RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
286 - Testo della trasmissione di giovedì 13 ottobre 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Koïchiro Matsuura rieletto
direttore generale dell’UNESCO
Al drammaturgo inglese Harold Pinter il Nobel per la
Letteratura
Il governo israeliano
cede 50 ettari di terreno per la realizzazione di un parco sulla vita di Gesù
Da domani in calabria il via al XVIII Colloquio
internazionale di mariologia
Nella
repubblica russa di Kabardino-Balkariya, almeno 60 morti in scontri tra ribelli
e agenti di polizia
Il
Pakistan colpito nella notte da un’altra scossa. Almeno 25 mila i morti per il
terremoto di sabato
13 ottobre 2005
DOPO I SINGOLI INTERVENTI, I
PADRI SINODALI STUDIANO IN GRUPPI
LE PROPOSTE FINALI DA SOTTOPORRE AL VOTO
DELL’ASSEMBLEA. IERI POMERIGGIO,
LA RELAZIONE DEL CARDINALE SCOLA AL TERMINE DEL
DIBATTITO IN AULA
- A cura di Alessandro De Carolis e Giovanni
Peduto -
Dopo una decina di giorni quasi ininterrotti di
sessioni plenarie in Aula, i partecipanti al Sinodo sull’Eucaristia dedicano
oggi l’intera giornata alle riunioni per gruppi linguistici, i cosiddetti
“circoli minori”, destinati a produrre le relazioni da sottoporre poi al voto
dell’assemblea. Intanto, nella tarda mattinata di oggi, il cardinale Arinze e
altri padri sinodali hanno fatto il punto sui lavori dell’assise incontrando i
giornalisti in Sala stampa vaticana e rispondendo alle loro domande sui temi
“caldi” del Sinodo. Alessandro De Carolis:
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La comunione ai divorziati risposati, il celibato
sacerdotale, la crisi occidentale che porta i credenti, con la perdita del
senso del sacro, a non comprendere più il mistero dell’Eucaristia. Il cardinale
Francis Arinze ha affrontato con l’ausilio di quattro padri sinodali, tra cui i
cardinali Sandoval e Toppo e l’arcivescovo John Foley, alcuni degli argomenti
del Sinodo che in questi giorni hanno interessato maggiormente stampa e media.
Tra i primi interventi, il cardinale Juan Sandoval Iñiguez, arcivescovo
messicano di Guadalajara, ha voluto sottolineare con gratitudine
l’atteggiamento tenuto da Benedetto XVI durante questa prima parte del Sinodo:
“Con tanta semplicità, ha voluto
anche lui parlare in Aula. Ha voluto fare la prima riflessione spirituale
lunedì: una bellissima riflessione, così, a braccio, senza testo... Ci ha lasciati
tutti con un sapore spirituale molto profondo. Poi, la sera c’era un’ora
libera, dalle sei alle sette, per intervenire per alzata di mano, e anche lui
ha voluto partecipare, per mettere in luce qualche punto, con tanta saggezza,
come se fosse uno di noi. Mi è sembrato un uomo in carne ed ossa e molto
'pastore'”.
Al cardinale Arinze è toccato invece ribadire, tra
l’altro, la posizione della Chiesa in merito alla delicata questione della
comunione ai divorziati risposati:
“Non vediamo questo come legge
della Chiesa, ma come legge di Dio. La questione è: se due persone sono
sposate, e se quel matrimonio è valido davanti a Dio e davanti alla Chiesa,
però quel matrimonio non è riuscito, eh bè, è così: non abbiamo il potere di
sciogliere un matrimonio che è valido davanti a Dio e alla Chiesa. Che cosa
fare? Una cosa è avere compassione per loro perché soffrono, tutt’altra cosa
dire che possono trovare un altro marito o un’altra moglie e vivere insieme e
ricevere la comunione. Perché quello che fanno adesso non riflette più
quell’immagine di matrimonio che la nostra fede ci insegna. Sono membri della
Chiesa ma in quello stato non possono con verità di vita accedere alla
comunione. Noi siamo solo ministri, e dobbiamo rispondere davanti a Dio: ecco
il problema”.
Sul tema del celibato sacerdotale, che ha
sollecitato diversi interventi durante le relazioni in Aula, il vescovo
ucraino, Sofron Stefan Mudry, illustrando lo scenario del suo Paese, ha
riferito delle “gravi difficoltà sociali” e dei problemi pratici cui vanno
incontro gli uomini sposati ordinati al sacerdozio, dalla carenza di case,
all’impossibilità talvolta di spostarsi da una parrocchia a un’altra a causa,
ad esempio, dei figli in età scolare. Situazioni che, ha osservato, contrastano
con la dedizione che il ministero richiede:
“E’ un problema, non una
soluzione. Voi sapete che nelle Chiese orientali cattoliche ci sono sacerdoti
sposati; tre-quattro padri di queste Chiese sono intervenuti dicendo che nonostante
sia previsto il matrimonio dei sacerdoti, ci sono egualmente crisi vocazionali,
i sacerdoti non hanno tempo per studiare, devono lavorare molto per la moglie
ed i figli; a volte divorziano, a volte chiedono che il vescovo mantenga il
sacerdote, la moglie ed i figli...”
