RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 5  - Testo della trasmissione di giovedì 5  gennaio 2006

 

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Come Maria presentò Gesù ai Magi così continua ad offrirlo all’umanità: è la riflessione di Benedetto XVI alla vigilia della Solennità dell’Epifania, nell’udienza di stamani agli addetti dell’Anticamera pontificia

 

Domani mattina il Papa presiede nella Basilica Vaticana la Santa Messa nella Solennità dell’Epifania: con noi, mons. Gianfranco Ravasi

 

Alle 18.00 Benedetto XVI visiterà a Roma il presepe dei netturbini: ce ne parla Giuseppe Ianni

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Il premier israeliano Sharon lotta per la vita. Fermata l’emorragia cerebrale: ai nostri microfoni Antonio Ferrari, Alon Altaras, padre Pierbattista Pizzaballa

 

Concluso a Roma il Convegno sulle vocazioni con l’invito a testimoniare la bellezza di essere cristiani: interviste con mons. Enrico Masseroni, suor Elena Bosetti, don Luca Bonari

 

CHIESA E SOCIETA’:

Forte preoccupazione tra le autorità sanitarie per la morte in Turchia di due giovani fratelli, stroncati dall’influenza aviaria

 

La Chiesa propone la verità, non la impone: così il cardinale Dionigi Tettamanzi

 

Alluvioni in Mozambico: almeno 8 le vittime, migliaia gli sfollati

 

12 milioni di indigeni messicani vivono in condizioni di estrema povertà

 

In Lettonia, la moneta europea che sarà introdotta dal gennaio 2008 si chiamerà “eiro”, per la difficoltà linguistica a pronunciare il dittongo ‘eu’

 

24 ORE NEL MONDO:

Decine di morti in vari attentati in Iraq e Afghanistan

 

Proseguono senza sosta i soccorsi nell’isola indonesiana di Giava dove una valanga di fango ha sepolto un villaggio

 

In Italia infuriano le polemiche sulla cosiddetta “Bancopoli “

 

 

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

5 gennaio 2006

 

 

COME MARIA PRESENTO’ GESU’ AI MAGI COSI’ CONTINUA AD OFFRIRLO ALL’UMANITA’:

E’ LA RIFLESSIONE DI BENEDETTO XVI ALLA VIGILIA DELLA SOLENNITA’ DELL’EPIFANIA, NELL’UDIENZA DI STAMANI AGLI ADDETTI DELL’ANTICAMERA PONTIFICIA

 

         L’Epifania vissuta attraverso gli occhi di Maria: nella vigilia della Solennità della Manifestazione del Signore, Benedetto XVI ha messo l’accento sul dono che la Vergine continua a presentare oggi al mondo come duemila anni fa ai Re Magi. L’occasione è stata offerta dall’udienza agli Addetti dell’Anticamera pontificia, che prestano il loro prezioso servizio durante gli incontri del Papa con le autorità politiche e gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede. Sull’incontro tenutosi in Sala Clementina, ci riferisce Alessandro Gisotti:

 

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Alla vigilia della Solennità dell’Epifania, Benedetto XVI ha rivolto il pensiero a Maria. La Madre, ha detto il Papa, “presenta il Bambino Gesù ai Magi venuti da lontano per adorarlo”. E così fa ancora oggi, continuando “ad offrirlo all’uma-nità”:

 

“Accogliamolo dalle sue mani: Cristo colma le attese più profonde del nostro cuore e dà senso pieno ad ogni nostro progetto e azione. Sia Egli presente nelle famiglie e regni dappertutto con la potenza del suo amore”.

 

La materna intercessione di Maria, ha detto ancora, ci permetta “di sperimentare ogni giorno di più la comunione profonda” con il Signore, “comunione che inizia sulla terra e giungerà alla sua pienezza nel cielo, dove, come ricorda san Paolo, saremo concittadini dei santi e familiari di Dio”. Benedetto XVI si è dunque soffermato sul servizio che gli Addetti di Anticamera prestano al Papa in occasione di ricevimenti ufficiali. Il ringraziamento del Pontefice è stato corredato da una riflessione sullo spirito che deve sempre animare chi serve Gesù Cristo:

 

“Il vostro servizio comporta anche un impegno assiduo di testimonianza verso Colui che è il vero Signore e Padrone di casa: Gesù Cristo. Ciò richiede che si intrattenga con Lui un dialogo costante nella preghiera, che si cresca nella sua amicizia e intimità, pronti a testimoniare il suo amore accogliente con chiunque si incontra”.

 

Questo servizio, ha aggiunto, può diventare “un’occasione per trasmettere con la cortesia e la cordialità la gioia di essere discepoli di Cristo in ogni situazione e in tutti i momenti della nostra vita”. D’altro canto, il Pontefice non ha mancato di sottolineare l’importanza di chi collabora in vario modo con il Successore di Pietro:

 

“Cambiano i tempi, mutano le usanze e i costumi, resta però invariato lo spirito con cui ognuno è chiamato ad operare accanto a colui che la Provvidenza divina chiama a reggere la Chiesa universale. Poiché questa casa, la Casa Pontificia, è casa di tutti i credenti, tocca anche a voi, cari Addetti di Anticamera, renderla sempre accogliente a chiunque viene ad incontrare il Papa”.

 

Sulle origini di questo organismo della Famiglia Pontificia si hanno poche notizie. Gli storici concordano nell’affermare che gli Addetti di Anticamera esistevano già nell’anno 1592 sotto il Pontificato di Papa Clemente VIII con il nome di “Cavalieri della Bussola”. Con il motu proprio Pontificalis Domus di Paolo VI, nel marzo del 1968, i Bussolanti sono stati denominati Addetti di Anticamera.

