RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
268 - Testo della trasmissione di domenica 25 settembre 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Al
via ieri a Lucerna di festeggiamenti per i 500 anni delle Guardie Svizzere in
Vaticano
Le comunità zingare
ricordano il 40.mo anniversario dell’incontro con Papa Paolo VI
Martedì prossimo, Giornata
mondiale del Turismo, i Musei Vaticani sono gratuiti
Niger:
tra ritardi e disorganizzazioni della macchina degli aiuti, resta grave la
crisi alimentare
24 ORE NEL MONDO:
In Medio Oriente, attacchi dell’Aviazione
israeliana nella Striscia di Gaza, in risposta ad
azioni ostili palestinesi.
Manifestazioni a
Washington e in altre città europee contro la guerra in Iraq
25 settembre 2005
IL RICHIAMO DEL PAPA ALL’ANGELUS ALLA CARITA’, DONO
DELLO SPIRITO,
COLLEGATA
ALL’EUCARESTIA, CHE SI FA AMORE,
PERDONO, ACCOGLIENZA
E ATTENZIONE AI BISOGNI DI TUTTI, NELLA VITA DI OGNI GIORNO
Il
pensiero del Papa oggi all’Angelus per le tutte persone afflitte negli Stati
Uniti a causa dei disastri naturali e cosi anche in altre parti del mondo. Quindi il richiamo al comandamento della carità, intimamente legata
al sacramento dell’Eucaristia. Il servizio di Roberta Gisotti:
*********
Preghiamo insieme per coloro che soffrono, per le
vittime e i loro cari e per i soccorritori: l’invito di Benedetto XVI,
rivolgendosi ai fedeli dopo l’Angelus, l’ultimo di questo periodo feriale nella
residenza di Castel Gandolfo. Per questo il Papa ha salutato e ringraziato
l’intera comunità cittadina, in vista mercoledì prossimo
di rientrare in Vaticano.
La riflessione del Santo Padre si è incentrata oggi sul
Mistero eucaristico, ponendo “in luce il legame esistente tra l’Eucaristia e la
carità”. Carità – ha spiegato – “che non significa prima di tutto l’atto o il
sentimento benefico, ma il dono spirituale, l’amore di Dio che lo Spirito Santo
effonde nel cuore umano e che lo muove a donarsi a sua volta a Dio stesso e al
prossimo”. Ed è nell’ultima Cena che il Signore offre ai discepoli “l’esempio
supremo di amore” lavando loro i piedi” e affidando
loro “la sua più preziosa eredità, l’Eucaristia”: qui “il Signore si da a noi
con il suo corpo, la sua anima e la sua divinità, e noi diventiamo una sola
cosa con lui e tra noi”. Da qui il richiamo di Benedetto XVI alla carità.
“La nostra risposta
al suo amore dev’essere allora concreta, si deve
esprimere in un’autentica conversione all’amore, nel perdono, nella reciproca
accoglienza e nell’attenzione ai bisogni di tutti. Tante e molteplici sono le
forme del servizio che possiamo rendere al prossimo
nella vita di ogni giorno. L’Eucaristia diventa così la sorgente dell’energia
spirituale che rinnova la nostra vita ogni giorno e rinnova così il mondo
nell’amore di Cristo”.
Testimoni esemplari di questo amore
sono i Santi, ed il Papa ha citato l’esempio di san Vincenzo de’ Paoli, di cui ricorre la
festa martedì prossimo e poi la beata madre Teresa, che “tra i più poveri tra i
poveri amava Gesù”, e infine “prima e più di tutti i santi” la Vergine Maria.
Nel dopo Angelus la memoria di due importanti
appuntamenti: giovedì 29 la Giornata marittima mondiale e martedì 27 la
Giornata mondiale del turismo, cui Benedetto XVI non ha fatto mancare una
particolare raccomandazione
“Rinnovo l’auspicio che il turismo si accompagni sempre al
rispetto per le persone e le culture e possa favorire il dialogo e la
comprensione”.
Tra i saluti quello ai partecipanti all’Incontro
internazionale degli Oblati benedettini e ai numerosi musicisti radunati stamane a Roma in Piazza San Pietro, in occasione del 50 mo
anniversario dell’Associazione nazionale delle Bande musicali italiane, che
hanno allietato con le loro note l’intera zona.
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CONEFERENZA
INTERNAZIONALE A ROMA A 40 ANNI
DALLA DICHIARAZIONE CONCILIARE
“NOSTRA AETATE”,
SUI
RAPPORTI CON LE RELIGIONI NON CRISTIANE
-
Intervista con l’arcivescovo Michael Fitzgerald -
Si apre oggi pomeriggio a Roma, presso la Pontificia
Università Gregoriana una Conferenza internazionale a
40 anni dalla promulgazione della Dichiarazione conciliare sulle relazioni
della Chiesa con le religioni non cristiane. Il tema è “La Nostra Aetate oggi: riflessioni dopo il
suo appello a una nuova era di rapporti interreligiosi”.
Ma quali elementi di novità ha portato questo
importante documento? Giovanni Peduto lo ha chiesto
all’arcivescovo Michael Fitzgerald,
presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso:
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R. – Forse la
parola chiave di questo breve documento è rispetto, cioè
si devono rispettare le persone delle altre religioni e perché? Perché ci sono dei valori con delle verità, ci sono delle
cose buone in queste tradizioni religiose. La Nostra Aetate
afferma che la Chiesa guarda con stima queste persone e apprezza questi raggi di verità che sono contenuti nelle diverse
tradizioni?
D. – Che cosa è cambiato in 40
anni?
