RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
250 - Testo della trasmissione di mercoledì 7 settembre 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
E’
un adolescente di 16 anni l’uccisore di padre Beppe Bessone, missionario
italiano in Brasile
L’arcivescovo
di Giacarta chiede alla polizia di
fermare gli attacchi degli estremisti islamici
Concluso
ad Assisi il Simposio intercristiano sull’Eucaristia
Il
presidente del Burundi chiede l’aiuto della Chiesa per la riconciliazione
nazionale
Appello
del cardinale Lehmann a favore delle popolazioni del Darfur
L'Autorità Nazionale
Palestinese proclama lo stato d’allerta dopo l'assassinio a Gaza dell'ex capo
dell'intelligence militare Mussa Arafat, cugino del defunto presidente. Rapito
il figlio
Gli egiziani oggi alle urne: per la prima volta
sono chiamati a scegliere un presidente tra più candidati. Ma è scontata la
vittoria di Mubarak, al suo quinto mandato
7 settembre 2005
NON
DIMENTICARE MAI DI MODELLARE LA NOSTRA VITA SULL’IMMAGINE DI CRISTO: L’INSEGNAMENTO DI BENEDETTO XVI ALL’UDIENZA GENERALE IN PIAZZA SAN
PIETRO
Ventimila fedeli di oltre 20 Paesi si sono riuniti stamane
in Piazza San Pietro per ascoltare la catechesi del Papa, che in questi giorni
risiede ancora a Castel Gandolfo ed è giunto a Roma in elicottero per l’udienza
generale. Ricordiamoci sempre di modellare la nostra vita sull’immagine di
Cristo – ha detto Benedetto XVI – disturbato oggi da una lieve raucedine, che
non gli ha impedito di portare a termine il suo discorso. Il servizio di
Roberta Gisotti:
*********
“Cristo fu generato prima di ogni creatura, è il
primogenito di coloro che risuscitano dai morti”. A questo Cantico, tratto
dalla Lettera di san Paolo ai Colossesi, si è ispirato il Santo Padre per
spiegare che “Cristo è entrato nella comunità umana per reggerla e comporla in
un ‘corpo’, cioè in una unità armoniosa e feconda”. Per questo ha aggiunto “la
consistenza e la crescita dell’umanità
hanno in Cristo la radice, il perno vitale, il ‘principio’. L’uomo infatti “col
peccato ‘ha cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la
figura dell’uomo corruttibile’, scegliendo di adorare gli idoli e divenendo
simile ad essi”:
“Dobbiamo, perciò, continuamente modellare il nostro
essere sull’ immagine del Figlio di Dio, poiché siamo stati ‘liberati dal
potere delle tenebre’, ‘trasferiti nel regno del suo Figlio diletto’. E’ questo
il primo imperativo di questo Inno: modellare la nostra vita sull’immagine del
figlio di Dio entrando nei suoi sentimenti, nella sua volontà, nel suo
pensiero”.
In conclusione l’Inno celebra la pienezza del Cristo, come
“dono d’amore del Padre”, prospettando “un orizzonte luminoso di
riconciliazione, unità, armonia e pace”, che si raggiunge “‘attraverso il
sangue della croce’, da cui siamo giustificati e santificati”.
Tanti i saluti del Papa nelle diverse lingue alla folla di
pellegrini, ricordando che domani si festeggia la Natività delle Beata Maria
Vergine. Tra i fedeli in piazza San Pietro i padri Cistercensi e le Suore dei
Poveri, riuniti per i loro Capitoli generali. Ai religiosi cistercensi
Benedetto XVI ha rivolto un particolare incoraggiamento:
“Possa questo evento di grazia aiutarvi a vivere
sempre più fedelmente il vostro carisma, per continuare a camminare con
rinnovato fervore e zelo sulla via maestra, collaudata da secoli di fecondità
spirituale. Non lasciate mai che le difficoltà affievoliscano l'entusiasmo
della vostra adesione al Vangelo!”
**********
IN
UDIENZA DAL PAPA, IL PRESIDENTE DELL’IRALNDA, MARY MCALEESE
E IL
PREMIER DEL MADAGASCAR, SYLLA
Al termine dell’udienza generale di questa mattina,
Benedetto XVI ha ricevuto in udienza, nello studio dell’Aula Paolo VI, il
presidente dell’Irlanda, la signora Mary McAleese con il consorte e il seguito,
e il primo ministro del Madagascar, Jacques Sylla, anch’egli accompagnato da un
piccolo seguito.
Il Papa ha ricevuto l’arcivescovo Blasco Francisco Collaço
- nunzio apostolico in Sud Africa, Namibia, Lesotho, Swaziland e delegato
apostolico in Botswana – l’arcivescovo Rino Passigato, nunzio apostolico in
Perù, e l’arcivescovo Antonio Mennini, rappresentante della Santa Sede nella
Federazione Russa.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
In prima pagina: “Cristo fu generato prima di ogni
creatura, è il primogenito di coloro che risuscitano dai morti”: Benedetto XVI
nel corso dell’udienza generale in Piazza San Pietro ha commentato il Cantico Col 1, 3.12-20. Le udienze del Santo
Padre alla Signora Mary McAleese, presidente d’Irlanda e al signor Jacques
Sylla, primo ministro del Madagascar.
Medio Oriente: ucciso a Gaza l’ex
capo della sicurezza palestinese Moussa Arafat. Stati Uniti: scende il
livello della acque a New Orleans e affiora uno scenario da incubo, il sindaco
autorizza la polizia a procedere allo sgombero forzato della città. Giappone:
il devastante passaggio del tifone Nabi.
Servizio vaticano – Una pagina mariana in occasione della festa della Natività di
Maria
Servizio estero – Iraq:
USA cedono alle truppe irachene il controllo di Najaf; nessun accordo sulla
Costituzione
Terrorismo: Annientato in Arabia Saudita un gruppo di islamici
armati.
Servizio culturale – Un articolo di Fernando Salsano sulle
simbologie dantesche.
Servizio italiano – In primo
piano i temi della Banca d’Italia, del terrorismo e degli sviluppi dell’inchiesta
relativa all’incidente dell’ATR 72.
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7 settembre 2005
DON ORESTE BENZI COMPIE OGGI 80 ANNI.
