RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 255 - Testo della trasmissione di lunedì 12 settembre 2005

 

 

Sommario

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa ha ricevuto stamane il re Abdullah II di Giordania e la regina Rania

 

L’esperienza della Croce nel quotidiano: il dolore amato, attraverso Cristo, che trasforma la vita.

Un commento all’Angelus di Benedetto XVI: intervista con padre Alberto Pierangioli

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Prosegue a Lione l’incontro internazionale promosso da Sant’Egidio. Il messaggio del Papa: “la violenza non può essere una maniera di risolvere i conflitti”. Ai nostri microfoni il presidente del Mozambico Guebuza

 

Completato il ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza, dopo 38 anni di occupazione: con noi, padre Emile Salayta

 

Il dramma degli eritrei in fuga dal loro Paese dietro l’ennesima tragedia del mare in Sicilia: ce ne parla Raffaello Zordan

 

CHIESA E SOCIETA’:

Iniziata la costruzione della prima chiesa cattolica a Baku, capitale dell’Azerbaigian, alla presenza del cardinale Crescenzio Sepe

 

In corso a Bose il Convegno  di spiritualità ortodossa  dedicato a San Giovanni di Damasco

 

Rwanda: rinviato alla giustizia ordinaria il caso di padre Theunis, il missionario belga arrestato  con l’accusa di aver fomentato il genocidio del ’94. La difesa dei Padri Bianchi

 

Lettera pastorale dell’arcivescovo di Firenze, Ennio Antonelli, alla diocesi

 

24 ORE NEL MONDO:

Elezioni in Norvegia: è lotta fino all’ultimo voto tra il centro-destra e l’opposizione di sinistra rosso-verde

 

 

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

12 settembre 2005

 

 

 

 

DAL PAPA IN UDIENZA IL RE ABDULLAH II DI GIORDANIA

 

Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina, nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il re Abdullah II di Giordania e la regina Rania, accompagnati dal seguito. Dopo l’incontro, lunedì scorso, con i Reali di Spagna. Si è trattato del secondo incontro del Pontefice con i rappresentanti di una Casa reale, dopo l’udienza di lunedì scorso al re di Spagna, Juan Carlos.

 

 

L’ESPERIENZA DELLA CROCE NEL QUOTIDIANO:

IL DOLORE AMATO, ATTRAVERSO CRISTO, CHE TRASFORMA LA VITA.

UN COMMENTO ALL’ANGELUS DI BENEDETTO XVI

- Intervista con padre Alberto Pierangioli -

 

“La Croce è la manifestazione toccante dell’atto d’amore infinito con il quale il Figlio di Dio ha salvato l’uomo e il mondo dal peccato e dalla morte”. Sono le parole con cui Benedetto XVI ha ripetuto ieri all’Angelus uno degli insegnamenti fondamentali che la Chiesa annuncia e vive da duemila anni, dall’esperienza del Calvario. A pochi giorni dalla festa liturgica dell’Esaltazione della Croce, il Papa ha voluto dirigere l’attenzione dei credenti al mistero della morte di Cristo, che ha scelto la morte sul “patibolo infame” per un atto d’amore estremo verso l’umanità. Alessandro De Carolis ha ripreso questa riflessione con il religioso Passionista, padre Alberto Pierangioli, assistente spirituale del Movimento laicale appartenente alla sua Congregazione:

 

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R. – La Croce era prima un segno di abominio, ma una volta diventata la Croce di Cristo pian piano ha trasformato l’umanità e soprattutto ha aiutato a capire il mistero del dolore. Il pensiero che il Figlio di Dio l’ha accettata e l’ha vissuta, ha aiutato i martiri, ma anche tanta gente semplice, a capire il mistero della Croce e ad accettarla fino ad arrivare a stimarla un dono di Dio.

 

D. – Ieri il Papa, all’Angelus, ha detto: “Fare il segno della Croce significa pronunciare un sì visibile e pubblico a Colui che è morto per noi e che è risorto”. Spesso però è proprio l’aspetto pubblico di questo gesto ad essere vissuto dai cristiani con, per così dire, un eccesso di pudore…

 

R. – Sì, per tanti cristiani è così. Stando però vicino a dei cristiani che realmente vivono la propria fede, ho visto che riescono a superare molto bene questo pudore, come lei lo chiama. Fare il segno della croce è un atto di fede, ecco perché alle volte disturba vedere il segno della croce sul petto di tante persone che di cristiano non hanno nulla.

 

D. – Lei guida spiritualmente famiglie e giovani nel cammino di comprensione della Croce nella vita quotidiana. Dalle esperienze che ha avuto modo di ascoltare, che tipo di rapporto tende ad instaurare un laico con questo aspetto della sofferenza redenta, simboleggiato dalla Croce?

 

R. – Noi Passionisti facciamo un voto: di contemplare e di aiutare gli altri a contemplare la Croce. Trovandomi, ormai da una ventina di anni, con i gruppi di persone del Movimento laicale passionista, ho imparato tanto da loro. E’ edificante vedere tante persone, tanti semplici fedeli, giovani e meno giovani, innamorati del Crocifisso, impegnati a contemplarlo nel suo vero valore: perché il Crocifisso, per chi lo guarda superficialmente, parla solo di dolore. Ma un cristiano, e questo lo posso testimoniare con tanti esempi, vede nel Crocifisso - quando c’è una vera fede - l’amore.

 

D. – Ricorda qualche esperienza?

 

R. – Sì, io ho conosciuto una mamma di famiglia colpita da sclerosi multipla, che è stata a letto 38 anni. Poteva muovere solo il volto. Mi dissero di andarla a trovare, perché lei, volentieri, avrebbe voluto far parte dal suo letto del nostro Movimento laicale. Io andai da lei con una certa paura. Mi ero preparato un discorso per incoraggiarla, ma quando le fui accanto e cominciai a parlarle della Croce, lei mi interruppe dicendomi: “Ma padre, questa non è una croce, questa è una grazia”. E devo dire che intorno al suo letto, nella cameretta, c’era spesso tanta gente che andava ad imparare da lei la gioia appresa dal Crocifisso. E’ stata una testimonianza che mi ha segnato il vedere questa donna innamorata del Crocifisso, che ha saputo trasformare la sua vita crocifissa in un canto di gioia. Prima di morire stabilì che al suo funerale le campane suonassero a festa.

