative culturali a
carattere ecumenico, in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la
Promozione dell’unità dei cristiani. Il Centro eucaristico ecumenico di Santa
Maria in via Lata, diretto
dalle Suore Figlie della Chiesa, da oltre 25 anni, durante la Settimana di
preghiere per l’unità dei cristiani, organizza ogni sera una liturgia cattolica
di rito orientale, e così anche quest’anno: questa sera alle 20.00 è in
programma la divina liturgia in rito bizantino-greco.
Seguiranno nei prossimi giorni, i riti siro-malankarese,
bizantino-romeno, etiopico, latino-romano, bizantino-ucraino, siro-maronita
e armeno. Anche nella chiesa di Santa Brigida, in piazza
Farnese, da questo pomeriggio e per tutto
l’Ottavario, si svolgeranno i Vespri solenni con la partecipazione della
comunità luterana di Roma. Particolarmente importante sarà venerdì, alle 17.30,
la celebrazione della Parola, presieduta dal cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la
Promozione dell’unità dei cristiani, insieme con la delegazione ecumenica della
Finlandia che si trova già a Roma e che domani sarà ricevuta dal Santo Padre.
Questa visita a Roma di una delegazione luterana finlandese è ormai una
tradizione che si rinnova da molti anni, come pure l’appuntamento di preghiera
in piazza Farnese, dove visse
per quasi 20 anni Santa Brigida di Svezia, la cui abitazione attualmente ospita
la Casa generalizia delle Suore brigidine.
FORTE APPELLO DEI VESCOVI
VENEZUELANI AI CITTADINI PER IL NUOVO ANNO:
“PER IL BENE DELLA
NAZIONE NON BASTA LAMENTARSI O CRITICARE.
L’UNICO DIALOGO VERO ED EFFICACE È QUELLO CHE
SI BASA SULLA VERITÀ, SULL’UMILTÀ E SUL RISPETTO DELL’ALTRO”
CARACAS.= I vescovi
venezuelani hanno espresso le preoccupazioni e le speranze per il nuovo anno,
in un comunicato reso noto nei giorni scorsi, alla fine della loro 80.ma Assemblea plenaria. Come
riferisce l’agenzia vaticana, Fides, nel documento si legge: “Continueremo ad
accompagnare il nostro Paese, specialmente i più poveri e i bisognosi, i malati
e i carcerati, comunicando loro la forza e la speranza del messaggio centrale
del Vangelo: l’amore che Dio Padre ci dona come suoi figli
e l’amore che come fratelli deve distinguerci”. I presuli si sentono chiamati
in causa da una serie di problemi che affliggono il Paese, come l’incertezza
sul futuro democratico, i problemi politici, il deterioramento delle
istituzioni, l’abbassamento della qualità della vita e l’aumento incalzante
della povertà. Nel loro appello, i vescovi invitano i venezuelani a prendere
coscienza che tutti sono necessari ad una possibile individuazione e soluzione
dei problemi della società. Vi è anche un invito affinché tutti i gruppi
politici ed economici smettano di anteporre i loro personali interessi a quelli
generali della popolazione. Al termine del comunicato, i vescovi venezuelani
hanno rivolto un appello a tutti i cattolici, affinché si dedichino a un progetto
comune “per un Venezuela migliore”. Per il raggiungimento di questo obiettivo,
hanno aggiunto, “è indispensabile deporre atteggiamenti o posizioni chiuse ed
aprirsi al dialogo. L’unico dialogo vero ed efficace – hanno concluso – è
quello che si basa sulla verità, sull’umiltà, sul rispetto dell’altro e sulla
disposizione a cambiamenti profondi e duraturi”. (A.E.)
PER LA
LOTTA ALL’INFLUENZA AVIARIA, LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE
HA
STANZIATO CIRCA DUE MILIARDI DI DOLLARI.
