RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 364 - Testo
della trasmissione di sabato 30 dicembre
2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Domani la Chiesa celebra
la Festa della Santa Famiglia: ce ne parla suor Ottavina Bressanin
OGGI IN PRIMO PIANO:
L’agenzia Fides pubblica il Martirologio
della Chiesa: nel 2006 sono stati uccisi 24 missionari
Il commento di padre Rupnik al Vangelo di domani
CHIESA E SOCIETA’:
Dopo dieci anni, torna la ‘febbre della Rift Valley’ nel Nordest del Kenya:
37 finora i morti
Affonda
un traghetto in Indonesia: i dispersi sarebbero 500
Autobomba
dell’ETA all’aeroporto di Madrid provoca alcuni feriti e un disperso: i
separatisti baschi rompono la tregua
30 dicembre 2006
UNA
NOTIZIA TRAGICA:
COSI’
IL PORTAVOCE VATICANO PADRE FEDERICO LOMBARDI HA COMMENTATO L’ESECUZIONE DI
SADDAM HUSSEIN AVVENUTA STAMANE A BAGHDAD.
AI
NOSTRI MICROFONI IL CARDINALE MARTINO RIBADISCE:
“Una notizia tragica” che non ricostruisce la giustizia e
rischia di provocare nuove violenze e vendette. Così
**********
Una esecuzione capitale è sempre una
notizia tragica, motivo di tristezza, anche quando si tratta di una persona che
si è resa colpevole di gravi delitti. La posizione della Chiesa cattolica –
contraria alla pena di morte – è stata più volte ribadita. L’uccisione del colpevole
non è la via per ricostruire la giustizia e riconciliare la società. Vi è anzi
il rischio che al contrario si alimenti lo spirito di
vendetta e si semini nuova violenza. In questo tempo oscuro della vita del
popolo iracheno non si può che auspicare che tutti i responsabili facciano
veramente ogni sforzo perché in una situazione drammatica si aprano infine
spiragli di riconciliazione e di pace.
**********
E sull’esecuzione di Saddam Hussein ecco quanto ci ha
detto il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente
del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace:
**********
Avevo sperato nei giorni scorsi che si fosse
giudicato opportuno non eseguire la pena capitale per Saddam Hussein.
Spero e prego che quest’ultimo atto non contribuisca ad aggravare la già
critica situazione in Iraq, Paese già così provato da tante divisioni e lotte
fratricide.
La pena di morte, come insegna l’Enciclica Evangelium vitae, va evitata “in considerazione
delle possibilità di cui dispone una moderna società di reprimere efficacemente
il crimine in modi che, mentre rendono inoffensivo colui che l’ha commesso, non
gli tolgono definitivamente la possibilità di redimersi” (N.27).
E’ ben conosciuta la posizione della Chiesa sul dono della
vita di cui l’uomo non ha completa disponibilità e che va difesa dal momento
del concepimento fino alla sua fine naturale. Tale posizione esclude quindi
tanto l’aborto, quanto la sperimentazione sugli embrioni, l’eutanasia e la pena
di morte, che sono una negazione della trascendente dignità della persona umana
creata a immagine di Dio.
**********
DOMANI LA FESTA DELLA SANTA FAMIGLIA DI NAZARET,
ESEMPIO STRAORDINARIO DI SANTITA’ PER LE
FAMIGLIE DI OGGI.
IL PAPA, DOPO
L’ANGELUS,
VISITERA’ NELLA SERATA
IL PRESEPE DI PIAZZA SAN PIETRO
- Intervista con madre Ottavina Bressanin -
Domani,
ultimo giorno dell’anno, la Chiesa celebra la Festa della Santa Famiglia. Dopo
l’Angelus, il Papa visiterà, in serata, il Presepe di
Piazza San Pietro. Fin dall’inizio del suo Pontificato, Benedetto XVI ha
dedicato grande attenzione alla famiglia. Nell’anno che si sta per concludere,
si ricorda in particolare il suo discorso ai parlamentari del Partito Popolare
Europeo nel quale sottolineò che la difesa della famiglia fondata sul
matrimonio è un principio non negoziabile. E, ancora, l’incontro mondiale di
Valencia dove Benedetto XVI ha proposto la bellezza della famiglia cristiana
quale risposta al secolarismo che avanza in Occidente. Sul significato della Festa della Santa
Famiglia, Giovanni Peduto ha raccolto la riflessione della madre Ottavina Bressanin, per due mandati superiora generale della
Congregazione delle Suore della Sacra Famiglia di Spoleto e attualmente responsabile
dell’Istituto Nazareno di Spoleto, retto dalle stesse religiose:
**********
R.
- La festa della Santa Famiglia presenta al mondo d’oggi un tipo di famiglia
che sembra irraggiungibile per la sua straordinarietà e santità,
ma ogni famiglia può trovare in essa un modello da imitare, giacché
anche
D. - Come
le famiglie di oggi possono farsi aiutare dalla Santa Famiglia?
R.
