RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 284 - Testo della trasmissione di martedì 11  ottobre 2005

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Nella ricerca della piena comunione con i fratelli separati non va minata l’unità della Chiesa cattolica. L’invito del cardinale Sodano alla 13.ma Congregazione generale del Sinodo sull’Eucaristia. La testimonianza di Moyses De Azevedo Filho

 

Esce oggi in Italia il primo libro di Benedetto XVI, “La rivoluzione di Dio” che raccoglie i discorsi del Papa alla Giornata mondiale della gioventù di Colonia

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

In due villaggi del Guatemala potrebbero essere 3 mila le persone sepolte sotto il fango dopo il passaggio dell’uragano Stan: ai nostri microfoni padre Angel Maria Pascual

 

Influenza aviaria: in Indonesia contagiato un bambino. Pollame infetto scoperto in Turchia e Romania.  Intervista con Andrea Antinori

 

Conferenza interreligiosa a Sarajevo sulla crescente povertà in Bosnia Erzegovina a dieci anni dagli Accordi di pace di  Dayton: con noi mons. Pero Sudar

 

Approvata ieri a Parigi dall’UNESCO la “Dichiarazione universale di bioetica e diritti umani”: l’intervento di mons. Follo

 

CHIESA E SOCIETA’:

Inaugurato  l’anno accademico 2005-2006 della Pontificia Università Urbaniana

 

Il numero di giornalisti assassinati in Colombia è diminuito, ma la libertà di stampa resta a rischio

 

Denunciate nuove deportazioni di immigrati subsahariani nel sudovest del Marocco

 

Al via anche l’anno accademico del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo

 

24 ORE NEL MONDO:

Terremoto in Pakistan: salvati cinque bambini tra le macerie di una scuola

 

Dopo 14 anni di guerra civile, la Liberia al voto oggi per le presidenziali e le legislative

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

11 ottobre 2005

 

 

NELLA RICERCA DELLA PIENA COMUNIONE CON I FRATELLI SEPARATI

NON VA MINATA L’UNITA’ DELLA CHIESA CATTOLICA.

L’INVITO DEL CARDINALE ANGELO SODANO

ALLA 13.MA CONGREGAZIONE GENERALE DEL SINODO SULL’EUCARISTIA

 

Eucaristia vincolo di unità tra le Chiese. Eucaristia radice della pace mondiale. Eucaristia ispiratrice di equità sociale. Sono alcuni degli argomenti affrontati questa mattina durante la tredicesima sessione plenaria del Sinodo sull’Eucaristia, giunto a metà del suo percorso. I 22 interventi, svolti alla presenza di Benedetto XVI - oltre a tratteggiare, come di consueto, la situazione ecclesiale nelle diverse realtà geografiche e culturali - si sono soffermati su vari argomenti liturgico-dogmatici a partire dalla delicata questione sulla Comunione ai non cattolici, introdotta dal cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano. La cronaca della mattinata nel servizio di uno dei nostri inviati al Sinodo, Alessandro De Carolis:

 

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Per favorire l’unità con i fratelli separati non dobbiamo dividerci tra noi. Si apre con questa affermazione netta l’ottavo giorno di lavori sinodali. Il cardinale Sodano punta al cuore di una delle problematiche più sentite dell’assise - la celebrazione della Messa con i fratelli separati - e sviluppa la sua riflessione parlando dell’Eucaristia come fonte di unità. Ma un’unità, sottolinea rifacendosi al magistero di Giovanni Paolo II nell’Ecclesia de Eucaristia, che deve esprimersi nella verità e per far ciò ha bisogno che vi sia completa comunione nei vincoli della professione di fede, dei Sacramenti e del governo della Chiesa. Senza l’integrità di questi vincoli, ha affermato il porporato, non è possibile celebrare la stessa liturgia eucaristica tra cattolici e ortodossi. Tuttavia, ha aggiunto, se l’intercomunione è impossibile, può esserlo l’amministrazione dell’Eucaristia ai non cattolici in circostanze speciali e a singole persone.

