RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 17 - Testo della trasmissione di martedì 17
gennaio 2006
IL
PAPA E
OGGI IN PRIMO PIANO:
Il ruolo dell’ONU nella questione dei progetti nucleari
dell’Iran: intervista con Luigi Bonanate
CHIESA E SOCIETA’:
Aperta oggi a Pechino la Conferenza internazionale
sull’influenza aviaria
Diffusa dalla Conferenza episcopale regionale di Taiwan la
lettera pastorale per l’anno 2006
In Africa, 50 milioni di bambini non hanno accesso alle
strutture scolastiche
Uno studio rileva che sono
circa 150 le lingue parlate in Messico
Israele proseguirà sulla road map per la pace. Tensione in Cisgiordania
In Italia ancora in
primo piano le polemiche sul caso Unipol
17 gennaio 2006
INIZIA
DOMANI LA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI.
L’ECUMENISMO, “IMPEGNO PRIMARIO” DI BENEDETTO XVI
-
Intervista con mons. Piero Coda -
Inizia domani la tradizionale “Settimana di preghiera per
l'unità dei cristiani”, che quest'anno si svolge sul tema "Dove due o tre
sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro". Ce ne parla Sergio Centofanti.
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Una settimana densa di incontri tra i membri delle diverse
confessioni cristiane e che sarà conclusa il 25 gennaio prossimo a Roma nella
Basilica di San Paolo fuori le Mura con la Celebrazione dei Vespri presieduta
nel pomeriggio dal Papa, nella festa della Conversione di San Paolo. Benedetto
XVI sin dall’inizio del suo ministero si è assunto “come impegno primario
quello di lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena e
visibile unità di tutti i seguaci di Cristo”. Il Pontefice ha sottolineato che “per questo non
bastano le manifestazioni di buoni sentimenti” ma che “occorrono gesti concreti
che entrino negli animi e smuovano le coscienze, sollecitando ciascuno a quella
conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso sulla via
dell’ecumenismo”. “L’unità che noi cerchiamo – ha affermato - non è né
assorbimento né fusione, ma rispetto della multiforme
presenza della Chiesa, la quale, conformemente alla volontà del suo fondatore Gesù
Cristo, deve essere sempre una, santa, cattolica e apostolica”. Una meta che
secondo Benedetto XVI deve essere raggiunta nella verità e nella carità. Ma
sulla settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ascoltiamo al microfono
di Marina Tomarro mons. Piero Coda, docente di
Teologia alla Pontificia Università Lateranense:
R. – Ormai è diventata una tradizione ricca, importante,
sempre più radicata nella coscienza del popolo cristiano, ma anche nella Chiesa
cattolica, perché la preghiera di Gesù per l’unità di tutti coloro che credono
in Lui è una preghiera che ormai tocca il cuore e la mente di tutti i
cristiani. Ecco, la contro- testimonianza della
disunità tra i cristiani non può più essere tollerata, occorre fare tutta la propria
parte con una conversione interiore profonda, perché l’unità, che è un dono che
scende dall’alto, che viene dal seno del Padre, possa giungere tra le Chiese.
Quindi, è un momento densamente importante per la vita delle nostre Chiese.
Direi anche, in particolare, nel rapporto tra Chiesa cattolica e Chiesa
ortodossa. In dicembre si è riaperto il dialogo teologico tra queste due Chiese
dopo un periodo di sosta per le difficoltà che erano intervenute dopo il crollo
dei muri dell’’89. Quindi, abbiamo bisogno di pregare molto in sintonia con
quanto, in più di un’occasione, ci ha già detto il Santo Padre Benedetto XVI.
Pregare molto, perché Gesù risorto si renda presente in ogni incontro tra i
cristiani, porti con sé i doni dello Spirito che illuminano le menti, accendono
i cuori e ci fanno intravedere le vie lungo le quali camminare per giungere
alla piena unità tra di noi.
D. – Ma secondo lei quali sono le strade migliori per
raggiungere proprio questa unità?
R. – Innanzitutto, la via della conoscenza reciproca.
Conoscersi è entrare nel cuore dell’altro, entrare nella pelle dell’altro,
capire le ferite che la storia ha potuto segnare nei rapporti tra le diverse
Chiese, risanare queste ferite con la forza dell’amore chiedendo il dono dello
Spirito Santo. Quindi, incontrarsi, parlarsi, conoscersi, scambiarsi dei doni.
E poi, ovviamente, c’è la via del dialogo teologico: affrontare con la presenza
di Gesù in mezzo a coloro che credono nel suo nome, affrontare anche i punti
che rimangono da sciogliere, nella certezza che se
siamo fedeli a Cristo lo Spirito Santo ci aiuterà a sciogliere questi
nodi.
D. – Ecco, ma quali sono attualmente proprio i nodi
maggiori che tormentano questa unità, che non permettono una perfetta unità tra
noi cristiani?
R. – I nodi sono differenti a seconda
dei rapporti tra le diverse Chiese. Nel rapporto tra la
Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa c’è una profonda e sostanziale
comunione nell’essenziale della fede. Ci sono difficoltà teologiche soprattutto
in relazione alla questione del ministero petrino,
nel modo di concepire il primato perché le altre differenze spirituali,
liturgiche, teologiche sono parte di quella pluriformità
e di quella complementarietà che caratterizzano la via della Chiesa. Poi ci
sono anche difficoltà pratiche dovute alla questione dei rapporti tra le Chiese
cattoliche e le Chiese ortodosse nei Paesi dell’Est dell’Europa, la questione
delle Chiese cosiddette Uniate. Per quanto riguarda invece i rapporti tra la
Chiesa cattolica e le comunità ecclesiali nate dalla Riforma e anche dal mondo
anglicano le questioni teologiche sono più corpose e più difficili. Riguardano
da un lato la concezione del ministero ordinato e dei sacramenti e poi negli
ultimi decenni riguardano anche la questione di come intendere i grandi
principi dell’etica cristiana. Qui le difficoltà sono certamente maggiori.Occorre molta pazienza, occorre la capacità di non fare
dei passi da soli, ma di attendere , di parlarsi di
più, di incontrarsi di più, non prendere decisioni affrettate per prendere
delle strade che possono ulteriormente allontanarci.