FONDATORE
DELL’ASSOCIAZIONE PAPA GIOVANNI XXIII,
HA
VOLUTO ESSERE AL FIANCO DI QUANTI PENSANO DI NON ESSERE NULLA
-
Intervista con il sacerdote -
Don
Oreste Benzi compie oggi 80 anni. Il fondatore dell’Associazione “Papa Giovanni
XXIII”, attiva in Italia e nel mondo in favore di poveri, sfruttati ed emarginati
di qualsiasi tipo, festeggia il compleanno nel pomeriggio con una Santa Messa a
Rimini, attorniato dai tanti ragazzi che oggi, grazie a lui, piccolo sacerdote
romagnolo, sono tornati ad avere una speranza. Il servizio di Sergio Centofanti.
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Don
Oreste Benzi è nato il 7 settembre 1925 a San Clemente, un paesino
nell’entroterra riminese, da una povera famiglia di operai, settimo di 9 figli.
La sua vocazione è precoce: entra a 12 anni in seminario. Ha già le idee
chiare: la sua vocazione cristiana è quella di essere al fianco di quelli che
pensano di non essere nulla. A 23 anni è sacerdote: nel 1968 da’ vita
all’Associazione “Papa Giovanni XXIII” il cui statuto recita così: “Mossi dallo
Spirito a seguire Gesù povero e servo i membri della Comunità … s’impegnano a
condividere direttamente la vita degli ultimi, mettendo la propria vita con la
loro vita, facendosi carico della loro situazione, mettendo la propria spalla
sotto la loro croce, accettando di farsi liberare dal Signore attraverso loro”.
Inconfondibili le caratteristiche di quest’uomo di Dio: una tonaca sempre
consumata, una semplicità e un sorriso disarmanti, una gioiosa e contagiosa
“follia” cristiana, che lo porta a rischiare in prima persona per amore degli
altri, una devozione particolare per la Vergine. “Quando mi sento inerme di
fronte ai casi più disperati – dice don Oreste - metto tutto nelle mani della Madonna”. Ma ascoltiamo direttamente
la voce di don Benzi. Benedetta Capelli gli ha chiesto che cosa ricordi con più
piacere di questi 80 anni:
R. – Prima di tutto, l’incontro con Giovanni Paolo II il
29 novembre dell’anno scorso, in cui lui ci ha lasciato una sorta di testamento
spirituale. Ha detto: “Fate delle case-famiglia il cuore dell’Eucaristia”; poi
ci ha detto: “Siate i testimoni della tenerezza di Dio verso i piccoli che
accogliete”. Queste parole ci hanno dato un entusiasmo grande. Non siamo noi
che abbiamo fatto dei programmi, perché siamo certi che il programma ce l’ha il
Signore. E Lui continuamente ci presenta i
suoi progetti. E noi cerchiamo di dire sempre di “sì” e di non perdere
mai la coincidenza con Dio che viene.
D. – Come le venne in mente di fondare l’Associazione
“Papa Giovanni XXIII”?
R. – Io non ho fondato niente. Sono stati i poveri che
spesso ci hanno rincorso e ci hanno impedito di addormentarci. Un fatto impressionante
è questo: sono moltissimi i giovani che sentono la chiamata a venire a
sperimentare questa vita e un buon numero la intraprendono.
D. – 186 case-famiglia, 15 cooperative sociali, 32
comunità terapeutiche … tanti gli obiettivi raggiunti. C’è qualcosa che sente
come una sconfitta?
R. – Più che una sconfitta, una colpa: i poveri ci vengono
a cercare, ma tanti non vengono a cercarci: quelli dobbiamo cercarli noi, e non
abbiamo fatto tutto quello che avremmo dovuto fare, per andare a cercarli. Avremmo
dovuto fare molto di più. Quindi la sento come una colpa, una insufficienza
d’amore. Però, i nostri limiti o il nostro peccato non ci fermano!
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NEW
ORLEANS NELLA MORSA DEL FANGO,
SI
CERCANO I CORPI DELLE VITTIME.
CENTINAIA
I CITTADINI STRANIERI DI CUI NON SI HANNO NOTIZIE
DOPO
IL PASSAGGIO DELL’URAGANO KATRINA.
ANCHE
IL GIAPPONE CONTA MORTI E DISPERSI PROVOCATI DAL TIFONE NABI
-
Intervista con padre Guido Miglietta -
Stati Uniti
e Giappone uniti dalla lotta contro cataclismi di simile portata: agli 83 morti
ufficiali di New Orleans – ma si teme possano essere molte migliaia – si
aggiungono tra ieri e oggi i decessi provocati dal tifone Nabi, che ha colpito
l’isola di Kyushu: 11 morti, ma il bilancio provvisorio annota centinaia tra
feriti e dispersi. Negli Stati Uniti, intanto, è in vigore anche l’allerta
Ofelia, una tempesta tropicale, formatasi sull’Atlantico occidentale che
potrebbe interessare la Florida. Ma le autorità non prevedono un impatto sulla
terraferma analogo all’uragano Katrina. Il Dipartimento di Stato americano ha
inoltre diffuso le cifre dei cittadini stranieri di cui non si hanno notizie,
dopo il passaggio dell'uragano Katrina in Louisiana, Mississippi e Alabama.
“Stiamo facendo il possibile per aiutare ambasciate e governi di tutto il
mondo” a localizzarli, ha detto il segretario di Stato Condoleezza Rice. Un
centinaio sarebbero i britannici, una novantina i messicani, tra i 30 e i 40
quelli di nazionalità francese. Altri particolari nel servizio di Alessandro De
Carolis:
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Uragano e tifone: nomi diversi che declinano un’identica
paura, qualsiasi sia la latitudine. L’inattesa scia di distruzione lasciata
dietro di sé dal passaggio dell’uragano Katrina ha replicato - soprattutto in
quell’Occidente il più delle volte estraneo ai colpi più devastanti di tali
fenomeni ed erroneamente considerato al sicuro - il terrore che otto mesi fa prese la forma di un terribile
maremoto nel Sud-est asiatico e costrinse molti degli occidentali, attraverso
un angoscioso martellamento mediatico, a prendere coscienza di eventi fin lì
largamente sottovalutati o ignorati. Un timore che in queste ore sta
attanagliando alcune metropoli del Giappone, anche se fortunatamente il tifone
Nabi sembra aver perso slancio e potenza, dopo aver comunque rovesciato un muro
d’acqua e vento sull’isola di Kyushu. New Orleans si appresta, ora che
l’attività di drenaggio dell’acqua è iniziata, a scoprire quel sudario di fango
che si teme abbia finora coperto le reali dimensioni della tragedia. Diverse migliaia,
“forse diecimila” i morti secondo il sindaco Ray Nagin: notizia che, da quando
ha cominciato a circolare, ha finito per condizionare le sensibili antenne
dell’economia e della finanza. "Potrebbe avere senso immaginare una
riduzione del tasso di crescita del PIL di qualcosa come mezzo punto
percentuale nei prossimi trimestri”, ha affermato il segretario al Tesoro
statunitense, John Snow.
