RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 37 - Testo della
trasmissione di lunedì 6 febbraio
2006
IL PAPA E
OGGI IN PRIMO PIANO:
Elezioni presidenziali e parlamentari domani ad
Haiti: ai nostri microfoni Emilia Ceolan
Appello di pace dei vescovi dell’Africa Occidentale
francofona: con noi mons. Pascal N’Koué
Nei cinema italiani, il film
“Persona non grata”, del regista polacco Zanussi
CHIESA E
SOCIETA’:
Oltre dieci milioni di giovani italiani
dichiarano di essere cattolici
Continua a divampare nei Paesi islamici la rivolta
contro le vignette blasfeme: attaccate altre ambasciate occidentali. Scontri in
Afghanistan
6
febbraio 2006
“NON DIMENTICARE L’AFRICA”: BENEDETTO XVI SI
APPELLA ALLA SOLIDARIETA’
VERSO
IL CONTINENTE NEL DISCORSO AI VESCOVI DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA
DEL CONGO, IN VISITA AD LIMINA
Il mondo non dimentichi l'Africa e i vescovi africani,
affiancati da tutti i credenti, siano i primi “profeti” della giustizia e della
pace nel continente. E’ l’appello che Benedetto XVI ha lanciato questa mattina
incontrando i vescovi della Repubblica Democratica del Congo,
al termine della loro visita ad Limina.
Nel suo discorso, il Papa ha parlato dell’inculturazione, del problema delle
sette e dell’urgenza di difendere il vincolo matrimoniale e i giovani dai
pericoli che ne mettono a rischio l’esistenza. Il servizio di Alessandro De
Carolis.
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Azioni coraggiose, perché
l’Africa non può vincere da sola la battaglia contro le miserie – dalla fame
all’Aids – che la feriscono. E’ quasi un grido quello con cui Benedetto XVI sceglie
di suggellare l’incontro con i vescovi di una delle nazioni-simbolo
dell’instabilità africana – generata nel caso specifico dal lungo conflitto
della regione dei Grandi Laghi – per richiamare la comunità internazionale al dovere
della solidarietà. Quel “non dimenticare l’Africa” è quasi uno slogan che arriva
dopo una disamina nella quale il Papa ha passato in rassegna luci e ombre della
Chiesa e della società della Repubblica Democratica del Congo.
Il primo invito è stato una sollecitazione a “tutti gli abitanti del Paese”,
perché si mobilitino “per lavorare alla pace ed alla riconciliazione”, dopo gli
anni di guerra che hanno fatto, ha detto il Papa, “specialmente nella vostra
regione, milioni di vittime”. Che tutti, ha invocato, “siano difensori
coraggiosi della dignità di ogni essere umano e testimoni audaci della carità di Cristo, per costruire
una società sempre più giusta e più fraterna”.
Scendendo poi nel particolare della vita ecclesiale
congolese, Benedetto XVI ha dedicato un primo pensiero all’inculturazione:
IL IMPORTE QUE VOUS
POURSUIVIEZ LA TACHE EXIGEANTE…
“È importante che perseguiate il compito esigente del
radicamento del Vangelo nella vostra cultura, rispettando i valori africani
ricchi ed autentici, ma purificando tali valori da tutto ciò che potrebbe
renderli incompatibili con la verità del Vangelo”.
Il Pontefice ha auspicato una “nuova vitalità” per
l’Eucaristia e la Riconciliazione, Sacramenti in grado di rilanciare la vita
spirituale ma anche collettiva dei fedeli. Cura della famiglia – la cui
integrità è minata dall’emigrazione e dall’AIDS - istruzione civica, uso dei media nell’evangelizzazione sono stati alcuni altri temi
toccati dal Papa nel suo intervento, nel quale ha ribadito che la Chiesa è
impegnata, “secondo la sua vocazione propria”, ad “apportare un contributo
specifico per il bene comune e per il consolidamento dello Stato di diritto”.
Per ciò che concerne l’utilizzazione della radio e della tv nell’annuncio del
Vangelo, Benedetto XVI ha riconosciuto uno specifico vantaggio:
GRACE A CES MOYENS, L’ÉGLISE…
“Grazie a questi mezzi, la Chiesa potrà compiere meglio il
suo ministero profetico, in particolare per limitare l'azione delle sette, che
utilizzano abbondantemente le tecnologie nuove per attirare e confondere i
fedeli”.
Dopo aver parlato della “eminente dignità del matrimonio
cristiano, unico ed indissolubile”, Benedetto XVI si è soffermato sulla
“ricchezza” e la “vitalità dei giovani, indebolite però,
ha riconosciuto , “dall'insicurezza dinanzi al futuro”, dalla “precarietà”,
dalle “inquietanti devastazioni” provocate dall'AIDS. Il Papa, collegandosi
all’auspicio iniziale, ha concluso affermando di condividere il desiderio della Chiesa congolese
“di vedere la riconciliazione e la pace trionfare” nel Paese in modo duraturo,
specialmente “in tutta la regione dei Grandi Laghi”, grazie ad un’azione comune
e “responsabile” dei governanti. Infine, la chiamata a raccolta della comunità
internazionale “per non dimenticare l'Africa”. Una presenza che sia fatta di
“azioni coraggiose e determinate” per consolidarne la stabilità politica ed
economica.
