RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
245 - Testo della trasmissione di venerdì 2 settembre 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Proseguono in Russia le
commemorazioni ad un anno dalla strage di Beslan: con noi Tullio Santini
CHIESA E SOCIETA’:
Risoluzione
dell’ONU per nuovi aiuti alla Sierra Leone al termine della missione di pace
Lo
Zimbabwe restituisce parte del debito che deve al Fondo Monetario
Internazionale
“Aiuto
alla Chiesa che soffre” incrementa le importazioni di rosari d’ulivo dalla
Terra Santa
Alla
Mostra di Venezia il potere dell’informazione
e il dramma dei profughi palestinesi
Al
Qaeda rivendica gli attentati di Londra e lancia nuove minacce ai Paesi
ritenuti nemici
I
Ministri degli Esteri dell’UE discutono sull’avvio del negoziato per l’adesione
della Turchia
Allarme
in Giappone per l’arrivo di Nabi, un altro supertifone che minaccia
l’arcipelago di Okinawa
2
settembre 2005
IL DIALOGO E LA FIDUCIA
PRESUPPOSTI INDISPENSABILI
PER L’INSTAURAZIONE GIURIDICA E SOCIALE DELLA
LIBERTA’ RELIGIOSA:
UN TEMA AL CENTRO DELLE PREGHIERE DEL PAPA PER IL
MESE DI SETTEMBRE
- Intervista con mons. Felix Machado -
“Il diritto
alla libertà religiosa sia riconosciuto dai governi di tutti i popoli della
terra”. Suona così l’intenzione generale di preghiera per il mese di settembre
che Benedetto XVI assumerà come propria, nella sua offerta quotidiana di
orazioni e sacrifici. Un tema delicato, sottolineato come “importante” dal Papa
non più di una settimana fa, nell’udienza al ministro degli Esteri iracheno Hoshyar Zebari. Cina, India, Arabia Saudita,
Nigeria sono alcuni dei Paesi-simbolo delle difficoltà che tuttora persistono per le comunità cattoliche in alcune aree del
pianeta, sia dal punto di vista della tutela giuridica, sia da quello della
convivenza. Alessandro De Carolis ne ha parlato con mons. Felix A. Machado,
sottosegretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso:
**********
R. – Anzitutto, bisogna dire che
la libertà religiosa è un atteggiamento. Per avere un dialogo rispettoso,
basato sulla dignità, dobbiamo dare la possibilità a ciascuno di agire secondo
coscienza. Sicuramente, questo non vuol dire relativismo della verità, perché
ognuno è tenuto a cercare la verità.
D. – La libertà religiosa non va
intesa solo nella formulazione di leggi civili che tutelino il diritto di
culto, soprattutto di alcune minoranze, ma chiama in causa anche la capacità di
dialogo tra esponenti di fedi diverse. Qual è il lavoro che svolge il vostro
dicastero in questo senso?
R. – E’ verissimo ciò che dice,
perché anzitutto dobbiamo fare una distinzione: la libertà religiosa per i
singoli e la libertà religiosa per le comunità. Anche se ogni singolo individuo
va tutelato nella sua libertà di culto, c’è tuttavia da tenere ben presente la
dimensione sociale della religione. Noi ad esempio, nel nostro dialogo con i
musulmani, per prima cosa proviamo a costruire dei ponti di amicizia - come
dice Benedetto XVI – cioè dar vita ad una mutua fiducia. Una volta creata,
affrontiamo la questione della libertà religiosa. Ad esempio, in Arabia
Saudita, proponiamo loro che non soltanto un individuo possa vivere la sua fede
in casa propria, a porte chiuse, ma anche che i cattolici abbiano diritto di
riunirsi in comunità, ad esempio per l’Eucaristia domenicale. Così come in
India, nel dialogo con gli indù, laddove si deve ricordare che il
fondamentalismo non riguarda soltanto singoli individui, ma che esiste talvolta
un fondamentalismo dello Stato in quanto tale, che non permette la libertà
religiosa.
D. – Cosa possono fare i
cattolici che vivono in società nelle quali la Chiesa è libera di agire in
favore dei fratelli perseguitati?
R. – Dimostrare concretamente la
nostra solidarietà, il senso di fraternità, pregando, aiutando, e qualche volta
anche invitando o visitando queste persone, questi luoghi, per essere ben
consapevoli della persecuzione che li colpisce. Non possiamo negare che, così
come avvenuto duemila anni fa, predicare il Vangelo è e sarà sempre una sfida.
Questo perché se il Vangelo ci conforta, c’è pure una tendenza dell’uomo a
ribellarsi contro il Vangelo. Quindi, colui che testimonia il Vangelo, colui
che lo vive, viene perseguitato. Direi allora che tutti noi cristiani dobbiamo
sempre dimostrare una solidarietà concreta verso tutti i perseguitati.
**********
UDIENZE
Stamane il Papa ha ricevuto nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo alcuni presuli
della Conferenza Episcopale del Messico, in visita "ad Limina": mons. José Guadalupe Galván Galindo, vescovo di Torreón;
mons. Ramón Godínez Flores, vescovo di Aguascalientes; mons.
Gonzalo Galván Castillo, vescovo di
Autlán; mons. Braulio Rafael León Villegas, vescovo di Ciudad Guzmán con il vescovo
emerito Serafín Vázquez Elizalde; mons. José Antonio Pérez Sánchez, prelato di Jesús María; mons. Javier Navarro Rodríguez,
vescovo di San Juan de los Lagos; mons.
