RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 335 - Testo
della trasmissione di venerdì 1 dicembre
2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Nelle
Filippine è stata massiccia l’adesione all’apertura della IX “Settimana della pace”
Emergenza
alluvioni in Africa: aumentano le vittime e gli sfollati anche in Rwanda e
Malawi
Cerimonia
dell'ammainabandiera a Nassiriya, che sancisce la
fine della missione militare italiana in Iraq, mentre a Baghdad si registrano
ancora morti
1 dicembre 2006
“RENDO
GRAZIE A DIO PER AVER POTUTO AIUTARE IL DIALOGO”
ECUMENICO
E INTERRELIGIOSO CON IL MIO VIAGGIO IN TURCHIA,
“PONTE TRA ASIA E EUROPA”: CON QUESTE PAROLE,
BENEDETTO XVI
SI E’
CONGEDATO DA ISTANBUL, TRA L’ENTUSIASMO DELLA COMUNITA’ CATTOLICA,
LO SPIRITO DI FRATERNITA’ DELLA CHIESA ORTODOSSA
E IL
GENERALE APPREZZAMENTO DELLE AUTORITA’ MUSULMANE.
IL PAPA HA GIA’
FATTO RIENTRO IN VATICANO
-
Interviste con padre Justo Lacunza,
mons. Aldo Giordano e padre Federico Lombardi -
E’ atterrato verso le 14.20,
all’aeroporto romano di Ciampino, il Boeing 737-800 della Turkish Airlines, con a bordo Benedetto
XVI e il suo seguito, di ritorno dal viaggio apostolico in Turchia. Accolto dal
cardinale vicario, Camillo Ruini, e dal premier
italiano, Romano Prodi, il Papa ha fatto rientro in Vaticano in elicottero, al
termine di una visita che lascia vive nella mente immagini molto diverse fra
loro ma anche molto significative. L’ultima in ordine di tempo risale a questa mattina quando, poco prima della partenza per Roma,
Benedetto XVI è stato salutato con visibile cordialità, in una saletta
dell’aeroporto di Istanbul, dai vescovi turchi, dalle autorità locali, dal
Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, e dagli altri capi delle Chiese ortodosse.
Palpabile la gioia del Pontefice per gli esiti del viaggio anche nel consueto
scambio di telegrammi con i capi di Stato dei Paesi sorvolati. Oltre a inviare
i suoi saluti ai presidenti di Grecia e Albania, il Papa ha scritto tra l’altro
al presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano dicendo: “Sono grato a Dio per questa rinnovata esperienza di comunione ecclesiale”.
Un’esperienza conclusa appena
qualche ora fa con l’ultimo atto del viaggio, quando Benedetto XVI, circondato
da folla e affetto, ha presieduto la Santa Messa nella
piccola Chiesa dello Spirito Santo di Istanbul. Torniamo allora per
qualche minuto agli ultimi avvenimenti di stamani, nella cronaca di uno dei
nostri inviati a Istanbul, Pietro Cocco:
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Mi rimane nel cuore una profonda
gratitudine e una parte del mio cuore rimane anche ad Istanbul. Il Papa ha
sintetizzato così questi suoi quattro giorni in Turchia, partendo
dall’aeroporto della città. In un colloquio informale ma molto cordiale con il
governatore di Istanbul,
Muammer Guler,
Benedetto XVI ha voluto ribadire come per il pastore della Chiesa cattolica il
dialogo sia un dovere:
“Sono molto grato al Signore
che potevo dare un segno di questo dialogo e così contribuire alla migliore
comprensione tra le religioni e le culture, e specialmente anche dell’islam da
parte dei cristiani”.
Un compito impegnativo, la cui
radice spirituale il Papa ha indicato come prospettiva futura per la piccola ma viva comunità cattolica, strettasi intorno a lui
questa mattina nella Cattedrale dello Spirito Santo ad Istanbul. Nell’abbraccio
di circa 1200 fedeli - ma molti altri non hanno potuto
entrare ed hanno seguito la celebrazione dagli schermi allestititi nella chiesa
di Sant’Antonio - Benedetto XVI ha ricordato con le
parole di San Paolo che “lo Spirito è la sorgente permanente della nostra fede
e della nostra unità”. E che questo significa che non dobbiamo vivere solo per
noi stessi, ma divenire, come Gesù, servitori dei propri fratelli:
“La mission de l’Eglise ne consiste pas a défendre des
pouvoirs…
La missione della Chiesa non consiste nel difendere poteri, né
ottenere ricchezze; la sua missione è di donare Cristo, di partecipare
Ad ascoltarlo, nella Cattedrale
che si trova a poca distanza
dalla Nunziatura di Istanbul - detta “Casa Roncalli”
dal nome del delegato apostolico Angelo Roncalli che
qui svolse il suo servizio dal 1935 alla
fine del ‘44 - le comunità cattoliche nella varietà dei riti esistenti qui:
armeni, caldei, siri, latini, che ne conservano
ancora un ricordo forte. Per questo, prima di entrare nella cattedrale il Papa
ha benedetto una statua raffigurante Giovanni XXIII che sarà posta nella chiesa
di Sant’Antonio nel centenario.
Nel corso della celebrazione di
stamattina, toccanti i cori nelle lingue armena,
siriana, caldea, che insieme ai canti latini hanno
accompagnato la liturgia; tra i coristi, anche un gruppo di ragazze rifugiate
dall’Iraq, che con le loro famiglie sono ospitate dalla Caritas Turchia.
Dopo aver salutato i Patriarchi Ecumenico, Bartolomeo I, e armeno-apostolico, Mesrob II, presenti in Cattedrale, Benedetto XVI ha
ricordato come la prospettiva ecumenica rimanga al primo posto delle sue
preoccupazioni ecclesiali, ed ha invitato tutta la Chiesa, anche di Turchia, ad
agire incessantemente sul cammino che conduca all’unità e in vista del bene di
tutti.
Un auspicio che aveva fatto suo
anche il vicario apostolico di Istanbul, mons. Pelâtre,
ricordando che, “malgrado il nostro piccolo numero -
attraverso le nostre attività culturali, religiose e sociali - vogliamo portare
il nostro contributo alla società di questo Paese”. Ed ha ringraziato il Papa
per il sostegno e l’incoraggiamento in questa missione che Dio affida loro.
Ed alla comunità cattolica turca -
ma anche alle autorità civili e politiche che ha ringraziato espressamente per
l’accoglienza, così come anche ai cittadini di Istanbul che ha ringraziato per
la pazienza dimostrata - il Papa ha lasciato questa consegna:
“Vous savez bien que l’Eglise ne veut rien imposer a
persone…
Sapete bene che
Da Istanbul, Pietro Cocco, Radio
Vaticana.