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“IL
SUO SANGUE VERSATO DIVENTI SEME DI SPERANZA PER COSTRUIRE UN’AUTENTICA
FRATERNITÀ TRA I POPOLI”: COSI’ BENEDETTO XVI SULLA MORTE
DI DON ANDREA SANTORO, UCCISO
IERI MENTRE PREGAVA
NELLA SUA CHIESA DI TREBISONDA,
IN TUCHIA
- Con noi, mons. Luigi Padovese e mons. Vincenzo Paglia -
Un “coraggioso testimone del Vangelo della
Carità”: così Benedetto XVI definisce don Andrea Santoro, il sacerdote del
clero romano “fidei donum”,
assassinato ieri in Turchia, nella località di Trebisonda. In due telegrammi, uno inviato al cardinale vicario Camillo Ruini
e l’altro al vicario apostolico dell’Anatolia, mons. Luigi Padovese,
il Papa deplora “ogni forma di violenza” e auspica che il sangue versato di don
Andrea diventi “seme di speranza”. Ad uccidere il missionario sarebbe stato un
adolescente, con due colpi di pistola. Il giovane avrebbe gridato “Allah è
grande” prima di sparare al sacerdote, ucciso mentre
pregava vicino all’altare della sua chiesa a Trebisonda. Il servizio di
Alessandro Gisotti:
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Il suo sangue
versato “diventi seme di speranza per costruire un’autentica fraternità tra i
popoli”: nel momento del dolore, Benedetto XVI ha parole di speranza. Il Papa
guarda al frutto che può nascere dall’esempio di quello che definisce “un
coraggioso testimone del Vangelo della Carità”. Così scrive il Pontefice nel
telegramma indirizzato al cardinale Ruini per la
tragica scomparsa di don Andrea Santoro in cui assicura la vicinanza ai
famigliari e in particolare all’anziana mamma di don Andrea. Nel telegramma al
vicario apostolico dell’Anatolia, mons. Padovese, il
Papa sottolinea invece come don Andrea svolgesse in
Turchia con “generosità e zelo apostolico il ministero in favore del Vangelo e
a servizio delle persone bisognose ed emarginate”. Quindi, esprimendo la sua
vicinanza alla comunità cristiana dell’Anatolia, ribadisce la sua “ferma
deplorazione per ogni forma di violenza”.
Una vita interamente dedicata a Cristo, al dialogo tra le
religioni e le culture, alla reciproca comprensione tra i popoli. Questa è
stata la parabola umana di don Andrea Santoro, un uomo innamorato della sua
missione, che con le parole e i gesti ha davvero dimostrato che Dio è amore.
Con questo spirito, sei anni fa, l’allora parroco
della comunità romana di Santi Fabiano e Venanzio,
chiese di poter partire alla volta della Turchia. Nei luoghi in cui, ha
sottolineato lui stesso in un’intervista di pochi giorni fa a Roma Sette,
“gli Apostoli furono impegnati in un’intensa attività di evangelizzazione, in
cui prese corpo la Chiesa”. Qui, a Trebisonda sul Mar Nero, don Andrea - nato
in provincia di Latina, 60 anni fa - ha speso l’ultima parte della sua vita
come testimone del Vangelo. Ma in questa terra, don Andrea si è impegnato in
modo instancabile per i deboli, gli indifesi. In particolare, ha aiutato tante
ragazze cadute nell’inferno della prostituzione.
“Con questo tragico evento – ha
dichiarato il cardinale Camillo Ruini – si aggiunge
un nuovo anello alla lunga catena dei sacerdoti romani che hanno versato il
proprio sangue per il Signore”. Don Andrea, ha ricordato il porporato “aveva
intensamente desiderato e insistentemente chiesto di poter lasciare Roma per
l’Anatolia, per essere in quella terra testimone silenzioso e orante di Gesù
Cristo”. La diocesi di Roma, pur nel grande dolore, ha detto ancora, “è
orgogliosa di lui e ringrazia il Signore per questa fulgida testimonianza
nell’umile certezza che da essa nascerà nuova vita
cristiana”. Anche il presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, che stamani ha chiamato il cardinale Ruini, si è detto “addolorato e scosso” per l'assassinio di
don Andrea.
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L’assassinio del missionario italiano è stato condannato dal premier
turco Tayyip Erdogan. E
sgomento e dolore sono i sentimenti che prevalgono in queste ora tra i cristiani
dell’Anatolia. Giancarlo La Vella ha raggiunto
telefonicamente in Turchia il vicario apostolico dell’Anatolia, mons. Luigi Padovese. Ecco la sua testimonianza:
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R. – Sembra che il motivo di fondo di questo omicidio, in
chiesa, sia espressione di fanatismo, ecco. A Trebisonda, il rapporto che don
Andrea aveva con la realtà religiosa presente musulmana era
buono, anche l’anno scorso è stato lui stesso che mi ha portato dal
muftì … quindi, probabilmente, si tratta di un esaltato. E’ difficile, adesso,
sapere se si tratta di un atto isolato oppure se rientra in una strategia:
questo forse lo vedremo in seguito.
D. –
Questo drammatico episodio che cosa vi lascia, dentro?
R. – Ci lascia tutta l’amarezza di sapere che abbiamo
perso un amico, un fratello ed un buon collaboratore, e al tempo stesso ci
riconferma nella volontà di rimanere qui, in questa terra, che è così
importante per noi cristiani. Questa è stata la terra dei martiri, nel passato,
e sembra che oggi torni ad esserlo: questa è appunto la testimonianza più evidente
che la morte di don Andrea ci lascia!
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Uomo di
preghiera e di dialogo, don Andrea Santoro ha sempre vissuto con passione la
sua fede. Tra quanti lo hanno conosciuto ed apprezzato fin da ragazzo, c’è
mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia,
legato al sacerdote ucciso anche per l’impegno ecumenico ed interreligioso. Al
microfono di Alessandro Gisotti, mons. Paglia ricorda con parole commosse la
figura dell’amico don Andrea:
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R. – Con don Andrea ci conosciamo dagli anni del ginnasio;
poi abbiamo fatto il liceo insieme, fino – appunto – all’ordinazione
sacerdotale. La passione per l’evangelizzazione, man mano, in don Andrea,
assumeva toni sempre più – per certi versi – robusti e irrequieti assieme, fino
poi alla decisione di andare in Turchia. E lì, lui voleva vivere una testimonianza
evangelica.
D. – Mons. Paglia, la vita di
don Andrea ricorda in qualche modo quella di Charles
de Foucauld, anche per questa fine tragica?