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LA CHIESA DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
IMPEGNATA
SENZA
SOSTA PER LA PACIFICAZIONE NELLA MARTORIATA REGIONE
DEI
GRANDI LAGHI: IN QUESTI GIORNI DAL PAPA,
I
VESCOVI DEL PAESE AFRICANO IN VISITA AD LIMINA
E’ in corso in questi giorni la visita ad Limina dei vescovi della Repubblica Democratica del
Congo, Paese che cerca tra mille difficoltà la via della pacificazione, dopo i
terribili anni di guerra civile. La visita a Roma offre ai presuli dell’immenso
Paese africano, grande oltre 7 volte l’Italia, l’occasione per illustrare al
Papa la situazione in cui opera la Conferenza episcopale congolese. Il servizio
di Alessandro Gisotti:
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La Chiesa del Congo non si scoraggia: anni di violenze, di conflitti
sanguinosi e un presente incerto non minano la speranza dei vescovi congolesi, operatori di pace nella martoriata regione dei
Grandi Laghi. Benedetto XVI ha rivolto alle popolazioni di quest’area del
continente africano un pensiero speciale, nel discorso al Corpo Diplomatico del
9 gennaio scorso. In questa terra, ha riconosciuto con amarezza, “ancora si
sentono le tragiche conseguenze delle guerre fratricide degli anni passati”.
Dal canto suo, la Chiesa è in prima linea per portare aiuto spirituale e
materiale ai 60 milioni di abitanti della Repubblica Democratica del Congo, metà dei quali di fede cattolica, distribuiti in
47 diocesi.
“L’attenzione della pastorale nel nostro Paese – ha dichiarato
recentemente mons. Laurent Monsengwo,
presidente della Conferenza episcopale congolese – è di evitare che la crisi
materiale, dovuta ad un depauperamento disumanizzante,
non si trasformi in una crisi morale dalle molte forme, difficile poi da estirpare”.
L’accompagnare “il popolo nella sua richiesta di dignità umana e di democrazia
– ha detto ancora – ha di mira soprattutto la costruzione di una società più
virtuosa”. Nel Paese africano, sono ancora vivi i
ricordi delle due visite compiute nell’ex Zaire, da
Giovanni Paolo II, nel 1980 e nel 1985. Indelebili anche gli appelli per la
pace che Papa Wojtyla ha rivolto alla comunità
internazionale, per fermare la guerra civile scoppiata nel 1996. Ora, dieci anni dopo
l’esplosione di quella violenza seminatrice di distruzione, il popolo congolese
spera che le elezioni politiche programmate per quest’anno possano finalmente
portare a compimento la lunga e difficile transizione verso la democrazia.
La visita ad
Limina dei vescovi della Repubblica Democratica del Congo si svolgerà in
due fasi. Il primo gruppo è costituito dai presuli delle province
ecclesiastiche di Kinshasa, Kananga e Mbandaka (dal 16 al 30 gennaio). Il secondo dai vescovi
delle province ecclesiastiche di Kisangani, Bukavu e Lubumbashi (dal 1 al 14
febbraio).
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NOMINE ED EREZIONE DIOCESI
IN COLOMBIA
In Colombia, il Papa ha eretto la nuova diocesi di El
Banco, con territorio dismembrato dalle diocesi di
Santa Marta e Valledupar, rendendola suffraganea dell’arcidiocesi metropolitana di Barranquilla. Il Santo Padre ha nominato primo vescovo di El Banco padre Jaime Enrique Duque Correa,
dell’Istituto per le Missioni Estere di Yarumal,
finora parroco di Emaús a Medellín.
La neo-eretta diocesi di El
Banco si estende su una superficie di 11.855 kmq, con 389.641 abitanti. Vi sono
11 parrocchie, 16 sacerdoti diocesani, 2 religiosi, 20 seminaristi maggiori e 4
Istituti di religiose.
In Colombia, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al
governo pastorale della diocesi di San José del Guaviare,
presentata da mons. Belarmino Correa Yepes, dell’Istituto per le Missioni Estere di Yarumal, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato
a succedergli il reverendo padre Guillermo Orozco Montoya, del clero della
diocesi di Sonsón - Rionegro,
finora direttore del dipartimento per la Pastorale dei Ministeri Gerarchici del
segretariato dell’episcopato colombiano.
In Corea, il Pontefice ha nominato ausiliare della diocesi
di Pusan il padre Paul Hwang Cheol-soo, già cancelliere
diocesano, assegnandogli la sede titolare vescovile di Vico di Pacato.
TELEGRAMMA
DEL PAPA PER IL 40.MO DI EPISCOPATO
DEL
CARDINALE SALVATORE PAPPALARDO, ARCIVESCOVO EMERITO DI PALERMO
- A
cura di Amedeo Lomonaco -
Il Papa rivolge “al caro festeggiato fervidi voti augurali
e mentre si associa alla Chiesa palermitana nel rendere grazie al Signore per
generoso ministero pastorale dello zelante porporato, invoca rinnovata
effusione grazie e consolazioni divine”. E’ un passo del telegramma del Papa, a
firma del segretario di Stato, cardinale Angelo Sodano, letto durante la
solenne concelebrazione eucaristica tenutasi ieri, nella cattedrale di Palermo,
per il 40.mo di episcopato dell’arcivescovo emerito
della diocesi palermitana, cardinale Salvatore Pappalardo.
Alla cerimonia hanno preso parte i vescovi della Sicilia, presbiteri, diaconi e
fedeli. L’arcivescovo di Palermo, cardinale Salvatore De Giorgi
ha ricordato come in questi 40 anni di episcopato, dopo i primi cinque
trascorsi a servizio della Santa Sede e nei 26 successivi, il cardinale Pappalardo abbia servito, con totale dedizione e con grande
carità pastorale, la Chiesa. Alla celebrazione ha preso parte anche il nunzio
apostolico, mons. Paolo Romeo, che da sacerdote ha assistito all’ordinazione episcopale
del cardinale Pappalardo, avvenuta il 16 gennaio
1966.