Un giornalista, quindi, ha sollevato la questione
se il Sinodo abbia voluto restringere la possibilità di animare la liturgia eucaristica
con canti o espressioni più legate al folklore locale. Il cardinale Arinze ha
risposto che di restrizione si può parlare se ciò significa impedire liturgie
“metà ricreazione e metà Messa”. Pur se giusto che i riti liturgici abbiano “il
sapore della cultura del popolo” che li celebra, l’inculturazione che ne è alla
base – ha soggiunto il cardinale Sandoval Iñiguez – deve suscitare “non il
divertimento ma l’interiorizzazione”. L’inculturazione “è esigente” – ha
ripreso il cardinale Arinze – ed ha bisogno di uno studio interdisciplinare che
va dalla teologia all’etnologia. Un altro capitolo ha riguardato il rapporto
con la tradizione orientale. Sempre il cardinale Arinze ha messo in guardia
dalla “tentazione di copiare elementi da un rito e di trasferirli in un altro”,
ad esempio dalla liturgia orientale a quella latina. Ciò che è importante – ha
affermato – è “capire il proprio rito e viverlo e celebrarlo con fedeltà, fede
e devozione”. Mons. Mudry, inoltre, ha voluto chiarire la proposta di un Sinodo
delle Chiese orientali avanzata in aula dal cardinale ucraino Husar: tale
Sinodo riguarderebbe le Chiese cattoliche orientali e non quelle ortodosse.
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Ieri i lavori sinodali erano arrivati
al giro di boa con la relatio post
disceptationem del relatore generale, cardinale Angelo Scola, che ha
offerto in aula la sintesi degli interventi dei giorni scorsi elencando
elementi, orientamenti, problemi, emersi nei nove giorni di dibattito. Ci
riferisce Giovanni Peduto:
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In linea di massima, dagli
interventi dei Padri è emerso un orientamento di fondo: il superamento di ogni
dualismo fra dottrina e pastorale, fra teologia e liturgia. Non esiste una
dottrina avulsa dalla vita; né si può pensare alla concreta esistenza cristiana
indipendentemente dal contenuto normativo della fede. Numerosi interventi hanno
rilevato le oggettive difficoltà che il popolo cristiano, immerso in una
cultura secolarizzata, incontra ai nostri giorni nel credere e celebrare
l’Eucaristia. E, tuttavia, questo stesso mondo è profondamente assetato di
bellezza e di verità. Pertanto in aula è emersa con forza la grave
responsabilità dei pastori in ordine all’evangelizzazione e alla nuova
evangelizzazione.
Il relatore ha ricordato poi
l’articolata discussione avvenuta in aula sul rapporto tra il carattere di dono
proprio dell’Eucaristia e il diritto dei fedeli di ricevere dai pastori la
Parola di Dio e i sacramenti, principalmente l’Eucaristia che esprime in modo
supremo l’amore di Cristo per il Padre e l’amore del Padre per Lui. Dato per
scontato che nelle ‘sacre specie’ Gesù Cristo è realmente e sostanzialmente
presente, si è rilevata l’opportunità di un approfondimento teologico e
catechetico della presenza reale’, in considerazione pure del fatto che
l’ecclesiologia eucaristica può gettare nuova luce anche su talune questioni di
grande attualità per il cammino ecumenico. Più interventi hanno suggerito
di approfondire meglio l’intero
percorso dell’iniziazione cristiana e principalmente il legame fra Eucaristia e
Penitenza, su cui si sono soffermati numerosi Padri. La responsabilità del
vescovo nei confronti della vita liturgica della diocesi e, soprattutto, della
celebrazione dell’Eucaristia, è stata ricordata in aula più volte, assieme al
ruolo della parrocchia come dimora e scuola di preghiera, luogo di riferimento
fondamentale per il Popolo di Dio.
Altro tema ricorrente è stato il
rapporto fra Eucaristia e missione, in quanto l’Eucaristia è la sorgente vitale
della missione; così pure la connessione fra Eucaristia e martirio, Eucaristia
e dialogo interreligioso, Eucaristia e cultura. Altri Padri hanno sottolineato
la dimensione antropologica, cosmologica e sociale dell’Eucaristia. Non pochi
di essi hanno ricordato con gratitudine il benefico influsso che la riforma
liturgica, attuata a partire dal Concilio Vaticano II, ha avuto per la vita
della Chiesa. Si è rilevata pure l’importanza dell’arte e dell’architettura
sacra per l’azione liturgica, ma soprattutto, nel contesto dei numerosi
richiami alla catechesi liturgica, ha trovato posto di rilievo il tema della
mistagogia. Posto privilegiato negli interventi ha avuto la Liturgia della
Parola in funzione dell’Eucaristia, e l’omelia come elemento costitutivo della
Liturgia della Parola. Quanto alla partecipazione dei fedeli alla liturgia
eucaristica i Padri hanno affermato che si deve vigilare perché essa non si
limiti ad un atteggiamento esteriore ma, sulle orme di Maria ‘donna
eucaristica’, diventi un vero ‘agire’ liturgico, un lasciarsi incorporare,
attraverso l’Eucaristia, alla comunione della Chiesa. Per ogni Chiesa
particolare il modo di vivere l’Eucaristia è poi inseparabile dalla propria
cultura e dalla propria storia.
Oltre alla più volte citata
questione della scarsità dei sacerdoti, diversi Padri hanno domandato in aula
chiarimenti circa la natura e la struttura delle assemblee domenicali in attesa
di sacerdote, soprattutto in riferimento alla distribuzione della santa
Comunione. Il frutto del secondo tratto del cammino sinodale saranno le
‘Propositiones’ che i Padri offriranno al successore di Pietro.