R. – Non c’è dubbio che questo stile di Charles de Foucauld l’abbia segnato fino alla morte, e a me
fa piacere anche ricordarlo tra quelli che sono morti sull’altare, come mons. Romero: due colpi e uno di questi ha raggiunto il cuore.
Come mons. Romero, vorrei dire, ha raggiunto non solo
il cuore fisico ma il cuore spirituale di don Andrea,
che era appunto quello della caparbietà e della tenacia dell’amore,
dell’incontro, della prosecuzione dell’unica via possibile per la pace, che è
poi l’unica via del Vangelo che è quella, appunto, di dare la propria vita non
per distruggere l’altro, ma per amarlo. Se mi è permesso dire, don Andrea testimonia
oggi che l’unica morte che ha senso non è quella dei kamikaze, non è quella
delle guerre: l’unica morte che ha senso è quella che avviene perché si dà la
vita per la salvezza, per la libertà degli altri, per l’amore degli altri.
D. – Don Andrea, proprio come lei, era un uomo votato al
dialogo interreligioso. In questo senso, in un momento particolare come questo,
forse c’è proprio bisogno di persone come lui?
R. – Direi proprio di sì. In questo, don Andrea ci mostra
il proprium
del cristianesimo. Ecco: don Andrea ci mostra che il Vangelo, e dare la vita –
e dare la vita, la si può dare sia con il sangue,
ovviamente, come è accaduto per lui, ma anche dare la vita per aiutare, per
amare, per voler bene, per generare, per opporsi a tutto ciò che è violenza: ecco,dare
la vita è quel proprium
dell’amore cristiano che Papa Benedetto ci ha ricordato. Deus caritas
est.
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Don Andrea era, dunque, un uomo
del dialogo: voleva avvicinare mondi diversi, in particolare il Cristianesimo e
l’Islam: voleva che si comprendessero di più. Ma senza dimenticare l’urgenza
di portare il Vangelo nel mondo. Ecco cosa scriveva nell’ottobre dell’anno scorso
in una lettera pubblicata sul sito “Finestra per il Medioriente”,
iniziativa di cui don Andrea era curatore. Ce ne parla Sergio Centofanti:
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Europa e Medioriente: “chi
mi avrebbe detto anni fa – scrive don Andrea -
che avrei unito nel mio cuore amori così distanti? … chi mi avrebbe detto che avrei
‘portato in grembo’, come si dice di Rebecca, due
‘figli’ che ‘cozzano tra di loro’, pur essendo
fratelli nello stesso Abramo? Una madre sa che i suoi figli non si dividono in lei anche se sono divisi tra loro. Così accade anche a me”.
Don Andrea sente la necessità che questi due mondi possano capirsi davvero e
scambiarsi le proprie ricchezze: a volte – scrive - “ho l’impressione che questi mondi non
si parlino in profondità, ma facciano come quelle coppie che parlano solo di
spesa, di bollette, di mobili da spostare e di salute dei figli e si illudono
di comunicare e invece diventano sempre più estranei. Europa e Medio Oriente
(Turchia compresa, anche se è un caso a sé), Cristianesimo e Islam devono parlare
di sé stessi … devono confrontarsi sull’immagine che hanno di Dio … del singolo
individuo, della società,
… sul senso che danno al dolore e alla morte, su cosa voglia dire
che i popoli sono molti ma l’umanità è una, che la terra è divisa in nazioni
territoriali ma tutta intera è una casa comune”.
“Devono aiutarsi anzi a vicenda – scrive
don Andrea - a
purificare il proprio passato e la propria memoria… Io credo che ognuno di noi dentro di sé possa
diminuire la lontananza tra questi mondi. E’ a partire dallo sguardo di Cristo e
dall’amore del Padre che lo ha inviato a tutti i suoi figli, che possiamo riscoprire vicini
quanti sentiamo lontani. Come Gesù ci portava tutti dentro di sé, sui peccati
di tutti versava il suo sangue e tutti ci sentiva pecore dell’unico suo gregge
così noi possiamo dilatare il nostro cuore. Questo non ci impedirà di
annunciare chiaramente e per intero il Vangelo e di agire in totale conformità
ad esso. Al contrario – scrive don Andrea - ce lo farà sentire
un debito e un dovere. Ma ce lo farà fare col cuore di
Gesù sulla Croce, spalancato dall’amore e aperto dalla lancia, non con i
sentimenti duri di chi ha sempre un avversario davanti. Don Andrea parla di come procedono le cose
nella piccola comunità cristiana di Trebisonda: siamo in una fase “tutta
avvolta ancora nell’oscurità, in attesa che Dio ci
indichi le sue vie”. E’ un tempo – scrive - fatto “di umiltà nell’accettare la
povertà di risorse, di persone, di strumenti, di capacità personali”. E’
un’attesa “fatta
di silenzio, di preghiera, di speranza, di intima disponibilità a quello che
Dio vorrà…”
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ALTRE
UDIENZE
Stamane il Papa ha ricevuto anche il cardinale Jean-Louis
Tauran, Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa con il padre Sergio Pagano,
prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano; inoltre ha ricevuto l’arcivescovo
Paolo Romeo, nunzio apostolico in Italia e nella Repubblica di San Marino.
SECONDO
INCONTRO DEL CONSIGLIO POSTSINODALE DEDICATO ALL’ANALISI
DELLE
PROPOSIZIONI EMERSE DURANTE IL SINODO DEI VESCOVI SULL’EUCARISTIA
DELLO
SCORSO OTTOBRE
- A
cura di Alessandro De Carolis -
Il Consiglio ordinario della segreteria generale del
Sinodo dei vescovi è tornato a riunirsi alla fine di gennaio per fare il punto
dopo la grande assise di ottobre sull’Eucaristia. In un comunicato diffuso
oggi, la segreteria del Sinodo, presieduta da mons. Nikola
Eterović, riferisce dell’incontro di lavoro del
30 e 31 gennaio scorsi, il secondo dalla fine dell’XI Assemblea ordinaria
sinodale che dal 2 al 23 ottobre 2005 riunì a Roma, alla presenza di Benedetto
XVI, molte delle massime autorità della Chiesa mondiale per riflettere su
“L’Eucaristia fonte della vita e della missione della Chiesa”.
