RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 59 - Testo della trasmissione di martedì 28 febbraio 2006
IL
PAPA E
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Vietnam:
nei primi 9 mesi del 2005 si sono registrati 74.264 aborti
Slittano a domani i
colloqui fra Russia e Iran sul progetto nucleare di Teheran
28
febbraio 2006
GLI
AUSPICI E L’INCORAGGIAMENTO DI
BENEDETTO XVI IN TEMA DI ECONOMIA
E SOLIDARIETA’: NEL TELEGRAMMA INVIATO DAL CARDINALE SODANO
A CONCLUSIONE DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE SUL MICROCREDITO IN VATICANO
Un “rinnovato impegno per la promozione della cultura
della solidarietà ispirata
ai valori evangelici” è l’auspicio e
l’incoraggiamento che Benedetto XVI, tramite un telegramma a firma del
Segretario di Stato, cardinale Angelo Sodano, ha fatto pervenire ai
partecipanti alla Conferenza internazionale organizzata dal Pontificio
Consiglio della Giustizia e della Pace e conclusasi oggi su “Microcredito e
lotta alla povertà”.
La giornata conclusiva, dopo la tavola rotonda di ieri
pomeriggio con
la presentazione di diverse esperienze
sul fronte dei finanziatori, ha offerto stamani uno spaccato dei risultati
raggiunti dal microcredito da parte di gruppi ecclesiali operanti nel settore,
con la partecipazione di personalità africane, mediorientali, americane,
asiatiche ed europee. Ne è scaturita l’affermazione che l’accesso al credito è
oggi una imprescindibile esigenza di giustizia e, come
al tempo in cui sorsero nel Quattrocento ad opera dei francescani le prime
istituzioni creditizie a favore dei più
poveri, così anche oggi bisogna inventare nuove possibilità di accesso al
credito per chi ne è normalmente escluso in ambito bancario. Le testimonianze
provenienti da vari Paesi, dall’Etiopia al Rwanda, dal Perù all’India, dalla
Cambogia alla Germania e all’Italia, hanno indicato
nel microcredito – pur con limiti e rischi da tenere presenti – una delle
chiavi importanti per sostenere lo sviluppo,
dando un reale contributo al raggiungimento del più ambizioso degli obiettivi del Millennio: la riduzione della
povertà nel mondo.
Illustrando la prospettiva morale del tema oggetto della
Conferenza, la prof.ssa Margareth Pfeill
dell’Università statunitense Notre Dame, nell’ultima relazione del convegno, ha
sottolineato l’esigenza che i programmi di microcredito tendano
allo sviluppo integrale di ciascun partecipante, la persona che è soggetto
dell’attività economica. “A questo scopo – ha detto - le iniziative di microcredito possono al meglio
realizzarsi come strumenti di finanza etica coltivando l’ethos della solidarietà, uno spirito di condivisione dei beni della
creazione e le proprie capacità in risposta di gratitudine agli abbondanti
frutti dell’amore di Dio, facendo sì che l’amore dia forma alle esigenze di
giustizia in attuazione del bene comune”.
Nelle osservazioni conclusive, il presidente del
Pontificio Consiglio, cardinale Renato Martino, definendo la Conferenza “una
stimolante esperienza ricca di sfide e di salutari provocazioni”, ha sottolineato che
il microcredito “va concepito come uno strumento finanziario che deve
funzionare in vista di inserire i poveri dentro processi virtuosi di sviluppo,
caratterizzati da una cultura della partecipazione e dell’esperienza solidale
del protagonismo dei poveri stessi nel dare risposte adeguate ai loro
problemi”. Di qui la necessità di una “sinergia degli strumenti e di una più
dinamica operatività tra le iniziative della cooperazione internazionale,
dentro uno cultura caratterizzata dalla solidarietà e
dalla sussidiarietà”. Il porporato ha anche messo in guardia dal “rischio, né
lontano né irreale, che il microcredito venga
considerato da alcuni come una ghiotta opportunità di allargare i propri
mercati finanziari, guidati unicamente dall’idea della massimizzazione del
profitto”. I cattolici dovranno pertanto essere in prima linea in quella
“fantasia della carità”, sociale, economico-finanziaria e politica, capace di sostenere
ciò che la corrente razionalità finanziaria considera una specie di
contraddizione: la bancabilità dei non bancabili.
“ORIENTAMENTI PER UNA PASTORALE DEGLI ZINGARI”:
PRESENTANDO
IL DOCUMENTO DELLA SANTA SEDE IN SALA STAMPA VATICANA,
MONS. MARCHETTO
PARLA DELL’“INTEGRAZIONE DELLE POPOLAZIONI NOMADI
NELLE
SOCIETA’ OCCIDENTALI COME UNA “CAUSA DI LIBERAZIONE E DI DIGNITÀ”
Un popolo in viaggio spesso
colpito, nel corso dei secoli, da persecuzioni e segnato a dito da
discriminazioni e pregiudizi, in gran parte figli di un’incomprensione
culturale. Si tratta degli Zingari, ai quali la Chiesa, attraverso il
Pontificio Consiglio per la Pastorale per i Migranti e gli itineranti, ha
dedicato un documento che contiene una visione d’insieme dell’azione della
Chiesa per l’evangelizzazione delle popolazioni nomadi. Il documento - in
gestazione sin dal 2001 per la sua notevole complessità - si intitola
“Orientamenti per una pastorale degli Zingari” ed è stato presentato questa
mattina in Sala stampa vaticana, con gli interventi del presidente del
dicastero vaticano, il cardinale Fumio Hamao, e del segretario, l’arcivescovo Agostino Marchetto.
A quest’ultimo, Giovanni Peduto ha chiesto di illustrare le linee-guida del
testo:
**********
R.