R.- In 40 anni
c’è stata un’applicazione di questo atteggiamento di rispetto, specialmente
nelle attività dei Papi: Paolo VI, Giovanni
Paolo II e possiamo dire anche Benedetto XVI, con la sua accoglienza
delle delegazione dopo l’inaugurazione del suo pontificato, la visita alla
Sinagoga a Colonia, l’incontro con i capi musulmani della Germania. C’è sempre
questa dimostrazione di un’accoglienza dell’altro ed una volontà di collaborare
nel mondo di oggi.
D. – Dialogo
con le altre religioni significa anche approfondimento della propria identità?
R. – Certo. Non
vuol dire sacrificare la nostra identità cristiana, cattolica per avere rapporti
più facili con gli altri. Di fatti le differenze tra le religioni ci fanno
scoprire di più ciò che è preziosissimo nella nostra fede e soprattutto
l’incarnazione, che Dio si è fatto uomo per salvarci e che questa è la via
della salvezza. Il dialogo con le altre religioni non distrugge questa verità
della nostra fede, ma la mette in risalto.
D. – Uno sguardo sommario alle relazioni con i musulmani?
R.
– Credo che i rapporti con i musulmani si siano sviluppati in questi 40 anni. C’è un
maggiore interesse da parte dei musulmani. Ci sono state da parte loro delle
iniziative. C’è una certa strutturazione del dialogo. Il nostro Consiglio ha
creato due Comitati permanenti con i musulmani; abbiamo rapporti con altri
gruppi di musulmani, rapporti regolari per discutere dei problemi del mondo di oggi, non soltanto problemi teologici. Credo che anche in
altre parti del mondo ci sia una convivenza, anche se difficile, con i musulmani,
ma ci sono dei progressi.
D. – E con le religioni
asiatiche?
R. – Non
dobbiamo considerare queste religioni asiatiche come presenti solo in Asia, perché
c’è una loro diffusione in tutto il mondo, così come avviene per l’Islam. Quindi incontriamo buddisti in Europa, in America e in
Australia. Poi c’è anche una certa tendenza da parte di alcune
persone che provengono dal Cristianesimo a sentirsi attratte dal buddismo. Per
l’induismo un po’ meno, ma ci sono delle comunità indù sparse nel mondo. Anche
con i buddisti, specialmente quelli del Giappone, abbiamo notato una grande apertura, un desiderio di dialogare e di conoscere
meglio il Cristianesimo. Molti gruppi che vengono a Roma e che partecipano
all’udienza generale sono molto contenti di incontrare il Santo Padre. Ci sono,
però, anche delle difficoltà, talvolta causate da una predicazione del Vangelo
da parte non tanto dei cattolici ma di altri
cristiani, che non rispetta la cultura e la religione degli altri e questo
provoca una reazione a volte violenta contro i cristiani.
D. – Il dialogo con le altre religioni, da una parte, ma anche necessità
di annunciare il Vangelo. Come conciliare le due cose?
R. – Si può dire che c’è una
certa tensione tra l’annuncio di Gesù Cristo e il dialogo, ma se guardiamo bene
il dialogo comporta un certo annuncio del Vangelo perché il cristiano deve –
come abbiamo detto – dialogare con la sua identità. Dunque
non deve avere paura di dare testimonianza della sua fede e dall’altra parte
l’annuncio di Cristo deve essere fatto attraverso il dialogo, deve tenere in
conto il contenuto e la tradizione religiosa della persona a cui si rivolge il
messaggio. Non c’è quindi una completa separazione tra queste
due momenti ma c’è un discernimento con la grazia dello Spirito Santo e cioé cosa devo fare in questo momento? Annunciare Gesù e
invitare questa persona ad entrare nella comunità cristiana o è il momento di
dialogare, cioè di essere rispettoso della sua scelta,
della sua coscienza? La Nostra Aetate,
sull’atteggiamento della Chiesa verso le altre religioni, va collegata alla
dichiarazione “Dignitatis humanae”
sulla libertà religiosa, perché la Chiesa ha detto che
ognuno deve cercare la verità, ma ognuno deve seguire la sua coscienza. La
Nostra Aetate è un modo di rispettare la coscienza
degli altri che appartengono alle altre religioni.
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24 settembre 2004
LA
POLONIA OGGI ALLE URNE PER IL RINNOVO DEL PARLAMENTO.
FAVORITINEI
SONDAGGI I PARITITI DI CENTRO DESTRA.
IL
RICHIAMO DEI VESCOVI CONTRO L’ASTENSIONE
E PER
UN VOTO SECONDO PRINCIPI ETICI DI BUON GOVERNO
- Intervista con padre Jozef Kloch -
30 milioni di cittadini polacchi
chiamati oggi alle urne - aperte fino alle 20 di questa sera - per eleggere i
460 deputati ed i 100 senatori che siederanno in Parlamento. Sono 11 mila 297 i candidati dei
Partiti che prendono parte alle elezioni politiche. I sondaggi pronosticano una sconfitta per il centro-sinistra, e un
testa a testa per i principali Partiti di centro e di destra. Forte l’incognita dell’astensionismo, anche se la Chiesa polacca ha
invitato i cittadini al voto. Il servizio di Stefano Leszczynski.
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Il confronto politico vero e proprio avverrà tra i due
Partiti di centro, i liberali di Piattaforma civica (PO), e di destra, i
conservatori di Legge e Giustizia, entrambi alla pari nei sondaggi, tra il 32%
e il 34%. L’elemento certo sembra comunque essere la
sconfitta dell’Sld, Alleanza della sinistra
democratica, partito di cui fa parte anche il presidente della Repubblica
uscente Aleksander Kwasniewski, che si attesterebbe
tra il 7% e l’8%. Nel 2001 questo Partito di centro-sinistra era stato
eletto con il 41 % dei consensi, ma paga ora l’alta disoccupazione
e i molti scandali di corruzione. La destra
anti-europeista (Lega delle Famiglie Polacche) è tra il 7 e l'11%, i populisti di Autodifesa tra l'8 e il 10%, i protezionisti del Partito
Agrario intorno alla soglia di sbarramento del 5%. I centristi del Partito
Democratico e la sinistra dei Socialdemocratici e Unione Laburista sono
accreditati tra il 2 e il 3%, quindi rischiano di restare fuori
dal Parlamento. Il nuovo assetto politico sarà completato dalle
presidenziali del 9 ottobre, con due aspiranti conservatori alla successione di
Kwasniewski: il leader della Piattaforma Civica, Donald Tusk e uno dei due gemelli
che guidano Legge e Giustizia, Lech Kaczynski -
l'altro, Jaroslaw, potrebbe
guidare invece un esecutivo di coalizione con Piattaforma civica.
