RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
252 - Testo della trasmissione di venerdì 9 settembre 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
In
corso a Perugia la VI Assemblea dell’ONU dei Popoli: con noi Sergio Marelli
Crisi
politica in Ucraina dopo la “rivoluzione arancione”: ce ne parla Fabrizio
Dragosei
CHIESA E SOCIETA’:
L’Ordine del Santissimo Salvatore di Santa
Brigida ha da ieri 34 nuove suore professe e 32 novizie
Dal Convegno delle ACLI, mons. Betori richiama i
cattolici all’unità sulla difesa della vita
“Il giardiniere tenace” del regista Fernando Meirelles
al Festival del Cinema di Venezia
Egitto: domani i risultati definitivi delle presidenziali ma è scontata
la vittoria di Mubarak
Gli Stati Uniti stanziano 52 miliardi di dollari per far fronte ai danni
dell’uragano Katrina
9 settembre 2005
RICEVUTO
DAL PAPA QUESTA MATTINA A CASTEL GANDOLFO
IL PRESIDENTE DI SERBIA E MONTENEGRO SVETOZAR
MAROVIĆ
Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in udienza, nel
Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il presidente di Serbia e Montenegro,
Svetozar Marović, con la consorte e seguito.
Successivamente il Papa ha ricevuto alcuni presuli della
Conferenza episcopale del Messico, in visita “ad Limina”: mons. Francisco
Robles Ortega, arcivescovo di Monterrey, con gli ausiliari mons. Gustavo
Rodríguez Vega e mons. Alfonso Cortés Contreras; mons. Roberto Octavio Balmori
Cinta, vescovo di Ciudad Victoria; mons. Ramón Calderón Batres, vescovo di
Linares; mons. Faustino Armendáriz Jiménez, vescovo di Matamoros.
NOMINATI
IERI DAL PAPA I MEMBRI DELL’XI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
DEL SINODO
DEI VESCOVI CHE SI TERRA’ IN OTTOBRE IN VATICANO.
TRA DI
ESSI, ALCUNI PRESULI DELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE
Sono stati resi noti ieri i 36 membri nominati da
Benedetto XVI per l’XI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che
si terrà in Vaticano dal 2 al 23 ottobre prossimi sul tema ”L’Eucaristia:
fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa”. Fra i membri
nominati dal Papa figurano per la prima volta alcuni presuli della Repubblica popolare
cinese, scelti sia fra quelli riconosciuti dal Governo di Pechino, sia fra
quelli non attualmente riconosciuti. Si tratta di mons. Antonio Li Duan,
vescovo di Xi’an; mons. Luigi Jin Luxian, vescovo di Shanghai; mons. Giuseppe
Wei Jingyi, vescovo di Qiqihar e mons. Luca Li Jingfeng, vescovo di Fengxiang.
Benedetto XVI ha dimostrato, fin dall’inizio del suo
Pontificato, una grande attenzione alla Cina. Nel suo discorso al Corpo
Diplomatico del 12 maggio scorso aveva rivolto il suo pensiero “anche alle
nazioni con le quali la Santa Sede non intrattiene ancora relazioni
diplomatiche” formulando l’auspicio di vederle “al più presto rappresentate
presso la Sede Apostolica”. In questo contesto la nomina pubblicata ieri va
letta come un segno ulteriore, un invito positivo e amichevole al Governo cinese
per un dialogo sereno con la Santa Sede sulla situazione e la vita della Chiesa
cattolica in Cina. Una interpretazione offerta anche da mons. Luigi Jin Luxian,
vescovo di Shanghai, in una intervista rilasciata all’agenzia AsiaNews.
“MORALMENTE
NEGATIVO”: COSI’ IL VESCOVO ELIO SGRECCIA,
PRESIDENTE
DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA, GIUDICA IL NUOVO
ESPERIMENTO
SUGLI EMBRIONI IN GRAN BRETAGNA.
ANCHE
IL GENETISTA ANGELO VESCOVI ESPRIME VIVA PREOCCUPAZIONE
Scienziati britannici hanno ricevuto l'autorizzazione a
clonare un embrione umano utilizzando il materiale genetico di due madri. Lo ha
reso noto ieri dalla BBC: l’equipe dell’Università di Newcastle trasferirà il
nucleo di un embrione umano in un ovulo non fertilizzato di una seconda donna.
Il fine dell'operazione, affermano i ricercatori, è impedire alle madri di
passare alcune malattie genetiche al feto. Un esperimento moralmente inaccettabile,
che viola la legislazione internazionale sugli embrioni umani. E’ quanto
afferma il vescovo Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la
Vita, al microfono di Stefano Lesczynski:
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R. – Prima di tutto devo dire che si tratta di una
sperimentazione, il cui esito è tutto da vedere. In secondo luogo, dal punto di
vista morale, ci sono almeno tre illeciti. Il primo è che si fa una clonazione
vera e propria: si trasferisce cioè un ovulo preso da una cellula di un
embrione. Il secondo è che questo embrione, da cui si prende il nucleo, viene
soppresso ed abbandonato. Il terzo, infine, è che si crea un nuovo embrione e
lo si trasferisce nella donna che diventa una madre surrogata. C’è, quindi,
tutto un incrocio di illeciti, sui quali il giudizio della morale, e non
soltanto – credo – cattolica, è completamente negativo. Anche stando alle legislazioni
internazionali ci sono molti divieti. Ovviamente l’Inghilterra ormai è abituata
a non tenere nessun conto né dei divieti europei né dei divieti internazionali
sulla madre surrogata, sulla sperimentazione sugli embrioni e sulla clonazione,
che a livello di Nazioni Unite è stata proibita.