– Il testo si apre con una Premessa, che motiva la sua pubblicazione. Il
documento nasce da una sincera preoccupazione della Chiesa per gli Zingari, in risposta alle esigenze di una realtà pastorale
particolare, inserita nel suo slancio missionario e di promozione umana. Gli Orientamenti
sono frutto di un lungo studio, cui hanno contribuito vari Operatori pastorali,
anche Zingari, e alcuni esperti. Sono state interpellate, inoltre, istanze ecclesiali
non direttamente coinvolte in questo tipo di pastorale, in modo tale da situarla
adeguatamente nella più ampia cornice della missione universale della Chiesa.
Considerato, poi, che le popolazioni zingare pur nella loro identità culturale
sono segnate anche da diversità, spetterà alle Chiese locali adeguare criteri,
indicazioni e suggerimenti contenuti nel documento alle situazioni concrete di
luogo e di tempo.
D.
– Qual è il contenuto di questi “Orientamenti”?
R.
– I sei capitoli del testo possono essere suddivisi in due grandi sezioni:
quella che presenta la Chiesa e gli Zingari in visione d'insieme, e la sezione
più propriamente pastorale. La prima offre alcune nozioni generali sugli
Zingari (cap. I), attesta la sollecitudine della
Chiesa nei loro confronti e presenta la visione biblica dell’itineranza, nonché il rapporto tra cattolicità della Chiesa
e pastorale per gli Zingari (cap. II). I capitoli III e IV sono dedicati invece
allo studio del vincolo profondo che unisce evangelizzazione, inculturazione
della fede e promozione umana. Mentre il capitolo III si sofferma sull'attenzione
alla cultura zingara nel processo di evangelizzazione, sulla sua purificazione,
elevazione e sul suo compimento in Cristo, il capitolo successivo tratta dei
diritti umani e civili degli Zingari, delle condizioni del loro sviluppo
integrale e della prospettiva cristiana di promozione umana. La seconda sezione
(capp. V e VI) costituisce - si può dire - il cuore del documento, in quanto
tratta temi più propriamente pastorali. Il capitolo V è dedicato interamente
agli aspetti specifici della pastorale per gli Zingari, mentre il VI presenta
le strutture e le persone dedite a tale apostolato.
**********
Nel
corso dei vari interventi in Sala Stampa, il cardinale Hamao
ha ribadito il “diritto ad una propria identità” per gli zingari, per i quali –
ha ricordato - Giovanni Paolo II ebbe modo di spendere in più occasioni parole
di comprensione e di rispetto, culminate con la Messa del Perdono del Giubileo,
quando Papa Wojtyla invitò i cristiani a “pentirsi
delle parole e dei comportamenti” indotti dall’odio e dall’orgoglio verso le
minoranze, come appunto gli zingari. Da parte sua, mons. Marchetto ha definito
la solidarietà e la spinta alla conoscenza delle varie famiglie nomadi “una
causa di liberazione e di dignità”. Il presule ha parlato del numero dei
sacerdoti, dei religiosi e delle religiose di origine zingara (Rom, Sinti ecc..) – una trentina circa
- che operano attualmente in varie diocesi d’Europa. Per quanto riguarda
l’istruzione e la formazione dei giovani zingari – sono 4 milioni gli adolescenti
e i ragazzi in età scolare in tutta Europa – lo stesso mons. Marchetto ha
parlato, tra l’altro, dell’“opportunità di tradurre la Bibbia, i testi
liturgici e i libri di preghiera nella lingua usata dai vari gruppi etnici
delle diverse regioni”.
DIAGNOSI
PREIMPIANTO E PRENATALE HANNO SOPRATTUTTO
FINALITA’
EUGENETICHE: A SOTTOLINEARLO, GLI STUDIOSI INTERVENUTI
ALLA
SECONDA GIORNATA DEL CONGRESSO INTERNAZIONALE, IN VATICANO, SULL’EMBRIONE NELLA
FASE DEL PREIMPIANTO
Seconda
e ultima giornata di lavori, in Vaticano, del Congresso internazionale promosso
dalla Pontificia Accademia per la Vita sull’embrione umano nella fase del preimpianto. Ieri, nell’udienza ai partecipanti all’evento
scientifico, Benedetto XVI aveva ribadito con forza il “carattere sacro e inviolabile di ogni vita umana, dal suo concepimento
sino alla sua fine naturale”. Un “giudizio morale”, ha affermato il Papa, che
“vale già agli inizi della vita di un embrione, prima ancora che si sia
impiantato nel seno materno”. Ma torniamo alla sessione di stamani del
Congresso con il servizio di Alessandro Gisotti:
********
La
diagnosi preimpianto “è la tappa più avanzata della
selezione eugenetica”: è quanto affermato stamani dal prof. Angelo Fiori, che
ha aperto la sessione mattutina del Congresso, incentrato sull’embrione umano
nella diagnosi preimpiantatoria. Il prof. Fiori,
emerito di Medicina Forense all’Università cattolica del Sacro Cuore ha messo
l’accento sui problemi tecnici di questa diagnosi. Sono, infatti, sempre in
agguato “falsi negativi e falsi positivi”. Ma ancor più gravi, ha affermato,
sono i problemi di natura etica:
“Qui è
inutile usare giri di parole. Già la diagnosi prenatale, qualunque argomento si
possa portare avanti, in una sua quota non irrilevante è finalizzata alla soppressione dell’embrione
e, quindi, alla selezione di quegli embrioni che si ritiene siano affetti da malattia”.
Opinione
condivisa dal prof. Carlo Bellieni, pediatra al
Policlinico di Siena, che nel suo intervento ha messo l’accento sui propositi
eugenetici e non curativi di questo tipo di diagnosi:
“Nella diagnosi prenatale, nella diagnosi preimpianto, il punto di fondo sta nel fatto che non è una
diagnosi curativa per il malato, se non in rarissimi casi, ma è una diagnosi eliminatoria,
cioè si eliminano i feti o gli embrioni che hanno quel tratto caratteristico
che a noi non piace. Cosa significa questo? Significa che, per esempio, si avrà
una perdita degli embrioni in eccesso. In uno studio del 2005, preso come
esempio, si parte da 33 embrioni, che vengono creati
per arrivare ad una sola gravidanza”.