LE
SFIDE DELLA COMUNITA’ GLOBALE NEL 21.MO SECOLO AL CENTRO DEL CONVEGNO PROMOSSO DAI VESCOVI
ASIATICI CHE SARA’ INAUGURATO
DOMANI
A PATTAYA, IN THAILANDIA, DAL PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA
GIUSTIZIA E DELLA PACE, CARDINALE
RENATO
RAFFAELE MARTINO
La promozione
della concordia attraverso la riconciliazione nel contesto asiatico. E’ uno dei
temi del convegno che si svolgerà da domani fino al prossimo 21 gennaio a Pattaya, in Thailandia, per celebrare il 40.mo anniversario della Costituzione pastorale del Concilio
Vaticano II Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Il convegno,
organizzato dalla Federazione delle Conferenze dei Vescovi Asiatici (FABC), si
propone di costituire un’opportunità di dialogo e di approfondimento per una conversione
all’essenziale della fede in ordine ad un rinnovato impegno per la promozione
del Regno di Dio. I vescovi asiatici auspicano, in particolare, che il convegno
rappresenti il punto di partenza di un nuovo slancio nel comunicare al mondo di
oggi il messaggio evangelico, fermento di concordia e di pace nella comunità
umana. Ad inaugurare l’evento sarà, domani mattina, il presidente del
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, cardinale Renato Raffaele
Martino, con una relazione introduttiva intitolata: “Gioia e speranza tra afflizioni
ed angosce: il Vangelo per il 21.mo
secolo”. Il porporato presenterà una
visione della Gaudium et Spes per la comprensione del contributo della dottrina
sociale cristiana allo sviluppo armonico della comunità umana negli ultimi 40
anni. L’introduzione del porporato sarà seguita dalla relazione del dottor Chandra Muzaffar, uno studioso
musulmano della Malaysia, che svilupperà il tema: “Le sfide della comunità
globale nel 21.mo secolo”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il tema
del nucleare: l'Unione Europea chiede per il 2 e il 3 febbraio una riunione di
emergenza all'Aiea per il deferimento dell'Iran al
Consiglio di Sicurezza dell'Onu. La Russia pronta a
cooperare.
Servizio vaticano - Un articolo
dal titolo "L'amore per Dio, per la Chiesa, per gli ultimi: una feconda
eredità da custodire e da coltivare"; il Cardinale Crescenzio Sepe celebra a Nomadelfia la
Santa Messa in ricordo del fondatore Don Zeno Saltini
nel XXV anniversario della morte.
Una pagina dedicata alla Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.
Servizio estero - Cile: le
tutele sociali dei diritti umani priorità della nuova Presidente Michelle Bachelet.
Servizio culturale - Un
articolo di Cesarina Broggi sulla figura e sull'opera
di Luigia Tincani, fondatrice delle Missionarie della
Scuola.
Per l' "Osservatore
libri", un articolo di Danilo Veneruso dal
titolo "Il mito di Stalin. Comunisti e socialisti nell'Italia del
dopoguerra": un documentato saggio di Maurizio Degli Innocenti.
Servizio italiano - In primo
piano sempre l'Unipol.
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17 gennaio 2006
RISCOPRIRE IL PATRIMONIO COMUNE AD EBREI E
CRISTIANI A PARTIRE
DAI
DIECI COMANDAMENTI. QUESTO LO SCOPO DELLA GIORNATA
DEDICATA
AL DIALOGO TRA LE DUE RELIGIONI CHE RICORRE OGGI
- Con
noi il rabbino capo di Firenze, Joseph Levi, e mons.
Vincenzo Paglia -
Oggi si celebra la giornata per l’approfondimento e
lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. Il tema di quest’anno invita a
riflettere sul primo comandamento del Decalogo: “Ascolta Israele, Io sono il
Signore, tuo Dio” e trae spunto dalle parole pronunciate da Benedetto XVI il 19
agosto scorso alla Sinagoga di Colonia. In quell’occasione
il Papa ha sottolineato che i Dieci Comandamenti costituiscono un patrimonio ed
un impegno comune. Un argomento trattato ancora ieri durante l’incontro in
Vaticano tra il
Pontefice e il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. Ma come individuare la radice che lega ebraismo
e cristianesimo? Tiziana Campisi lo ha chiesto al
rabbino capo di Firenze, Joseph Levi.
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R. – La storia
mostra una certa continuità nei valori. I Dieci Comandamenti possono essere
valori comuni a tutte e due le tradizioni, e così la stessa idea di “uomo”,
l’uomo creato a immagine divina. Quindi, il grande valore dell’uomo, valore
conosciuto anche in Occidente attraverso la tradizione rinascimentale, ha
radici ebraiche e cristiane.
D. – La giornata dell’ebraismo quali frutti può far
maturare nel rapporto tra cattolici ed ebrei?
R. – Innanzitutto, la conoscenza della tradizione ebraica,
perché, può sembrare strano, ma malgrado il fatto che
abbiamo convissuto insieme nella storia per 2000 anni, ci conosciamo molto
poco. Quindi, io dico spesso, andiamo a visitarci l’un l’altro,
nelle rispettive case.
D. – La fede comune nel Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe,
Mosè cosa insegna ad ebrei e cattolici e verso quali nuove riflessioni può
condurre?
R. – La fede in Abramo, Isacco, Giacobbe e Mosè è una fede
in un Dio che si interessa dell’uomo, in un Dio che non contrasta l’uomo, in un
Dio che ha voluto e vuole stipulare un patto con l’uomo per il suo bene e per
la sua crescita.
Ma in che modo l’approfondimento del Decalogo può favorire
il dialogo fra ebrei e cristiani. Risponde mons. Vincenzo Paglia, vescovo di
Terni, Narni e Amelia, e presidente della Commissione
episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della CEI:
R. – E’ una
rivelazione comune. Gesù stesso partiva sempre dall’osservanza della legge mosaica, e credo che oggi ebrei e cristiani debbano
riscoprire il valore di un Dio che si è fatto compagno di ogni uomo: “Io sono
il Signore Dio tuo”. Il Signore ha visto la situazione del popolo in Egitto ed
è sceso per liberarlo. Il Signore vede ancora oggi il dramma di tante guerre,
di tante ingiustizie, e cerca alleati al suo impegno per liberare tutti da ogni
schiavitù.
D. – Com’è cresciuto in questi anni il dialogo fra ebrei e
cristiani?
R. – Con gli ebrei abbiamo avuto un cammino assolutamente
straordinario e significativo, una coscienza teologica e spirituale che è
maturata sia nei cristiani che negli ebrei rispetto a questa comunanza. Ci
resta solo di trovare nuovi campi o nuovi gesti per mostrare questa comunanza
di cammino e nello stesso tempo per farlo progredire. Questo ovviamente non
vuol dire che vengano abolite le differenze, tutt’altro. Cristianesimo ed ebraismo sono due religioni
con due tradizioni diverse, ma il campo che hanno in comune è davvero vasto e
una parte di questo campo, quello delle Scritture, come quello dei Dieci
Comandamenti, deve essere ancora percorso.