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La presenza alla Messa di
stamattina dei massimi rappresentanti dell’Ortodossia ha ulteriormente
amplificato il grande afflato ecumenico che ha caratterizzato la giornata di
ieri, durante la quale anche la dimensione del dialogo con l’islam è tornata in
primo piano in due momenti di particolare spessore: la visita di Benedetto XVI
al Museo di Santa Sofia seguita, poco dopo, dalla sosta alla Moschea Blu. E’
ancora Pietro Cocco a raccontarci questa pagina, celebrata oggi dai media di tutto il mondo:
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Resterà
come uno dei momenti più emblematici di questo viaggio
apostolico in Turchia, il Gran Muftì di Istanbul con il Papa accanto, in un
lungo momento di raccoglimento nella Moschea di Sultan Ahmet Camii, conosciuta
come la Moschea Blu. Insieme, rivolti verso il Mihrab,
l’edicola verso la quale pregano i fedeli musulmani in direzione della Mecca,
il Papa ha sostato in meditazione. “Certamente ha rivolto il suo pensiero a
Dio”, ha detto ai giornalisti padre Federico Lombardi,
direttore della Sala Stampa della Santa Sede, e lo stesso Benedetto XVI,
in un caloroso saluto prima di andare via, ha ringraziato il Muftì per questo
momento di preghiera. Significativo anche lo scambio di doni: da parte del Gran
Muftì una mattonella in ceramica blu che con calligrafia araba disegna una colomba con la scritta “Dio onnipotente e misericordioso”,
da parte del Papa un mosaico con alcune colombe bianche.
Un
simbolismo di pace che suggella un pomeriggio svoltosi all’insegna di un grande
rispetto e di un’accoglienza al Papa tutt’altro che
formale, rendendo visibile quanto Benedetto XVI aveva detto:
“Dobbiamo andare avanti nell’impegno per la fratellanza e per l’unità. Il
dialogo non è contro la fedeltà alla propria fede, ma apre il cuore all’altro”.
Stessi sentimenti hanno animato l’altro momento forte del pomeriggio,
all’insegna del dialogo interreligioso, quando il Papa si è recato al museo di
Santa Sofia, antica basilica bizantina dedicata alla Divina sapienza, poi
trasformata in moschea e oggi museo. Nell’apporre la sua firma nel libro d’oro
del museo, Benedetto XVI ha lasciato scritto: “Nelle nostre diversità, ci
troviamo davanti alla fede del Dio unico. Che Dio ci illumini e ci faccia
trovare la strada dell’amore e della pace”.
Da
Istanbul, Pietro Cocco, Radio Vaticana
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Centrali nel sentimento religioso
dei musulmani turchi e non solo, i due luoghi visitati ieri pomeriggio da
Benedetto XVI hanno alle spalle una storia di secoli, dove il senso del sacro viene esaltato da forme architettoniche e artistiche
straordinarie. A spiegarle, al microfono di Emanuela Campanile, è padre Justo Lacunza Balda, già rettore
del Pontificio Istituto di Studi arabi e islamistica:
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R. – Santa Sofia - “Haya Sofia” in turco - è stata fino al 1361 la cattedrale
del rito latino. L’ultima volta che un vescovo di rito latino vi è entrato è
stata nel 1361. Sappiamo che è stata considerata come un luogo di raduno, un
luogo di spiritualità. La Moschea Blu è uno dei grandi monumenti del mondo,
costruita tra il 1600 e il 1616 da un imperatore molto giovane. Questa moschea viene chiamata appunto “Moschea Blu” perché il colore delle
sue maioliche è di colore blu e verde. Le ceramiche provengono dall’antica
Nicea. A livello architettonico è una grande opera d’arte. Ci sono 30 cupole
che si appoggiano su 26 colonne, più una cupola centrale, attorno alla quale
c’è il versetto della luce, che troviamo nel Corano: “Dio è la luce del cielo e
della terra”.
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Due chilometri oltre la Moschea
Blu, lo scenario è nuovamente cambiato. Per Benedetto XVI è arrivato il momento
di immergersi nuovamente in un’atmosfera di confronto ecumenico, con la visita
al Patriarcato armeno. Ce ne parla uno dei nostri inviati al seguito del Papa,
Sergio Centofanti:
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Non poteva mancare qui in Turchia
la visita del Papa alla comunità armena apostolica che ha accolto Benedetto XVI
con grande gioia. Si tratta di una delle comunità cristiane più antiche
distinta dagli ortodossi, in senso stretto, che si separarono da Roma nel 1054.
Gli armeni apostolici si distaccarono nel 451 non
accettando il Concilio di Calcedonia, che condannava
l’eresia monofisita, cioè la tesi secondo la quale Cristo è
solo Dio e non anche vero uomo. Nel dibattito conciliare, gli armeni apostolici, pur non negando l’umanità di Gesù,
tendevano ad accentuarne la divinità. Una pura questione terminologica nel
consueto irrigidimento delle parti provocò lo scisma. Dopo oltre 15 secoli,
durante il Pontificato di Giovanni Paolo II, la Chiesa cattolica e la Chiesa armena apostolica hanno sottoscritto nel 1996 una
dichiarazione congiunta in cui si ritengono superati gli equivoci del Concilio
di Calcedonia e si afferma la fede in Cristo, vero
Dio e vero uomo. Benedetto XVI nel suo discorso nella cattedrale armena
apostolica ha sottolineato la necessità di curare le ferite della separazione,
perché le tragiche divisioni che sono sorte lungo il tempo fra i seguaci di
Cristo, - ha rilevato - contraddicono apertamente alla volontà del Signore che
vuole l’unità:
“precisely by the witness of their love, christians…
Proprio mediante la testimonianza della propria fede, del proprio
amore, i cristiani sono chiamati ad offrire un segno raggiante di speranza e di
consolazione a questo mondo così segnato da conflitti e da tensioni”.
Sofferenze e tensioni di cui
purtroppo gli armeni sono ben esperti:
“i give thanks to god for the christians faith…
Rendo grazie a Dio ha affermato il Papa per la fede e la testimonianza
cristiana del popolo armeno, trasmesse da una generazione all’altra, spesso in
circostanze davvero tragiche come quelle sperimentate durante il secolo
passato”.
Da ricordare che gli armeni all’inizio del ’900 erano
oltre due milioni in questa terra. I massacri di civili e armeni intorno al
1915 e la diaspora susseguente hanno ridotto la comunità a circa 80 mila fedeli
che comunque resta la più consistente tra le comunità cristiane in Turchia che
conta 130 mila fedeli. All’insegna dell’ecumenismo e del dialogo
interreligioso, il Papa ha incontrato, nella serata di ieri, anche il
metropolita siro-ortodosso, il Gran Rabbino della
Turchia. Dopo la cena in nunziatura il Pontefice si è affacciato dalla finestra
per salutare circa 200 giovani cattolici:
“Cari giovani vorrei semplicemente dire grazie per la vostra presenza,
per la vostra gioia e per il vostro entusiasmo. Grazie per il vostro amore per
la Chiesa, insieme andiamo avanti col Signore in tempi anche difficili. Nelle
mie preghiere siete sempre tutti presenti e dopo vi darò la benedizione. La
vostra gioia e la vostra amicizia mi accompagna e vi ricorderò sempre nelle mie
preghiere”.
I giovani lo hanno accolto con
grande entusiasmo e gli hanno scritto una lettera: “Noi - affermano - siamo una
piccola minoranza in un Paese musulmano, ci impegniamo a perseverare nella vita
cristiana in una terra che ha visto lungo la storia, la testimonianza di tanti
martiri”. Qui, in Turchia, la piccola comunità cattolica e tutti i cristiani
insieme hanno ripreso coraggio in questi giorni, nella loro situazione di
debolezza, il successore di Pietro li ha confermati nella fede.
