RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 268 - Testo della trasmissione di domenica 25 settembre 2005

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il pensiero del Papa oggi all’Angelus per le tutte persone colpite, negli Stati Uniti e in altre parti del mondo, da disastri naturali. Poi il richiamo alla carità nella vita di ogni giorno, legata al sacramento dell’Eucaristia.

 

Si apre oggi pomeriggio a Roma la Conferenza internazionale a 40 anni dalla Dichiarazione conciliare “Nostra Aetate”: intervista con l’arcivescovo Michael Fitzgerald

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Elezione parlamentari oggi in Polonia. Il richiamo dei vescovi contro l’astensionismo, per un voto responsabile: ai nostri microfoni padre Jozef Kloch

        

         La via dell’integrazione passa per il rispetto delle leggi dello Stato ospite e delle sue tradizioni culturali: con noi padre Samir Khalil Samir

 

In Afghanistan, diminuite del 21 per cento le coltivazioni dell’oppio nel 2005: il dato emerge dal Rapporto delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine. Ce ne parla Antonio Maria Costa

 

Polemiche e dibattito in Italia dopo la decisione del ministro della Salute Storace di sospendere da ieri la sperimentazione della pillola abortiva RU486: intervista con Carlo Casini

 

CHIESA E SOCIETA’:

A partire da ottobre un nuovo Corso per esorcisti presso il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum a Roma

 

Al via ieri a Lucerna di festeggiamenti per i 500 anni delle Guardie Svizzere in Vaticano

 

Le comunità zingare ricordano il 40.mo anniversario dell’incontro con Papa Paolo VI

 

Martedì prossimo, Giornata mondiale del Turismo, i Musei Vaticani sono gratuiti

 

Niger: tra ritardi e disorganizzazioni della macchina degli aiuti, resta grave la crisi alimentare

 

L’ONU si interessa al caso dei 35 prigionieri del Sahara Occidentale, in sciopero della fame dall’8 agosto scorso

 

Si è chiuso a Milano il Prix Italia, il più antico Concorso internazionale per programmi radio, TV e Web

 

24 ORE NEL MONDO:

In Medio Oriente, attacchi dell’Aviazione israeliana nella Striscia di Gaza, in risposta ad azioni ostili palestinesi.

 

Manifestazioni a Washington e in altre città europee contro la guerra in Iraq

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

25 settembre 2005

 

 

IL RICHIAMO DEL PAPA ALL’ANGELUS ALLA CARITA’, DONO DELLO SPIRITO,

 COLLEGATA ALL’EUCARESTIA,  CHE SI FA AMORE,  PERDONO, ACCOGLIENZA

E ATTENZIONE AI BISOGNI DI TUTTI, NELLA VITA DI OGNI GIORNO

 

Il pensiero del Papa oggi all’Angelus per le tutte persone afflitte negli Stati Uniti a causa dei disastri naturali e cosi anche in altre parti del mondo. Quindi il richiamo al comandamento della carità, intimamente legata al sacramento dell’Eucaristia. Il servizio di Roberta Gisotti:

 

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Preghiamo insieme  per coloro che soffrono, per le vittime e i loro cari e per i soccorritori: l’invito di Benedetto XVI, rivolgendosi ai fedeli dopo l’Angelus, l’ultimo di questo periodo feriale nella residenza di Castel Gandolfo. Per questo il Papa ha salutato e ringraziato l’intera comunità cittadina, in vista mercoledì prossimo di rientrare in Vaticano.

 

La riflessione del Santo Padre si è incentrata oggi sul Mistero eucaristico, ponendo “in luce il legame esistente tra l’Eucaristia e la carità”. Carità – ha spiegato – “che non significa prima di tutto l’atto o il sentimento benefico, ma il dono spirituale, l’amore di Dio che lo Spirito Santo effonde nel cuore umano e che lo muove a donarsi a sua volta a Dio stesso e al prossimo”. Ed è nell’ultima Cena che il Signore offre ai discepoli “l’esempio supremo di amore” lavando loro i piedi” e affidando loro “la sua più preziosa eredità, l’Eucaristia”: qui “il Signore si da a noi con il suo corpo, la sua anima e la sua divinità, e noi diventiamo una sola cosa con lui e tra noi”. Da qui il richiamo di Benedetto XVI alla carità.

 

“La nostra risposta al suo amore dev’essere allora concreta, si deve esprimere in un’autentica conversione all’amore, nel perdono, nella reciproca accoglienza e nell’attenzione ai bisogni di tutti. Tante e molteplici sono le forme del servizio che possiamo rendere al prossimo nella vita di ogni giorno. L’Eucaristia diventa così la sorgente dell’energia spirituale che rinnova la nostra vita ogni giorno e rinnova così il mondo nell’amore di Cristo”.

 

Testimoni esemplari di questo amore sono i Santi, ed il Papa ha citato l’esempio di san Vincenzo de’ Paoli, di cui ricorre la festa martedì prossimo e poi la beata madre Teresa, che “tra i più poveri tra i poveri amava Gesù”, e infine “prima e più di tutti i santi” la Vergine Maria.

 

Nel dopo Angelus la memoria di due importanti appuntamenti: giovedì 29 la Giornata marittima mondiale e martedì 27 la Giornata mondiale del turismo, cui Benedetto XVI non ha fatto mancare una particolare raccomandazione

 

“Rinnovo l’auspicio che il turismo si accompagni sempre al rispetto per le persone e le culture e possa favorire il dialogo e la comprensione”.

 

Tra i saluti quello ai partecipanti all’Incontro internazionale degli Oblati benedettini e ai numerosi musicisti radunati stamane a Roma in Piazza San Pietro, in occasione del 50 mo anniversario dell’Associazione nazionale delle Bande musicali italiane, che hanno allietato con le loro note l’intera zona.

