RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 245 - Testo della trasmissione di venerdì 2 settembre 2005

 

 

Sommario

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa invita a pregare in questo mese di settembre “perché il diritto alla libertà religiosa sia riconosciuto dai governi di tutti i popoli della terra”. Ce ne parla  mons. Felix  Machado

 

Benedetto XVI affida alla Radio Vaticana i diritti d’autore su tutte le registrazioni sonore della propria voce anche prima della sua elezione al Soglio Pontificio

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

New Orleans allo stremo: la città devastata dall’uragano Katrina in preda alla violenza e ai saccheggi mentre i soccorsi procedono a rilento: la testimonianza di due sacerdoti americani

 

Dopo la strage dei fedeli sciiti a Baghdad, oggi sono state attaccate due Moschee sunnite. Ai nostri microfoni l’arcivescovo latino di Baghdad, Jean-Benjamin Sleiman

 

Proseguono in Russia le commemorazioni ad un anno dalla strage di Beslan: con noi Tullio Santini

 

Presentata ieri la Marcia per la Pace Perugia-Assisi di domenica 11 settembre: interviste con Flavio Lotti e Grazia Bellini

 

CHIESA E SOCIETA’:

Il primo Parlamento universitario latinoamericano conclude i suoi lavori oggi a Buenos Aires: il saluto del Papa agli studenti

 

Risoluzione dell’ONU per nuovi aiuti alla Sierra Leone al termine della missione di pace

 

Lo Zimbabwe restituisce parte del debito che deve al Fondo Monetario Internazionale

 

“Aiuto alla Chiesa che soffre” incrementa le importazioni di rosari d’ulivo dalla Terra Santa

 

Alla Mostra di Venezia il potere dell’informazione  e il dramma dei profughi palestinesi

 

24 ORE NEL MONDO:

Al Qaeda rivendica gli attentati di Londra e lancia nuove minacce ai Paesi ritenuti nemici

 

I Ministri degli Esteri dell’UE discutono sull’avvio del negoziato per l’adesione della Turchia

 

Allarme in Giappone per l’arrivo di Nabi, un altro supertifone che minaccia l’arcipelago di Okinawa

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

2 settembre 2005

 

 

IL DIALOGO E LA FIDUCIA PRESUPPOSTI INDISPENSABILI

PER L’INSTAURAZIONE GIURIDICA E SOCIALE DELLA LIBERTA’ RELIGIOSA:

UN TEMA AL CENTRO DELLE PREGHIERE DEL PAPA PER IL MESE DI SETTEMBRE

- Intervista con mons. Felix Machado -

 

“Il diritto alla libertà religiosa sia riconosciuto dai governi di tutti i popoli della terra”. Suona così l’intenzione generale di preghiera per il mese di settembre che Benedetto XVI assumerà come propria, nella sua offerta quotidiana di orazioni e sacrifici. Un tema delicato, sottolineato come “importante” dal Papa non più di una settimana fa, nell’udienza al ministro degli Esteri iracheno Hoshyar Zebari. Cina, India, Arabia Saudita, Nigeria sono alcuni dei Paesi-simbolo delle difficoltà che tuttora persistono per le comunità cattoliche in alcune aree del pianeta, sia dal punto di vista della tutela giuridica, sia da quello della convivenza. Alessandro De Carolis ne ha parlato con mons. Felix A. Machado, sottosegretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso:

 

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R. – Anzitutto, bisogna dire che la libertà religiosa è un atteggiamento. Per avere un dialogo rispettoso, basato sulla dignità, dobbiamo dare la possibilità a ciascuno di agire secondo coscienza. Sicuramente, questo non vuol dire relativismo della verità, perché ognuno è tenuto a cercare la verità.

 

D. – La libertà religiosa non va intesa solo nella formulazione di leggi civili che tutelino il diritto di culto, soprattutto di alcune minoranze, ma chiama in causa anche la capacità di dialogo tra esponenti di fedi diverse. Qual è il lavoro che svolge il vostro dicastero in questo senso?

 

R. – E’ verissimo ciò che dice, perché anzitutto dobbiamo fare una distinzione: la libertà religiosa per i singoli e la libertà religiosa per le comunità. Anche se ogni singolo individuo va tutelato nella sua libertà di culto, c’è tuttavia da tenere ben presente la dimensione sociale della religione. Noi ad esempio, nel nostro dialogo con i musulmani, per prima cosa proviamo a costruire dei ponti di amicizia - come dice Benedetto XVI – cioè dar vita ad una mutua fiducia. Una volta creata, affrontiamo la questione della libertà religiosa. Ad esempio, in Arabia Saudita, proponiamo loro che non soltanto un individuo possa vivere la sua fede in casa propria, a porte chiuse, ma anche che i cattolici abbiano diritto di riunirsi in comunità, ad esempio per l’Eucaristia domenicale. Così come in India, nel dialogo con gli indù, laddove si deve ricordare che il fondamentalismo non riguarda soltanto singoli individui, ma che esiste talvolta un fondamentalismo dello Stato in quanto tale, che non permette la libertà religiosa.

 

D. – Cosa possono fare i cattolici che vivono in società nelle quali la Chiesa è libera di agire in favore dei fratelli perseguitati?