D. – A quali nuove riflessioni si è aperto il
cristianesimo da quando è cresciuto il dialogo con
l’ebraismo?
R. – Si è aperto a riflessioni, direi anzitutto,
spirituali-teologiche. E’ interessante la riscoperta, presso tanti ebrei, di
Gesù, sebbene non lo ritengano il Messia. In verità c’è un piccolo gruppo di
ebrei messianici che lo ritiene tale. Ci sono riflessioni di ordine storiografico,
riflessioni di ordine anche culturale.
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IL
RUOLO DELL’ONU NELLA QUESTIONE DEI PROGARMMI NUCLEARI DELL’IRAN
-
Intervista con Luigi Bonanate -
Il
primo ministro ad interim israeliano, Ehud Olmert, ha inviato una delegazione ad alto livello a Mosca per chiedere al
presidente Vladimir Putin di aiutare gli sforzi internazionali
volti a impedire all’Iran di entrare in possesso di un potenziale bellico
nucleare. Ma l’Iran fa sapere che sospenderà la sua cooperazione volontaria con
l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA) se viene
deferito al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Lo ha detto il rappresentante
iraniano presso
l’Agenzia, Ali Asghar Soltanieh.
Ma non si è formato un
consenso tra europei, americani, russi e cinesi sul deferimento
dell’Iran alle Nazioni Unite per le sue attività nucleari. Il vice ministro degli Esteri tedesco, riferendosi all’incontro che si avuto
ieri a Londra tra delegati dei diversi Paesi sullo scottante tema, ha detto che si continua a “discutere su
quale ruolo l’ONU deve assumere” e che “c’è
bisogno di più tempo”. Ma quale può essere il ruolo dell’ONU? Qual è il
suo margine di azione? Fausta Speranza lo ha chiesto a Luigi Bonanate, docente di relazioni internazionali
all’Università di Torino:
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R. – Non possiamo andare all’ONU quando
non sappiamo più che cosa fare! Il problema è che l’ONU dovrebbe essere
presente tutti i giorni, sulla scena internazionale. Non dobbiamo dimenticare
che l’ONU, in realtà, non è un’istituzione autonoma: noi ci siamo abituati a
dire: ‘L’ONU deve intervenire! Cosa fa?’. L’ONU, per
ora, non è altro che un’assemblea diplomatica, composta dai rappresentanti,
cioè da veri e propri funzionari, dei singoli Stati. Non essendo riuscite le
grandi potenze, o la stessa Unione Europea, a smuovere la posizione iraniana, è
chiaro che andare all’ONU difficilmente può offrire qualche alternativa
positiva sul momento. Direi che il problema, in questo caso, è essenzialmente
il tempo. Non dobbiamo tanto chiederci se l’ONU può dare una mano, per le
ragioni che dicevo un attimo fa, ma come sciogliere, diluire nel tempo questa
tensione. E’ chiaro che il nuovo presidente iraniano – per mille motivi,
suppongo, prevalentemente di politica interna – ha assunto le posizioni dure e
aggiungerei, mi permetterei di dire: disgustose, che ha assunto, perché quella
sulla questione ebraica e sull’Olocausto è stata veramente un’uscita inaccettabile
sotto ogni punto di vista e noi, giustamente, dobbiamo stigmatizzare questi
aspetti; ma dobbiamo, secondo me, evitare di mettere nell’angolo l’Iran, di
farne una specie di nemico collettivo dell’umanità, perché da questo può
venirne solo un peggioramento della situazione.
D. – Nelle scelte della comunità internazionale, quanto
pesa nella questione Iran il precedente braccio di ferro con l’Iraq, finito
come sappiamo?
R. – Non dobbiamo mettere l’Iran nell’angolo così come
abbiamo fatto, invece, mettendo nell’angolo l’Iraq, tra l’altro in modi e in
circostanze che poi erano poco limpide perché, insomma, le armi di distruzione
di massa non c’erano! Ma, il fatto è che l’Iraq è costato all’incirca già 100
mila morti, di cui 30 mila in combattimento, ma la mortalità complessiva è
stata terribilmente alta. Dunque, vantaggi della posizione assunta nei
confronti dell’Iraq non ce ne sono stati, il terrorismo non è stato sconfitto,
l’Iraq non è un Paese libero, sereno e contento perché ogni giorno continuano a
morire decine e decine di persone in attentati o in azioni di guerriglia –
ciascuno poi le chiama come vuole … Non possiamo – adesso dico una cosa un po’
cinica, ma in politica, talvolta, bisogna esserlo – non possiamo rischiare una
cosa analoga con l’Iran, perché l’Iran è più grande, più popoloso, più potente,
più ricco e anche in una posizione geografica che consente una maggiore libertà
d’azione a quel Paese. Dunque, prudenza, ma non prudenza perché noi abbiamo
paura o dobbiamo avere paura dell’Iran; prudenza perché ne va del benessere
della comunità internazionale. Dobbiamo aiutare l’Iran ad uscire da questo
circolo vizioso nel quale si è inserito, cioè da questa ostilità che percepisce
nei confronti di tutto il mondo a cui risponde
mandando tutto il mondo a quel paese. Penso che la posizione iraniana sia
ancora quella di uno Stato sotto shock dopo la crisi khomeinista,
dopo la rivoluzione islamica che ha inaugurato quella che oggi noi chiamiamo
‘guerra di civiltà’. Quindi, non dobbiamo mai
dimenticare che dal ’79 in poi noi abbiamo preso un atteggiamento nei confronti
del mondo islamico sempre più negativo e sempre più polemico e agonistico,
cosicché l’11 settembre va correlato a tutta quella dinamica. Lo scontro di
civiltà non nasce l’11 settembre: nasce – appunto – molto prima, quando noi non
abbiamo capito che la rivoluzione islamica andava affrontata non
necessariamente con simpatia, ma con attenzione. Tutto questo, naturalmente, ha
destabilizzato anche la società iraniana, perché
l’Iran si è trovato a fare una guerra con l’Iraq, a subire dei danni, a
trovarsi tutto l’Occidente contro; si è chiuso in se stesso e per anni non
abbiamo più sentito parlare di Iran. Poi, abbiamo avuto questo momento fortunato,
felice ma infelicemente concluso di Khatami, che è stato un presidente straordinario, che ha
cercato di galleggiare in mezzo a tensioni profondissime … Attenzione: dobbiamo
dedicare più attenzione alla politica iraniana!