Da Istanbul, Sergio Centofanti, Radio Vaticana.
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La dimensione ecumenica e quella
interreligiosa si sono più volte intrecciate, nell’arco del viaggio, in particolare
durante la giornata di ieri quando, in mattinata,
Benedetto XVI e il Patriarca Ecumenico, Bartolomeo I, si sono scambiati
l’abbraccio di pace e hanno siglato la Dichiarazione congiunta: un documento
importante anche in chiave europea, come sottolinea mons. Aldo Giordano, segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali
d’Europa (CCEE), al microfono di Fabio Colagrande:
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R. – Si ha veramente l’impressione
che sia stato un passo nuovo e fondamentale nei rapporti tra Oriente ed Occidente,
e quindi tra il cristianesimo che si è sviluppato in Occidente e il
cristianesimo che si è sviluppato nell’est. Affiora che abbiamo compiuto già
grandi passi e si vogliono mettere in luce quelli fatti in questo ecumenismo
dell’amore e della carità. Emerge chiaramente quale siano
le basi di questo nostro cammino: la fede in Gesù Cristo, Crocifisso e Risorto.
Abbiamo responsabilità comuni e soprattutto la responsabilità
dell’evangelizzazione, che ci chiede di essere e questo fa veramente sperare
che sarà un passo grande verso l’unità dei cristiani.
D. – Parlando, alla fine della
Divina liturgia, alla quale aveva assistito nella Chiesa di San Giorgio, il
Papa ha detto, rivolgendosi proprio al Patriarca: “Siamo chiamati, insieme con
tutte le altre comunità cristiane a rinnovare la consapevolezza dell’Europa
circa le proprie radici”. Può essere questa una strada per l’unità dei
cristiani?
R. – Certamente, perché sempre più
il Papa ci invita a ripartire dal cuore del cristianesimo. E’, quindi, dalla consapevolezza
che dà quel cuore di un Dio venuto sulla terra da cui dobbiamo ripartire per
ritrovare l’unità. L’Europa ha avuto il dono di avere queste radici e dobbiamo
quindi riscoprirle: questo ridona all’Europa la sua vera vocazione, una
vocazione di responsabilità e soprattutto di testimonianza del Vangelo e di
testimonianza all’interno dell’Europa ed anche agli continenti.
D. – Ci può essere in questo campo
una collaborazione tra le Chiese cristiane?
R. – Non solo ci può essere, ma mi
sembra che nel discorso del Papa venga proprio
sottolineato che la non collaborazione è uno scandalo insopportabile. La
divisione è uno scandalo non sopportabile. Senza, quindi, la collaborazione, la
testimonianza del Vangelo non è credibile.
D. – Come giudicare anche
l’importanza della Dichiarazione congiunta firmata dal Santo Padre e dal
Patriarca Bartolomeo I?
R. – Mi sembra che vada anche in
questa direzione. Le due Chiese, di Roma e di Costantinopoli, si prendono
l’impegno comune di continuare il dialogo della carità; di continuare il
dialogo teologico, attraverso la Commissione mista ortodosso-cattolica;
chiedono di essere insieme nel contribuire all’Unione Europea, dando una
valutazione anche positiva del processo di unificazione, ma chiedendo anche che
ci sia una Unione Europea capace di salvare la libertà
religiosa, capace di difendere le minoranze, capace di preservare le radici
cristiane.
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Al termine di questa ampia pagina
dedicata al quinto viaggio apostolico internazionale di Benedetto XVI in
Turchia, vi proponiamo un bilancio complessivo nel commento del direttore della
Sala Stampa vaticana, e nostro direttore generale, padre Federico Lombardi.
L’intervista è di Alessandro Gisotti:
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R. – Evidentemente, si tratta di un
bilancio estremamente positivo. Un bilancio certamente superiore a quelle che
potevano essere le attese, probabilmente da parte del Papa stesso e dei suoi
collaboratori. Ricordo che anche in passato, quando c’erano dei viaggi
particolarmente impegnativi, diciamo pure difficili, come si usa dire, per
Giovanni Paolo II, si apprezzava poi sempre il coraggio del Papa che li
affrontava con grande slancio e con grande fede e sempre ottenendo dei
risultati straordinariamente superiori a quello che si poteva immaginare. Mi
sembra che sia successa esattamente la stessa cosa anche adesso, con Benedetto
XVI. CIò è molto bello ed
incoraggiante, perché vuol dire che la fede e il coraggio dei Papi viene
premiato anche nell’affrontare situazioni che presentano delle incertezze. Un
bilancio estremamente positivo su tutti i versanti, quindi: sia quello del
rapporto con il popolo turco e con lo Stato turco, sia il rapporto con la
religione musulmana, sia i rapporti ecumenici con le altre confessioni
cristiane e sia anche, alla fine, l’incoraggiamento per la comunità cattolica
locale.
D. – Ecco padre, proviamo a
riflettere su questo viaggio raccontandolo per immagini. Tra queste,
sicuramente, resterà indelebile quella del Papa raccolto in meditazione nella
Moschea Blu. Un gesto, questo, che ha destato grande impressione…
R. – Direi di sì. Questo
effettivamente è il momento che ha raccolto più attenzione e in un certo senso
è anche quello che è stato, forse, più nuovo e più inaspettato rispetto a poche
settimane fa. Mi pare che, pensando anche a quello che è avvenuto nei mesi
passati - le discussioni o le reazioni in seguito ai malintesi sul discorso di Ratisbona – la visita alla Moschea e il successivo momento
di raccoglimento siano stati quell’atto simbolico che
ha, in un certo senso, compiuto e portato alla consapevolezza comune ed anche
popolare ciò che i chiarimenti fatti a parole e nelle varie dichiarazioni rese
dal Papa e dai suoi collaboratori avevano preparato nei mesi passati. Ma ci
voleva anche e proprio quell’atto, quel passo fisico,
quel momento di incontro cordiale con il sorriso, con il cuore aperto, che dimostrasse e facesse capire che le distanze erano superate
e che il dialogo era qualcosa di reale, di profondo e di sincero. Direi che, a
parte il momento del raccoglimento, anche la cordialità del dialogo con il Gran
Muftì e con l’Imam che accoglievano il Papa nella
Moschea siano stati un momento particolarmente
espressivo e felice.
D. – Soffermiamoci su un’altra
immagine forte del viaggio: l’abbraccio di Benedetto XVI con Bartolomeo I, segno di una cordialità e, potremmo dire, di un affetto
che sembra incoraggiare il cammino ecumenico…
R. – Qui si tratta di un cammino
che continua. E’ un cammino che Papa Benedetto XVI ha posto fin dall’inizio,
fin dal primo giorno della sua elezione, tra le priorità del suo Pontificato.
Direi siano state molto significative qui, oltre al gesto, anche le parole
pronunciate dal Papa nel discorso durante la Divina Liturgia, nel rinnovare quell’invito coraggioso, profondo e cordiale di Giovanni
Paolo II a discutere insieme, a cercare insieme le vie per definire questo
ministero universale di Pietro al servizio dell’unione di tutta la Chiesa ed
anche l’esplicito desiderio di unità che è stato ribadito nel corso dell’omelia
dell’ultima Messa nella cattedrale cattolica di Istanbul. Il desiderio
appassionato di unione dice che questa priorità del Pontificato è veramente
molto presente e l’abbraccio tra il Patriarca Bartolomeo I e gli abbracci di
pace anche con gli altri rappresentanti ortodossi e delle altre confessioni
cristiane presenti nella Messa conclusiva del viaggio, sono molto espressivi.