A Little Rock, in Arkansas, si concentrano intanto gli
arrivi dei cargo internazionali con gli aiuti, che da lì vengono dirottati a
sud, dove si combatte per sopravvivere da un giorno all’altro. Il sindaco di
New Orleans ha ordinato l’evacuazione a forza di chi si ostina a rimanere in
casa, e magari è costretto ad assistere all’assalto degli alligatori che si
avventano sui cadaveri a pelo d’acqua. Mentre non si contano più le scene di
abusi e di violazioni dei più elementari diritti umani e civili. Dai palazzi
della politica, dopo le prime accuse al presidente Bush, il tiro si è spostato
ora su Michael Brown, capo della FEMA, l'Agenzia federale per la protezione
civile: esponenti democratici ne hanno chiesto le dimissioni immediate per la
lentezza e l'inadeguatezza dei soccorsi del dopo-Katrina. L’ultima denuncia
arriva dalle colonne del Washington Post, che ha raccolto le rimostranze di
diplomatici europei, secondo le quali offerte di aiuti per un valore di decine di milioni di dollari
destinate alle zone colpite dall'uragano - che comprendono tra l'altro un
sistema di depurazione delle acque dalla Svezia, una rete di telefonia cellulare
dalla Germania e due navi di salvataggio dal Canada – sarebbero state tenute in
sospeso per giorni dalle autorità americane in attesa di una risposta da parte
delle agenzie federali sul loro possibile utilizzo.
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I disastri ambientali, che vedono spesso intere città
impotenti davanti alle forze naturali, chiamano il più delle volte in causa la
capacità dell’uomo di rapportarsi con la natura. Un rapporto al quale il
magistero ecclesiale degli ultimi anni, ha dato un grande rilievo. Ecco il
parere del religioso gesuita, padre Guido Miglietta, docente di Teologia morale
al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum
e alla Pontificia Facoltà Teologica Teresianum:
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R. – Questi eventi suggeriscono, anche da un punto di vista
etico, un richiamo alla prevenzione. La prevenzione dei disastri è l’ambito
dove noi possiamo salvaguardare la vita umana. Il rapporto tra l’uomo e
l’ambiente è un rapporto che segna l’evoluzione della specie umana: nelle
culture e nelle tradizioni antiche, troviamo sempre dei riferimenti al disastro
come figura dell’emergenza, della punizione del divino. Da parte nostra, quello
che è importante è diminuire i fattori di rischio, il che si traduce a livello
ambientale in misure di previsione, prevenzione e protezione.
D. – Come vede oggi la Chiesa ciò che Giovanni Paolo II ha
definito, nella Centesimus annus, la
“questione ecologica”?
R. – La Chiesa vede la questione ecologica come una
questione di solidarietà. Ciò è emerso nella serie di incontri internazionali,
a Johannesburg ed altre parti. Solidarietà intesa in senso cristiano, ovvero
coprire, in una dimensione globalizzata, le mancanze, le deficienze, le crisi
che colpiscono l’umanità. Noi parliamo di disastri naturali, ma uno dei
principali disastri naturali, molto più gravi dello tsunami e dell’uragano Katrina,
è la fame. Il mondo vive oggi una crisi alimentare che è gravissima, ad
esempio, nella fascia del Sahel. Il nostro atteggiamento, quindi, deve essere
quello di esercitare questa funzione di previsione, di prevenzione, in chiave
solidale e all’interno di un mondo globale.
D. – Si può dire che oggi vi sia una visione forse un po’
distorta della sovranità dell’uomo sul creato?
R. – Certamente, è una visione un poco dominatrice, che
alcuni hanno fatto risalire all’impostazione della scienza in Bacone ecc: il
potere di dominio sugli elementi naturali. In realtà, in una visione cristiana
noi siamo degli amministratori. Di fronte alle realtà create abbiamo questa
responsabilità che ci viene da Dio stesso e cioè di prenderci cura del creato:
invece che di dominio, parliamo di cura del creato.
D. - In questo senso, per i cristiani del XXI secolo,
forse più che in passato, c’è tra le proprie responsabilità anche quella di
essere testimoni di un’etica ambientale…
R. – Certo, l’etica ambientale è ormai una disciplina
studiata e posta accanto allo sviluppo della bioetica – intesa come etica del bios, etica della vita delle varie
specie. Noi abbiamo questo richiamo dal disegno della creazione, dal disegno di
Dio, dove l’etica per noi diventa il modo di includere tutti gli esseri umani e
gli esseri animati, mondo animale, vegetale, in una armonia, in un disegno di
amore. Lo stesso che ci deriva, dal punto di vista teologico, dall’amore del
Padre manifestatoci da Gesù Cristo.