 

R. – Dimostrare concretamente la nostra solidarietà, il senso di fraternità, pregando, aiutando, e qualche volta anche invitando o visitando queste persone, questi luoghi, per essere ben consapevoli della persecuzione che li colpisce. Non possiamo negare che, così come avvenuto duemila anni fa, predicare il Vangelo è e sarà sempre una sfida. Questo perché se il Vangelo ci conforta, c’è pure una tendenza dell’uomo a ribellarsi contro il Vangelo. Quindi, colui che testimonia il Vangelo, colui che lo vive, viene perseguitato. Direi allora che tutti noi cristiani dobbiamo sempre dimostrare una solidarietà concreta verso tutti i perseguitati.

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UDIENZE

 

Stamane il Papa ha ricevuto nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo alcuni presuli della Conferenza Episcopale del Messico, in visita "ad Limina": mons. José Guadalupe Galván Galindo, vescovo di Torreón; mons. Ramón Godínez Flores, vescovo di Aguascalientes; mons. Gonzalo Galván Castillo, vescovo di Autlán; mons. Braulio Rafael León Villegas, vescovo di Ciudad Guzmán con il vescovo emerito  Serafín Vázquez Elizalde; mons. José Antonio Pérez Sánchez, prelato di Jesús María; mons. Javier Navarro Rodríguez, vescovo di San Juan de los Lagos; mons. Alfonso Humberto Robles Cota, vescovo di Tepic; mons. Gilberto Valbuena Sánchez, vescovo emerito di Colima.

 

 

NOMINE

 

In Italia il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Pozzuoli presentata da mons. Silvio Padoin per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Gennaro Pascarella, finora coadiutore della medesima sede.

 

 

 

BENEDETTO XVI AFFIDA ALLA RADIO VATICANA

I DIRITTI D’AUTORE SU TUTTE LE REGISTRAZIONI DELLA PROPRIA VOCE

ANCHE PRIMA DELLA ELEZIONE AL SOGLIO PONTIFICIO

 

“Benedetto XVI ha affidato alla Radio Vaticana l’esercizio e la tutela dei diritti d’autore e di proprietà intellettuale anche su tutte le registrazioni sonore della propria voce risalenti il periodo antecedente alla Sua elevazione alla Cattedra di Pietro, salvi i diritti già legittimamente acquisiti da terzi”.Lo ha reso noto oggi  un comunicato della Sala Stampa vaticana.

 

La Radio Vaticana, in quanto emittente radiofonica della Santa Sede – ricorda la nota -  ha già, “in forza del suo Statuto (art. 15), il compito di costituire, custodire e gestire l’archivio sonoro del Santo Padre, assicurandone la salvaguardia e curandone in esclusiva, sotto ogni profilo, i relativi diritti d’autore e di proprietà intellettuale”.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

In prima pagina: Stati Uniti: New Orleans, una città ridotta ad un campo di battaglia. Le operazioni di soccorso ostacolate da bande dedite allo sciacallaggio. Iraq: il lutto per l’immane strage a Baghdad non ferma le violenze.

 

Servizio vaticano –  Un ricordo dell’abate Carlo Egger. Il cammino della Chiesa in Africa. L’eredità spirituale della XX Giornata Mondiale della Gioventù.

 

Servizio estero – Medio Oriente: positive reazioni in Israele per l’avvicinamento al Pakistan. Terrorismo: al Qaeda rivendica la strage di Londra. Nucleare: l’UE deferirà l’Iran al Consiglio di Sicurezza. Russia: le famiglie in lutto ricordano i 186 bambini uccisi nella scuola di Beslan.

 

Servizio culturale –  Un articolo di Paolo Miccoli sul delirio morale di molti intellettuali del Novecento.

 

Servizio italiano –  Banca d’Italia: in discussione assetto e limiti al Governatore. Intercettazioni: condanne più severe per chi divulga i testi. In fiamme nella notte raffineria nel genovese.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

2 settembre 2005

 

NEW ORLEANS ALLO STREMO: LA CITTA’ DEVASTATA DALL’URAGANO KATRINA

 IN PREDA ALLA VIOLENZA E AI SACCHEGGI. I SOCCORSI PROCEDONO A RILENTO,

 MENTRE IL PRESIDENTE AMERICANO BUSH VISITA OGGI LE ZONE COLPITE,

ACCOMPAGNATO DA SEVERE CRITICHE PER LA LENTEZZA

 DELLA CASA BIANCA NEL REAGIRE ALLA CATASTROFE

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

New Orleans è in ginocchio: quattro giorni dopo il passaggio devastante dell’uragano Katrina sulla Louisiana, la situazione sembra fuori controllo, mentre è ancora impossibile tracciare un bilancio delle vittime. Per il governatore della Louisiana, Kathleen Blanco, i morti sarebbero migliaia. Secondo l’UNICEF, i bambini rimasti senza tetto negli Stati colpiti sarebbero almeno 300 mila. Oggi il presidente americano, Bush, visiterà le zone colpite da Katrina, accompagnato da severe critiche sulla lentezza del governo federale nella risposta alla catastrofe, peraltro prevista tre anni fa dalla FEMA, la protezione civile americana. L’operato di Bush è stato, invece, difeso dal suo predecessore, Bill Clinton. Intanto, per far fronte alla criminalità che imperversa a New Orleans, dove si moltiplicano sparatorie ed esplosioni, nella città sono stati dislocati trecento soldati della Guardia Nazionale, con licenza di uccidere. Una misura necessaria, secondo le autorità locali, per fermare gli atti di sciacallaggio, che rendono difficili le operazioni di soccorso. Sul fronte degli aiuti internazionali, l’Unione Europea e la NATO sono pronte ad offrire a Washington ogni aiuto necessario. Ma torniamo alla drammatica situazione a New Orleans con il servizio di Paolo Mastrolilli:

 