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ALTRE UDIENZE

 

Sempre questa mattina a Castel Gandolgo il Papa ha ricevuto alcuni presuli della Conferenza Episcopale del Messico, in visita "ad Limina": mons. Miguel Patiño Velazquez, vescovo di Apatzingán; mons. José Luis Castro Medellín, vescovo di Tacámbaro; mons. Carlos Suárez Cázares, vescovo di Zamora; mons. Luis Morales Reyes, arcivescovo di San Luis Potosí, con l’arcivescovo emerito mons. Arturo Antonio Szymanski Ramirez.

        

 

ELEVAZIONE AD EPARCHIA DELL’ESARCATO APOSTOLICO

PER I FEDELI DI RITO ARMENO RESIDENTI NEGLI STATI UNITI E IN CANADA

 

Il Santo Padre ha elevato l’Esarcato Apostolico per i fedeli di rito armeno residenti negli Stati Uniti e in Canada al rango di Eparchia con il nome di “Our Lady of Nareg in New York for Armenian Catholics”, con la medesima configurazione territoriale dell’attuale Esarcato. Il Papa ha quindi nominato primo vescovo dell’Eparchia mons. Manuel Batakian, finora Esarca Apostolico per i fedeli di rito armeno residenti negli Stati Uniti d’America e in Canada. Mons. Manuel Batakian è nato il 5 novembre 1929 ad Atene e durante la seconda Guerra Mondiale, si è trasferito con la famiglia in Libano. Dal 1946 al 1954  è stato a Roma per compiere  gli studi filosofici e teologici. E’ stato ordinato sacerdote nel 1954 con incardinazione all’Istituto del Clero patriarcale di Bzommar. Dopo il servizio sacerdotale in varie parrocchie, è stato dal 1978 al 1984 Vicario patriarcale per l’Istituto del Clero patriarcale di Bzommar e Superiore del Convento. Successivamente dal 1984 al 1990, è stato parroco della cattedrale armena cattolica di Parigi e nel 1990 è diventato Rettore del Pontificio Collegio Armeno in Roma. Nello stesso tempo ha lavorato come giudice nel Tribunale ecclesiastico dell’Eparchia di Beirut. Nel corso del Sinodo dei Vescovi della Chiesa armena cattolica, tenutosi dal 1° all’11 novembre 1994 è stato eletto ausiliare del Patriarca di Cilicia degli Armeni per l’Eparchia patriarcale di Beirut. Il Santo Padre ha dato il Suo assenso alla sua elezione l’8 dicembre 1994 elevandolo alla sede titolare vescovile di Cesarea di Cappadocia ed è stato consacrato il 12 marzo 1995. Il 20 novembre 2000 è stato nominato Esarca Apostolico per gli Armeni Cattolici negli Stati Uniti e nel Canada.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina il titolo "Mettere in opera efficaci misure concrete contro la povertà, le malattie e la fame": in vista del vertice di mercoledì presso l'ONU, Benedetto XVI all'Angelus auspica che "i governanti trovino soluzioni idonee per raggiungere i grandi scopi prefissi in spirito di concordia e generosa solidarietà".

11 settembre: il Papa ricorda le vittime della violenza terroristica nel mondo.

 

Servizio vaticano - Un articolo di Marco Impagliazzo dal titolo "La forza disarmata della preghiera e della pace per costruire una nuova civiltà"; inaugurati a Lione i lavori del 19.mo incontro internazionale promosso dalla Comunità di Sant'Egidio.

 

Servizio estero - Iraq: per circa sei milioni di giovani è cominciato il nuovo anno scolastico.  

Giappone: netta vittoria del premier nelle elezioni politiche anticipate.

 

Servizio culturale - Un articolo di Armando Rigobello dal titolo "Il nucleo centrale del pensiero di san Tommaso": una nuova edizione del "De veritate".

Una riflessione di Ferdinando Montuschi dal titolo "I drammi nascosti dalla normalità".

 

Servizio italiano - Immigrazione: ad un passo dalla meta tragico epilogo dell'ennesimo viaggio della speranza; undici morti nel mare di Gela - arrestati sette presunti scafisti.  

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

12 settembre 2005

 

 

 

LA VIOLENZA NON PUO' ESSERE UNA MANIERA DI RISOLVERE I CONFLITTI.

CI VUOLE IL CORAGGIO DEL DIALOGO PER DARE SPERANZA E DIGNITÀ AI POPOLI.

COSÌ IL PAPA IN UN MESSAGGIO ALL’INCONTRO INTERNAZIONALE “UOMINI E RELIGIONI”  PROMOSSO DALLA COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO A LIONE

- Intervista con il presidente del Mozambico, Armando Emilio Guebuza -

 

Un “no” forte a qualsiasi violenza e l’invito ad “avere il coraggio di impegnarsi sempre più attivamente in favore della pace e del  dialogo, che soli possono permettere di progettare con speranza l'avvenire del pianeta”. E’ quanto ha detto il Papa in un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, inviato al 19.mo “Incontro internazionale uomini e religioni”, promosso dalla Comunità di Sant'Egidio e iniziato ieri a Lione, in Francia. Quest'anno la manifestazione ha per titolo: “Il coraggio di un umanesimo di pace”. “Possano gli uomini di oggi – afferma il Papa nel messaggio - implorare da Dio il dono della sua pace, facendo affidamento sulla promessa di Cristo: ‘Io vi lascio la pace, io vi dono la mia pace’, in modo che essi siano capaci di accoglierne tutte le esigenze e di essere fondatori di pace”. Da Lione il servizio della nostra inviata Francesca Sabatinelli:

 

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“La violenza di qualsiasi tipo non può risolvere i conflitti, ma ipoteca gravemente l’avvenire e non rispetta né le persone né i popoli”. Occorre lavorare per la pace e il dialogo, indispensabili per affrontare il futuro. E’ l’appello di Benedetto XVI ai partecipanti all’appuntamento di Lione e rivolto soprattutto ai giovani.