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 DOMANI MATTINA IL PAPA PRESIEDE NELLA BASILICA VATICANA

 LA SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA

- Con noi, mons. Gianfranco Ravasi -

 

Domani mattina Benedetto XVI presiederà a partire dalle 9.30 nella Basilica Vaticana la Santa Messa nella Solennità dell’Epifania. Alle 12.00 si affaccerà poi dalla finestra del suo studio per il consueto Angelus festivo. La Radio Vaticana trasmetterà in diretta i due avvenimenti. Nell’Epifania si celebra la manifestazione di Cristo ai popoli del mondo: i Magi, guidati dalla stella, giungono dall’Oriente per adorare Gesù Bambino. Gli portano tre doni: l’oro e l’incenso che proclamano il Re e Dio immortale e la mirra che annuncia l'Uomo deposto dalla Croce. Sul significato teologico di questa Solennità, Roberta Moretti ha intervistato il biblista e teologo, mons. Gianfranco Ravasi:

 

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R. – L’Epifania ha al suo centro i Magi, che non sono con tutte quelle caratteristiche, qualche volta anche molto folcloriche, che sono state escogitate dalla tradizione: il Vangelo di Matteo non dice che sono tre: lo si è fatto sulla base di quei tre doni; non dice che sono re. Sono stati rimandati alle tre etnìe fondamentali secondo il colore della pelle, ma anche questo è un tentativo di spiegare quella ragione per cui essi sono stranieri e quindi rappresentano tutti i popoli della terra. Non è molto agevole certo determinare chi fossero dal punto di vista storico. Le opinioni sono diversissime tra gli studiosi, molti ricorrono alla cultura iranica, e alla tradizione di quel popolo. Ma agli occhi di Matteo appaiono come una delegazione, un’aggregazione dei popoli della terra i quali incontrano Cristo. Si verifica perciò già in anticipo, quello che avrebbe poi detto Gesù: “Verranno da oriente e da occidente e siederanno a mensa nel Regno di Dio”. Sono i diversi, gli stranieri, che entrano nella comunità che Cristo sta inaugurando con la sua presenza.

 

D. – Cos’è che oggi ogni uomo può portare in dono a Gesù Bambino, a Dio che si fa uomo?

 

R. – I Vangeli dell’infanzia di Gesù, con questa scena, vogliono soprattutto rappresentare il tema della ricerca. Quindi, il dono che ognuno di noi deve fare nel Natale di Cristo è mettersi in cammino verso il mistero, verso la pienezza della verità, verso Cristo che incarna in sé tutta l’umanità. E allora, vuol dire andare verso l’altro, soprattutto gli ultimi della terra, i diversi da noi, coloro che gridano, che lanciano il loro appello verso di noi.

 

D. – Cos’è che guida l’uomo verso Cristo come la cometa per i Magi?

 

R. – Cristo si muove verso di noi. Dobbiamo sempre ricordare che prima di tutto è Cristo che rompe il silenzio della storia dell’umanità, dell’uomo che se ne va per le sue strade. San Paolo dice: Il profeta osa dire “Io il Signore, mi sono fatto trovare anche da quelli che non mi cercavano, ho risposto anche a quelli che non mi invocavano”. Cristo prima di tutto si mette sulle nostre strade ed è a questo punto che noi, con la nostra libertà, dobbiamo ascoltare quella voce. Direi perciò che il muoversi verso la stella è perché brilla la stella, perché ci sono dei segni. Dobbiamo cercare di non essere persone che superficialmente distratte non riescono a vedere questa presenza trascendente che è accanto a noi. E’ Cristo che passa, è Cristo che bussa per mostrarsi, per fare la sua epifania nella nostra vita ma sta a noi alla nostra libertà, aprire la porta e essere in comunione con Lui.

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QUESTO POMERIGGIO BENEDETTO XVI VISITERÀ A ROMA IL PRESEPE DEI NETTURBINI. REALIZZATO NEL 1972, PER I PONTEFICI È ORMAI UNA TRADIZIONE AMMIRARLO,

OGNI ANNO, ARRICCHITO DI NUOVI PARTICOLARI. LO HANNO GIÀ VISTO PAOLO VI

E PER 24 ANNI GIOVANNI PAOLO II

- Intervista con Giuseppe Ianni -

 

Lo hanno visitato Paolo VI e, per 24 anni, Giovanni Paolo II; questo pomeriggio potrà ammirarlo Benedetto XVI. E’ il presepe dei netturbini di Roma, allestito nei pressi del Vaticano, che riproduce la Palestina di 2000 anni fa. 200 personaggi, 95 case, 3 fiumi, 4 acquedotti ed oltre 1200 pietre provenienti da tutto il mondo: sono alcuni dati di questo allestimento che vuole trasmettere un messaggio di pace per tutti i popoli. Tiziana Campisi ha chiesto all’ideatore Giuseppe Ianni, che ha iniziato la costruzione del presepe nel 1972, con quale stato d’animo i netturbini attendono l’arrivo del Papa:

 

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R. – Stiamo aspettando con ansia di vedere il Santo Padre qui in mezzo a noi.

 

D. – Qual è il messaggio che i netturbini di Roma vogliono dare con questo presepe?

 

R. – Il messaggio è di pace come sempre, come da 34 anni. Questo è il presepe della pace.

 

D. – Come è stato realizzato questo presepe? Che tipo di materiali avete utilizzato?

 

R. – Materiali da costruzione: calcio, cemento, pietre. Tutto qui. Ci sono pietre provenienti da quasi tutto il mondo. La porticina della Natività è in legno di ulivo di Betlemme, portato da padre Ibrahim Faltas, già custode della Basilica della Natività di Betlemme. L’acquedotto è fatto di frammenti di marmo, scartati durante il restauro della facciata di San Pietro. Chiesi a Sua Eminenza, il cardinale Noè, se poteva darceli. Abbiamo costruito qui un acquedotto e al Santo Padre, Giovanni Paolo II, è molto piaciuto. Ha detto: “Ha fatto bene, perché l’acqua è vita”.

 

D. – Quali altri dettagli rendono unico questo presepe?

 

R. – Le pietre di tutto il mondo. Qui c’è l’unione dei popoli. Ad esempio, abbiamo oltre 100 gradini di una pietra che proviene dai luoghi di Padre Pio.