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ANCORA VIOLENZA IN
IRAQ,
MENTRE L’ORGANIZZAZIONE “UN PONTE PER…”
PROMUOVE UN PROGETTO PER LA DIFESA DEI DIRITTI UMANI DEI DETENUTI IRACHENI
- Intervista con Abdalrhman
Tahan e con Najla Flaik -
Un dirigente del ministero della difesa iracheno è stato ucciso da uomini armati a Dura, a
sudest di Baghdad, mentre tre persone sono morte nell'esplosione di un ordigno piazzato al lato della
carreggiata su un ponte di
Bassora. Le vittime sarebbero stranieri
che si spostavano in convoglio. Le
forze britanniche schierate a Bassora hanno
annunciato l'apertura di un'inchiesta precisando che ''né le forze
britanniche né altre forze multinazionali
vi sono rimaste coinvolte''. E in relazione alla situazione in Iraq parliamo di
“Diritti dentro. Per la difesa dei diritti umani dei detenuti iracheni”: è il
progetto presentato ieri a Roma dall’organizzazione “Un ponte per…”, in collaborazione con alcune gruppi umanitari
attivi in Iraq. All’appuntamento c’era per noi Giada Aquilino:
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Il rispetto dei diritti umani in Iraq, a cominciare dal
miglioramento delle condizioni di detenzione e dal rispetto della legalità
internazionale nelle prigioni del Paese del Golfo. Sono questi gli obiettivi
che hanno spinto un gruppo di esponenti della società civile irachena a
presentare ieri a Roma il progetto “Diritti
dentro. Per la difesa dei diritti umani dei detenuti iracheni”. L’iniziativa,
che giunge dopo lo scandalo degli abusi ad Abu Ghraib e che prevede tra l’altro
il sostegno legale ai prigionieri, è curata da Un ponte per…, l’organizzazione
non governativa da anni impegnata in Iraq e che proprio l’anno scorso a
settembre vide due sue operatrici, Simona Pari e Simona Torretta, sequestrate
per 21 giorni assieme a 2 altri collaboratori iracheni.
Oggi, a oltre due anni dall’inizio della guerra, seguita a
più di 30 anni di dittatura di Saddam, qual è la situazione dei diritti umani
in Iraq? Risponde l’avvocato iracheno Abdalrhman Tahan, dell’Organizzazione per
i diritti umani di Mossul:
R. – LA SITUATION IN IRAQ IS….
La situazione in Iraq è molto grave. Lo è quindi anche a
Mossul. Le violazioni dei diritti umani, d’altra parte, continuano ad essere
commesse e da tutte le parti coinvolte nel conflitto: dai miliziani della
guerriglia, dai militari americani, dalla stessa guardia nazionale irachena.
D. - Di quali violazioni si parla?
R. –
OCCUPATION OF US TROOPS…
Secondo testimonianze raccolte dalle nostre organizzazioni
umanitarie, le truppe statunitensi in molti casi procedono con gli arresti
senza alcun mandato alle spalle, vietando poi le visite ai prigionieri da parte
dei legali e delle famiglie. Ci sono poi le sparatorie indiscriminate, al
centro delle città e tra la gente comune. Ma il problema più grave è quello
della tortura. In Iraq tale pratica è sempre esistita, dal regime di Saddam ad
oggi, solo che sono cambiati i meccanismi. Abbiamo prove documentate di corpi
ritrovati con perforazioni di trapani o lacerati da vetri di bottiglie.
D. - Il 15 ottobre si terrà il referendum sulla Costituzione:
che attese ci sono?
R. – ALL
OUR PEOPLE, THEY…
Il testo è stato letto, è attualmente all’esame della
popolazione, ma ci sono ancora molti aspetti che alla gente non piacciono.
Anche se nel documento c’è un generale inglobamento dei principi dei diritti
umani, rimane preoccupante la condizione della donna, relativamente agli
elementi legati alla Sharia, alla legge coranica.
Questo attuale momento com’è vissuto, quindi, dalle donne
irachene? Ecco Najla Flaik, legale dell’Associazione per i diritti umani,
sempre a Mosul:
R. - (PAROLE IN
ARABO)
I diritti umani per loro sono ancora troppo limitati. Tre
sono i problemi oggi: la presenza militare straniera in Iraq, la polizia
irachena, il fanatismo religioso. Sono sunnita e le donne della mia comunità
non possono girare liberamente, né per andare a scuola, né per lavoro. E
teniamo conto, poi, che per strada il rischio attentati è sempre alto, come
pure quello degli spari indiscriminati.
D. - In tale contesto, la popolazione è pronta per votare
la Costituzione?
R. – (PAROLE IN ARABO)
Gli iracheni non sono ancora pronti a votare la
Costituzione. Secondo i sunniti, poi, questo testo è stato scritto solo per gli
sciiti. C’è pure da dire che alcuni leader religiosi hanno lanciato una fatwa
per impedire che la gente vada a votare. Insomma: c’è bisogno ancora di un paio
d’anni per abituare la gente ad esprimere ciò che pensa, per poter poi decidere
liberamente.
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IL CARDINALE ANGELO
SCOLA ALLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
PER CONSEGNARE AL REGISTA POLACCO JERZY STUHR IL PREMIO BRESSON 2005
- Ai nostri microfoni
il cardinale Angelo Scola e mons. Dario Vigano -
Il
Patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Scola, ha visitato questa mattina la
Mostra del Cinema di Venezia in occasione della consegna del Premio Robert
Bresson dell’Ente dello Spettacolo al regista polacco Jerzy Stuhr, ribadendo
come l’arte cinematografica riesca a raccontare con grande potenza la ricerca interiore
dell’uomo. Il servizio di Luca Pellegrini:
**********
Chiesa
e cinema. Un futuro dalle grandi aspettative per il bene dell’uomo. E’ la
ragione che sostiene la presenza oggi alla Mostra del Cinema di Venezia del
Cardinale Angelo Scola, che per la prima volta è giunto al Lido in occasione
della consegna del premio Bresson 2005, attribuito quest’anno all’attore e
regista polacco Jerzy Stuhr. Abbiamo chiesto a Mons. Dario Vigano, presidente
dell’Ente Spettacolo, le motivazioni di questa scelta:
R. – Credo che sia uno di quegli autori molto poliedrici.
E’ attore di cinema, attore di teatro e regista. Ha saputo nel suo cinema
indagare le pieghe dell’animo umano, dare spazio e consistenza alle domande
importanti, intuire i percorsi possibili di senso. E’, quindi, un autore che in
qualche modo ci consegna la profondità dell’animo umano e dunque in qualche
modo anche le possibili ricerche del senso e della verità.