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Durante
i lavori del Sinodo sull’Eucaristia, si è parlato della riconsegna alla Custodia
di Terra Santa dell’edificio del Cenacolo, sorto in epoca bizantina sul luogo
della casa in cui Cristo istituì l’Eucarestia ed avvenne la Pentecoste. Il
servizio di Roberto Piermarini:
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E’
stato il patriarca di Gerusalemme, mons. Michael Sabbah, a ricordare martedì ai
padri sinodali “la promessa di restituzione del Cenacolo fatta dal governo israeliano
che poi - ha detto – non ha mantenuto
la parola”. Considerato uno dei quattro luoghi più santi della cristianità –
con le basiliche del Santo Sepolcro a Gerusalemme, dell’Annunciazione a
Nazareth e della Natività a Betlemme – il Cenacolo è l’unico non aperto al culto,
pur essendo stato di proprietà dal 1342 dei Frati francescani ai quali fu
sottratto nel 1551 dal governo turco e poi successivamente da quello
israeliano. “Così – ha detto con rammarico mons. Sabbah nel suo intervento al
Sinodo – proprio nel luogo dove è stata istituita l’Eucaristia, ancora oggi non
c’è una presenza eucaristica”. La sua riconsegna sembrava vicina con la storica
visita di Giovanni Paolo II in Terra Santa nel 2000, ma poi non è arrivato
nessun segnale dalle autorità israeliane. Ora l’intesa potrebbe essere
applicata tra breve, prima dell’Accordo globale bilaterale, come ci spiega il padre
David Jaeger, della Custodia di Terra Santa, che partecipa ai negoziati tra
Santa Sede e Stato d’Israele:
R. – La Chiesa universale è in fondo la proprietaria
legittima del Cenacolo a partire dal 1342, quando lo avevano comprato i re di
Napoli, Roberto e Sancha, e con l’approvazione del Papa lo diedero ai
francescani che vi stabilirono la loro casa madre in Terra Santa. E infatti, il
titolo primario del superiore francescano in Terra Santa è Guardiano del Sacro
Monte Sion. Gli esperti delle due parti della Chiesa cattolica e dello Stato
d’Israele, nel contesto dei negoziati che hanno luogo tra le parti, hanno da
qualche tempo elaborato il meccanismo giuridico che permetterebbe al governo
israeliano, anche nelle condizioni attuali, di restituire il possesso del
Cenacolo alla Chiesa cattolica per mezzo della Custodia francescana. Adesso
basta solo che il governo d’Israele decida di farlo e l’occasione attuale
fornita dal Sinodo sarebbe un momento favorevole, purché lo faccia.
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UDIENZE E NOMINE
Benedetto
XVI ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, nove presuli della Conferenza
episcopale dell’Etiopia in visita ad Limina.
Il Papa ha nominato consultori della
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti mons. Aloysius
M. Sutrisnaatmaka, vescovo di Palangkaraya (Indonesia), e i sacerdoti mons.
Vojtech Nepšinský, rettore del Seminario e presidente della Commissione
liturgica diocesana di Banská Bystrica (Slovacchia); Michael Kunzler,
professore di Liturgia presso la Facoltà Teologica di Paderborn (Germania); il
padre gesuita José Raimundo Pinto de Melo, membro della Commissione liturgica
nazionale (Brasile) e il padre cappuccino Konstantin Morozov, (Ucraina).
Il Pontefice ha nominato membro del Pontificio Comitato
per i Congressi eucaristici internazionali padre Jesús Castellano Cervera, dei
Carmelitani Scalzi, professore presso il Pontificio Istituto di Spiritualità Teresianum in Roma.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima
pagina - Russia: decine di morti in un attacco armato nella Repubblica della
Cabardino-Balkaria; gli indipendentisti ceceni rivendicano l’assalto.
Servizio
vaticano - Il resoconto della XV Congregazione generale del Sinodo dei Vescovi.
Servizio
estero – L’intervento della Santa Sede alla 33 sessione della Conferenza generale
dell’UNESCO: “Concorrere al bene dell'uomo in tutte le dimensioni del suo
essere”.
Pakistan:
estratti vivi dalle macerie quattro giorni dopo il devastante terremoto.
Servizio
culturale - Un articolo di Angelo Marchesi dal titolo “Relativismo, verità e
libertà”.
Una
monografica dal titolo “Cinquecento anni dalla riedificazione ‘ab imis’ della
Basilica di San Pietro”.
Servizio
italiano - In rilievo il tema della legge elettorale.
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13 ottobre 2005
IN IRAQ SARA’ PUBBLICO
IL PROCESSO A SADDAM HUSSEIN.
L’ANNUNCIO A DUE GIORNI DAL REFERENDUM SULLA
COSTITUZIONE.
DEL TESTO PARLIAMO CON IL PROF. LUIGI BONANATE
Il processo a Saddam Hussein,
che si aprirà il prossimo 19 ottobre, sarà pubblico e aperto agli osservatori
internazionali. Lo ha annunciato stamani il portavoce del Tribunale speciale
iracheno (TSI) incaricato di giudicare l’ex rais. Intanto, nel Paese del Golfo
non si ferma la violenza: ieri 30 persone sono morte e altrettante rimaste
ferite a Tal Afar, non lontano dal confine siriano, in un attentato rivendicato
da Al Qaeda. Tre ribelli sono rimasti uccisi nel nord di Bagdad durante scontri
con l’esercito iracheno, che ha arrestato almeno 23 miliziani, tra cui un
aspirante kamikaze. Sul fronte politico, dopo l’accordo di ieri sera sulla
Costituzione da parte di sciiti, curdi e una parte di sunniti, sono iniziate
stamani nelle prigioni le operazioni di voto. Ma che cosa sa la comunità internazionale
di questo testo costituzionale che sarà sottoposto a referendum in Iraq sabato
prossimo? Fausta Speranza lo ha chiesto al prof. Luigi Bonanate, docente di
Relazioni Internazionali all’Università di Torino:
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R. – Cosa ci sia scritto non lo
sa nessuno, solo pochi addetti ai lavori. Più che altro il problema è che viene
da chiedersi con quale consapevolezza gli elettori andranno a votare a questo
referendum. All’inizio di quest’anno abbiamo assistito a elezioni in cui i
cittadini non sapevano chi fossero i candidati. Adesso, sono invitati ad approvare
una Costituzione di cui né loro né altri conoscono il contenuto. Attenzione: se
questo è il modello di democrazia che stiamo comunicando all’Iraq, temo che stiamo
facendo dei grossi errori.