INTANTO,
UN NUOVO CONTAGIO IN TURCHIA E UNA MORTE SOSPETTA IN IRAQ
- A cura di Roberta Moretti -
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DOGUBEYAZIT/PECHINO. = Un altro caso di contagio da
influenza aviaria è stato registrato in Turchia. Lo ha reso noto il Ministero
della sanità turco dopo i risultati dei test di laboratorio. Si tratta di un
bambino proveniente da Dogubeyazit, nella Turchia
orientale, al confine con l’Iran, la stessa città dove vivevano i quattro
bambini deceduti nei giorni scorsi a causa dell’H5N1. Il piccolo paziente è
adesso ricoverato nell’ospedale di Erzurum. Sale così
a 21 il numero delle persone che hanno contratto il virus in Turchia. Intanto,
il premier turco, Tayyip Erdogan,
ha assicurato che dal 2004 Ankara sta facendo “tutto il necessario” per fermare
la diffusione della malattia nel Paese, garantendo che “non ci sono reali
ragioni di panico”. Da parte sua, la FAO ha avvertito che il virus potrebbe
contaminare le regioni del Mar Nero, del Caucaso e dell’est
e diffondersi ulteriormente in primavera in Africa e in Europa attraverso gli
uccelli migratori. E intanto l’aviaria potrebbe aver colpito anche in Iraq: le
autorità sanitarie del Kurdistan iracheno hanno avviato oggi gli accertamenti
sulla morte sospetta di un’adolescente originaria di Raniya,
al confine con Iran e Turchia. Comunque, secondo le prime informazioni, i test
risulterebbero negativi. Mentre è proprio il virus H5N1 che ha provocato la
morte di una donna di 35 anni in Cina, portando a 6 il numero dei decessi
causati dall’aviaria nel Paese. Da Pechino, dove si sono conclusi oggi i lavori
della Conferenza internazionale dei Paesi donatori, giunge l’annuncio dello
stanziamento complessivo di 1,9 miliardi di dollari per far fronte all’emergenza.
“Si tratta di una somma significativa di cui possiamo essere soddisfatti”, ha affermato
il commissario europeo alla Salute, Markos Kyprianou, considerando che la cifra minima stabilita dalla
Banca mondiale per fronteggiare il problema è di 1,2 miliardi di dollari.
Secondo il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, che ha parlato ai delegati in collegamento video da
New York, la lotta contro la cosidetta influenza dei
polli è oggi in una fase “cruciale”. “Non c’è tempo da perdere – ha detto Annan – dobbiamo assicurarci di essere
pronti”.
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NEL
2005, IL “GRUPPO MOBILE” DEL MINISTERO DEL LAVORO DI BRASILIA HA LIBERATO PIÙ
DI 4 MILA BRASILIANI COSTRETTI A LAVORARE IN CONDIZIONE DI SCHIAVITU’
BRASILIA. = Oltre 4 mila brasiliani costretti a lavorare
in condizione di schiavitù sono stati liberati nel corso del 2005, dal “Gruppo
mobile” del Ministero del lavoro di Brasilia. L’operazione è stata condotta in
oltre 183 fazendas
del Paese, come rendono noto fonti ufficiali. È
soprattutto negli Stati brasiliani a forte espansione agricola che la pratica
dello sfruttamento risulta essere più diffusa. Tra questi, spiccano Pará, Mato Grosso, Tocantins,
Bahia e Goiás. Solo nel Pará,
che detiene il primato per le violazioni dei diritti umani riconducibili ai conflitti
per il possedimento della terra, risultano riscattati 1.128 lavoratori.
Inoltre, come riporta l’agenzia MISNA, l’ispettore del lavoro, Marcelo Campos, ha spiegato come
ad essere sfruttate siano in prevalenza persone
analfabete utilizzate nel disboscamento, al fine di creare nuove terre fertili
da utilizzare per le monoculture e i pascoli. Sono i gatos, i reclutatori
– ha aggiunto – ad attirare i contadini con la promessa di una vita migliore.
Ma una volta arrivati al servizio dei latifondisti –
ha concluso – vengono schiavizzati, privati dello stipendio e costretti a non
abbandonare il lavoro. (A.E.)
L’ARCIVESCOVO DI BOLOGNA, MONS.CARLO
CAFFARRA, E IL PRESIDENTE
DEL SENATO ITALIANO, MARCELLO PERA, HANNO
PRESENTATO A TORINO
IL LIBRO “L’EUROPA DI BENEDETTO NELLA CRISI
DELLE CULTURE”,
CHE RACCOGLIE L’ULTIMA CONFERENZA DEL CARDINALE
RATZINGER
PRIMA DELL’ELEZIONE A PAPA, INSIEME AD ALTRI TESTI
SUL TEMA
- A cura di Stefano Andrini
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BOLOGNA. = E’ lo
sradicamento la “cifra” fondamentale della condizione spirituale dell’uomo
contemporaneo: lo ha detto l’arcivescovo di Bologna, mons. Carlo Caffarra, intervenendo a Torino, insieme al presidente del
Senato italiano, Marcello Pera, alla presentazione del libro “L’Europa di Benedetto
nella crisi delle culture”, che raccoglie l’ultima conferenza del cardinale Ratzinger prima dell’elezione a Papa, insieme ad altri testi sul tema.