“L’uomo
è la via della Chiesa”, disse con forza Giovanni Paolo II nel 1979. E la Chiesa
è attenta alle domande che attraversano ogni singolo uomo. Mentre il cinema è
una delle vie preferite oggi dall’uomo per esprimere se stesso, in tutto ciò
che nell’umanità c’è di bene e di male. Abbiamo chiesto al cardinale Scola come,
proprio in questa prospettiva, tra la Chiesa e il cinema la collaborazione
possa essere davvero propositiva e capace di sfruttare anche ambiti inediti…
R. – Io penso proprio di sì e credo che la grande
affermazione con cui Giovanni Paolo II inaugurò il suo Pontificato nella Redemptor Hominis, “l’uomo è la via privilegiata
per la Chiesa”, si è mostrata feconda in tutta la sua forza e in fondo ha
bisogno di essere sviscerata proprio in questi anni. Noi vediamo quando, anche
in questo campo Papa Wojtyla fu capace di prevenire i tempi. In particolare noi
a cosa stiamo assistendo oggi? Stiamo assistendo ad una modificazione radicale
della modalità con cui l’umanità concepisce i rapporti primari, quelli legati
alla sfera dell’affezione e dell’amore. E’ in atto uno sconvolgimento che è
comparabile a ciò che successe quando la scienza galileiana fece irruzione nella
modernità. E’ naturale che questo sommovimento produca un travaglio fatto di contraddizioni,
di tensioni, di dolori, ma noi speriamo che da questo travaglio venga poi il
frutto buono. Ora il cinema, con il suo straordinario linguaggio, ha una
capacità di interpretare questo sommovimento in atto. Per questo gli uomini di
Chiesa lo debbono seguire con accurata attenzione, in maniera oggettiva, che
vuol dire in maniera positivamente critica. Un’autentica critica è fatta di due
tempi: un tempo di ascolto e di assimilazione, prima, e dopo un tempo di
valutazione e di giudizio libero, ma franco.
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7
settembre 2005
UN
ADOLESCENTE CONFESSA DI ESSERE L’AUTORE
DELL’OMICIDIO DI PADRE
BEPPE BESSONE,
IL MISSIONARIO MORTO VENERDÌ SCORSO IN BRASILE
BLUMENAU.= In Brasile, un ragazzo di 16 anni ha confessato
di aver ucciso venerdì scorso a Blumenau, nello Stato di Santa Caterina, il
missionario piemontese, padre Beppe Bessone. Secondo fonti della polizia locale,
il giovane sarebbe stato accolto da don Bessone nella chiesa parrocchiale di
Sant’Antonio. Per ragioni ancora ignote – si pensa ad un tentativo di furto –
il giovane avrebbe ripetutamente colpito con un coltello il missionario. In una
nota, la diocesi di Blumenau precisa che padre Bessone è stato “vittima di un assalto
seguito da un barbaro omicidio”. Dopo l’assassinio, il vescovo di Blumeanau,
Angélico Sândalo Bernardino, ha detto di essere colpito da un profondo dolore
per la perdita del sacerdote, ma anche per il giovane che ha commesso il
crimine”. “Il ragazzo di 16 anni che ha ucciso don Bessone aveva un carattere
difficile ed era stato abbandonato dalla famiglia”, ha detto all’Agenzia
“MISNA” il vescovo di Pinerolo, monsi. Piergiorgio Debernardi. “Davanti a questo
folle ed insensato gesto – ha denunciato il presule - non possiamo non leggere
il degrado di gente che, pur vivendo in una regione ricca del Sud del Brasile,
è vittima di una povertà che porta alla deriva”. Migliaia di persone hanno
partecipato domenica nella parrocchia di Sant’Antonio ai funerali del
missionario, che verrà sepolto nei prossimi giorni nella tomba di famiglia a
Pinerolo. (A.L.)
L’EPISCOPATO
INDIANO CHIEDE ALLE AUTORITÀ DI INDAGARE
SULLA
MORTE DI MONS. MATHEW NELLICKAL, IL VICARIO GENERALE
DELLA
DIOCESI DI TEZPUR, BARBARAMENTE UCCISO VENERDÌ SCORSO
NEW DELHI.= La Conferenza dei vescovi cattolici dell’India
ha condannato “il brutale assassinio” del vicario generale della diocesi di
Tezpur, nello Stato di Assam, ed ha chiesto di indagare sul crimine costato la
vita, venerdì scorso, a mons. Mathew Nellickal. Non aveva nemici e al momento
non ci sono ipotesi plausibili sulle cause di questo omicidio, spiega
all’agenzia ‘Asia News’ il vescovo di Diphu, mons. John Thomas. In una nota,
l’episcopato indiano sottolinea che la scomparsa del sacerdote ha provocato
profonda commozione nella regione del nord est indiano. “Era un sacerdote molto
attivo, sincero ed entusiasta che lavorava per il bene della gente senza
distinzioni di casta o religione”, si legge nel documento. In segno di lutto
sono state chiuse le scuole cattoliche di Tezpur. Padre Babu Joseph, portavoce
della CBCI, ha dichiarato, inoltre, che questo assassinio “va inserito nel
contesto delle crescenti atrocità commesse contro esponenti della Chiesa,
istituzioni e missionari nel Paese”. Abbiamo bisogno – ha aggiunto padre Babu –
di una risposta immediata ed efficace da parte del governo per porre fine alle
violenze contro la Chiesa in India. Mons. Nellickal aveva iniziato due mesi fa
la propria opera come vicario generale. Precedentemente, era stato parroco,
direttore di una scuola e rettore del Seminario minore di Muktidata. I funerali
si terranno domani mattina. (A.L.)