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Omicidi, stupri e saccheggi: New Orleans è in preda all’anarchia e il sindaco ha annunciato un SOS disperato per salvare i sopravvissuti dell’uragano Katrina. Ieri per alcune ore è stata bloccata l’evacuazione delle 30 mila persone che hanno trovato rifugio nello stadio Superdome, perché qualcuno ha sparato contro un elicottero impegnato negli aiuti. Anche la protezione civile ha sospeso i suoi interventi proprio perché non poteva garantire la sicurezza del proprio personale. Il sindaco di New Orleans ha ordinato ai poliziotti di non partecipare più ai soccorsi per dedicarsi solo a riportare l’ordine ed anche i militari della Guardia nazionale erano stati mobilitati a questo scopo. Le autorità hanno decretato l’evacuazione completa della città, soprattutto perché temono epidemie. L’afflusso dell’acqua nelle ultime ore si è stabilizzato, ma la presenza nelle strade di cadaveri non ancora raccolti, scarichi fognari ed altre sostanze tossiche crea il rischio di malattie come il colera e il tifo. Diversi sopravvissuti anziani sono già morti al Superdome, perché non hanno sopportato il caldo, la fatica, la mancanza di cibo e medicine.

 

Il presidente Bush, criticato dal giornale “New York Times” per la lentezza con cui ha risposto alla crisi, ha chiesto al padre e al predecessore Clinton di guidare la raccolta dei fondi per la ricostruzione, come era avvenuto per lo Tsunami in Asia. Il capo della Casa Bianca ha ribadito la ferma intenzione di ricostruire New Orleans, nonostante il leader della Camera abbia suggerito di abbandonarla. Il Congresso ha approvato 10 miliardi di dollari in aiuti e la Casa Bianca ha detto di accettare l’assistenza offerta dai Paesi stranieri. Oggi Bush visiterà le zone colpite dall’uragano per dimostrare l’impegno del governo federale e rispondere alle critiche.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Di fronte alla più grave catastrofe naturale degli ultimi cent’anni per gli Stati Uniti, si moltiplicano in tutto il Paese le iniziative di solidarietà in favore delle popolazioni colpite da Katrina. Alla Croce Rossa sono arrivate donazioni per 72 milioni di dollari e all’Esercito della Salvezza per 15 milioni. Anche i principali network televisivi sono mobilitati in “maratone di beneficenza”, come solo dopo l’11 settembre si era verificato. E la Louisiana è mobilitata per aiutare gli sfollati di New Orleans. Molti di loro sono ospitati nelle parrocchie dello Stato del Sud come quella di “Nostra Signora Regina Coeli”, nella cittadina di Lake Charles. Ecco la testimonianza del parroco, mons. James Gaddy, raggiunto telefonicamente da Susy Hodges:

 

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THEY ARE VERY ANXIOUS...

Sono tutti in preda all’ansia. Non sanno cosa sia accaduto ai loro familiari. Sono fuggiti lasciandosi alle spalle gli amici, non sanno se sono vivi o morti perché l’intero sistema di infrastrutture è stato distrutto e non c’è possibilità di comunicare. Tra le cose da fare a lunga scadenza c’è la ricostruzione di tutte le infrastrutture. New Orleans è tutta una grande pozza nera, piena di benzina fuoriuscita dalle macchine rovesciate e dagli oleodotti che sono scoppiati. L’acqua è contaminata dagli scoli fognari e c’è pericolo di malattie. Nessuno può immaginare fino a quando durerà tutto questo. Pensiamo che i profughi rimarranno qui per almeno 6 settimane prima di poter rientrare a casa. Le abitazioni sono tutte inagibili, se non totalmente distrutte.

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Se, dunque, si vivono momenti drammatici a New Orleans e nelle altre aree della Louisiana e del Mississippi colpite da Katrina, non mancano i disagi per gli sfollati, che stanno trovando rifugio in Texas. La macchina dei soccorsi si è infatti inceppata in uno dei suoi punti più sensibili: l’Astrodome di Houston. La struttura sportiva che avrebbe dovuto ospitare a 20 mila persone, provenienti dal Superdome di New Orleans, è stata dichiarata al completo con sole 11 mila persone. Gli sfollati vivono dunque con sconforto queste ore, dopo aver lasciato dietro le spalle le proprie case distrutte. Ascoltiamo mons. Frank H. Rossi, vicario generale dell’arcidiocesi di Galveston-Houston, al microfono di Susy Hodges:

 

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THE PEOPLE WHO ARE COMING IN HOUSTO ARE ....

La gente che sta venendo a Houston si trova in uno stato di shock tremendo. Hanno perso la casa, il lavoro. Non si tratta di persone che dispongono di molti mezzi economici e non sono in grado attualmente di soddisfare le proprie necessità personali. Abbiamo numerosi bambini che devono poter continuare ad andare a scuole; numerosi malati poveri che devono essere curati. Uno degli effetti a lungo termine sarà che molte persone che hanno perso la loro casa non saranno più in grado di tornare nel proprio Paese. Molti di loro già pensano che non potranno mai più tornare in Louisiana e cominciano a preoccuparsi su dove stabilirsi. Stiamo lavorando per mandare i bambini nelle scuole cattoliche e in quelle pubbliche. Molti sentono che la loro vita è distrutta e non sanno dove potranno riprendere la loro vita familiare. 