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CONEFERENZA INTERNAZIONALE A ROMA A 40 ANNI

 DALLA DICHIARAZIONE CONCILIARE “NOSTRA AETATE”,

SUI RAPPORTI CON LE RELIGIONI NON CRISTIANE

- Intervista con l’arcivescovo Michael Fitzgerald -

 

Si apre oggi pomeriggio a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana una Conferenza internazionale a 40 anni dalla promulgazione della Dichiarazione conciliare sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Il tema è “La Nostra Aetate oggi: riflessioni dopo il suo appello a una nuova era di rapporti interreligiosi”. Ma quali elementi di novità ha portato questo importante documento? Giovanni Peduto lo ha chiesto all’arcivescovo Michael Fitzgerald, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso:

 

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R. – Forse la parola chiave di questo breve documento è rispetto, cioè si devono rispettare le persone delle altre religioni e perché? Perché ci sono dei valori con delle verità, ci sono delle cose buone in queste tradizioni religiose. La Nostra Aetate afferma che la Chiesa guarda con stima queste persone e apprezza questi raggi di verità che sono contenuti nelle diverse tradizioni?

 

D. – Che cosa è cambiato in 40 anni?

 

R.- In 40 anni c’è stata un’applicazione di questo atteggiamento di rispetto, specialmente nelle attività dei Papi: Paolo VI, Giovanni  Paolo II e possiamo dire anche Benedetto XVI, con la sua accoglienza delle delegazione dopo l’inaugurazione del suo pontificato, la visita alla Sinagoga a Colonia, l’incontro con i capi musulmani della Germania. C’è sempre questa dimostrazione di un’accoglienza dell’altro ed una volontà di collaborare nel mondo di oggi.

 

D. – Dialogo con le altre religioni significa anche approfondimento della propria identità?

 

R. – Certo. Non vuol dire sacrificare la nostra identità cristiana, cattolica per avere rapporti più facili con gli altri. Di fatti le differenze tra le religioni ci fanno scoprire di più ciò che è preziosissimo nella nostra fede e soprattutto l’incarnazione, che Dio si è fatto uomo per salvarci e che questa è la via della salvezza. Il dialogo con le altre religioni non distrugge questa verità della nostra fede, ma la mette in risalto.

 

D. – Uno sguardo sommario alle relazioni con i musulmani?

 

R. – Credo che i rapporti con i musulmani si siano sviluppati in questi 40 anni. C’è un maggiore interesse da parte dei musulmani. Ci sono state da parte loro delle iniziative. C’è una certa strutturazione del dialogo. Il nostro Consiglio ha creato due Comitati permanenti con i musulmani; abbiamo rapporti con altri gruppi di musulmani, rapporti regolari per discutere dei problemi del mondo di oggi, non soltanto problemi teologici. Credo che anche in altre parti del mondo ci sia una convivenza, anche se difficile, con i musulmani, ma ci sono dei progressi.

 

D. – E con le religioni asiatiche?

 

R. – Non dobbiamo considerare queste religioni asiatiche come presenti solo in Asia, perché c’è una loro diffusione in tutto il mondo, così come avviene per l’Islam. Quindi incontriamo buddisti in Europa, in America e in Australia. Poi c’è anche una certa tendenza da parte di alcune persone che provengono dal Cristianesimo a sentirsi attratte dal buddismo. Per l’induismo un po’ meno, ma ci sono delle comunità indù sparse nel mondo. Anche con i buddisti, specialmente quelli del Giappone, abbiamo notato una grande apertura, un desiderio di dialogare e di conoscere meglio il Cristianesimo. Molti gruppi che vengono a Roma e che partecipano all’udienza generale sono molto contenti di incontrare il Santo Padre. Ci sono, però, anche delle difficoltà, talvolta causate da una predicazione del Vangelo da parte non tanto dei cattolici ma di altri cristiani, che non rispetta la cultura e la religione degli altri e questo provoca una reazione a volte violenta contro i cristiani.

 

D. – Il dialogo con le altre religioni, da una parte, ma anche necessità di annunciare il Vangelo. Come conciliare le due cose?

 

R. – Si può dire che c’è una certa tensione tra l’annuncio di Gesù Cristo e il dialogo, ma se guardiamo bene il dialogo comporta un certo annuncio del Vangelo perché il cristiano deve – come abbiamo detto – dialogare con la sua identità. Dunque non deve avere paura di dare testimonianza della sua fede e dall’altra parte l’annuncio di Cristo deve essere fatto attraverso il dialogo, deve tenere in conto il contenuto e la tradizione religiosa della persona a cui si rivolge il messaggio. Non c’è quindi una completa separazione tra queste due momenti ma c’è un discernimento con la grazia dello Spirito Santo e cioé cosa devo fare in questo momento? Annunciare Gesù e invitare questa persona ad entrare nella comunità cristiana o è il momento di dialogare, cioè di essere rispettoso della sua scelta, della sua coscienza? La Nostra Aetate, sull’atteggiamento della Chiesa verso le altre religioni, va collegata alla dichiarazione “Dignitatis humanae” sulla libertà religiosa, perché la Chiesa ha detto che ognuno deve cercare la verità, ma ognuno deve seguire la sua coscienza. La Nostra Aetate è un modo di rispettare la coscienza degli altri che appartengono alle altre religioni.

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OGGI IN PRIMO PIANO

24 settembre 2004

 

 

LA POLONIA OGGI ALLE URNE PER IL RINNOVO DEL PARLAMENTO.

FAVORITINEI SONDAGGI I PARITITI DI CENTRO DESTRA.