“L’uomo contemporaneo – ha affermato l’arcivescovo Caffarra
– è un uomo sradicato perché non più fondato sulla realtà; perché privato
progressivamente di ogni fondamento veritativo circa la possibilità di
raggiungere il proprio destino, realizzando ciò che è
la sua umanità”. L’Europa, ha aggiunto mons. Caffarra,
“aveva iniziato il suo pellegrinaggio attraversando Atene verso la Gerusalemme
dei profeti, e da questa verso la Gerusalemme del Golgota e del giardino della
Risurrezione. Non camminando più lungo questa strada, l’identità della persona
si è dissolta: l’identità del matrimonio, della famiglia, della società”. In
che modo Dio può diventare il fattore della ricostruttività
dell’agire umano, rendendo fecondi anche i grembi sterili della
nostra post-modernità? Per l’arcivescovo Caffarra,
bisogna ripartire da un grande lavoro educativo. “Ma non esiste – ha aggiunto –
nessun impegno educativo serio che non parta da una tradizione culturale da
proporre come interpretazione della realtà al rischio della scelta di chi è
educato; che non proponga una forte identità capace di interrogare l’uomo che
si vuole educare”. “Lo sfacelo educativo – ha concluso il presule – consiste
nell’aver reso impossibile la domanda sul mistero. Pensare di poter educare
azzerando ogni identità, è semplicemente pensare che il deserto sia il terreno
dove può fiorire la vita”.
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“FORMARE FRANCESCANI
PER LA MISSIONE E L’INTERCULTURALITÀ”: SU QUESTO TEMA, È IN CORSO A COCHIN,
NELLO STATO INDIANO DEL KERALA,
IL CONGRESSO MISSIONARIO INTERNAZIONALE DEI
FRATI MINORI CONVENTUALI
COCHIN. = Rispondere
alle sfide della missione nel terzo millennio: uniti in questo obiettivo, 61
rappresentanti dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, provenienti da tutto
il mondo, sono riuniti in questi giorni, fino al 22 gennaio, a Cochin, nello Stato indiano del Kerala,
per un Congresso missionario internazionale. All’incontro partecipano il
ministro generale, padre Joachim Giermek,
numerosi inviati delle Conferenze provinciali, formatori ed esperti. I temi su cui l’assemblea si confronta partono da “Missione e
pluralismo religioso in un mondo globalizzato”;
toccano la “Spiritualità della missione”; guardano al rapporto fra “Missione e
culture emergenti”, comprese le cosiddette “culture secolarizzate”; indagano
gli aspetti specifici della missione nel carisma francescano; si interrogano,
infine, su una possibile “Missiologia francescana”, che delinei un rapporto
proficuo fra Chiesa locale e missione francescana. L’Ordine si
confronterà anche sul “Progetto missionario comunitario”, che interessa
l’apostolato nelle aree dell’Europa e del Nord America, come quelle del sud del
mondo. Parte della riflessione è dedicata all’impegno per la “formazione alla
missione” e al rapporto con le realtà locali: i partecipanti si chiedono se esista
“un modo zambiano, brasiliano, statunitense di essere francescani”. Previste,
su questo argomento, testimonianze di fraternità francescane da Cuba, Turchia,
India ed ex Unione Sovietica. (R.M.)
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18
gennaio 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco -
L’Iran ha
chiesto a Germania, Francia e Gran Bretagna di riallacciare il negoziato sul nucleare
ma ha ribadito che è irrevocabile la propria decisione di riprendere le
attività di ricerca. Il governo di Teheran ha anche
minacciato di sospendere la collaborazione con l’Agenzia Internazionale per
l’Energia Atomica (AIEA) in caso di deferimento al Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite. I governi di Berlino, Parigi e Londra insistono, invece, per il
deferimento all’ONU e chiedono all’esecutivo di Teheran
di “chiarire gli interrogativi su un eventuale programma militare atomico”. Ma
quali sono gli obiettivi dell’Iran in questa crisi nucleare? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Alberto Negri,
inviato speciale del Sole 24 Ore ed esperto di Iran:
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R. –
Questa trattativa si è aperta come una sorta di negoziato, in cui gli iraniani
sembravano orientati a stabilire la contropartita in cambio di un loro impegno
in piani di non proliferazione nucleare. Teheran ha
chiesto aiuti da parte dell’economia occidentale, l’ingresso nel WTO, migliori
rapporti con l’Occi-dente. In realtà, poi, è successo che in questi ultimi due
anni, soprattutto da quando c’è stata l’occupazione americana dell’Iraq, i
termini della questione sono cambiati: soldati americani sono stati inviati
prima in Afghanistan e poi in Iraq. Lo stesso quadro geopolitico
del Medio Oriente è mutato e dopo l’elezione di Ahmadinejad si è irrobustita
l’ala dura del regime. Questa potente lobby a questo punto ritiene che l’arma
nucleare possa costituire, forse, un deterrente in relazione ad un possibile
attacco contro l’Iran.