L’ARCIVESCOVO
DI GIACARTA, CARDINALE DARMAATMADJA, UN RAPPRESENTANTE
MUSULMANO
ED UN LEADER PROTESTANTE, CHIEDONO ALLA POLIZIA DI INTERVENIRE PER FERMARE, IN
INDONESIA, GLI ATTACCHI DEGLI ESTREMISTI ISLAMICI
CONTRO LE CONFESSIONI RELIGIOSE
- A
cura di Amedeo Lomonaco -
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GIACARTA.= In Indonesia
l’arcivescovo di Giacarta, cardinale Darmaatmadja, ha incontrato il capo della
Polizia indonesiana per chiedere un intervento delle Forze dell’ordine volto ad
evitare nuovi attacchi degli estremisti islamici contro le confessioni
religiose del Paese. All’accorata richiesta del porporato, presidente della
Conferenza episcopale indonesiana, si sono uniti anche il leader della più
grande organizzazione musulmana del Paese, Hasyim Muzadi, ed il presidente del
Sinodo delle Chiese indonesiane, il protestante Andreas Yewangoe. Il cardinale
- come riferisce l’Agenzia Asia News - ha sottolineato dopo l’incontro la
centralità del dialogo per promuovere la pace. Non lasciamo – ha detto il
porporato – che ogni problema riguardante le confessioni religiose venga
affrontato con la violenza da parte di gruppi illegali. La Polizia – ha
aggiunto il leader musulmano – dovrebbe facilitare ogni incontro volto a
chiarire le controversie con il dialogo. La comune richiesta di cristiani,
musulmani e protestanti per assicurare un’adeguata cornice di sicurezza in
Indonesia, si aggiunge al rinnovato impegno da parte del governo per garantire
la libertà religiosa. In un documento, pubblicato lo scorso 4 settembre, il
presidente indonesiano, Susilo
Bambang Yudhoyono, ribadisce la necessità di prevenire ogni violenza contro le
varie confessioni religiose. Nonostante gli sforzi, la situazione dei cristiani
in Indonesia, il Paese musulmano più popoloso del mondo, resta difficile. Lo
scorso 3 settembre, migliaia di cristiani hanno manifestato a Giacarta per la
chiusura, decisa da un gruppo di fondamentalisti islamici, di 23 chiese nella
regione del West Java. Giovedì scorso, tre donne sono state condannate,
inoltre, a tre anni di detenzione per proselitismo. Sono accusate di aver
cercato di convertire bambini musulmani al cristianesimo. In Indonesia, dove la
popolazione supera i 220 milioni, i cristiani sono circa 20 milioni, dei quali
il sei per cento protestanti ed il 3,6 per cento cattolici.
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SI È CONCLUSO QUESTA MATTINA AD ASSISI IL IX SIMPOSIO INTERCRISTIANO
INCENTRATO SUL TEMA “L’EUCARISTIA
NELLA TRADIZIONE ORIENTALE ED OCCIDENTALE”
- A cura di padre Egidio Picucci
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ASSISI.= Nelle valutazioni finali sono state fatte
tre sottolineature. Anzitutto, la validità della scelta del luogo, Assisi.
Nella città umbra è più facile assimilare lo spirito di dialogo che spinse
Francesco a presentarsi al Sultano per risolvere pacificamente un conflitto che
altri volevano decidere con le armi. Secondo: è stato constato che l’Adriatico
e l’Egeo non costituiscono più barriere che impediscono l’incontro tra
ortodossi e cattolici. Importante, infine, la decisione di continuare questi
incontri di studio, perché i cristiani di oggi assomigliano molto ai primi cristiani
di Corinto, capaci di guardare in faccia la realtà, trasformando i propri errori
in lezioni di vita ed aprendosi all’esperienza della comunione con il Corpo di
Cristo. Per questo, i Simposi continueranno con lo stesso entusiasmo.
L’appuntamento è, quindi, tra due anni, probabilmente a Volos, sede del metropolita
Ignazio. I lavori verteranno, quasi certamente, sulla persona e sulle opere di
San Giovanni Crisostomo, del quale nel 2007 ricorrerà il 1598.mo anno della
morte.
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IL PRESIDENTE DEL BURUNDI CHIEDE ALLA CHIESA DI AIUTARE GLI EX COMBATTENTI
A CONFESSARE LE ATROCITÀ COMMESSE
DURANTE LA GUERRA CIVILE
BUJUMBURA.= Dalla verità alla riconciliazione. Per completare
questo percorso, il nuovo presidente del Burundi, Pierre Nkurunziza, ha chiesto
alla Chiesa del Paese africano di aiutare gli ex combattenti, protagonisti di
una sanguinosa guerra civile durata oltre 10 anni, a confessare le atrocità
commesse. Il capo di Stato del Burundi – precisa l’Agenzia ‘MISNA’ - ha anche
rilanciato la proposta di istituire una Commissione per la verità e la
riconciliazione. “I leader religiosi – ha spiegato Nkurunziza – avranno un
importante ruolo dopo la creazione di questa Commissione”. “Non è facile
confessare i propri reati in pubblico ma, aiutati dagli uomini di Dio – ha
aggiunto - i burundesi potranno far conoscere la verità e riconciliarsi. Si
stima che gli scontri tra gli Hutu, in maggioranza, e la minoranza dei Tutsi,
hanno provocato almeno 300 mila morti e più di un milione di sfollati. Nkurunziza,
che per 12 anni ha guidato la formazione ribelle “Forze per la difesa della
democrazia”, è stato nominato presidente del Burundi lo scorso 19 agosto. Recentemente,
si è anche detto disponibile a chiarire il suo ruolo nel conflitto. (A.L.)
“ASCOLTARE LA VOCE SOFFERENTE DELLE POPOLAZIONI DEL DARFUR”.
E’ L’APPELLO DALL’ARCIVESCOVO DI
MAGONZA, CARDINALE LEHMANN, CHE CONDANNA ANCHE “LE MASSICCE VIOLAZIONI DEI
DIRITTI UMANI” NELLA REGIONE SUDANESE
KHARTOUM.= “Suscitare attenzione e ascolto verso le popolazioni
della regione sudanese del Darfur, sofferenti e private di ogni diritto”. E’
quanto ha chiesto l’arcivescovo di Magonza, cardinale Karl Lehmann, durante una
conferenza stampa tenutasi ieri a Bonn. Il porporato, presidente della
Conferenza episcopale tedesca, ha condannato “le massicce violazioni dei
diritti umani”. Il Darfur è teatro di continue violenze da oltre 20 anni: secondo
gli osservatori delle Nazioni Unite, la guerra civile ha provocato la morte di
almeno 300 mila persone ed oltre due milioni di rifugiati nei Paesi confinanti.
Nonostante questa immane tragedia – ha denunciato il cardinale Lehmann - il
conflitto in Darfur non ha ancora trovato nell’ambito della politica
internazionale, l’interesse necessario per rispondere alle esigenze di così
tante persone. Il porporato – riferisce l’Agenzia SIR - ha anche rinnovato
l’appello “ai governi dei Paesi che siedono nel Consiglio di sicurezza dell’ONU
perché si creino le condizioni per porre fine alla guerra, per agevolare
l’ingresso delle organizzazioni umanitarie e per far tornare in patria i rifugiati”.