 

Quest’anno Sant’Egidio ha portato lo spirito di Assisi nella più antica diocesi francese per un incontro che coincide con un drammatico anniversario: quattro anni dagli attentati negli Stati Uniti. “E’  proprio il dolore – secondo il fondatore di Sant’Egidio, Andrea Riccardi - ad unire genti di religioni diverse nella compassione. Nei gulag e nei lager – sottolinea – sono nati ecumenismo e dialogo. Niente in questo mondo, neppure una religione, può essere egenomico. Dalle grandi religioni può arrivare la risposta al bisogno di identità, senza cadere nelle intolleranze”. 

 

Per Nicolas Sarkozy, ministro dell’Interno di Parigi, “le religioni sono la chiave necessaria agli uomini per trovare un senso alla loro esistenza”. Strenuo difensore della laicità francese, che – specifica il ministro – non è nemica delle religioni, Sarkozy ricorda il proprio impegno in favore di una rappresentanza riconosciuta dell’Islam francese. “Un Islam che condanna il terrorismo, che lo proibisce, che non lo giustifica”, precisa Ezzeddin Ibrahim, consigliere presidenziale degli Emirati Arabi Uniti. “Un terrorismo al quale occorre togliere la maschera religiosa e mostrare che sotto vi è il profilo del nichilismo e che i terroristi sono criminali e non uomini religiosi”, aggiunge il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.

 

“Si tratta, dunque, di stabilire e di definire una sempre più forte collaborazione tra Oriente ed Occidente”: il cardinale Ignace Moussa I Daoud, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, lancia alla folta platea pesanti interrogativi: tra Oriente ed Occidente c’è un vero conflitto, uno scontro, uno shock di civiltà? ci può essere un dialogo? Senz’altro sì, se le religioni – è la convinzione del presidente dell’Assemblea dei Rabbini di Italia, Laras – smettono di giustificare contese e guerre per impegnarsi – pur nella loro diversità – a riscoprire il ruolo di servizio a favore dell’uomo e dei popoli. Senz’altro sì, fa eco il teologo musulmano Muhammad Ali Taskhiri, se si raccoglie il lascito di Giovanni Paolo II: la fiducia delle altre religioni del libro.

 

         Da Lione, Francesca Sabatinelli, Radio Vaticana.

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All’incontro di Lione partecipa anche il presidente del Mozambico, Armando Emilio Guebuza. In questo Paese africano grazie alla mediazione della Chiesa, e in particolare della Comunità di Sant’Egidio, nel 1992 è stato firmato a Roma un accordo di pace che ha posto fine ad oltre 15 anni di guerra civile. Ma ascoltiamo la testimonianza del presidente mozambicano sulla centralità del dialogo per raggiungere una pace duratura. L’intervista è di Francesca Sabatinelli:

 

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R. – I CAME TO …

Sono venuto a Lione per partecipare a questo evento importante che riunisce persone di lingue diverse, civiltà e religioni. Persone convinte che attraverso il dialogo la pace possa essere costruita e rinforzata. Siamo venuti qui a dire che noi crediamo nelle stesse cose. Noi siamo fortunati in un certo qual modo perché siamo stati in grado di superare i problemi in Mozambico attraverso il dialogo, grazie anche al ruolo della Chiesa. In particolare, le persone di Sant’Egidio ci hanno aiutato a raggiungere questi risultati. D’altronde, la povertà è una seria minaccia alla pace. Dobbiamo sconfiggere la povertà se vogliamo dare speranza al popolo del nostro Paese. Assieme alla povertà, nel Mozambico oggi, l’urgenza è l’AIDS. Abbiamo molte persone che soffrono a causa di questa malattia mortale. Abbiamo approcci differenti nella prevenzione e credo che ne serva uno più pratico e realistico al problema, così che le persone attraverso i loro costumi e modi di vivere possano combattere questa malattia. Sant’Egidio sta aiutando molti giovani a impegnarsi, a credere di poter avere un futuro diverso.

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COMPLETATO IL RITIRO ISRAELIANO DALLA STRISCIA DI GAZA,

 DOPO 38 ANNI DI OCCUPAZIONE. PER ABU MAZEN, E’ UN “GIORNO DI GIOIA”

 PER TUTTI I PALESTINESI. POLEMICHE DA PARTE ISRAELIANA PER LA DISTRUZIONE

DELLE SINAGOGHE LASCIATE DAI COLONI

- Con noi, padre Emile Salayta -

 

Le forze israeliane hanno completato il ritiro da Gaza ed hanno issato la bandiera nazionale al valico di Kissufim, principale accesso alle colonie di Gush Katif, demolite nelle scorse settimane. Una giornata storica, dunque, che pone fine – dopo 38 anni – all’occupazione israeliana della Striscia di Gaza. Ma non mancano le polemiche, legate soprattutto alla distruzione, da parte palestinese, delle sinagoghe abbandonate dai coloni. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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Il ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza è “un giorno di gioia” per tutti i  palestinesi, ha detto il presidente dell’ANP, Abu Mazen. “Un’occasione storica per i due popoli”, gli ha fatto eco il generale israeliano Harel. Chi, invece, sembra non cambiare direzione è Hamas. Il gruppo radicale islamico palestinese ha dichiarato oggi che non intende rinunciare alla lotta armata fino alla liberazione di tutti i territori occupati. Il ritiro israeliano da Gaza si è svolto nei modi e nei tempi programmati dai vertici militari. Dal canto suo, l'Autorità Nazionale Palestinese ha fatto in modo che le operazioni non fossero intralciate da attentati o agguati. Una cooperazione apprezzata dal ministro israeliano della Difesa, Mofaz. Tuttavia, la pressione popolare palestinese si è rivelata incontenibile per le forze di sicurezza. In alcune ex-colonie, masse di dimostranti hanno assaltato le sinagoghe lasciate sul terreno dai coloni israeliani e le hanno date alle fiamme. Un razzo Qassam, inoltre, è stato sparato dalla Striscia verso la città israeliana di Sderot, dove è esploso senza provocare danni. La distruzione dei luoghi sacri agli ebrei ha provocato un’immediata reazione dei coloni ebrei che sono scesi in piazza a Hebron, in Cisgiordania. Per il Consiglio dei rabbini della Giudea-Samaria i roghi delle sinagoghe dimostrano “un odio viscerale verso l'ebraismo”.