Alfonso Humberto Robles Cota, vescovo di
Tepic; mons. Gilberto Valbuena
Sánchez, vescovo emerito di Colima.
NOMINE
In
Italia il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della
diocesi di Pozzuoli presentata da mons. Silvio Padoin per raggiunti limiti di
età. Gli succede mons. Gennaro Pascarella, finora coadiutore della medesima
sede.
BENEDETTO XVI AFFIDA ALLA RADIO VATICANA
I
DIRITTI D’AUTORE SU TUTTE LE REGISTRAZIONI DELLA PROPRIA VOCE
ANCHE
PRIMA DELLA ELEZIONE AL SOGLIO PONTIFICIO
“Benedetto XVI ha affidato alla
Radio Vaticana l’esercizio e la tutela dei diritti d’autore e di proprietà
intellettuale anche su tutte le registrazioni sonore della propria voce
risalenti il periodo antecedente alla Sua elevazione alla Cattedra di Pietro,
salvi i diritti già legittimamente acquisiti da terzi”.Lo ha reso noto
oggi un comunicato della Sala Stampa
vaticana.
La Radio Vaticana, in quanto
emittente radiofonica della Santa Sede – ricorda la nota - ha già, “in forza del suo Statuto (art. 15),
il compito di costituire, custodire e gestire l’archivio sonoro del Santo
Padre, assicurandone la salvaguardia e curandone in esclusiva, sotto ogni
profilo, i relativi diritti d’autore e di proprietà intellettuale”.
=======ooo=======
OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
In prima pagina: Stati Uniti:
New Orleans, una città ridotta ad un campo di battaglia. Le operazioni di
soccorso ostacolate da bande dedite allo sciacallaggio. Iraq: il lutto per
l’immane strage a Baghdad non ferma le violenze.
Servizio vaticano – Un ricordo dell’abate Carlo Egger. Il
cammino della Chiesa in Africa. L’eredità spirituale della XX Giornata Mondiale
della Gioventù.
Servizio estero – Medio Oriente:
positive reazioni in Israele per l’avvicinamento al Pakistan. Terrorismo: al
Qaeda rivendica la strage di Londra. Nucleare: l’UE deferirà l’Iran al
Consiglio di Sicurezza. Russia: le famiglie in lutto ricordano i 186 bambini
uccisi nella scuola di Beslan.
Servizio culturale – Un articolo di Paolo Miccoli sul delirio
morale di molti intellettuali del Novecento.
Servizio italiano – Banca d’Italia: in discussione assetto e
limiti al Governatore. Intercettazioni: condanne più severe per chi divulga i
testi. In fiamme nella notte raffineria nel genovese.
=======ooo=======
2
settembre 2005
NEW
ORLEANS ALLO STREMO: LA CITTA’ DEVASTATA DALL’URAGANO KATRINA
IN PREDA ALLA VIOLENZA E AI SACCHEGGI. I
SOCCORSI PROCEDONO A RILENTO,
MENTRE IL PRESIDENTE AMERICANO BUSH VISITA
OGGI LE ZONE COLPITE,
ACCOMPAGNATO
DA SEVERE CRITICHE PER LA LENTEZZA
DELLA CASA BIANCA NEL REAGIRE ALLA CATASTROFE
- A
cura di Alessandro Gisotti -
New Orleans è in ginocchio:
quattro giorni dopo il passaggio devastante dell’uragano Katrina sulla
Louisiana, la situazione sembra fuori controllo, mentre è ancora impossibile
tracciare un bilancio delle vittime. Per il governatore della Louisiana,
Kathleen Blanco, i morti sarebbero migliaia. Secondo l’UNICEF, i bambini
rimasti senza tetto negli Stati colpiti sarebbero almeno 300 mila. Oggi il presidente
americano, Bush, visiterà le zone colpite da Katrina, accompagnato da severe
critiche sulla lentezza del governo federale nella risposta alla catastrofe,
peraltro prevista tre anni fa dalla FEMA, la protezione civile americana.
L’operato di Bush è stato, invece, difeso dal suo predecessore, Bill Clinton.
Intanto, per far fronte alla criminalità che imperversa a New Orleans, dove si
moltiplicano sparatorie ed esplosioni, nella città sono stati dislocati
trecento soldati della Guardia Nazionale, con licenza di uccidere. Una misura
necessaria, secondo le autorità locali, per fermare gli atti di sciacallaggio,
che rendono difficili le operazioni di soccorso. Sul fronte degli aiuti
internazionali, l’Unione Europea e la NATO sono pronte ad offrire a Washington
ogni aiuto necessario. Ma torniamo alla drammatica situazione a New Orleans con
il servizio di Paolo Mastrolilli:
**********
Omicidi, stupri e saccheggi: New Orleans è in preda
all’anarchia e il sindaco ha annunciato un SOS disperato per salvare i sopravvissuti
dell’uragano Katrina. Ieri per alcune ore è stata bloccata l’evacuazione delle
30 mila persone che hanno trovato rifugio nello stadio Superdome, perché
qualcuno ha sparato contro un elicottero impegnato negli aiuti. Anche la
protezione civile ha sospeso i suoi interventi proprio perché non poteva
garantire la sicurezza del proprio personale. Il sindaco di New Orleans ha
ordinato ai poliziotti di non partecipare più ai soccorsi per dedicarsi solo a
riportare l’ordine ed anche i militari della Guardia nazionale erano stati mobilitati
a questo scopo. Le autorità hanno decretato l’evacuazione completa della città,
soprattutto perché temono epidemie. L’afflusso dell’acqua nelle ultime ore si è
stabilizzato, ma la presenza nelle strade di cadaveri non ancora raccolti,
scarichi fognari ed altre sostanze tossiche crea il rischio di malattie come il
colera e il tifo. Diversi sopravvissuti anziani sono già morti al Superdome,
perché non hanno sopportato il caldo, la fatica, la mancanza di cibo e
medicine.