Sussiste tuttavia una forte preoccupazione per la possibilità che vinca il partito dell’astensionismo tanto che la Chiesa
cattolica polacca ha invitato tutti gli elettori cattolici – circa il 96% della
popolazione – a compiere il proprio dovere civico recandosi alle urne. Ma quali sono le priorità che orienteranno il voto degli
elettori polacchi in queste consultazioni elettorali? Ce lo
spiega padre Jozef Kloch,
portavoce della Conferenza episcopale polacca:
R. – IT IS OF COURSE…
Sicuramente
il problema principale è quello della disoccupazione che tocca ormai il 20%. Il
nuovo governo dovrà risolvere questo problema. La Chiesa polacca non dà
indicazioni agli elettori su chi votare, ma i vescovi ritengono comunque importante sottolineare alcuni principi. Da Jasna Gora, vicino Czestochowa, già un mese fa i vescovi hanno invitato tutti
i cattolici polacchi ad andare a votare per le elezioni politiche e per quelle
presidenziali. Hanno chiaramente detto che andare a
votare è un dovere civico e che nessuno può disinteressarsene. Poi hanno
aggiunto alcune indicazioni per valutare i candidati al Parlamento e alla
Presidenza, e cioè: qualcuno che abbia realmente a
cuore il Paese; che sia in grado di fare delle buone leggi; che sia ben
conosciuto per il lavoro che ha svolto in favore della Polonia e della sua
gente.
D. - La Chiesa quindi ha dato indicazioni di principio su
come scegliere i candidati, ma la situazione nel Paese è molto complessa anche dal punto di vista economico e sociale. Come reagiscono a questa
situazione i più giovani?
R. –
THE SITUATION…
La
situazione presenta degli aspetti difficili ed è molto eterogenea. Ci sono
molti giovani impegnati nella società e che fanno riferimento alla Chiesa, ma
non mancano quelli che sono del tutto lontani dai
nostri principi. Per quasi tutti i giovani comunque
c’è una forte preoccupazione per il proprio futuro, lavorativo in particolare,
soprattutto per coloro che non intraprendono studi universitari. Molti di
questi sono costretti ad emigrare.
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LA VIA
DELL’INTEGRAZIONE PASSA PER IL RISPETTO
DELLE LEGGI DELLO STATO
OSPITE
E DELLE SUE TRADIZIONI CULTURALI.
L’UTOPIA DI UNA SOCIETA’ MULTICULTURALE CON
ELEMENTI INCOMPATIBILI
- Intervista con padre Samir Khalil Samir
-
Il
tema dell’integrazione dei cittadini stranieri di
cultura araba e religione musulmana è fonte di dibattito acceso nella società
italiana, ma anche in altri Paesi occidentali. Il rischio che si sta profilando
è di esasperare le divergenze tra chi paventa un’avanzata della cultura islamica
e chi rivendica invece pratiche e comportamenti tradizionali dell’islamismo come diritti della
persona. Su questo argomento Roberta Gisotti ha interpellato
il padre egiziano, docente di storia della cultura araba e islamologia
all’Università Saint Joseph di Beirut e al Pontificio
Istituto orientale di Roma. Ascoltiamo l’intervista.
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D. -
Padre Samir, anzitutto perché tali problemi non si
sono creati con altre comunità estere… è dunque proprio la religione islamica a
porre - come dire – ostacoli particolari ai sistemi sociali democratici
occidentali ?
R. – E’ perché l’Islam è nato come una realtà totale,
integrale e talvolta anche totalitaria nel senso che chi si dice musulmano
indica un tipo di rapporto con Dio, caratterizzato dalla preghiera e da tutto
il dominio religioso da una parte, ma indica anche una cultura, un modo di
vivere, un modo di vestirsi, di nutrirsi, di relazionarsi
con gli altri e tutto ciò che entra nel campo sociale, politico, militare. Per
questo i problemi sono molto più grandi.
D. - Dunque quali soluzioni per una società occidentale che
deve comunque convivere oggi con una cospicua presenza
islamica?
R. - La civiltà occidentale, almeno nella situazione
attuale, è basata sulla distinzione fra i vari campi: quello religioso, quello politico, quello giuridico, quello sociale e quello
culturale, che sono sì collegati fra di loro, ma in modo distinto. Non si può
rinunciare a questo perché mi sembra che sarebbe rinunciare ad una realtà
essenziale dell’Occidente e nello specifico dell’Italia. Se
un cattolico pretendesse che per essere un buon italiano deve essere un buon
cattolico, questo sarebbe un errore, anche se si potesse spiegare con la
storia. Allora dico questo: se si vuole vivere in Italia ed un giorno diventare
italiano, si deve accettare questo principio di base di distinzione fra i
settori. L’Islam non può rivendicare qualcosa di particolare, perché esiste un
sistema, quello adattato da ogni Paese. Questo sistema
in Italia permette una grande convivenza e c’è
un’immensa libertà per ogni persona. Il cittadino ha diritto a questo ed ha il
dovere di: punto e basta. In tutti i campi la base
della coesistenza in un Paese sono le norme riconosciute dal Paese stesso.