D. – Va detto che questo
referendum cade in un momento in cui in Iraq è mattanza, è carneficina
giornaliera…
R. – E’ spaventoso. Come si può
pensare di discutere di cose, in fondo, “raffinate”, come i contenuti di una
Costituzione nel momento in cui 50,20,30 persone vengono uccise ogni giorno.
D. – Fino adesso si è parlato di
Costituzione provvisoria, ma quella che voteranno sabato gli iracheni si può
definire un testo definitivo?
R. – No, anche perché il punto
dell’accordo che ha portato i sunniti a dare il via libera alle votazioni di
sabato non è un accordo su dei contenuti, ma è un accordo sul fatto che in
futuro si possa modificare la Costituzione. Qui siamo di fronte, veramente, a
un paradosso sul quale proprio non c’è da scherzare. L’unica clausola che ha consentito
ai sunniti di approvare questo testo è che si è garantito loro che anche dopo
l’approvazione sarà possibile procedere a modifiche. Ora, tutti sappiamo, con
la nostra esperienza costituzionalistica, che è evidente che si possa, a
seconda della natura di una costituzione, rigida od elastica, e utilizzando
determinati istituti, procedere a delle modifiche istituzionali. Ma votare una
Costituzione dicendo di non preoccuparsi perché poi tanto la si può modificare,
significa partire col piede sbagliato.
D. – Sembra che in questi giorni
la CIA stia in qualche modo rimproverando Bush ricordandogli che la CIA l’aveva
detto che sarebbe stato molto difficile il dopo guerra in Iraq. Comunque, se si
ricorda la guerra, la dittatura, il termine “costituzione” oggi come suona? Ha
pur sempre una portata positiva?
R. – Dovremmo dire che
apparteniamo quasi tutti alla CIA, perché in tanti l’abbiamo detto fin
dall’inizio che l’avventura irachena rischiava di trasformarsi in una tragedia!
Detto questo, la parola Costituzione in questo momento non ha molto senso. Vorremmo
sentir parlare di pacificazione piuttosto. E’ questo tutti quanti vorremmo e
che sicuramente anche gli Stati Uniti vogliono. Bisogna innanzitutto capire
bene la situazione: quale sia la situazione politica, strutturale, economica,
finanziaria e – non dimentichiamo mai – petrolifera di quel Paese.
D. – Professore, pensando al
ruolo della comunità internazionale, viene in mente che questa carneficina si
fa comunque con armi, con bombe, con esplosivo. Come entra tutto questo
arsenale in Iraq?
R. – Entra da tutte le parti. Il
commercio di armi, o meglio il contrabbando di armi, è una delle professioni
più antiche della storia e nessuno ha bisogno che in questo momento gli venga
insegnato come far arrivare le armi in Iraq. Il punto piuttosto è: chi le
produce? Sono grandi multinazionali occidentali a produrre le armi. Il fatto è
che quello delle armi è uno dei mercati più floridi, fiorenti e più redditizi
che esistano al mondo. E, quindi, o impariamo ad aprire gli occhi su questa
dimensione, oppure siamo condannati a continuare a vedere queste cose.
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‘La ricerca per curare e
prendersi cura’: e’ stato il tema del
VII CONGRESSO
NAZIONALE DELL’ASSOCIAZIONE FATEBENEFRATELLI
PER LA
RICERCA BIOMEDICA E SANITARIA svoltosi recentemente a Benevento
-
Intervista con il prof. Paolo Maria Rossini -
Migliorare
la qualità del rapporto umano con il paziente. E’ una delle sfide cui oggi deve
rispondere la ricerca in campo medico. Proprio a questo tema, è stato dedicato
il congresso Nazionale dell’Associazione Fatebenefratelli per la Ricerca
Biomedica e Sanitaria (Afar), tenutosi di recente a Benevento. L’incontro, dal
titolo “La ricerca per curare e prendersi cura”, ha riunito oltre 300 ricercatori
provenienti da tutta Europa fornendo un’occasione di confronto sulle attività
di ricerca condotte dai 14 centri Fatebenefratelli sparsi sul territorio
Nazionale. Diversi i temi trattati: dalla prevenzione delle malattie mentali
alle implicazioni etiche dell’uso delle cellule staminali. Presentato, inoltre,
uno studio sugli aspetti etici del dolore, realizzato dall’Ospedale San Pietro
di Roma. Eugenio Bonanata ne ha parlato con il prof. Paolo Maria Rossini,
direttore scientifico dell’AFAR:
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R. – Naturalmente l’alleanza che
si crea tra l’équipe curante e il malato gioca un ruolo molto importante in
questo ambito. Un ruolo non secondario, inoltre, è quello degli aspetti
spirituali di questo rapporto. Cioè la capacità dell’équipe di rapportarsi con
il paziente anche su grandi temi della spiritualità, della vita e della morte,
per esempio, sollevandolo così da tutti quei contenuti di ansia, che in genere
si somatizzano moltiplicando come un volano il dolore somatico.
D. – L’aspetto etico è sempre
centrale anche quando si parla dell’impiego delle cellule staminali. Cosa è
emerso al riguardo?
R. – Sono state riportate tutta
una serie di ricerche sull’uso di cellule staminali di provenienza non embrionale.
Questo è poi il succo del dibattito etico. L’importanza delle cellule
provenienti dal cordone ombelicale, ad esempio, suggerisce la possibilità di
organizzare un sistema di raccolta capillare che permetta da questa naturale
fonte di derivazione la raccolta di un numero sufficiente di cellule staminali
per un uso terapeutico.