IL RICHIAMO DEI VESCOVI CONTRO L’ASTENSIONE

E PER UN VOTO SECONDO PRINCIPI ETICI DI BUON GOVERNO

- Intervista con padre Jozef Kloch -

 

30 milioni di cittadini polacchi chiamati oggi alle urne - aperte fino alle 20 di questa sera - per eleggere i 460 deputati ed i 100 senatori che siederanno in Parlamento. Sono 11 mila 297 i candidati dei Partiti che prendono parte alle elezioni politiche. I sondaggi pronosticano una sconfitta per il centro-sinistra, e un testa a testa per i principali Partiti di centro e di destra. Forte l’incognita dell’astensionismo, anche se la Chiesa polacca ha invitato i cittadini al voto. Il servizio di Stefano Leszczynski.

 

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Il confronto politico vero e proprio avverrà tra i due Partiti di centro, i liberali di Piattaforma civica (PO), e di destra, i conservatori di Legge e Giustizia, entrambi alla pari nei sondaggi, tra il 32% e il 34%. L’elemento certo sembra comunque essere la sconfitta dell’Sld, Alleanza della sinistra democratica, partito di cui fa parte anche il presidente della Repubblica uscente Aleksander Kwasniewski, che si attesterebbe tra il 7% e l’8%. Nel 2001 questo Partito di centro-sinistra era stato eletto con il 41 % dei consensi, ma paga ora l’alta disoccupazione e i molti scandali di corruzione. La destra anti-europeista (Lega delle Famiglie Polacche) è tra il 7 e l'11%, i populisti di Autodifesa tra l'8 e il 10%, i protezionisti del Partito Agrario intorno alla soglia di sbarramento del 5%. I centristi del Partito Democratico e la sinistra dei Socialdemocratici e Unione Laburista sono accreditati tra il 2 e il 3%, quindi rischiano di restare fuori dal Parlamento. Il nuovo assetto politico sarà completato dalle presidenziali del 9 ottobre, con due aspiranti conservatori alla successione di Kwasniewski: il leader della Piattaforma Civica, Donald Tusk e uno dei due gemelli che guidano Legge e Giustizia, Lech Kaczynski - l'altro, Jaroslaw, potrebbe guidare invece un esecutivo di coalizione con Piattaforma civica. Sussiste tuttavia una forte preoccupazione per la possibilità che vinca il partito dell’astensionismo tanto che la Chiesa cattolica polacca ha invitato tutti gli elettori cattolici – circa il 96% della popolazione – a compiere il proprio dovere civico recandosi alle urne. Ma quali sono le priorità che orienteranno il voto degli elettori polacchi in queste consultazioni elettorali? Ce lo spiega padre Jozef Kloch, portavoce della Conferenza episcopale polacca:

 

R. – IT IS OF COURSE…

Sicuramente il problema principale è quello della disoccupazione che tocca ormai il 20%. Il nuovo governo dovrà risolvere questo problema. La Chiesa polacca non dà indicazioni agli elettori su chi votare, ma i vescovi ritengono comunque importante sottolineare alcuni principi. Da Jasna Gora, vicino Czestochowa, già un mese fa i vescovi hanno invitato tutti i cattolici polacchi ad andare a votare per le elezioni politiche e per quelle presidenziali. Hanno chiaramente detto che andare a votare è un dovere civico e che nessuno può disinteressarsene. Poi hanno aggiunto alcune indicazioni per valutare i candidati al Parlamento e alla Presidenza, e cioè: qualcuno che abbia realmente a cuore il Paese; che sia in grado di fare delle buone leggi; che sia ben conosciuto per il lavoro che ha svolto in favore della Polonia e della sua gente.

 

D. - La Chiesa quindi ha dato indicazioni di principio su come scegliere i candidati, ma la situazione nel Paese è molto complessa anche dal punto di vista economico e sociale. Come reagiscono a questa situazione i più giovani?

 

R. – THE SITUATION…

La situazione presenta degli aspetti difficili ed è molto eterogenea. Ci sono molti giovani impegnati nella società e che fanno riferimento alla Chiesa, ma non mancano quelli che sono del tutto lontani dai nostri principi. Per quasi tutti i giovani comunque c’è una forte preoccupazione per il proprio futuro, lavorativo in particolare, soprattutto per coloro che non intraprendono studi universitari. Molti di questi sono costretti ad emigrare.

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LA VIA DELL’INTEGRAZIONE PASSA PER IL RISPETTO

DELLE LEGGI DELLO STATO OSPITE

E DELLE SUE TRADIZIONI CULTURALI.

 L’UTOPIA DI UNA SOCIETA’ MULTICULTURALE CON ELEMENTI INCOMPATIBILI

- Intervista con padre Samir Khalil Samir -

 

Il tema dell’integrazione dei cittadini stranieri di cultura araba e religione musulmana è fonte di dibattito acceso nella società italiana, ma anche in altri Paesi occidentali. Il rischio che si sta profilando è di esasperare le divergenze tra chi paventa un’avanzata della cultura islamica e chi rivendica invece pratiche e comportamenti tradizionali dell’islamismo  come diritti della persona. Su questo argomento Roberta Gisotti ha interpellato il padre egiziano, docente di storia della cultura araba e islamologia all’Università Saint Joseph di Beirut e al Pontificio Istituto orientale di Roma. Ascoltiamo l’intervista.

 

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D. - Padre Samir, anzitutto perché tali problemi non si sono creati con altre comunità estere… è dunque proprio la religione islamica a porre - come dire – ostacoli particolari ai sistemi sociali democratici occidentali ?

 

R. – E’ perché l’Islam è nato come una realtà totale, integrale e talvolta anche totalitaria nel senso che chi si dice musulmano indica un tipo di rapporto con Dio, caratterizzato dalla preghiera e da tutto il dominio religioso da una parte, ma indica anche una cultura, un modo di vivere, un modo di vestirsi, di nutrirsi, di relazionarsi con gli altri e tutto ciò che entra nel campo sociale, politico, militare. Per questo i problemi sono molto più grandi.

 

D. - Dunque quali soluzioni per una società occidentale che deve comunque convivere oggi con una cospicua presenza islamica?