Questo vale per tutti quanti: musulmani, ebrei, ateisti, cristiani. Non c’entra
niente la religione in questo.
D. – Questo è il terreno dell’incontro: il rispetto delle
leggi dello Stato ospite?
R. – Certo e non si tratta soltanto di leggi, ma anche dei
costumi e delle usanze. Se con il termine multiculturalismo
se vuole intendere che tutte le culture possono svilupparsi liberamente
insieme, credo che questo rappresenti un’utopia. Perché nelle diverse
culture ci sono elementi opposti: supponiamo che siano tutte di grande valore, ma non sono sempre compatibili insieme. Il
significato di multiculturalismo che io personalmente ammetto è quello di dire che esiste la cultura del Paese – che ha secoli,
talvolta millennio di tradizioni – io la possa arricchire con elementi nuovi se
la maggioranza li accetta e comunque ci vuole del tempo. Allora sì che si
arricchisce la cultura nazionale con elementi magari arabi o greci o balcani … ma si tratta di un
arricchimento giustificato perché così il corpo sociale assimila lentamente
elementi che giudica positivi.
D. - Padre Samir polemiche ha
sollevato in Italia anche la richiesta di scuole private confessionali
islamiche…..
R. - Se lo scopo dell’emigrato è di poter avere una vita
dignitosa, un buon lavoro ed una casa dove si abita con piacere, avere una vita
culturale, il modo migliore allora per acquisire tutto questo è quello di
partecipare alla scuola pubblica, offerta a tutti a un
buon livello. La maggioranza, oltre il 90 per cento dei musulmani, sono del mio stesso parere. Ho un po’ di esperienza
in diversi Paesi europei e la prima condizione è quella di acquisire al massimo
la cultura del Paese nel quale mi trovo, poi posso aggiungere qualcosa.
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DIMINUITE
DEL 21 PER CENTO NEL 2005 LE COLTIVAZIONI DI OPPIO IN AFGHANISTAN
IL DATO EMERGE DA UN RAPPORTO DELLE NAZIONI
UNITE
- Intervista con Antonio Maria Costa -
E’ stata
presentata nei giorni scorsi la prima analisi completa sulla situazione dell'oppio
in Afghanistan nel 2005, redatta dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la
droga ed il crimine. Dal documento emerge la riduzione del 21 per cento delle coltivazioni e il calo
dei proventi dell'oppio. Entrambi i fenomeni marcano un'importante inversione
di tendenza rispetto agli ultimi 5 anni. Ce ne parla, al microfono di Salvatore
Sabatino, Antonio Maria Costa, direttore esecutivo dell'Ufficio delle
Nazioni Unite contro la droga e il crimine:
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R. - Indubbiamente lo è importante. Parliamo di superficie e
non parliamo di tonnellate ancora. E’ chiaro che la
riduzione delle coltivazioni riflette la decisione collettiva di migliaia di
contadini di astenersi dalla coltivazione della droga.
Un contadino su 5, che coltivò la droga nell’anno 2004, non lo ha più fatto
quest’anno. Mi pare un dato simbolico, assolutamente importante.
D. – Questo vuol dire che
l’economia del Paese sta lentamente cambiando, trasformandosi in economia
legale?
R. – Il problema dell’Afghanistan è che essendo un Paese
molto povero e molto primitivo, l’economia legale è molto piccola, non è più di
5-6 miliardi di dollari e perciò l’economia della droga rappresenta un
equivalente di circa metà dell’economia legale.
D.- Qual è la formula
giusta da mettere in campo per aiutare un Paese a convertire la propria
economia?
R. – La solita strategia basata sullo
Stato di diritto e perciò la repressione delle violazioni della legge, inclusa
la coltivazione della droga che è contro l’Islam e contro la legge afgana, e
l’opposizione al traffico: questo è fondamentale e deve rimanere. Però, noi alle Nazioni Unite
riteniamo che questa politica di repressione necessaria com’è
ma non sufficiente venga accompagnata ad una forte azione di assistenza
ai contadini. Abbandonare la coltivazione della droga senza alcuna
assistenza che permetta loro un’integrazione nell’economia legale, tutto
questo potrebbe creare dei disastri umanitari.
D. – Avete pensato in qualche modo di usare il modello
afghano anche per altri Paesi, in cui è presente la coltivazione di oppio?
R. – Piuttosto io direi di usare il modello di altri Paesi in Afghanistan, nel senso di altri Paesi che
sono caratterizzati dalle coltivazioni illecite. Parliamo del triangolo d’oro,
il Myanmar, il Laos, il Marocco per quanto riguarda
il cannabis, dei Paesi andini
come la Colombia, il Perù, la Bolivia, per quanto
riguarda la cocaina. Tutti questi Paesi conoscono la droga da decine e decine di anni. L’Afghanistan è assolutamente nuovo. Evidentemente
il modello è stato ben approfondito. Abbiamo avuto dei successi straordinari in
Thailandia, in Pakistan, in Turchia, Paesi che erano
nelle mani delle mafie dell’oppio e che sono uscite dal tunnel della droga. Da
loro abbiamo appreso appunto l’importanza del metodo che noi in italiano
chiameremmo del bastone e della carota, il bastone,
ovviamente essendo l’applicazione della legge, la carota essendo fondamentalmente
l’assistenza ai contadini.