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DOPO LA STRAGE DI FEDELI SCIITIA BAGHADAD, OGGI IN IRAQ

SONO STATE ATTACCATE DUE MOSCHEE SUNNITE

- Intervista con l’arcivescovo Jean-Benjamin Sleiman -

 

In Iraq, i tre giorni di lutto decretati per le oltre 1000 vittime della tragedia di Baghdad, non placano il conflitto nel Paese. Una bomba è esplosa a pochi chilometri dal ponte della strage, uccidendo almeno una persona. All’alba due moschee sunnite sono state bersagliate di colpi d’arma da fuoco in una città del sud, provocando due feriti e un morto, mentre tre soldati statunitensi sono stati uccisi in diversi attacchi compiuti tra ieri e oggi. Ieri migliaia di persone hanno partecipato ai funerali di stato per le vittime sciite di mercoledì. Intanto a Bassorah gli sciiti sono scesi in piazza a sostegno della bozza di Costituzione che dovrà essere sottoposta a Referendum il 15 ottobre.

 

Della drammatica situazione nel Paese, Andrea Sarubbi ha parlato con l’arcivescovo latino di Baghdad, Jean-Benjamin Sleiman:

 

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R. – Sostanzialmente, dalla fine della guerra ad oggi, siamo in una grande confusione. Siamo in un Paese veramente senza regole. Sono riapparse molto forti tante realtà credute morte, come il tribalismo, il fatalismo. Sono realtà veramente molto forti oggi. Quindi siamo ancora in una grande confusione, ma la parola confusione non esprime forse il tragico quotidiano di questa situazione. La confusione, infatti, è alimentata da una violenza non vorrei dire ‘cieca’ perché sembra invece ben pianificata e quindi perversa.

 

D. – Secondo lei, c’è il rischio concreto di una guerra civile in Iraq?

 

R. – Io spero di no. Che ci siano rischi, certamente ci sono e seri, ma penso che molti responsabili siano al corrente di questo e stiano facendo di tutto per evitare una guerra civile.

 

D. – Si sta facendo abbastanza per risolvere questa grande divisione tra sunniti e sciiti oppure no?

 

R. – Forse, fino adesso si è imboccata la via per risolvere problemi così profondi, così storici. La situazione attuale ha anche la sua novità. Tanti conflitti sono veramente radicati in una cultura e in una storia abbastanza conflittuale e violenta. Per risanare tutto questo ci vuole un altro sforzo per aiutare questa popolazione a riconciliarsi con se stessa, col suo passato, con tanti suoi problemi, a incoraggiare una nuova cultura e una nuova mentalità.

 

D. – C’è un contrasto in Iraq in questo momento, da un lato le continue violenze, dall’altro, però, anche il cammino verso la Costituzione, le elezioni. Quando arriva la democrazia?

 

R. -  Può arrivare presto o non arrivare mai. Io penso che il problema della democrazia sia un problema che va al di là di un testo costituzionale, che va al di là anche dello scrutinio stesso. La democrazia è l’espressione politica di una filosofia, di una antropologia, di una cultura e penso che bisogna fare ancora molti sforzi. Ci sono delle difficoltà non visibili, ma reali, oltre al fatto che c’è un problema politico, ci sono quelli che non vogliono la democrazia, non per la democrazia in quanto tale, ma perché sono altri che la stanno costruendo. Quindi ci sono anche conflitti politici interni, internazionali in superficie, ma il background sociale, antropologico va veramente rivisto.

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PROSEGUONO IN RUSSIA LE COMMEMORAZIONI

AD UN ANNO DALLA STRAGE DI BESLAN

- Intervista con Tullio Santini -

 

Continuano in Russia le commemorazioni per le vittime della strage di Beslan, in cui morirono oltre 180 bambini. Nella cittadina caucasica decine di donne hanno passato la notte di ieri nella scuola dove un anno fa 32 terroristi presero in ostaggio 1200 persone. Oggi al Cremlino è previsto l’incontro di una delegazione del Comitato delle madri di Beslan con il presidente Putin. Ascoltiamo la testimonianza di Tullio Santini responsabile Unicef per il Caucaso del nord, al microfono di Isabella Piro.

 

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R. – Mi sono recato personalmente a Beslan alcuni giorni dopo la fine della tragedia nella scuola e quello che mi colpì fu l’estremo grado di tensione, oltre che il dolore che percepivo. Ma la cosa sorprendente è che, forse, a distanza di un anno i bambini sembrano aver progredito maggiormente sulla via del tentativo di voltare pagine e guardare avanti più degli adulti. E difatti all’interno del progetto di riabilitazione psicologica che UNICEF ha avviato qualche settimana dopo la tragedia della scuola, abbiamo iniziato a spostare la nostra attenzione dai bambini ai genitori dei bambini rapiti o scomparsi.

 

D. – Quante persone avete seguito?

 

R. – Abbiamo seguito quasi 4 mila persone tra adulti e bambini. Si è trattato di un progetto di cerchi concentrici, che ha visto e vede al centro 200 bambini sopravvissuti, che sono stati visitati nel Centro di riabilitazione psicologica nella capitale dell’Ossezia del Nord.

 

D. – Ma la scuola numero ‘uno’ che fu teatro della strage è stata ricostruita?

 

R. – La scuola numero ‘uno’ non è stata ricostruita. Il governo locale ha costruito due nuove scuole non lontano, che stanno per aprire, ed UNICEF sta contribuendo con del materiale educativo e scolastico.

 

D. – Ad un anno di distanza che atmosfera si respira a Beslan?

 

R. – I segnali di ripresa ci sono ed arrivano soprattutto dai bambini. Rimane l’atmosfera di tristezza nella comunità: da un anno non si celebra, ad esempio, alcun matrimonio. Rimane anche per i familiari delle vittime la frustrazione molto forte verso chi, secondo loro, non ha saputo prevenire la tragedia o rispondere in modo adeguato. Un gruppo di madri di alcuni bambini scomparsi sono ancora molto attive pubblicamente nel chiedere che sia fatta luce sull’accaduto.