 

R. - La civiltà occidentale, almeno nella situazione attuale, è basata sulla distinzione fra i vari campi: quello religioso, quello politico, quello giuridico, quello sociale e quello culturale, che sono sì collegati fra di loro, ma in modo distinto. Non si può rinunciare a questo perché mi sembra che sarebbe rinunciare ad una realtà essenziale dell’Occidente e nello specifico dell’Italia. Se un cattolico pretendesse che per essere un buon italiano deve essere un buon cattolico, questo sarebbe un errore, anche se si potesse spiegare con la storia. Allora dico questo: se si vuole vivere in Italia ed un giorno diventare italiano, si deve accettare questo principio di base di distinzione fra i settori. L’Islam non può rivendicare qualcosa di particolare, perché esiste un sistema, quello adattato da ogni Paese. Questo sistema in Italia permette una grande convivenza e c’è un’immensa libertà per ogni persona. Il cittadino ha diritto a questo ed ha il dovere di: punto e basta. In tutti i campi la base della coesistenza in un Paese sono le norme riconosciute dal Paese stesso. Questo vale per tutti quanti: musulmani, ebrei, ateisti, cristiani. Non c’entra niente la religione in questo.

 

D. – Questo è il terreno dell’incontro: il rispetto delle leggi dello Stato ospite?

 

R. – Certo e non si tratta soltanto di leggi, ma anche dei costumi e delle usanze. Se con il termine multiculturalismo se vuole intendere che tutte le culture possono svilupparsi liberamente insieme, credo che questo rappresenti un’utopia. Perché nelle diverse culture ci sono elementi opposti: supponiamo che siano tutte di grande valore, ma non sono sempre compatibili insieme. Il significato di multiculturalismo che io personalmente ammetto è quello di dire che esiste la cultura del Paese – che ha secoli, talvolta millennio di tradizioni – io la possa arricchire con elementi nuovi se la maggioranza li accetta e comunque ci vuole del tempo. Allora sì che si arricchisce la cultura nazionale con elementi magari arabi o greci o balcanima si tratta di un arricchimento giustificato perché così il corpo sociale assimila lentamente elementi che giudica positivi.

 

D. - Padre Samir polemiche ha sollevato in Italia anche la richiesta di scuole private confessionali islamiche…..

 

R. - Se lo scopo dell’emigrato è di poter avere una vita dignitosa, un buon lavoro ed una casa dove si abita con piacere, avere una vita culturale, il modo migliore allora per acquisire tutto questo è quello di partecipare alla scuola pubblica, offerta a tutti a un buon livello. La maggioranza, oltre il 90 per cento dei musulmani, sono del mio stesso parere. Ho un po’ di esperienza in diversi Paesi europei e la prima condizione è quella di acquisire al massimo la cultura del Paese nel quale mi trovo, poi posso aggiungere qualcosa.

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DIMINUITE DEL 21 PER CENTO NEL 2005 LE COLTIVAZIONI DI OPPIO IN AFGHANISTAN

IL DATO EMERGE DA UN RAPPORTO DELLE NAZIONI UNITE

- Intervista con Antonio Maria Costa -

 

E’ stata presentata nei giorni scorsi la prima analisi completa sulla situazione dell'oppio in Afghanistan nel 2005, redatta dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga ed il crimine. Dal documento emerge la riduzione del 21 per cento delle coltivazioni e il calo dei proventi dell'oppio. Entrambi i fenomeni marcano un'importante inversione di tendenza rispetto agli ultimi 5 anni. Ce ne parla, al microfono di Salvatore Sabatino, Antonio Maria Costa, direttore esecutivo dell'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine:

 

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R. - Indubbiamente lo è importante. Parliamo di superficie e non parliamo di tonnellate ancora. E’ chiaro che la riduzione delle coltivazioni riflette la decisione collettiva di migliaia di contadini di astenersi dalla coltivazione della droga. Un contadino su 5, che coltivò la droga nell’anno 2004, non lo ha più fatto quest’anno. Mi pare un dato simbolico, assolutamente importante.

 

D. – Questo vuol dire che l’economia del Paese sta lentamente cambiando, trasformandosi in economia legale?

 

R. – Il problema dell’Afghanistan è che essendo un Paese molto povero e molto primitivo, l’economia legale è molto piccola, non è più di 5-6 miliardi di dollari e perciò l’economia della droga rappresenta un equivalente di circa metà dell’economia legale.

 

D.-  Qual è la formula giusta da mettere in campo per aiutare un Paese a convertire la propria economia?

 

R. – La solita strategia basata sullo Stato di diritto e perciò la repressione delle violazioni della legge, inclusa la coltivazione della droga che è contro l’Islam e contro la legge afgana, e l’opposizione al traffico: questo è fondamentale e deve rimanere. Però, noi alle Nazioni Unite riteniamo che questa politica di repressione necessaria com’è ma non sufficiente venga accompagnata ad una forte azione di assistenza ai contadini. Abbandonare la coltivazione della droga senza alcuna assistenza che permetta loro un’integrazione nell’economia legale, tutto questo potrebbe creare dei disastri umanitari.

 

D. – Avete pensato in qualche modo di usare il modello afghano anche per altri Paesi, in cui è presente la coltivazione di oppio?

 

R. – Piuttosto io direi di usare il modello di altri Paesi in Afghanistan, nel senso di altri Paesi che sono caratterizzati dalle coltivazioni illecite. Parliamo del triangolo d’oro, il Myanmar, il Laos, il Marocco per quanto riguarda il cannabis, dei Paesi andini come la Colombia, il Perù, la Bolivia, per quanto riguarda la cocaina. Tutti questi Paesi conoscono la droga da decine e decine di anni. L’Afghanistan è assolutamente nuovo. Evidentemente il modello è stato ben approfondito. Abbiamo avuto dei successi straordinari in Thailandia, in Pakistan, in Turchia, Paesi che erano nelle mani delle mafie dell’oppio e che sono uscite dal tunnel della droga. Da loro abbiamo appreso appunto l’importanza del metodo che noi in italiano chiameremmo del bastone e della carota, il bastone, ovviamente essendo l’applicazione della legge, la carota essendo fondamentalmente l’assistenza ai contadini.