Il presidente Bush, criticato dal giornale “New York
Times” per la lentezza con cui ha risposto alla crisi, ha chiesto al padre e al
predecessore Clinton di guidare la raccolta dei fondi per la ricostruzione,
come era avvenuto per lo Tsunami in Asia. Il capo della Casa Bianca ha
ribadito la ferma intenzione di ricostruire New Orleans, nonostante il leader
della Camera abbia suggerito di abbandonarla. Il Congresso ha approvato 10
miliardi di dollari in aiuti e la Casa Bianca ha detto di accettare
l’assistenza offerta dai Paesi stranieri. Oggi Bush visiterà le zone colpite dall’uragano
per dimostrare l’impegno del governo federale e rispondere alle critiche.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
**********
Di fronte alla più grave
catastrofe naturale degli ultimi cent’anni per gli Stati Uniti, si moltiplicano
in tutto il Paese le iniziative di solidarietà in favore delle popolazioni
colpite da Katrina. Alla Croce Rossa sono arrivate donazioni per 72 milioni di
dollari e all’Esercito della Salvezza per 15 milioni. Anche i principali
network televisivi sono mobilitati in “maratone di beneficenza”, come solo dopo
l’11 settembre si era verificato. E la Louisiana è mobilitata per aiutare gli
sfollati di New Orleans. Molti di loro sono ospitati nelle parrocchie dello
Stato del Sud come quella di “Nostra Signora Regina Coeli”, nella cittadina di
Lake Charles. Ecco la testimonianza del parroco, mons. James Gaddy, raggiunto
telefonicamente da Susy Hodges:
**********
THEY ARE VERY ANXIOUS...
Sono tutti in preda all’ansia.
Non sanno cosa sia accaduto ai loro familiari. Sono fuggiti lasciandosi alle
spalle gli amici, non sanno se sono vivi o morti perché l’intero sistema di
infrastrutture è stato distrutto e non c’è possibilità di comunicare. Tra le
cose da fare a lunga scadenza c’è la ricostruzione di tutte le infrastrutture.
New Orleans è tutta una grande pozza nera, piena di benzina fuoriuscita dalle
macchine rovesciate e dagli oleodotti che sono scoppiati. L’acqua è contaminata
dagli scoli fognari e c’è pericolo di malattie. Nessuno può immaginare fino a
quando durerà tutto questo. Pensiamo che i profughi rimarranno qui per almeno 6
settimane prima di poter rientrare a casa. Le abitazioni sono tutte inagibili,
se non totalmente distrutte.
**********
Se, dunque, si vivono momenti drammatici a New Orleans e nelle altre aree
della Louisiana e del Mississippi colpite da Katrina, non mancano i disagi per
gli sfollati, che stanno trovando rifugio in Texas. La macchina dei soccorsi si
è infatti inceppata in uno dei suoi punti più sensibili: l’Astrodome di
Houston. La struttura sportiva che avrebbe dovuto ospitare a 20 mila persone,
provenienti dal Superdome di New Orleans, è stata dichiarata al completo con
sole 11 mila persone. Gli sfollati vivono dunque con sconforto queste ore, dopo
aver lasciato dietro le spalle le proprie case distrutte. Ascoltiamo mons.
Frank H. Rossi, vicario generale dell’arcidiocesi di Galveston-Houston, al
microfono di Susy Hodges:
*********
THE PEOPLE WHO ARE COMING IN HOUSTO ARE ....
La gente che sta venendo a Houston si trova in uno stato
di shock tremendo. Hanno perso la casa, il lavoro. Non si tratta di persone che
dispongono di molti mezzi economici e non sono in grado attualmente di
soddisfare le proprie necessità personali. Abbiamo numerosi bambini che devono
poter continuare ad andare a scuole; numerosi malati poveri che devono essere
curati. Uno degli effetti a lungo termine sarà che molte persone che hanno
perso la loro casa non saranno più in grado di tornare nel proprio Paese. Molti
di loro già pensano che non potranno mai più tornare in Louisiana e cominciano
a preoccuparsi su dove stabilirsi. Stiamo lavorando per mandare i bambini nelle
scuole cattoliche e in quelle pubbliche. Molti sentono che la loro vita è
distrutta e non sanno dove potranno riprendere la loro vita familiare.
**********
DOPO LA STRAGE DI FEDELI SCIITIA BAGHADAD, OGGI IN
IRAQ
SONO STATE ATTACCATE DUE MOSCHEE SUNNITE
- Intervista con l’arcivescovo Jean-Benjamin
Sleiman -
In Iraq, i tre giorni di lutto decretati per le oltre 1000
vittime della tragedia di Baghdad, non placano il conflitto nel Paese. Una
bomba è esplosa a pochi chilometri dal ponte della strage, uccidendo almeno una
persona. All’alba due moschee sunnite sono state bersagliate di colpi d’arma da
fuoco in una città del sud, provocando due feriti e un morto, mentre tre
soldati statunitensi sono stati uccisi in diversi attacchi compiuti tra ieri e
oggi. Ieri migliaia di persone hanno partecipato ai funerali di stato per le
vittime sciite di mercoledì. Intanto a Bassorah gli sciiti sono scesi in piazza
a sostegno della bozza di Costituzione che dovrà essere sottoposta a Referendum
il 15 ottobre.