 

D. – Lei è l’ideatore di questo presepe, ma come l’ha pensato?

 

R. – Io facevo parte dell’Azione Cattolica e mi hanno insegnato che si deve fare apostolato ovunque. Questo è un segno di apostolato.

 

D. – Da Paolo VI a Benedetto XVI, insomma questo è proprio il presepe dei Papi…

 

R. – E’ il presepe dei romani, dei Papi, dei netturbini. Noi lo chiamiamo presepe dei netturbini. Qualcuno dice che è il presepe del Papa, perché il Papa ne era innamorato. Ogni volta che veniva facevamo un commento. Si ricordava tutto, quello che c’era e quello che non c’era. Giovanni Paolo II l’ha visto nascere questo presepe. E’ venuto per 24 anni di seguito. E Benedetto XVI sicuramente verrà tantissime volte, come Papa Giovanni Paolo II.  

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ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Nel corso della mattinata, Benedetto XVI ha ricevuto in udienza il principe Alessandro Torlonia, assistente al Soglio, con la consorte; il signor John Joseph Herron, ambasciatore di Australia, con la consorte, in visita di congedo, e Frère Alois, priore di Taizé.

 

A Taiwan, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Kaohsiung, presentata dal cardinale Paul Shan Kuo-shi, della Compagnia di Gesù, per sopraggiunti limiti d’età. Gli succede mons. Peter Liu Cheng-chung, coadiutore della medesima diocesi.

 

In Polonia, Benedetto XVI ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Wrocław mons. Andrzej Siemieniewski, del clero della medesima arcidiocesi, attualmente vicario episcopale per la Formazione permanente del clero e professore ordinario e direttore della cattedra di Teologia Spirituale presso la pontificia facoltà di Teologia di Wrocław, assegnandogli la sede titolare vescovile di Teuzi.

 

In Canada, il Pontefice ha nominato vescovo di Whitehorse  il reverendo Gary Gordon, del clero di Vancouver, parroco e delegato dell’arcivescovo per le carceri.

 

Il Papa ha nominato Scriptor latinus della Biblioteca Apostolica Vaticana il dott. Adalbert Roth, finora Aiuto Scriptor, ed ha nominato Scriptor graecus della medesima Biblioteca il dott. Sever Juan Voicu, finora assistente.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina l’Iraq dove l’infuriare delle violenze ha provocato cento morti.

 

Servizio vaticano – L’udienza di Bendetto XVI ai membri del Collegio degli Addetti di Anticamera.

 

Servizio estero - Israele: in gravi condizioni Ariel Sharon; il capo di governo operato d’urgenza a Gerusalemme dopo un ictus cerebrale.

 

Servizio culturale - Un articolo di Franco Lanza dal titolo “Giovanni Pascoli e la sacralità del mistero”: l’ispirazione cristiana nell’opera del poeta.

 

Servizio italiano - In rilievo la vicenda delle intercettazioni.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

5 gennaio 2006

 

MOLTO GRAVI LE CODIZIONI DI SHARON,

RICOVERATO  nell’unità di rianimazione neurochirurgica.

Il ministro delle Finanze Ehud Olmert E’ primo ministro pro-tempore

- Con noi Antonio Ferrari, Alon Altaras, padre Pierbattista Pizzaballa -

 

Le condizioni di Sharon sono molto gravi. E’ ricoverato nell’unità di rianimazione neurochirurgica, dopo l’ultima operazione con cui i medici sono riusciti ad arrestare l’ultima emorragia cerebrale. Un primo intervento nella notte, in conseguenza di altre emorragie in nottata non era stato sufficiente. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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Il ministro delle Finanze Ehud Olmert ha assunto le mansioni di primo ministro pro-tempore. Preghiere sono in corso in tutto il Paese e da tutto il mondo giungono dichiarazioni di solidarietà umana, a partire dal premier palestinese Abu Ala. Intanto sui giornali israeliani già si parla della “fine dell’era Sharon”. Un uomo che, da generale in prima linea, ha fatto scrivere di sé ultimamente anche pagine di dialogo, seppure con scelte non tutte facilmente decifrabili. Ma per capire cosa rappresenta Sharon per Israele, Giada Aquilino ha intervistato Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere della Sera ed esperto di questioni mediorientali:

 

R. – Ci sono due Sharon. Lo Sharon condottiero, militare, eccessivo in certe sue operazioni – ci sono stati dei rastrellamenti molto pesanti voluti da lui – c’è lo Sharon dell’occupazione del Libano. E lo Sharon che diventa l’innesto della seconda Intifada, con la famosa passeggiata provocatoria sulla Spianata delle Moschee, accompagnato da 1500 soldati. A quel punto, il Paese ripiomba nella violenza. I palestinesi alzano il tiro: dall’Intifada delle pietre, la prima, si passa all’Intifada delle armi anche pesanti, la seconda. Quindi, comincia una campagna terroristica veramente consistente, forte e micidiale, direi. E a questo punto il Paese vuole quasi una guardia del corpo. E chi va a scegliere? Va a scegliere proprio questo personaggio. Sharon arriva, vince per due volte di fila le elezioni, e comincia a cambiare. Comincia a dire che bisogna fare delle dolorose concessioni, ecc. Aveva detto che si sarebbe ritirato da Gaza, ritiro unilaterale con smantellamento di tutte le colonie ebraiche, e sarebbe stata la prima volta. E questo è accaduto. Non soltanto, per far questo ha dovuto affrontare una crisi di governo, ha cambiato alleati fino al punto, lui che era stato una delle anime del partito di destra, il Likud, da uscire da quel partito per fondare un partito di centro e prepararsi sicuramente ad una schiacciante vittoria elettorale il 25 marzo.