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PRESENTATA IERI LA 16.MA MARCIA PER LA PACE PERUGIA-ASSISI

CHE SI SVOLGERA’ DOMENICA 11 SETTEMBRE

- Ai nostri microfoni Flavio Lotti e Grazia Bellini -

 

“Io voglio tu vuoi noi possiamo” E’ lo slogan che accompagnerà la 16.ma edizione della Marcia per la pace Perugina-Assisi, presentata ieri a Roma alla stampa. L’evento, promosso tra gli altri dalla Tavola per la pace e dalla campagna ONU del millennio “no excuse 2015”, si svolgerà domenica 11 settembre, data che non solo ricorda la strage delle Torri gemelle a New York,  ma che si colloca a pochi giorni dal Vertice degli oltre 170 capi di Stato delle Nazioni Unite  convocato nella metropoli americana dal 14 al 16 settembre. Il servizio di Marina Tomarro

 

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Una marcia per mettere al bando la miseria e la guerra e promuovere la giustizia e il futuro dell’ONU: sono questi gli obiettivi che si pone la nuova edizione della Marcia per la pace. Flavio Lotti, coordinatore nazionale della manifestazione:

 

R. – Vogliamo costruire una pace vera e sostituirla con questa pace falsa che spesso viene propagandata e ci dipinge come delle persone che si arrendono di fronte al terrorismo e ai problemi. Noi siamo, invece, coloro che i problemi li vogliono affrontare e risolvere, cercando di andare alle origini. Se la marcia Perugia-Assisi servisse anche solo a questo e cioè a difendere un’idea positiva della pace, di cui ciascuno di noi deve essere responsabile e protagonista, avremmo già ottenuto un grandissimo risultato.

 

La marcia sarà anticipata da diverse iniziative in oltre cento città italiane. In particolare a Terni si svolgerà - dall’8 al 10 settembre - la II Assemblea dell’ONU dei giovani. Ma perché partecipare a questo percorso Perugia-Assisi? Grazia Bellini, coordinatrice nazionale della Marcia:

 

R. – Io credo che, da una parte, significhi affermare la propria volontà di pace e, dall’altra, anche di significare questa volontà delle persone, degli uomini, delle donne e dei giovani che deve essere raccolta dai governanti e che è una volontà che indica la ricerca di strade diverse per risolvere i conflitti. L’agenda di questi mesi ci fa ormai vedere come la guerra non è solo sbagliata, ma è anche tragicamente inutile. Questo è presente nel cuore delle persone e nella loro volontà, ma anche nel cuore dei giovani.

 

         Durante il cammino saranno distribuiti ai partecipati migliaia di braccialetti bianchi, le “white bend”, simbolo della lotta alla povertà. Un modo, questo, per ricordare ai potenti della terra il loro impegno affinché, entro il 2015 la povertà diventi per molti popoli soltanto un ricordo.

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CHIESA E SOCIETA’

2 settembre 2005
 

 

SINCERA RICERCA DEL BENE IN UNO SPIRITO DI COMUNIONE:

IL PAPA INVIA UN MESSAGGIO AGLI STUDENTI DEL PRIMO PARLAMENTO

 UNIVERSITARIO LATINOAMERICANO, CHE SI CHIUDE IN ARGENTINA

 

BUENOS AIRES.= Uno spirito di comunione e di sincera ricerca del bene comune per tutto il mondo latinoamericano, alla luce degli autentici valori umani e del Vangelo. E’ quanto ha auspicato Benedetto XVI al primo Parlamento universitario latinoamericano, che conclude oggi a Buenos Aires i lavori iniziati mercoledì scorso. Costituito da studenti provenienti da quasi tutti gli stati dell'America del Sud, il Parlamento universitario sta mettendo a fuoco tematiche che oggi interessano particolarmente l'America meridionale. Tra queste, l'integrazione fra i vari Paesi, la democrazia, la promozione della famiglia, la formazione della dirigenza politica, lo sviluppo, il traffico degli stupefacenti, la promozione della gioventù. Il Santo Padre ha indirizzato il suo messaggio a mons. Alfredo Zecca, rettore dell'UCA, l'Università cattolica argentina, che sta ospitando l'iniziativa studentesca. Adesioni sono giunte dal cardinale Jorge Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires e gran cancelliere dell'Università cattolica argentina, oltre che dai presidenti delle varie Commissioni episcopali che trattano del mondo universitario e del laicato. (T.C.)

 

 

L’ONU HA DELIBERATO NUOVI AIUTI ALLA SIERRA LEONE

AL TERMINE DELLA MISSIONE DI PACE.