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Ma quale peso potrà avere il completamento del ritiro israeliano da Gaza sul processo di pace in Medio Oriente? Roberto Piermarini lo ha chiesto a padre Emile Salayta, per anni a Ramallah, rappresentante del Patriarcato latino di Gerusalemme:

 

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R. – Sicuramente si tratta di un passo in avanti, ma che ancora non basta. Non basta perché il ritiro di Gaza non è ancora un fatto completo, perché i palestinesi non hanno ancora un controllo assoluto sul mare, sulla terra e sul cielo. Non hanno ancora una sovranità, è ancora tutto sotto controllo israeliano. Hanno lasciato una terra distrutta e non dobbiamo infatti dimenticare che Gaza è stata sotto occupazione militare per 38 anni. C’è miseria, c’è povertà ed un mercato totalmente dipendente da Israele. Per il momento c’è caos. Deve essere completato con il ritiro totale, la sovranità completa dei palestinesi e con il ritiro dai Territori Occupati, che sono ancora sotto occupazione militare.

 

D. – La Chiesa cattolica ha delle strutture a Gaza?

 

R. –Sì, abbiamo una parrocchia del Patriarcato latino con due scuole, una elementare ed una scuola superiore; ci sono poi la parrocchia ortodossa e la chiesa anglicana. Ci sono quasi 5 mila cristiani a Gaza ed un milione e 300 mila palestinesi musulmani.

 

D. - Come vivono, c’è libertà religiosa?

 

R. – In Gaza sì. Non abbiamo nessun problema e nessuna difficoltà con i palestinesi, perché siamo palestinesi, apparteniamo allo stesso popolo, con la stessa cultura ed affrontiamo insieme le difficoltà e le prove quotidiane.

 

D. – Cosa ne sarà delle sinagoghe lasciate negli insediamenti ebraici?

 

R. – Le hanno lasciate perché non potevano distruggerle e sicuramente ora potrà trasformarsi in una sorta di pubblicità per Israele: essendo proprietà israeliana, potevano distruggerle, come hanno fatto con le loro case. Ma non lo hanno fatto, le hanno lasciate, forse per farle distruggere dai palestinesi.

 

D. – Il ritiro israeliano potrà aiutare le autorità palestinesi a riportare ordine a Gaza?

 

R. – Serve un po’ di tempo per riprendere un pieno controllo da parte dei palestinesi. La comunità internazionale deve ora dare un appoggio ai palestinesi ed aiutarli con i mezzi necessari per riuscire a controllare la terra e il popolo.

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IL DRAMMA DEGLI ERITREI IN FUGA DAL LORO PAESE DIETRO L’ENNESIMA TRAGEDIA

DEL MARE IN SICILIA: CE NE PARLA RAFFAELLO ZORDAN

- Intervista con Raffaello Zordan -

 

L’ennesimo tragico sbarco di clandestini africani sulle coste della Sicilia si è concluso con la morte di 11 persone, i cui cadaveri sono stati recuperati nelle prime ore di domenica su una spiaggia di Gela. Sette presunti scafisti sono stati arrestati. Per loro l’accusa è di omicidio volontario e violazione alla legge sull’immigrazione. Si tratta di sei egiziani e un libico che sono stati rinchiusi nel carcere di Caltagirone. I morti, tutti uomini, sembrano di età compresa fra i 18 e i 22 anni, anche se alcuni potrebbero essere ancora più giovani. Tuttavia, sarà l’autopsia, disposta dal magistrato Maria Bianchetti, a stabilirlo. Il magistrato vuole accertare, se i decessi siano avvenuti per annegamento all’arrivo in Sicilia o per altre cause durante la traversata. Nell’imbarcazione, partita dalla Libia, sarebbero state complessivamente 170 le persone a bordo. Ne sono state salvate 140, all’appello ne mancherebbero ancora una decina. Gli immigrati tratti in salvo sono in gran parte eritrei. Un aspetto questo che spinge ad interrogarsi sulle situazione di questo Paese africano, impegnato da anni in una sanguinosa contesa con l’Etiopia per una questione di confini. Ma come vive, dunque, la popolazione in Eritrea? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Raffaello Zordan, redattore della rivista dei Missionari comboniani Nigrizia:

 

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R. – La comunità eritrea vive in una condizione di ristrettezze economiche e democratiche. Naturalmente il Paese è in mobilitazione di guerra e con questa situazione dei diritti umani fatica enormemente ad attrarre investimenti. Quindi, la situazione è molto, molto complicata.

 

D. – E i giovani?

 

R. – I giovani sono destinati a fare il servizio militare, a servire per obiettivi di un leader che francamente ha perduto la stima della sua gente e anche la stima, per quello che possiamo vedere, del quadro internazionale. Anche se, non dimentichiamolo, l’11 settembre, la guerra in Iraq, hanno fatto sì che certe posizioni della comunità internazionale siano congelate. Washington ha stabilito che la lotta al terrorismo internazionale ha una priorità assoluta e siccome, dunque, sia Addis Abeba che Asmara si sono schierate con i marines, che sono entrati in Iraq, è chiaro che l’amministrazione Bush non è disponibile a mettere in discussione quelle leadership.

 

D. – Non è un caso, dunque, che la fuga rappresenti l’unica prospettiva di speranza per la popolazione…

 

R. – Quelli che riescono a partire sono persone che sono riuscite ad entrare in contatto con chi rende possibile i viaggi. E’ evidente che ci sono organizzazioni internazionali che si occupano di questo commercio. Questo tema degli eritrei che arrivano in Italia dovrebbe farci riflettere ad ampio raggio sull’immigrazione e collocarla dentro un contesto internazionale che è complicato e per milioni di persone tragico.