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A cura di Fausta Speranza -
L'Autorità
nazionale palestinese ha proclamato lo stato di allerta alcune ore dopo l'assassinio
a Gaza dell'ex capo dell'intelligence militare, generale Mussa Arafat, 65 anni,
un cugino del defunto presidente Yasser Arafat. Al termine dell'attacco è stato
notato che il figlio di Arafat, Manhal, un ufficiale della sicurezza, era
scomparso: in seguito, è giunta la conferma del rapimento dallo stesso gruppo che
rivendica l’attentato. Il nostro servizio:
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Si
tratta di un gruppo armato eterogeneo: i Comitati di resistenza popolare (CRP).
Abu Saed, uno dei comandanti fa sapere all'Ansa che Arafat meritava la morte
''in quanto corrotto e collaborazionista con Israele''. Erano circa le quattro
del mattino quando un centinaio di miliziani, a bordo di una ventina di
automezzi, hanno lanciato l'attacco contro la lussuosa abitazione di Mussa
Arafat a Tel al-Hawa (Gaza) con bombe a mano e razzi. Le guardie del corpo
hanno risposto al fuoco per circa 45 minuti ma alla fine Arafat è stato
trascinato per strada e crivellato da almeno 23 colpi. Originario di Jaffa (Tel
Aviv), il generale ucciso ha avuto una vita segnata dalla violenza. Nel 1965, a
Gaza è uno dei primi combattenti di al
Fatah. Poi la lotta, in seguito alla guerra dei sei giorni (1967), dal
territorio giordano. E dopo l’espulsione dalla Giordania, negli anni Ottanta, è
al fianco di Yasser Arafat: prima in Libano, poi nell'esilio di Tunisi dove viene nominato comandante dell'intelligence
militare.
In
seguito agli accordi di Oslo (1993) assume a Gaza il comando dell'intelligence
militare: da allora, diversi gruppi armati dell'intifada l’hanno accusato di
sfruttare il potere a fini personali. Da parte sua, il presidente Abu Mazen ha
condannato l'assassinio, assicurando che i responsabili saranno catturati e
sottolineando che è sua la responsabilità di garantire nei Territori
palestinesi la stabilità e la legalità. C’è da dire che queste dichiarazioni sono
state accolte con scetticismo da un responsabile dell'intelligence militare
in Cisgiordania, colonnello Maher Fares: ha detto che solo ''collusioni fra gli
assalitori e l'ANP'' possono spiegare come mai le forze di sicurezza non
abbiano cercato di soccorrere Arafat e abbiano invece permesso agli assalitori
di dileguarsi.
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Intanto,
da parte israeliana viene annunciato il completamento a giorni del ritiro da Gaza.
Radio Gerusalemme parla di una data compresa tra il 12 e il 15 settembre,
spiegando che una decisione in merito è stata adottata oggi dal premier Ariel
Sharon nel corso di una consultazione ministeriale. Secondo l'emittente,
domenica il governo israeliano esaminerà le modalità del ritiro definitivo che
riguarderà anche l'Asse Filadelfia, al confine fra la striscia di Gaza e
l'Egitto. Il valico di Rafah, fra Gaza e l'Egitto, verrà chiuso per sei mesi durante
i quali il transito di merci e persone fra Egitto e Gaza avverrà attraverso due
valichi israeliani: Kerem Shalom e Nitzana.
E sempre
in relazione al ritiro, un’altra notizia da Israele: è deceduto la scorsa notte
in un ospedale di Gerusalemme il cittadino statunitense, immigrato mesi fa in
Israele, che la settimana scorsa si era dato fuoco in un gesto di protesta
contro il ritiro da Gaza ordinato dal premier Sharon. Si tratta della seconda
“torcia umana” anti-Sharon. Ad agosto, anche una donna di circa 50 anni,
immigrata dalla Russia, si era immolata per ''scuotere l'opinione pubblica''
contro il ritiro da Gaza e contro lo sgombero forzato di migliaia di coloni. Ad
agosto, nel tentativo di ostacolare il ritiro, si sono avuti anche due
attentati anti-palestinesi: il primo in Galilea (5 morti, fra cui l'attentatore
ebreo) e il secondo in Cisgiordania, dove un colono ebreo ha massacrato a
sangue freddo quattro compagni di lavoro palestinesi.
Sotto
gli occhi del mondo, gli egiziani si recano oggi alle urne per la prima volta
per scegliere un presidente tra più candidati, ben sapendo che il vincitore
sarà senza dubbio il rais Hosni Mubarak che corre per un quinto mandato.
Trentadue milioni di aventi diritto, chiunque sopra i 18 anni, si sono iscritti
per il voto in 9.865 seggi nelle 26 province del Paese per eleggere uno dei
dieci candidati, fra cui Mubarak, riconfermato al potere sei anni fa con il
93,79% dei voti di un referendum. Il voto in generale si sta svolgendo senza
che si abbiano notizie di incidenti, anche se le agenzie parlano di diverse
irregolarità: il Partito nazional democratico al potere distribuisce volantini
dentro i seggi e bimbi sventolano la bandierina del presidente. Rappresentanti
di organizzazioni non governative sono stati autorizzati, ad elezioni aperte,
ad entrare nei seggi. E ci sono notizie di osservatori espulsi. Ma la
popolazione egiziana come ha vissuto questa campagna elettorale per la scelta
del presidente? Al microfono di Roberto Piermarini, risponde dal Cairo,
l’inviato del Corriere della sera ed analista di questioni mediorientali,
Antonio Ferrari:
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R. – In
questo clima di novità c’è, da parte della gente, l’euforia di adattarsi a
qualcosa che per alcuni è solo un lontano ricordo del passato, prima della
rivoluzione nasseriana, e per altri invece è l’assoluta novità di una pratica
democratica che segue l’avvio di un percorso che si spera possa portare alla
rinascita di una democrazia egiziana.
D. – E’
molto alto il sistema di sicurezza per queste elezioni, in questo momento, in
Egitto?
R. – Direi che le misure di sicurezza davanti agli
alberghi, davanti alle istituzioni, davanti a tutti quelli che vengono
considerati obiettivi sensibili, sono notevolmente cresciute. Forse perché
l’impatto della strage di Sharm el Sheik è stato enorme. Non dimentichiamo che
per l’Egitto è stato un colpo terrificante dal punto di vista economico, anche
perché il turismo è la prima fonte di approvvigionamento per le risorse
statali, che sono abbastanza in sofferenza. Il colpo è stato durissimo e, in
fondo, bisognava dare un segnale forte.