- Le famiglie di oggi possono trovare nella Santa Famiglia un modello da imitare,
nel vivere con fede e fiducia la propria vocazione e la propria missione, affrontando
insieme le molteplici difficoltà e collaborando nell’educazione cristiana dei
propri figli, favorendo la loro crescita umana, culturale e spirituale per una
libera realizzazione del loro essere. Oggi più che mai la cellula familiare è
particolarmente in pericolo. Il Beato Pietro Bonilli,
nostro fondatore, diceva: “Solo invocando l’aiuto di Gesù, Maria e Giuseppe, la
famiglia può resistere alle tante minacce”.
D. - Cosa
ci dice oggi la figura di San Giuseppe?
D.
- San Giuseppe è per ogni padre un modello da imitare, per la sua totale adesione
al progetto di Dio pur nella difficoltà a comprenderlo. E’ l’uomo del silenzio,
del lavoro, è colui che nonostante i dubbi, si fidò delle parole dell’angelo:
“Non temere, Giuseppe”, e da quel momento svolse con fiducia, umiltà, operosità
il grande compito di sposo e di padre collaborando così al mistero della
Salvezza.
D. -
L’umiltà, la docilità, il totale affidamento di Maria sono un esempio per tutti
noi…
R.
- L’umiltà, la docilità e la totale fiducia nel piano di Dio, sono le peculiari
qualità di Maria che emergono dal fiat
dell’Annunciazione, fino sotto
D. - Gesù
cresceva in età, grazia e sapienza… Cosa significa?
R.
– Gesù, pur essendo Dio, vive i ritmi di crescita di
ogni essere umano. Con lo scorrere degli anni della sua vita terrena entra
gradualmente nella profondità della sua missione divina e umana. Oggi i nostri
giovani sono ricchi di tante nozioni ma tanto poveri di valori, da non conoscere
il vero senso della vita. Hanno bisogno di testimoni e di guide sicure. E’
pertanto per ogni famiglia un richiamo al dovere di aiutare i figli a crescere
nella dimensione umana, spirituale e nella conoscenza di Dio.
D. -
Veniamo al vostro istituto: qual è il vostro carisma?
R.
- Il nostro fondatore, il Beato Pietro Bonilli, fin
dagli anni della sua formazione fu “soavemente attratto dal mistero
dell’Incarnazione del figlio di Dio nato in una famiglia umana”. E’ la chiara
dimostrazione della grande importanza della famiglia. Nella Famiglia di
Nazareth egli vide un modello per tutte le famiglie. Illuminato da questo
mistero, fonda l’Istituto delle Suore della Sacra Famiglia di Spoleto dando a
noi sue suore una chiara indicazione sull’essere e sull’agire. Il nostro
mandato è quello di diffondere l’amore alla Santa Famiglia in tutte le parti
del mondo ove siamo presenti, farla conoscere, amare, imitare da tutti. Il
nostro carisma si riassume in questa espressione: essere, dare, costruire
famiglia per tutti coloro che sono più deboli, svantaggiati, diversamente
abili, nello stile dell’accoglienza e del calore umano, che regnava nella
Famiglia di Nazareth.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il titolo “Una forza mite
e reale custodita nel cuore umano”: al volgere dell’anno risuona vibrante
l'appello rivolto da Benedetto XVI ai potenti della Terra nel Messaggio per la
Giornata della pace, che si celebra il primo gennaio 2007.
Servizio vaticano - Due pagine dedicate ai
testimoni della fede uccisi nel 2006.
Servizio estero - In evidenza l'Iraq: eseguita, per
impiccagione, la condanna a morte di Saddam Hussein.
Servizio culturale - Un articolo di Franco Patruno dal titolo “La sintesi plastica di Arturo Martini”:
in mostra a Milano le opere dello scultore che ha influenzato l’intera arte
italiana nella prima metà del Novecento.
Servizio italiano - In rilievo il tema delle
ferrovie.
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30 dicembre 2006
LE
REAZIONI DEL MONDO ALL’ESECUZIONE DI SADDAM HUSSEIN:
SECONDO GLI STATI UNITI E’
“UN ATTO DI GIUSTIZIA”,
SECONDO
L’UE E’ UN ATTO “BARBARO”
PUR RICONOSCENDO GLI “ORRIBILI CRIMINI” DA
LUI COMMESSI
-
Interviste con l’arcivescovo Jean Benjamin
Sleiman e con Kaled Fouad Allam -
La tv irachena ha trasmesso le immagini dell'esecuzione di
Saddam Hussein: l'ex presidente iracheno vestito con un cappotto blu e una
camicia bianca entra in una stanza scortato da alcuni
uomini che hanno il volto coperto da un cappuccio nero. E mentre, in prima
mattinata, la notizia dell’esecuzione faceva il giro del mondo, nella città
sciita di Kufa un’autobomba uccideva 35 persone e
l’attentatore veniva linciato a morte dalla folla.
Nella sunnita Ramadi, scontri tra uomini armati e
soldati americani facevano seguito a manifestazioni di protesta contro l'esecuzione.