 

D. – Quanto può costare un viaggio del genere?

 

R. – 1.300 euro o dollari, 1.500… dipende poi dalla situazione. Teniamo conto che sono delle cifre enormi. Stiamo parlando di Paesi che hanno redditi pro capite molto inferiori a questi. Quindi, per mettere insieme qualcosa di quel genere o hanno venduto tutto quello che avevano oppure la famiglia ha contribuito a mettere insieme, privandosi di quasi tutto, quella cifra per consentire a qualcuno di trovare una possibilità.

 

D. – Cosa fa la Chiesa nel Paese?

 

R. – La Chiesa è impegnata da tantissimo tempo in quel Paese ed è legata a progetti educativi, quindi la scuola e la sanità. Questi sono i due ambiti sui quali cerca di fare da cuscinetto a determinate situazioni. Bisogna dire che la Chiesa cattolica non è che abbia potuto alzare molto la testa. Afeworki non consente alla Chiesa cattolica e alle altre religioni di poter esprimere critiche rispetto alla sua gestione del potere. Per rimanere lì, quindi, bisogna farlo quasi in silenzio.

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CHIESA E SOCIETA’

12 settembre 2005

 

 

 

SI CONCLUDE OGGI LA VISITA DEL CARDINALE CRESCENZIO SEPE IN AZERBAIGIAN. DURANTE LA VISITA, IL PORPORATO HA SOTTOLINEATO LO STRAORDINARIO VALORE DEL DIALOGO INTERRELIGIOSO E HA PARTECIPATO ALLA POSA DELLA PRIMA PIETRA DELLA NUOVA CHIESA DI BAKU, LA PRIMA NELLA CAPITALE DOPO IL REGIME COMUNISTA

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

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BAKU. = La Santa Messa nella cappella della comunità cattolica azera, la benedizione del cantiere di una casa per i senza tetto e la cerimonia per la posa della prima pietra della nuova chiesa di Baku. Sono alcune delle tappe della visita in Azerbaigian del prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il cardinale Crescenzio Sepe. Durante la visita, che si conclude oggi, il porporato ha sottolineato lo straordinario valore del dialogo interreligioso in Azerbaigian, un dialogo fondato sulla realizzazione di opere per le quali ognuno offre il proprio contributo. Nell’omelia, pronunciata durante la celebrazione eucaristica nella cappella della comunità cattolica a Baku, il cardinale Sepe ha rimarcato, inoltre, il significato del perdono ricordando i torti arrecati al popolo azero dall’ideologia totalitaria del comunismo. Partecipando ieri alla cerimonia per l’inizio dei lavori di una casa per i bisognosi e per i poveri, il porporato ha poi ringraziato il presidente azero Ilham Aliev, le autorità civili e religiose e ha ricordato il più grande insegnamento di Gesù Cristo: “Amare Dio e il prossimo”. Cercando di rendere fruttuoso tale comandamento – ha spiegato il cardinale – è nato il desiderio di costruire questa casa che sarà affidata alle suore della Carità, figlie di Madre Teresa di Calcutta. Sempre ieri, il prefetto di Propaganda Fide ha partecipato a Baku alla cerimonia per la posa della prima pietra, benedetta da Giovanni Paolo II, della nuova chiesa. In questa occasione, il cardinale ha parlato della comunità cattolica azera: una comunità piccola – ha spiegato – ma la presenza cristiana in Azerbaigian è molto antica e risale al I secolo dopo Cristo. Il porporato ha anche ricordato le tristi vicende del secolo scorso ed il dramma della persecuzione dopo l’avvento del comunismo. Durante il regime comunista, sono state distrutte tutte le chiese cattoliche. Il cardinale Sepe ha quindi sottolineato che partecipare alla benedizione per la costruzione della nuova chiesa, la prima della capitale dopo 70 anni di sofferenze, “è un provvidenziale segno di Dio”. Un vero credente – ha concluso – non si lascia trascinare dall’odio e dal fanatismo, ma guarda l’altro con il cuore pieno di amore e di misericordia. In Azerbaigian, dove vivono circa 8 milioni di persone, i cristiani sono quasi 350.000. La comunità cattolica è composta da 150 azeri e da 120 stranieri.

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L’IMPORTANZA DELLA CONOSCENZA DELL’ALTRO

E LA CONSAPEVOLEZZA DELL’ESSENZA DEL CRISTIANESIMO.

SONO I TEMI CENTRALI DEL XIII CONVEGNO ECUMENICO DI SPIRITUALITÀ ORTODOSSA, IN CORSO A BOSE E DEDICATO A SAN GIOVANNI DI DAMASCO

 

BOSE. = “San Giovanni di Damasco: un padre al sorgere dell’islam”. E’ il titolo del XIII Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa, dedicato al padre della Chiesa unita del VII-VIII secolo. L’incontro, iniziato ieri nel monastero di Bose, in Piemonte, intende approfondire il valore dell’accoglienza dell’altro attraverso l’insegnamento San Giovanni di Damasco. Il priore della comunità monastica di Bose, padre Enzo Bianchi, ha detto che “l’islam per il Damasceno è una nuova istanza con la quale i cristiani non possono non confrontarsi”. Il priore di Bose ha illustrato l’importanza di due vie proposte dal Damasceno: la conoscenza amorosa dell’altro e la piena consapevolezza del cristianesimo. “La conoscenza e la contemplazione del mistero di Cristo – ha spiegato padre Bianchi - deve orientare anche noi come più di mille anni fa orientò il damasceno nell’incontro con l’islam”. Questo incontro – ha aggiunto – deve avvenire secondo le vie e nello spirito del Vangelo. Durante il convegno, che si concluderà domani, sono stati letti due messaggi inviati a padre Enzo Bianchi dal segretario di Stato, il cardinale Angelo Sodano, e dal patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I. Il porporato ha auspicato che lo studio delle comuni origini cristiane di Oriente ed Occidente rechi frutti di sempre più profonda comunione all’intero corpo ecclesiale. Il patriarca di Costantinopoli ha sottolineato, inoltre, il valore del ritorno alle radici patristiche da parte dei cristiani di tutte le confessioni. (A.L.)