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POLEMICHE
E DIBATTITO IN ITALIA DOPO LA DECISIONE
DEL
MINISTRO DELLA SALUTE DI SOSPENDERE
DA
IERI LA SPERIMENTAZIONE DELLA PILLOLA ABORTIVA RU486
-
Intervista con Carlo Casini -
In vigore da ieri in Italia
l’Ordinanza del ministro della Salute, Storace che sospende la sperimentazione
della pillola abortiva RU486, avviata il 6 settembre scorso nell’ospedale
Sant’Anna di Torino: potrà essere ripresa a condizione di una piena regolarizzazione
delle procedure e nel rispetto rigoroso delle indicazioni del Consiglio
superiore di sanità. La decisione del ministro ha sollevato polemiche ed alcuni hanno
parlato di decisione contro le donne e di attacco
alla legge che autorizza l’aborto in
Italia, ma Storace ha fermato la sperimentazione proprio richiamandosi alla
Legge 194. Debora Donnini ha intervistato Carlo
Casini, presidente del Movimento per la vita e docente di diritti umani e
bioetica.
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R. – Io sono d’accordo con
Storace. La legge 194 prevede che l’aborto debba essere fatto in un presidio
ospedaliero. Risulta, perché lo dice lo stesso ministro nella sua Ordinanza,
che in un caso, almeno verificato, ma ce ne potrebbero
essere anche altri, la donna dopo aver ricevuto la somministrazione della pillola
è stata mandata a casa ed ha abortito a casa. Questo è certamente contro la
Legge 194. E’ un punto, questo, in cui è in gioco anche l’interesse della
donna, la salute della donna evidentemente. Io trovo,
quindi, che una grande cautela nell’uso di questa
pillola sia più che giustificata e che almeno tutto debba avvenire all’interno
dell’ospedale, così come prevede per ogni forma di interruzione di gravidanza
la legge 194.
D. – Chi difende la pillola
RU486 dice che è usata in quasi tutti i Paesi europei
e di fatto sarebbe, secondo alcune persone, meno invasiva e psicologicamente
meno traumatica. Lei cosa ne pensa?
R. – A parte quello fisico, le
conseguenze che sono state già più volte descritte – mal di testa, vomito, etc.
– anche noi del Movimento per la Vita abbiamo una pubblicazione scientifica a
questo riguardo, c’è il fatto psichico. L’aborto che viene
effettuato attraverso questa pillola è un aborto che si sviluppa nel tempo,
anche in un tempo che può raggiungere le 48 ore. Quando la donna decide di fare
una interruzione di gravidanza in ospedale viene
anestetizzata per fare l’aborto e l’aborto viene fatto; credo che il turbamento
sia molto maggiore quando per 24 o 48 ore deve seguire cosa succede sul suo
corpo e quando lei personalmente vede cosa espelle. Io sono tutt’altro
che certo che questa pillola voglia aiutare la donna.
Piuttosto vuole rendere sempre più l’aborto facile e privato e non considerarlo
più – la visione cristiana, cattolica è anche contro l’aborto in casi gravi ed
estremi – come una risposta per casi drammatici ed estremi. La pillola è invece
coerente con una visione di aborto di massa, che si
può fare quando si vuole. Questo è il punto fondamentale.
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25 settembre 2005
A PARTIRE DA OTTOBRE
UN NUOVO CORSO PER ESORCISTI,
PRESSO IL PONTIFIFIO ATENEO REGINA
APOSTOLORUM A ROMA
- A cura di Giovanni Peduto -
ROMA. = Inizieranno il 13 ottobre
prossimo, a Roma, presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum,
le lezioni del secondo corso su "Esorcismo e preghiera di liberazione",
per rispondere alle numerose richieste giunte da varie parti del mondo. Oltre a
Roma, sarà possibile seguire il corso, tramite videoconferenza, da Bologna,
Perugia, Assisi, Maddaloni (Caserta) ed altre città.
Confermati quasi tutti i docenti del primo corso, che affronteranno il tema da
diversi punti di vista: aspetti antropologici, fenomenologici,
sociologici, satanismo ed esoterismo nel mondo
giovanile, aspetti biblici, storici, teologici, aspetti pastorali e spirituali,
aspetti liturgici, aspetti scientifici: medici, psicologici, naturali; aspetti
giuridici e legali, testimonianze di esorcisti. Questo
secondo corso, organizzato dall'Istituto Sacerdos
dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e dal GRIS
(Gruppo di Ricerca ed Informazione Socio-Religiosa), si protrarrà fino al 9
febbraio 2006 (con una pausa da metà novembre a metà
gennaio). Sarà riservato ai sacerdoti e agli studenti di licenza in teologia
che si preparano, al sacerdozio. Anche questo secondo corso ha l'obiettivo di
offrire ai sacerdoti strumenti utili per il loro lavoro pastorale, di informazione e di sostegno per le famiglie. Alcuni
episodi di cronaca, accaduti recentemente, devono rappresentare un campanello
d'allarme per prendere sul serio un problema ancora troppo sottovalutato:
l'aumento di interesse nei confronti del satanismo. Il
sacerdote, con una solida preparazione, può dare un contributo importante per
affrontare questo problema, che rischia di coinvolgere soprattutto i giovani.
AL VIA I FESTEGGIAMENTI PER I 500
ANNI
DELLE GUARDIE SVIZZERE IN VATICANO. CELEBRAZIONE IERI A LUCERNA
CON IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
SVIZZERO:
“LE GUARDIE SONO UN ESEMPIO PER
TUTTI”
LUCERNA: = Si è concluso ieri il
primo giorno dei festeggiamenti per i 500 anni dalla nascita del Corpo delle
Guardie svizzere vaticane. In ricordo del primo contingente partito per Roma
nel 1505, le Guardie hanno sfilato ieri a Lucerna in Svizzera. Alla cerimonia
era presente anche il ministro federale della Giustizia, Christoph
Blocher, che ha sottolineato
l’importanza del più piccolo Esercito del mondo, di cui, ha detto, “anche i non
cattolici devono essere fieri”. “Servire significa considerare la propria
missione al di sotto dei propri interessi- ha
dichiarato il guardasigilli svizzero, ricordando il valore mostrato delle Guardie
durante il sacco di Roma del 6 maggio 1527. Allora 147 svizzeri morirono per
difendere Papa Clemente VI. Ma la cerimonia di ieri, durante la quale è stata apposta una targa commemorativa, non è che la
prima di una serie di celebrazioni previste durante tutto l’anno. Tra queste
assume particolare rilievo una marcia da Bellinzona a
Roma che 80 ex Guardie intraprenderanno dal 7 aprile, sulle orme dei 150
volontari che nel 1506 risposero all'appello lanciato da Giulio II della
Rovere. (A.C.)