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SULLE
MODERNE FORME DI SCHIAVITÙ E SULL’ATTIVITÀ DEI RELIGIOSI MERCEDARI,
TAVOLA
ROTONDA PRESSO LA NOSTRA EMITTENTE
-
Interviste con padre Lai e padre Damase -
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Da circa 800 anni i religiosi Mercedari
combattono contro la schiavitù. Quando il loro Ordine è stato fondato, nel 1218
per opera dello spagnolo San Pedro Nolasco, i padri mercedari riscattavano i cristiani schiavi nei Paesi musulmani.
Oggi sono altre le catene da spezzare ma la dedizione e la missione non sono
cambiati. Ascoltiamo padre Dino Lai, padre mercedario
responsabile del Centro Oasi, Opera Assistenza Scarcerati Italiani:
“Oggi i
padri Mercedari si interessano in modo particolare di
un tipo di catene, ed è quello della schiavitù del carcere, schiavitù del bisogno.
Quelli che ruotano attorno alla nostra opera sono gli immigrati, quelli che
provengono dal carcere e quelli che - io dico sempre - nessuno vuole”.
Tra le moderne forme di
schiavitù, quelle più drammatiche si consumano all’ombra di tragici conflitti.
E’ questo il caso di milioni di uomini e donne in Africa, ai quali il mercedario burundese, padre Damase ha dedicato il libro “Il dramma dei Grandi Laghi, abbozzo
di una teologia Bantù della sofferenza”. Ma da questo
dolore – spiega padre Damase – i popoli africani
possono uscire per vivere in una nuova era di pace. Ascoltiamo la sua testimonianza:
“In Burundi adesso c’è la speranza perché i soldati ribelli
che tempo fa erano nemici, adesso hanno formato un Esercito nazionale. Ci sono
segni di speranza. La gente è stanca della guerra. La guerra è una conseguenza
della schiavitù dell’uomo, dell’egoismo: l’uomo vuole tutto per sé, senza
condividere quanto ha con gli altri”.
Dopo la presentazione del libro
di padre Damase, è stato anche illustrato il progetto
per la realizzazione a Karthoum, in Sudan, di un centro di accoglienza per
bambini soldato riscattati dai gruppi armati musulmani.
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17 gennaio 2004
APERTA
OGGI A PECHINO LA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULL’INFLUENZA AVIARIA, PROMOSSA
DALLE NAZIONI UNITE INSIEME ALLA COMUNITÀ EUROPEA E ALLA CINA.
INTANTO,
È MORTO IN INDONESIA IL FRATELLINO DELL’ADOLESCENTE
DECEDUTA
NEL FINE SETTIMANA
GIAKARTA/PECHINO. = Ancora un
decesso da sospetta influenza aviaria in Indonesia, dove in un ospedale di Giacarta è morto il fratellino di 3 anni dell’adolescente
deceduta nel fine settimana a Indramayu, nella
provincia di Giava Occidentale, a circa 175 chilometri
a est della capitale. Intanto, mentre l’Organizzazione mondiale della Sanità
(OMS) ha annunciato una netta riduzione del pericolo di contagio per gli esseri
umani in Turchia, si è aperta stamani a Pechino la Conferenza Internazionale
sull’influenza aviaria, promossa dalle Nazioni Unite in collaborazione con la
Commissione Europea e il governo cinese. Gli organizzatori sperano di ottenere
dai rappresentanti degli 89 Paesi che partecipano ai lavori impegni per almeno
1,2 miliardi di
dollari, somma minima necessaria a sostenere la battaglia contro l’H5N1, il
ceppo più letale per l’uomo. Intanto, secondo fonti giornalistiche,
la Commissione Europea avrebbe deciso di stanziare 20 miliardi di euro per la ricerca
nel settore. Domani interverranno alla Conferenza il primo ministro cinese, Wen Jiabao, e, in teleconferenza, il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan. Infine, il gruppo farmaceutico svizzero, Roche, ha annunciato che
farà dono all’OMS di 2 milioni di trattamenti, pari a 20 milioni di dosi,
dell’antivirale Tamiflu, ritenuto il farmaco più
efficace contro il virus. La donazione si somma ai 5 milioni di cure offerte da
Roche nel 2004 e nel 2005.
LA
LEGGE ITALIANA 194 SULLA PREVENZIONE DELL’ABORTO E’ STATA APPLICATA
IN
MODO “INSUFFICIENTE”: E’ QUANTO AFFERMA IL COMITATO NAZIONALE DI BIOETICA, CHE
IERI HA APPROVATO UN DOCUMENTO
SULL’ AIUTO ALLE DONNE
IN
GRAVIDANZA E DEPRESSIONE POST PARTUM”
ROMA. = Le norme della legge
italiana 194 sulla prevenzione dell’aborto e sulla necessità di “forme
specifiche di aiuto a favore della donna incinta” sono state attuate in modo “insufficiente”:
lo sottolinea il Comitato nazionale di Bioetica, che ieri, in seduta plenaria,
ha approvato un documento sull’“Aiuto alle donne in gravidanza e depressione post partum”.
Secondo il Comitato di Bioetica, “è fondamentale il recupero di un ampio
impegno condiviso a sostegno della donna in gravidanza, così da rendere palese
nel contesto sociale e nelle pubbliche istituzioni un clima positivo verso la
gravidanza in corso. Clima oggi scarsamente percettibile”. Inoltre, “va
superata la logica che vede nella gravidanza una sorta di contrapposizione
intrinseca fra gli interessi della donna e quelli del concepito”. Anche nel caso di grave
pericolo per la salute psichica della donna, a causa di rilevanti anomalie o
malformazioni del feto, sottolinea il Comitato, non è accettabile che si
consideri scontato, nel sentire sociale, il ricorso all’interruzione volontaria
di gravidanza. In ogni caso, ogni donna in gravidanza deve poter contare su un
“aiuto materiale e psicologico”, che non va limitato ai “soli casi in cui uno
scompenso risulti evidente”. La “relegazione di una donna nella solitudine, sia
essa materiale o morale, dinanzi all'impegno della maternità – conclude il
Comitato – costituisce infatti una violazione radicale
della dignità umana della donna stessa e del figlio, e nel contempo rappresenta
il fallimento dei vincoli solidaristici fondamentali
per la convivenza civile”. Di qui, la necessità di una “riflessione
sull’attività dei consultori, degli operatori sociali, dei servizi ospedalieri ostetrico-ginecologici
e, in genere, dei medici che incontrano la donna quando
si rende conto di essere incinta”, con una “speciale attenzione” alle donne
immigrate, soprattutto se non regolari. (R.M.)