Dopo un primo incontro avvenuto durante i giorni del
Sinodo, la seconda riunione dei 15 membri del Consiglio postsinodale
ha esaminato e inserito in una prima bozza schematica le proposizioni emerse
dal Sinodo. Tale lavoro, una volta ultimato, fornirà
al Papa un contributo che successivamente, come già annunciato dallo stesso
Benedetto XVI, sarà “accolto ed elaborato in un documento pontificio”. Inoltre,
il Consiglio, diviso in due gruppi di lavoro, ha riflettuto anche sulle
innovazioni metodologiche – come gli interventi liberi - introdotte nell’ultimo
Sinodo e “unanimemente apprezzate”. I membri del Consiglio ordinario torneranno
ad incontrarsi il primo e il due giugno 2006.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina la notizia
del barbaro assassinio di Padre Andrea Santoro in Turchia. Il telegramma di
cordoglio di Benedetto XVI.
Servizio vaticano - Angelus:
ogni vita umana, in quanto tale, - ha detto il Papa - merita ed esige di essere
sempre difesa e promossa.
Il discorso del Santo Padre a
Vescovi della Repubblica Democratica del Congo.
"Condivido con voi la speranza - ha affermato il Papa - di vedere la
riconciliazione e la pace trionfare nel vostro Paese e in tutta la regione dei
Grandi Laghi".
L'omelia di Benedetto XVI
durante la solenne Concelebrazione Eucaristica nella parrocchia di Sant'Anna in
Vaticano.
Servizio estero - Per la
rubrica dell' "Atlante geopolitico"
un articolo di Giuseppe Maria Petrone dal titolo
"Afghanistan: aiuti per la ricostruzione".
Servizio culturale - Un
articolo di Marco Impagliazzo dal titolo "L' 'Europa culturale' di Giuseppe
Vedovato": pubblicata la sua "Antologia quasi autobiografica".
Servizio italiano - In primo
piano il tema della par condicio.
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6 febbraio 2006
SI VOTA ANCHE PER LE PRESIDENZIALI,
DOPO LA CADUTA DI ARISTIDE NEL 2004
Ore di calma vigilata ad Haiti, dove
domani si terranno cruciali elezioni generali che, dopo quattro rinvii per
ragioni di sicurezza, puntano a donare un assetto democratico al Paese caraibico, a due anni esatti dalla caduta del capo di Stato
Aristide, avvenuta nel febbraio 2004. Favorito alla sua successione è l’ex
presidente René Preval,
candidato della coalizione ‘L’Espwa’
(La Speranza). Oltre 3milioni e mezzo gli aventi
diritto al voto. Polizia e forze ONU - tra l’altro non viste di buon occhio
dalla popolazione - cercano di assicurare la normalità, ma la campagna
elettorale, chiusasi ieri, è stata segnata dalle violenze. Un clima di tensione
questo che è continuato ininterrotto dall’uscita di scena di Aristide.
Al microfono di Giada Aquilino, ce lo conferma Emilia Ceolan, presidente del Movimento Laici America Latina, che
ha progetti umanitari proprio ad Haiti:
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R. – E’ dalla caduta di Aristide che Haiti è attraversata
dalle violenze, sia ad opera delle bande fedeli ad
Aristide, sia da gente interessata a continuare l’esportazione della droga
molto diffusa negli ultimi anni. Pare che il 25 per cento della droga dalla
Colombia verso gli Stati Uniti passi per Haiti. Per cui la violenza non è solo
di questi ultimi tempi.
D. – In che contesto sociale e umanitario avvengono queste
elezioni?
R. – La condizione è la più tragica di tutto il continente
latinoamericano. Solo la disoccupazione oscilla tra il 70 e l’80 per cento, la
distruzione ambientale ha le stesse cifre, perché - non avendo fonti di energia
- la gente cucina ancora a legna. Il problema è che i finanziamenti esteri
oltre a preoccuparsi della democrazia e degli osservatori internazionali per le
elezioni, dovrebbero anche occuparsi della miseria in cui versa il Paese,
perché è questa che, in prima istanza, porta il caos.
D. – Dopo l’era Aristide, che
cosa chiede la popolazione al nuovo presidente?
R. – Chiede sicuramente un miglioramento economico e la
possibilità di portare avanti lo sviluppo del Paese, autonomo e sovrano.
D. – Qual è l’impegno del Movimento Laici America Latina ad Haiti?
R. – Noi abbiamo interventi in atto sia nella capitale Port-au-Prince sia al confine con
la Repubblica Dominicana, in termini di iniziative per il cooperativismo che
vanno dall’acqua alla luce, fino allo sviluppo agricolo. Speriamo di cominciare
adesso un progetto co-finanziato dal Ministero
italiano per gli affari esteri, di cui è partner anche il
Jesuit Refugee Service, che ha come priorità i diritti umani degli
haitiani, ma anche il rafforzamento istituzionale e la possibilità di sostenere
lo sviluppo economico, soprattutto in ambito agricolo.