NIGER: TRA RITARDI E DISORGANIZZAZIONE
DELLA MACCHINA DEGLI AIUTI,
RESTA GRAVE LA CRISI ALIMENTARE. DALLA SPAGNA, LANCIATA UNA CAMPAGNA
DI SOSTEGNO DELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE
NIAMEY. = La crisi alimentare nella fascia del Sahel continua a destare preoccupazione. In Niger, sei mesi
dopo il primo appello per un massiccio intervento umanitario da parte della
comunità internazionale, la fame continua a mietere vittime. Secondo un
rapporto dell’emittente britannica BBC, l’invio di grosse quantità di generi
alimentari e beni di prima necessità a Niamey, non è
servito ad alleviare le condizioni delle popolazioni più colpite a causa dei
ritardi e alla disorganizzazione nella distribuzione.
Ieri a lanciare una campagna per i Paesi colpiti dalla carestia è stato anche
mons. Francisco Pérez, arcivescovo castrense e
direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (POM) della Spagna. “La
mobilitazione” ha spiegato mons. Pérez all’Agenzia
Fides “passa ora per la distribuzione di cibo, il recupero delle coltivazioni e
l'attenzione alla denutrizione infantile. Tra le azioni ritenute necessarie dal
POM anche “un'informazione permanente da parte nostra e, soprattutto, un lavoro
costante in queste aree impoverite, come quello che realizzano gli oltre 150
missionari spagnoli nel Sahel”. (A.C.)
LE COMUNITA’ ZINGARE RICORDANO
IL 40.MO ANNIVERSARIO DELL’INCONTRO CON PAPA PAOLO VI
- A cura di Giancarlo La Vella
-
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ROMA. = Quaranta anni fa, il 26 settembre 1965, Papa Paolo
VI incontrò nel loro accampamento a Pomezia i circa
duemila Zingari giunti in pellegrinaggio per la prima volta a Roma da molti
Paesi d’Europa, superando gravi difficoltà nel passaggio delle frontiere, per
proclamare la loro appartenenza alla fede cattolica. Pioveva, il Santo Padre
era febbricitante, ma non volle mancare all’appuntamento. “Ricordo benissimo –
scrive l’arcivescovo Pasquale Macchi, che fu segretario di Paolo VI – la
straordinaria gioia del Papa e la straordinaria gioia
degli Zingari”. E la parola del Santo Padre in quella occasione
segnò una svolta epocale nella loro storia. “Voi nella Chiesa non siete ai
margini... – disse con forza Paolo VI – voi siete nel cuore della Chiesa”. Non
era quella la prima volta che Paolo VI incontrava gli zingari. Lo aveva già
fatto sia da arcivescovo di Milano, che durante l’Anno Santo del 1975, Giubileo
della “Riconciliazione con Dio e con i fratelli”. In questa occasione
parlò loro di rinnovamento che passa attraverso il perdono reciproco, punto focale
per un’autentica integrazione nella Chiesa e nella comunità cristiana; perdono
per il genocidio nazista che coinvolse i gitani d’Europa, ma anche per lo
stillicidio quotidiano delle persecuzioni razziali, delle espulsioni, del
rifiuto. Al contempo, sottolineò Paolo VI, da parte
delle comunità ecclesiali deve esservi il perdono, per gli inconvenienti che la
presenza degli Zingari può arrecare, e l’impegno ad offrire accoglienza. Per
ricordare questo grande Papa che tanto li ha amati – come è
tradizione – le comunità Rom e Sinti della Diocesi di
Roma si incontreranno domani pomeriggio, 26 settembre, presso il Santuario del
Divino Amore, per una solenne celebrazione. Il sacro rito, dopo una processione,
si svolgerà nella Chiesa a cielo aperto dedicata al Beato Zeffirino, che Papa
Giovanni Paolo II ha voluto donare agli Zingari come loro patrono.
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MAROCCO: L’ONU SI INTERESSA AL CASO DEI 35 I
PRIGIONIERI
DEL SAHARA
OCCIDENTALE IN SCIOPERO DELLA FAME DALL’ 8 AGOSTO.
SECONDO UN’ASSOCIAZIONE UMANITARIA
SONO GRAVI LE LORO CONDIZIONI
RABAT. = Peggiorano le condizioni dei 35 prigionieri
originari del Sahara occidentale che dallo scorso 8 agosto osservano uno
sciopero della fame per protestare contro la loro detenzione nelle carceri del
Marocco. Ad annunciarlo è stata l’Associazione marocchina dei diritti umani,
secondo la quale almeno 12 detenuti sono stati ricoverati in ospedale. La
maggior parte dei prigionieri in sciopero sono stati arrestati durante le
proteste anti-marocchine esplose lo scorso maggio a Laayoune, la principale
città del Sahara occidentale. La regione, situata al confine con la Mauritania,
è stata annessa dallo Stato marocchino nel 1975 e da allora è contesa dal
movimento indipendentista sarawi. Tra le richieste
della popolazione c’è l’organizzazione di un referendum per
l’autodeterminazione, in base a quanto espressamente
previsto da una risoluzione delle Nazioni Unite. E
proprio le Nazioni Unite sono intervenute in questi giorni sul caso dei 35
prigionieri annunciando di voler avviare un’indagine sulle condizioni della
loro detenzione. (A.C.)