Queste
perplessità, ha aggiunto il prof. Bellini, non vengono
sollevate solo da chi ha una visione religiosa della vita. Sono in molti, nella
comunità scientifica, che cominciano ad interrogarsi sui rischi collegati a
questo tipo di diagnosi. Da ultimo, ha constatato, “preoccupazioni sono state
espresse dalla commissione per la genetica umana del governo britannico”. Dal
canto suo, la prof.ssa Marie Odile Rethoré, genetista all’Ospedale Necker
di Parigi, ha affermato che la diagnosi genetica preimpiantatoria
“viene proposta come mezzo di selezione fra gli
embrioni”. La finalità è dunque di “scegliere quelli le cui vite corrispondono
ai requisiti essenziali per trovare posto nella nostra società”. Una società, è
stata la sua denuncia, dove le persone disabili non sono gradite.
**********
LA
VISITA DI STUDIO A ROMA DI DOCENTI E STUDENTI
DELL’UNIVERSITA’
DI ATENE, NELL’AMBITO DEGLI SCAMBI CULTURALI
TRA LA
CHIESA ORTODOSSA DI GRECIA E LA CHIESA CATTOLICA:
IERI
L’UDIENZA DAL PAPA, OGGI LA VISITA ALLA RADIO VATICANA
-
Intervista con padre Dimitri Salakas -
Una visita di studio che apre nuovi orizzonti di
conoscenza reciproca e di dialogo ecumenico, quella organizzata a Roma dal
Collegio teologico Apostoliki Diaconia della Chiesa ortodossa di Grecia, i cui studenti e
docenti sono stati ricevuti ieri in udienza dal Papa. Benedetto XVI ha lodato
questa iniziativa e tante altre promosse negli ultimi anni dall’arcidiocesi
ortodossa di Atene, dalla Diaconia apostolica e dal Comitato cattolico per la
collaborazione culturale con le Chiese ortodosse, in seno al Pontificio
Consiglio per l’unità dei cristiani. E proprio stamane
il gruppo, allargato anche ad altre Facoltà dell’Università di Atene, è stato ospite
della Radio Vaticana, accompagnato dal vescovo di Fanarion,
Agathanghelos, direttore generale della Diaconia
apostolica. Sulle attese di questa esperienza ‘romana’ Giovanni Peduto ha
intervistato padre Dimitri Salakas, consultore presso
il Dicastero vaticano per l’unità dei cristiani:
**********
R. – Anzitutto bisogna sottolineare che è la seconda
visita di questo tipo che viene effettuata a Roma. Due
anni fa c’è stato un altro incontro di sacerdoti a Roma, che sono stati
ricevuti anche da Giovanni Paolo II. Queste visite sono un segno molto
positivo, promettente dei rapporti che si sono allacciati specialmente dopo la
visita del Santo Padre in Grecia, nel maggio 2001.
D. – Ci sono delle esperienze particolari di questi
scambi?
R. – Noi sappiamo che il Pontificio Consiglio per l’unità
dei cristiani dà delle borse di studio e la stessa cosa fanno loro con noi ad
Atene da qualche anno, e si ripeterà anche questo anno. Un gruppo di nostri
studenti e sacerdoti
cattolici andrà in Grecia per imparare e conoscere anche dal punto di vista
culturale la lingua, la spiritualità e la vita della Chiesa ortodossa.
D. – Quanto questi incontri
possono influire sul cammino ecumenico?
R. – Possono influire positivamente perché il dialogo e i
rapporti non sono soltanto a livello così ufficiale, a livello di gerarchie e a
livello del dialogo universale che grazie a Dio riprende adesso, ma anche a
livello di sacerdoti, di studenti di teologia, etc. Insomma è un ecumenismo
alla base. Possiamo dire che questi incontri aiuteranno anche al rafforzamento
dei rapporti a livello del popolo di Dio, di sacerdoti, di monaci, etc. Quindi
è un dialogo che continua, è un dialogo della carità, della conoscenza.
D. – Come stanno crescendo i rapporti tra cattolici e
ortodossi greci?
R. – Possiamo dire che questi rapporti si intensificano
lentamente con prudenza. Noi sappiamo le difficoltà che ci sono anche in
Grecia. Non è che tutti questi gesti, questi movimenti sono senza riserve da
parte di ambienti che non sono tanto aperti, alcuni ambienti anche monastici.
Anche qualche volta da parte di gerarchi, etc. Quindi il dialogo si sta sviluppando.
L’arcivescovo Christodoulos con molta decisione e molta prudenza intende assolutamente allacciare
questi rapporti tenendo conto che la Grecia fa parte dell’UE e la Chiesa
ortodossa di Grecia cerca di avere il suo ruolo nell’ambito della presenza
della Grecia in Europa, in collaborazione anche con la Chiesa cattolica in
Europa.
D. – Benedetto XVI ha detto che l’ecumenismo è una
priorità del suo Pontificato: come è visto in Grecia?
R. – Il Santo Padre Benedetto XVI è conosciuto molto bene
in Grecia anzitutto come teologo. Molti sono stati gli studenti che lo hanno
avuto come docente, come maestro. Conosce molto bene la Chiesa ortodossa in genere ma conosce anche la Chiesa greca, i greci, i presuli,
i teologi, tanti professori universitari. C’è molta speranza e conoscendo bene
la Chiesa greca, la teologia greca, le difficoltà, tutto questo porta una
speranza che il dialogo proceda.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina l’Iraq
dove l’imperversare delle violenze semina nuovi lutti.
Servizio vaticano - La
presentazione del Documento: “Orientamenti per una pastorale degli zingari”.
Servizio estero - La crisi
umanitaria nel Nord dell’Uganda: in merito due interventi, alle Nazioni Unite,
dell’arcivescovo di Gulu, mons. John Baptist Odama.
Servizio culturale - Per la
rubrica “Incontri”, il compositore Giorgio Battistelli
intervistato da Marcello Filotei.
Per l’“Osservatore libri”, un
articolo di Armando Rigobello dal titolo “Una
dottrina teologica vicina alla mistica renana”: “In principio. Il ‘mistero’ di Maria nei manoscritti di Wilhelm Klein” di Giuseppe Trentin.