C’è stata anche occasione, da parte del Patriarca Ecumenico, di toccare
problemi concreti in cui la Chiesa ortodossa chiede la solidarietà, l’amicizia
della Chiesa cattolica nelle loro situazioni di difficoltà. Si tratta, quindi,
di un ecumenismo che deve proseguire: sia dal punto di vista
dell’approfondimento dottrinale, teologico ed ecclesiologico,
sia anche da quello della concreta carità, vicinanza e solidarietà per la
missione di evangelizzazione e testimonianza cristiana nel mondo attuale, nel
quale ve n’è veramente molto bisogno.
D. – Ad Efeso e nella cattedrale
dello Spirito Santo ad Istanbul, l’incontro intenso e perfino commovente, a tratti,
con la piccola comunità cattolica di Turchia: il Papa in più occasioni, durante
il viaggio apostolico, ha chiesto che venga garantita
la libertà religiosa. Quali aspettative si possono nutrire ora?
R. – Certamente, è stata
manifestata questa richiesta dell’affermazione della libertà religiosa, che di
per sé è presente nella Costituzione turca, ma con una sua interpretazione che
poi, nella pratica, lascia a volte a desiderare, creando delle difficoltà.
L’affermazione del principio è stata, quindi, molto chiara
e non solo nei discorsi, ma anche nei colloqui svolti con le diverse autorità,
sia da parte del Papa che dei suoi collaboratori. C’è stata anche - in
particolare, nell’incontro con il vice primo ministro - la proposta concreta di
istituire una commissione a livello di governo e di rappresentanti della Chiesa
per affrontare tali problemi concreti. In questo senso, c’è stato certamente un
incoraggiamento alla vita della comunità cattolica, alla sua fede e al suo
entusiasmo, ma anche una premessa di compiere passi concreti di continuità, in
modo tale che le premesse poste da questa visita possano
svilupparsi e dare dei frutti. Uno dei punti che mi ha colpito, soprattutto
nella Messa conclusiva, è stato quello dell’unità e della comunità fra i
diversi riti. C’erano quattro diversi riti di comunità cristiane cattoliche che
vivono tutte e quattro ad Istanbul e che hanno
manifestato la loro varietà e la loro ricchezza nella Liturgia di questa
mattina. C’è stato, quindi, anche un invito all’unione, alla comunione delle
ricchezze, delle tradizioni e delle espressioni culturali all’interno della
Chiesa cattolica. Un invito cordiale, quest’ultimo, che è venuto da questa
riunione di preghiera alla quale il Papa ha anche fatto riferimento esplicito
ieri più di una volta.
D. – Come è noto, erano tante le
aspettative del viaggio, accompagnato anche da qualche preoccupazione. Si può
dire, dunque, senza esagerare, che il Papa ha saputo conquistare tutti, al di
là forse anche delle aspettative?
R. – Direi di sì e questo mi
sembra un risultato estremamente positivo. Il viaggio ha dato dei frutti in
tutte le direzioni e questo ha dimostrato che non erano direzioni, fra loro,
opposte o divergenti o concorrenti, ma che si può costruire in pace e che si
possono dare messaggi positivi per invitare tutti coloro che hanno buona
volontà a collaborare e a costruire una convivenza migliore. Non vorrei
dimenticare, infatti, i forti appelli per la pace nel Medio Oriente, che qui è
molto vicino - la Turchia è, in un certo senso, una nazione di questa area
geografica – che il Papa ha fatto, in diverse occasioni, incoraggiando
l’impegno della comunità internazionale, e in particolare anche di questa
grande nazione, in favore della pace in questa area così critica.
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DI FRONTE
AL SECOLARISMO E ALL’INDIFFERENZA RELIGIOSA, VA RISCOPERTA
LA
SACRALITA’ DEL GIORNO DEL SIGNORE E L’IMPORTANZA DELLA
PARTECIPAZIONE
ALLA
MESSA DOMENICALE: COSI’ IL PAPA IN UN MESSAGGIO PER LA GIORNATA
DI
STUDIO SULLA COSTITUZIONE SACROSANCTUM CONCILIUM
E’ urgente ribadire “la sacralità
del giorno del Signore e la necessità di partecipare alla Messa domenicale”: è
quanto sottolinea Benedetto XVI nel messaggio inviato al cardinale Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il Culto
Divino e la Disciplina dei Sacramenti, e ai partecipanti alla giornata di
studio promossa dal Dicastero nell’anniversario della promulgazione della
Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium. L’incontro, sul tema “La messa domenicale
per la santificazione del popolo cristiano”, si è svolto stamani in Vaticano.
Il servizio di Alessandro Gisotti:
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“Il contesto culturale in cui
viviamo, segnato spesso dall’indifferenza religiosa e dal secolarismo che
offusca l'orizzonte del trascendente – avverte il Papa – non deve far
dimenticare che il Popolo di Dio, nato dall'Evento pasquale, ad esso deve ritornare come ad inesauribile sorgente”. E ciò
“per comprendere sempre meglio i tratti della propria identità e le ragioni
della propria esistenza”. Nel messaggio al cardinale Francis
Arinze, il Pontefice sottolinea l’importanza della partecipazione alla Messa
domenicale ribadendo che “la domenica non è stata scelta dalla comunità
cristiana” ma da Cristo stesso.
“La domenica – scrive il Papa –
rimane il fondamento germinale e, insieme, il nucleo primordiale dell’anno
liturgico, che attinge la sua origine dalla Risurrezione di Cristo, grazie alla
quale sono stati impressi nel tempo i tratti dell'eternità”. La domenica, è la
riflessione del Pontefice, è dunque “un frammento di tempo pervaso di eternità,
perché la sua alba ha visto il Crocifisso risuscitato entrare vittorioso nella
vita eterna”. Incoraggia, così, “ad approfondire sempre più l’importanza del Giorno del Signore”, ma “evidenzia anche la
centralità dell’Eucaristia come pilastro fondamentale della domenica e di tutta
la vita ecclesiale”. Benedetto XVI auspica, quindi, che si recuperi “il senso
cristiano della domenica nell’ambito della pastorale e nella vita di ogni
credente”. Il Giorno del Signore, è
la sua invocazione, possa “acquistare nuovamente tutto il suo rilievo ed essere
percepito e vissuto pienamente nella celebrazione dell’Eucaristia, radice e
cardine di un’autentica crescita della comunità cristiana”.
Nel suo discorso in apertura del
convegno in Vaticano, il cardinale Arinze ha sottolineato che “ogni cristiano
ha il dovere di testimoniare al mondo con la propria vita cosa è la Chiesa, e
ciò avviene fondamentalmente di domenica”. In un contesto di secolarizzazione,
quale quello attuale, ha quindi ribadito l’urgenza di approntare “un piano
pastorale di formazione a tutti i livelli perché si possa recuperare il senso
del sacro”, aiutando i fedeli “ a santificare il giorno del Signore mediante la
partecipazione alla celebrazione eucaristica”.