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POLEMICHE E DIBATTITO IN ITALIA DOPO LA DECISIONE

DEL MINISTRO DELLA SALUTE DI SOSPENDERE

DA IERI LA SPERIMENTAZIONE DELLA PILLOLA ABORTIVA RU486

- Intervista con Carlo Casini -

 

In vigore da ieri in Italia l’Ordinanza del ministro della Salute, Storace che sospende la sperimentazione della pillola abortiva RU486, avviata il 6 settembre scorso nell’ospedale Sant’Anna di Torino: potrà essere ripresa a condizione di una piena regolarizzazione delle procedure e nel rispetto rigoroso delle indicazioni del Consiglio superiore di sanità. La decisione del ministro ha sollevato polemiche ed alcuni hanno parlato di decisione contro le donne e di attacco alla  legge che autorizza l’aborto in Italia, ma Storace ha fermato la sperimentazione proprio richiamandosi alla Legge 194. Debora Donnini ha intervistato Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita e docente di diritti umani e bioetica.

 

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R. – Io sono d’accordo con Storace. La legge 194 prevede che l’aborto debba essere fatto in un presidio ospedaliero. Risulta, perché lo dice lo stesso ministro nella sua Ordinanza, che in un caso, almeno verificato, ma ce ne potrebbero essere anche altri, la donna dopo aver ricevuto la somministrazione della pillola è stata mandata a casa ed ha abortito a casa. Questo è certamente contro la Legge 194. E’ un punto, questo, in cui è in gioco anche l’interesse della donna, la salute della donna evidentemente. Io trovo, quindi, che una grande cautela nell’uso di questa pillola sia più che giustificata e che almeno tutto debba avvenire all’interno dell’ospedale, così come prevede per ogni forma di interruzione di gravidanza la legge 194.

 

D. – Chi difende la pillola RU486 dice che è usata in quasi tutti i Paesi europei e di fatto sarebbe, secondo alcune persone, meno invasiva e psicologicamente meno traumatica. Lei cosa ne pensa?

 

R. – A parte quello fisico, le conseguenze che sono state già più volte descritte – mal di testa, vomito, etc. – anche noi del Movimento per la Vita abbiamo una pubblicazione scientifica a questo riguardo, c’è il fatto psichico. L’aborto che viene effettuato attraverso questa pillola è un aborto che si sviluppa nel tempo, anche in un tempo che può raggiungere le 48 ore. Quando la donna decide di fare una interruzione di gravidanza in ospedale viene anestetizzata per fare l’aborto e l’aborto viene fatto; credo che il turbamento sia molto maggiore quando per 24 o 48 ore deve seguire cosa succede sul suo corpo e quando lei personalmente vede cosa espelle. Io sono tutt’altro che certo che questa pillola voglia aiutare la donna. Piuttosto vuole rendere sempre più l’aborto facile e privato e non considerarlo più – la visione cristiana, cattolica è anche contro l’aborto in casi gravi ed estremi – come una risposta per casi drammatici ed estremi. La pillola è invece coerente con una visione di aborto di massa, che si può fare quando si vuole. Questo è il punto fondamentale.

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CHIESA E SOCIETA’

25 settembre 2005

 

 

 

A PARTIRE DA OTTOBRE UN NUOVO CORSO PER ESORCISTI,

PRESSO IL PONTIFIFIO ATENEO REGINA APOSTOLORUM A ROMA

- A cura di Giovanni Peduto  -

 

ROMA. = Inizieranno il 13 ottobre prossimo, a Roma, presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, le lezioni del secondo corso su "Esorcismo e preghiera di liberazione", per rispondere alle numerose richieste giunte da varie parti del mondo. Oltre a Roma, sarà possibile seguire il corso, tramite videoconferenza, da Bologna, Perugia, Assisi, Maddaloni (Caserta) ed altre città. Confermati quasi tutti i docenti del primo corso, che affronteranno il tema da diversi punti di vista: aspetti antropologici, fenomenologici, sociologici, satanismo ed esoterismo nel mondo giovanile, aspetti biblici, storici, teologici, aspetti pastorali e spirituali, aspetti liturgici, aspetti scientifici: medici, psicologici, naturali; aspetti giuridici e legali, testimonianze di esorcisti. Questo secondo corso, organizzato dall'Istituto Sacerdos dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e dal GRIS (Gruppo di Ricerca ed Informazione Socio-­Religiosa), si protrarrà fino al 9 febbraio 2006 (con una pausa da metà novembre a metà gennaio). Sarà riservato ai sacerdoti e agli studenti di licenza in teologia che si preparano, al sacerdozio. Anche questo secondo corso ha l'obiettivo di offrire ai sacerdoti strumenti utili per il loro lavoro pastorale, di informazione e di sostegno per le famiglie. Alcuni episodi di cronaca, accaduti recentemente, devono rappresentare un campanello d'allarme per prendere sul serio un problema ancora troppo sottovalutato: l'aumento di interesse nei confronti del satanismo. Il sacerdote, con una solida preparazione, può dare un contributo importante per affrontare questo problema, che rischia di coinvolgere soprattutto i giovani.