D. – C’è veramente il rischio che l’Iran possa essere terreno di un prossimo conflitto militare?
R. – Per ora le diplomazie occidentali, compresa quella
americana, sembrano escluderlo.
Sappiamo che Israele nelle settimane e nei mesi scorsi aveva
già dichiarato che, eventualmente, sarebbe disponibile ad attaccare
l’Iran. Ma un eventuale intervento militare contro l’Iran pone dei problemi
militari non indifferenti. Anche uno strike, cioè un attacco limitato ai
siti nucleari, pone dei problemi di individuazione di questi siti e delle
conseguenze. Non credo certamente in un attacco in grande scala.
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In Israele,
è stata nominata ministro degli Esteri la signora Tzipi
Livni, già ministro della Giustizia ed esponente del
partito “Kadima” fondato dal premier Ariel Sharon. A
Gerusalemme, intanto, restano stabili ma gravi le condizioni
di Sharon, sottoposto nella notte ad una nuova operazione per sostituire un
tubo per la respirazione difettoso. Sul versante palestinese, si acuisce lo
scontro politico tra Fatah ed Hamas
in vista delle elezioni del prossimo 25 gennaio. Secondo il principale partito
palestinese, non si potranno garantire adeguati aiuti internazionali, se il
gruppo radicale non abbandonerà la propria linea di opposizione al processo di
pace. Gli ultimi sondaggi prevedono, inoltre, un forte aumento dei consensi per
“Hamas” ma
molti osservatori non considerano realistica l’ipotesi di una vittoria dei
gruppi estremisti. E’ di questo parere anche il Custode francescano di Terra
Santa, padre Pierbattista Pizzaballa,
intervistato da Giancarlo La Vella:
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R. –
Non credo che i gruppi fondamentalisti vinceranno le elezioni. Ritengo che
otterranno un buon risultato. Non bisogna avere troppa paura. Bisogna cercare,
anzi, di trovare forme di rinnovamento di questo movimento politico.
D. – Nei confronti del processo di pace, un avanzamento
così netto dell’estremi-smo cosa potrebbe provocare?
R. –
Sicuramente, ci sarà all’inizio un momento di difficoltà, ma
credo che il processo di pace e le trattative tra i due popoli siano
imprescindibili. Quindi, chiunque arriverà alla leadership, dovrà fare i conti
con questa realtà.
D. – Queste elezioni vanno di pari passo con gli impegni
per la road-map di Abu
Mazen, il presidente moderato palestinese, che però ha dichiarato di non volersi più presentare in
futuro per la presidenza. C’è un sostituto che possa
portare avanti il dialogo con gli israeliani?
R. –
Sicuramente ci saranno altri personaggi. Comunque, adesso si deve pensare al nuovo assetto
politico palestinese. Abu Mazen
dovrà lavorare, quindi, con questo governo. E’ presto ancora per parlare della
successione. Adesso si deve pensare a preparare la futura leadership.
**********
In Iraq, la
guerriglia ha assaltato un convoglio con a bordo
dipendenti di un’impresa di comunicazioni. Nell’attacco, condotto ad ovest di
Baghdad, sono rimaste uccise dieci guardie del corpo. I ribelli hanno anche
sequestrato un ingegnere originario del Malawi. Sempre sul fronte dei
sequestri, l’emittente araba Al Jazeera ha trasmesso,
ieri, un nuovo video choc: il filmato, senza audio, mostra la
giornalista americana, Jill Carroll,
rapita lo scorso 7 gennaio a Baghdad. I rapitori hanno anche diffuso un comunicato
nel quale minacciano di uccidere l’ostaggio se non saranno rilasciate, entro 72
ore, le donne detenute in Iraq. Secondo l’organizzazione “Reporter senza
frontiere”, sono 31 i giornalisti rapiti nel Paese arabo dall’inizio della
guerra, nel marzo del 2003.