INTANTO MILIONI DI PERSONE SONO ISOLATE A CAUSA DI ALLUVIONI

 

FREETOWN.= L’ONU continuerà ad aiutare la Sierra Leone. Il Consiglio di Sicurezza ha approvato all’unanimità una risoluzione che prevede aiuti al Paese anche dopo la missione di pace. Lo riferisce l’agenzia MISNA. Nelle scorse settimane, il segretario generale, Kofi Annan, pur elogiando i progressi raggiunti dalla fine della guerra, aveva evidenziato la necessità di continuare a garantire sostegno alla Sierra Leone per portare a termine iniziative di vario genere, soprattutto umanitarie e di promozione dei diritti umani. Le Nazioni Unite continueranno dunque ad offrire il loro sostegno al Paese anche dopo che i caschi blu avranno lasciato Freetown. Secondo quanto stabilito dal massimo organo decisionale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, dal 1 gennaio 2006, data in cui si concluderà ufficialmente la missione in Sierra Leone, sarà operativa una missione di assistenza. Il mandato iniziale sarà di un anno. Recentemente l’ONU ha anche chiesto al governo di Freetown di continuare gli sforzi compiuti finora per la creazione di una forza di polizia e di un esercito in grado di difendere il Paese e un sistema giudiziario indipendente per garantire la giustizia. La Sierra Leone è stato teatro di un conflitto che in 10 anni (1991-2001) ha provocato oltre 50.000 morti e che ha scioccato il mondo per l’utilizzo di bambini soldato e la terribile pratica delle mutilazioni. Intanto, almeno diecimila civili sono isolati a causa degli alluvioni che hanno colpito le zone meridionali. Tra le aree più colpite il distretto di Pujehun, sulle coste dell’Oceano Atlantico, a 300 chilometri a sud della capitale Freetown. “Siamo riusciti a raggiungere otto città e a distribuire cibo e generi di prima necessità a circa 7.000 persone, ma altre migliaia restano intrappolate in 11 centri abitati irraggiungibili a causa dell’inaccessibilità delle strade e del crollo di ponti, mentre continua a piovere”, ha riferito Vandy Sonnah, coordinatore dei soccorsi della Croce Rossa locale. “La situazione è critica soprattutto per i bambini, perché le scorte alimentari scarseggiano” ha aggiunto Sonnah. Il bilancio, ancora provvisorio, parla di almeno 20 vittime. Oltre un migliaio le abitazioni distrutte e numerosi i capi di bestiame travolti dalle acque. (T.C.)

 

 

LO ZIMBAWE RESTITUISCE PARTE DEL DEBITO

CHE DEVE AL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE.

IL 9 SETTEMBRE L’FMI DISCUTERÀ SULLA REALTÀ DEL PAESE

 

HARARE.= Il Governo della Zimbawe ha annunciato la restituzione di 120 dei 300 milioni di debito che doveva al Fondo Monetario Internazionale (FMI). Lo scrive l’agenzia Misna. La decisione è stata annunciata al termine della visita nel Paese di una delegazione della massima istituzione finanziaria internazionale. Col pagamento effettuato, non è ancora chiaro se grazie a un prestito del governo sudafricano o meno, lo Zimbawe spera di non rimanere espulso dal Fondo monetario internazionale, che il 9 settembre si riunirà per prendere delle decisioni sul Paese. “Da un punto di vista tecnico siamo in difetto – ha ammesso il governatore della Banca nazionale al giornale filogovernativo Herald – ma con questo pagamento abbiamo dimostrato la nostra possibilità e volontà di andare avanti e speriamo che questo venga tenuto in considerazione”. (T.C)

 

 

L’AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE INCREMENTA

 LE IMPORTAZIONI DI ROSARI D’ULIVO DALLA TERRA SANTA.

IN GRAN BRETAGNA NE SONO STATI ESPORTATI GIÀ 4.500

 

LONDRA.= Crescono le esportazioni dei rosari d’ulivo della Terra Santa. La campagna di vendita lanciata in Gran Bretagna dall'opera Aiuto alla Chiesa che Soffre sta dando lavoro a cinquanta famiglie cristiane che vivono in Israele. Lo rende noto la stessa Opera, che nell'arco di sette mesi ha venduto 4.500 rosari. All’iniziativa volta a sostenere l’economia in Terra Santa, sono si sono interessate adesso anche le sezioni di Aiuto alla Chiesa che Soffre presenti in Canada, in Australia, in Portogallo e in Brasile. L'opera ha distribuito a Colonia, in occasione della recente Giornata Mondiale della Gioventù, 30.000 rosari realizzati con ulivo di Betlemme.

 

 

MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA: IL POTERE DELL’INFORMAZIONE E L’ETICA

PROFESSIONALE DEL GIORNALISTA NEL FILM DI GEORGE CLOONEY E IL DRAMMA DEI PROFUGHI PALESTINESI FIRMATO DAL REGISTA Rashid Masharawi

- A cura di Luca Pellegrini -

 