 

 

AL VIA I FESTEGGIAMENTI PER I 500 ANNI

DELLE GUARDIE SVIZZERE IN VATICANO. CELEBRAZIONE IERI A LUCERNA

CON IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA SVIZZERO:

“LE GUARDIE SONO UN ESEMPIO PER TUTTI”

 

LUCERNA: = Si è concluso ieri il primo giorno dei festeggiamenti per i 500 anni dalla nascita del Corpo delle Guardie svizzere vaticane. In ricordo del primo contingente partito per Roma nel 1505, le Guardie hanno sfilato ieri a Lucerna in Svizzera. Alla cerimonia era presente anche il ministro federale della Giustizia, Christoph Blocher, che ha sottolineato l’importanza del più piccolo Esercito del mondo, di cui, ha detto, “anche i non cattolici devono essere fieri”. “Servire significa considerare la propria missione al di sotto dei propri interessi- ha dichiarato il guardasigilli svizzero, ricordando il valore mostrato delle Guardie durante il sacco di Roma del 6 maggio 1527. Allora 147 svizzeri morirono per difendere Papa Clemente VI. Ma la cerimonia di ieri, durante la quale è stata apposta una targa commemorativa, non è che la prima di una serie di celebrazioni previste durante tutto l’anno. Tra queste assume particolare rilievo una marcia da Bellinzona a Roma che 80 ex Guardie intraprenderanno dal 7 aprile, sulle orme dei 150 volontari che nel 1506 risposero all'appello lanciato da Giulio II della Rovere. (A.C.)

 

 

NIGER: TRA RITARDI E DISORGANIZZAZIONE DELLA MACCHINA DEGLI AIUTI,

RESTA GRAVE LA CRISI ALIMENTARE.  DALLA SPAGNA, LANCIATA UNA CAMPAGNA

DI SOSTEGNO DELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE

 

NIAMEY. = La crisi alimentare nella fascia del Sahel continua a destare preoccupazione. In Niger, sei mesi dopo il primo appello per un massiccio intervento umanitario da parte della comunità internazionale, la fame continua a mietere vittime. Secondo un rapporto dell’emittente britannica BBC, l’invio di grosse quantità di generi alimentari e beni di prima necessità a Niamey, non è servito ad alleviare le condizioni delle popolazioni più colpite a causa dei ritardi e alla disorganizzazione nella distribuzione. Ieri a lanciare una campagna per i Paesi colpiti dalla carestia è stato anche mons. Francisco Pérez, arcivescovo castrense e direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (POM) della Spagna. “La mobilitazione” ha spiegato mons. Pérez all’Agenzia Fides “passa ora per la distribuzione di cibo, il recupero delle coltivazioni e l'attenzione alla denutrizione infantile. Tra le azioni ritenute necessarie dal POM anche “un'informazione permanente da parte nostra e, soprattutto, un lavoro costante in queste aree impoverite, come quello che realizzano gli oltre 150 missionari spagnoli nel Sahel”. (A.C.)

 

 

LE COMUNITA’ ZINGARE RICORDANO

IL 40.MO ANNIVERSARIO DELL’INCONTRO CON PAPA PAOLO VI

- A cura di Giancarlo La Vella -

 

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ROMA. = Quaranta anni fa, il 26 settembre 1965, Papa Paolo VI incontrò nel loro accampamento a Pomezia i circa duemila Zingari giunti in pellegrinaggio per la prima volta a Roma da molti Paesi d’Europa, superando gravi difficoltà nel passaggio delle frontiere, per proclamare la loro appartenenza alla fede cattolica. Pioveva, il Santo Padre era febbricitante, ma non volle mancare all’appuntamento. “Ricordo benissimo – scrive l’arcivescovo Pasquale Macchi, che fu segretario di Paolo VI – la straordinaria gioia del Papa e la straordinaria gioia degli Zingari”. E la parola del Santo Padre in quella occasione segnò una svolta epocale nella loro storia. “Voi nella Chiesa non siete ai margini... – disse con forza Paolo VI – voi siete nel cuore della Chiesa”. Non era quella la prima volta che Paolo VI incontrava gli zingari. Lo aveva già fatto sia da arcivescovo di Milano, che durante l’Anno Santo del 1975, Giubileo della “Riconciliazione con Dio e con i fratelli”. In questa occasione parlò loro di rinnovamento che passa attraverso il perdono reciproco, punto focale per un’autentica integrazione nella Chiesa e nella comunità cristiana; perdono per il genocidio nazista che coinvolse i gitani d’Europa, ma anche per lo stillicidio quotidiano delle persecuzioni razziali, delle espulsioni, del rifiuto. Al contempo, sottolineò Paolo VI, da parte delle comunità ecclesiali deve esservi il perdono, per gli inconvenienti che la presenza degli Zingari può arrecare, e l’impegno ad offrire accoglienza. Per ricordare questo grande Papa che tanto li ha amati – come è tradizione – le comunità Rom e Sinti della Diocesi di Roma si incontreranno domani pomeriggio, 26 settembre, presso il Santuario del Divino Amore, per una solenne celebrazione. Il sacro rito, dopo una processione, si svolgerà nella Chiesa a cielo aperto dedicata al Beato Zeffirino, che Papa Giovanni Paolo II ha voluto donare agli Zingari come loro patrono.

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MAROCCO: L’ONU SI INTERESSA AL CASO DEI 35 I PRIGIONIERI

 DEL SAHARA OCCIDENTALE IN SCIOPERO DELLA FAME DALL’ 8 AGOSTO.

SECONDO UN’ASSOCIAZIONE UMANITARIA SONO GRAVI LE LORO CONDIZIONI

 

RABAT. = Peggiorano le condizioni dei 35 prigionieri originari del Sahara occidentale che dallo scorso 8 agosto osservano uno sciopero della fame per protestare contro la loro detenzione nelle carceri del Marocco. Ad annunciarlo è stata l’Associazione marocchina dei diritti umani, secondo la quale almeno 12 detenuti sono stati ricoverati in ospedale. La maggior parte dei prigionieri in sciopero sono stati arrestati durante le proteste anti-marocchine esplose lo scorso maggio a Laayoune, la principale città del Sahara occidentale. La regione, situata al confine con la Mauritania, è stata annessa dallo Stato marocchino nel 1975 e da allora è contesa dal movimento indipendentista sarawi. Tra le richieste della popolazione c’è l’organizzazione di un referendum per l’autodeterminazione, in base a quanto espressamente previsto da una risoluzione delle Nazioni Unite. E proprio le Nazioni Unite sono intervenute in questi giorni sul caso dei 35 prigionieri annunciando di voler avviare un’indagine sulle condizioni della loro detenzione.  (A.C.)