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Viva preoccupazione per questo tipo di esperimento viene
espressa anche dal prof. Angelo Vescovi, che si professa agnostico ed è uno dei
più noti studiosi al mondo nel campo delle cellule staminali,
intervistato da Alessandro Gisotti:
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R. - E’ molto difficile giudicare sulla base delle notizie date dalle
agenzie. Non sono sicuro che in questo caso si tratti propriamente di
clonazione. Potrebbe trattarsi di uno spostamento di un nucleo da una cellula
fecondata, uno zigote, ad una cellula uovo. In questo senso tecnicamente non si
parla di clonazione. Ciò non di meno esistono grossi problemi etici legati a
questa procedura. Nel caso si trattasse di clonazione, clonare un individuo
umano è inaccettabile, anche adducendo giustificazioni presuntamente
terapeutiche. Nel caso, invece, si trattasse della procedura di cui ho parlato
prima, esistono comunque grossi problemi etici. Il primo nasce relativamente ad
un atto di determinismo spietato. Si tratta di fare nascere in provetta, volutamente,
un embrione che si sa al cento per cento essere malato e poi operare una serie
di manipolazioni nel tentativo supposto di curarlo, non sapendo questo genere
di manipolazioni a che tipo di risultato porteranno sulla salute dell’eventuale
individuo che nascerà.
D. – Quindi, quali sono gli scopi di questo esperimento,
secondo lei?
R. – Mi sembra più che altro un tentativo di rivestire ancora una volta
con una finalità positiva per il nuovo individuo che nasce tutta una serie di
manipolazioni sperimentali che altrimenti non sarebbero giustificate.
D. – Ancora una volta l’annuncio degli esperimenti sugli embrioni arriva
dalla Gran Bretagna?
R. – Sono molto impressionato da questo tipo di scelta.
Evidentemente la sensi-bilità di alcuni ricercatori – non la voglio estendere
al mondo anglosassone in toto – nei confronti dei diritti dell’individuo
e della vita umana è profondamente diversa da quella di buona parte delle
persone che non sono ricercatori e del mondo, non dico cattolico, ma di un
mondo molto più ampio di quello cattolico… io stesso sono agnostico.
D. – Si può parlare di scontro tra etica e scienza?
R. – Non credo che sia questo il problema. Credo che ci
siano delle fortissime spinte a procedere in determinate direzioni a
prescindere da quelli che sono proprio i più ovvii quesiti che l’etica della
specie, la morale, ci pongono. Quali siano questi obiettivi: a volte sono
ideologici, a volte è semplicemente la mera pulsione ad una maggiore
conoscenza. Lo scienziato dovrebbe veramente cercare di evolvere verso lo stato
di scienziato, che vuol dire essere ricercatore nel rispetto delle finalità
etiche comunemente condivise. Nel momento in cui si prescinde da queste
finalità etiche, si ritorna ad essere quello che è un supertecnico. Io
distinguo sempre tra il ricercatore, che può essere semplicemente un tecnico
che svolge delle azioni estremamente sofisticate dal punto di vista tecnico
scientifico e lo scienziato, come potevano essere Galileo, Leonardo da Vinci, che
avevano delle finalità molto chiare e molto radicate nell’etica.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina l’Iraq:
Durissima denuncia dell’ONU sulle violenze inflitte ai civili.
Servizio vaticano - Un articolo
di Giampaolo Mattei sulla Messa celebrata dal cardinale José Saraiva Martins in
occasione della prima professione di sette novizie dell’Ordine del SS.
Salvatore di Santa Brigida.
Una pagina dedicata al tema
dell’Eucaristia.
Servizio estero - Ucraina: Un
vero terremoto politico scuote il Paese dopo nove mesi dalla “rivoluzione
arancione”; dopo la destituzione del governo, il presidente nomina premier
l’economista Juri Yekhanurov.
Servizio culturale - Un
articolo di Marco Testi dal titolo “Voci non sottomesse agli idoli della
contemporaneità”: l’antologia della “Nuovissima poesia italiana”.
Servizio italiano - Banca
d'’Italia: ancora nessuna soluzione in vista; il governatore non va
all’ECOFIN.
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9 settembre 2005
IL
RITARDO DELL’ONU NEGLI “OBIETTIVI DEL MILLENNIO”:
PER
SCONFIGGERE MISERIA E MALATTIE E’ NECESSARIA LA MOBILITAZIONE
DELLA
SOCIETA’ CIVILE ACCANTO AGLI STATI
-
Intervista con padre Carmine Curci -
Le Nazioni Unite hanno ammesso un ritardo incolmabile: il
Sud del mondo non riuscirà a risollevarsi dalle piaghe sociali che lo
affliggono, sulla base della tabella di marcia che Stati e governi
sottoscrissero nel 2000 riguardo ai cosiddetti “Obiettivi del Millennio”. La
conseguenza diretta è che per molte centinaia di milioni di persone il 2015 –
anno stabilito come limite dal Programma ONU – appare più lontano di ciò che è
realmente. Nel recente Rapporto stilato dal Palazzo di Vetro, a una settimana
dal vertice di New York, si dice chiaramente che, tra 10 anni, 827 milioni di
persone saranno in uno stato di estrema povertà, mentre 41 milioni di bambini
periranno per la scarsa incisività delle misure adottate per ridurre la
mortalità infantile. E altri 50 milioni circa non potranno ricevere
un’istruzione scolastica di base.
Vent’anni fa, all’inizio del capitolo dedicato al mondo
contemporaneo, Giovanni Paolo II scriveva nell’enciclica Sollicitudo rei socialis: “Il primo fatto da rilevare è che le
speranze di sviluppo (…) appaiono oggi molto lontane dalla realizzazione”.
Un’osservazione disincantata tuttora attualissima che – stante l’impegno della
Chiesa universale a servizio dei poveri – suscita la domanda se, dopo i ritardi
sul Programma del Millennio, esista ora il rischio di un ridimensionamento
della sfida globale alla fame e alla povertà. Ecco l’opinione di padre Carmine
Curci, direttore della rivista missionaria comboniana “Nigrizia”, intervistato
da Alessandro De Carolis:
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R. – Io credo che Stati e governi non vorranno
ridimensionare i loro impegni, ma rilanciare ancora una volta con delle nuove
proposte. Non vogliono dire: “Ci siamo posti dei grandi obiettivi, ma in realtà
abbiamo raccolto poco”. Preferiranno rilanciare con nuove idee. Ci troveremo
quindi nel 2015 a riconsiderare ancora le cose.