        

Ma oltre al confronto sui vari aspetti liturgici o devozionali – dalla necessità di preparare migliori omelie domenicali alla cura da apporre alla traduzione dei Messali liturgici nelle varie lingue nazionali, dalla riscoperta dei primi venerdì del mese alla valorizzazione, in generale, del ricco simbolismo cristiano dell’antichità – nell’Aula sinodale sono entrati anche i grandi temi della pace e della giustizia sociale, legati al Sacramento dell’Eucaristia. Il Patriarca latino di Gerusalemme, Michel Sabbah, parlando dei conflitti che hanno deturpato il volto della sua terra, universalmente conosciuta come “Santa”, ha sollecitato una rieducazione all’Eucaristia, all’adorazione, agli esercizi di pietà come preludio alla costruzione della pace tanto sognata. Solo così, ha detto, i cristiani rendono Dio presente nella società e in mezzo ai conflitti. Altrimenti, ha soggiunto con una nota di amarezza, resta quella violenza arbitraria che ha fatto della terra di Dio una terra solamente degli uomini. Convinzioni non dissimili sono risuonate nell’intervento dell’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, che ha definito l’Eucaristia un segno e un messaggio di speranza in un’epoca del mondo segnata da molte ansie. Anche il presule ha insistito sul rilancio in ogni parrocchia della formazione cristiana, in particolare della catechesi agli adulti.

 

Il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente di Giustizia e Pace, ha dato spazio alle implicazioni sociali e politiche del legame tra Eucaristia e carità. La povertà che attanaglia milioni di persone ad ogni latitudine, ha osservato, è ormai da tempo una questione sociale mondiale. Il mistero eucaristico, ha proseguito, può ispirare e promuovere anche una dimensione sociale e politica della carità, portando a un’equa distribuzione dei beni della terra, da sempre considerati dalla Chiesa destinati a tutti. Secondo il cardinale Martino, il Sinodo potrebbe chiedere al Papa di intervenire pubblicamente su questi temi con un documento magisteriale.

 

         E uno spaccato ecclesiale, tra esigenze pastorali e difficoltà oggettive come la miseria o l’essere una minoranza religiosa, è puntualmente emerso anche oggi dalle relazioni sinodali. Emblematica, dall’Africa, la situazione della Liberia, alle prese con la poligamia ancora radicata nel costume locale e con la difficoltà per i pochi sacerdoti che vi amministrano i Sacramenti di coprire le grandi distanze tra una parrocchia e un’altra. Problema, quest’ultimo, analogo ai Paesi dell’Africa meridionale e affrontato – secondo l’esperienza di mons. Edward Risi - incrementando piccole comunità di base di fedeli laici, formati e motivati a curare la liturgia della Parola in assenza del sacerdote. O ancora, il caso dell’Angola, portato in Aula dal vescovo Gabriel Mbilingi, laddove un Paese distrutto nella dignità collettiva e individuale da una sanguinosa guerra civile si trova ora affamato, ha detto il presule, tanto di pane materiale quanto di pane eucaristico, necessario per riscoprire il valore dell’amore e della riconciliazione. Un’esigenza che accomuna l’Africa all’Asia quando, ad esempio nello Sri Lanka, l’Eucaristia diventa un simbolo di pace e di gioia in quei villaggi che negli anni precedenti avevano visto 75 mila civili cadere nella corso del conflitto armato tra il governo di Colombo e l’etnia Tamil. Il rovescio della medaglia può essere colto in Europa, più stabile a livello sociale ma più secolarizzata, dove sacerdoti – ha affermato con schiettezza il presidente della Conferenza episcopale di Bosnia-Erzegovina, Vinko Puljic – appaiono spesso stanchi o senza entusiasmo per la loro scelta. O dove, ha soggiunto, il senso del sacro si è oscurato e le vocazioni calano vistosamente. Solo recuperando la dignità degli atti sacri e la dimensione del mistero, è stata la chiosa di mons. Puljic, si possono ricevere i frutti dell’Eucaristia.