Della drammatica
situazione nel Paese, Andrea Sarubbi ha parlato con l’arcivescovo latino di
Baghdad, Jean-Benjamin Sleiman:
*********
R. – Sostanzialmente, dalla fine
della guerra ad oggi, siamo in una grande confusione. Siamo in un Paese
veramente senza regole. Sono riapparse molto forti tante realtà credute morte,
come il tribalismo, il fatalismo. Sono realtà veramente molto forti oggi.
Quindi siamo ancora in una grande confusione, ma la parola confusione non
esprime forse il tragico quotidiano di questa situazione. La confusione,
infatti, è alimentata da una violenza non vorrei dire ‘cieca’ perché sembra
invece ben pianificata e quindi perversa.
D. – Secondo lei, c’è il rischio
concreto di una guerra civile in Iraq?
R. – Io spero di no. Che ci
siano rischi, certamente ci sono e seri, ma penso che molti responsabili siano
al corrente di questo e stiano facendo di tutto per evitare una guerra civile.
D. – Si sta facendo abbastanza
per risolvere questa grande divisione tra sunniti e sciiti oppure no?
R. – Forse, fino adesso si è
imboccata la via per risolvere problemi così profondi, così storici. La
situazione attuale ha anche la sua novità. Tanti conflitti sono veramente
radicati in una cultura e in una storia abbastanza conflittuale e violenta. Per
risanare tutto questo ci vuole un altro sforzo per aiutare questa popolazione a
riconciliarsi con se stessa, col suo passato, con tanti suoi problemi, a incoraggiare
una nuova cultura e una nuova mentalità.
D. – C’è un contrasto in Iraq in
questo momento, da un lato le continue violenze, dall’altro, però, anche il
cammino verso la Costituzione, le elezioni. Quando arriva la democrazia?
R. - Può arrivare presto o non arrivare mai. Io penso che il problema
della democrazia sia un problema che va al di là di un testo costituzionale,
che va al di là anche dello scrutinio stesso. La democrazia è l’espressione
politica di una filosofia, di una antropologia, di una cultura e penso che
bisogna fare ancora molti sforzi. Ci sono delle difficoltà non visibili, ma
reali, oltre al fatto che c’è un problema politico, ci sono quelli che non
vogliono la democrazia, non per la democrazia in quanto tale, ma perché sono
altri che la stanno costruendo. Quindi ci sono anche conflitti politici
interni, internazionali in superficie, ma il background sociale, antropologico
va veramente rivisto.
***********
PROSEGUONO IN RUSSIA LE COMMEMORAZIONI
AD UN ANNO DALLA STRAGE DI BESLAN
- Intervista con Tullio Santini -
Continuano in
Russia le commemorazioni per le vittime della strage di Beslan, in cui morirono
oltre 180 bambini. Nella cittadina caucasica decine di donne hanno passato la
notte di ieri nella scuola dove un anno fa 32 terroristi presero in ostaggio
1200 persone. Oggi al Cremlino è previsto l’incontro di una delegazione del
Comitato delle madri di Beslan con il presidente Putin. Ascoltiamo la testimonianza
di Tullio Santini responsabile Unicef per il Caucaso del nord, al microfono di
Isabella Piro.
**********
R. – Mi sono recato
personalmente a Beslan alcuni giorni dopo la fine della tragedia nella scuola e
quello che mi colpì fu l’estremo grado di tensione, oltre che il dolore che
percepivo. Ma la cosa sorprendente è che, forse, a distanza di un anno i
bambini sembrano aver progredito maggiormente sulla via del tentativo di
voltare pagine e guardare avanti più degli adulti. E difatti all’interno del
progetto di riabilitazione psicologica che UNICEF ha avviato qualche settimana
dopo la tragedia della scuola, abbiamo iniziato a spostare la nostra attenzione
dai bambini ai genitori dei bambini rapiti o scomparsi.
D. – Quante persone avete
seguito?
R. – Abbiamo seguito quasi 4
mila persone tra adulti e bambini. Si è trattato di un progetto di cerchi
concentrici, che ha visto e vede al centro 200 bambini sopravvissuti, che sono
stati visitati nel Centro di riabilitazione psicologica nella capitale
dell’Ossezia del Nord.
D. – Ma la scuola numero ‘uno’
che fu teatro della strage è stata ricostruita?
R. – La scuola numero ‘uno’ non
è stata ricostruita. Il governo locale ha costruito due nuove scuole non
lontano, che stanno per aprire, ed UNICEF sta contribuendo con del materiale
educativo e scolastico.
D. – Ad un anno di distanza che
atmosfera si respira a Beslan?
R. – I segnali di ripresa ci
sono ed arrivano soprattutto dai bambini. Rimane l’atmosfera di tristezza nella
comunità: da un anno non si celebra, ad esempio, alcun matrimonio. Rimane anche
per i familiari delle vittime la frustrazione molto forte verso chi, secondo
loro, non ha saputo prevenire la tragedia o rispondere in modo adeguato. Un
gruppo di madri di alcuni bambini scomparsi sono ancora molto attive
pubblicamente nel chiedere che sia fatta luce sull’accaduto.