 

D. – Con le elezioni di marzo alle porte, allora quale sarà la sorte del nuovo partito di Sharon, Kadima?

 

R. – Senza Sharon, questo partito rischia un’implosione, ancor prima di diventare fattivamente un partito. Non c’è nessun personaggio in Israele che possa competere con Sharon, con la sua personalità. Parlo di implosione con il rischio di una ulteriore frammentazione della vita politica israeliana. E’ chiaro che a questo punto, forse, la destra potrà recuperare qualche punto. Forse il partito laburista terrà le posizioni, ma verrà a mancare quel grande spazio, con il rischio quindi di una fuga centrifuga di deputati e di personalità verso, forse, altre formazioni. C’è l’ipotesi di tenere in piedi questa formazione, della quale però  nessuno è in grado di poter prendere il timone:  un successore di Sharon non esiste.

 

D. – Due attacchi in meno di 20 giorni. Israele teme che il premier non possa riprendersi e alza lo stato di allerta per paura di nuovi attentati. La situazione sul terreno può degenerare?

 

R. – C’è un forte rischio. Degenerare, non lo so, però può aggravarsi dopo il ritiro da Gaza. C’è stato qualche piccolo attentato, ma nulla di particolarmente grave, proprio perché le speranze del rilancio della politica israeliana, che Sharon aveva praticamente rivoluzionato, potevano avere degli effetti anche sulla politica palestinese. I palestinesi andranno alle urne ben prima degli israeliani, cioè il 25 gennaio, in una situazione molto, ma molto delicata, con Gaza che è in preda al caos; con il presidente Mahmud Abbas che non riesce a condurre con mano ferma l’Autorità Nazionale Palestinese, e con la forte crescita di Hamas, che rischia di diventare veramente un vero sfidante del potere dei laici all’interno del mondo palestinese. E poi c’è tutto il mondo arabo. Abbiamo almeno tre crisi molto gravi alle porte di Israele, cominciando dalla guerra all’Iraq. Abbiamo le minacce che arrivano dall’Iran. Abbiamo la situazione della Siria, in grave difficoltà, dopo che la commissione di inchiesta ha cominciato ad indicare responsabilità all’interno dello stesso vertice di Damasco, per quanto riguarda l’organizzazione dell’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafiq Hariri. Abbiamo gli hezbollah in Libano, che in qualche misura sono legati all’Iran, ma sono anche legati alla Siria, che comunque continua a mantenere in Libano una certa presenza. Gli hezbollah potrebbero approfittare della situazione per ricominciare gli attacchi contro Israele. Vediamo, dunque, che il vuoto che si sta venendo a creare anche adesso, con Sharon ancora in vita, è già pericoloso.

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Ma guardando alla gente in Israele: come vive la drammatica uscita dalla scena politica di Sharon? Fausta Speranza lo ha chiesto all’intellettuale scrittore Alon Altaras:

 

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R. – Con grande ansia per il processo di pace. Le previsioni non sono molto buone ed anche la borsa israeliana, non dico sia crollata, ma ha subito una bella botta. La gente è abbastanza scioccata: ha appoggiato il passo di Sharon, questa politica verso la pace. La gente adesso non sa chi votare, non sa che tipo di politica avrà Israele. Il numero due di Sharon, Peres, ha 82 anni. Non è pensabile che Peres entri e abbia il ruolo di Sharon come leader di Kadima. Si torna, perciò, ai due partiti tradizionali, il Likud e i laburisti, con questi due candidati, Peretz e Netanyau. E la gente che pensava di trovarsi con un nuovo soggetto politico, si trova ora a dover scegliere per forza fra due forze del passato.

 

D. – Nella memoria della gente rimarranno di più gli anni da generale inflessibile o i mesi da protagonista di un certo dialogo con i palestinesi?

 

R. – Io non penso che una lunga carriera politica si possa cambiare in un anno. Sharon -  dobbiamo ricordare - non era solo un generale molto duro, era anche un uomo politico per tanti anni di estrema destra. Lui è arrivato alla convinzione di dover trattare, di dover fare un compromesso con i palestinesi, negli ultimi due anni. E questa è una cosa che gli rende onore, ma non penso si possa cambiare una carriera politica e militare lunga 40 anni in due anni. Non è il caso di Rabin, che ha fatto veramente una evoluzione. Sharon si è ritirato dalla Striscia di Gaza, dove c’erano quasi un milione di palestinesi e 7 mila israeliani. Con tutto il rispetto, devo ammettere che non penso che questo cancelli il passato e non penso che Ariel Sharon rimanga come un grande uomo di pace. Non è la stessa cosa. Non è Begin che firma una pace con Sadat e non è Rabin. E’ Sharon. Ha fatto un ritiro unilaterale e non potrà, purtroppo, fare di più.

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         Per la sorte di Sharon c’è viva apprensione anche nella comunità cattolica in Israele come spiega da Gerusalemme, al microfono di Roberto Piermarini,  il custode di Terra Santa padre Pierbattista Pizzaballa:

 

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R. - Siamo rimasti tutti scioccati e colpiti da questa notizia che nessuno si aspettava, innanzitutto per la persona ma poi anche per le conseguenze politiche che sicuramente vi saranno. Avevamo iniziato a sperare in un nuovo processo, con una nuova leadership motivata e forte. Adesso sembra che tutto sia finito. Ci sono tante domande, tante incertezze, tanta paura. E’ un momento così che ci ha colti tutti di sorpresa e siamo ancora un po’ senza parole.

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CONCLUSO A ROMA IL CONVEGNO SULLE VOCAZIONI

CON L’INVITO A TESTIMONIARE LA BELLEZZA DI ESSERE CRISTIANI

- Interviste con mons. Enrico Masseroni, suor Elena Bosetti, don Luca Bonari -

 

Il ruolo della comunità parrocchiale, il valore della speranza reso dalla testimonianza, il percorso spirituale della vocazione: sono stati questi i temi principali della seconda giornata del convegno del Centro Nazionale Vocazioni, che si è concluso questa mattina a Roma. L’incontro, centrato sulla figura di “Cristo Risorto, speranza del mondo”, ha cercato di tracciare le linee guida di una pastorale vocazionale che guardi sempre all’Eucaristia, ossia alla testimonianza quotidiana di Dio nel mondo. Ascoltiamo il servizio di Isabella Piro.