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VENEZIA = Libertà ed etica dell’informazione, libertà e giustizia per i popoli. Alla Mostra del Cinema di Venezia, due film diversissimi fra loro affrontano con coraggio ed onestà due temi attuali del nostro tempo e nella nostra società. Il potere dell’informazione, l’etica professionale del giornalista, la sua libertà, la forza persuasiva dirompente dello schermo televisivo. Non era difficile immaginare i lunghi minuti di applausi riservati ieri sera dal pubblico al divo americano, George Clooney, per la sua seconda regia cinematografica in concorso alla Mostra. Good night, and good luck, “Buona notte e buona fortuna”. Questo il titolo e questo il saluto col quale il coraggioso giornalista americano Edward R. Murrow terminava un suo famoso programma televisivo di news sulla CBS negli anni Cinquanta. Epoca in cui gli Stati Uniti vivevano il tormento del maccartismo e in cui pochi, coraggiosi colleghi si ergevano per denunciare, con seri rischi professionali e civili, l’infausto clima di paura e delazione creatosi. Murrow, con i suoi della redazione di See it now, fu un paladino della libertà, della sana informazione e Clooney dimostra talento e rigore nel raccontarne la storia con l’uso appropriato del bianco e nero. Non un vero “biopic”, come si dice, ma un pretesto per lanciare, attraverso lo scontro Murrow–McCarthy, un avvertimento che anche oggi sentiamo impellente ed attuale più che mai: la televisione, se ben usata, può essere fonte di cultura, istruzione e informazione veritiera, e per questo coloro che ne sono coinvolti detengono una responsabilità enorme. Altrimenti, si riduce a veicolo di sterili inganni, pulpito per una quotidiana disinformazione ed una diseducazione sistematica. Con altrettanto coraggio, il regista palestinese Rashid Masharawi presenta, per le Giornate degli Autori, il suo Attente-Attesa e denuncia con ironia e rispetto il dramma dei profughi palestinesi. Un suo alter ego regista è incaricato di fare provini ad attori palestinesi per il nascente Teatro a Gaza e per questo motivo visita i campi profughi in Giordania, Siria e Libano entrando in contatto con il dolore che tentava di dimenticare attraverso la fuga. Il provino consiste nel recitare una situazione di attesa: ciascuno lo fa come può e come sa. Nella comicità di alcune situazioni, si insinua il dramma di chi attende veramente un ritorno a casa ed il ricongiungimento con la famiglia. L’attesa di un popolo diventa involontariamente ed inaspettatamente anche quella del regista, che capisce quanto sia difficile fuggire dalla propria terra, dimenticare la propria storia. Un film intelligente, appassionato, sincero, su uno dei tanti drammi irrisolti del nostro tempo.

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24 ORE NEL MONDO

2 settembre 2005

 

- A cura di Roberta Gisotti e Andrea Cocco -

 

 

A quasi due mesi dagli attentati di Londra del 7 luglio scorso, che provocarono 55 morti e 700 feriti, Al Qaeda ha rivendicato le azioni terroristiche. La televisione Al Jazeera ha infatti trasmesso ieri un video nel quale il numero due della rete di Bin Laden, Ayman Al Zawahri, attribuisce ad Al Qaeda la paternità di quanto avvenuto nella capitale britannica e minaccia ulteriori attacchi nei Paesi in qualche modo coinvolti nei conflitti in Iraq, Medio Oriente e Afghanistan. Nel video appare anche il testamento di uno degli attentatori. Ce ne parla Guido Olimpio, esperto di terrorismo del Corriere della Sera, intervistato da Giada Aquilino:

 

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R. – Ritengo che queste minacce siano credibili e da valutare con grande accortezza e preoccupazione. Inoltre non c’è dubbio che aver diffuso un video di Al Zawahri insieme ad uno degli attentatori di Londra conferisca alla rivendicazione un valore altissimo. Gli attentati, già gravi, ora si inseriscono in un disegno molto più ampio: ha agito un gruppo locale, che è stato chiaramente ispirato dalla ‘casa madre’ qaedista.

 

D. – Il video è diviso in più parti: comprende infatti il testamento di uno degli attentatori e le minacce di Al Zawahri…

 

R. – Probabilmente è stato fatto un collage. Del resto, dopo i primi attentati di Londra, ci si è sempre chiesti come mai non ci fosse un video degli attentatori.

 

D. – Perché la rivendicazione è giunta ora, dopo quasi due mesi dagli attentati?

 

R. – E’ possibile che il video sia stato fatto, magari in Pakistan, prima degli attentati e poi sia stato montato insieme a quello di Al Zawahri. Non dobbiamo neanche dimenticare che lo stesso Al Zawahri si era già espresso poco tempo fa, con un altro messaggio. Non si può quindi neppure escludere che si tratti sempre del vecchio video, magari rimontato, tanto più che non abbiamo mai l’esatta conoscenza della durata di un video che viene diffuso. Generalmente Al Jazeera ne manda in onda soltanto una parte.

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La Tuchia al centro dei lavori dei ministri degli Esteri dei 25 Paesi dell’UE riuniti da ieri a Newport, in Galles. Si attende il sì all’apertura dei negoziati per l’adesione di Ankara all’Unione Europea, previsto il 3 ottobre. E’ “un’occasione da non mancare – ha dichiarato stamane il premier turco Erdogan – per unire e creare un’alleanza tra Islam e Occidente, cruciale anche per combattere il terrorismo”. “Impedire questo processo – ha ammonito - è una fattura che nessuno potrà pagare davanti all’umanità”.

 

Erdogan ha sottolineato che la Turchia è pronta e rivolto ai dubbiosi ha aggiunto: “Chi si aspetta altre cose da noi sbaglia”. Il premier turco in visita in Italia, ha ricevuto stamane a Napoli il “Premio Mediterraneo”, ed è poi giunto a Roma per incontrarsi con il presidente del Consiglio, Berlusconi. Ma qual è l’atteggiamento dei Paesi europei rispetto alla possibile entrata della Turchia nell’Unione? Giada Aquilino lo ha chiesto alla professoressa Federiga Bindi, titolare della cattedra europea Jean Monnet all’Università Tor Vergata di Roma:

 

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R. – I Venticinque sono poco compatti. Fino ad un certo punto l’indecisione di molti Stati veniva ‘coperta’ dall’opposizione greca. Da quando negli ultimi anni la Grecia ha cambiato la sua politica estera, diventando più aperta rispetto alla Turchia, le contraddizioni degli altri Stati sono venute a galla. La Germania, ad esempio, attualmente è favorevole ma se - come tutto lascia prevedere - vincerà la CDU alle elezioni del 18 settembre, il prossimo governo tedesco, da qui a tre settimane, sarà invece contrario all’adesione. L’altro Paese abbastanza critico è la Francia, anche se per ora non c’è in vista alcun veto da Parigi. Ci sono poi altri Paesi quali l’Austria, la Slovacchia, l’Ungheria e la Slovenia che vorrebbero legare l’adesione turca a quella della Croazia.