**********
PRESENTATA IERI LA
16.MA MARCIA PER LA PACE PERUGIA-ASSISI
CHE SI SVOLGERA’ DOMENICA 11 SETTEMBRE
- Ai nostri microfoni Flavio Lotti e Grazia
Bellini -
“Io voglio tu vuoi noi possiamo”
E’ lo slogan che accompagnerà la 16.ma edizione della Marcia per la pace
Perugina-Assisi, presentata ieri a Roma alla stampa. L’evento, promosso tra gli
altri dalla Tavola per la pace e dalla campagna ONU del millennio “no excuse
2015”, si svolgerà domenica 11 settembre, data che non solo ricorda la strage
delle Torri gemelle a New York, ma che
si colloca a pochi giorni dal Vertice degli oltre 170 capi di Stato delle
Nazioni Unite convocato nella metropoli
americana dal 14 al 16 settembre. Il servizio di Marina Tomarro
**********
Una marcia per mettere al bando
la miseria e la guerra e promuovere la giustizia e il futuro dell’ONU: sono
questi gli obiettivi che si pone la nuova edizione della Marcia per la pace.
Flavio Lotti, coordinatore nazionale della manifestazione:
R. – Vogliamo costruire una pace
vera e sostituirla con questa pace falsa che spesso viene propagandata e ci
dipinge come delle persone che si arrendono di fronte al terrorismo e ai
problemi. Noi siamo, invece, coloro che i problemi li vogliono affrontare e
risolvere, cercando di andare alle origini. Se la marcia Perugia-Assisi
servisse anche solo a questo e cioè a difendere un’idea positiva della pace, di
cui ciascuno di noi deve essere responsabile e protagonista, avremmo già
ottenuto un grandissimo risultato.
La marcia sarà anticipata da
diverse iniziative in oltre cento città italiane. In particolare a Terni si
svolgerà - dall’8 al 10 settembre - la II Assemblea dell’ONU dei giovani. Ma perché
partecipare a questo percorso Perugia-Assisi? Grazia Bellini, coordinatrice
nazionale della Marcia:
R. – Io credo che, da una parte,
significhi affermare la propria volontà di pace e, dall’altra, anche di
significare questa volontà delle persone, degli uomini, delle donne e dei
giovani che deve essere raccolta dai governanti e che è una volontà che indica
la ricerca di strade diverse per risolvere i conflitti. L’agenda di questi mesi
ci fa ormai vedere come la guerra non è solo sbagliata, ma è anche tragicamente
inutile. Questo è presente nel cuore delle persone e nella loro volontà, ma
anche nel cuore dei giovani.
Durante
il cammino saranno distribuiti ai partecipati migliaia di braccialetti bianchi,
le “white bend”, simbolo della lotta
alla povertà. Un modo, questo, per ricordare ai potenti della terra il loro
impegno affinché, entro il 2015 la povertà diventi per molti popoli soltanto un
ricordo.
**********
=======ooo=======
2 settembre 2005
SINCERA RICERCA DEL BENE IN UNO SPIRITO DI COMUNIONE:
IL PAPA
INVIA UN MESSAGGIO AGLI STUDENTI DEL PRIMO PARLAMENTO
UNIVERSITARIO LATINOAMERICANO, CHE SI CHIUDE
IN ARGENTINA
BUENOS AIRES.= Uno spirito di comunione e di sincera
ricerca del bene comune per tutto il mondo latinoamericano, alla luce degli
autentici valori umani e del Vangelo. E’ quanto ha auspicato Benedetto XVI al
primo Parlamento universitario latinoamericano, che conclude oggi a Buenos
Aires i lavori iniziati mercoledì scorso. Costituito da studenti provenienti da
quasi tutti gli stati dell'America del Sud, il Parlamento universitario sta mettendo
a fuoco tematiche che oggi interessano particolarmente l'America meridionale.
Tra queste, l'integrazione fra i vari Paesi, la democrazia, la promozione della
famiglia, la formazione della dirigenza politica, lo sviluppo, il traffico
degli stupefacenti, la promozione della gioventù. Il Santo Padre ha indirizzato
il suo messaggio a mons. Alfredo Zecca, rettore dell'UCA, l'Università
cattolica argentina, che sta ospitando l'iniziativa studentesca. Adesioni sono
giunte dal cardinale Jorge Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires e gran cancelliere
dell'Università cattolica argentina, oltre che dai presidenti delle varie Commissioni
episcopali che trattano del mondo universitario e del laicato. (T.C.)
L’ONU HA DELIBERATO NUOVI AIUTI ALLA SIERRA LEONE
AL TERMINE
DELLA MISSIONE DI PACE.
INTANTO
MILIONI DI PERSONE SONO ISOLATE A CAUSA DI ALLUVIONI
FREETOWN.= L’ONU continuerà ad aiutare la Sierra
Leone. Il Consiglio di Sicurezza ha approvato all’unanimità una risoluzione che
prevede aiuti al Paese anche dopo la missione di pace. Lo riferisce l’agenzia
MISNA. Nelle scorse settimane, il segretario generale, Kofi Annan, pur
elogiando i progressi raggiunti dalla fine della guerra, aveva evidenziato la
necessità di continuare a garantire sostegno alla Sierra Leone per portare a
termine iniziative di vario genere, soprattutto umanitarie e di promozione dei
diritti umani. Le Nazioni Unite continueranno dunque ad offrire il loro
sostegno al Paese anche dopo che i caschi blu avranno lasciato Freetown.
Secondo quanto stabilito dal massimo organo decisionale dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite, dal 1 gennaio 2006, data in cui si concluderà
ufficialmente la missione in Sierra Leone, sarà operativa una missione di assistenza.