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A CONCLUSIONE DELLA PLENARIA DELLA CERAO, I VESCOVI DELL’AFRICA
OCCIDENTALE FRANCOFONA LANCIANO UN APPELLO DI PACE PER IL CONTINENTE
-
Intervista con mons. Pascal N’Kouè -
Si è conclusa ieri ad Abidjan in
Costa d’Avorio la plenaria della Conferenza Episcopale Regionale dell'Africa
Occidentale francofona (CEREAO). L’incontro è stato dedicato a questioni
riguardanti la liturgia, l’integrazione delle varie componenti ecclesiali, la
testimonianza personale e comunitaria, il rafforzamento dell’impegno per la
promozione della giustizia, della pace e dello sviluppo integrale dei Paesi
africani. La plenaria ha quindi rieletto presidente della CEREAO l’arcivescovo di Dakar, in Senegal, mons. Théodore-Adrien Sarr. Nel
messaggio finale della plenaria i vescovi hanno lanciato un accorato appello
di pace per l’Africa. Sui contenuti
dell’incontro di Abidjan ascoltiamo il vescovo di Natitingou,
nel Benìn, mons. Pascàl N’Kouè. L’intervista
è di padre Joseph Ballong:
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R. – Il
contenuto essenziale del nostro incontro è stato quello della pace e della
speranza per tutti i fedeli, per il popolo della Costa d’Avorio, che ne ha
certo bisogno, forse più di altri, e per tutti i popoli dell’Africa. Sappiamo
che l’Africa ha bisogno di pace, ma come ha detto il Santo Padre, Giovanni
Paolo II: “Non c’è pace senza giustizia. Non c’è giustizia senza perdono”. Per
arrivare a questo perdono ci vuole molto amore. Ci siamo detti, dunque, che bisogna
intensificare l’annuncio di Gesù Cristo che è Principe della pace, perché senza
questa pace non possiamo andare avanti. C’è stato, dunque, un appello molto
forte al perdono, alla riconciliazione, per poter arrivare alla pace, perché le
popolazioni sono stanche, stanche dei conflitti, delle violenze e vogliono
veramente la pace. Ecco perché anche noi vescovi stiamo rafforzando la nostra
unità per poter promuovere l’unione di tutti i popoli in Africa sulla via del
progresso e dello sviluppo.
D. - Non è la
prima volta che i vescovi dell’Africa Occidentale lanciano un messaggio in
favore della pace, ma i conflitti continuano. Pensate che questa volta i capi
di Stato e tutti i protagonisti dei conflitti in Africa vi ascolteranno?
R. – La nostra
speranza è che tutti ci ascoltino. La pace, però, è un impegno lungo. Cristo è
la nostra pace. Dalla sua venuta, 2000 anni fa,
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NEI
CINEMA ITALIANI, IL FILM “PERSONA NON GRATA”, DOVE IL REGISTA POLACCO
ZANUSSI
OFFRE UNO SPACCATO SULL’ESSERE CITTADINO DELL’EST E DELL’EUROPA
DI
OGGI, TRA IDEALI CROLLATI E AFFARI SPORCHI DELLA POLITICA E DELL’ECONOMIA
Il
regista polacco Krzysztof Zanussi
propone sugli schermi, con il suo nuovo film “Persona non
grata”, da venerdì scorso nelle sale cinematografiche italiane, una
nuova riflessione cinematografica sull’uomo, la sua natura e la società della
nuova Europa, quella nata dagli sconvolgimenti del secolo scorso. Stile come
sempre asciutto, storia tesa e intensa che coinvolge animi e cancella
illusioni. Il servizio di Luca Pellegrini:
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Uomini,
idee e vocazioni. I giorni della storia sono riletti da Krzysztof
Zanussi con parsimonia narrativa, lucidità d’autore e
disincanto d’artista nel suo Persona non grata,
un film in cui riaffronta una vicenda di ideali crollati, affari sporchi e
cuori infranti a Montevideo, in Uruguay, fuori e
dentro la locale ambasciata polacca. Una specie di legal
thriller introspettivo esportato a miglia di distanza, in quella “terra di
nessuno” che sono gli “spazi” diplomatici ed in cui si sommano intrighi vari,
paure incerte, pesantezze dell’essere, mezze e trafugate verità.
Essere
cittadino dell’Est e dell’Europa oggi: individui e personalità
generati dal comunismo prima e dal post-comunismo (e post-capitalismo)
poi. Tentazioni mai sopite, rimpianti camuffati: sono questi gli stimoli
dell’animo, sono queste le tensioni, forse oggi un poco demodé, rilevate da Zanussi, pretesto esplicito per riflettere il passato
recente e il presente incerto della Polonia e, in
fondo, del nostro inquieto Continente unito. Con un principale interrogativo
etico di fondo, tipico del regista polacco: siamo frutto di quali scelte e di
quali illusioni ideologiche, sociali, politiche e, forse, anche religiose?
Nell’anno in cui si sono festeggiati i 25 anni di Solidarność, non è
peregrina questa inquietudine sui ruoli svolti dai protagonisti della nostra
recente storia. L’ambasciatore Wiktor (intensa la recitazione di Zbigniew
Zapasiewicz, attore amato anche da Wajda, Kieslowski e Skolimowski) rende esplicite tutte queste dimensioni
moderne dell’essere: nobile nell’anima e depresso nello spirito, non riesce a
convivere con la nuova economia, la nuova politica, la nuova storia, i nuovi
europei. I nuovi amici e nemici che si scambiano ruoli, modi e mete. E’ estremamente
dolente, la sua figura, tanto quanto è irruente quella di Oleg,
vice ministro russo, un magistrale Nikita Mikhalkov, adeguatosi totalmente ai tempi, appunto nuovi,
del nuovissimo mondo. Il rapporto tra loro, le loro origini ed i loro ruoli,
finirà con una parziale redenzione e un parziale fallimento. Scoprendo che si
può essere “non grati” sia per natura sia per destino.
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6 febbraio 2006
LA CHIESA RICORDA OGGI SAN PAOLO
MIKI E COMPAGNI. MARTIRI GIAPPONESI,
SUBIRONO
A NAGASAKI IL SUPPLIZIO PER AVERE ANNUNCIATO IL VANGELO
- A
cura di Tiziana Campisi -
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ROMA. = È stato il primo giapponese accolto in un ordine
religioso cattolico, quello dei Gesuiti. Nato a Kyoto
nel 1556, Paolo Miki, conosceva bene le religioni
orientali ed aveva aperto un buon dialogo con dotti buddhisti.