 

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Non c’è alcuna pedagogia della vocazione senza la testimonianza: così Monsignor Enrico Masseroni, arcivescovo di Vercelli, ha aperto il suo intervento al convegno. “Tanto più la comunità cristiana sa confrontarsi con la parola di Cristo – ha aggiunto - tanto più è vivo e fecondo il valore della conversione dei cuori, perché in tutti – genitori, educatori, sacerdoti – non deve mai mancare la gioia di essere seminatori di speranza”. Ma come si può avvicinare i giovani alla vita spirituale? Ascoltiamo mons. Masseroni:

 

R. – Intanto non aver paura dei giovani. I giovani sono disposti all’ascolto, al dialogo, nella misura in cui noi li ascoltiamo e dialoghiamo con loro. Ai giovani bisogna accostarci con autenticità e verità. La testimonianza è il lasciapassare per entrare in dialogo con il mondo giovanile.

 

Il cristiano non è un depresso, spettatore di un mesto tramonto delle vocazioni – ha ribadito Mons. Masseroni – ma è un testimone di speranza, capace di sfuggire al complesso di minoranza perché consapevole di essere lievito del mondo. Il presule ha poi ricordato che la vocazione è una chiamata personale di Dio, una scelta che viene dall’alto ed è per questo che può suscitare timore: 

 

R. – Il timore intanto non è un atteggiamento negativo. E’ la consapevolezza della grande differenza tra il mistero di Dio e la creatura umana. Il timore viene superato dalla fede, dalla preghiera, dalla certezza che la vita non è un avventura solitaria ma è un’esperienza di compagnia di Dio che opera attraverso la nostra generosità e la nostra disponibilità.

 

L’importanza della chiamata è stata sottolineata anche da suor Elena Bosetti, docente di Sacra Scrittura alla Pontificia Università Gregoriana. Nel suo intervento, intitolato Cristo, mia speranza è risorto, la religiosa ha fatto riferimento alla prima Lettera di Pietro:

 

R. – Pietro ha invitato ad essere pronti a rispondere, quindi la vera strategia è far nascere le domande. Non si tratta di dar risposte a domande non poste, ma semmai di suscitare domande. Questo significa che c’è uno stile di vita che fa nascere le domande. Perché ti comporti così? Perché sei sempre contenta? Perchè sei così serena? A chi pone queste domande, noi possiamo dire qual è la Persona che ci ha conquistato il cuore.

 

Nei suoi scritti, Pietro - ha ricordato Suor Bosetti - suggerisce in modo pratico come testimoniare la parola di Cristo:

 

R. – Propone la strategia del fascino dell’etica. Questi giovani hanno chiuso l’orecchio alla Parola, ma tengono gli occhi aperti sui cristiani e li guardano. E allora dobbiamo colpire gli occhi con una testimonianza, con il fascino, l’estetica, è bello essere cristiani. C’è un fascino nella bontà. 

 

         Cristo risorto è la testimonianza che tutti gli uomini sono cittadini del Cielo, ha detto ancora don Luca Bonari, direttore del Centro Nazionale Vocazione. Per questo, la chiamata ad una vita cristiana riguarda anche i laici:

 

R. – Io credo che la chiamata, unica per tutti, sia la chiamata all’amore e la perfezione dell’amore ha un nome, è la santità. Così ci ha ricordato anche Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte. La prima e fondamentale vocazione che dobbiamo tutti insieme onorare, è quella del Battesimo, è quella di essere figli come Gesù.

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CHIESA E SOCIETA’

5 gennaio 2006

 

 

FORTE PREOCCUPAZIONE TRA LE AUTORITA’ SANITARIE PER LA MORTE IN TURCHIA

DI DUE GIOVANI FRATELLI, STRONCATI DALL’INFLUENZA AVIARIA

- A cura di Roberta Gisotti -

 

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ANKARA. = H5N1, la sigla del virus aviario che ha reciso la vita di un ragazzo di 14 Mehmet Ali Kocyigit, deceduto domenica scorsa, ed oggi la notizia della morte della sorella Fatma di 15 anni. Prime vittime in Turchia, nell’est del Paese, a Dogubeyazit, località al confine con l’Iran. La malattia è dunque arrivata tra gli uomini alle porte dell’Europa, dopo avere già ucciso, dal 2003, circa 70 persone in Estremo Oriente. I due giovani fratelli turchi uccisi dal virus erano stati ricoverati la scorsa settimana insieme a 7 componenti della loro famiglia, tutti conviventi nella stessa casa, a contatto costante con i polli, che hanno anche mangiato. Il ministro della Sanità turco, Recep Akdag, ha rivolto un appello agli abitanti di Dogubeyazit e dei villaggi limitrofi perché evitino qualsiasi contatto con volatili. Dogubeyazit si trova infatti a un centinaio di chilometri da un focolaio di influenza aviaria individuato negli uccelli la settimana scorsa nell'area di Aralik, non lontana dalla frontiera con l'Armenia e situata sulle rotte degli uccelli  migratori. La regione era stata messa in quarantena e circa 750 volatili erano stati abbattuti, in attesa di conoscere l'esito dei test compiuti in Gran Bretagna. Ankara aveva annunciato il 9 dicembre di aver debellato il virus, dopo aver macellato più di  10.000 animali. I veterinari avevano però avvertito che il Paese resta a rischio perché si trova sulle rotte degli uccelli migratori.

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LA CHIESA PROPONE LA VERITA’ NON LA IMPONE.