Il leader
della Corea del Nord, Kim Kong il, è
rientrato da una visita di 8 giorni in Cina. Secondo l’agenzia nordcoreana “Yonhap”, Kim Yong il ha
avuto colloqui a Pechino con il presidente cinese, Hun
Jintao, incentrati sul programma nucleare nordcoreano.
Negli Stati Uniti, è morto ieri per un’iniezione letale il
76.enne Clarence Ray Allen, accusato di aver
ordinato l’assassinio di tre persone. Ad Allen, ormai
cieco e costretto su una sedia a rotelle, è stata negata la sospensione della
pena capitale dalla Corte Suprema. A nulla sono servite le manifestazioni di
molte associazioni e movimenti per salvargli la vita. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio.
*********
R. – Allen era una persona che
non poteva più nuocere a nessuno. Era disabile, cieco e gravemente malato. E’
stato curato dopo l’ultimo infarto perché potesse essere eseguita la condanna a
morte. Sicuramente si era macchiato di gravi crimini. Questo mostra proprio
come la pena di morte sia qualcosa che debba appartenere
al passato, come la schiavitù e la tortura. La pena di morte ha alla base
un’idea di giustizia retributiva che diventa vendetta di Stato. Se la società
si abbassa a livello dell’assassino, non ottiene nulla, inquieta solo la
coscienza.
D. – Alcuni sottolineano che per Allen
non si è lottato abbastanza …
R. – Sicuramente si è lottato per Allen.
Certo il caso di Stanely Tookie
Williams mostra la contraddizione profonda di una società che vuole essere
umana, giusta e garante dei diritti umani. Ma questa stessa società uccide,
alla fine, chi a fatica, anche con un passato difficile, è cambiato e ha
riconosciuto i propri errori. E’ quindi una società che si contorce su se
stessa. La mobilitazione mondiale è attiva, però, per tutti i casi di condanna
a morte. Non si tratta semplicemente di mantenere alta la protesta caso per
caso. Si tratta di dare continuità ad una campagna mondiale per mostrare come
la pena di morte sia veramente qualcosa di umiliante per la società che la
applica.
*********
Dopo il drammatico
caso “Terri Schiavo”, si torna a discutere di
eutanasia negli Stati Uniti: la Corte suprema del
Massachusetts ha autorizzato, ieri, i servizi sociali dell’Oregon a
staccare il tubo dell’alimentazione a Haleigh Poutre, una bambina di 11 anni ridotta in fin di vita in
seguito a percosse da parte dei genitori adottivi.
In
Polonia il neopresidente, Lech Kaczynski,
non esclude elezioni politiche anticipate per risolvere la crisi politica
innescata dal mancato sostegno alla Legge finanziaria da parte dal Parlamento.
Se non verrà trovata una soluzione entro il 30
gennaio, il presidente potrebbe sciogliere le Camere e fissare nuove elezioni
per la prossima primavera.
In
Costa d’Avorio, almeno 3 persone sono morte durante scontri tra sostenitori del
presidente, Laurent Gbagbo,
e caschi blu del Bangladesh nei pressi della base
militare dell’ONU a Guiglo. Nel Paese africano, sono
schierati 7000 caschi blu ed oltre 4000 militari francesi col compito di
sorvegliare il cessate il fuoco tra forze governative e ribelli delle “Forze
Nuove”.
Ad Haiti, nuovo episodio di
violenza contro il personale ONU. Ieri, due caschi blu giordani sono rimasti
uccisi in uno scontro a fuoco a Port-au-Prince,
mentre presidiavano un posto di blocco. Dal febbraio 2004, sono 13 le vittime
delle Nazioni Unite. Fra queste, figura anche il capo della missione, il
generale brasiliano Urano Bacellar.
In Colombia, l’esercito ha annunciato che almeno 15
paramilitari di destra sono rimasti uccisi durante scontri a fuoco avvenuti
lunedì scorso nella provincia settentrionale di La Guajira. I combattimenti sono avvenuti poche ore dopo la
decisione del governo di formare una commissione di indagine su traffici
illeciti tra esponenti politici e i cosiddetti “Squadroni della morte”.
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