Poi in fine mattinata due autobomba hanno sconvolto la capitale Baghdad. Ma a parte le
manifestazioni di piazza, che ci sono state anche in Michigan, negli Stati
Uniti, da parte della locale comunità irachena, delle reazioni del mondo
all’esecuzione di Saddam ci parla nel servizio Fausta Speranza:
**********
“Saddam Hussein é stato giustiziato dopo aver ricevuto un
processo equo”: è quanto si legge nella dichiarazione del presidente degli
Stati Uniti, Bush, resa pubblica qualche ora dopo la
notizia dell’esecuzione, che ha colto il presidente USA nel sonno.
Soddisfazione, dunque, per quello che Bush definisce
“un atto di giustizia”. Prevale, invece, la preoccupazione in altri commenti
come quello della Russia: l’esecuzione “può portare all'aggravamento della
situazione militare
e politica in Iraq e alla crescita della tensione etnico confessionale”, dice
il portavoce del ministero degli Esteri russo, Mikhail
Kamynin. Anche l'Iran giudica che vi potrà essere un
aumento della violenza, prevedendo tuttavia che il fenomeno non sarà duraturo.
In generale, sulle violenze tra sunniti e sciiti in Iraq, il vice ministro iraniano afferma che
sono il risultato delle “politiche sataniche di Saddam, adottate su consiglio
degli americani”. L'Iran, però, saluta l'esecuzione dell'ex presidente iracheno
come “una
vittoria degli iracheni”.
La notizia dell'esecuzione di Saddam Hussein é stata accolta con
cordoglio nei Territori palestinesi. A Jenin, nel
nord della Cisgiordania, sono state esposte in diverse case e negozi, in segno
di lutto, fotografie dell’ex-dittatore iracheno molto popolare tra i palestinesi
per il suo aperto sostegno alla loro causa e per aver colpito le città
israeliane con i suoi missili scud durante la guerre
nel Golfo nel 1991. In Israele, la
notizia dell’esecuzione di Saddam Hussein ha avuto grande rilievo. Secondo una
fonte governativa ad alto livello, che ha chiesto di restare anonima,
“giustizia è stata fatta”.
Dal Medio Oriente c’è poi la reazione del movimento
islamico Hamas che parla di
“assassinio politico” che “viola tutte le leggi internazionali”.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, le prime reazioni sono di condanna: il
commissario allo sviluppo e agli aiuti umanitari, Louis
Michel, definisce l'impiccagione dell'ex rais un atto
“barbaro”, pur riconoscendo gli “orribili crimini” da lui commessi. L’alto
rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza, Javier
Solana “condanna i crimini commessi da Saddam, ma anche
la pena di
morte”.
Una voce trasnazionale è quella
della Comunità di Sant'Egidio. “Una barbarie che si aggiunge a una guerra e a
un terrore già barbari”: è il commento del portavoce Mario Marazziti,
che denuncia un “processo
approssimativo” e una decisione di uccidere che “macchia in maniera terribile il governo
iracheno e quanti lo hanno sostenuto”. Secondo la Comunità, conosciuta a
livello internazionale, il processo di riconciliazione nazionale tra sunniti e
sciiti “rischia di essere compromesso”.
L'esecuzione per impiccagione è avvenuta nella sede dei
servizi segreti militari, attualmente usata come base dell'esercito iracheno,
dove un numero limitato di testimoni e alcuni giornalisti sono stati condotti
in elicottero, come probabilmente
lo stesso ex rais. Si tratta di una stanza dal soffitto basso e dalle pareti
nude, in cui l'ex dittatore, che aveva 69 anni, è contornato da alcuni uomini
con il capo
coperto da passamontagna neri. Lui ha rifiutato di farsi coprire la testa. Di fronte al patibolo è evidentemente frastornato ma si rivolge al suo popolo, per esortarlo a
“restare unito”. Il condannato é arrivato scortato dalle “forze multinazionali”,
vale a dire soldati americani. Secondo il segretario alla sicurezza nazionale, Moaffaq al Rubei, “Saddam era
depresso in maniera evidente”, aveva le mani legate dietro la schiena e una
copia del Corano sotto il braccio, che ha dato disposizione di lasciare ad un
uomo che si chiama Bandar.
Negli ultimi istanti ha recitato sottovoce alcuni versetti
del Corano. Oltre al consigliere per la Sicurezza Nazionale, Moaffaq al Rubei, erano presenti
un rappresentante del ministero dell'Interno e uno della Difesa, un giudice
della Corte d'appello, Munir Haddad, il pubblico
ministero Munqith al Faraon,
e alcuni giornalisti. “Saddam non ha mostrato alcun segno di pentimento”, ha
detto al Rubei, aggiungendo che “la morte é stata
istantanea”. Le immagini si interrompono prima che si apra la botola sul
pavimento. Al Rubei dichiara che i boia hanno
manifestato la loro
gioia attorno al patibolo. Sempre il
consigliere per la Sicurezza Nazionale spiega che non è stato ancora deciso il
destino del cadavere di Saddam Hussein. C’è la possibilità di consegnare il
corpo ai suoi parenti, oppure ai membri superstiti della sua tribù. La
sepoltura comunque dovrà avvenire in un luogo ''concordato'' con le autorità
governative.