D. – A questo punto, guardando al futuro del mondo e cioè
ai bambini, due degli obiettivi che li riguardano principalmente appaiono a
tutt’oggi due scommesse praticamente perdute: decine di milioni moriranno e,
per moltissimi che ce la faranno, non vi sarà possibilità di istruzione. Cosa
si può fare?
R. – Penso che dobbiamo sempre più guardare non ai governi
ma alla base, alla società civile. Dobbiamo mobilitarci e spingere perché i
governi facciano delle scelte. Queste scelte finora sono venute dall’alto. Ora
dobbiamo ripensare a far partire queste scelte dal basso.
D. – Esistono dei modi in cui le singole persone,
specialmente se credenti, possono collaborare al raggiungimento di obiettivi
così importanti per tutta l’umanità?
R. – Come credenti siamo chiamati, anzitutto, a credere
nella vita e questo significa concretamente rivedere il nostro stile di vita,
impegnarci anche con un risparmio individuale per aiutare i popoli del sud del
mondo. Vorrei citare un proverbio del Kenya: “Quando le formiche si mettono
insieme, spostano un elefante”. Mettiamoci tutti insieme per spostare questo
grande elefante della povertà e della miseria.
D. – Circa 20 anni fa, nella Sollicitudo rei socialis, Giovanni Paolo II, analizzando il panorama
mondiale, con un sguardo tuttora molto attuale, affermava che la Chiesa “non
può restare indifferente” di fronte alle piaghe della miseria,
dell’analfabetismo, delle malattie. Come vedi l’impegno della Chiesa in relazione
agli obiettivi del Millennio dell’ONU?
R. – E’ stata
fatta un’inchiesta ed è stato chiesto in giro per il mondo: “Quali sono le istituzioni credibili?”. E non sono stati i
governi o altre istituzioni. Molti hanno fatto riferimento alla Chiesa, in
particolare alla Chiesa cattolica, come a una istituzione credibile. Ecco, noi
dobbiamo giocarci e fra fruttificare questa credibilità, grazie a tanti impegni
portati avanti da organizzazioni come la Caritas, come i Gruppi di base. Come
Chiesa, dunque, siamo chiamati a lavorare dove veramente abbiamo il nostro specifico:
la gente.
D. – Dal tuo osservatorio privilegiato, orientato in
particolare all’Africa, cosa hai notato in termini di miglioramento, o anche di
peggioramento, in relazione al programma lanciato cinque anni fa dall’ONU,
quindi dal 2000 ad oggi?
R. – Abbiamo fatto delle proiezioni da qui fino al 2015 e
abbiamo notato come 247 milioni di persone in più rispetto ad oggi vivranno con
meno di un dollaro. E’ una dato che ci preoccupa molto, ma d’altra parte
notiamo un elemento positivo importante negli ultimi cinque anni: quello
dell’impegno forte delle società civili africane a rispondere loro stesse alle
sfide che le riguardano. In questo, secondo me, sta la grande speranza: il
futuro dell’Africa sta realizzandosi proprio a partire dalla base e non dai
governi o dai capi di Stato.
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IN
CORSO A PERUGIA LA VI ASSEMBLEA DELL’ONU DEI POPOLI
- Intervista con Sergio Marelli -
E’ in corso a Perugia la VI Assemblea dell’ONU dei Popoli,
convocata in vista della "Marcia per la pace Perugia-Assisi " del
prossimo 11 settembre. L’evento vuole essere anche un momento di riflessione a
pochi giorni dal Vertice mondiale delle Nazioni Unite, che si terrà a New
York, la settimana prossima per
discutere di riforma e democratizzazione dell’ONU, di lotta al terrorismo, di
solidarietà e sviluppo. Partecipano all’incontro associazioni, ONG e realtà
diverse della società civile provenienti da tutto il mondo. Tra i promotori
dell’assemblea è Sergio Marelli, direttore dell’associazione di volontariato
FOCSIV e presidente delle ONG italiane. Fabio Colagrande lo ha intervistato:
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R. – E’ un incontro della società civile a livello
mondiale: ci sono infatti rappresentanti di oltre 120 Paesi dei cinque
continenti, 80 dei quali dal continente africano. Ci si incontra per elaborare
delle proposte, per avanzare anche delle critiche, ma sempre nell’ottica di
portare un contributo affinché questa globalizzazione tenga conto degli ultimi,
tenga conto dei poveri, tenga conto di quelli che non ce la fanno a stare al
passo con la liberalizzazione dei mercati e la libera concorrenza. Penso che
noi da cattolici possiamo dire che si tratta di una occasione con la quale
concretizzare anche questi moltissimi richiami che la dottrina sociale della
Chiesa e il Santo Padre hanno fatto proprio in questa direzione.
D. – Cosa c’è da cambiare nell’agenda commerciale?
R. – Molto. Io lo spiegherei così: siamo addirittura di
fronte al rischio che i pochi aiuti che vengono traghettati nei Paesi poveri
con la cooperazione internazionale rischiano di diventare inefficienti perché
le regole del commercio internazionale sono così contrarie, in direzione
opposta, a quelle della solidarietà e della giustizia che si rischia di
vanificare ogni sforzo fatto con la solidarietà e la cooperazione internazionale.
Un esempio per tutti: la nostra Europa spende ogni anno 350 milioni di euro per
sussidiare, per finanziare l’esportazione dei prodotti agricoli e tutto il
mondo destina solamente 50 miliardi di dollari per finanziare la cooperazione
internazionale. Sette volte le risorse della cooperazione e della solidarietà
vengono destinate a supportare le esportazioni, cioè a supportare un meccanismo
per il quale i prodotti dell’eccedenza della nostra opulenza vengono immessi
sui mercati locali dei Paesi in via di sviluppo e quindi soffocano i piccoli
agricoltori, soffocano la loro possibilità di avviarsi davvero verso un
processo di sviluppo endogeno.