SI E’
CHIUSO A MILANO IL PRIX ITALIA,
IL PIU’ ANTICO CONCORSO INTERNAZIONALE PER PROGRAMMI RADIO TV
E WEB.
TRA I PREMIATI UNA
FICTION BRITANNICA SUL TRAFFICO DELLA PROSTITUZIONE
E UN
DOCUMENTARIO FINLANDESE SULLA GUERRA IN CECENIA
- A
cura di Antonella Palermo -
MILANO. = La 57.ma edizione del Prix Italia
si è conclusa a Milano, rinnovando nel capoluogo lombardo l’appuntamento per il
prossimo anno. Una fiction televisiva britannica sul traffico della
prostituzione ha vinto nella categoria TV-dramma, aggiudicandosi anche la coppa
del presidente della Repubblica, nonché
l’apprezzamento di 30 studenti universitari che come giuria popolare, per la
prima volta, sono stati coinvolti nel Prix-Italia.
Una retrospettiva su Salvador Dalì ha premiato la
Spagna, che ha ottenuto pure il riconoscimento dell’Associazione cattolica
Internazionale Signis per un programma ambientato in centro America sul problema dell’immigrazione. Unanime consenso per un film musicale svedese sulla storia di
giovani appartenenti ad etnie diverse. Nella sezione dei documentari ha
vinto un prodotto finlandese sulla guerra in Cecenia
e le sue ripercussioni sui bambini. E poi un viaggio dentro
l’armonia tra uomo e natura in un giardino acquatico giapponese. Per
quanto riguarda la radio, il favore della Giuria è andato ad un’opera musicale
australiana dedicata ai soldati internati nel campo di prigionia nel Borneo del Nord durante la II Guerra Mondiale. Vivace,
avvincente e sofisticato è risultato un lavoro
canadese su come l’elettricità ha cambiato la musica. Ha vinto poi un programma
sui problemi dell’Olanda multiculturale contemporanea;
e poi ancora la BBC con un radiodramma. Il Premio per il documentario culturale
l’ha ricevuto un programma sulla Comunità dell’Alsazia, ma ha vinto anche un
documentario che tratta la conversione degli europei all’Islam. E’ andato al
Giappone il Premio Granarolo-Comunicazioni per la
Vita, ad un’opera di forte impatto emotivo sulla storia di due bambini
filippini in fuga da conflitto etnico-religioso. Tra
i siti web, il migliore è risultato quello realizzato
da una radio danese sulla figura dello scrittore Andersen,
nel bicentenario della sua nascita.
MARTEDI’ PROSSIMO, GIORNATA MONDIALE DEL TURISMO,
I MUSEI VATICANI SONO GRATUITI
CITTA’ DEL VATICANO. = Martedì 27
settembre 2005 ricorre la "XXVI Giornata Mondiale del Turismo",
dedicata al tema Viaggi e trasporti: dal mondo immaginario di Giulio Verne alla realtà del secolo XXI. Nel Messaggio diffuso
per la circostanza, la Santa Sede sottolinea come le
“nuove ed inedite possibilità di viaggi con mezzi di trasporto sempre più
moderni e veloci possono fare del turismo una provvidenziale occasione per
condividere i beni della terra e della cultura” e
favorire ulteriori opportunità dì dialogo tra i popoli ed una più approfondita
conoscenza della vita quotidiana della Chiesa. In occasione della Giornata
Mondiale del Turismo, come di consueto i Musei Vaticani saranno lieti di aprire
al pubblico gratuitamente le proprie sale espositive, compresa la Cappella
Sistina (orario 8.45-16.45; ultimo ingresso alle ore 15.20) ed il Museo Storico
Vaticano situato nel Palazzo Apostolico Lateranense (ingresso dall'atrio
principale della Basilica di San Giovanni in Laterano).
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A cura di Amedeo Lomonaco -
In Medio Oriente si riaccende la tensione: il primo
ministro israeliano, Ariel Sharon, ha ordinato nuove
offensive per fermare gli attacchi dei palestinesi contro Israele. L’annuncio arriva dopo duri raid condotti dall’aviazione israeliana nella
striscia di Gaza in seguito al lancio di razzi Qassam
palestinesi contro la città di Sderot. In Cisgiordania, i soldati dello Stato ebraico hanno
arrestato, inoltre, almeno 200 estremisti. Il nostro servizio:
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Sharon, aprendo stamani la seduta del
Consiglio dei ministri, ha precisato di aver autorizzato operazioni senza
limitazioni contro i membri delle organizzazioni terroristiche palestinesi ed
ha aggiunto che saranno adottate tutte le misure possibili per non colpire i
civili palestinesi. “Ci apprestiamo - ha detto Sharon - a realizzare un’operazione prolungata nel tempo,
il cui scopo è quello di colpire i terroristi senza allentare la pressione”. Israele
- ha spiegato il premier dello Stato ebraico - deve
ricorrere a tutti i mezzi a sua disposizione. Sharon
ha rilasciato queste dichiarazioni dopo duri attacchi dell’Aviazione israeliana, nella
notte, nei pressi di Gaza contro due depositi di armi
e una scuola dove, secondo diverse autorità dello Stato ebraico, si
raccoglievano fondi per finanziare il movimento fondamentalista
palestinese ‘Hamas’. Fonti mediche e della sicurezza
palestinesi hanno dichiarato che almeno venti persone sono rimaste ferite in seguito
ai raid. Si tratta dei primi attacchi israeliani dopo
il ritiro dalla Striscia di Gaza, voluto dal premier Sharon e avvenuto lo scorso 12 settembre. Le operazioni
contro militanti estremisti sono proseguite questa mattina anche in Cisgiordania dove i soldati israeliani hanno arrestato più
di 200 fondamentalisti, tra i quali uno dei leader di Hamas. Le operazioni seguono gli attacchi nella città israeliana di Sderot, ripetutamente colpita nei giorni scorsi da razzi
palestinesi che hanno causato il ferimento di sei persone. Proprio nelle strade
di Sderot è stata organizzata una manifestazione di
protesta contro il governo di Sharon, accusato di non
garantire un’adeguata cornice di sicurezza. Sul versante palestinese, il presidente
Abu Mazen ha smentito
infine che il prossimo 2 ottobre, contrariamente a quanto indicato da fonti
israeliane, incontrerà il premier Sharon.