Il 5 novembre scorso un tribunale speciale iracheno lo
aveva condannato a morte per crimini contro l'umanità, per la strage di 148
sciiti nel villaggio di Dujail. In
nottata un tribunale americano aveva respinto un ricorso in extremis per evitargli il trasferimento alle
autorità irachene e rinviare in questo modo l'esecuzione.
Dell’ex dittatore ricordiamo che, nato nel villaggio di Al Quja, vicino a Tikrit, cittadina sul Tigri, il 28 aprile 1937, orfano di
padre, Saddam Hussein vive parte dell'infanzia presso lo zio. Nel 1959 si
trasferisce al Cairo dove resterà fino al 1963. Nello stesso anno, tornato a
Baghdad, il suo partito, il
Baath prende il potere per pochi mesi,
ma in seguito ad un colpo di Stato torna
nella clandestinità. Saddam viene arrestato nel 1964,
ma evade, due anni più tardi, per preparare
un putsch che, nel luglio 1968, porta di
nuovo il Baath al potere. Il futuro rais diventa segretario
generale aggiunto del “comando generale” del Baath e,
tre anni più tardi, vicepresidente della Repubblica. Nel 1969,
Saddam è già l'uomo forte dell'Iraq. Il regime viene
strutturato in modo poliziesco. Nel 1975-1976 vengono
trasferiti con la forza nel sud dell'Iraq circa 300 mila curdi che reclamano
l’autonomia e contro gli stessi curdi Saddam non esiterà a utilizzare gas letali
nel 1988. Nel luglio 1979 Saddam costringe alle dimissioni il presidente El Bakr e assume i pieni poteri.
Chi nel partito si oppone a questa successione viene
passato per le armi. Dopo i curdi tocca agli sciiti, maggioritari nel Paese.
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In questa vicenda non ha agito la giustizia. E’ l’opinione
dell’arcivescovo di Baghdad dei Latini, Jean Benjamin Sleiman. Francesca Sabatinelli lo ha raggiunto telefonicamente in Iraq:
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R. – Ci sono anche altre cose da prendere in
considerazione: le possibili ricadute sulla situazione, eccetera.
D. – Quindi lei crede che potrebbe essere possibile un
peggiorare di questa situazione che già peraltro è difficilissima?
R. – Potrebbe essere; mi auguro di no, mi auguro di no!
Già siamo in una situazione più che tragica, a livello di sicurezza, di
relazioni tra le popolazioni ma anche dell’economia del Paese. Il problema – secondo me – non è Saddam
Hussein che non
contava più, ma ci sono risentimenti, ci sono appartenenze che possono prendere
spunto da questo per accettare o non accettare certi passi per la
riconciliazione. E questo è il problema. Saddam era finito. Secondo me, non
c’era più politica ma solo legami, simboli, eccetera. E’ questo che conta a
volte in certe situazioni ...
D. – Lei pensa che a questo punto Saddam Hussein possa
diventare un simbolo?
R. – Per qualcuno sì. Ma io spero che il tempo possa
spazzare via anche queste cose!
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Che significato
politico ha per il futuro dell’Iraq l’esecuzione di Saddam Hussein? Giancarlo
La Vella lo ha chiesto al giornalista, Kaled Fouad Allam, esperto di Medio Oriente
e docente universitario di Storia e istituzioni dei Paesi islamici:
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R . - Si chiude certamente un capitolo della storia irachena
degli ultimi 30 anni. Se ne sta, però, aprendo un altro che credo sia altrettanto pericoloso. E questo perché aver scelto
proprio la data del 30 dicembre, giorno nel quale viene
sacrificato per i musulmani l’agnello e quindi un giorno di grande festa per i
musulmani, ha significato comunque dare un nuovo significato a questa condanna,
quasi una colorazione di tipo religioso da parte degli sciiti in relazione ai sunniti.
Questo non può che rischiare, quindi, di aumentare e di enfatizzare la frattura comunitaria che è
attualmente alla base dello scontro all’interno dell’Iraq. Si sta aprendo, in
un certo senso, la frattura in modo molto più
evidente, più forte e più netta, di cui non riusciamo ancora a misurare le
conseguenze nei rapporti tra sunniti e sciiti. Se avessero messo in atto questa
condanna qualche giorno più tardi, sarebbe stato tutto diverso. Questo
significa, tra l’altro, che l’Iraq è divenuto ora il secondo Paese sciita al
mondo, dopo l’Iran. Questo non bisogna assolutamente dimenticarlo, anche se non
bisogna neanche dimenticare il fatto che gli sciiti, che hanno potuto ottenere
il potere politico, sono stati da sempre discriminati dai sunniti. Questo anche
non dobbiamo dimenticarlo.