D. – E’ vero che i donatori vincolano l’aiuto all’acquisto
dei loro prodotti?
R. – Certo. Ci sono due meccanismi statisticamente e
scientificamente dimostrati. Il primo è quello del legamento dell’aiuto. Faccio
l’esempio dell’Italia. Il 92% degli aiuti governativi che il nostro Paese dà ai
Paesi in via di sviluppo sono subordinati al fatto che questi Paesi poi si
rivolgono a delle ditte italiane, acquistino dei prodotti italiani per
realizzare i cosiddetti progetti di cooperazione bilaterale. Cioè è una maniera
diversa per promuovere le imprese italiane, ma non per fare solidarietà. Il
secondo esempio è quello ,anche dimostrato
statisticamente, e cioè che c’è una relazione diretta, c’è una proporzione
diretta tra il volume degli aiuti che i
Paesi ricchi danno ai Paesi poveri con il voto che viene da questi espresso
nell’Assemblea delle Nazioni Unite. Ogni volta e tanto quanto più votano
d’accordo con i Paesi donatori, tanti più aiuti ricevono. Alloro io penso che
siano due esempi che dicono chiaramente che la cooperazione internazionale,
ancor che dotata di pochissime risorse, anche queste poche risorse sono
condizionate a degli obiettivi di geopolitica
per mantenere un controllo commerciale, economico e politico sul mondo da parte
delle grandi potenze del nord.
D. – Realisticamente cosa ci si può aspettare dal summit
di New York, la settimana prossima? Quanto può cambiare secondo lei?
R. – Non è un mistero che il Segretario Generale Kofi
Annan ha gia anticipato il suo scetticismo rispetto ai risultati di questa
assemblea generale. Purtroppo, c’è un’azione forte e pressante delle grandi potenze
per indebolire l’organizzazione della Nazioni Unite e per riportare il potere
negoziale e politico nelle mani dei singoli governi. E’ la via esattamente
contraria a quella del multilateralismo, e se i rapporti ritornano dei rapporti
bilaterali cioè lasciati ai rapporti tra i singoli governi, purtroppo ho il
timore che la legge sarà quella del più forte e quindi i più forti sappiamo
tutti da che parte stanno nel mondo.
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CRISI POLITICA IN UCRAINA DOPO LA RIVOLUZIONE ARANCIONE
- Intervista con Fabrizio Dragosei -
In Ucraina, si sta
sfaldando la classe politica uscita appena nove mesi fa dalla “rivoluzione
arancione”. Accusato di corruzione, il presidente Yushenko ha infatti liquidato
ieri a Kiev l'intero governo, la premier Yulia Timoshenko e i vertici dei servizi
segreti. Lo stesso Yushenko ha chiesto poi stamattina, ai partiti, di collaborare
con il nuovo primo ministro ad interim, il moderato Yuri Yekhanurov. Ma cos’ha
portato alla decisione di ieri? Roberto Piermarini lo ha chiesto a Fabrizio
Dragosei, corrispondente del Corriere della Sera da Mosca:
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R. – Il
Paese non è decollato economicamente e anche alcuni dei grandi mali
dell’Ucraina come appunto la corruzione endemica dal crollo del dell’URSS sta
rispuntando. La rivoluzione era in grande difficoltà; il Presidente Yushenko
non riusciva ad avere un governo che governasse e quindi ha deciso di
intervenire drasticamente, ha licenziato la Timoshenko ed ha chiesto ed
ottenuto le dimissioni del suo più stretto collaboratore Petro Poroshenko che
era il grande avversario della Timoshenko all’interno del governo. I loro clan
si combattevano e in pratica non riuscivano a governare. Anche lo stesso
Yushenko ha avuto diversi scontri con la Timoshenko su decisioni del governo,
quindi era necessario per lui un cambiamento ed ha pensato di farlo in maniera
così drastica.
D. – Il nuovo Premier nominato da Yushenko, potrà ricucire
questa crisi?
R. – Yushenko ha scelto un altro suo fedelissimo:
Yurij Yekhanurov è specialista in economia
ed è anche un uomo in grado di tessere alleanze. Finora era stato mandato a governare
la parte orientale del Paese, quella ucraina filo russa che era stata
roccaforte degli avversari di Yushenko alle elezioni presidenziali. Yekhanurov
certamente ci proverà, il suo compito non sarà facile perché le differenze
esistenti tra i gruppi che hanno formato la grande coalizione che alla fine
dell’anno scorso portò migliaia e migliaia di ucraini in piazza e portò al
crollo del vecchio regime, oggi si stanno riformando; i gruppi di potere sono
di nuovo fortissimi; gli scontri tra le fazioni della coalizione sono
nuovamente molto intensi.
D. – Mosca come guarda questa crisi in Ucraina?
R. – La Russia, sta un po’ a guardare anche se certamente
è contenta della eliminazione - almeno per ora – da uno dei posti principali in
Ucraina della Timoshenko. Ricordiamoci che la Procura della Repubblica russa
sta ancora chiedendo un’estradizione per la Timoshenko accusata di corruzione
quando era la signora del gas ucraino, quando era un’imprenditrice privata. Con
Mosca la Timoshenko ha avuto contrasti fortissimi invece Yekhanurov - il nuovo
Primo Ministro per ora solamente ad interim perchè dovrà essere confermato dal
Parlamento - è nato in Russia, ha studiato a lungo in Ucraina, ma potrebbe essere l’elemento di ricucitura con la parte
filo-russa ucraina e anche con Mosca.
D. – Il nuovo Premier dovrà traghettare l’Ucraina in vista
delle nuove elezioni del prossimo anno …
R.