 

 

IL TRIBUNALE POPOLARE DI KIGALI HA RINVIATO ALLA GIUSTIZIA ORDINARIA IL CASO DI PADRE GUY THENIUS, ARRESTATO MARTEDI’ SCORSO IN RWANDA CON L’ACCUSA DI AVER FOMENTATO IL GENOCIDIO DEL ’94,

ATTRAVERSO LA RIVISTA “DIALOGUE”

 

KIGALI. = “Dopo aver esaminato le informazioni raccolte con le testimonianze, abbiamo deciso che padre Guy Theunis debba essere giudicato da un tribunale ordinario”. E’ la decisione presa da nove giudici di un tribunale popolare di Kigali, riuniti per esaminare il caso del missionario belga, arrestato martedì sera all’aeroporto internazionale di Kigali e recluso nella prigione centrale della capitale. Il sacerdote è accusato di essere coinvolto – in modo indiretto - nel terribile genocidio consumatosi nel Paese africano nel 1994. Padre Thenius ha detto di non comprendere assolutamente le accuse mosse nei suoi confronti. A quanti hanno contestato la decisione di pubblicare sulla rivista “Dialogue”, diretta dal missionario, estratti di una pubblicazione estremista, il sacerdote belga ha risposto che quegli articoli facevano parte di una rassegna stampa. Molti dei testimoni a sua difesa – riferisce l’Agenzia MISNA - non si sono presentati, tranne un’esponente dell’organizzazione Human Rights Watch. Tra il pubblico, invece, erano presenti numerosi funzionari ruandesi e alcuni di loro sono intervenuti più volte contro il missionario. Il ministro degli Esteri belga, Karel de Gucht, “ha preso nota” della decisione del tribunale popolare di Kigali. Il governo belga, che ha fornito un avvocato a padre Theunis, ha confermato che continuerà a garantire al missionario anche l’assistenza del proprio consolato a Kigali. (A.L.)

 

 

LETTERA PASTORALE DELL’ARCIVESCOVO DI FIRENZE, ENNIO ANTONELLI, ALLA DIOCESI: Il valore dell’Eucaristia SIA culmine della vita di fede.

La parrocchia DIVENTI casa di tutti,

 LUOGO DI RELAZIONI FRATERNE DOVE RITROVARE IL GUSTO DI STARE INSIEME

- a cura di Tiziana Campisi -

 

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FIRENZE. = È dedicata alla comunità cristiana e all'Eucaristia la nuova lettera pastorale “La parrocchia comunità eucaristica per il mondo” che il cardinale Ennio Antonelli, arcivescovo di Firenze, ha rivolto alla sua diocesi. Nel documento, il porporato invita in particolare i suoi fedeli a non trascurare la partecipazione alla liturgia. La domenica, proprio perché è il giorno del Signore, è anche il giorno dell'uomo, spiega il cardinale Antonelli. “Occorre risvegliare nelle persone il gusto di stare insieme. Secondo le possibilità, si creino per le famiglie occasioni e iniziative frequenti di aggregazione significativa e gioiosa, alternativa alle proposte del consumismo imperante”, si legge nella lettera. L’arcivescovo di Firenze esorta a curare la spiritualità, la mentalità, gli atteggiamenti, le relazioni fraterne. La parrocchia deve essere spazio accogliente per tutti: praticanti e non praticanti, famiglie regolari e convivenze irregolari, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti. La forte diminuzione di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, deve indurre per l’arcivescovo di Firenze a ripensare seriamente la presenza della Chiesa sul territorio e l’animazione pastorale. “Accanto ai sacerdoti – scrive il cardinale – deve emergere una varietà di figure ministeriali con responsabilità ben definite e un'adeguata preparazione spirituale, teolgica e pastorale: i diaconi innanzitutto, ma anche altri ministeri ecclesiali non ordinati”. Inserita nel cammino biennale, dopo l'anno di discernimento e di proposta, la lettera del cardinale Antonelli raccoglie il percorso compiuto, l’arcivescovo di Firenze vi esprime anche un desiderio: “Vorrei trasmettervi un amore forte per la Chiesa, anzi una vera e propria devozione verso di essa”. Forte anche il quadro che il cardinale richiama alla fine della Lettera pastorale mettendo a confronto la realtà che è sotto gli occhi di tutti e le scelte coraggiose che il cristiano deve assumere: “In una società competitiva, divisa e individualista come la nostra, l'amore reciproco e verso tutti, compresi i nemici, deve portare la bellezza dell'unità e la forza della riconciliazione. Nella nostra civiltà dell'effimero – nota il porporato – senza memoria e senza speranza, la gioia duratura e il coraggio nella tribolazione devono attestare che la vita ha una meta di felicità eterna e quindi una direzione, un valore e che la sofferenza, l’ingiustizia, la solitudine e la morte non sono definitive. Nel diffuso degrado morale e sociale, l’impegno assiduo per ordinare le attività e le istituzioni a servizio della persona deve porre i segni di un’umanità nuova e di un mondo nuovo”. Singolare l’invito rivolto nella lettera ad ogni parrocchia perché racconti, per iscritto, un’esperienza ritenuta significativa in rapporto ai contenuti della stessa da riportare durante l’assemblea diocesana del prossimo anno.

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24 ORE NEL MONDO

12 settembre 2005

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

Il primo ministro giapponese Junichiro Koizumi ha ribadito oggi, all'indomani della 'storica' vittoria del Partito liberaldemocratico (Ldp) nelle elezioni anticipate, che non intende prolungare la sua permanenza alla guida del governo al termine del mandato di presidente dell'Ldp, nel settembre 2006. Koizumi ha precisato che manterrà per ora in carica tutti i ministri e i massimi dirigenti dell'Ldp fino al termine di una sessione speciale del parlamento che intende convocare il prossimo 21 settembre. Il servizio di Chiaretta Zucconi:

 

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Insieme al suo partner, il nuovo Komei di ispirazione buddista, la coalizione di governo ha strappato 327 seggi, più dei due terzi della maggioranza di 320 all’interno della Camera bassa formata da 480 deputati. Come risultato di ciò, il “magico” Koizumi, come oggi lo definisce la stampa nipponica, sarà quasi certamente rieletto premier durante una sessione speciale della Dieta, prevista per la prossima settimana, e potrà quindi ripresentare in Parlamento, già da ottobre, il disegno di legge sulla privatizzazione delle Poste, cavallo di battaglia del suo programma di riforme strutturali. Vittoria schiacciante per Koizumi e canto del cigno per Katsuya Okada, 52 anni, leader del Partito democratico che si è dimesso dalla carica di presidente scusandosi con i suoi compagni e con gli elettori per - ha affermato – non essere riuscito a conquistare il potere e a creare una nuova amministrazione. I democratici hanno mantenuto soltanto 113 seggi dei 175 detenuti fino all’altro ieri: è la prima sonora retrocessione dal 1996, anno di fondazione del loro partito.