Servizio italiano - Energia;
scalata ENEL: nuove polemiche. Buttiglione: “Qualche colpa ce
l’abbiamo”.
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28 febbraio 2006
NELL’AMBITO DELLA VICENDA
ENEL-SUEZ, IL MINISTRO ITALIANO DELL’ECONOMIA INCONTRERA’ OGGI A BRUXELLES
IL COMMISSARIO UE ALLA
CONCORRENZA.
RESTA IL DIBATTITO SUL COSIDDETTO
“NEO PROTEZIONISMO” IN EUROPA
- Con noi Edgardo Curcio e Andrea Bonanni -
L’Italia studia le mosse di difesa dopo la decisione
francese di bloccare il tentativo di scalata dell’ENEL sulla società energetica
SUEZ. Il ministro italiano dell’Economia Tremonti,
oggi è a Bruxelles dove nel pomeriggio incontrerà il commissario alla
concorrenza, Kroes, mentre domani vedrà il
responsabile del mercato interno, Mccreevy. Dopo la
proposta di intervento invocata dall’Italia, Bruxelles, pur non apprezzando la
manovra francese perché contraria allo “spirito europeo”, ha parlato di
mancanza di indizi concreti per verificare una violazione della circolazione di
capitali in Europa. Ma da più parti si parla di neo-protezionismo. Massimiliano
Menichetti ha raccolto il commento di Edgardo Curcio, presidente dell’Associazione Italiana Economisti
dell’energia:
**********
R. – Prima la Spagna, adesso anche
la Francia si stanno avviando verso un protezionismo
forse un po’ troppo spinto. E’ vero che l’energia riguarda soprattutto i
cittadini di ogni Paese e che quindi i governi tendono a difendere il problema
della sicurezza degli approvvigionamenti; ma qui non era in discussione nessun
problema di sicurezza …
D. – Per quanto riguarda l’Italia,
la legge sull’OPA è più aperta rispetto agli altri Paesi europei. Questo
aspetto richiama il principio della reciprocità …
R. – Il principio dovrebbe essere
applicato! Non dimentichiamoci che poi l’energia è un mercato essenzialmente
liberalizzato; l’energia dovrebbe essere un bene che si scambia tra i vari
Paesi. Le varie aziende che operano in questo settore dovrebbero essere libere
di poter vendere e comprare non solo energie ma anche altre aziende. Tra
l’altro, c’è un precedente che è quello dell’EDF, entrato nel mercato italiano,
per un certo periodo è stato ostacolato dal governo ma
poi successivamente, con un accordo che ha previsto anche una contropartita per
l’ENEL, il governo italiano ha dato il via libera al fatto che l’EDF diventasse
in Italia la seconda azienda elettrica.
D. – In questo momento si parla
anche di un’Europa che non cresce, a causa di troppo protezionismo …
R. – E’ verissimo. Si confonde il
discorso della sicurezza degli approvvigionamenti con il gas ancora con il petrolio
per l’Europa, che è dipendente essenzialmente dall’estero, con un principio che
non ha niente a che fare con il discorso della sicurezza. Si difendono, invece,
campioni nazionali con un protezionismo che va solo ed esclusivamente
nell’interesse economico del Paese!
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Di protezionismo e di limiti per l’Europa Fausta Speranza
ha parlato con Andrea Bonanni, analista di questioni
europee del quotidiano La Repubblica:
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R. – E’
una nuova forma di protezionismo, che non è un protezionismo dell’Europa verso
il resto del mondo, ma è un protezionismo degli Stati membri dell’Unione
Europea verso i loro partner, che pure dovrebbero essere partner nel mercato
unico. La cosa paradossale è che probabilmente si tratta di un protezionismo
autolesionista, nel senso che ci disperiamo tutti perché in Europa fluiscono
pochi capitali e quando i capitali arrivano corriamo ai ripari e cerchiamo di
respingerli. Del resto va anche detto che vista in un’ottica francese,
l’operazione, del blocco di un’opa Enel per una rinazionalizzazione
di Suez, probabilmente da un punto di vista economico è una scelta che
danneggia sicuramente gli azionisti di Suez e, probabilmente, creando una
situazione di semimonopolio, finirà anche per danneggiare i consumatori francesi.
D. – E sul fronte italiano ci sarebbero osservazioni da
fare?
R. – Interessante da dire sarebbe che in realtà tutta
questa vicenda ha un cotè un po’ assurdo, perché se
noi vediamo bene, questa famosa opa di Enel su Suez è stata annunciata e non fatta. E a parte il
fatto che questa è una cosa che non si fa, tutte le reazioni giustamente
preoccupate da parte dell’opinione pubblica e del governo italiano, sono reazioni
ad una situazione ipotetica, perché di fatto, finora,
l’opa non è stata presentata.
D. – Ecco, misure di protezionismo si possono mettere in
atto, ovviamente, in qualsiasi campo. In questo momento si parla di energia e,
dunque, c’ entra in qualche modo la guerra dell’energia che il presidente russo
Putin sta conducendo anche, in qualche modo, su scala
europea?
R. – C’
entra sicuramente, nel senso che è in corso una manovra dei grandi produttori,
cioè Russia ed Algeria, che da soli hanno il 50 per cento delle importazioni di
gas in Europa, per cercare di arrivare direttamente sul mercato dei
consumatori. Questo mette in moto una catena di eventi, per
cui tutto il mercato dell’energia si trova a mobilitarsi e i
distributori hanno naturalmente uno stimolo in più per allargare le loro
dimensioni e per cercare di far fronte alla questione dei produttori. Diciamo
che questa è la palla di neve iniziale che poi determina una
valanga, le conseguenze della quale sono tutti questi tentativi di acquisizione
o di assorbimento, spesso transnazionali.
**********
IN IRAQ
DECINE I GIORNALISTI
IRACHENI MARTIRI IN NOME DELLA LIBERTA’ DI STAMPA E
DELLA CONVIVENZA DEMOCRATICA.