LO HA RICORDATO IL CARDINALE DIONIGI TETTAMANZI, IN APERTURA AD ANCONA

DEL CONVEGNO DIOCESANO SUL TEMA “GESÙ SPERANZA DELL’UOMO”,

RILANCIANDO UN MESSAGGIO DI ACCOGLIENZA:

OGNI PERSONA, ANCHE NON CREDENTE – HA DETTO – CHIEDE DI ESSERE AMATA

QUALUNQUE SCELTA FACCIA NELLA VITA

 

ANCONA. = La Chiesa “la verità non la impone ma la propone”, con “rispetto e dolcezza” perché è maestra ma anche madre, e di fronte alla sofferenza deve saper  “ascoltare, incontrare, condividere”. Così il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, in apertura ieri ad Ancona del Convegno diocesano “Gesù speranza dell’Uomo”, in preparazione del Convegno ecclesiale nazionale che si terrà dal 16 al 20 ottobre a Verona e di cui è presidente del Comitato preparatorio. Il porporato ha scelto Ancona, prima diocesi in cui è stato vescovo dall’89 al ‘91, per rilanciare un messaggio di speranza, “la speranza è nel DNA dell’uomo, potremmo dire – ha osservato – un suo diritto, ed essa è il Signore, morto, risorto e veniente”; e un messaggio di accoglienza, “la dignità personale è propria di tutti, e ogni persona,  qualunque scelta faccia nella vita, chiede di essere rispettata e amata”; accoglienza anche di chi si dice non credente. “Mi domando – ha detto il cardinale Tettamanzi - chi siano i non credenti. Esistono gli atei? Non do una risposta, salvo che l’uomo è uomo in quanto creato da Dio a sua immagine”. Ad ascoltare l’appassionante relazione del porporato c’erano oltre all’arcivescovo di Ancona Osimo, mons. Edoardo Menichelli, e ai sacerdoti della diocesi, un migliaio di fedeli che hanno posto non poche domande ‘difficili’. Così come, in una successiva conferenza stampa, i giornalisti. E il cardinale Tettamanzi, pur non citando mai esplicitamente temi come l’interruzione volontaria di gravidanza, la procreazione assistita o la pillola abortiva, non si è sottratto dall’offrire risposte, preoccupato soprattutto di sottolineare l’importanza della testimonianza cristiana di vita vissuta, più significativa delle parole. “Guai - ha detto - se la Chiesa dovesse abdicare alla missione ricevuta di essere maestra, e quindi di annunciare la verità, di mostrare lo splendore, la bellezza e la forza della verità, ma la Chiesa possiede al suo interno anche questa maternità, che la verità non la impone ma la propone”. Aiutando i fratelli a uscire  dall’“offuscamento della speranza” che sembra segnare il nostro tempo, cogliendo i segni di speranza che “sono comunque tanti” anche oggi, e “sporcandosi le mani. Perché chi spera è impegnato nella storia, e più pienamente nel servire gli ultimi, i più soli, le antiche e le nuove povertà che affliggono l’uomo”. Lo smarrimento della memoria e delle eredità cristiane, la difficoltà a vivere la fede in un mondo in cui il progetto di Cristo è sfidato e minacciato, la paura del futuro, la frammentazione dell’esistenza e un’antropologia che tende a prescindere da Dio, sono - ha detto Tettamanzi citando l’esortazione “Ecclesia in Europa” di Giovanni Paolo II - gli ostacoli che i singoli e le comunità cristiane devono affrontare. Chiamati a farlo con un’attitudine al dialogo, certi che la laicità, l’appellarsi alla ragione non significa non appellarsi alla fede e alla religiosità. E che se la ‘Carta  costituzionale’ del cristiano è il Vangelo, lo Stato sarà tanto più umano e umanizzante “quanto più saprà aiutare le persone a crescere in libertà e vivere in responsabilità”. Mentre la moralità, sulla quale si fonda la legalità, si riassume in poche parole: rispettare “tutti e dieci i Comandamenti, non solo qualcuno”. (R.G.)

 

 

RIPETUTE ALLUVIONI IN MOZAMBICO: ALMENO 8 LE VITTIME E DUEMILA GLI SFOLLATI

DAI VILLAGGI TRAVOLTI DALLE ACQUE DEI FIUMI IN PIENA

 

NAIROBI. = Danni gravissimi, molte migliaia di sfollati e numerosi morti in Mozambico, la cui parte centrale e settentrionale è stata sconvolta da vere e proprie alluvioni  nell’ultima settimana. Otto morti accertati, secondo le fonti ufficiali - riferisce  Radio Nairobi - almeno 13, stando ad altre fonti: ma il timore è che il bilancio finale possa rivelarsi ben più grave. Comunque, non meno di 2.000 nuclei familiari hanno già  dovuto lasciare i loro villaggi travolti dalle acque, mentre i fiumi esondano e numerose strade, o piuttosto sentieri, sono ormai completamente cancellate. Ci sono preoccupazioni diffuse per la sorte delle popolazioni che sono rimaste isolate, mentre in molti ricordano che nel Duemila una vera e propria alluvione sconvolse il Paese, causando  circa 700 morti, e molte decine di migliaia di senzatetto. (R.G.) 

 

 

12 MILIONI DI INDIGENI MESSICANI VIVONO IN CONDIZIONI DI ESTREMA POVERTA’,

ESCLUSI DAI PIANI DI SVILUPPO ECONOMICO E DISCRIMINATI NELLE POLITICHE

SOCIALI: LO DENUNCIA LA CONFEDERAZIONE NAZIONALE CAMPESINA

 

CITTA’ DEL MESSICO. = La stragrande maggioranza dei 12 milioni di indigeni messicani, distribuiti in 24 Stati, vive in condizioni di estrema povertà, con appena 8 pesos (circa 70 centesimi di euro) al giorno, senza accesso a servizi di base, come energia elettrica, sanità, istruzione. La denuncia – di cui dà notizia l’agenzia MISNA – arriva dalla Confederazione nazionale campesina (CNC), la quale sottolinea che le oltre 60 etnie del Paese continuano a subire forme di discriminazione e di esclusione, in palese violazione con i loro diritti costituzionali. “Nessuno sviluppo potrà considerarsi completo né accettabile fino a quando questo 13 per cento della popolazione messicana continuerà a essere tenuto fuori dalla vita economica e sociale del Paese”, scrive la Confederazione. Nelle aree a prevalenza indigena l’aspettativa di vita è di 64 anni e la mortalità infantile è pari a 40 su 1.000, doppia rispetto ai non-indios. Insieme all’istruzione – si calcola che un milione e mezzo di nativi di età superiore a 15 anni siano analfabeti – un altro aspetto preoccupante è l’applicazione della giustizia: oltre 1.300 indios sono rinchiusi nelle carceri messicane in larga parte senza alcuna incriminazione o per reati minori che vanno dal furto di bestiame al consumo di uova di tartaruga. Secondo Sandra Canas, del Centro di studi di antropologia sociale (CIESAS) “il problema principale delle popolazioni native resta l’emarginazione non solo intesa dal punto di vista economico ma soprattutto culturale. Ci si ostina a non volere riconoscere il loro stile di vita e a non tutelarlo”. (R.G.)