 

Per Radio Vaticana, da Tokyo, Chiaretta Zucconi.

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 Gli Stati Uniti hanno ricordato ieri le 2.749 vittime degli attentati dell’11 settembre. Proprio quando il Paese è in piena emergenza per l’uragano Katrina, con il presidente Bush a New Orleans, ieri alle 8,46, le nostre 14.46, l'ora in cui il primo aereo si schiantò sulle Torri Gemelle, Ground Zero ha rivissuto la tragedia. Da New York, Paolo Mastrolilli:

          

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Al Qaeda è tornata a minacciare gli Stati Uniti proprio nell’anniversario dell’11 settembre. Un seguace di Osama Bin Laden, nato in America, ha detto in un video che Los Angeles potrebbe essere il prossimo obiettivo. La tragedia del passato intanto si è mescolata a quella del presente nelle cerimonie tenute per ricordare gli attentati, senza dimenticare la sofferenza delle persone colpite dall’uragano Katrina. A New York, nella voragine ancora aperta di Ground Zero, i fratelli e le sorelle delle persone morte quattro anni fa hanno letto i loro nomi, alla presenza del segretario di Stato Rice, il governatore Pataki e il sindaco Bloomberg. Diversi familiari si sono commossi ripensando agli attentati e al vuoto creato nelle loro vite. Il presidente Bush ha partecipato ad una cerimonia di preghiera a Washington e poi ha osservato un minuto di silenzio sul prato della Casa Bianca, prima di partire per la terza visita nelle regioni colpite dall’uragano. In Pennsylvania, dov’era precipitato il quarto aereo, c’è stata un’altra celebrazione con il ministro della Giustizia Gonzales. L’87 per cento degli americani considera ancora l’11 settembre come l’evento storico più grave della loro esistenza, che ha cambiato per sempre la vita negli Stati Uniti. Oltre il 60 per cento si aspetta nuovi attentati. L’unità politica generata dagli attacchi di quattro anni fa però non c’è più, come dimostrano le polemiche sui soccorsi per l’uragano. La nuova tragedia ha mobilitato gli americani negli aiuti, ma l’opinione pubblica si è divisa nell’attribuzione delle responsabilità. Il presidente Bush ha cercato di collegare l’11 settembre a Katrina per rispondere alle critiche, rilanciare la propria leadership, e oggi visiterà ancora le aree disastrate. Ma la flessione della sua popolarità c’è stata e potrà essere assorbita solo con i risultati della ricostruzione.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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 Un autobus dirottato e dato alle  fiamme, auto e negozi distrutti, polizia attaccata a colpi di molotov e ordigni artigianali con almeno un agente ferito,  undici arresti e mezza città chiusa al traffico: questo il bilancio della seconda notte di guerriglia urbana nella città di Belfast, in Ulster. Circa 700 estremisti lealisti protestanti hanno ingaggiato violenti scontri con la polizia dopo che sabato, a una delle tradizionali marce dei protestanti orangisti, è stato impedito l'attraversamento di un quartiere cattolico. Si tratta dei peggiori scontri nell'Irlanda del Nord dal 2000. I nuovi scontri sarebbero stati la reazione alle perquisizioni della polizia nelle abitazioni di alcuni estremisti protestanti accusati di aver organizzato gli scontri  di ieri notte.

 

 In Iraq, l'offensiva scatenata a Tel Afar da governativi e marine USA divide i partiti della minoranza turcomanna, cui appartiene più del 90 per cento degli abitanti della cittadina. La cittadina stessa, che si trova a ridosso del confine con la Siria, sarebbe stata trasformata in una base degli insorti e dei miliziani integralisti seguaci di Abu Musab al-Zarqawi, l'emiro di Al Qaeda in Iraq. Secondo fonti giornalistiche, in un comunicato, il partito turcomanno Elli ha chiesto l'intervento di leader religiosi, del Consiglio degli ulema, del governo e dell'Assemblea nazionale irachena, delle organizzazioni umanitarie e per la difesa dei diritti umani per ''porre fine al bagno di sangue'' a Tel Afar. Il partito Elli ha inoltre denunciato quelle che ha definito ''misure ingiuste'' adottate contro gli abitanti turcomanni della città, affermando che tutte le comunità di Tel Afar si erano unite per combattere ''i terroristi venuti da fuori''. In un altro comunicato, l'Unione islamica dei turcomanni d'Iraq ha invece manifestato il suo sostegno all'offensiva militare a Tel Afar, definendola un ''passo decisivo per liberare la città dai terroristi stranieri. Intanto, secondo il quotidiano iracheno 'Al Mashreq', il ministro degli Esteri, Hoshiyar Zebari, ha ordinato la destituzione di 26 diplomatici, che sono stati rimossi dal personale del suo dicastero perchè accusati di passati legami con il deposto regime di Saddam Hussein.

 

 Il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, ha firmato la modifica della  costituzione del Paese che, secondo alcuni osservatori, rafforza e rende ancora più inattaccabile il suo potere. Il provvedimento era stato approvato meno di due settimane fa dal parlamento, due terzi dei seggi del quale sono in mano al partito Zanu-Pf dello stesso Mugabe. Gli emendamenti costituzionali, fra l'altro, rendono legale la nazionalizzazione delle terre dei bianchi, di fatto vanificando i ricorsi presentati dai farmer bianchi contro gli espropri delle loro proprietà, volute da Mugabe nell'ambito della sua controversa riforma agraria. La riforma, secondo i critici, ha  distrutto l'agricoltura, un tempo ricca, del Paese.