“L’EUCARISTIA:
FONTE E CULMINE DELLA VITA E DELLA MISSIONE DI OGNI PARROCCHIA E ASSOCIAZIONE
CATTOLICA”: È QUESTO IL TITOLO DELLA LETTERA PASTORALE PER L’ANNO 2006, DIFFUSA
DALLA
CONFERENZA
EPISCOPALE REGIONALE DI TAIWAN
TAIPEI. = La Conferenza episcopale regionale di Taiwan ha
pubblicato una lettera pastorale per il 2006, dal titolo “L’Eucaristia: fonte e
culmine della vita e della missione di ogni parrocchia e associazione
cattolica”. Secondo il bollettino settimanale dell’arcidiocesi
di Taipei, Christian Life Weekly, la lettera pastorale, che porta la data del 15
gennaio, tratta dei seguenti argomenti: l’Eucaristia, fonte della vita;
prolungare i frutti dell’Anno dell’Eucaristia; celebrare adeguatamente il
ringraziamento; l’Adorazione Eucaristica parte integrante della vita; la
missione affidata ai fedeli attraverso l’Eucaristia; vivere la comunione dopo
la Messa.
Come riporta l’agenzia di stampa vaticana, Fides, all’inizio della Lettera si
legge: “Quest’anno la Conferenza Episcopale ha deciso di prolungare la
riflessione dell’anno scorso, continuando l’approfondimento dell’esperienza e
dell’amore verso l’Eucaristia come tema principale dell’attività di ogni
parrocchia e associazione cattolica. Lo scopo è rendere queste realtà piene di
vita e dinamiche, applicando la Pastorale dell’evangelizzazione”. “Il Sacramento
dell’Eucaristia – continuano i vescovi – richiede necessariamente di esser
capaci di stare con gli altri”, svolgendo “la missione che Cristo ci ha
affidato” nella società. Come Maria, che è corsa subito dalla cugina Elisabetta
dopo aver ricevuto l’annuncio dall’Angelo, “anche noi dobbiamo compiere la
missione che Gesù Cristo ci ha affidato, attraverso il sacramento
dell’Eucaristia, attraverso l’opera di servizio”. A conclusione del documento,
i vescovi auspicano che “l’Eucaristia possa portare abbondante vita di grazia
nel nuovo anno, cosicchè la missione evangelizzatrice
porti frutti abbondanti”. (R.M.)
IN AFRICA, 50 MILIONI DI BAMBINI NON HANNO ACCESSO
ALLE STRUTTURE SCOLASTICHE: E’ QUANTO EMERGE DA UN
RECENTE RAPPORTO DELL’UNIONE AFRICANA, SECONDO CUI I GOVERNI
RISERVANO POCHI SOLDI ALL’ISTRUZIONE
ADDIS ABEBA.= Sono circa 50 milioni i bambini
africani che non possono accedere alle strutture scolastiche: è quanto denuncia
l’Unione Africana (UA) in un rapporto diffuso nei giorni scorsi ad Addis Abeba, in Etiopia, a conclusione della Conferenza
dei ministri dell’Educazione. In dieci anni, gli investimenti nel campo
dell’istruzione sono passati da 45 dollari per abitante negli anni ‘90, ai
20-25 dollari nel 2002-2003. Nella relazione si mette in evidenza come le cause
di una tale situazione siano riconducibili non soltanto alla forte crescita
demografica, ma anche alla scarsa volontà politica dei governi di investire nel
settore. Inoltre, come riporta l’agenzia MISNA, durante la Conferenza il ministro
sudafricano all’Istruzione, Naledi Pandor, ha sostenuto che gli Stati membri dell’UA dovrebbero
stanziare all’Educazione almeno il 25 per cento del loro budget e il 6 per
cento del PIL, se vogliono che la scuola primaria diventi gratuita per
tutti i bambini africani entro il 2015. (A.E.)
SONO CIRCA 150 LE LINGUE PARLATE IN MESSICO: A
RIVELARLO È UNO STUDIO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI LINGUE INDIGENE (INALI)
CITTÀ DEL MESSICO. - Gli idiomi autoctoni presenti in
Messico sono circa 150 e non una sessantina, come si riteneva fino a poco tempo
fa: a rivelarlo, è uno studio condotto dall’Instituto
nacional de lenguas indigenas (INALI). “Le statistiche in possesso finora si
riferivano a gruppi culturali e non a lingue vere e proprie – ha spiegato il
direttore dell’INALI, Fernando Nava – ad esempio, ‘zapoteco’ è il termine con cui
veniva classificato sia un territorio, sia il popolo che lo abita, le sue
usanze e l’idioma parlato”. “La verità – ha aggiunto lo studioso - è che esistono
almeno una trentina di lingue ‘zapotecas’!”. Gli
idiomi frequentemente utilizzati sono il Nahua,
parlato da 2 milioni e mezzo di messicani; il Maya, da
1 milione e mezzo; il Mixteco, da 720 mila; l’Otomì, da 640 mila. Altre lingue sono in pericolo di
estinzione: l’Ayapaneco, ad esempio, è parlato da
appena sei persone, il Kiliwa e l’Aguacateco
da un centinaio e il Pápago e il Paipai
da circa duecento. (A.E.)
I “CANTORI DELLA STELLA” DELL’INFANZIA
MISSIONARIA TEDESCA RICEVONO
IL RICONOSCIMENTO DELL’ISTITUTO TEDESCO PER LE QUESTIONI
SOCIALI (DZI)
PER LA GESTIONE RESPONSABILE DELLE DONAZIONI
AACHEN. = Per la
gestione accurata e responsabile delle donazioni ricevute, quest’anno la
campagna dei “Cantori della Stella” dell’Infanzia Missionaria tedesca ha
ricevuto il riconoscimento dell’Istituto Tedesco per Questioni Sociali (DZI),
che con il suo “Sigillo per le donazioni” premia il lavoro di impegno sociale e
caritativo. Nel 2004, la Pontificia Opera per l’Infanzia Missionaria in
Germania ha speso soltanto il 4 per cento delle donazioni ricevute per le spese
di amministrazione e di pubblicità. L’affidabilità e la gestione responsabile
dei mezzi da parte dell’Infanzia Missionaria tedesca viene
attestata anche dai partner locali, nei Paesi dove vengono investite le
donazioni. In occasione di una recente visita in Germania, i segretari generali
delle Conferenze episcopali africane di lingua inglese hanno apprezzato
l’impegno dei “Cantori della Stella” che sostengono i progetti nei loro Paesi.