D. – In molti nel mondo si sono opposti a questa
esecuzione. A questo punto, che cosa può dare in più questa condanna a morte al disegno americano
in Iraq?
R. -
Credo che anche in America sia un argomento che divide quanto
unisce. Credo che Bush abbia voluto, in un certo
senso, sigillare definitivamente il capitolo iracheno di questi ultimi quattro
anni: siamo ormai quasi a quattro anni dall’inizio di questa guerra, iniziata
nel marzo del 2003. E questo proprio in un momento in cui la guerra sta
sfuggendo al controllo del governo di Bush. Mi sembra
che tutto questo abbia un effetto simbolico molto importante per Bush, che però non ne ha misurato le conseguenze. Credo che il rifiuto della cultura della
morte faccia parte degli elementi fondanti su cui costruire una democrazia.
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PUBBLICATO
OGGI DALL’AGENZIA FIDES IL MARTIROLOGIO DELLA CHIESA:
SONO
24 I MISSIONARI UCCISI NEL 2006, TESTIMONI CORAGGIOSI
DEL
VANGELO FINO AL SACRIFICIO DELLA VITA
Sono 24 i missionari che hanno perso la vita in modo
violento nel corso del 2006. E’ quanto rende noto oggi l’agenzia Fides che ha pubblicato, come è
consuetudine alla fine di ogni anno, il Martirologio della Chiesa. Tra loro
sacerdoti, religiose e laici, tutti uniti da una
testimonianza del Vangelo fino al sacrificio della vita. Il servizio di
Alessandro Gisotti:
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Sono tanti i “cristiani che, con umiltà e nel silenzio,
spendono la vita al servizio degli altri a causa del Signore Gesù, operando
concretamente come servi dell’amore” e “artigiani di pace”. Così, il 24
settembre scorso Benedetto XVI ricordava il fulgido esempio di vita cristiana
offerto da suor Leonella Sgorbati, missionaria
italiana uccisa in Somalia da un gruppo armato. Il nome di suor Leonella è
accanto a quello di altri 23 operatori pastorali che hanno perso la vita
cercando di portare amore e speranza in contesti di particolare degrado umano e
violenza. Alcuni di loro, come don Andrea Santoro, ucciso a Trebisonda in
Turchia, sono conosciuti ai più. Altri, invece, sono ricordati dai propri cari
e da quanti hanno potuto apprezzare il loro impegno missionario. A loro, come
ai tanti “militi ignoti della fede”, Benedetto XVI ha voluto rivolgere parole
commosse il 26 dicembre scorso, solennità di Santo Stefano protomartire:
“Penso anche a quei
cattolici che mantengono la propria fedeltà alla Sede di Pietro senza cedere a
compromessi, a volte anche a prezzo di gravi sofferenze. Tutta la Chiesa ne
ammira l’esempio e prega perché essi abbiano la forza di perseverare, sapendo
che le loro tribolazioni sono fonte di vittoria, anche se al momento possono
sembrare un fallimento”.
Riguardo ai continenti dove nel 2006 sono state registrate
il maggior numero di vittime, figura al primo posto l’Africa, che ha visto la
morte violenta di 9 sacerdoti, una religiosa ed una volontaria laica.
Il secondo continente per numero di vittime del 2006 è l’America, dove sono
stati uccisi 6 sacerdoti, una religiosa ed un laico, cooperatore salesiano.
L’Asia è stata bagnata dal sangue di 2 sacerdoti, una religiosa e un laico.
Anche la Chiesa dell’Oceania ha versato il suo contributo di sangue alla causa
del Vangelo con un religioso dei Fatebenefratelli, ucciso in Papua Nuova
Guinea. Consapevoli del rischio che correvano, ma saldi nella fede, queste
donne e questi uomini coraggiosi non hanno voluto abbandonare il proprio
impegno di apostolato.
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Domani, domenica 31 dicembre, Festa della Santa Famiglia
di Gesù, Maria e Giuseppe,
“Perché mi
cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle
cose del Padre mio?”.
Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del
teologo gesuita, padre Marko Ivan Rupnik:
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(musica)
“Non sapevate che io devo
occuparmi delle cose del Padre mio?”. In questi giorni di Natale, il cielo si è
abbassato e noi possiamo contemplare con i nostri occhi l’amore infinito del
Padre verso il Figlio che è eternamente generato. Lui solo è il Padre di Gesù
Cristo, e nessuno tra gli uomini potrebbe prenderne il posto. Ma l’umanità che
Cristo, Figlio di Dio, ha assunto, l’ha ricevuta dalla Madre, una vergine di
Nazareth chiamata Maria. Così il Padre ama in Suo Figlio noi, stirpe di Adamo;
in Cristo tutti ci scopriamo figli amati e ogni paternità sulla terra prende la
forza e l’ispirazione dall’unico Padre del Nostro Signore Gesù Cristo. Anche a
Maria, vergine e madre, si rifà ogni nostra esistenza, di figli e di madri.