 

 

SI E’ CHIUSO A MILANO IL PRIX ITALIA,

IL PIU’ ANTICO CONCORSO INTERNAZIONALE PER PROGRAMMI RADIO TV E WEB.

 TRA I PREMIATI UNA FICTION BRITANNICA SUL TRAFFICO DELLA PROSTITUZIONE

E UN DOCUMENTARIO FINLANDESE SULLA GUERRA IN CECENIA

- A cura di Antonella Palermo -

 

MILANO. = La 57.ma edizione del Prix Italia si è conclusa a Milano, rinnovando nel capoluogo lombardo l’appuntamento per il prossimo anno. Una fiction televisiva britannica sul traffico della prostituzione ha vinto nella categoria TV-dramma, aggiudicandosi anche la coppa del presidente della Repubblica, nonché l’apprezzamento di 30 studenti universitari che come giuria popolare, per la prima volta, sono stati coinvolti nel Prix-Italia. Una retrospettiva su Salvador Dalì ha premiato la Spagna, che ha ottenuto pure il riconoscimento dell’Associazione cattolica Internazionale Signis per un programma ambientato in centro America sul problema dell’immigrazione. Unanime consenso per un film musicale svedese sulla storia di giovani appartenenti ad etnie diverse. Nella sezione dei documentari ha vinto un prodotto finlandese sulla guerra in Cecenia e le sue ripercussioni sui bambini. E poi un viaggio dentro l’armonia tra uomo e natura in un giardino acquatico giapponese. Per quanto riguarda la radio, il favore della Giuria è andato ad un’opera musicale australiana dedicata ai soldati internati nel campo di prigionia nel Borneo del Nord durante la II Guerra Mondiale. Vivace, avvincente e sofisticato è risultato un lavoro canadese su come l’elettricità ha cambiato la musica. Ha vinto poi un programma sui problemi dell’Olanda multiculturale contemporanea; e poi ancora la BBC con un radiodramma. Il Premio per il documentario culturale l’ha ricevuto un programma sulla Comunità dell’Alsazia, ma ha vinto anche un documentario che tratta la conversione degli europei all’Islam. E’ andato al Giappone il Premio Granarolo-Comunicazioni per la Vita, ad un’opera di forte impatto emotivo sulla storia di due bambini filippini in fuga da conflitto etnico-religioso. Tra i siti web, il migliore è risultato quello realizzato da una radio danese sulla figura dello scrittore Andersen, nel bicentenario della sua nascita.

 

 

MARTEDI’ PROSSIMO, GIORNATA MONDIALE DEL TURISMO,

I MUSEI VATICANI SONO GRATUITI

- A cura di Giovanni Peduto -

 

CITTA’ DEL VATICANO. = Martedì 27 settembre 2005 ricorre la "XXVI Giornata Mondiale del Turismo", dedicata al tema Viaggi e trasporti: dal mondo immaginario di Giulio Verne alla realtà del secolo XXI. Nel Messaggio diffuso per la circostanza, la Santa Sede sottolinea come le “nuove ed inedite possibilità di viaggi con mezzi di trasporto sempre più moderni e veloci possono fare del turismo una provvidenziale occasione per condividere i beni della terra e della cultura” e favorire ulteriori opportunità dì dialogo tra i popoli ed una più approfondita conoscenza della vita quotidiana della Chiesa. In occasione della Giornata Mondiale del Turismo, come di consueto i Musei Vaticani saranno lieti di aprire al pubblico gratuitamente le proprie sale espositive, compresa la Cappella Sistina (orario 8.45-16.45; ultimo ingresso alle ore 15.20) ed il Museo Storico Vaticano situato nel Palazzo Apostolico Lateranense (ingresso dall'atrio principale della Basilica di San Giovanni in Laterano).

 

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

25 settembre 2005

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

In Medio Oriente si riaccende la tensione: il primo ministro israeliano, Ariel Sharon, ha ordinato nuove offensive per fermare gli attacchi dei palestinesi contro Israele. L’annuncio arriva dopo duri raid condotti dall’aviazione israeliana nella striscia di Gaza in seguito al lancio di razzi Qassam palestinesi contro la città di Sderot. In Cisgiordania, i soldati dello Stato ebraico hanno arrestato, inoltre, almeno 200 estremisti. Il nostro servizio:

 

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Sharon, aprendo stamani la seduta del Consiglio dei ministri, ha precisato di aver autorizzato operazioni senza limitazioni contro i membri delle organizzazioni terroristiche palestinesi ed ha aggiunto che saranno adottate tutte le misure possibili per non colpire i civili palestinesi. “Ci apprestiamo - ha detto Sharon - a realizzare un’operazione prolungata nel tempo, il cui scopo è quello di colpire i terroristi senza allentare la  pressione”. Israele - ha spiegato il premier dello Stato ebraico - deve ricorrere a tutti i mezzi a sua disposizione. Sharon ha rilasciato queste dichiarazioni dopo duri attacchi dell’Aviazione israeliana, nella notte, nei pressi di Gaza contro due depositi di armi e una scuola dove, secondo diverse autorità dello Stato ebraico, si raccoglievano fondi per finanziare il movimento fondamentalista palestinese ‘Hamas’. Fonti mediche e della sicurezza palestinesi hanno dichiarato che almeno venti persone sono rimaste ferite in seguito ai raid. Si tratta dei primi attacchi israeliani dopo il ritiro dalla Striscia di Gaza, voluto dal premier Sharon e avvenuto lo scorso 12 settembre. Le operazioni contro militanti estremisti sono proseguite questa mattina anche in Cisgiordania dove i soldati israeliani hanno arrestato più di 200 fondamentalisti, tra i quali uno dei leader di Hamas. Le operazioni seguono gli attacchi nella città israeliana di Sderot, ripetutamente colpita nei giorni scorsi da razzi palestinesi che hanno causato il ferimento di sei persone. Proprio nelle strade di Sderot è stata organizzata una manifestazione di protesta contro il governo di Sharon, accusato di non garantire un’adeguata cornice di sicurezza. Sul versante palestinese, il presidente Abu Mazen ha smentito infine che il prossimo 2 ottobre, contrariamente a quanto indicato da fonti israeliane, incontrerà il premier Sharon.