Grazie alla sua predicazione i cristiani in Giappone divennero decine di
migliaia e nel 1582-84, per la prima volta, una delegazione giunse a Roma,
autorizzata dallo Shogun Hideyoshi,
e lietamente accolta da papa Gregorio XIII. Ma temendo che il cristianesimo potesse compromettere l’unità nazionale, già indebolita dai
feudatari, a causa del comportamento offensivo e minaccioso di marinai
cristiani (spagnoli) arrivati in Giappone, e di gravi dissidi tra missionari di
vari ordini in terra giapponese, Hideyoshi capovolse
la politica verso i cristiani dando vita a spietati eccidi. Una prima
persecuzione locale coinvolse proprio Paolo Miki.
Arrestato nel dicembre 1596 a Osaka, trovò in carcere tre gesuiti e sei
francescani missionari, con 17 giapponesi terziari di San Francesco. Insieme a loro venne crocifisso su un’altura presso Nagasaki. “Il nostro fratello Paolo Miki,
vedendosi innalzato sul pulpito più onorifico che mai avesse avuto, per prima
cosa dichiarò ai presenti di essere giapponese e di appartenere alla Compagnia
di Gesù, di morire per aver annunziato il Vangelo e di ringraziare Dio per un
beneficio così prezioso”. È quanto si legge nella «Storia del martirio dei santi Paolo Miki e compagni», (Cap. 14, 109-110; Acta
Sanctorum Febr. 1, 769) che riporta anche le ultime parole del
santo: «Giunto a questo istante, penso che nessuno tra voi creda che voglia tacere
la verità. Dichiaro pertanto a voi che non c'è altra via di salvezza, se non
quella seguita dai cristiani. Poiché questa mi insegna a perdonare ai nemici e
a tutti quelli che mi hanno offeso, io volentieri perdono all’imperatore e a
tutti i responsabili della mia morte, e li prego di volersi istruire intorno al
battesimo cristiano». Nell’anno 1846, a Verona, un seminarista quindicenne
lesse il racconto di questo supplizio e ne ebbe la prima
forte spinta alla vita missionaria: era Daniele Comboni,
futuro apostolo della “Nigrizia”, alla quale dedicherà vita e morte. Paolo Miki è stato proclamato Santo da Papa Pio IX nel 1862.
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OLTRE DIECI MILIONI DI GIOVANI ITALIANI DICHIARANO
DI ESSERE CATTOLICI.
LO
RIVELA UN’INDAGINE PROMOSSA DAL CENTRO DI ORIENTAMENTO PASTORALE
ROMA. = Sono più di 10 milioni i giovani che
dichiarano di aderire alla religione cristiana cattolica. Circa il 70 per
cento, dunque, della popolazione giovanile nazionale. Ma nell’ultimo decennio
la frequenza della Messa tra i giovani italiani si è ridotta. Il dato emerge
dalla ricerca promossa dal Centro di Orientamento Pastorale (COP) e realizzata dall’Istituto
IARD, presentata questa mattina nella sede della Radio Vaticana a Roma, da mons.
Domenico Sigalini, presidente del COP,
e da Riccardo Grassi dello IARD. L’indagine ha coinvolto, in tutta
Italia, un campione di 3.000 giovani tra i 15 e i 34 anni. Nel 2004 la
percentuale dei giovani che frequentano le chiese è scesa dal 25 per cento,
registrato nel 1992, al 17 per cento. Si dichiarano cattolici il 73 per cento
delle giovani donne, contro il 66 degli uomini. I cattolici sono più numerosi
nelle regioni del Sud (80 per cento), mentre la
percentuale più bassa si registra nel centro Italia (59 per cento). La ricerca
mette in luce le differenti modalità di vivere le pratiche e l’appartenenza religiosa.
I giovanissimi sono i più assidui frequentatori delle funzioni religiose (il 28
per cento dei 15-17enni dichiara che, nel corso degli ultimi sei mesi – il dato
si riferisce al momento dell’indagine – ha assistito ad una funzione religiosa
“tutte le settimane”). Consuetudine assai diffusa la preghiera individuale: un ragazzo italiano su cinque prega tutti i giorni, uno su
tre “a volte, senza continuità” e uno su quattro non prega mai. È la mamma, per
lo più, a trasmettere la fede ai figli. Il 37 per cento degli intervistati
considera la propria madre la figura più significativa
per la maturazione del proprio credo. Sulla base delle risposte fornite dagli intervistati,
l’istituto IARD ha individuato undici diversi modi di vivere la dimensione
religiosa da parte dei giovani, sicchè si può parlare
di: agnostici, non credenti, coloro che credono solo in un dio generico, minoranze
religiose, cristiani generici, cattolici lontani, cattolici occasionali,
cattolici ritualisti, cattolici intimisti, cattolici moderati, cattolici ferventi.
Parte della ricerca è dedicata all’analisi dell’influenza che la religione
esercita sulle scelte e sui comportamenti quotidiani. In una società fortemente secolarizzata, tra i giovani italiani si registra
una “scissione tra ambito religioso e ambito non religioso”: il primo è ridotto
sempre più ad una generica dimensione morale e alla frequenza di riti la cui
collocazione spazio-temporale è ben delineata. I giovani religiosi di fronte ad
una situazione concreta fanno riferimento a modelli pragmatici di stile laico, fortemente accattivanti e immediatamente spendibili, che
richiedono un minore impegno nella rielaborazione e nell’applicazione al caso
particolare dei principi generali fondanti il proprio credo. (T.C.)