– Quella è la scadenza fondamentale diciamo, in vista della quale è anche avvenuto
questo drastico cambio di governo a Kiev. A marzo ci sono le elezioni politiche
e già da gennaio scatta la riforma costituzionale, che trasforma l’Ucraina da
repubblica Presidenziale a repubblica Parlamentare e buona parte dei poteri che
oggi sono del Presidente Yushenko passeranno al Primo Ministro che dovrà essere
eletto dal Parlamento. Certamente la Timoshenko sarebbe stata in pole position
se fosse arrivata alle elezioni nel ruolo di Primo Ministro; adesso per lei la
situazione potrà essere sicuramente più difficile e forse più agevole per Yushenko.
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9
settembre 2005
LETTERA
DI SOSTEGNO DEL SUPERIORE GENERALE DEI PADRI
BIANCHI AL MISSIONARIO BELGA, GUY THEUNIS, ARRESTATO MARTEDI SCORSO A KIGALI,
IN
RWANDA, CON L’ACCUSA DI AVER FOMENTATO IL GENOCIDIO DEL ’94,
ATTRAVERSO
LA RIVISTA “DIALOGUE”
KIGALI.
= “Sorpresa, incomprensione e tristezza”: i sentimenti espressi dal superiore generale
dei Padri Bianchi, Gerad Chabanon, in merito alla spiacevole vicenda che ha coinvolto
il missionario belga, Guy Theunis, arrestato martedì scorso a Kigali, in
Rwanda, con l’accusa - ancora ufficiosa - di coinvolgimento, seppure indiretto,
attraverso la sua attività nella rivista “Dialogue”, nel terribile genocidio
consumatosi nel Paese africano nel 1994. Questa accusa – scrive padre Chabanon,
in un comunicato della Congregazione dei Missionari d’Africa diffuso
dall’agenzia MISNA - ci è parsa completamente infondata”. “Padre Theunis è
stato direttore di questa rivista, prima in Rwanda, dal 1989 al 1992, poi in
Belgio dal 1994 al 1995”. Rivista, scritta in francese, che si autodefinisce
“d’informazione e di riflessione su tutti i problemi economici, sociali,
culturali, politici, religiosi e altri ancora, che interessano il Rwanda”,
trattatati “da una prospettiva cristiana”. “Quando padre Theunis ne era
responsabile, - ricorda il superiore generale del padri Bianchi - questa
rivista era preparata da un comitato di redazione composto da circa una dozzina
di persone che si riunivano ogni mese per discutere degli articoli presentati.
Mai il direttore decideva da solo di pubblicare un articolo o un altro –
neanche l’editoriale – senza l’accordo del suo comitato di redazione. E’ dunque
impensabile – afferma padre Chabanon - che “degli articoli di pubblicazioni
estremiste” abbiano potuto essere pubblicati; forse delle citazioni per far
capire il pericolo di tali opinioni o, quanto meno, accompagnate da una critica
affinché non vi fosse alcun equivoco”. Del resto – si legge nella nota dei
Missionari d’Africa - “i diritti dell’uomo e la comunicazione non violenta sono
diventati, attraverso gli anni, i grandi orientamenti missionari”, non solo di
padre Guy Theunis ma dell’intera Congregazione. Secondo le ultime notizie, il
missionario belga arrestato all’aeroporto sarebbe stato trasferito dalla
caserma in cui si trovava ad una prigione di Kigali. (R.G.)
“UNA FEDE VISSUTA” NELLA CONCRETEZZA QUOTIDIANA PER CONTRASTARE
LA
ROTTURA TRA CULTURA E VANGELO: E’ IL PRINCIPIO PORTANTE DELLA LETTERA
PASTORALE
DELL’ARCIVESCOVO DI MILANO, PRESENTATA IERI ALLA STAMPA
- A cura di Roberta
Gisotti -
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MILANO. = “Siamo tutti interpellati dalla troppe forme di indifferenza,
distacco e di rifiuto nei riguardi della politica, che non poche volte sono
condivise dagli stessi cristiani. Siamo ancor più interpellati dall’urgenza che
tanti talenti, doti e risorse che il Signore non manca di distribuire in
abbondanza, non ultimo alle donne e ai giovani, siano coraggiosamente messi a
disposizione del bene comune”. Parole chiare, un invito diretto del cardinale
arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, a raccogliere questa “sfida
esigente”, perché il “vivere la fede – è scritto nella Lettera pastorale – è oggi, forse più difficile e
più impegnativo che non in altri tempi”. Si tratta infatti di “viverla nella
concretezza della quotidianità e con l’essere immersi nel mondo senza perdere
la propria identità e originalità cristiane”, consapevoli della “separazione” o
perfino della “rottura tra il Vangelo e la cultura”, che caratterizza la
società contemporanea, dove “l’uomo sazio di sè” sempre più “vive come se Dio
non esistesse”. Da qui il richiamo del porporato, in particolare ai laici, ad
un impegno sociale, in tutti gli ambienti della vita: da quello affettivo a
quello lavorativo, ma anche impegno politico, non come di conquista di potere
ma come “servizio gratuito, disinteressato, generoso”, scevro da arroganze e
ambizioni, realizzato con “animo lieto”, “con profonda umiltà e gratitudine” e
con “evangelica simpatia nei confronti delle persone e del mondo”. Il cardinale
Tettamanzi chiede ai fedeli, alle parrocchie, alla famiglie, a movimenti
ecclesiali ed espressioni laicali cattoliche un ripensamento – anche doloroso
se necessario -“per dar vita – ha sottolineato – a qualcosa di nuovo, di
originale, al limite di rivoluzionario”, invitando ciascuno a dare risposte
franche sui propri ruoli e compiti. Questa lettera pastorale – ha spiegato
l’arcivescovo di Milano – conclude un percorso pastorale triennale, che ha
affrontato la “professione della fede”, “la celebrazione della fede” ed ora la
“fede vissuta”: tutti e tre elementi inscindibili dell’identità cristiana.