Il mandato iniziale sarà di un anno. Recentemente l’ONU ha anche chiesto al
governo di Freetown di continuare gli sforzi compiuti finora per la creazione
di una forza di polizia e di un esercito in grado di difendere il Paese e un
sistema giudiziario indipendente per garantire la giustizia. La Sierra Leone è
stato teatro di un conflitto che in 10 anni (1991-2001) ha provocato oltre
50.000 morti e che ha scioccato il mondo per l’utilizzo di bambini soldato e la
terribile pratica delle mutilazioni. Intanto, almeno diecimila civili sono isolati
a causa degli alluvioni che hanno colpito le zone meridionali. Tra le aree più
colpite il distretto di Pujehun, sulle coste dell’Oceano Atlantico, a 300
chilometri a sud della capitale Freetown. “Siamo riusciti a raggiungere otto
città e a distribuire cibo e generi di prima necessità a circa 7.000 persone,
ma altre migliaia restano intrappolate in 11 centri abitati irraggiungibili a
causa dell’inaccessibilità delle strade e del crollo di ponti, mentre continua
a piovere”, ha riferito Vandy Sonnah, coordinatore dei soccorsi della Croce Rossa
locale. “La situazione è critica soprattutto per i bambini, perché le scorte
alimentari scarseggiano” ha aggiunto Sonnah. Il bilancio, ancora provvisorio,
parla di almeno 20 vittime. Oltre un migliaio le abitazioni distrutte e numerosi
i capi di bestiame travolti dalle acque. (T.C.)
LO ZIMBAWE RESTITUISCE PARTE DEL DEBITO
CHE DEVE AL FONDO
MONETARIO INTERNAZIONALE.
IL 9 SETTEMBRE L’FMI DISCUTERÀ
SULLA REALTÀ DEL PAESE
HARARE.= Il Governo della Zimbawe ha annunciato la
restituzione di 120 dei 300 milioni di debito che doveva al Fondo Monetario
Internazionale (FMI). Lo scrive l’agenzia Misna. La decisione è stata
annunciata al termine della visita nel Paese di una delegazione della massima
istituzione finanziaria internazionale. Col pagamento effettuato, non è ancora
chiaro se grazie a un prestito del governo sudafricano o meno, lo Zimbawe spera
di non rimanere espulso dal Fondo monetario internazionale, che il 9 settembre
si riunirà per prendere delle decisioni sul Paese. “Da un punto di vista
tecnico siamo in difetto – ha ammesso il governatore della Banca nazionale al
giornale filogovernativo Herald – ma con questo pagamento abbiamo dimostrato la
nostra possibilità e volontà di andare avanti e speriamo che questo venga
tenuto in considerazione”. (T.C)
L’AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE INCREMENTA
LE IMPORTAZIONI DI ROSARI D’ULIVO DALLA TERRA
SANTA.
IN GRAN BRETAGNA
NE SONO STATI ESPORTATI GIÀ 4.500
LONDRA.= Crescono le esportazioni dei rosari d’ulivo
della Terra Santa. La campagna di vendita lanciata in Gran Bretagna dall'opera
Aiuto alla Chiesa che Soffre sta dando lavoro a cinquanta famiglie cristiane
che vivono in Israele. Lo rende noto la stessa Opera, che nell'arco di sette
mesi ha venduto 4.500 rosari. All’iniziativa volta a sostenere l’economia in
Terra Santa, sono si sono interessate adesso anche le sezioni di Aiuto alla
Chiesa che Soffre presenti in Canada, in Australia, in Portogallo e in Brasile.
L'opera ha distribuito a Colonia, in occasione della recente Giornata Mondiale
della Gioventù, 30.000 rosari realizzati con ulivo di Betlemme.
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA: IL POTERE DELL’INFORMAZIONE E
L’ETICA
PROFESSIONALE DEL
GIORNALISTA NEL FILM DI GEORGE CLOONEY E IL DRAMMA DEI PROFUGHI PALESTINESI
FIRMATO DAL REGISTA Rashid Masharawi
- A cura di Luca Pellegrini
-
**********
VENEZIA = Libertà ed etica
dell’informazione, libertà e giustizia per i popoli. Alla Mostra del Cinema di
Venezia, due film diversissimi fra loro affrontano con coraggio ed onestà due
temi attuali del nostro tempo e nella nostra società. Il potere
dell’informazione, l’etica professionale del giornalista, la sua libertà, la
forza persuasiva dirompente dello schermo televisivo. Non era difficile
immaginare i lunghi minuti di applausi riservati ieri sera dal pubblico al divo
americano, George Clooney, per la sua seconda regia cinematografica in concorso
alla Mostra. Good night, and good luck, “Buona notte e buona fortuna”.
Questo il titolo e questo il saluto col quale il coraggioso giornalista
americano Edward R. Murrow terminava un suo famoso programma televisivo di news
sulla CBS negli anni Cinquanta. Epoca in cui gli Stati Uniti vivevano il
tormento del maccartismo e in cui pochi, coraggiosi colleghi si ergevano per
denunciare, con seri rischi professionali e civili, l’infausto clima di paura e
delazione creatosi. Murrow, con i suoi della redazione di See it now, fu
un paladino della libertà, della sana informazione e Clooney dimostra talento e
rigore nel raccontarne la storia con l’uso appropriato del bianco e nero. Non
un vero “biopic”, come si dice, ma un pretesto per lanciare, attraverso lo
scontro Murrow–McCarthy, un avvertimento che anche oggi sentiamo impellente ed
attuale più che mai: la televisione, se ben usata, può essere fonte di cultura,
istruzione e informazione veritiera, e per questo coloro che ne sono coinvolti
detengono una responsabilità enorme. Altrimenti, si riduce a veicolo di sterili
inganni, pulpito per una quotidiana disinformazione ed una diseducazione sistematica.