D. – Professore, come è
possibile prevenire le malattie mentali? E quali sono i mezzi a disposizione?
R. – Quasi tutte le più importanti
malattie mentali, dalla depressione maggiore alla schizofrenia, alle fobie,
hanno un importante componente ereditaria. Quindi molto della ricerca si
concentra sulla capacità di identificare soggetti a rischio, perché portatori
di fattori genetici di trasmissione della malattia, per iniziare su questi soggetti e su queste famiglie
un’azione di prevenzione e di terapia, prima che i sintomi prendano il
sopravvento. Il secondo aspetto è naturalmente quello della prevenzione di tipo
ambientale. E’ altrettanto indubbio, infatti, che ci siano situazioni familiari
e situazioni sociali che sono proprio un terreno di cultura per la crescita e
lo sviluppo di problemi psichiatrici imponenti. Un intervento radicale, dunque,
che riesca a modificare i fattori di rischio ambientali può permettere una
riduzione dell’impatto di queste malattie. Malattie che – lo ricordo –
affliggono milioni di persone nel nostro Paese e con dei costi, dal punto di
vista delle cure e del contenimento sociale, estremamente importanti.
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IL RAPPORTO SPECIALE TRA PAPA WOJTYLA E LA
CAPITALE AL CENTRO DELLA
MOSTRA “GIOVANNI PAOLO II E ROMA”, PRESENTATA IERI
IN CAMPIDOGLIO
- Con noi, Walter Veltroni, mons. Luigi Moretti e
Alessandro Nicosia -
Testimoniare il rapporto
speciale tra Papa Wojtyla e la Capitale: questo l’obiettivo della mostra
“Giovanni Paolo II e Roma”, presentata ieri in Campidoglio. Ospitata dal Museo
del Vittoriano dal 22 ottobre all’8 gennaio, l’esposizione, ad accesso
gratuito, permetterà ai visitatori di rivivere qualcosa della vita del Papa
scomparso il 2 aprile scorso attraverso fotografie, video ed oggetti rari. Il
servizio di Isabella Piro:
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“Damose da fa’, volemose bene,
semo romani”. Così Giovanni Paolo II salutò i prelati romani in visita in
Vaticano il 24 febbraio 2004. Queste parole in dialetto romanesco, testimoni di
un legame speciale tra Papa Wojtyla e la Città eterna, fanno da filo conduttore
alla mostra “Giovanni Paolo II e Roma”, ospitata al Vittoriano. Un atto di
gratitudine della capitale nei confronti del Santo Padre: così il sindaco di
Roma Walter Veltroni ha presentato l’evento che ricorda un pontificato
vivissimo nella memoria di tutti:
“Giovanni Paolo II amava molto Roma e Roma amava molto Giovanni Paolo II.
L’accoglienza che Roma ha fatto nei confronti dei pellegrini discende anche dal
cuore di una città che in quel momento sentiva tutto intero un bisogno di
esprimere gratitudine nei confronti di questo Papa”.
Veltroni ha poi sottolineato le
numerose visite, ben 300, di Papa Wojtyla nelle parrocchie della città, un modo
per essere sempre vicino alla sua comunità ecclesiastica:
“Ci sono stati centinaia di incontri, di occasioni, nelle quali i
quartieri si sono stretti attorno a Giovanni Paolo II e Giovanni Paolo II con
quel tratto di umanità, di intensità, che era capace di trasmettere a chiunque
lo incontrasse, ha saputo stabilire con ognuna di queste comunità un legame”.
Ma cosa ha lasciato a Roma, in
particolare, Papa Wojtyla? Ci risponde mons. Luigi Moretti, vicegerente del
vicariato di Roma:
“La possibilità di crescere con una Chiesa viva, aperta, fedele al
Vangelo, capace di guardare fuori dai confini di Roma. Questo significa anche
favorire l’accoglienza, l’attenzione a ciò che succede e a chi ci cammina
accanto, come Chiesa capace di ripartire dagli ultimi, di farsi carico delle
attese delle persone. Una Chiesa che deve essere per la gente, tra la gente e
con la gente”.
La mostra sarà articolata in 8
sezioni, corrispondenti a varie fasi della vita di Giovanni Paolo II. Tantissime
le opere esposte, tra cui alcune rarità come le schede elettorali e l’urna
utilizzate per la votazione del Pontefice; il suo pastorale, il sigillo
personale e il Vangelo collocato sulla bara durante i suoi solenni funerali. Ma per allestire una mostra su una figura carismatica come
quella di Giovanni Paolo II cosa occorre? Ce lo spiega Alessandro
Nicosia, curatore della rassegna:
“Ci vuole
rigore, se pensiamo all’importanza di quella sezione curata direttamente dal vicariato
sul Sinodo romano, sulla missione cittadina. Ma nello stesso tempo può essere
letta in maniera popolare. E tantissima gente nelle centinaia di foto che noi
presentiamo si riconoscerà: tutte quelle persone che sono state toccate dal Papa,
cui ha stretto la mano, cui ha dato un segno di affetto, che è servito per
proseguire nel cammino quotidiano”.