“La solidarietà che dimostrano i bambini tedeschi nei confronti dei bambini nei
nostri Paesi ci rallegra molto”, ha detto il rappresentante del Malawi, padre Joseph Mpinganjira. Indossando i
tradizionali abiti dei Re Magi, con la loro stella cometa e i loro canti, i
“Cantori della Stella“ nel tempo natalizio e nei primi giorni dell’anno bussano
alle porte delle case tedesche. Circa mezzo milione di bambini nelle 12.500
parrocchie cattoliche della Germania portano la
benedizione “Christus mansionem
benedicat”, ovvero Cristo benedica questa casa”, alle
famiglie, raccogliendo offerte per i loro coetanei che soffrono in tutto il
mondo. (R.M.)
SI INTITOLA “LE RELIGIONI E LO SPORT” IL LIBRO
PUBBLICATO DA EFFATA’ SUL LAVORO DEL COMITATO
INTERFEDI, REALTA’ INTERRELIGIOSA NATA NEL 2002 ALL’INTERNO DELL’ORGANIZZAZIONE
DEI XX GIOCHI OLIMPICI INVERNALI DI TORINO
- A cura di Fabrizio Accatino
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TORINO. = Esce in questi giorni nelle librerie il
volume “Le Religioni e lo sport”, pubblicato da Effatà,
piccola ma agguerrita realtà editoriale torinese. Il libro riporta gli esiti
del lavoro del Comitato Interfedi, nato nel 2002 all’interno
dell’Organizzazione dei XX Giochi Olimpici Invernali che si tengono quest’anno
a Torino. Il Comitato ha raccolto intorno a un’idea, prima ancora che a un
tavolo, rappresentanti delle più importanti religioni del mondo: buddisti,
induisti, ebrei, islamici e cristiani cattolici, protestanti e ortodossi. Un
progetto che don Aldo Bertinetti, direttore
dell’Ufficio Pastorale per il Turismo, lo Sport e il Tempo Libero della Diocesi
di Torino, ha sintetizzato, presentando questa mattina il libro. Il sacerdote
ha detto che questa pubblicazione è nata soprattutto come “relazione del lavoro
fatto insieme e quindi anche come presentazione delle varie religioni che sono
coinvolte in questo discorso, ma anche come testimonianza di questo cammino
molto bello che è stato costruito, questa idea di amicizia”. E sembra importante
testimoniarlo anche attraverso un’operazione di questo genere. “E’ un discorso
– ha detto don Bertinetti – che si spera possa continuare anche dopo”. Creato
per affrontare e risolvere questioni di natura puramente tecnica (quali, ad
esempio, l’organizzazione degli spazi di culto all’interno dei villaggi
olimpici), presto il Comitato si è trasformato in qualcosa di più: un momento
di studio, un’occasione di scambio e di confronto, come ha sottolineato Paolo
Pellegrino, responsabile e fondatore dell’editrice Effatà, che nel suo intervento ha detto: “Pur essendo
soltanto poche persone all’interno di una piccola stanza del Comitato olimpico,
si respirava però immediatamente la portata mondiale dei discorsi, perché attorno
al tema religione e sport emergono poi moltissimi altri argomenti: il tema
della famiglia, il tema del credo religioso e soprattutto il clima conviviale
che si è instaurato, che sicuramente trasmette un messaggio di pace e,
speriamo, in qualche modo, un messaggio duraturo”.
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17
gennaio 2006
- A cura di Fausta Speranza -
In Israele il primo ministro in carica Ehud
Olmert, sollecitato da giornalisti, ha parlato di
alcuni impegni politici. Il nostro servizio:
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Il primo ministro in carica Olmert
ha sottolineato che Israele intende proseguire anche in futuro lungo il
Tracciato di pace, elaborato dal Quartetto (USA, UE, ONU, Russia). “Israele
- ha aggiunto - insiste nel richiedere all’ANP, nel contesto del tracciato di
pace, il disarmo delle organizzazioni terroristiche”, come condizione per la
ripresa dei negoziati. Rispondendo alla domanda di un giornalista su suoi eventuali
progetti per un nuovo ritiro unilaterale in Cisgiordania, Olmert
ha ricordato di essere ancora solo un premier ad interim. Ma, in ogni caso, ha
promesso un’azione severa nei confronti dei coloni ebrei in Cisgiordania, a Hebron e altrove, responsabili di attività illegali. C’è da
dire che da oggi, per la prima volta dalla graduale costituzione a partire
dagli anni Settanta, il rione ebraico di Hebron è
stato proclamato “zona militare chiusa”: è vietato il soggiorno ad israeliani
che non vi siano residenti permanenti. L’obiettivo è
mettere fine alle violenze di giovani coloni che si oppongono all’evacuazione
dalla zona del mercato ortofrutticolo di otto famiglie ebree. Tale sgombero
dovrebbe avvenire nel mese di febbraio. Intanto, proprio in Cisgiordania, Hamas minaccia ritorsioni per l’uccisione, la scorsa notte a Tulkarem, di un comandante locale 24enne. Era uno studente
dell’università di Nablus. Secondo Israele, aveva
organizzato diversi attentati ed era pertanto ricercato da tempo, mentre fonti
palestinesi parlano di un “assassinio”. Resta da dire che oggi in Israele gli
iscritti al partito laburista israeliano prendono parte alle elezioni primarie volte a
definire la lista elettorale per le politiche
del 28 marzo. Il voto è considerato un primo test per la leadership di Amir
Peretz, dopo la defezione di Shimon
Peres che è passato a Kadima.
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Iraq, Libano e Siria, conflitto israelo-palestinese
sono stati al centro dell’incontro oggi al Cairo tra il vicepresidente
americano Dick Cheney e il
presidente egiziano, Hosni Mubarak.
Cheney è arrivato in Egitto ieri e ripartirà oggi per
l’Arabia saudita, l’altro alleato degli americani nella regione. L’ufficio del
vicepresidente ha fatto sapere che con i leader arabi viene
affrontata “l’agenda sulla libertà e la guerra al terrorismo” del presidente americano
George W. Bush. All’aeroporto
di Ryad, per Cheney è
previsto un incontro anche con il leader libanese Saad
al Hariri, figlio dell’ex premier Rafik,
ucciso a febbraio scorso.