Con altrettanto coraggio, il regista palestinese Rashid Masharawi presenta, per
le Giornate degli Autori, il suo Attente-Attesa e denuncia con ironia e
rispetto il dramma dei profughi palestinesi. Un suo alter ego regista è
incaricato di fare provini ad attori palestinesi per il nascente Teatro a Gaza
e per questo motivo visita i campi profughi in Giordania, Siria e Libano
entrando in contatto con il dolore che tentava di dimenticare attraverso la
fuga. Il provino consiste nel recitare una situazione di attesa: ciascuno lo fa
come può e come sa. Nella comicità di alcune situazioni, si insinua il dramma
di chi attende veramente un ritorno a casa ed il ricongiungimento con la famiglia.
L’attesa di un popolo diventa involontariamente ed inaspettatamente anche
quella del regista, che capisce quanto sia difficile fuggire dalla propria
terra, dimenticare la propria storia. Un film intelligente, appassionato,
sincero, su uno dei tanti drammi irrisolti del nostro tempo.
**********
=======ooo=======
2 settembre 2005
-
A cura di Roberta Gisotti e Andrea
Cocco -
A
quasi due mesi dagli attentati di Londra del 7 luglio scorso, che provocarono
55 morti e 700 feriti, Al Qaeda ha rivendicato le azioni terroristiche. La
televisione Al Jazeera ha infatti trasmesso ieri un video nel quale il numero
due della rete di Bin Laden, Ayman Al Zawahri, attribuisce ad Al Qaeda la
paternità di quanto avvenuto nella capitale britannica e minaccia ulteriori
attacchi nei Paesi in qualche modo coinvolti nei conflitti in Iraq, Medio
Oriente e Afghanistan. Nel video appare anche il testamento di uno degli attentatori.
Ce ne parla Guido Olimpio, esperto di terrorismo del Corriere della Sera,
intervistato da Giada Aquilino:
**********
R. – Ritengo che queste minacce
siano credibili e da valutare con grande accortezza e preoccupazione. Inoltre
non c’è dubbio che aver diffuso un video di Al Zawahri insieme ad uno degli attentatori di Londra conferisca alla
rivendicazione un valore altissimo. Gli attentati, già gravi, ora si
inseriscono in un disegno molto più ampio: ha agito un gruppo locale, che è
stato chiaramente ispirato dalla ‘casa madre’ qaedista.
D. – Il video è diviso in più
parti: comprende infatti il testamento di uno degli attentatori e le minacce di
Al Zawahri…
R. – Probabilmente è stato fatto
un collage. Del resto, dopo i primi attentati di Londra, ci si è sempre chiesti
come mai non ci fosse un video degli attentatori.
D. –
Perché la rivendicazione è giunta ora, dopo quasi due mesi dagli attentati?
R. – E’ possibile che il video
sia stato fatto, magari in Pakistan, prima degli attentati e poi sia stato
montato insieme a quello di Al Zawahri. Non dobbiamo neanche dimenticare che lo
stesso Al Zawahri si era già espresso poco tempo fa, con un altro messaggio.
Non si può quindi neppure escludere che si tratti sempre del vecchio video, magari
rimontato, tanto più che non abbiamo mai l’esatta conoscenza della durata di un
video che viene diffuso. Generalmente Al Jazeera ne manda in onda soltanto una
parte.
**********
La
Tuchia al centro dei lavori dei ministri degli Esteri dei 25 Paesi dell’UE
riuniti da ieri a Newport, in Galles. Si attende il sì all’apertura dei
negoziati per l’adesione di Ankara all’Unione Europea, previsto il 3 ottobre.
E’ “un’occasione da non mancare – ha dichiarato stamane il premier turco Erdogan
– per unire e creare un’alleanza tra Islam e Occidente, cruciale anche per
combattere il terrorismo”. “Impedire questo processo – ha ammonito - è una
fattura che nessuno potrà pagare davanti all’umanità”.
Erdogan
ha sottolineato che la Turchia è pronta e rivolto ai dubbiosi ha aggiunto: “Chi
si aspetta altre cose da noi sbaglia”. Il premier turco in visita in Italia, ha
ricevuto stamane a Napoli il “Premio Mediterraneo”, ed è poi giunto a Roma per
incontrarsi con il presidente del Consiglio, Berlusconi. Ma qual
è l’atteggiamento dei Paesi europei rispetto alla possibile entrata della
Turchia nell’Unione? Giada Aquilino lo ha chiesto alla professoressa Federiga
Bindi, titolare della cattedra europea Jean
Monnet all’Università Tor Vergata di Roma:
**********
R. – I Venticinque sono poco compatti. Fino ad un certo
punto l’indecisione di molti Stati veniva ‘coperta’ dall’opposizione greca. Da
quando negli ultimi anni la Grecia ha cambiato la sua politica estera,
diventando più aperta rispetto alla Turchia, le contraddizioni degli altri
Stati sono venute a galla. La Germania, ad esempio, attualmente è favorevole ma
se - come tutto lascia prevedere - vincerà la CDU alle elezioni del 18 settembre,
il prossimo governo tedesco, da qui a tre settimane, sarà invece contrario
all’adesione. L’altro Paese abbastanza critico è la Francia, anche se per ora
non c’è in vista alcun veto da Parigi. Ci sono poi altri Paesi quali l’Austria,
la Slovacchia, l’Ungheria e la Slovenia che vorrebbero legare l’adesione turca
a quella della Croazia.