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13
ottobre 2005
APPELLO
DI ALCUNE ORGANIZZAZIONI CRISTIANE ALL’UNIONE EUROPEA
PERCHÉ VENGANO RISPETTATI I DIRITTI DEI
MIGRANTI E DI QUANTI CHIEDONO ASILO. INVIATA UNA LETTERA AL CONSIGLIO GIUSTIZIA
E AFFARI INTERNI
ROMA. = Alcune
organizzazioni cristiane hanno indirizzato una lettera al Consiglio giustizia e
affari interni dell’Unione Europea perché intervenga a difendere il rispetto dei
diritti dell’uomo nella politica sulle migrazioni e sulle richieste d’asilo. Il
documento viene dopo gli abusi denunciati, nelle isole di Ceuta e Melilla, nei
confronti di alcuni clandestini. Nella lettera firmata dalla Caritas Europa,
dalla Commissione delle chiese dei migranti in Europa (CCM), dal segretariato
della Commissione dell’episcopato della comunità europea (COMECE), dalla Commissione
cattolica internazionale della migrazione (ICMC), dal Servizio dei Gesuiti per
i rifugiati (JRS Europa) e dal Consiglio Quaker per gli affari europei, viene
sottolineata la situazione di quanti tentano di entrare nei territori
dell’Unione Europea. “Abbattere delle persone non armate nelle frontiere
dell’UE è deplorevole – scrivono le organizzazioni cristiane – una inchiesta
giudiziaria approfondita esamini gli avvenimenti di Ceuta e Melilla”. L’Unione
Europea – si legge in un comunicato stampa della commissione dell’episcopato
della Comunità europea – ha il dovere di rispettare i diritti umani, in
particolare quando vengono negoziati accordi di riammissione con un altro Paese
o quando vengono rafforzati i partenariati con i Paesi di transito o di
origine. (T.C.)
KOÏCHIRO
MATSUURA RIELETTO DIRETTORE GENERALE DELL’UNESCO.
IL GIAPPONESE È AL SUO
SECONDO MANDATO: TRA I SUOI OBIETTIVI
RISPONDERE EFFICACEMENTE AI BISOGNI DEL MONDO
PARIGI. = Il
giapponese Koïchiro Matsuura è stato rinominato ieri direttore generale
dell’UNESCO della Conferenza generale dell’organizzazione che annovera 191
Paesi aderenti. Eletto una prima volta per questa carica nel 1999, per sei
anni, Matsuura resterà in carica questa volta per quattro anni. Una riforma
della 29.ma Sessione della Conferenza generale ha infatti cambiato la durata
del mandato. Koïchiro Matsuura è nato nel 1937 a Tokyo, ha studiato negli Stati
Uniti e nel 1959 ha cominciato la sua carriera diplomatica. La conferenza
generale, organo decisionale supremo, ha il compito di confermare le scelte del
Consiglio esecutivo. Matsuura ha ricevuto 151 voti favorevoli e 3 contrari. Nove
le astensioni. All’annuncio della sua rielezione il diplomatico giapponese ha
espresso la sua viva emozione confessando di sentirsi fiero per la fiducia che
gli Stati membri hanno rinnovato nei suoi confronti. La cerimonia ufficiale per
l’insediamento del direttore generale si svolgerà il 21 ottobre. Koïchiro
Matsuura ha detto di voler perseguire l’obiettivo di fare dell’UNESCO
un’organizzazione sempre più efficace e attenta ai bisogni di un mondo in
continua evoluzione. (T.C.)
AL DRAMMATURGO INGLESE HAROLD PINTER IL NOBEL PER LA LETTERATURA.
NEI SUOI SCRITTI
RACCONTA L’IPOCRISIA DELLA SOCIETA’
E LA DIFFICOLTA’ DELL’UOMO DI COMUNICARE
- A cura di Vincenzo Lanza -
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STOCCOLMA. = L’Accademia svedese di Stoccolma ha attribuito
il Premio Nobel 2005 per la Letteratura allo scrittore e drammaturgo inglese
Harold Pinter che, secondo gli accademici svedesi, “ha messo allo scoperto il
precipizio che sta sotto alle chiacchiere giornaliere, penetrando nelle stanze
chiuse dell’oppressione”. Nato il 10 ottobre 1930 nel quartiere londinese di
Hackney, figlio di un sarto ebreo, Harold Pinter ha dovuto affrontare, nei suoi
giovani anni, le manifestazioni di antisemitismo, cosa che è risultata poi importante
nel suo evolversi come drammaturgo. Il debutto di Pinter come scrittore risale
al 1957 con due pièces, “La stanza” e “Festa di compleanno”, rappresentate a
Bristol. L’Accademia svedese ribadisce quello che si dice generalmente di
Harold Pinter: è il più importante rappresentante della drammaturgia britannica
della seconda metà del XX secolo. Dal 1973, Pinter viene considerato come
strenuo difensore dei diritti umani parallelamente ai suoi scritti, e si parla
di posizioni controverse. Molti sono i manoscritti realizzati dall’odierno
Nobel per la Letteratura, Harold Pinter, sia per la radio, sia per il cinema e
la televisione. Tra le sue pièces più conosciute e trasferite in film, si
ricordano “Il servitore” del 1963, “L’incidente” del 1967, “La donna del
tenente francese” del 1981. Pinter ha avuto molto successo anche come regista.
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IL
GOVERNO ISRAELIANO CEDE 50 ETTARI DI TERRENO PER LA REALIZZAZIONE
DI UN PARCO SULLA VITA
DI GESÙ. SARANNO RAPPRESENTATI ALCUNI CAPITOLI
DEL NUOVO TESTAMENTO
GERUSALEMME.
= Il governo israeliano ha annunciato la cessione di
un appezzamento di circa 50 ettari per la creazione di un parco tematico sulla
vita di Gesù Cristo. A finanziarlo, come riferisce l’agenzia Misna, saranno
alcuni gruppi evangelici con un investimento previsto tra i 45 e i 65 milioni
di euro circa. Il terreno sorge sul mare di Galilea, in una zona compresa tra
Cafarnaum, Tabgha e il Monte della Beatitudine; le strutture che vi saranno
realizzate serviranno per illustrare alcuni tra i più rilevanti passi mossi da
Cristo, dalla nascita alla crocifissione e risurrezione. Secondo stime
iniziali, circa 1,5 milioni di turisti l’anno potrebbero visitare il parco nel
quale saranno rappresentati i principali capitoli del Nuovo Testamento. (T.C.)