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L'ORDINE DEL SANTISSIMO SALVATORE DI SANTA BRIGIDA
SI E' ARRICCHITO IERI DI 34 NUOVE SUORE PROFESSE E DI 32 NOVIZIE.
LA CERIMONIA A ROMA PRESIEDUTA DAL CARDINALE JOSE’ SARAIVA MARTINS
- A cura di Giovanni Peduto -
ROMA. =
“L’Ordine brigidino é un albero glorioso”, che nei secoli, soprattutto ad opera
della Beata Maria Elisabetta Hesselblad, si è rinnovato, ringiovanito,
irrobustito, accresciuto e ha dilatato i suoi rami in Europa del Nord, dell'Est
e dell'Ovest, nonché nel Medio Oriente, in India, nelle Filippine, in America
Latina, Stati Uniti e Cuba. Lo ha sottolineato il prefetto della Congregazione
per le Cause dei santi, il cardinale José Saraiva Martíns, nell’omelia che ha
tenuto ieri pomeriggio nella chiesa romana di Santa Brigida, in Piazza Farnese,
durante la cerimonia della professione di sette nuove suore brigidine. Da rilevare
che nelle altre case dell’Ordine si sono svolte cerimonie analoghe per
complessive 34 nuove suore professe e
32 giovani che hanno fatto ingresso in
noviziato. Ieri, era l’8 settem-
bre, era la
festa della natività di Maria, data particolarmente cara alle Suore di Santa Brigida
perchè in tale giorno, 94 anni or sono, nella casa di Piazza Farnese, la Beata
Elisabetta dava inizio con tre compagne alla riforma dell’Ordine Brigidino che
oggi, sotto la guida dell’abbadessa madre Tekla Famiglietti, conta circa 700
suore, distribuite in 45 comunità. La spiritualità brigidina pone al centro di
sé la Passione di Cristo, come ha ricordato sempre il cardinale Saraiva
Martíns, nonché la vocazione a lavorare per la causa ecumenica soprattutto con
i luterani del Nord Europa. La Beata Hesselblad, svedese d'origine, era infatti
luterana, poi passata al cattolicesimo.
DAL
CONVEGNO DELLE ACLI, MONS. BETORI RICHIAMA I CATTOLICI
ALL'UNITA':
DIFENDIAMO
LA VITA
- A
cura di Alessandro Guarasci -
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ORVIETO. = Quasi il 45 per cento degli italiani è contrario alla fecondazione
assistita eterologa, e ad oltre il 34 per cento non piace quella omologa. E' il
risultato di un sondaggio realizzato dalle ACLI e presentato stamani al
convegno “Bios e Polis” delle Associazioni cristiane lavoratori italiani, in
corso ad Orvieto. Al convegno è intervenuto anche il segretario generale della
CEI, monsignor Giuseppe Betori, che ha ribadito la necessità di difendere la
vita in ogni momento. A tre mesi di distanza dal referendum sulla fecondazione
assistita, gli italiani confermano il responso delle urne. Solo il 4,7% del
campione intervistato per la ricerca delle ACLI si dichiara favorevole alla
clonazione di esseri viventi, e un altro 61,5% dice no alla manipolazione genetica
delle coltivazioni agricole e dei prodotti alimentari, in sostanza gli OGM. Ma
anche la fecondazione assistita eterologa non piace: se sommiamo contrari e
indecisi arriviamo al 63%. E discorso simile vale per l'omologa. In questo
caso, indecisi e contrari arrivano al 53,2 per cento. Nettamente contro la ricerca
sugli embrioni sono il 33,7 per cento, e il 19% non sa esprimere un parere
preciso in merito. Il 63,4% degli italiani è invece favorevole alla ricerca
sulle cellule staminali adulte. Dai risultati dell'indagine, effettuata su un
campione di 800 persone, pare emergere quindi complessivamente un atteggiamento
di prudenza se non proprio di perplessità o addirittura, in alcuni casi, di
preoccupazione. Il segretario generale della CEI, monsignor Betori, ha detto
che corriamo il rischio del “biologismo”, ovvero la riduzione della persona a
semplice materiale fisico. E non solo: è sempre più forte la tentazione di non
riconoscere l'identità umana dell'embrione. Ma è la stessa visione cristiana
della persona umana, come unità di spirito e materia, di anima e corpo, a
indicarci la strada di una sintesi che aiuta a superare queste due derive.
Monsignor Betori ha poi richiamato la necessità di "una generale
mobilitazione delle coscienze e un comune sforzo etico tra credenti e laici.
Serve un rinnovato dialogo tra cattolici e laici, per assumersi la
responsabilità di difendere il volto dell'uomo e la radice della vita".
Dunque, un netto no al relativismo etico perché è contro l'uomo. Sulla difesa
della vita, da monsignor Betori arriva poi un appello al mondo cattolico
all'unità, anche in politica, e a mobilitarsi con decisione in ogni settore
della società.
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UNA DOLOROSA REALTÀ DI
CORRUZIONE E SFRUTTAMENTO CHE SI CONSUMA
IN AFRICA, QUELLA RACCONTATA DAL REGISTA MEIRELLES
NEL FILM
THE CONSTANT GARDNER, TRATTO DALL’OMONIMO ROMANZO DI LE CARRÉ,
E PRESENTATO IN CONCORSO ALLA MOSTRA DEL CINEMA DI
VENEZIA
- A cura
di Luca Pellegrini -
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VENEZIA. = Dispute e tragedie
possono essere documentate sul luogo, per immagini, o prendere la forma del
romanzo. John Le Carré ha scelto la seconda strada scrivendo nel 2001 The
Constant Gardener – Il giardiniere tenace ed il regista brasiliano
Fernando ne trae un film importante, dedicato allo spaventoso diffondersi della
piaga dell’Aids, della tubercolosi e della malaria tra popoli che a mala pena
posseggono soltanto la loro vita, spinge una casa farmaceutica ad intraprendere
la sperimentazione di nuovi farmaci in Kenya su cavie umane, ossia i poveri
delle bidonville che nulla sanno e nulla sospettano. L’ingranaggio è quello di
un thriller ma il fenomeno è vero, i dati preoccupanti, il potere
dell’industria e del denaro (sono in gioco profitti per miliardi di dollari a
fronte di vite che valgono zero) colluso drammaticamente con quello politico,
corrotto e avido. Nel film sono coinvolti un diplomatico anglosassone e la sua
giovane sposa, rispettivamente i bravi Ralph Fiennes e Rachel Weisz, che scopre
il marcio ove non dovrebbe e pagherà per questo con la vita, un personaggio
ispirato a Yvette Pierpaoli, volontaria in Albania e morta in un incidente
stradale nel 1999. Il film tiene benissimo il ritmo, è un racconto d’amore appassionante,
è una denuncia serissima di abusi compiuti a tutti i livelli, che non dobbiamo
sottacere e dimenticare.