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Negli Stati Uniti e in Europa
migliaia di persone sono scese in piazza ieri per protestare contro la guerra
in Iraq. A Washington circa centomila persone hanno sfilato nei pressi della
Casa Bianca. Alla manifestazione hanno partecipato, tra gli altri, genitori di
soldati inviati nel Paese arabo ed una quarantina di ex
militari rientrati recentemente dall’Iraq. Marce contro la presenza delle Forze
della coalizione nello Stato arabo si sono svolte anche
in diverse capitali europee, tra cui Londra, dove hanno sfilato, secondo gli
organizzatori, più di 100 mila persone.
Combattimenti e attentati continuano, intanto, a
sconvolgere l’Iraq: sanguinosi scontri tra Forze americane e la milizia del leader radicale sciita, Moqtada Al
Sadr, hanno provocato, a Baghdad, la morte di almeno
dieci miliziani. Sempre nella capitale, 13 persone sono rimaste uccise per l’esplosione
di un’autobomba lanciata contro un convoglio militare iracheno. In una strada
affollata di Hilla, città a maggioranza sciita, è
esploso inoltre un ordigno causando la morte di tre persone, tra le quali un
bambino. Intanto, il primo ministro britannico Tony Blair,
in un’intervista rilasciata alla BBC, ha ammesso di non avere previsto la
“ferocia” dell'insurrezione in Iraq dopo l’intervento militare.
In Afghanistan, un elicottero americano è precipitato nel
sud del Paese. Fonti militari statunitensi hanno reso noto
che i cinque membri dell’equipaggio sono morti. Al momento, sono sconosciute le
cause che hanno portato allo schianto del velivolo in un’area teatro, in questi
giorni, di operazioni statunitensi contro presunti
talebani.
Negli Stati
Uniti, l’uragano Rita continua a perdere intensità ed è stato ridotto a tempesta
tropicale. Il suo passaggio negli Stati del Texas e della Louisiana ha
provocato inondazioni, scoperchiato case e causato incendi. Una persona è morta nello Stato del Mississipi a
causa delle trombe d’aria provocate da Rita. Alcune
stime prevedono danni per oltre 8 miliardi di dollari, il 4 per cento di quelli
causati dall’uragano Katrina. Vaste operazioni di soccorso sono scattate soprattutto
in Louisiana, dove diverse aree a sud di New Orleans
sono state sommerse dall’acqua. La situazione è meno grave in Texas dove stanno
facendo ritorno decine di migliaia di evacuati.
Gli Stati membri del Fondo
monetario internazionale (FMI) hanno raggiunto ieri, a Washington, l’intesa per
cancellare il debito di 40 miliardi di dollari di 38
tra i Paesi più poveri del mondo. Il direttore generale del FMI, Rodrigo de
Rato, ha dichiarato durante la conferenza stampa che gli squilibri economici
mondiali costituiscono un rischio serio per la sostenibilità e la continuità
della crescita mondiale. Il servizio di Andrea Cocco:
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“Un grande passo in avanti nello storico processo per
l’annullamento del debito”. Con queste parole il ministro delle
finanze britannico, Gordon Brown,
ha salutato la decisione presa sabato dal Fondo Monetario Internazionale di
cancellare 40 miliardi di dollari dal debito dei Paesi più poveri nei confronti
di Banca Mondiale e dello stesso Fondo monetario. L’idea era stata lanciata lo
scorso giugno dai ministri delle Finanze del G7, per essere poi ripresa al G8
scozzese di Gleaneagles. Ma fino a
ieri il progetto era rimasto bloccato sulla carta dalle divergenze su chi
avrebbe dovuto ricompensare le istituzioni finanziarie delle perdite subite. Su
questo punto i dubbi sono stati dissipati venerdì, quando dai membri del G8 è
giunto l’impegno a finanziare il disavanzo, insieme alla decisione di allargare
a 38 il numero dei Paesi beneficiari. Ora non manca che l’approvazione della Banca
Mondiale, che salvo colpi di scena dovrebbe arrivare oggi. Ma
la soddisfazione del governo britannico, che dallo scorso giugno si è fatto
promotore della campagna per la riduzione del debito, non è condivisa da tutti.
Per diverse organizzazioni non governative sono molti ancora i passi che la comunità
internazionale deve fare per ridurre le disuguaglianze. Tanto
per cominciare: una cancellazione del debito da parte dei singoli Stati, un
autentico aumento degli aiuti allo sviluppo, modifiche incisive nelle
regole per il commercio internazionale per sostenere i Paesi emergenti.
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L’Agenzia internazionale per
l’energia atomica (AIEA) ha approvato una risoluzione contro il programma
nucleare iraniano. Il provvedimento apre la via per il deferimento al Consiglio
di sicurezza dell’ONU. Il governo di Teheran ha
definito “illegale e inaccettabile” la risoluzione, presentata da Francia, Gran
Bretagna e Germania. Il testo, approvato dal Consiglio dei
governatori dell’AIEA, condanna l’Iran per aver ripreso in agosto la conversione
dell’uranio e per non aver rispettato il trattato di non proliferazione
nucleare (TNP).
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