IL
CATECUMENATO, NECESSITÀ INDEROGABILE PER IL CREDENTE:
È
QUANTO HA SOTTOLINEATO STAMANI, A ROMA, IL SEGRETARIO GENERALE DELLA CEI, MONS. GIUSEPPE BETORI, ALL’APERTURA DEL CONVEGNO NAZIONALE
SULLA
CATECHESI PER ADULTI
ROMA.= “Il servizio catecumenale
(cioè la formazione di adulti che tornano alla vita cristiana) è una necessità
inderogabile per il credente, perché risponde all’esigenza intrinseca alla fede
di essere comunicata”. Con queste parole – rileva l’Agenzia SIR - mons. Giuseppe Betori ha aperto oggi a Roma, nella Casa Bonus Pastor, il Convegno nazionale “Il Catecumenato
nella Chiesa in Italia” sul ritorno degli adulti alla fede, promosso da CEI,
dalla diocesi di Roma e dall’Istituto “Ecclesia Mater” dell’Università Lateranense. “Il catecumenato
è un dono alla nostra vita – ha proseguito mons. Betori
– occasione di nuova fecondità della Chiesa, e non certo un rifugio in un clima
di rassegnazione in un tempo di crisi”. Il catecumenato,
ha aggiunto il segretario generale della CEI, impegna e richiede sinergie per
rispondere alla dinamica del processo della fede, con la testimonianza aperta,
l’ardore missionario, la creatività e la costanza. Rivolgendosi ai
rappresentanti di 55 diocesi mons. Betori ha
ricordato che la proposta del catecumenato “deve assumere
un profilo di comunione, apertura teologica e culturale, per uscire dai
ghetti”. Occorre quindi “ sensibilizzare la comunità ecclesiale perché non sia
spettatrice ma madre e testimone di fede nell’accogliere chi ritorna alla
fede”. Nella giornata di domani gli interventi dei relatori sottolineeranno
l’importanza della parrocchia come luogo della maturazione cristiana, mentre
mons. Lorenzo Chiarinelli, vescovo di Viterbo,
evidenzierà il culmine del processo di iniziazione al mistero pasquale e la
risurrezione del cristiano alla vita divina in Cristo. (A.E.)
UNA SCUOLA MOBILE SU UN BUS PER PORTARE L’ISTRUZIONE
NELLE AREE PIÙ REMOTE DELLO STATO DI GOA, IN INDIA. È IL PROGETTO LANCIATO DAI
SALESIANI DI KONKAN, IN COLLABORAZIONE CON IL GOVERNO, NELL’AMBITO DEL
CENTENARIO DELL’ARRIVO
DEI SEGUACI DI DON BOSCO NEL PAESE
NUOVA DELHI.= Via, nello Stato
di Goa, nell’India occidentale, ad una scuola mobile
allestita su un bus. Il progetto, che prevede la
possibilità di raggiungere le zone dove il tasso di analfabetismo è altissimo,
è stato lanciato dai salesiani di Konkan, per
celebrare il centenario dell’arrivo dei seguaci di don Bosco in India. In
collaborazione con il governo, i religiosi si sono fatti promotori, di una iniziativa che non ha precedenti nel Paese. La scuola,
destinata a ragazzi di età compresa fra i 5 e i 14 anni, è un autobus adibito
ad aula e dotato di tutti gli strumenti didattici basilari. Muovendosi da un
luogo all’altro, scrive l’agenzia salesiana Ans,
raccoglie ad ogni fermata circa una ventina di bambini che per due ore al giorno beneficiano di lezioni. Al termine dell’anno
scolastico, tutti coloro che avranno seguito assiduamente i corsi riceveranno
un riconoscimento governativo che permetterà loro di iscriversi alle scuole
superiori. (A.E.)
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6 febbraio 2006
- A cura di
Amedeo Lomonaco -
Non si placano le proteste innescate dalla pubblicazione
di vignette satiriche su Maometto prima in Danimarca, poi in Norvegia e,
successivamente, anche in altri Paesi. Manifestazioni di protesta si sono
tenute oggi in Iran, dove poco fa i dimostranti hanno cercato di attaccare
l’ambasciata austriaca a Teheran, in Indonesia e nei
Territori Palestinesi. Ma l’episodio più grave è avvenuto a Mih-tarlan,
città dell’Afghanistan orientale. Il nostro servizio:
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In Afghanistan due persone sono morte
quando una violenta manifestazione è degenerata in una sparatoria. Un
agente ha riferito che ad aprire il fuoco sono stati ribelli talebani e
militanti di Al Qaeda. In Indonesia, il più grande
Paese musulmano al mondo, centinaia di persone si sono radunate a Giakarta
davanti all’ambasciata danese, chiedendo le scuse dal governo di Copenhagen. Nei Territori Palestinesi,
decine di giovani hanno nuovamente attaccato, stamani, l’ufficio di
rappresentanza dell’Unione Europea a Gaza. Poco dopo, manifestanti palestinesi
hanno assaltato un centro di cultura francese a Nablus.
In Libano, il ministro dell’Interno, Hassan
Sabeh, ha rassegnato le dimissioni dopo le dure proteste
di ieri a Beirut. Il governo libanese si è scusato, inoltre, con la Danimarca
per l’incendio doloso divampato nella sede del consolato danese e costato la
vita ad un manifestante. Diversi parlamentari libanesi hanno anche accusato la
Siria di essere coinvolta nei tumulti scoppiati, ieri, in un quartiere
cristiano di Beirut. Dopo queste violente proteste, il segretario generale
dell’ONU, Kofi Annan, ha
rivolto un nuovo invito alla moderazione: “Il risentimento - ha detto - non può giustificare la violenza”. Kofi Annan ha anche chiesto a
governi, autorità religiose e civili di fare tutto il possibile per ridurre la
tensione ed evitare azioni o dichiarazioni che possano ulteriormente esasperare
gli animi. Il ministro svedese degli Esteri, Laila Freivalds,
ha chiesto un‘azione comune di Unione Europea e mondo arabo per porre fine alle
violenze e sviluppare una cooperazione più stretta. Un appello congiunto è
stato lanciato, infine, dal primo ministro turco, Recep
Erdogan, e dal premier spagnolo, José Luís Zapatero. Le proteste – ha detto Erdogan
– fanno il gioco di chi cerca “lo scontro fra civiltà”.