 

 Norvegesi al voto oggi per le elezioni parlamentari, il cui risultato è estremamente incerto. Il nostro servizio:

 

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Secondo la maggioranza dei sondaggi, a vincere dovrebbe essere  l'opposizione di sinistra rosso-verde (Partito laburista, Sinistra socialista e Partito centrista), che per la prima volta  si presenta unita sotto la guida di Jens Stoltenberg. Toglierebbe il governo alla coalizione di centrodestra (democratici cristiani, conservatori e liberali) al potere dal 2001 con il premier, Kjell Magne Bondevik. Ma gli esperti  prevedono che la competizione si deciderà all'ultimo voto. Gli oltre 3 milioni di norvegesi dovranno scegliere tra la  riduzione delle tasse proposta dal centro destra e invece  l'aumento della spesa sociale, scelta come punto di forza  dall'opposizione.  Il Paese, terzo esportatore di petrolio al mondo, da cinque anni si aggiudica il primo posto nella classifica dell'ONU dei Paesi in cui si vive meglio. Ha un’economia sana, con un tasso di crescita che quest'anno che si attesterà al 4% e con  la  disoccupazione al 3,7%.

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 Nuovo appello a  Bruxelles dell'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Unione europea, Javier Solana, e del segretario  generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, sull'importanza  della cattura di Radovan Karadzic e di Ratko Mladic, gli ex capi politico e militare dei serbo-bosniaci durante le guerre degli  anni '90. ''Si avvicina l'anniversario dei dieci anni degli accordi di pace di Dayton ed è assolutamente necessario vedere Karadzic e  Mladic consegnati al tribunale dell'Aja'', ha sottolineato De Hopp Scheffer, ribadendo in sostanza l'appello già lanciato da UE e NATO in occasione della commemorazione del massacro di Srebrenica lo scorso luglio.

 

 Il prezzo del petrolio OPEC è salito venerdì scorso a 57,58 dollari per barile (159 litri) rispetto a 57,48 dollari (+0,10) del giorno precedente, secondo  dati resi noti oggi a Vienna dal segretariato dell'OPEC. Il prezzo medio del petrolio OPEC è calcolato sulla base di un 'paniere' di undici diversi tipi di greggio venduti dai Paesi dell'organizzazione e viene reso noto il giorno lavorativo successivo alle transazioni.

 

 Sono almeno 14 le vittime nello Zhejiang, sulla costa meridionale della Cina, provocato dal tifone Khanun, secondo i mezzi d' informazione cinesi. I dispersi sono otto.  Khanun è il quindicesimo tifone che si è abbattuto sulla  regione dall'inizio dell'anno. Oltre un milione di persone sono  state evacuate dalle zone costiere. Gli evacuati hanno preso alloggio in scuole e ospedali. Le vittime di un altro tifone, Talim, che si è abbattuto sulla Cina meridionale all'inizio di settembre, sono state 124, con oltre 30 persone ancora date per disperse. Scuole e uffici sono chiusi oggi per precauzione in tutta la  provincia del Zhejiang e nella capitale finanziaria della Cina, Shanghai, poco più a nord. Entrambi gli aeroporti della  metropoli, quello di Pudong e quello di Hongqiao, sono stati chiusi e oltre 400 voli sono stati cancellati. In tutta la Cina nel 2005 le vittime dei tifoni e dei cicloni  sono state più di mille.

 

 Un gruppetto di giovani naziskin ha aggredito nelle scorse ore a Mosca un diplomatico giapponese, colpendolo con pugni al volto, nell'ennesimo attacco di matrice xenofoba compiuto negli ultimi mesi nella capitale russa.  La procura di Mosca ha aperto un'inchiesta per lesioni e incitamento all'odio etnico e razziale.

        

 Il fenomeno del nazionalismo violento si è aggravato in Russia (come in altri Stati dell'ex blocco sovietico) negli ultimi anni, soprattutto fra i giovani di ambienti sociali marginali, secondo alcune stime di difensori dei diritti umani che indicano in almeno 10.000 i naziskin attivi nel Paese. Nelle settimane scorse la questione ha avuto anche contraccolpi diplomatici con la Polonia, dopo tre aggressioni di cittadini polacchi a Mosca, seguite al pestaggio di tre giovani russi (figli di diplomatici) e di un loro compagno kazako avvenuto a Varsavia da parte di skinhead locali. 

 

 L'Assemblea generale dell'ONU è il ''momento perfetto'' per dimostrare la ''volontà politica'' di aiutare i Paesi poveri. Il presidente della Commissione Europea, Josè Manuel Barroso, interviene così, in vista del Vertice al Palazzo di  Vetro del 14-16 settembre, sul tema degli aiuti ai Paesi poveri. E lo fa con un editoriale intitolato 'La generosità dell'Europa' pubblicato dal quotidiano The Wall Street Journal Europe.  Barroso sottolinea che l'UE non è, come molti pensano, ''un mostro burocratico le cui politiche protezionistiche e il cui vezzeggiato settore agricolo danneggiano gravemente i Paesi in via di sviluppo''. Anzi - scrive - l'UE è per i Paesi più poveri il mercato più aperto del mondo”. “L’accesso al mercato è parte della soluzione – spiega Barroso - ma i Paesi più poveri hanno bisogno di aiuto per far diventare questo accesso una realtà''. L'Unione europea ''sta già mettendo molto sul tavolo”, prosegue Barroso, per poi affermare: “Fatemi lanciare il guanto: agli Stati Uniti, al resto del mondo sviluppato e perfino ai Paesi più ricchi in via di sviluppo''. Bruxelles vorrebbe che questi eguaglino l'iniziativa 'Everything But Arms', secondo cui tutti i beni (tranne le armi) importati nell'UE dai Paesi meno sviluppati del mondo non sono soggetti ad alcun dazio o quota.

 

 

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