OLTRE 30 I MORTI STAMANE IN UNA SERIE DI ATTENTATI
A BAGHDAD
Continua a
peggiorare il bilancio di una serie di attentati che stamane
hanno colpito Baghdad. Sono almeno 32 i morti accertati è più di un centinaio
di feriti. Non ha provocato vittime invece l’attacco sferrato contro una
pattuglia italiana a Nassyria, mentre due soldati
britannici hanno perso la vita in uno stesso episodio. In questo quadro di sangue
è ripreso il processo a Saddam Hussein.
Ce ne parla Eugenio Bonanata:
***********
A nulla sono
serviti gli appelli alla tregua dei leader politici iracheni. Dopo l’attacco
alla moschea sciita di Samara le violenze hanno provocato più di 300 morti a
Baghdad. E mentre si susseguono i ritrovamenti di cadaveri giustiziati a sangue
freddo, stamani nel centro di Baghdad, in zone abitate prevalentemente da
sciiti, un kamikaze e due autobomba hanno compiuto l’ennesimo bagno di sangue.
Gli attacchi, in rapida sequenza, hanno fatto più di 30 morti, secondo un
bilancio ancora provvisorio. E la guerriglia non risparmia le forze militari.
Nella zona di Bassora due militari britannici sono morti per l’esplosione di un
ordigno al passaggio del loro convoglio. Stessa tecnica a Nassirya,
contro gli Italiani. Nessun militare italiano è rimasto ferito, però
nell’attacco due civili iracheni hanno perso la vita. Intanto nella super
fortificata zona verde di Baghdad, l’ex presidente Saddam
Hussein è tornato in tribunale. Questa volta si sono
presentati anche gli avvocati della difesa, ma due di
loro hanno abbandonato l'aula subito dopo, per protestare contro il rifiuto
della Corte di destituire il presidente del tribunale e di aggiornare
l’udienza.
**********
Si continua
dunque a paventare lo scoppio di una guerra civile in Iraq, ma c’è chi come
l’associazione internazionale per la libertà di stampa “Information
Safety and Freedom”
denuncia che “la guerra civile in Iraq è cominciata tre anni fa, quando è stata
dichiarata la fine della guerra contro Saddam. “Una
guerra - si legge nel comunicato dell’associazione - sanguinaria, fatta di
attentati, torture, squadre della morte, violenze alle donne e pulizia etnica”.
Roberta Gisotti ha intervistato Roberto Reale, segretario generale dell’ISF:
**********
D. – Perché fin’ora come voi
dite nessuno, né media, né governi ha voluto vederla questa guerra in Iraq?
R. – Le ragioni sono eminentemente politiche. Si spera, si
lavora per una svolta democratica in Iraq mentre in
realtà nel Paese accade il contrario. Sono decine e decine di migliaia i morti,
vittime civili, c’è chi dice oltre 100 mila e credo sia
una cifra assolutamente realistica, purtroppo. Le notizie di questi ultimi
giorni, dopo l’attentato a Samarra, parlano di 1300,
1400 morti, una vera e propria strage in corso, protagonisti
sia bande terroristiche, sia squadroni della morte, mentre gli Eserciti
occupanti non sanno bene come comportarsi e se si comportano, si comportano
male. Insomma un quadro assolutamente terribile.
D. – E’ dunque un’ipocrisia quella di ogni giorno di
paventare lo scoppio di una guerra civile, un’ipocrisia della stampa
occidentale?
R. – E’ assolutamente un’ipocrisia. Lo è fino in fondo nel
senso che non si vuole guardare in faccia le cose che stanno avvenendo. Per
esempio in questo momento c’è la tensione dei grandi media internazionali per
il processo a Saddam, quasi che si trattasse
di una situazione normale. Proprio in queste ore tre attentati hanno devastato
Baghdad con oltre trenta morti, numero che probabilmente crescerà ancora. Tra
l’altro il conflitto potrebbe anche espandersi ai Paesi vicini, un conflitto
tra sciiti e sunniti potrebbe essere devastante. E, poi ci sono anche dei
contrasti all’interno della stessa comunità sciita. E’ tutta una situazione che
sta scappando di mano ma i media non hanno il coraggio
di dirlo.
D. – C’è pure un altro silenzio assordante sulla morte in
Iraq di decine di giornalisti iracheni, ultima la giornalista Attwar Bahjat,
della tv di Dubai “Al Araba”, all’indomani dell’attentato alla moschea, uccisa con due
operatori della sua troupe che avrebbero tentato di difenderla. Chi era questa
giovane collega?
R. – Era una
bellissima persona, nata con quella generazione di giornalisti iracheni che
dopo la caduta di Saddam ha vissuto un momento di
grande speranza, di ritorno finalmente alla democrazia, alla libertà di
espressione; una donna che ha voluto affermarsi nel lavoro, con una madre
sciita e un papà sunnita; quindi un’irachena che in
qualche modo rappresentava tutto il suo popolo. In una delle sue
ultime corrispondenze aveva detto: “Non siamo divisi fra noi, il nostro popolo,
il popolo iracheno è unito dalla paura per il futuro che ci si prospetta”. E’
una vicenda terribile e Stefano Marcelli che è il
presidente dell’ISF ha preso posizione ‘gridando’, perché c’è stato tutto
questo silenzio dei media intorno a questi colleghi
iracheni che vengono uccisi, sterminati: ne sono morti una cinquantina soltanto
negli ultimi mesi. Si uccide la libertà di informazione come si uccidono i
civili in questo momento in Iraq e i grandi media occidentali tacciono oppure
ne parlano poco. C’è anche una giornalista americana, Gill
Carroll, nelle mani dei rapitori, anche su questo se
n’è parlato pochissimo e questo è molto grave.