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Come celebrare fruttuosamente l'Eucaristia è stato tra i temi più dibattuti nella seduta pomeridiana di ieri con tredici interventi di Padri Sinodali, prima della discussione libera all'inizio della quale, alle ore 18.00, ha fatto il suo ingresso il Pontefice. Il servizio di Giovanni Peduto:

 

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Non sono mancate testimonianze di Chiese particolari come l'Uganda, il Paraguay e Cuba con la loro vivacità di fede accompagnata da problemi. Anche oggi, nonostante difficoltà e contraddizioni di varia indole, il mondo aspira alla felicità e al pane della vita, dell'anima e del corpo. La mancanza o debolezza della fede portano alla ricerca di nuovi idoli e il problema pressante della gente di oggi è se ci sarà qualcosa dopo la morte. L’abate benedettino Silvestrino Pantaloni ha detto che il 'proprium' del cristianesimo è questo: la Resurrezione della carne, che l'Eucaristia proclama ed offre, sulla cui certezza occorre formare i fedeli. Scopo dell'Eucaristia è appunto quello di annunziare e rendere vivo il Vangelo della Resurrezione della carne fin da ora. Se non si offre questo Vangelo alla gente, l'Eucaristia o non interessa, o diventa magia, o si chiude in sterile devozione sentimentale.

 

Il vescovo ausiliare di Haarlem, in Olanda, mons. Johannes Gerardus Maria van Burgsteden ha, dal canto suo, asserito che alle liturgie ben curate nel rispetto dei canoni estetici non corrisponde un'affluenza di massa e il modo in cui il mistero eucaristico è spiegato fa spesso riferimento a un quadro di nozioni filosofiche estraneo all'uomo moderno. Per rendere la celebrazione eucaristica più vicina all’uomo di oggi necessita una catechesi continua intorno al centro e al culmine della nostra fede; bisogna celebrare degnamente l'Eucaristia con adeguata disposizione interiore sia da parte del celebrante che dei fedeli; e, infine, occorre sottolineare l'importanza del digiuno eucaristico, dell’esposizione solenne del Santissimo Sacramento, ma  pure dell’adorazione silenziosa davanti al Tabernacolo.

 

Dal Portogallo, il vescovo di Coimbra, mons. Albino Mamede Cleto, ha rilevato le deviazioni che accentuano almeno nel suo, Paese: la preoccupazione principale dei parroci di garantire più Messe  che i fedeli esigono, fa trascurare la qualità della celebrazione. Non basta avere il cibo – ha rilevato il presule - occorre anche saper preparare la tavola. Poi, nel desiderio di essere accetti ai loro ascoltatori, i preti valutano l'Eucaristia come comunione nella mensa dell'eguaglianza: ma la comunione è prima di tutto con l’Agnello immolato e offerto. Infine si moltiplicano le celebrazioni domenicali presiedute da diaconi e laici, in mancanza del prete: sono una benedizione, ma la facilità con la quale si fa la sostituzione della Messa con queste celebrazioni è preoccupante. E' stata segnalato anche il problema delle sette che allontanano i fedeli dalla religione cattolica; la necessità di ribadire la domenica come giorno di riposo e altri importanti temi che la penuria di tempo non permette citare.

 

Giovanni Peduto, Radio Vaticana.

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Come è noto, lunedì prossimo, alle ore 17.00, si svolgerà nella Basilica Vaticana, con la partecipazione dei padri impegnati al Sinodo sull’Eucaristia, l'Adorazione del Santissimo Sacramento, alla presenza di Benedetto XVI. Alla celebrazione, oltre al clero di ogni ordine e grado, sono stati invitati anche i fedeli della diocesi di Roma.

 

Partecipa per la prima volta al Sinodo come uditore anche il fondatore della comunità cattolica Shalom, Moyses De Azevedo Filho. Nata in Brasile oltre 20 anni fa, lo scopo principale di questa comunità è l’evangelizzazione proprio attraverso l’Eucaristia. Ascoltiamo la testimonianza dello stesso  Moyses De Azevedo intervistato da Giovanni Peduto:

 