 

 

IN LETTONIA, LA MONETA EUROPEA CHE SARA’ INTRODOTTA DAL GENNAIO 2008

SI CHIAMERA'  “EIRO”, PER LA DIFFICOLTA’ LINGUISTICA

A PRONUNCIARE IL DITTONGO EU

 

RIGA. = Il governo della Lettonia ha deciso che l’euro, che dal primo gennaio 2008 rimpiazzerà la moneta locale (il ‘lat’), si chiamerà ‘eiro’. Lo ha annunciato il ministro  dell’Istruzione lettone, Ina Druviete, sottolineando che si tratta di “una questione linguistica” a tutela “dell’identità nazionale”, e non di un “capriccio”. Secondo il ministro, che alle spalle ha avuto una lunga formazione di linguista, il dittongo (l’unione di due vocali, una sillabica e una vocale vera e propria) ‘eu’ non esiste nella lingua estone e la sua pronuncia risulta particolarmente ostica nel Paese baltico. Cosicché, a rischio di esporsi al malcontento della Banca centrale europea (BCE), Riga ha deciso che l’euro in Lettonia si chiamerà ‘eiro’, con la ‘i’ al posto della ‘u’. (R.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

5 gennaio 2006

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

        

L’Iraq sconvolto da una ennesima giornata di sangue. Al centro delle ultime azioni della guerriglia ci sono le forze della sicurezza e gli sciiti. A Ramadi, un attentato contro un centro di reclutamento ha causato la morte di almeno 50 persone. Esplosioni hanno scosso anche Baghdad e nel centro di Kerbala un attacco contro una moschea sciita ha provocato oltre 40 morti. Intanto, il presidente americano, George Bush, ha confermato la riduzione della presenza statunitense in Iraq. Il nostro servizio:

 

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Un kamikaze si è fatto saltare in aria in mezzo ad una folla davanti ad un centro di reclutamento a Ramadi, ad ovest di Baghdad. Le vittime sono soprattutto aspiranti reclute della polizia e delle forze armate. Fonti del ministero dell’Interno iracheno hanno riferito, poi, che in due zone della capitale la deflagrazione di due ordigni ha causato numerose vittime, tra le quali diversi civili. Oltre alle forze di sicurezza, le azioni della guerriglia continuano a colpire proprio i civili: un’autobomba è esplosa, stamani, vicino al santuario dell’imam sciita Hussein nella città santa di Kerbala. L’azione terroristica è stata compiuta vicino ad uno degli ingressi del mausoleo nei pressi di un mercato solitamente affollato da pellegrini sciiti. Secondo testimoni oculari, tra le vittime ci sono venditori ambulanti, pellegrini iraniani, pachistani ed indiani. Non si arresta, dunque, la catena di attacchi della guerriglia contro la comunità sciita. Ieri, almeno 30 persone sono morte per un attentato compiuto durante una cerimonia funebre sciita a nord est di Baghdad. Intanto, il presidente americano George Bush, dopo un consulto al Pentagono con i responsabili politici e militari della Difesa americana, ha confermato l’ipotesi di una prossima riduzione delle truppe statunitensi in Iraq. Il capo della Casa Bianca ha precisato che questo piano potrebbe essere discusso entro quest’anno con il governo iracheno. Il presidente americano ha anche annunciato novità nella composizione del contingente anticipando che in futuro ci saranno più istruttori da inserire nelle unità irachene.

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Situazione tesa anche in Afghanistan: un attentato suicida contro un edificio amministrativo nella parte meridionale del Paese ha causato la morte di almeno dieci persone. Lo hanno riferito fonti locali precisando che l’episodio è avvenuto nella provincia di Uruzgan.

 

Tragedia in Arabia Saudita: sono almeno 23 le persone morte per il crollo di un hotel alla Mecca, nel centro della città santa. Ma alcune fonti parlano di oltre 70 vittime. Nell’edificio di quattro piani alloggiavano fedeli musulmani arrivati per il pellegrinaggio annuale che comincia domenica. Sono attesi almeno 2 milioni e mezzo di fedeli.

 

Le trattative per ottenere la liberazione dei cinque italiani rapiti nello Yemen sono riprese ma la situazione resta tesa. Lo zio di uno dei rapitori ha detto che gli italiani saranno liberati nelle prossime ore. Ma gli ostaggi, sequestrati lo scorso primo gennaio da membri di una tribù nella provincia di Marib, si trovano ancora in un villaggio arroccato su una montagna, circondata da unità militari. I sequestratori hanno dichiarato di essere pronti a reagire ad un eventuale blitz dell’esercito e hanno anche minacciato di uccidere un ostaggio se le forze di sicurezza yemenite non si ritireranno. Ma chi sono i rapitori e qual è la situazione dello Yemen? Luca Collodi lo ha chiesto all’ambasciatore italiano a Sana’a, Mario Boffo:

 

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R. – Sono esponenti di varie tribù che agiscono solo in alcune regioni dello Yemen. Voglio precisare che lo Yemen non è un Paese pericoloso. Ci sono sicuramente alcune regioni che presentano dei problemi. Queste tribù, come tutti i gruppi sociali, hanno talvolta delle controversie tra di loro con il governo. Per risolvere queste controversie ricorrono in alcuni casi al rapimento per avere in mano uno strumento di negoziazione e di pressione nei confronti del governo. Lo scopo di queste tribù è di avere delle risposte alle loro rivendicazioni. Dietro queste azioni non ci sono motivazioni politiche, posizioni ideologiche. Né questi rapimenti avvengono nell’ambito di un conflitto politico o sociale.