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sINCERO E VIVO
APPREZZAMENTO PER L’INIZIATIVA DEL SECONDO ‘Incontro
Internazionale
Pastorale della Strada’: LO ESPriME IL PAPA NEL
telegramma
al cardinale martino, presidente del pontificio
consiglio per
dei migranti e degli itineranti,
promotore dell’incontro,
che si svolge oggi e domani a palazzo san calisto
- Con noi l’arcivescovo Agostino Marchetto -
“Sincero e vivo apprezzamento” per
l’iniziativa del Secondo Incontro Internazionale Pastorale della Strada: è
quanto esprime il Papa nel telegramma inviato, a firma del cardinale Segretario
di Stato Tarcisio Bertone, al
cardinale Renato Martino, presidente del Pontificio Consiglio per
**********
R. - Possiamo
così sintetizzare: fare una seria e profonda riflessione, in contesto
internazionale, sulle numerose, complesse questioni implicite legate alla
strada; continuare, con obiettivi pastorali, lo studio di un fenomeno che
coinvolge, giorno dopo giorno, molte persone che corrono sulla strada e su
ferrovia in vista anche dei relativi servizi; prendere coscienza dei doveri
inerenti alla pastorale della strada e altresì alla responsabilità morale circa
il codice stradale, al fine di prevenire le fatali e gravi conseguenze che
derivano dalla sua mancanza di rispetto; affrontare i gravi problemi che il
traffico stradale e ferroviario presenta e le sue ripercussioni sui diritti
umani (e cristiani) degli utenti, integrando le azioni pastorali che ruotano
attorno alla strada, ai “suoi abitanti”, ai ragazzi e alle donne di strada, ai
senza tetto; ampliare la visione di questo “fenomeno” mirando a una rinnovata
solidarietà, impegnando forze pastorali specifiche senza tuttavia dimenticare
il necessario legame con l’impegno pastorale ordinario, territoriale. È questione di integrazione
pastorale.
D. - Chi è coinvolto in questa
Pastorale?
R. - In essa
sono coinvolti: gli agenti pastorali, ossia vescovi, sacerdoti, religiosi(e),
laici, cappellani di una pastorale specifica, che si dedicano all’animazione di
istituzioni, congregazioni e associazioni, al servizio delle categorie indicate
in precedenza con attenzione particolare alle cappelle (fisse o mobili) situate
lungo le autostrade e nelle stazioni ferroviarie. I destinatari di questa
Pastorale, ripeto, sono i camionisti, gli autisti di automobili e pullman, gli
utenti delle autostrade e delle ferrovie, i professionisti e, infine, tutti
coloro che, in qualche modo, hanno a che fare con la strada e la ferrovia.
Insomma questa pastorale vuole raggiungere gli uomini di oggi nel proprio
ambiente, in movimento, per aiutarli, in convivenza pacifica, ad esercitare
reciproca solidarietà e carità, e per avvicinarli a Dio, contribuendo così a
rendere il loro ambiente più consono al messaggio cristiano e, pertanto, più
umano.
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TELEGRAMMA
DI CORDOGLIO DEL PAPA
PER LE VITTIME NELLE FILIPPINE DOPO IL
PASSAGGIO DEL TIFONE DURIAN
Tragedia
nelle Filippine: nella parte orientale del Paese il tifone ‘Durian’
ha provocato almeno 394 morti e più di 90 persone
risultano disperse. Dopo
aver appreso la notizia, Benedetto XVI ha espresso il suo profondo dolore per
le vittime e le devastazioni causate dal passaggio del tifone in un telegramma
a firma del segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone,
inviato al nunzio apostolico nelle Filippine, mons. Fernando Filoni. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Il Papa affida le vittime alla misericordia divina
e assicura ai familiari la propria vicinanza con la preghiera. Il Santo Padre
prega anche affinché tutti i soccorritori possano fornire un’adeguata
assistenza alla popolazione colpita. La situazione più grave è quella della
provincia orientale di Bicol. Fango e pietre hanno
sommerso una zona alle pendici del vulcano Mayon, in
eruzione da agosto. Interi villaggi sono stati
letteralmente spazzati via, sepolti sotto giganteschi smottamenti che hanno
trascinato verso valle tonnellate di fango, pietre, terriccio e ceneri
vulcaniche. Molte persone sono rimaste intrappolate sui tetti delle case e si
teme che il bilancio delle vittime possa aggravarsi. Il presidente filippino,
Gloria Arroyo, ha inviato l’esercito per aiutare la
popolazione. Ma le operazioni di soccorso sono ostacolate dalla massa di
detriti che rendono inagibili le principali vie di comunicazione della zona. A
complicare la situazione c’è anche la perdurante eruzione del vulcano Mayon, tornato in attività ad agosto con colate laviche ed
emissioni di ceneri e lapilli. In tanta disperazione non mancano comunque
segnali di speranza: tra le macerie di una casa è stato trovato e tratto in
salvo un bimbo di due mesi.
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RINUNCIA E NOMINE
Il Santo Padre ha nominato vescovo
coadiutore della Diocesi di Uíje, in Angola, il Rev. Emílio Sumbelelo, vicario giudiziale della Diocesi di Benguela.
Sempre oggi il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo
pastorale della Diocesi di São Tomé
e Príncipe, presentata da monsignor Abílio Rodas de Sousa Ribas, della Congregazione
dello Spirito,in conformità al canone 401 § 1 del
Codice di Diritto Canonico. Al suo posto ha nominato il reverendo padre Manuel António Mendes dos Santos, Superiore Provinciale della Congregazione dei
Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Il
dettagliato resoconto della visita pastorale del Papa in Turchia. I servizi del
nostro inviato Giampaolo Mattei.
Servizio estero - Iraq:
per il pemier Al Maliki
entro giugno del 2007 la responsabilità della sicurezza potrebbe essere
affidata alle forze locali.
Servizio culturale - Un
articolo di Franco Pelliccioni dal titolo “uando Maupassant pranzò in cima alla Tour Eiffel... per non
vederla” la grande opera, contestata all'epoca da molti francesi, fu il simbolo
dell'Esposizione Universale di Parigi del 1889.
Servizio italiano - In
primo piano il tema della Fnanziaria.
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1 dicembre 2006
L’EUROPA
‘SPACCATA’ DICE SI’ ALLA RICERCA SUGLI EMBRIONI,
NEL RISPETTO
DELLE LEGGI NAZIONALI. FERMA CONDANNA DELLA CHIESA
CONTRO
IL RELATIVISMO ETICO CHE ANNULLA I DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UOMO
-
Interviste con l’arcivescovo Elio Sgreccia e
l’eurodeputata Patrizia Toia -
L’Europa dice sì alla
sperimentazione sugli embrioni, pure nel rispetto delle legislazioni nazionali,
così come previsto nel Programma quadro per la ricerca, approvato ieri
dall’Europarlamento, che destina 54 miliardi di euro ai vari settori:
dall’economia alle nuove tecnologie, dall’ambiente alla salute, nel periodo
2007-2013. Dopo acceso dibattito, gli eurodeputati, hanno vietato di finanziare
i progetti volti alla clonazione umana a fini riproduttivi o a modificare il
patrimonio genetico degli esseri umani ma hanno permesso di finanziare quelli
sulle cellule staminali prelevate da embrioni umani, respingendo pure
l’emendamento che fissava una data limite oltre la quale
vietare la distruzione di nuovi embrioni per ricavarne cellule staminali.