SAVE THE CHILDREN SI MOBILITA PER AIUTARE I
BAMBINI E LE LORO FAMIGLIE COLPITI IN
PAKISTAN, INDIA E AFGHANISTAN, DAL TERREMOTO DI SABATO SCORSO
ROMA. = L’organizzazione
internazionale “Save the Children” raccoglie fondi per l’invio di aiuti
ai minori e alle loro famiglie colpiti dal terremoto di sabato scorso in Asia.
È possibile rispondere all’appello della Onlus anche sul sito www.savethechildren.it. Save the
Children è la più grande organizzazione internazionale indipendente che
difende e promuove i diritti dei bambini. Opera in oltre 100 Paesi nel mondo
con una rete di 27 organizzazioni nazionali e un ufficio di coordinamento
internazionale: la “International Save the Children Alliance”. Save
the Children sviluppa progetti che consentono miglioramenti sostenibili e
di lungo periodo a beneficio dei bambini, lavorando a stretto contatto con le
comunità locali; porta aiuti immediati, assistenza e sostegno alle famiglie e
ai bambini in situazioni di emergenza, createsi a causa di calamità naturali o
di guerre; parla a nome dei bambini e promuove la loro partecipazione attiva,
intervenendo per far pressione su governi e istituzioni nazionali e
internazionali. Il numero dei bambini deceduti a causa della catastrofe
naturale cresce di ora in ora e i sopravvissuti rischiano di morire se non
riceveranno al più presto cibo, acqua, cure mediche e un rifugio. Il portavoce
di Save the Children Italia, Filippo Ungaro, spiega che nella provincia
occidentale del Pakistan sono già arrivati mille kit per famiglie, contenenti
una tenda, coperte, teli di plastica e cibo per una settimana. “In questa fase
ci concentreremo sulla distribuzione di aiuti di prima emergenza – ha precisato
Ungaro – mentre stiamo effettuando sopralluoghi e valutazioni per creare aree
sicure per i bambini all’interno delle strutture temporanee”. L’organizzazione
internazionale, presente nella zona dagli anni 80, sta operando in stretto
rapporto con il governo pakistano, i governi nazionali, le Nazioni Unite e le
ONG, per poter far fronte ai bisogni di tutti i Paesi in difficoltà a causa del
terremoto. (R.R.)
IL
SACERDOZIO MINISTERO DA RISCOPRIRE ALLA LUCE DELL’ESEMPIO DI MARIA.
SU QUESTO TEMA DA DOMANI
IN CALABRIA IL VIA
AL XVIII COLLOQUIO
INTERNAZIONALE DI MARIOLOGIA
GERACE-SAN
LUCA. = Un colloquio di studio per
approfondire il tema del sacerdozio come ministero dei fedeli, sintetizzato in
modo eccellente dalla persona di Maria. Avrà inizio domani, a Gerace-San Luca,
in provincia di Reggio Calabria. “Popolo sacerdotale in cammino con Maria”:
questo il titolo del XVIII Colloquio internazionale di mariologia che si
concluderà domenica. L’iniziativa si inserisce nell’ambito delle iniziative che
concludono, nella diocesi di Locri, l’anno dedicato all’Eucaristia. Il Convegno
è stato organizzato dall’Associazione Mariologica Interdisciplinare Italiana
(AMI) che, avvalendosi della collaborazione di padre Stefano De Fiores, docente di mariologia alla Pontificia
Università Gregoriana, ha convocato esperti appartenenti a varie confessioni
cristiane, tra cui l’evangelico prof. Gottfried Hammann di Neuchâtel
(Svizzera); l’ortodosso prof. Costantino Charalampidis, ordinario di archeologia bizantina alla facoltà di
Teologia dell'Università di Tessaloniki, in Grecia; il cardinale Javier Lozano Barragán, arcivescovo emerito di Zacatecas
(Mexico), presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Al
porporato si affiancheranno, tra gli altri teologi cattolici, i professori
Antonio Staglianò e Ignazio Schinella, docenti all’Istituto teologico calabro.
Fra gli approfondimenti
del Congresso quello sui vescovi, preti e monaci italo-greci che sono vissuti
nella Locride e si sono impegnati nella preghiera continua, nella celebrazione
della sacra liturgia secondo il rito greco-bizantino e nella difesa delle
classi povere ed oppresse. Previste anche la proiezione del film sul vescovo
Oscar Romero e una veglia ecumenica nella cattedrale di Gerace con la
partecipazione di cattolici, ortodossi, valdesi e protestanti. (T.C.)
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13 ottobre 2005
- A cura
di Amedeo Lomonaco -
Nalchik,
la capitale della repubblica caucasica russa di Kabardino-Balkaria, è stata
teatro stamani di scontri tra la polizia e un commando di terroristi. Durante
le azioni terroristiche, rivendicate dalla guerriglia cecena, sono morti almeno
50 ribelli e una dozzina di civili. Sono stati assaltati edifici governativi e
l’aeroporto. L’attacco a Naltchik ha riportato in primo piano l’estremismo
islamico e la guerriglia cecena. Ma perché ora l’ennesima azione armata? Risponde
al microfono di Giada Aquilino, il responsabile della sede Ansa di Mosca,
Pierantonio Lacqua:
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R. – Le repubbliche caucasiche
sono sempre più in preda ad un crescente rafforzamento di queste tendenze
islamiche estremiste. C’è chiaramente anche un sogno di costruire quello che
dovrebbe essere una specie di ‘califfato’ che copra tutto il Caucaso. Abbiamo
la piaga aperta della Cecenia, dove sappiamo da più di un decennio delle
tendenze secessioniste nei confronti della Russia, ma anche tutte queste altre
repubbliche autonome del Caucaso, sia a livello politico che sociale,
presentano questi segnali. C’è molta povertà, c’è anche molto odio interetnico.