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R. – L’Eucaristia per noi, come per la Chiesa, rappresenta il centro di tutto. Abbiamo una celebrazione dell’Eucaristia molto viva ed è adorazione perpetua che rappresenta un elemento molto importante, perché ci pone davanti a Gesù nell’Eucaristia; è la presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, è la fonte della pace per noi. Il nostro nome è Shalom, dobbiamo cercare e ricevere la pace del cuore di Gesù, che è l’Eucaristia; vivere questa pace nella nostra comunione fraterna e portare questa pace nell’evangelizzazione. Voglio ricordare quanto successo durante il Carnevale di quest’anno, in Brasile: abbiamo organizzato un momento di evangelizzazione cui hanno partecipato 100 mila giovani. E’ stato un evento di musica, di arte e di evangelizzazione. Nel corso di questo incontro, abbiamo fatto un momento di adorazione del Santissimo Sacramento ed era bellissimo vedere 100 mila giovani, in silenzio e in adorazione. Questo è un segno per il mondo di oggi: dobbiamo portare con audacia Gesù nell’Eucaristia, perché gli uomini e le donne di oggi hanno fame di questo.

 

D. – Parliamo della comunità da lei fondata, la Comunità Shalom?

 

R. – La comunità cattolica Shalom è stata fondata 23 anni fa. Tutto è cominciato quando Giovanni Paolo II ha visitato il Brasile, Fortaleza, la nostra città, per il Congresso Eucaristico Nazionale. Il cardinale Aloisio Lorscheider mi ha chiesto di dare, a nome di tutti i giovani, un regalo al Santo Padre Giovanni Paolo II. E allora gli ho domandato: “Cosa gli devo dare?”. E lui mi ha risposto: “Non lo so, sei tu che devi decidere cosa dare”. Allora mi sono messo in preghiera e ho deciso di dare la mia vita per portare Gesù e il Mistero dell’Eucaristia a tutti coloro che sono lontani dalla Chiesa. Avevo 20 anni. Ho cominciato così una nuova esperienza, quella di una pizzeria, per annunciare ai giovani il Vangelo: davanti c’era la pizzeria e nel retro c’era la cappella con il Santissimo Sacramento. Quando i giovani arrivavano per mangiare una pizza, noi davamo loro la nostra testimonianza dell’esperienza di Gesù e li invitavamo a conoscere Gesù nell’Eucaristia. E’ stata un’esperienza bellissima.

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NOMINA

 

         Il Santo Padre ha nominato ausiliare di Erfurt, in Germania, il reverendo sacerdote Reinhard Hauke, del clero della medesima diocesi, finora parroco del Duomo di Erfurt e canonico del Capitolo Cattedrale, assegnandogli la sede titolare vescovile di Fiumepiscense. Mons. Hauke è nato a Weimar (diocesi di Erfurt) il 6 novembre 1953. E’ stato ordinato sacerdote il 30 giugno 1979.

 

        

ESCE OGGI IN ITALIA IL PRIMO LIBRO DI BENEDETTO XVI,

“LA RIVOLUZIONE DI DIO” CHE RACCOGLIE I DISCORSI DEL PAPA

 ALLA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ DI COLONIA

 

Esce oggi in Italia il primo libro di Benedetto XVI, “La rivoluzione di Dio”. Al centro del volume – che raccoglie i discorsi del Papa durante l’ultima Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia, incluse le parti pronunciate a braccio mentre sviluppava il tema del discorso “Siamo venuti per adorarlo” – l’eredità ed il futuro dopo la XX GMG. Il volume, pubblicato in co-edizione Libreria Editrice Vaticana e  Edizioni San Paolo, è stato presentato presso la Sala Stampa della Santa Sede dal Cardinale Camillo Ruini, vicario generale del Papa per la diocesi di Roma, e l’arcivescovo Stanisław Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici. Per noi c’era Massimiliano Menichetti:

 

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(musica)

 

Le note della XX GMG, i colori della bandiere di tutto il mondo; la preghiera di circa un milione di ragazzi, raccolti in adorazione di Cristo sulla spianata di Marienfeld: queste le immagini rievocate dal libro del Papa “La rivoluzione di Dio”, che è stato oggi presentato in Sala Stampa vaticana. Il volume segue un duplice criterio: quello cronologico, ma anche quello dei destinatari della parola di Benedetto XVI.