 

D. – Il 3 ottobre dovrebbe arrivare il via libera ai negoziati. Dopo cosa accadrà?

 

R. – Anzitutto vediamo se arriverà. Hans Gert Poettering, il capogruppo del Partito Popolare Europeo, ha chiesto che venga aggiunta una clausola nella quale si dice: “Negoziati per l’adesione o altra forma di collaborazione”. Vediamo, quindi, se effettivamente partiranno - e in quale forma - queste trattative. Secondo me, un compromesso dovrà essere trovato, ma soltanto dopo le elezioni tedesche. 

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Attesa in Italia per le decisioni del Consiglio dei Ministri riunito per affrontare la complessa e controversa vicenda della riforma della Banca d’Italia. Sono state ascoltate stamane le relazioni dei ministri dell’Economia, Siniscalco, e della Giustizia, Castelli. La riunione, sospesa per il pranzo, sarà ripresa alle ore  15.

 

“Un incontro storico”. Questa mattina la stampa israeliana ha salutato con entusiasmo il riavvicinamento diplomatico tra Israele e Pakistan, dopo l’incontro, ieri a Istabul, tra i rispettivi ministri degli Esteri. Secondo il quotidiano “Haaretz, le due diplomazie sono ora al lavoro per organizzare un vertice tra il premier Sharon e il presidente pakistano Musharraf. In Pakistan, forti critiche sono state invece lanciate dai movimenti islamici radicali, che per i prossimi giorni hanno annunciato dure manifestazioni di protesta. Fredda anche la reazione della Lega araba, secondo cui il governo israeliano non merita alcun riconoscimento da parte del Pakistan.

 

Svolta in Libano, nelle indagini sull’attentato costato la vita all’ex premier Rafik Hariri, il 14 febbraio scorso. I tre capi dei servizi di sicurezza e il comandante della guardia presidenziale, fermati tre giorni fa, sono stati tutti incriminati per l’omicidio. A chiedere il fermo dei quattro filosiriani era stata la Commissione di indagine dell’Onu. La Siria, da parte sua, ribadisce completa estraneità all’attentato di “San Valentino”.

 

Potrebbero essere dei due insegnanti giapponesi dispersi da tre settimane in Afghanistan i corpi di un uomo e una donna rinvenuti la notte scorsa nei pressi della strada che porta da Kandahar alla città pachistana di Spin Buldak. I due, turisti in Pakistan, erano entrati nel sud dell'Afghanistan l'8 agosto scorso e da allora si erano perse le loro tracce. Nei giorni scorsi i Talebani avevano fatto sapere di essere estranei alla scomparsa dei due giapponesi.

 

Allarme in Giappone per l’arrivo di “Nabi”, un altro super-tifone, della stessa potenza – quinto grado - dell'uragano Katrina, che ha devastato gli Stati Uniti, e che si sta avvicinando con venti fino a 180 km, orari all'arcipelago meridionale di Okinawa, abitato da 1 milione e 300 mila persone. L’arrivo di “Nabi”– che significa ‘farfalla’ in lingua coreana - è previsto per lunedì o martedì prossimi. “E' un tifone estremamente pericoloso e potrebbe causare gravi danni”, ha avvertito l'Ente meteorologico giapponese.

 

“Cautamente ottimista” si è detta Louise Arbour, Alto Commissario dell'Onu per i diritti umani, sulla situazione in Cina, dove sono possibili significativi passi in avanti. La Arbour, che ha parlato stamane a Pechino in una conferenza stampa al termine di una visita di cinque giorni in Cina, non ha però nascosto che “su alcuni terreni” la situazione è ancora “stagnante o in regresso”. Il governo cinese, ha confermato il Commissario, si sta muovendo per “rimuovere gli ostacoli” che al momento gli impediscono di firmare la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici. In particolare, secondo la Arbour, la Cina sta definendo “l'infrastruttura legale”, che consenta poi una graduale affermazione dei diritti umani. 

 

In Vietnam, il presidente Tran Duc Luong ha invitato tutti i cittadini “senza discriminazione di passato, di  etnia, di religione, di classe sociale” a mobilitarsi in vista delle riforme necessarie per ammodernare la nazione. L’appello, in un discorso pronunciato di fronte a decine di migliaia di persone riunite nell'immensa piazza di Ba Dinh, nel centro di Hanoi per il 60.mo anniversario della proclamazione unilaterale d’indipendenza del Paese asiatico.

  

Due palazzi di Parigi – abitati abusivamente da circa 150 immigrati africani - sono stati evacuati questa mattina perché ritenuti pericolosi dalla Polizia, che ha condotto gli occupanti in luoghi d'accoglienza definiti “decenti”. Dopo l'incendio di martedì scorso che ha causato la morte di 7 immigrati africani in un palazzo nel quartiere Marais, il ministro dell'Interno, Sarkozy, aveva annunciato la chiusura di “tutti gli immobili occupati abusivamente e pericolosi''.

 

Sono oltre 200 i detenuti nella base statunitense di Guantanamo che da tre settimane osservano uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni di vita nel carcere speciale. Ad annunciarlo è stato ieri il Centro dei diritti costituzionali, i cui avvocati difendono decine di detenuti della base. Secondo le autorità statunitensi le persone che si rifiutano di mangiare non sarebbero più di 80.

 

 

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