Roberta Gisotti ha intervistato l’arcivescovo Elio Sgreccia,
presidente della Pontificia Accademia per la vita:
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D. - Eccellenza come giudicare il
pronunciamento del Parlamento europeo, che taluni hanno definito un testo di
equilibrato compromesso, altri invece un testo ambiguo che lascia aperte tutte
le ipotesi, altri ancora un testo di sconfitta per chi lotta a favore della
vita e contro la mercificazione della persona…?
R. - Si tratta di un testo che
mette in evidenza il relativismo morale, etico che vige ora in Europa. Mi pare
che la sostanza della deliberazione è che sia lecito fare di tutto - eccetto
che la clonazione riproduttiva - con l’unico limite della legislazione
nazionale. Questo indica che in Europa i diritti fondamentali non sono uguali,
dove c’è una legge uno è riconosciuto come persona umana fino dal primo
concepimento, dove c’è un’altra legge invece non è lo stesso. Allora l’Europa
che è nata su una carta di diritti dell’uomo, io non ce la vedo più. Cosa c’è
di uguale in Europa per tutti i cittadini che vi circolano? Forse l’immagine
della moneta e pochi altri diritti individuali ma non i diritti fondamentali.
D. - Quindi c’ è da temere anche
un commercio ‘nero’ su questo tipo di ricerca…
R. - Naturalmente questo favorisce
il soddisfacimento dei desideri in fatto di procreazione, di sperimentazione e
degli affari attraverso l’incentivo della commercialità,
perché poi si sa che non si può per esempio in Italia prelevare cellule da un embrione ma si possono comperare le linee cellulari fatte in
Inghilterra.
D. – Ecco, che cosa si può fare
adesso? Si può tenere aperto il dibattito a livello nazionale?
R. - Bisogna mantenere aperto non
soltanto il dibattito, ma mantenere ferme le posizioni. Per la Chiesa cattolica
si impone di far conoscere ovunque che l’uomo è uguale dappertutto, che ha dei
diritti fondamentali, che senza di questo non si può costruire una civiltà e
quindi neanche una comunità europea realmente valida.
D. - Non tutto quello che viene
dall’Europa e dall’autorità europea è da prendere come ‘oro colato’…
R. – No, assolutamente. Oggi direi
che c’è una trasformazione - che è avvenuta in questi ultimi decenni - dei
diritti fondamentali che all’inizio sono stati proposti come diritti dell’uomo
in quanto uomo, perché appartiene alla specie umana; ora diventano diritti
individuali che dipendono dalle scelte di ogni individuo, quindi non sono più fondamentali quando sono individuali o soggettivi.
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Diversi esponenti politici hanno
espresso disappunto per il voto. Peraltro all’interno dello stesso partito si
ritrovano posizioni diverse. Accade anche nella Margherita. Tra quanti
all’interno di questo partito italiano esprimono forti perplessità c’è l’europarlamentare Patrizia Toia.
Ascoltiamola nell’intervista di Fausta Speranza:
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R. – Si poteva tenere una linea
che anche sulle cellule staminali andasse nel senso delle staminali adulte, del
sangue cordonale e altre alternative, che non intaccassero il campo delle
cellule staminali embrionali. E’ vero che ci sono dei limiti, è vero che ci
saranno delle regole, delle valutazioni di comitati, valutazioni sia nazionali
che europee, però indubbiamente si è aperto un varco.
D. – On. Toia,
quale margine di azione politica intravede per gli esponenti che come lei hanno
queste perplessità?
R. – Adesso bisogna vedere, perchè
il programma generale delle ricerche, il VII programma quadro, è un programma
che è passato in seconda lettura ieri e non credo lasci più molti margini.
Siccome, però, abbiamo avuto una piccola vittoria, un emendamento bipartisan, sulle cose vere, sui valori veri, questo
emendamento è entrato in uno dei programmi specifici, quelli che non vedono una
voce definitiva del Parlamento, ma solo un’opinione che il Parlamento dà. E in quell’emendamento c’era scritto proprio che bisogna far riferimento solo a cellule già derivate. Noi
speriamo di poter intervenire nei prossimi giorni, perché quella che è stata
un’opinione sul programma specifico, innanzitutto, venga
confermata nella stesura definitiva di quel programma specifico, che riguarda
l’aspetto “idee”. Nello stesso tempo, vediamo se si può ancora, in uno dei
prossimi consigli europei, tentare una qualche correzione di tiro. Per esempio,
intervenendo in aula, il commissario europeo, la sera del dibattito, ha detto
qualcosa in più: ha preso un mezzo impegno politico di non finanziare
l’estrazione di cellule dagli embrioni. Quindi, se noi potessimo lavorare
perché anche questi impegni politici si traducano in qualcosa di più solido
giuridicamente, potrebbero esserci alcuni spiragli più positivi rispetto al
risultato complessivo.
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“ASSUMERSI
LA RESPONSABILITÀ”: È LO SLOGAN DELL’ODIERNA GIORNATA MONDIALE PER LA LOTTA
ALL’AIDS, PRINCIPALE CAUSA DI MORTE TRA I 15 E I 60 ANNI
-
Intervista con Francesca Racioppi -
25 anni fa fu segnalato il primo
caso. Da allora sono morte 25 milioni di persone. Stiamo parlando dell’Aids.
“L’infezione – ricorda il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan nel suo mesaggio per la giornata mondiale contro la malattia che si
celebra oggi - è la principale causa di morte tra i 15 e i 59 anni di età”. Per
combattere l’Hiv tutti i
governi sono scesi in campo sottoscrivendo programmi di prevenzione comuni
tanto che oggi i sieropositivi hanno accesso alle cure come mai in passato.
Proprio per non vanificare gli sforzi fatti, come slogan mondiale fino al 2010
è stato scelto “Stop all’Aids, mantieni la promessa”. In particolare quest’anno
la parola chiave è “Assumersi la responsabilità”. Antonella
Villani ha chiesto a Francesca Racioppi,
rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Europa, quanto si sta
facendo per attuare questo obiettivo:
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R. – Vogliamo parlare della
responsabilità che è stata assunta dai governi, che si sono impegnati a darsi,
entro la fine del 2006, degli obiettivi nazionali. L’altro impegno è quello che
è stato preso dai Paesi del G8, che si sono impegnati a raggiungere l’obiettivo
dell’accesso universale ai trattamenti entro il 2010.
D. – Qual è la situazione
dell’epidemia a livello mondiale?
R. – L’epidemia continua a
crescere. Nel 2006 stimiamo che siano circa 39 milioni e mezzo le persone con sieropositività o con AIDS. Abbiamo registrato qualcosa
come 4,3 milioni di nuovi casi. Questo vuol dire che ogni giorno ci sono circa
11 mila nuove infezioni. La maggior parte dei casi continua a registrarsi
nell’Africa subsahariana e abbiamo visto che
nell’Europa orientale e nelle Repubbliche centro asiatiche il tasso di
infezione è salito del 50 per cento rispetto ai dati del 2004 e questa crescita
sta procedendo ad una velocità che è anche superiore rispetto alla crescita
dell’epidemia nell’Africa subsahariana.