 

Il primo discorso è quello dell’arrivo in aeroporto di Colonia-Bonn. Filo conduttore del libro, come per Colonia 2005, il tema delle giornate: “Siamo venuti per adorarLo”. E’ quindi l’incontro con Cristo, capace di cambiare il mondo, la chiamata alla missionarietà, uno dei punti centrali come ha sottolineato il cardinale Camillo Ruini:

 

“Colui che ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una vera gioia non si può tenere per sé. Bisogna trasmetterla”. Queste le parole di Benedetto XVI. Questo appello diventa ancora più forte e urgente in presenza  di  quella che il Papa ha chiamato “una strana dimenticanza di Dio”, che esiste oggi in vaste parti del mondo e genera insoddisfazioni e frustrazioni, come anche, all’opposto, di una religione “fai da te”, di un Dio privato e un Gesù privato, che possono essere comodi ma alla fine ci lasciano soli”.

 

Nel testo di fatto si intrecciano la questione della fede cristiana, il dialogo interreligioso, quello ecumenico ed i problemi della società contemporanea, come il relativismo che distoglie l’uomo da Dio, la minaccia terroristica, ma anche e soprattutto l’amore salvifico di Cristo. Il Papa riesce a tenere insieme apertura universale ed identità cattolica, ha sottolineato il cardinale Ruini.

 

Il libro si chiude con l’udienza di mercoledì 24 agosto, nell’Aula Paolo VI, dove il Papa stesso descrive l’esperienza di Colonia e lancia le sfide per il futuro. Mons. Stanislao Rylko:

 

“Ogni GMG  è un dono particolare fatto a tutta la Chiesa, bisognosa di scoprire e riscoprire sempre di nuovo il suo volto giovane. Il ‘cristianesimo stanco' di non pochi battezzati ha bisogno del soffio vitale di una fede giovane, piena di entusiasmo e di slancio. E ne ha bisogno specialmente l’Europa, il vecchio continente che rinnegando le proprie radici cristiane va cancellando progressivamente la sua identità più profonda”.

 

Un testo che non rappresenta soltanto un ricordo di un bellissimo evento, ha sottolineato mons. Stanislao Rylko, ma una guida per tutti, non solo per i giovani, sul senso dell’esistenza.

 

(musica)

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Prima pagina - Pakistan: la devastazione del sisma non soffoca la speranza; l'Arcivescovo di Lahore invita i cattolici del Paese a donare il corrispettivo di una giornata lavorativa in favore delle popolazioni colpite.

 

Servizio vaticano - Il resoconto dell'XI, XII e XIII Congregazione generale del Sinodo dei Vescovi.

 

Servizio estero - L'intervento della Santa Sede alla 60.ma sessione dell'Assemblea generale dell’ONU: "La crescita della longevità richiede un'attenta rivalutazione del ruolo delle persone anziane nella società odierna”.

 

Servizio culturale - Un articolo di Timothy Verdon dal titolo “La ‘Disputa del Sacramento’ e il Sinodo dei Vescovi”.

In ricordo di Gaetano Afeltra un articolo di Biagio Buonomo dal titolo “Quel gentiluomo che inventava una pagina dal nulla”.

Per l’“Osservatore libri” un articolo di Franco Lanza dal titolo “Nella dovizia di novità espressive la forza della persuasione spirituale”: il primo volume dell'Epistolario (1893-1928) di Clemente Rebora.  

 

Servizio italiano - In rilievo il tema della legge elettorale.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

11 ottobre 2005

 

 

IN DUE VILLAGGI DEL GUATEMALA POTREBBERO ESSERE 3 MILA LE PERSONE SEPOLTE SOTTO IL FANGO DOPO IL PASSAGGIO DELL’URAGANO STAN

- Intervista con padre Angel Maria Pascual -

 

Oltre 650 morti in Guatemala, 69 in Salvador e almeno 20 in Messico. E’ il drammatico bilancio, ancora provvisorio, dei morti provocati in America Centrale dal passaggio dell’uragano ‘Stan’. In Guatemala i soccorritori temono che in due villaggi siano rimaste sepolte sotto un fiume di fango circa 3 mila persone. Ma come è adesso la situazione? Debora Donnini lo ha chiesto a padre Angel Maria Pascual, rettore del seminario diocesano di Sololà, che si trova proprio nella zona più colpita:

 

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R. – HACE UN POQUITO MEJOR TIEMPO…

Sta cominciando il bel tempo, non piove più, per cui si possono fare meglio i lavori di risistemazione delle strade. Gli aiuti stanno arrivando abbondanti dalla capitale, ma il problema è che le vie di comunicazione sono interrotte. Si è lavorato molto per trovare i morti che sono stati sepolti dalla terra, ma ho parlato con un pompiere che stava facendo questo lavoro e diceva che la gente era d’accordo nel non cercare più, perché è molta la quantità di terra che copre le case, e nel dichiarare questa zona “cimitero”.

 

D. – Le piogge torrenziali, le frane, il maltempo in generale ha causato danni ingenti anche all’agricoltura. Si parla di circa 400 milioni di dollari…

 

R. – L’AGRICOLTURA HA SUFRIDO…

l’agricoltura ha sofferto molto. Le piogge sono state così intense che sono stati inondati molti campi. E poi la produzione di legno nel Sud e sulla costa è stata danneggiata molto.

 

D. – La gente come sta vivendo questa tragedia?

 

R. – CLARAMENTE, TODAVIA…

Chiaramente non si è ancora assimilata bene la grandezza della tragedia, però assieme al dolore e allo sconforto allo stesso tempo c’è molto coraggio e un grande spirito cristiano. Suscita ammirazione vedere che la gente non si ribella contro Dio, ma che al contrario si rifugia nella preghiera. Nelle chiese si stanno celebrando i funerali e c’è una grande solidarietà. Tutti i villaggi vicini stanno dando il loro contributo e anche nella capitale si è fatta una grande campagna di solidarietà. La difficoltà è nelle vie di comunicazione che sono ancora molto deteriorate. Quello di cui questa gente ha bisogno è di sentirsi appoggiata, di non sentirsi sola in questo momento.

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APPROVATA IERI A PARIGI DALL’UNESCO

LA “DICHIARAZIONE UNIVERSALE DI BIOETICA E DIRITTI UMANI”.

IL MONITO DELLA SANTA SEDE A NON RIDURRE L’UOMO A MATERIALE DA LABORATORIO

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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Quattro anni per arrivare un testo di compromesso su una materia tanto controversa, che non ha precedenti nella storia dei diritti umani. Una Dichiarazione che per la prima volta mette d’accordo 197 Paesi - con culture, religioni e status socio-politici profondamente diversi - riguardo principi comuni nel campo della bioetica. Promotore dell’iniziativa l’UNESCO, l’organizzazione dell’ONU per l’educazione, la scienza e la cultura. La nuova Carta afferma in forma solenne una serie di principi generali, senza entrare però nel merito di questioni specifiche. Tra i capisaldi della Dichiarazione: il primato dell’autonomia e la responsabilità individuali; il consenso informato, la garanzia della privacy, il rispetto del pluralismo, la responsabilità sociale verso le generazioni future, la salute, l’assistenza sanitaria, la protezione dell’ambiente, condivisione dei benefici della ricerca. Soddisfazione generale in casa UNESCO. “Un passo avanti significativo”, secondo Francesco D’agostino, presidente del Comitato italiano di bioetica, seppure le tematiche più laceranti, dall'aborto all'eutanasia - ha aggiunto - non siano ancora affrontare in questo documento”

 

Importante è dunque che la bioetica sia stata riconosciuta d’interesse planetario, ma è difficile prevedere l’applicazione operativa dei principi sottoscritti, tanto più che la Dichiarazione non è vincolante per gli Stati firmatari.