D. - Sarebbe invece il momento di far emergere
queste storie di ‘martiri’ della libertà di stampa, ma soprattutto
l’affermazione di una convivenza civile, democratica…
R. – Assolutamente sì, perché se noi vogliamo
difendere un’idea, che è quella di un Iraq che sia libero, che si autogoverni, che si autodetermini,
questi giornalisti, tutti giovani - Attwar aveva meno
di trent’anni - rappresentano la speranza e il futuro
di questo Paese. Nel momento in cui con determinazione e con estrema perfidia, li si liquida, si liquida anche questa speranza e quindi è
assolutamente necessario capire che un futuro democratico del Paese passa
soltanto se alcune persone riescono ad essere protette, difese, se le loro
storie vengono raccontate. Purtroppo la comunità occidentale è assolutamente
inetta rispetto a quanto sta accadendo e per certi aspetti è anche addirittura
complice perché questo silenzio fa solo il gioco degli assassini e di chi vuole
veramente che questa guerra civile precipiti ulteriormente in una strage senza
fine.
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BAMBINI E ADOLESCENTI AL CENTRO DI
TANTE STORIE DIFFICILI,
NEL FILM AD EPISODI ALL THE
INVISIBILE CHILDREN: STASERA
L’ANTEPRIMA A ROMA
CON IL
PRESIDENTE CIAMPI E VENERDÌ L’USCITA NELLE SALE ITALIANE
Bambini e adolescenti affamati, sfruttati, privati dei
loro diritti fondamentali, come l’istruzione, a causa di guerre e violenze. A
tutti loro è dedicato il film ad episodi All
the Invisibile Children, che uscirà nelle sale
italiane il 3 marzo. Stasera l’anteprima a Roma, all’Auditorium di via della
Conciliazione. Vi prenderà parte il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio
Ciampi. La pellicola è stata prodotta da MK Film e da Rai Cinema sulla base di
un progetto a favore delle Agenzie delle Nazioni Unite PAM e UNICEF che ha
coinvolto sette grandi registi provenienti da culture e religioni diverse. Luca
Pellegrini:
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Non è che i bambini siano invisibili, ma siamo noi che
troppo spesso li rendiamo invisibili. E rendendoli invisibili ai nostri occhi,
li rendiamo ancor più vulnerabili e indifesi. All
the Invisibile Children è un film polifonico:
sette episodi dedicati all’infanzia girati ciascuno con stile e prospettive
diversi da sette grandi registi, tra cui Spike Lee, Jordan e Ridley
Scott, John Woo, Emir Kusturica.
Bambini abbandonati, bambini soldato, bambini alle prese con famiglie
problematiche, con le guerre degli adulti, con povertà e violenze, con
terribili malattie e prevaricazioni. Ciascuno degli episodi ha una sua
personale presa emotiva e ciascuno risponde al dovere e all’urgenza morale di
aprire gli occhi e di pensare che quei bambini sono il nostro presente e il
nostro futuro. Stefano Veneruso, oltre che essere
regista di un episodio ambientato a Napoli, è stato ideatore e produttore del
progetto. Gli abbiamo chiesto come e quando è nato:
R. – Il
progetto nasce quattro anni fa da un’idea di Chiara Pilesi,
che è una giovane produttrice. Chiara mi ha chiamato quattro anni fa e mi ha
proposto questo progetto. Mi è sembrata subito un’idea straordinaria e ci siamo
messi subito al lavoro. Quindi, ha il coinvolgimento di tutte le istituzioni,
dell’UNICEF e del World Food Program, del Programma Alimentare Mondiale. I
profitti del film andranno al fondo che si chiama proprio come il film “I
bambini invisibili”, gestito dall’UNICEF e dal World Food Program.
D. – Secondo lei, qual è il possibile collante che lega le
singole storie?
R. – Sicuramente sono i bambini. Le storie, quasi per
magia, si legano perfettamente. Abbiamo anche trovato sul piano creativo, da un
certo punto di vista, una buona soluzione. C’è un intervallo davvero brevissimo
e quindi tra il primo e il secondo segmento si crea un legame che poi diventa
automatico.
D. – Che cosa dovremmo ricordare di questi bambini e con
quali sentimenti?
R. – Il tutto mi sembra racchiuso in una frase di Saint-Exupery de Il Piccolo Principe, cioè che
“tutti i grandi sono stati bambini, ma pochi di essi
se ne ricordano”. Perché credo che spesso anche da dichiarazioni che uno legge in generale, anche parlando con le persone –
ovviamente avendo lavorato a questo film è diventato il tema centrale della
nostra vita in questi quattro anni – spesso c’è un’idea sbagliata delle persone
che vivono in queste condizioni, perché un bambino non può commettere un
errore, se non con la complicità di un adulto. Io non ci credo. Si fanno le
marachelle, ma gli errori gravi sono dettati dalle disattenzioni degli adulti.
Quindi, un bambino non è mai colpevole. Questo è il fatto che mi fa più male,
se penso alla criminalità, alla microcriminalità o ad altre cose.
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28 febbraio 2006
VIETNAM:
NEI PRIMI 9 MESI DEL 2005 SI SONO REGISTRATI 74.264 ABORTI.
ECCO LA RAGIONE DI UNA TRE
GIORNI DI INCONTRI DAL TEMA: “PROTEGGERE LA VITA UMANA CONTRO LA CULTURA
DELLA MORTE”.
HO CHI MINH CITY. = In Vietnam, la pratica
dell’aborto è molto diffusa: secondo i dati forniti dal “Centro per la protezioni delle madri e dei bambini”, a Ho Chi Minh City, nei primi 9 mesi del 2005 si sono registrati
74.264 aborti, di cui 554 di ragazze sotto i 18 anni. A fronte di questa
situazione, si è appena conclusa una tre giorni di incontri
nella parrocchia di Me Hang Cuu
Giup, dal tema: “Proteggere la vita umana contro la
cultura della morte”. Come riferisce l’agenzia AsiaNews, uno degli
organizzatori, padre Joseph, ha sostenuto la
necessità di compiere azioni concrete per mettere in atto
programmi per la protezione della vita umana, per respingere la cultura
di morte presente nella società vietnamita, e per prevenire gravi mali sociali
come gli abusi sessuali sui minori e l’aborto. Al termine degli incontri, sono
state sollevate tutta una serie di questioni sociali, che hanno destato
particolare interesse nei parrocchiani presenti, che per la prima volta si
confrontavano su temi di tale importanza. (A.E.)