(musica)
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30 dicembre 2006
GRAVEMENTE
DANNEGGIATA DA UN INCENDIO, IN LITUANIA,
“COLLINA
DELLE CROCI”. FU VISITATA DA GIOVANNI PAOLO II NEL 1993
SIAULIAI. = Nella notte tra giovedì e venerdì presso Siauliai, nella Lituania
settentrionale, un incendio ha danneggiato seriamente il colle Daumantu, meglio conosciuto come “Collina delle croci”.
Come riferisce il quotidiano Avvenire, sono andate distrutte decine di croci di
legno su un’area di
“SACRIFICI,
DISCIPLINA E UNITÀ SONO LE STRADE PER UNA PACE DURATURA”:
COSÌ,
IL CARDINALE GAUDENCIO ROSALES,
ARCIVESCOVO
DI MANILA, NELLE FILIPPINE,
NEL
SUO MESSAGGIO PER IL NUOVO ANNO
MANILA. = E’ necessario “compiere dei sacrifici, perseguire
una strada fatta di disciplina”, se si vuole “cominciare di nuovo ed essere
uniti, tesi verso il raggiungimento di una pace duratura”: è l’invito rivolto a
tutto il popolo filippino dall’arcivescovo di Manila, il cardinale Gaudencio Rosales, nel suo
messaggio per il nuovo anno, citato da AsiaNews. Il porporato spiega che il
Paese “deve guardare avanti, all’anno nuovo, come ad
una sfida e non come un termine di paragone con il tempo già trascorso, che è
stato triste e cattivo”. Ogni anno nuovo, sottolinea il cardinale, “è fatto di
opportunità che possiamo sfruttare per giungere verso un desiderio comune, che
sia condiviso da ricchi e poveri, di una nuova unità, una comunità migliore
fatta di cittadini coscienziosi e fedeli di ogni religione”. Come già nel
messaggio natalizio, l’arcivescovo invita la popolazione “a pregare per la pace
e l’unità del Paese”. “L’unico modo per raggiungere un obiettivo – spiega – è
quello di condividerlo con altri”. Il progresso nazionale, infatti, “non è
materia di dibattito o competizione. Le nazioni che sono riuscite a rompere le
catene della povertà – conclude – ci hanno mostrato la strada, fatta di
disciplina interna e sacrificio”. (R.M.)
PUBBLICATA,
IN GUATEMALA,
IN KEKTCHI’, UNA
DELLE 23 LINGUE INDIGENE
PARLATE
NEL PAESE CENTROAMERICANO.
L’INIZIATIVA
E’ FRUTTO DEL LAVORO ECUMENICO DI CATTOLICI E PROTESTANTI
COBAN. = Dallo scorso mese di novembre esiste una nuova
traduzione completa della Bibbia in kektchi’, una delle 23 lingue indigene di origine Maya che
si parlano in Guatemala, considerata, insieme allo spagnolo, lingua ufficiale.
Per la pubblicazione si è fatto festa a Coban, sulle
montagne dell’Alta Verapaz, dove circa un milione di indios parlano questo idioma. La nuova traduzione è frutto
di quattro anni e mezzo di lavoro ecumenico della Società Biblica di Guatemala
e della Chiesa cattolica: i protestanti si sono fatti carico della
pubblicazione della Bibbia; i cattolici soprattutto della traduzione. In
particolare, il progetto è stato portato avanti da don Ennio Bossu’, sacerdote torinese di 67 anni, da
14 missionario Fidei Donum in Verapaz. In 462 anni di presenza della Chiesa cattolica,
non era mai stata realizzata un’opera simile. Intorno al 1960, un pastore protestante
americano aveva realizzato una traduzione in kektchi’ del Nuovo Testamento, adottata
anche dai cattolici. Precedentemente, esistevano soltanto compendi e sussidi catechetici. (R.M.)
DOPO DIECI ANNI,
TORNA LA ‘FEBBRE DELLA RIFT VALLEY’ NEL NORDEST DEL
KENYA, COLPITO ANCHE DA VIOLENTE INONDAZIONI. IL BILANCIO DEL VIRUS È DI 37
MORTI
NAIROBI. = In poche settimane, un’epidemia di ‘febbre della Rift Valley’ nel nordest del
Kenya ha provocato 37 morti: lo riferiscono le autorità sanitarie del Paese. Il
virus, che dieci anni fa nelle stesse zone provocò 170 vittime, è trasmessa
all’uomo dagli animali da allevamento, come capre e mucche, e attraverso il
morso delle zanzare che, nei distretti di Garissa, Ijara e Wajir, hanno trovato un
ambiente favorevole dopo le recenti piogge, le quali hanno causato inondazioni
con morti e migliaia di sfollati. Molte tra le persone colpite dalla ‘febbre
della Rift Valley’ sono pastori e la malattia ha ucciso anche alcune centinaia
di capi di bestiame. Nei giorni scorsi, il governo ha
ordinato la distribuzione di 100 mila zanzariere; proibito il trasporto di
animali dai distretti colpiti; ordinato la chiusura dei macelli, poiché
l’infezione si trasmette anche con il contato con il sangue. I sintomi
della ‘febbre della Rift Valley’ si manifestano come
una fortissima influenza, superabile in alcuni giorni, ma che in alcuni casi
sfocia in meningite e in emorragie interne, portando alla morte nel 50 per
cento dei casi. (R.M.)