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9 settembre 2005
-
A cura di Amedeo Lomonaco -
In
Egitto, prosegue il conteggio delle schede all’indomani delle prime elezioni
presidenziali multipartitiche. I risultati ufficiali saranno comunicati domani
ma l’esito sembra scontato: l’attuale presidente Hosni Mubarak è ormai vicino
al suo quinto mandato consecutivo e la stampa egiziana ritiene certa una sua
vittoria con almeno l’80 per cento dei voti. Il nostro servizio:
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La
stampa egiziana esulta ed il governo elogia le prime elezioni libere e democratiche.
La scontata vittoria di Mubarak sembra solo la cornice di un evento storico: la
partecipazione di dieci candidati alla tornata elettorale. Molti quotidiani
egiziani sottolineano la “svolta democratica”. “L’Egitto è entrato in una nuova
era, quella del presidente eletto”, titola il quotidiano governativo “Al
Ahram”. Alla soddisfazione per le prime presidenziali pluraliste e a suffragio
universale diretto si aggiunge, dunque, un dato ampiamente previsto: la quasi
certa affermazione di Mubarak, al potere da 24 anni, dopo una campagna durata
appena 19 giorni. Tuttavia, ha votato meno del 20 per cento degli elettori e
l’opposizione ha richiesto la ripetizione della consultazione denunciando
brogli. “Gli egiziani assaggiano il gusto delle elezioni malgrado l’amarezza
delle irregolarità”, titola ‘Al Masr Al Yawm’, il primo e unico quotidiano
indipendente del Paese. Disoccupazione, povertà, corruzione, terrorismo e
ordine pubblico, sono le principali sfide da affrontare nel futuro dell’Egitto.
Mubarak ha promesso 4 milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro in 6 anni,
aumenti salariali e un robusto programma di interventi sociali. Ma su questi
propositi grava un fardello: l’impressionante debito pubblico che viaggia
intorno al 103 per cento del PIL.
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Per un
commento sul voto di ieri in Egitto, ascoltiamo Oliver Nette, consigliere
politico della delegazione della Commissione europea, raggiunto telefonicamente
al Cairo da Fausta Speranza:
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R. – FIRST OF ALL THE FACT THAT ...
Innanzitutto il fatto che si sia
trattato di un’elezione con più candidati, la prima in Egitto, è una cosa molto
positiva. Nessuno può negare che si tratti di un passo nella giusta direzione.
Non possiamo avere un quadro di ciò che sta accadendo ora nel Paese, sarebbe
presunzione, ma possiamo dire che in base a ciò che abbiamo visto al Cairo, la
partecipazione al voto è stata scarsa. Da notizie pervenuteci da Organizzazioni
Non Governative ed anche da colleghi che si trovano fuori dalla capitale,
sembra che la partecipazione sia stata un po’ più alta in altre località del
Paese.
D. – Tutti gli opinionisti danno
per certa la vittoria di Mubarak. Cosa ne pensa?
R. - WE ALSO SAW ON THE GROUND THAT …
Anche noi abbiamo visto sul
posto che il Partito Nazionale Democratico, quello del presidente Mubarak, il
partito che da molti anni governa l’Egitto, si è organizzato a diversi livelli e con molti uomini. Credo
che sia la conseguenza di tanti anni di attività politica: unico partito che ha
dominato la scena politica del Paese. Ieri al Cairo si potevano vedere per le
strade numerose persone impegnate a favore del Partito Nazionale Democratico, come
pure autobus con slogans, mentre gli altri candidati non hanno potuto assolutamente
competere con questa macchina organizzativa.
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Entro
lunedì prossimo, sarà completato in Medio Oriente lo smantellamento degli insediamenti
israeliani nella Striscia di Gaza. Sul fronte politico palestinese, è stato
liberato il figlio del generale Moussa Arafat, ucciso due giorni fa a Gaza.
Aumentano, intanto, le polemiche, sulla morte dell’ex presidente Yasser Arafat.
Il nostro servizio:
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A pochi giorni dal completamento del ritiro militare
israeliano dalla Striscia di Gaza, previsto per lunedì prossimo, permane
l’incertezza sulla sorte di una trentina di sinagoghe costruite dai coloni che
- a differenza degli insediamenti - non sono ancora state rase al suolo. Il
ministro della Difesa, Shaul Mofaz, ha dichiarato alla Radio militare che è
preferibile non distruggere gli edifici religiosi. “Sta all’Autorità Nazionale
Palestinese – ha detto Mofaz – impedire che siano profanati”. La sorte delle
sinagoghe di Gaza era stata affrontata, su richiesta di alcuni rabbini, dalla
Corte Suprema di Gerusalemme, che aveva autorizzato la distruzione delle
sinagoghe. In Cisgiordania, intanto, otto attivisti della sinistra israeliana
sono stati arrestati dall’esercito durante una manifestazione per protestare
contro il muro di separazione. Sul fronte palestinese, si svolgeranno oggi a
Gaza i funerali del generale Mussa Arafat, l’ex capo dell’intelligence militare
palestinese assassinato due giorni fa in un attacco sferrato da decine di
miliziani. Proprio all’alba di stamani, grazie ad una mediazione del segretario
generale di al-Fatah a Gaza è stato rilasciato il figlio di Mussa Arafat,
Manhal, rapito durante l’attacco. Dopo la liberazione, Manhal è stato ricevuto
dal presidente Abu Mazen. Continua ad essere avvolto nel mistero, infine, il
decesso di Yasser Arafat, morto lo scorso 11 novembre a Parigi. Un rapporto di
medici francesi sulla morte dell’ex rais non escluderebbe l’AIDS o
l’avvelenamento. Il medico personale di
Arafat ha dichiarato che nel sangue del leader palestinese sarebbero state
trovate tracce del virus dell’HIV.