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L’Iran ha comunicato
all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) di volere avviare
l’arricchimento dell’uranio su scala industriale. Lo ha detto poco fa il capo
negoziatore iraniano sul nucleare, Ali Lariani,
aggiungendo che per far partire le operazioni bisognerà aspettare l’arrivo, nei
prossimi giorni, degli ispettori
dell’agenzia delle Nazioni Unite.
Nuovo stop di Israele al
trasferimento delle somme dovute all’Autorità Nazionale Palestinese per le
rimesse sulle imposte doganali. Il primo ministro ad interim, Ehud Olmert, ha annunciato che
non saranno versati fondi a un governo palestinese
guidato da leader di Hamas. Ieri il ministro
israeliano per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale, Zeev
Boim, aveva annunciato, invece, la decisione di
scongelare circa 55 milioni di dollari di rimesse fiscali. Sul terreno, un
ennesimo raid aereo israeliano a Gaza ha causato ieri pomeriggio
la morte di due estremisti palestinesi. Continuano, intanto, ad essere
“gravi e stazionarie” le
condizioni di salute del premier israeliano Ariel Sharon,
colpito lo scorso 4 gennaio da una grave emorragia cerebrale. Il quotidiano
israeliano “Haaretz”, citando fonti mediche, rivela
che Sharon si trova in “coma vegetativo”. Secondo il giornale, sono “esigue” le
speranze che il premier possa riprendere conoscenza.
Nuovi sospetti casi di
influenza aviaria: sette persone sono state ricoverate nel Kurdistan iracheno.
Lo ha reso noto una rappresentante dell’Organizza-zione Mondiale della Sanità
in Iraq. Secondo il funzionario delle Nazioni Unite, si tratterebbe del virus
H5N1, il ceppo più letale per gli uomini che ha ucciso almeno 85 persone a
partire dal 2003.
Almeno tre persone,
due poliziotti e un paramilitare, sono state uccise a colpi di arma da fuoco
nel sud della Thailandia, zona a maggioranza musulmana. Si tratta dell’ultimo
episodio di un’offensiva, iniziata il mese scorso, da fondamentalisti islamici.
In Egitto, i familiari delle
vittime del naufragio avvenuto nel Mar Rosso venerdì scorso hanno assaltato e
devastato gli uffici della compagnia marittima egiziana proprietaria
della nave affondata probabilmente in seguito ad un incendio divampato a bordo.
L’ultimo
bilancio fornito dalle autorità egiziane su questa sciagura, parla di 185
morti, 426 superstiti, e di circa mille dispersi. Sono
una trentina le persone tratte in salvo nelle ultime ore. Tra i superstiti,
anche un bambino di 5 anni.
Ancora una tragedia in mare: almeno 23 persone sono morte al
largo di Gibuti per il naufragio di una imbarcazione che trasportava immigrati clandestini. Lo
ha annunciato la polizia di Gibuti precisando che la
barca è affondata nella notte tra giovedì e venerdì per cause ancora
sconosciute.
Prende il via oggi negli Stati
Uniti il primo processo per gli attentati dell’11 settembre 2001. Una corte di
giurati, scelta dopo una lunga fase, dovrà sentire Zacarias Moussaoui un francese di origini marocchine che ha ammesso
di essere un terrorista. L’uomo, arrestato nell’agosto del 2001 in Minnesota,
rischia l’ergastolo o la condanna a morte.
Prosegue il serrato testa
a testa fra i due principali candidati delle elezioni presidenziali tenutesi
ieri in Costa Rica: dopo lo spoglio di oltre l’80 per cento delle schede, l’ex
presidente e premio Nobel per la Pace, Oscar Arias,
ha ottenuto il 40,62 per cento dei voti. Il suo principale sfidante,
l’economista Ottón Solís
ha conquistato, invece, il 40,19 per cento dei consensi smentendo i sondaggi
che prevedevano un distacco più ampio. Il servizio di Maurizio Salvi:
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Dopo che il tribunale supremo delle elezioni ha cominciato
a diffondere i risultati ufficiali, si è visto che Ottón
Solís, economista proposto dal partito “Azione
cittadina”, otteneva molto di più delle previsioni della vigilia. Vero
protagonista del voto, inoltre, è stata l’astensione, che è nuovamente
cresciuta, passando dal 31 per cento delle presidenziali del 2002 al 35 per
cento di ieri. Secondo gli analisti, questo è dovuto
alla campagna dei media che hanno dato Arias come
sicuro vincitore e ad un rigetto della politica tradizionale a causa della
corruzione che ha coinvolto, negli ultimi anni, due presidenti della Repubblica.
Un terzo, pure inquisito, si è prudentemente trasferito in Europa. Gli analisti
si chiedono infine che cosa succederà in base a questi risultati del “CAFTA”,
il Trattato di Libero commercio tra il Centroamerica
e gli Stati Uniti, osteggiato da movimenti e organizzazioni sociali costaricani
e che fino ad oggi il parlamento di San José non aveva voluto ratificare.
Dall’America Latina, Maurizio Salvi, ANSA, per la Radio
Vaticana.
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Ucciso per aver scritto un
articolo: è morto per le percosse di un gruppo di poliziotti il vicedirettore
di un giornale della Cina orientale. Lo ha annunciato,
sotto anonimato, uno dei colleghi della vittima precisando che il decesso è avvenuto
giovedì scorso. L’agenzia di stampa cinese “Xinhua”
ha riferito che il giornalista è stato arrestato il 20 ottobre. Pochi giorni
prima, era stata pubblicato un suo articolo nel quale si accusava la polizia
stradale della città di Taizhou di aver imposto
arbitrariamente una pesante imposta ai possessori di motorini.
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