NEL
2006, 31 MILA IMMIGRATI HANNO RAGGIUNTO LE ISOLE CANARIE E, TRA QUESTI, ALMENO
6 MILA SONO MORTI NEL TENTATIVO DI RAGGIUNGERE LE COSTE SPAGNOLE
MADRID. = I flussi migratori verso
SONO
IN ASIA LE CITTÀ PIÙ INQUINATE DEL MONDO, CON TASSI CHE SUPERANO
DI 5-6
VOLTE IL LIVELLO MASSIMO CONSIGLIATO DALL’OMS: E’ QUANTO E’ EMERSO
DALLA
CONFERENZA 2006 PER
CONCLUSASI
NEI GIORNI SCORSI IN INDONESIA
JAKARTA. = E’ l’Asia a detenere il primato delle città più
inquinate del mondo. Le metropoli di questo
continente, infatti, registrano tassi di inquinamento che superano di 5 volte
Parigi, Londra e New York, e 5-6 volte il livello massimo consigliato
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). E’ quanto è
emerso dalla Conferenza 2006 per la miglior qualità
dell’aria, conclusasi nei giorni scorsi a Yogyakarta,
in Indonesia. Intanto, un rapporto dell’Asian Development Bank (ADB) prevede che in Asia l’emissione dei gas
serra triplicherà in 25 anni. Le grandi città sono sature di polveri sottili
che si depositano nei polmoni e causano malattie respiratorie e il cancro.
Secondo i dati dell’ADB per il 2005, la città più inquinata
è Pechino, con 142 microgrammi di particelle inquinanti per metro cubo d’aria,
rispetto ai 22 di Parigi, i 24 di Londra e i 27 di New York. Proprio a causa di
questo, il Comitato Olimpico Internazionale ha avvertito la capitale cinese che
“rischia di perdere i Giochi, se non fa qualcosa per migliorare la qualità
della sua aria”. Anche New Delhi e le altre grandi città di Cina e India sono
più inquinate di quelle occidentali. L’inquinamento
dipende tra il 30 e il 70% per l’aumento del traffico automobilistico, destinato
a crescere. Esperti commentano che il fenomeno è conseguenza di un modello di
sviluppo in Cina e India, che considera le esigenze dell’industria, ma non
rispetta l’ambiente e il cittadino. (R.M.)
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30 dicembre 2006
- A cura di Amedeo
Lomonaco -
In Indonesia, un traghetto con almeno 600 persone a bordo
è naufragato in piena notte nelle acque al largo di Giava
centrale. Oltre 500 passeggeri risultano ancora dispersi. Giovedì scorso un altro naufragio aveva
provocato 4 morti e 14 dispersi. Il servizio di Stefano Leszczynski:
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Sono soltanto una settantina i superstiti del naufragio
della nave indonesiana affondata la notte scorsa mentre
era in viaggio tra le isole del Borneo e di Giava. Lo
riferiscono i mezzi d'informazione indonesiani, che specificano anche come 9
dei sopravvissuti sono riusciti a raggiungere l’isola di Bawean,
che si trova a circa
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In Somalia cresce l’attesa per
l’arrivo a Mogadiscio, previsto nelle prossime ore, del presidente somalo Yusuf. Ieri nella capitale, tornata sotto il controllo
delle truppe governative, era arrivato il premier Gedi.
Il primo ministro ha precisato che i soldati etiopi resteranno fin quando
necessario e ha annunciato l’entrata in vigore della legge marziale. Il nostro
servizio:
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Le milizie islamiche si sono ritirate da Mogadiscio e la
capitale somala è presidiata, adesso, da truppe governative appoggiate da
soldati inviati dall’Etiopia. Il primo ministro somalo, Mohamed Gedi, arrivato ieri nella
capitale, ha reso noto che i soldati etiopi “resteranno
in Somalia tutto il tempo” che “sarà ritenuto necessario”. “Ora deve iniziare
la difficile sfida della ricostruzione del Paese”, ha detto il primo ministro,
sottolineando l’urgenza di “restaurare la legge e l’ordine”. Il premier ha
anche annunciato che per tre mesi sarà in vigore la legge marziale con lo scopo
“di ristabilire la sicurezza”. Ma a rendere complessa la situazione è anche la
notizia del probabile ritorno a Mogadiscio dei ‘signori della guerra’, cacciati a giugno dalle Corti islamiche. Nella capitale somala la tensione resta quindi alta: la
zona meridionale della città è stata invasa da centinaia di somali festanti per
salutare l’arrivo del premier; nei quartieri settentrionali migliaia di persone
sono scese in piazza, invece, per manifestare contro la presenza delle
truppe etiopi. Si temono poi violenze e scontri tra sostenitori delle Corti
islamiche e del governo somalo, riconosciuto come legittimo dalla Comunità
internazionale. Il presidente ad interim, Abdulahi Yusuf, che sta per arrivare a Mogadiscio, ha
comunque dichiarato che “
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In Medio Oriente, sembra vicino lo
scambio di prigionieri tra Israele e Autorità nazionale palestinese. Lo ha
riferito la radio pubblica israeliana. Hamas sarebbe pronto a rilasciare il
soldato rapito Ghilad Shalit
in cambio di 500 detenuti palestinesi.