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Ancora
violenze in Iraq: un ufficiale di polizia è rimasto ucciso per l’esplosione di
un ordigno nella parte occidentale di Baghdad ed una donna è morta per la deflagrazione
di un’autobomba nel sud della capitale. Non si placano, inoltre, le violenze
contro gli sciiti: nella notte, ribelli hanno attaccato e distrutto la facciata
della moschea al-Rassul, nella parte meridionale di Baghdad. Sul versante politico, la Commissione
elettorale indipendente ha reso noto che il Parlamento iracheno ha formalizzato
la scelta di indire, il prossimo 15 ottobre, il referendum sulla Costituzione.
Il
Congresso degli Stati Uniti ha deciso lo stanziamento di quasi 52 miliardi di
dollari per far fronte agli ingenti danni provocati dall’uragano Katrina. Il
provvedimento prevede diverse misure, tra le quali la concessione di 2000
dollari a ciascun sfollato. Il presidente americano, George Bush, ha accolto
con soddisfazione la decisione del Congresso e ha detto che “saranno necessarie
altre risorse”. Si stima che i danni provocati da Katrina superino i 200
miliardi di dollari. Ma il bilancio più pesante resta quello delle vittime:
quello ancora provvisorio fornito dal dipartimento della Lousiana parla di
almeno 118 morti. Il numero dei dispersi resta incerto e le autorità americane
temono che le vittime possano essere più di 25 mila. Crescono, intanto, i timori per la
contaminazione delle acque. Il servizio di Paolo Mastrolilli:
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Cinque persone hanno già perso
la vita a causa del contatto con acqua
contaminata. Le autorità stimano, inoltre, che circa 10 mila persone non hanno
abbandonato New Orleans e non intendono farlo. I militari, quindi, stanno
andando casa per casa a cercare gli ultimi sopravvissuti sollecitandoli a
partire. Se non verranno seguiti, useranno la forza per costringerli ad
evacuare l’area. Ieri, il vice presidente Cheney ha visitato la regione per rispondere
alle critiche dei giorni scorsi e dimostrare che il governo è impegnato al massimo
livello nei soccorsi e nella ricostruzione. Anche la first lady, Laura Bush, si
è recata nelle zone disastrate per incontrare gli sfollati. A Washington,
continuano le polemiche sulle responsabilità per la lentezza dell’intervento da
parte dell’amministrazione federale. I leader repubblicani del Congresso hanno
varato, intanto, un’iniziativa congiunta del Senato e della Camera per
investigare sugli errori commessi, ma i democratici l’hanno rigettata perché
non sono stati consultati. Il presidente Bush, in calo di popolarità nei sondaggi,
ha proclamato infine il16 settembre come giorno di preghiera nazionale per le
vittime dell’uragano.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli
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Un nuovo
disastro, anche se non paragonabile a quello provocato da Katrina, potrebbe
colpire la costa atlantica della Florida, dove è scattato l’allarme uragano: si
teme l’arrivo di Ophelia, che secondo gli esperti dovrebbe avere un’intensità
decisamente inferiore a quella di Katrina.
Una
forte scossa di terremoto è stata registrata nella regione di New Ireland, in
Papua Nuova Guinea. Il movimento tellurico, di 7,3 gradi di magnitudo, non
sembra aver provocato danni. Il centro di rilevamento per gli tsunami del
Pacifico ha escluso il rischio di onde anomale.
Il
presidente francese, Jacques Chirac, ha lasciato l’ospedale militare di Parigi
dove è stato ricoverato lo scorso due settembre in seguito a problemi vascolari.
L’Eliseo ha confermato, inoltre, che Chirac annuncerà la sua eventuale partecipazione,
il 13 ed il 15 settembre a New York, all’Assemblea generale delle Nazioni
Unite.
In
Spagna, due convogli della metropolitana di Valencia sono entrati in collisione,
provocando il ferimento di 15 persone. Secondo quanto riportato dall'agenzia EFE,
il macchinista di uno dei treni versa in gravi condizioni, mentre gli altri passeggeri
rimasti coinvolti nell’incidente hanno riportato lievi ferite.
Il cancelliere tedesco Schroeder ed il presidente russo Putin
hanno siglato ieri, a Berlino, un accordo per la costruzione di un gasdotto che
collegherà Germania e Russia. La spesa prevista è di 4 miliardi di euro. Il
gasdotto sarà lungo 12.000 chilometri: partirà dal sito di Vyborg, vicino a San
Pietroburgo, e arriverà fino a Greifswald, sulla costa tedesca nordorientale.
L’opera sarà in funzione a partire dal 2010 e trasporterà inizialmente 27,5 miliardi
di metri cubi di metano all’anno, per poi aumentare la produzione a 55 miliardi
di metri cubi all’anno.
Monito
dell’Unione Africana (UA) alla Mauritania, perché si chiuda rapidamente la
transizione dopo il colpo di Stato del 3 agosto. Il Consiglio per la pace e la
sicurezza dell’UA ha chiesto alla giunta militare – salita al potere durante un
viaggio all’estero del presidente Taya – il ritorno all’ordine costituzionale,
la creazione di una commissione elettorale indipendente, la compilazione di
liste elettorali credibili, l’avvio di una lotta efficace alla corruzione.
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