 

D. – Non ci sono legami con l’integralismo islamico?

 

R. – E’ una logica completamente diversa, completamente separata.

 

D. – Che Paese è lo Yemen, ambasciatore?

 

R. – E’ un Paese che ha una convinzione molto forte della propria individualità e della propria cultura. Lo Yemen ha mantenuto infatti, nel corso della storia, una indipendenza di fatto. Oggi è un Paese che ha intrapreso un interessante e importante percorso di modernizzazione e di democratizzazione. Il sentimento religioso è molto radicato, ma non fondamentalista. “Radicato” significa che sono veramente osservanti, osservano i precetti del Corano. Esiste ancora la sharia: è una delle apparenti incongruenze. Il Paese, però, non mi sembra dar luogo a fenomeni né di intolleranza, né di eccessivo estremismo religioso. Il Paese è molto ospitale.

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Sta assumendo proporzioni drammatiche il gravissimo smottamento di terreno che l’altro ieri ha travolto il villaggio indonesiano di Sijeruk, 370 chilometri ad est di Giacarta, sull’isola di Giava. Si teme che sotto il fango possano essere sepolte almeno 300 persone, secondo quanto riferisce l'Ufficio dell'Onu per gli Aiuti Umanitari di Ginevra. Intanto, proseguono incessanti le operazioni di soccorso, ma sinora sono stati trovati solo una ventina di corpi senza vita. Stamani nella zona colpita dalla catastrofe si è recato in visita il presidente indonesiano, Susilo Babang Yudhoyono. Per fare il punto della situazione in queste ore, Giancarlo La Vella ha raggiunto telefonicamente a Giakarta, il missionario saveriano, padre Silvano Laurenzi:

 

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R. – Stanno scavando, stanno cercando per vedere quante sono le vittime, quante sono scappate ma i soccorsi sono difficili. Infatti, continua a piovere. Se smette di piovere, forse si potrà agire con più efficacia, ma in tutta la zona la situazione resta grave. Gli aiuti stanno per arrivare ma attualmente la strada è interrotta. Alcune vie sono addirittura coperte da 10 metri di fango.

 

D. – Le autorità indonesiane si sono chieste i motivi della gravità di questo evento?

 

R. – I giornali più coraggiosi danno la colpa al disboscamento, un processo avviato senza un criterio. Tutte le colline adesso sono senza alberi. Si cerca di vendere il legname e questa operazione di disboscamento sembra riguardare un po’ tutta l’Indonesia..

 

D. – Quale è la reazione delle persone, anche quelle duramente colpite da questa tragedia?

 

R. – Stanno aspettando gli aiuti. Alcuni sono fuggiti ma mancano dati certi. Alcuni sono scappati cercando altri familiari in qualche villaggio vicino. La radio e la televisione locali hanno riferito che sono stati organizzati degli aiuti di emergenza, sono state allestite delle cucine da campo e delle tende per affrontare l’emergenza.

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È cominciato stamani a Vienna l’incontro degli esperti iraniani e dell’Agenzia Onu per l’energia atomica sul programma nucleare iraniano. Nella Repubblica islamica sabato arriverà, invece, una missione di negoziatori da Mosca per trasferire le principali attività iraniane di arricchimento dell’uranio in Russia.

 

In Italia, è scontro tra il capo dell’esecutivo, Silvio Berlusconi, e il leader dell’Unione, Romano Prodi, sulla vicenda Unipol, il gruppo assicurativo vicino ai DS, il cui presidente Giovanni Consorte è accusato di associazione a delinquere nell’ambito dell’inchiesta sulla scalata ad Antonveneta e alla Banca Nazionale del Lavoro. Una intercettazione telefonica tra Consorte e il segretario della Quercia, Piero Fassino, ha fatto riesplodere la polemica sui rapporti tra politica ed affari. Il servizio Giampero Guadagni:

 

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Tra giunte ‘rosse’ e mondo delle cooperative, esiste un intreccio inaccettabile. L’affondo del premier Berlusconi sulla vicenda Unipol fa scattare la reazione del centro-sinistra e il leader dell’Unione Prodi replica seccamente: “Uno come lui è meglio che non parli di politica e affari”. Ma il professore chiede una svolta etica anche ai suoi alleati, a partire naturalmente dai DS, coinvolti nella bufera Unipol con il caso delle intercettazioni telefoniche tra Fassino e Consorte, giudicate però irrilevanti dalla procura di Milano. Prodi sostiene che non c’è violazione di legge, ma al contempo riconosce come siano stati oltrepassati i limiti dell’opportunità politica. E se il centro-destra bolla queste affermazioni come ipocrite e banali, tra i DS in molti rimproverano il capo dell’opposizione di scarsa solidarietà nei confronti dei vertici della Quercia. Il presidente D’Alema, considerato l’uomo ponte tra i DS e il mondo delle cooperative, quindi anche Unipol, per ora tace. Secondo gli osservatori è un sintomo di irritazione. Parla invece il segretario Fassino, che dice di apprezzare i contenuti espressi da Prodi, ma soprattutto prepara una decisa autodifesa nei confronti di quello che viene definito un complotto. Ma nelle dichiarazioni di altri leader del centro-sinistra emerge anche la volontà di cambiare pagina con il varo di un codice etico, per rendere più trasparente il rapporto tra politica e affari. La situazione è peraltro resa più complicata dall’aggravarsi delle accuse nei confronti di Giovanni Consorte. Il presidente dimissionario di Unipol è ora indagato dai PM milanesi anche per associazione a delinquere nell’ambito dell’inchiesta Antonveneta e BNL. E oggi, presso la procura di Roma, altro interrogatorio eccellente: quello del presidente autosospeso di Confcommercio, Sergio Billé, accusato di appropriazione indebita.

 

Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.

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