In Spagna ha provocato alcuni
feriti e danni materiali l’attentato all’aeroporto di Madrid, rivendicato
dall’organizzazione indipendentista basca Eta. Dopo
l’attentato, il partito popolare ha subito chiesto al premier Zapatero di
interrompere i colloqui con Eta e con il partito
basco Batasuna. Il servizio di padre Ignacio Arregui:
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L’attentato di questa mattina all’aeroporto internazionale
Barajas di Madrid ha provocato una seria
preoccupazione sulla possibile rottura della tregua decisa unilateralmente dal
gruppo armato ETA, il 22 marzo scorso. Il ministro dell’Interno, in una
conferenza stampa, ha informato sui fatti accaduti, aggiungendo che spetta al
capo di governo, Rodríguez Zapatero, una valutazione
politica che offrirà probabilmente questa sera. Ma vediamo i particolari
sull’attentato. Attorno alle ore 8.00, un’associazione di aiuto alle vittime
del traffico nei Paesi Baschi ha ricevuto una chiamata anonima in cui una voce
agitata informava dell’imminente esplosione di una bomba all’interno di una
macchina nel parcheggio dell’aeroporto Barajas di
Madrid. Verso le 8.30 il ministero dell’Interno del governo basco ha ricevuto
un’altra telefonata, nella quale un individuo, presentandosi come un membro
dell’ETA, ha annunciato l’imminente esplosione nell’aeroporto di Madrid.
L’esplosione si è verificata attorno alle 9.10, causando importanti danni
materiali alla struttura di un terminale dell’aeroporto. Tutta la zona era
ormai sotto controllo delle forze di sicurezza. Non ci sono vittime. I feriti
dichiarati sono 19, due dei quali membri della polizia nazionale. Sembra che
tra i feriti nessuno sia grave. Secondo il ministro dell’Interno, una persona
risulta dispersa. Questa sera si conoscerà la valutazione politica del capo di
governo. Intanto, però, sono tante le domande sulle intenzioni dell’ETA con
questo attentato, dopo le dichiarazioni di ieri del capo del governo, Rodríguez Zapatero, sullo stato della nazione ed, in
particolare, sul processo di pace. L’opposizione ha reagito chiedendo la fine
immediata di ogni contatto con l’organizzazione armata ETA.
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Dieci anni fa, quando mancavano due giorni allo scadere
del negoziato, il 29 dicembre
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Il processo di pacificazione del Centro America, che era
cominciato nel 1987 con il lavoro del cosiddetto gruppo di Contadora,
includeva Nicaragua, El Salvador e Guatemala. Nei
primi due Paesi l’intesa già era stata firmata. Restava soltanto il Guatemala e
a questo negoziato l’ONU aveva messo una scadenza: l’ultimo giorno del 1996.
Così, la fermezza delle Nazioni Unite e le pressioni della comunità
internazionale permisero il raggiungimento dell’accordo per mettere fine ad una
guerra civile feroce che si trascinava dal 1960 con un bilancio di oltre
100mila morti. Nel giugno scorso, il presidente del Costa
Rica, Oscar Arias, Premio Nobel per la pace 1987,
proprio perché artefice della pacificazione centroamericana, ha così ricordato
ai nostri microfoni le trattative: “Siamo riusciti a pacificare l’America
Centrale con lo sforzo e il valore non solo nostro ma di tanti. Oggi, per
fortuna, non è più come nel passato quando nelle nostre terre si sparavano
tutti contro tutti. Siamo riusciti a dimostrare al
mondo intero che la pace era possibile, e raggiungibile, sul tavolo del
negoziato e non sulle montagne centroamericane. Oggi però i problemi sono
diversi: lavoriamo per far crescere i nostri Paesi, lavoriamo per eliminare la
povertà, per generare nuove risorse, per creare occupazione, per dare più
salute e più scuole, per avere le infrastrutture necessarie. Oggi lavoriamo
anche per decidere come e quando inserire le nostre economie nel grande processo
dell’economia mondiale e, in particolare, lavoriamo per farlo nell’ambito del
commercio planetario come abbiamo fatto noi, giorni fa, firmando un accordo di
libero scambio commerciale con gli Stati Uniti”.
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Si cerca una soluzione sul gas
dopo la tensione venutasi a creare tra Mosca e Minsk.
Nella capitale russa proseguono i colloqui per giungere ad un accordo in vista
della scadenza del contratto tra il colosso energetico russo Gazprom e
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