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Negli Stati Uniti e in Europa migliaia di persone sono scese in piazza ieri per protestare contro la guerra in Iraq. A Washington circa centomila persone hanno sfilato nei pressi della Casa Bianca. Alla manifestazione hanno partecipato, tra gli altri, genitori di soldati inviati nel Paese arabo ed una quarantina di ex militari rientrati recentemente dall’Iraq. Marce contro la presenza delle Forze della coalizione nello Stato arabo si sono svolte anche in diverse capitali europee, tra cui Londra, dove hanno sfilato, secondo gli organizzatori, più di 100 mila persone.

 

Combattimenti e attentati continuano, intanto, a sconvolgere l’Iraq: sanguinosi scontri tra Forze americane e la milizia del leader radicale sciita, Moqtada Al Sadr, hanno provocato, a Baghdad, la morte di almeno dieci miliziani. Sempre nella capitale, 13 persone sono rimaste uccise per l’esplosione di un’autobomba lanciata contro un convoglio militare iracheno. In una strada affollata di Hilla, città a maggioranza sciita, è esploso inoltre un ordigno causando la morte di tre persone, tra le quali un bambino. Intanto, il primo ministro britannico Tony Blair, in un’intervista rilasciata alla BBC, ha ammesso di non avere previsto la “ferocia” dell'insurrezione in Iraq dopo l’intervento militare.

 

In Afghanistan, un elicottero americano è precipitato nel sud del Paese. Fonti militari statunitensi hanno reso noto che i cinque membri dell’equipaggio sono morti. Al momento, sono sconosciute le cause che hanno portato allo schianto del velivolo in un’area teatro, in questi giorni, di operazioni statunitensi contro presunti talebani.

 

Negli Stati Uniti, l’uragano Rita continua a perdere intensità ed è stato ridotto a tempesta tropicale. Il suo passaggio negli Stati del Texas e della Louisiana ha provocato inondazioni, scoperchiato case e causato incendi. Una persona è morta nello Stato del Mississipi a causa delle trombe d’aria provocate da Rita. Alcune stime prevedono danni per oltre 8 miliardi di dollari, il 4 per cento di quelli causati dall’uragano Katrina. Vaste operazioni di soccorso sono scattate soprattutto in Louisiana, dove diverse aree a sud di New Orleans sono state sommerse dall’acqua. La situazione è meno grave in Texas dove stanno facendo ritorno decine di migliaia di evacuati.

 

Gli Stati membri del Fondo monetario internazionale (FMI) hanno raggiunto ieri, a Washington, l’intesa per cancellare il debito di 40 miliardi di dollari di 38 tra i Paesi più poveri del mondo. Il direttore generale del FMI, Rodrigo de Rato, ha dichiarato durante la conferenza stampa che gli squilibri economici mondiali costituiscono un rischio serio per la sostenibilità e la continuità della crescita mondiale. Il servizio di Andrea Cocco:

 

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“Un grande passo in avanti nello storico processo per l’annullamento del debito”. Con queste parole il ministro delle finanze britannico, Gordon Brown, ha salutato la decisione presa sabato dal Fondo Monetario Internazionale di cancellare 40 miliardi di dollari dal debito dei Paesi più poveri nei confronti di Banca Mondiale e dello stesso Fondo monetario. L’idea era stata lanciata lo scorso giugno dai ministri delle Finanze del G7, per essere poi ripresa al G8 scozzese di Gleaneagles. Ma fino a ieri il progetto era rimasto bloccato sulla carta dalle divergenze su chi avrebbe dovuto ricompensare le istituzioni finanziarie delle perdite subite. Su questo punto i dubbi sono stati dissipati venerdì, quando dai membri del G8 è giunto l’impegno a finanziare il disavanzo, insieme alla decisione di allargare a 38 il numero dei Paesi beneficiari. Ora non manca che l’approvazione della Banca Mondiale, che salvo colpi di scena dovrebbe arrivare oggi. Ma la soddisfazione del governo britannico, che dallo scorso giugno si è fatto promotore della campagna per la riduzione del debito, non è condivisa da tutti. Per diverse organizzazioni non governative sono molti ancora i passi che la comunità internazionale deve fare per ridurre le disuguaglianze. Tanto per cominciare: una cancellazione del debito da parte dei singoli Stati, un autentico aumento degli aiuti allo sviluppo, modifiche incisive nelle regole per il commercio internazionale per sostenere i Paesi emergenti.

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L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) ha approvato una risoluzione contro il programma nucleare iraniano. Il provvedimento apre la via per il deferimento al Consiglio di sicurezza dell’ONU. Il governo di Teheran ha definito “illegale e inaccettabile” la risoluzione, presentata da Francia, Gran Bretagna e Germania. Il testo, approvato dal Consiglio dei governatori dell’AIEA, condanna l’Iran per aver ripreso in agosto la conversione dell’uranio e per non aver rispettato il trattato di non proliferazione nucleare (TNP).

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