E’ veramente un babelico coacerbo di piccoli popoli che abitano quelle zone e
basta, quindi, la minima scintilla per creare situazioni di guerriglia urbana
come quella di oggi.
D. – Poco più di un anno fa,
Beslan, quindi l’Ossezia del Nord, il Daghestan, l’Inguscezia; adesso
quest’altra repubblica caucasica. Qual è la linea del presidente Putin?
R. – E’ quella di considerare
tutte queste forme di violenza come parte di una strategia più ampia. Infatti,
parla sempre di terrorismo internazionale, di legami con al Qaeda, di mercenari
stranieri. Questo vuol dire anche che, come nel caso della Cecenia, non c’è
nessuna intenzione di aprirsi ad un dialogo politico con i settori
indipendentisti. E’ difficile dire se questa sia una strategia vincente, a lungo
termine. Certamente, i problemi in quella zona si sono rivelati di difficile
soluzione anche con negoziati pacifici.
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E’ di
almeno 25mila morti l’ultimo bilancio, ancora provvisorio, fornito dalle
autorità di Islamabad sul terremoto che ha devastato il Pakistan. A questo
dramma si aggiunge anche quello dei sopravvissuti: secondo l’UNICEF, sono almeno
4 milioni i senzatetto ed almeno 120 mila persone, tra le quali molti bambini,
hanno urgente bisogno di assistenza. In questo tragico scenario, un nuovo
movimento tellurico ha riportato il panico tra la popolazione del Kashmir, già
duramente colpita dal sisma sabato scorso. Questa nuova scossa non sembra
fortunatamente aver provocato danni o vittime. Il servizio di Maria Grazia
Coggiola:
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I soccorsi
hanno raggiunto, per ora, solo i principali centri. Ma molte vallate, inaccessibili
anche per gli elicotteri, sono ancora isolate. Tra i superstiti del Kashmir
pakistano e delle regioni del nord-ovest, cresce il risentimento contro il
governo. Durante la notte, la terra ha di nuovo tremato. Una scossa di
assestamento di magnitudo 5,8 ha seminato il panico tra gli sfollati. Il totale
degli aiuti internazionali ammonta a circa 350 milioni di dollari a cui vanno
aggiunti 16 milioni donati dai cittadini pakistani in patria e quelli emigrati.
La segretaria di Stato americana Condoleeza Rice, ieri ad Islamabad per una
visita fuori programma, ha assicurato ulteriori stanziamenti aggiungendo che
gli Stati Uniti invieranno altri elicotteri da trasporto. Da segnalare, infine,
un episodio particolare: ieri alcuni soldati indiani hanno attraversato la
linea di confine che divide i due versanti del Kashmir per aiutare i loro
colleghi pakistani a ricostruire i loro bunker.
Da New Delhi, per la Radio
Vaticana, Maria Grazia Coggiola.
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Il giorno dopo il ritrovamento
del cadavere del ministro degli Interni siriano, Kanaan, che secondo la polizia
di Damasco si è tolto la vita, sulla stampa libanese si fanno ipotesi diverse
dal suicidio. Il nostro servizio:
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La
polizia siriana ha riferito che il ministro si è suicidato. Prima di morire,
Kanaan aveva concesso un’intervista ad una emittente radiofonica libanese e
aveva annunciato che quella sarebbe stata la sua “ultima dichiarazione. La
stampa libanese ha sollevato dubbi sulla versione del suicidio sostenendo che
il ministro siriano potrebbe essere stato ucciso o costretto a togliersi la
vita. Il presidente siriano Bashar al Assad ha dichiarato in un’intervista
rilasciata all’emittente statunitense CNN che la Siria e i servizi segreti di
Damasco non sono in alcun modo coinvolti nell’assassinio di Hariri e nel
decesso di Kanaan. Assad ha anche criticato la politica dell’amministrazione
americano in Iraq precisando che dopo la caduta del regime di Saddam Hussein
nel Paese del Golfo non è migliorata la stabilità e il terrorismo ha fatto
registrare un’impennata. Subito dopo la morte di Kanaan, il presidente
americano Bush ha lanciato ieri un monito alla Siria sottolineando come il mondo
libero rispetti la sovranità libanese e si aspetti che il governo di Damasco
onori quella democrazia. La
Siria – ha avvertito Bush – non interferisca nel processo di pace in Medio Oriente.
Intanto tensione alta in Israele, dove è stata rafforzata la sicurezza per
l’allarme di attentati in occasione dello Yom Kippur, la giornata dell’Espiazione e del digiuno, la
solennità più importante del calendario ebraico. Nei Territori palestinesi sono stati rilasciati, infine, i 2
giornalisti - un americano e un britannico - rapiti ieri pomeriggio a Gaza da
miliziani palestinesi.
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In
Germania, il presidente del partito socialdemocratico, Franz Müntefering, uomo
vicino a Gerhard Schröder, sarà vice cancelliere e ministro degli Affari
Sociali e del Lavoro nel futuro governo di grande coalizione, guidato dalla
cristianodemocratica Angela Merkel.
Le autorità romene sono in massima allerta dopo
i risultati positivi dei test effettuati la notte scorsa nei laboratori di
Bucarest sul virus dell’influenza
aviaria. Da Bruxelles, intanto, il Comitato per l’igiene alimentare e la salute
dell’Unione europea ha prorogato le misure di salvaguardia nei confronti della
Turchia, per evitare la diffusione del virus. E’ stato reso noto, intanto, che
il tipo di virus dell’influenza dei polli riscontrato nella Turchia
nordoccidentale è quello più pericoloso: dal 2003 ad oggi ha già provocato in Asia
la morte di oltre 60 persone e di milioni di volatili.
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