LA SFIDA DEL FUTURO SI GIOCA SULLE CAPACITÀ DI
TROVARE CIÒ CHE UNISCE
E DI SUPERARE CIÒ CHE DIVIDE, QUINDI ALIMENTARE IL
DIALOGO ATTRAVERSO
I MEZZI DI
INFORMAZIONE. È QUESTO IL MESSAGGIO LANCIATO OGGI AL QUIRINALE, DAL PRESIDENTE
DELLA REPUBBLICA DURANTE LA CERIMONIA DI CONSEGNA
DEI PREMI
ISCHIA PER IL GIORNALISMO
ROMA. = “Il giornalismo deve costruire ponti tra le
civiltà, avvicinare culture diverse per diffondere e consolidare una cultura
della pace e dell’integrazione. Valorizziamo questo impegno, rafforziamo questo
compito”. Sono le parole del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi,
pronunciate oggi in Quirinale, durante la consegna
dei premi Ischia per il giornalismo. Ciampi con un evidente anche se implicito
richiamo alle vicende di questi ultimi giorni, relative alle vignette, ha
voluto sottolineare l’importanza del dialogo che va alimentata anche attraverso
i mezzi di informazione. Infatti, - ha sottolineato – la sfida del futuro si
gioca anche sulle capacità di trovare ciò che unisce e di superare ciò che
divide. Con il suo messaggio il Presidente ha voluto “riaffermare la centralità
del ruolo dell’informazione, caposaldo dei valori costituzionali, capace di
favorire un percorso di consolidamento di una coscienza collettiva matura e
consapevole nella difesa dei diritti e nell’adempimento dei doveri”. A
conclusione della cerimonia, il Capo dello Stato ha rivolto un ringraziamento
particolare ai giornalisti che hanno operato e che operano in situazioni di
conflitto e di alto rischio anche a costo della vita. “È al loro coraggio – ha
concluso – e alla loro perseveranza nella ricerca della verità, e alla loro
fiducia nel compito che svolgono che i più giovani devono guardare con
attenzione e rispetto”. (A.E.)
PER
POTENZIARE LA PRODUZIONE NON È NECESSARIO
CAMBIARE
IL SISTEMA DI LAVORO.
A
SOSTENERLO È IL SINDACATO POLACCO DI SOLIDARNOSC, CHE SI STA BATTENDO
IN
QUESTI GIORNI PER GARANTIRE IL SABATO LIBERO AGLI OPERAI
DELLO
STABILIMENTO FIAT GM POWERTRAIN POLSKA DI BIELSKO, NEL SUD DEL PAESE
VARSAVIA. = Il sindacato Solidarnosc si sta battendo
in questi giorni, per garantire agli operai polacchi, impiegati nello
stabilimento della Fiat Gm Powertrain Polska a Bielsko, nel sud della Polonia, il sabato libero. Infatti,
secondo il quotidiano Gazeta Wyborcza,
la direzione dell’azienda avrebbe vincolato il progetto di aumento della
produzione di motori diesel per la Fiat Punto e Panda,
già avviata nel 2003, all’accordo con i sindacati per il passaggio della
giornata lavorativa da cinque a sei giorni a settimana. È un investimento da 50
milioni di euro, che prevede l’incremento della capacità produttiva, dai 551
mila motori prodotti all’anno ai 700-800 mila esemplari
per il 2007. Il sindacato polacco ritiene, però, che per potenziare la
produzione non sia affatto necessario modificare il sistema di lavoro, ragion
per cui ha indetto un referendum fra i 1300 operai dell’azienda. Al momento, la
situazione è in una fase di stallo, l’unica nota negativa, pare arrivare secondo
il giornale polacco, dalla direzione italiana dello stabilimento industriale.
Infatti, in caso di mancato accordo con i sindacati, i dirigenti avrebbero
minacciato di spostare la produzione dei motori in Brasile. (A.E.)
INAUGURATA IERI A NAIROBI, IN
KENYA, LA PRIMA STAZIONE CINESE FM D’OLTRE
MARE: CHINA RADIO INTERNATIONAL (CRI). OBIETTIVO DICHIARATO
DEL PROGETTO
È IL DIALOGO CON I POPOLI AFRICANI
NAIROBI. = Ieri nella capitale kenyota,
inaugurata la prima stazione FM d’oltre mare di China Radio International
(CRI): è un progetto unico nel suo genere. Secondo il direttore generale di
CRI, Wang Gengnian,
l’obiettivo della radio è quello di promuovere una comprensione reciproca tra i
due popoli e avviare una collaborazione tra i governi dei rispettivi Paesi. La
nuova emittente trasmetterà in tre lingue diverse: inglese, swahili
e cinese. Inoltre, ai circa due milioni di ascoltatori di Nairobi, sarà
proposta una programmazione variegata, che tratterà di economia, sviluppo
sociale e culturale della Cina, ma anche di dialogo
con gli altri popoli africani. La CRI, conosciuta in
passato come Radio Beijing, è nata nel 1941 e
fornisce un servizio oltre che in cinese e in quattro dialetti cinesi, anche in
altre 40 lingue. Secondo quanto riferisce la MISNA, negli ultimi anni, il
governo di Pechino ha realizzato investimenti in 49 Paesi africani, per un giro
d’affari valutato oltre un miliardo di dollari. Tanto che gli scambi bilaterali
tra Cina e Africa, sono passati da circa 10,8 miliardi di dollari nel 2000, ai
30 del 2004. Le attività cinesi riguardano soprattutto Sudafrica, Egitto, Sudan
e Zambia e, in misura sembrerebbe minore altri Paesi. (A.E.)