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Il
comitato tessile dei Venticinque ha dato via libera alla Commissione UE sul
regolamento per sbloccare i prodotti tessili cinesi, fermi ai porti europei.
L'esecutivo comunitario farà ora il possibile affinché ''tale regolamento sia
adottato quanto prima'', ha detto la portavoce dell'esecutivo europeo, Francoise
Le Bail. Dopo “l'ampio” via libera politico giunto sempre oggi dai
rappresentanti permanenti dei Venticinque presso l'Ue alle proposte di
Bruxelles per sbloccare le merci, la decisione del Comitato tessile era
l'ultimo passo del procedimento per rendere operativo lo sdoganamento. Si
tratta di passi attesi dopo l’accordo raggiunto due giorni fa a Pechino tra il
commissario UE al Commercio estero, Mandelson, e il ministro del Commercio
cinese, Bo Xilai.
L'Iran
respingerà ufficialmente il rapporto di Mohammed Elbaradei, direttore generale
dell'AIEA (l'Agenzia internazionale per l'energia atomica), che ha criticato le
attività nucleari iraniane e richiesto una piena collaborazione da parte delle
autorità di Teheran. Lo ha annunciato oggi Ali Agha Mohammadi, uno dei
negoziatori, al quotidiano Iran. Nel rapporto, El Baradei scrive tra l'altro
che l'Iran ha mantenuto le sue attività nucleari “sensibili” nonostante le
richieste dell'AIEA.
E' di
quattro morti il bilancio di un'esplosione verificatasi nel sud dell'Afghanistan,
dove un'autobomba destinata probabilmente ad una missione suicida è forse
saltata in aria prematuramente, uccidendo i suoi tre occupanti e un passante.
E' quanto ha dichiarato il portavoce del governatore della provincia di
Helmand. Secondo il portavoce, il vero bersaglio dell'autobomba erano
probabilmente i militari americani.
In
Cecenia, le truppe federali russe hanno annunciato “l'eliminazione” di una
trentina di guerriglieri indipendentisti, che il 14 agosto avevano attaccato il
villaggio di Roshni-Ciu e ucciso un comandante militare locale e altri quattro
soldati. Secondo il Ministero degli interni ceceno, anche il capo del
battaglione guerrigliero, Kazbek Batalov, è stato ucciso. Il gruppo è stato
sgominato nell'arco di tre settimane e sei guerriglieri sono stati catturati,
incarcerati e, a detta del Ministero ceceno, hanno fornito informazioni utili
per il successo dell'operazione.
Intanto,
nelle ultime ore nella vicina Repubblica autonoma di Ingushezia, due stazioni
della telefonia mobile sono stati distrutte da bombe, mentre in Daghestan,
confinante con la Cecenia, un militare russo è saltato in aria su una mina
durante un giro di ricognizione.
Sembra che sia stato un guasto alla turbina del motore la
causa dell’incidente aereo in cui, lunedì scorso, un Boeing 737-200 della
compagnia Mandala si è schiantato a terra subito dopo il decollo dall'aeroporto
di Medan, a Sumatra, in Indonesia. Il numero delle vittime, fra passeggeri e
abitanti del quartiere su cui è precipitato, è arrivato a 150. La motivazione
emerge dall'inchiesta in corso in Indonesia sull'incidente, ma lo stesso capo
della Commissione nazionale per la sicurezza dei trasporti, che coordina
l'inchiesta, aggiunge che problemi sono stati rilevati anche su alcuni
meccanismi di manovra di un’ala dell’aereo e che si continua ad indagare.
In
Kazakhstan, si voterà il 4 dicembre per l'elezione del presidente e il
risultato si profila scontato: sarà probabilmente confermato per un terzo
mandato Nursultan Nazarbaiev, da 17 anni uomo forte della più ricca ed estesa
Repubblica ex-sovietica dell'Asia centrale. La data per le elezioni è stata
decisa oggi a Astana, la capitale, dalla Camera bassa del Parlamento, dopo una
disputa durata parecchi mesi: il secondo settennato di Nazarbaiev - che era già
il boss del Kazakhstan in epoca sovietica - termina infatti nel gennaio 2006,
ma la Costituzione fissa la scelta del capo dello Stato “alla prima domenica di
dicembre”. Da parte sua, il sessantacinquenne Nazarbaiev, alla guida di un
Paese dagli enormi giacimenti di gas e petrolio che gli permettono di pilotare
la transizione verso il capitalismo in modo meno traumatico rispetto al resto
dell'ex-Urss, si è detto ''consapevole'' della sua già lunga permanenza al
potere, aggiungendo di ritenere corretto ripresentarsi in quanto la
Costituzione glielo consente. Meno autoritario e più duttile rispetto a molti
altri presidenti dei Paesi ex-sovietici, accorto paladino d'una politica di bilanciamento fra Usa, Cina e
Russia, Nazarbaiev si dice convinto di poter evitare il rischio d'una
“rivoluzione colorata” popolare anti-establishment, a differenza di quanto
avvenuto in Georgia, Ucraina e Kirghizistan, e questo grazie ai risultati
economici del suo governo. “Oggi - ha affermato - l'economia del Kazakhstan
cresce due volte più di quella dell'Ucraina e 2,5 volte di quella di Georgia,
Moldavia o Azerbaigian”.
In
Italia, l'Ente nazionale per l'aviazione civile rende noto che è stata disposta
in via cautelativa la sospensione immediata dell'autorizzazione ad operare rilasciata
alla compagnia tunisina Tuninter. La decisione fa seguito all'inchiesta
condotta dall'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo sull'incidente aereo
del 6 agosto scorso, a largo di Capo Gallo, nei pressi di Palermo, che ha
coinvolto un velivolo ATR 72 della compagnia Tuninter. Una delle cause del
disastro sarebbe stata la mancanza di carburante dovuta ad un indicatore non
conforme all'Atr 72, che avrebbe fornito ai piloti un dato falso sul rifornimento
del carburante.
Il
Parlamento della California è divenuto martedì il primo Parlamento statale
dell'Unione ad approvare una legge che
autorizza i matrimoni omosessuali. I
sostenitori della
legge, che erano stati battuti due volte su provvedimenti analoghi, si sono
imposti con 41 voti a favore e 35 contrari. C’è da dire che per entrare in
vigore, la legge deve essere firmata
dal governatore Arnold Schwarzenegger, che non è favorevole al
provvedimento.
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