Petrolio di nuovo sulla soglia dei 65 dollari, spinto al rialzo dalle preoccupazioni
in merito alla sicurezza delle forniture da parte di Nigeria e Iran, la
cui produzione complessiva è pari al
7,5% mondiale. Il greggio con consegna a febbraio, sul mercato after hours di
New York, è arrivato a 64,95 dollari, in rialzo dell’1,6%. Intanto gli
attivisti nigeriani che hanno attaccato le infrastrutture petrolifere e rapito lavoratori nella zona meridionale del Delta del Niger
hanno minacciato di usare tattiche ancora più aggressive contro i lavoratori
del settore petrolifero e le loro famiglie, a partire dal primo febbraio. I
quattro operai di un impianto
petrolifero della Shell rapiti mercoledì nel delta
del Niger si troverebbero a bordo di una
imbarcazione al largo della Nigeria in
mano a una banda non identificata. Le autorità di Lagos hanno detto che i
quattro stanno bene e che una squadra di negoziatori sta cercando di stabilire
un contatto con
i sequestratori.
Nella pagina politica italiana
continua a dominare lo scontro tra Berlusconi e i DS
sul caso Unipol. Il premier punta l’indice contro il
tentativo della sinistra di scalare la Banca Nazionale del Lavoro attraverso il
mondo delle cooperative. La Quercia minaccia querele. E la vicenda finisce per
intrecciarsi con il progetto di Partito Democratico rilanciato da Romano Prodi,
ma che viene visto con perplessità dai suoi alleati.
Servizio di Giampiero Guadagni:
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Ne aveva chiesto conto Berlusconi. Ed è arrivata immediata la risposta dei legali
di Unipol. I 50 milioni di euro depositati dal
finanziere Gnutti sul conto di Giovanni Consorte sono
ancora nella piena titolarità dell’ex presidente del gruppo assicurativo. Insomma,
secondo questa precisazione, quei soldi non sono finiti nelle casse dei DS,
come invece era stato fatto capire dal premier. “Noi non c’entriamo niente”,
ribadisce con forza il segretario della Quercia, Fassino,
che minaccia querele contro chi sostiene il contrario.
E in un confronto televisivo con il vice premier Fini, Fassino
è passato al contrattacco: è Berlusconi che ha avuto
dei processi, non io. E’ lui che è stato prosciolto grazie a leggi che aveva
fatto approvare. La risposta di Fini: la questione delle scalate bancarie non è
stata posta per primo dal centrodestra, ma da esponenti del centrosinistra che
la scorsa estate avevano denunciato intrecci tra partiti dell’Unione e mondo
degli affari. Certo è che la vicenda sta facendo discutere all’interno dei due
poli. Ai leader della Casa delle libertà, da Casini allo
stesso Fini, non convince una campagna elettorale impostata su temi
giudiziari. E nell’Unione i sondaggi mostrano un disagio dell’elettorato, che
Romano Prodi sembra aver colto rilanciando il progetto del Partito democratico.
Ma sui tempi non c’è accordo con DS e Margherita. E sono emerse anche alcune
tensioni tra Prodi e Fassino. Con il primo che ha
lamentato di aver pedalato da solo per l’Ulivo, e il secondo che ha rivendicato
l’impegno di tutti e ha aggiunto che un processo come quello del Partito democratico
non si improvvisa. Ieri, la tregua e un accordo: non ci sarà la lista unitaria
al Senato. Saranno invece presentate le liste DS e Margherita, con
un richiamo all’Ulivo nei simboli. Prodi ricorda: il quadro politico è
cambiato, anche con la riforma del sistema elettorale, e bisogna stare attenti
a non mettere a rischio la vittoria. Il 4 febbraio è in programma a Roma la
manifestazione per il lancio della campagna elettorale dell’Unione.
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Il condannato alla pena capitale Clarence Allen, 76 anni, ammalato
e cieco, è stato messo a morte oggi nella prigione di San Quintino, in
California, dopo che il governatore Arnold Schwarzenegger gli aveva negato la grazia. Allen, cieco, cardiopatico e costretto alla sedia a
rotelle, era stato condannato a morte per aver organizzato, mentre si trovava
in carcere, l’omicidio
di tre persone. Il governatore della California
venerdì aveva rifiutato di concedere la grazia
ad Allen, il più anziano condannato a morte
dello Stato. Il mese scorso aveva respinto la richiesta di grazia di Stanley ‘Tookie’
Williams, l’ex criminale divenuto dietro le sbarre apostolo della non
violenza.
La Thailandia ha prolungato oggi lo stato di emergenza nel
sud musulmano scosso da sussulti separatisti, che negli ultimi due anni hanno
provocato un migliaio di morti. “Possiamo prolungare lo stato di emergenza ogni
tre mesi - ha dichiarato alla stampa il ministro della Giustizia Chidchai Vanasathidya - dato che
i militanti continuano a uccidere degli innocenti e a tendere imboscate ai
responsabili del governo”. Il ministro ha aggiunto di ritenere che la misura è ancora necessaria”. L’emergenza durerà ora fino al 20 aprile.
In fine, due gravi incidenti
stradali, uno
vicino alla città di Homs - 160 chilometri a nord di
Damasco - e un altro sulla strada che collega i due centri, hanno provocato la
morte di 22 persone e il ferimento di 25. Nel primo caso si è trattato di uno
scontro tra un camion con un minibus, che ha causato 10 morti e 10
feriti. Nessun
dettaglio, invece, sulle circostanze e le cause dell’altro scontro, tra un
camion ed un autobus, che ha provocato 12 morti.
La polizia cinese ha bloccato oggi trenta persone che si
stavano recando nella residenza del leader riformista Zhao
Ziyang per rendergli omaggio ad un anno dalla sua
scomparsa. I trenta sono in maggioranza “petitioners”,
cioè persone venute a Pechino dalle province per protestare contro le
ingiustizie subite dalle autorità locali. La famiglia di Zhao
ha rinunciato ad una commemorazione pubblica, ma ha aperto la residenza a
coloro che vogliono ricordare il leader. Zhao Ziyang, segretario del Partito Comunista dal 1987 al 1989, fu
licenziato per essersi opposto al massacro di studenti di piazza Tienanmen del 4 giugno 1989. Da allora è rimasto agli
arresti domiciliari fino alla sua morte, il 17 gennaio dell’anno scorso.
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