D. – Che fare a questo punto per
cercare di arrestare il contagio?
R. – Serve la prevenzione. Per
fare questo bisogna conoscere come l’epidemia si manifesta e si diffonde nei
diversi contesti. Per esempio, mentre nell’Europa occidentale prevale la forma
di trasmissione per via sessuale, nell’Europa orientale e nelle Repubbliche
centro asiatiche la forma prevalente è quella attraverso le siringhe infette.
Accanto alla prevenzione, bisogna migliorare l’accesso al trattamento farmacologico, e poi c’è l’investimento nella ricerca nel
campo del vaccino e dei microbicidi.
D. – Oltre al problema delle cure,
c’è la stigmatizzazione di questi malati. Benedetto
XVI ha recentemente auspicato di superare i pregiudizi che ostacolano gli aiuti
alle vittime di malattie come l’AIDS. Quanto si è fatto e quanto c’è ancora da
fare in questo campo?
R. – Si è fatto parecchio e rimane
da fare ancora moltissimo, perchè effettivamente il
permanere dello stigma sociale, della discriminazione e del pregiudizio sono
degli alleati per il diffondersi della malattia. Le persone hanno paura sia di
venire a conoscenza della propria condizione, sia di rendere la propria
condizione nota ad altri. E questo ha un effetto perverso sia nel ritardo della
diagnosi di sieropositività, sia nel ritardo
nell’accesso alle cure, ma anche nel proteggere le persone che hanno poi dei
contatti di tipo sessuale con le persone infette. Quindi, vogliamo sottolineare
che è veramente importante rimuovere gli atteggiamenti di pregiudizio. Bisogna,
invece, avere un atteggiamento di apertura, accoglienza e riconciliazione.
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1 dicembre 2006
la
conferenza episcopale PORTOGHESE ha invitato a votare no
e a scegliere la vita AL REFERENDUM
SULL’ABORTO CHE VIENE FISSATO
DAL
PRESIDENTE aNìBAL cAVACO SILVA PER L’11 FEBBRAIO
LISBONA. = Si svolgerà il prossimo
11 febbraio il referendum sull’aborto in Portogallo. La data è stata fissata
dal presidente del Paese, Aníbal Cavaco
Silva. I portoghesi in questa occasione saranno chiamati a dire se concordano o meno “con la depenalizzazione dell'interruzione volontaria
della gravidanza, se realizzata, per scelta della donna, nelle prime 10
settimane, in un istituto di salute legalmente autorizzato”. Il presidente
della repubblica, ricordando il referendum sulla questione del
Nelle filippine è stata massiccia l’adesione
all’apertura della nona
“settimana della pace”. Un’iniziativa attraverso
e musulmani chiedono al governo ed ai ribelli
separatisti
del Fronte islamico
ZAMBOANGA. = Prosegue nella
capitale dell’arcipelago meridionale di Mindanao la
nona “Settimana della Pace”, un evento che “in nome di Dio, il misericordioso,
chiede la fine di ogni ostilità”. Secondo quanto riporta
l’agenzia AsiaNews, all’apertura della
manifestazione, mercoledì scorso,
c’erano 30 mila persone tra cristiani e musulmani. Il tema dell’avvenimento è
stato scelto dalla conferenza dei vescovi e degli ulema
delle Filippine, composta da 24 vescovi cattolici, 18
protestanti e 24 ulema. Così cristiani delle diverse
chiese assieme a musulmani, insegnanti, studenti, attivisti per i diritti umani
e funzionari del governo hanno marciato insieme per chiedere la fine della
guerra fra Manila ed i ribelli del Moro Islamic Liberation Front (MILF), che si battono da decenni per
l’autonomia della minoranza musulmana che abita in prevalenza nella parte meridionale
delle Filippine. Negli ultimi 2 anni gli scontri armati sono notevolmente
diminuiti dopo l’inizio delle trattative di pace con il governo di Manila, che
si sono però fermate alcuni mesi fa. Unanime
l’apprezzamento per l’iniziativa. Per padre Angelo Calvo, missionario clarettiano e presidente di Paz –
Peace Advocates Zamboanga, un gruppo attivo nella pacificazione della
regione meridionale – la gente che marcia “è come un tappeto pieno di colori,
che si unisce a chi piange per la guerra e chiede con forza che questa
finisca”. Celso Lobregat, sindaco di Zamboanga, si dice “colpito” dalla massiccia partecipazione
popolare: “La gente di Zamboanga – ha precisato - ha
voluto inviare un forte messaggio a tutte le parti in causa. (E.
B.)
Una messa a new york per ricordare padre benedetto
marie benoit,
il frate che salvò migliaia di ebrei SFIDANDO PIù
VOLTE
NEW YORK. =
Emergenza alluvioni in AFRICA: aumentano le vittime
e gli sfollati ANCHE IN RWANDA E MALAWI
LILONGWE – KIGALI. = A causa delle
forti piogge degli ultimi mesi, sono sempre più numerosi gli sfollati e le
vittime delle alluvioni in Africa. Un’emergenza che ha colpito non solo il
Corno d’Africa – e in particolare Kenya, Somalia ed Etiopia – ma anche più a
sud, il Rwanda e il Malawi. Nei giorni scorsi il fiume Base, nel nord del
Rwanda, è infatti straripato uccidendo almeno 25
persone e costringendone un centinaio ad abbandonare le proprie abitazioni. “Ma
il bilancio potrebbe aumentare facilmente”, ha detto Boniface
Rucago, governatore della Provincia settentrionale,
precisando che “le vittime sono state colte di sorpresa, quando l’acqua ha
iniziato a riversarsi sulle loro case, spazzandole via insieme alle loro
proprietà”. In Kenya, sulle vittime delle alluvioni circolano cifre
contrastanti: secondo
Nel 2015 saranno 252 mila i pensionati stranieri in
Italia: molti di loro
a causa di pensioni minime rischiano di aumentare le
fila dei nuovi poveri nel paese. E’ l’allarme della caritas migrantes, laNciato
oggi a roma
al convegno “essere anziani in immigrazione”
ROMA. = Quando gli immigrati
andranno in pensione, quasi sempre con la pensione sociale di 500 euro, saranno
destinati “ad alimentare le fila dei nuovi poveri”, a meno che “non vengano adottate adeguate contromisure”. E’ l’allarme
lanciato oggi da Franco Pittau, del Dossier
statistico immigrazione Caritas/Migrantes,
intervenendo al convegno “Essere anziani in immigrazione”, promosso
a Roma dal Consiglio nazionale donne italiane, dalla direzione flussi
migratori dell’INPS, dal Forum per una democrazia partecipata e dal Dossier
Caritas/Migrantes. Secondo stime
citate dall’esperto – afferma l’agenzia SIR - nel 2015 saranno 252 mila
i pensionati stranieri in Italia. Il fatto che le loro pensioni il più delle
volte saranno quelle minime - aggiunge Pittau - è dovuto al fatto che “la retribuzione media percepita dai
lavoratori immigrati nel 2003 è stata pari a 9.423 euro annuali, all'incirca il
40% in meno rispetto alle retribuzioni medie degli italiani”. Così, calcolando
che 40 anni di carriera consentono di arrivare al 60% della retribuzione –
conclude l’esperto – il futuro dei beneficiari immigrati sarà molto disagevole.