D. – Il 3 ottobre dovrebbe
arrivare il via libera ai negoziati. Dopo cosa accadrà?
R. – Anzitutto vediamo se
arriverà. Hans Gert Poettering, il capogruppo
del Partito Popolare Europeo, ha chiesto che venga aggiunta una clausola nella
quale si dice: “Negoziati per l’adesione o altra forma di collaborazione”.
Vediamo, quindi, se effettivamente partiranno - e in quale forma - queste
trattative. Secondo me, un compromesso dovrà essere trovato, ma soltanto dopo
le elezioni tedesche.
**********
Attesa in Italia per le
decisioni del Consiglio dei Ministri riunito per affrontare la complessa e
controversa vicenda della riforma della Banca d’Italia. Sono state ascoltate stamane
le relazioni dei ministri dell’Economia, Siniscalco, e della Giustizia,
Castelli. La riunione, sospesa per il pranzo, sarà ripresa alle ore 15.
“Un
incontro storico”. Questa mattina la stampa israeliana ha salutato con entusiasmo
il riavvicinamento diplomatico tra Israele e Pakistan, dopo l’incontro, ieri a
Istabul, tra i rispettivi ministri degli Esteri. Secondo il quotidiano
“Haaretz, le due diplomazie sono ora al lavoro per organizzare un vertice tra
il premier Sharon e il presidente pakistano Musharraf. In Pakistan, forti
critiche sono state invece lanciate dai movimenti islamici radicali, che per i
prossimi giorni hanno annunciato dure manifestazioni di protesta. Fredda anche
la reazione della Lega araba, secondo cui il governo israeliano non merita
alcun riconoscimento da parte del Pakistan.
Svolta in Libano, nelle indagini
sull’attentato costato la vita all’ex premier Rafik Hariri, il 14 febbraio
scorso. I tre capi dei servizi di sicurezza e il comandante della guardia presidenziale,
fermati tre giorni fa, sono stati tutti incriminati per l’omicidio. A chiedere
il fermo dei quattro filosiriani era stata la Commissione di indagine dell’Onu.
La Siria, da parte sua, ribadisce completa estraneità all’attentato di “San
Valentino”.
Potrebbero essere dei due
insegnanti giapponesi dispersi da tre settimane in Afghanistan i corpi di un
uomo e una donna rinvenuti la notte scorsa nei pressi della strada che porta da
Kandahar alla città pachistana di Spin Buldak. I due, turisti in Pakistan, erano
entrati nel sud dell'Afghanistan l'8 agosto scorso e da allora si erano perse
le loro tracce. Nei giorni scorsi i Talebani avevano fatto sapere di essere
estranei alla scomparsa dei due giapponesi.
Allarme in Giappone per l’arrivo
di “Nabi”, un altro super-tifone, della stessa potenza – quinto grado -
dell'uragano Katrina, che ha devastato gli Stati Uniti, e che si sta avvicinando
con venti fino a 180 km, orari all'arcipelago meridionale di Okinawa, abitato
da 1 milione e 300 mila persone. L’arrivo di “Nabi”– che significa ‘farfalla’
in lingua coreana - è previsto per lunedì o martedì prossimi. “E' un tifone
estremamente pericoloso e potrebbe causare gravi danni”, ha avvertito l'Ente
meteorologico giapponese.
“Cautamente ottimista” si è detta Louise
Arbour, Alto Commissario dell'Onu per i diritti umani, sulla situazione in
Cina, dove sono possibili significativi passi in avanti. La Arbour, che ha
parlato stamane a Pechino in una conferenza stampa al termine di una visita di
cinque giorni in Cina, non ha però nascosto che “su alcuni terreni” la
situazione è ancora “stagnante o in regresso”. Il governo cinese, ha confermato
il Commissario, si sta muovendo per “rimuovere gli ostacoli” che al momento gli
impediscono di firmare la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e
Politici. In particolare, secondo la Arbour, la Cina sta definendo
“l'infrastruttura legale”, che consenta poi una graduale affermazione dei diritti
umani.
In Vietnam, il presidente Tran
Duc Luong ha invitato tutti i cittadini “senza discriminazione di passato,
di etnia, di religione, di classe
sociale” a mobilitarsi in vista delle riforme necessarie per ammodernare la
nazione. L’appello, in un discorso pronunciato di fronte a decine di migliaia
di persone riunite nell'immensa piazza di Ba Dinh, nel centro di Hanoi per il
60.mo anniversario della proclamazione unilaterale d’indipendenza del Paese
asiatico.
Due palazzi di Parigi – abitati abusivamente da circa 150 immigrati africani - sono stati evacuati questa mattina perché ritenuti pericolosi dalla Polizia, che ha condotto gli occupanti in luoghi d'accoglienza definiti “decenti”. Dopo l'incendio di martedì scorso che ha causato la morte di 7 immigrati africani in un palazzo nel quartiere Marais, il ministro dell'Interno, Sarkozy, aveva annunciato la chiusura di “tutti gli immobili occupati abusivamente e pericolosi''.
Sono oltre 200 i detenuti nella
base statunitense di Guantanamo che da tre settimane osservano uno sciopero
della fame per protestare contro le condizioni di vita nel carcere speciale. Ad
annunciarlo è stato ieri il Centro dei diritti costituzionali, i cui avvocati
difendono decine di detenuti della base. Secondo le autorità statunitensi le
persone che si rifiutano di mangiare non sarebbero più di 80.
=======ooo=======