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28 febbraio 2006
- A cura di
Eugenio Bonanata -
La delegazione iraniana arriverà
domani a Mosca per continuare i complessi negoziati con la Russia sulla
questione nucleare. Lo ha annunciato ufficialmente l’ufficio stampa del
Consiglio russo
per la sicurezza nazionale, dopo una disorientante ridda di voci su come e
quando le trattative andranno avanti. Oltre lo scetticismo della Casa Bianca,
l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) afferma in un rapporto
che la natura del programma nucleare iraniano non potrà essere accertata se Teheran continua a bloccare le indagini.
L'Iran vorrebbe che il Giappone collaborasse allo sviluppo
del programma nucleare nazionale, per dimostrare che esso ha solo finalità
pacifiche. L'invito è
stato formulato oggi dal ministro degli Esteri iraniano, Manouchehr
Mottaki, nel corso di un incontro con il primo
ministro giapponese Junichiro Koizumi. Il capo della diplomazia iraniana, già ambasciatore
del suo Paese a Tokyo, ha detto di aver suggerito in particolare la partecipazione
delle società giapponesi alle attività svolte in 10 dei 15 impianti nucleari
nazionali destinati alla produzione di energia elettrica. Il collega giapponese
Taro Aso ha auspicato che Teheran
rispetti le risoluzioni internazionali concernenti il
programma nucleare iraniano.
Intanto in Iran, due scosse sismiche, a pochi minuti di
distanza, hanno colpito la zona di Bam, nel sud del
Paese. La prima ha avuto una magnitudo di 5,8 gradi Richter;
la seconda di 5,6. Secondo fonti locali, nella sola
località di Kahnuj, oltre 1.400 case sono state
danneggiate, ma non vi sarebbero né feriti né morti. A dicembre del 2003 la
città di Bam fu distrutta da un
sisma di magnitudo 6,7, che causò oltre 30 mila morti.
La mediazione russa prosegue anche sul fronte
mediorientale. Si svolgeranno nell’arco di due giorni, il 3 e 4 marzo prossimi,
i negoziati che una delegazione di Hamas avrà a Mosca con il governo russo. I
rappresentanti del movimento radicale palestinese avranno come principale
interlocutore il viceministro degli Esteri, Saltanov, ma non è escluso un incontro con il ministro
degli Esteri, Lavrov. Secondo fonti
russe i negoziati si svolgeranno al ministero degli Esteri. L’obiettivo
di Mosca è spingere Hamas a rinunciare al terrorismo e a riconoscere lo Stato
di Israele.
Sarebbe “importante politicamente” che Israele sbloccasse
il trasferimento dei proventi
doganali nei confronti dei palestinesi. Il commissario europeo alle relazioni
esterne, Benita Ferrero Waldner,
ha argomentato così la decisione della Commissione di stanziare 120 milioni di
euro per venire incontro alle esigenze primarie dei palestinesi. Secondo il commissario,
Israele dovrebbe pagare “questi soldi che sono palestinesi”. Per l'inviato del Quartetto, Wolfensohn,
l’ANP rischia il collasso in 15 giorni.
Il premier ceceno
Serghei Abramov, coinvolto
a novembre in un grave incidente automobilistico a Mosca, si è dimesso per
ragioni di salute. A darne l’annuncio è stato il presidente ceceno
Alu Alkhanov, dopo aver
ricevuto la lettera di dimissioni in cui l’ex premier spiega l’impossibilità di
svolgere le sue funzioni. Da novembre il governo è nelle mani del primo vicepremier Kadyrov, ma a detta
del presidente Alkhanov “è presto” per dire chi
sostituirà Abramov. L’ambizioso Kadyrov,
potentissimo grazie al controllo di una spietata milizia privata, punta in effetti a diventare primo ministro ma ha ancora 29 anni
quando ce ne vogliono almeno 30 per ricoprire la carica.
Sale la tensione fra Cina e Taiwan. Pechino ha condannato oggi
la decisione del presidente taiwanese Chen Shui-bian di abolire il Consiglio Nazionale per l’Unificazione (Cnu).
L’Ufficio per gli affari di Taiwan del Partito Comunista e quello del governo,
in un comunicato diffuso dall’agenzia Nuova Cina, affermano che si tratta di
una “attività secessionista”, che “mette in grave pericolo la pace nella
regione”. In un editoriale pubblicato oggi dal quotidiano ‘China Daily’ si afferma che l’abolizione del Consiglio porterà ad
una “grave crisi” nelle relazioni tra Taipei e
Pechino.
Il presidente del Consiglio italiano, Berlusconi,
è giunto a Washington per una missione di due giorni negli Stati Uniti. Per
oggi è in programma una colazione di lavoro con Bush,
poi un incontro
di lavoro nello Studio Ovale seguito da dichiarazioni alla stampa. Domani,
invece, il premier pronuncerà un discorso davanti al Congresso in seduta
plenaria. Punti centrali, le relazioni bilaterali con richiami ai principi
fondanti la democrazia e ai problemi principali di attualità politica, come la
lotta al terrorismo internazionale. Giovedì il premier si trasferirà a New York
per ricevere il premio "Intrepid Freedom 2006".
Si è conclusa con 4 morti e 20 feriti la rivolta sobillata
dai detenuti talebani nel penitenziario di Pul-i-Charkhi, il più grande
dell'Afghanistan. “La situazione è totalmente sotto controllo',
ha detto il comandante della forza di reazione rapida della polizia, Mahboob Amiri, accusando un
centinaio di detenuti talebani e stranieri
simpatizzanti di al-Qaeda di esser stati i promotori
dell’ammutinamento.
Il Forum per il Cambio Democratico (FDC), il maggiore partito
di opposizione in Uganda, ha annunciato
che farà ricorso in tribunale contro i risultati delle elezioni che hanno visto
la vittoria del presidente uscente Musuveni. La
formazione sconfitta ha annunciato la creazione di un team di avvocati per
contestare i risultati. Il 23 febbraio in Uganda si sono tenute le prime
elezioni multipartitiche
dopo 25 anni. Il presidente Musuveni, al potere dal gennaio
del 1986, ha vinto con il 59,2%, mentre Besigye del
Forum per il cambio democratico, ha ottenuto il 37,3%.
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