(E. B.)
1 dicembre 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco e Ada Serra -
In Iraq, almeno 12 persone sono
rimaste uccise in diversi attacchi compiuti da ribelli in varie zone del Paese.
I più gravi sono avvenuti in un mercato di Baghdad, dove l’esplosione di
un’autobomba ha provocato 3 morti, e a Kirkuk, teatro
di un attacco kamikaze contro una pattuglia della polizia costato la vita a tre
persone. A Nassiriya, intanto, è arrivato il ministro
della Difesa italiano, Arturo Parisi, per la
cerimonia che sancirà la fine della missione italiana in Iraq. Domani, dopo tre
e anni e mezzo dall’inizio della missione ‘Antica Babilonia’,
sarà rimpatriato l’ultimo soldato. Nel Paese arabo sono morti complessivamente,
in seguito ad attacchi e incidenti, 32 militari italiani.
In Afghanistan, sono rimasti
uccisi nel sud del Paese sei presunti talebani nel corso di scontri a fuoco con
agenti di polizia. Lo riferiscono fonti locali, precisando che sono anche stati
arrestati due ribelli.
In Medio Oriente, comandanti
militari israeliani e palestinesi si sono incontrati al valico di Eretz per consolidare la tregua nella Striscia di Gaza. Nei
Territori Palestinesi, la situazione resta comunque difficile: in Cisgiordania
un palestinese di 16 anni è stato ucciso da soldati israeliani. Intanto in
Giordania, nel corso del ‘Forum per il fururo’, al quale partecipano ministri degli Esteri dei
Paesi arabi e degli Stati del G8, si è ribadita la necessità di intraprendere
una strategia comune con il mondo arabo per spezzare la catena di conflitti che
insanguina il Medio Oriente. Sul versante politico, il presidente palestinese Abu Mazen ha convocato oggi il
comitato esecutivo dell’OLP dopo le dichiarazioni rilasciate ieri sullo stallo
tra Fatah e Hamas per la formazione di un governo di
unità nazionale.
Allarme informatico negli Stati
Uniti: l’amministrazione americana ha riferito che al Qaeda
starebbe preparando un massiccio cyber-attacco contro diversi
siti internet di istituzioni finanziarie. In un documento, redatto dalla
Sicurezza interna statunitense, si legge che tra gli obiettivi dell’organizzazione
terroristica c’è quello di violare i database dei siti della Borsa azionaria. A
rischio, secondo agli esperti informatici, ci sarebbero conti correnti,
portafogli di titoli e operazioni finanziarie di ogni genere.
Nello Sri Lanka un soldato è stato ucciso e 14 sono rimasti feriti in
seguito ad un attentato kamikaze, avvenuto stamani a Colombo. Obiettivo
dell’attacco era il convoglio di veicoli all’interno del quale viaggiava il
ministro della Difesa, Gothabaya Rajapakse,
rimasto invece illeso. Il ministro Rajapakse,
fratello del presidente della Repubblica, è noto per la sua linea
particolarmente dura contro i ribelli indipendentisti tamil,
che proprio nei giorni scorsi avevano annunciato la
ripresa della lotta contro il governo centrale.
In Corea del Sud è stato designato
il nuovo ministro degli Esteri, Song Min-soon. Song
prende il posto di Ban Ki-moon,
che dal primo gennaio ricoprirà l’incarico di segretario generale delle Nazioni
Unite. La nomina del nuovo capo della diplomazia sudcoreana
è stata accolta con pesanti critiche dall’opposizione, che lo accusa di
antiamericanismo. Subito dopo l’investitura, Song si è dichiarato pessimista su
una rapida ripresa dei negoziati sul programma nucleare della Corea del Nord. Le affermazioni di Song giungono dopo che ieri il
direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Mohamed El Baradei,
aveva detto in una conferenza stampa a Tokyo che l’AIEA è pronta a collaborare
con Pyongyang.
In Ucraina, il Parlamento ha
votato questa mattina per rimuovere dal loro incarico i ministri filo
occidentali degli Interni e degli Esteri, alleati-chiave del presidente Viktor Yushchenko. L’Assemblea ed
il governo del filo-russo Viktor Yanukovich
sono da mesi ai ferri corti con il presidente ucraino. Yushchenko,
cui spetta il compito di nominare il ministro degli Esteri, ha affermato che
ricorrerà alla Corte Costituzionale.
In Messico il
conservatore Felipe Calderon
si è insediato come nuovo presidente. Il neo capo di Stato ha ricevuto una
bandiera messicana e intonato l’inno nazionale davanti ad un drappello militare
e ai ministri di Difesa, Marina e Sicurezza pubblica. La sua elezione è stata
contestata dalla sinistra che considera invece vincitore il proprio candidato, Andreas Manuel Lopez Obrador, autoproclamatosi
“presidente legittimo”. La magistratura messicana ha comunque respinto le
accuse di presunti brogli avvenuti durante la consultazione dello scorso 2
luglio. I deputati del Partito di azione nazionale, di destra, e del Partito
della rivoluzione democratica, di sinistra, continuano intanto a presidiare la
sede del Parlamento. I rappresentanti di questo secondo schieramento vogliono
impedire la cerimonia di investitura, nel corso della quale il presidente
uscente consegnerà la sciarpa presidenziale a Calderon.
Nel sud Sudan almeno 300 persone
sono morte in scontri avvenuti nei giorni scorsi tra soldati governativi e
ribelli. Il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, ha dichiarato che i combattimenti, costati la vita a
molti civili, costituiscono una grave violazione della tregua siglata nel
gennaio del 2005 dal governo di Karthoum e dal
sedicente ‘Esercito di liberazione del popolo sudanese’.
In Sudan resta critica, poi, la situazione del Darfur.
L’Unione Africana ha prorogato di sei mesi la durata del mandato della sua
forza di pace nella martoriata regione occidentale sudanese. Sul Darfur si è espresso anche il Consiglio delle Nazioni Unite
per i diritti umani. Il servizio di Giulio Albanese:
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Il Consiglio delle Nazioni Unite
per i diritti umani ha approvato la convocazione di una sessione di emergenza
sul Darfur. La proposta è stata appoggiata da 29 dei
47 Stati rappresentati nel Consiglio. Venti Paesi con status di osservatore,
tra cui gli Stati Uniti, hanno votato a favore. I lavori di questa sessione
speciale, cui tra l’altro spetterà il delicato compito di raccogliere ed
esaminare attentamente prove sulle violazioni dei diritti umani nella regione
sudanese, dovrebbero iniziare intorno al 12 dicembre. In questa sessione
speciale potrebbe essere deciso di inviare una missione di verifica nella
regione o addirittura di rafforzare la presenza degli osservatori.
Per la Radio Vaticana, Giulio
Albanese
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Il governo del Ciad ha inviato,
ieri, una lettera al presidente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite,
in cui si chiede di condannare le “manovre aggressive e destabilizzanti”
attuate da Sudan e Arabia Saudita, accusate di aver aiutato i ribelli che nelle
scorse settimane hanno tentato di rovesciare il governo di N’Djamena.
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