 

In proposito illuminante il richiamo dell’Osservatore permanente della Santa Sede, presso l’UNESCO, mons. Francesco Follo, che ieri nel suo intervento durante i lavori in corso a Parigi dell’Assemblea generale, ha sottolineato l’importanza della bioetica, quale “esigenza morale” per dare risposta al “rispetto dell’uomo e della sua dignità intrinseca”. “Impossibile negare – ha osservato - che la biologia e la medicina…. contribuiscano fortemente a migliorare le condizioni di vita dell’uomo. Ma noi ci troviamo oggi davanti ad una situazione nuova, in cui l’uomo può e potrà sempre di più mettere in gioco il destino di tutta la sua specie, tentato di trattare l’uomo come semplice materiale da laboratorio. Da una parte – ha rilevato il presule – l’uomo afferma che vuole guarire e condurre fino alla morte una vita degna della sua umanità, ma dall’altra sappiamo bene che la penuria di medicinali, di strutture sanitarie e di medicamenti priva di questi diritti la grande maggioranza degli abitanti del pianeta. Tanto più di fronte a queste nuove sfide bisogna che l’uomo sia e resti un uomo, vivendo un vita ‘umana’ e morendo una morte ‘umana’”. E dunque “l’aspetto biologico non è che una dimensione del nostro essere” per cui  “ridurre l’uomo a questa dimensione sarebbe come fare opera di mutilazione”.

 

Tra gli altri temi su cui accendere l’attenzione della comunità internazionale, il delegato vaticano, ha indicato la garanzia della libertà e della giustizia, in mancanza delle quali l’uomo appare mutilato quanto l’uomo ridotto alla realtà biologica del suo corpo; e poi ancora l’esigenza della verità, che non si può far coincidere con il consenso e l’opinione che prevale, ma piuttosto si configura come dimensione insita nella natura umana; infine il dramma della povertà, e l’urgenza dell’educazione soprattutto delle bambine, motore di sviluppo per i Paesi più poveri e arretrati.

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CONFERENZA  INTERRELIGIOSA A SARAJEVO SULLA CRESCENTE POVERTA’

 IN BOSNIA ERZEGOVINA, A 10 ANNI DAGLI ACCORDI DI PACE

CHE HANNO FATTO DIMENTICARE QUESTO PICCOLO PAESE BALCANICO

- Intervista con mons. Pero Sudar -

 

A dieci anni dagli Accordi di Dayton, che il 21 novembre 1995 ponevano fine alla guerra nella Bosnia Erzegovina, a Sarajevo si svolge oggi una conferenza per parlare della crescente povertà in questo Paese della ex Jugoslavia. E’ promossa da Caritas Europa e dalla Conferenza episcopale bosniaca, con la partecipazione di entità caritative di altre confessioni: la musulmana Merhamet, la serbo-ortodossa Dobrotvor e l’ebraica La Benevolencija. L’obiettivo è richiamare l’attenzione su dati preoccupanti: nel Paese balcanico la disoccupazione tocca, secondo indicatori recenti, oltre il 40% della popolazione e l'analfabetismo il 15%, mentre un bosniaco su cinque sopravvive con meno di un euro al giorno. Nello spirito del dialogo interreligioso, gli organismi caritativi si confronteranno sulle difficoltà delle rispettive comunità per poi presentare un documento finale su orientamenti e possibili strategie. Gli Accordi di pace di Dayton, lo ricordiamo, hanno diviso la Bosnia Erzegovina in due entità praticamente autonome: la Federazione croato-musulmana e la Repubblica serba Srpska. La componente musulmana è maggioritaria nel Paese e la comunità cattolica è quella che più soffre questa divisione. Ma ascoltiamo, nell’intervista di Emer McCarthy, mons. Pero Sudar, vescovo ausiliare di Sarajevo:

 

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R. – Con gli Accordi di Dayton certamente è stata raggiunta una cosa molto importante: è stata fermata la guerra. Però, purtroppo, questa “pace imposta” con cui è stato diviso il nostro Paese, ha reso impossibile qualcosa che è sempre tipico dopo la guerra: la cosiddetta ‘ripresa’, specialmente economica, ma anche sociale. Questo non è avvenuto a causa, prima di tutto, di una ingiusta spartizione del Paese, e poi nessuno crede che questa soluzione politica possa durare e quindi nessuno si fida di investire. Bisogna notare che in Bosnia Erzegovina durante la guerra è stato distrutto quasi il 75 per cento delle infrastrutture, fabbriche, tutto ciò da cui nasce l’economia. Non c’è stata una ricostruzione. Le poche infrastrutture che sono state privatizzate, sono anch’esse in qualche modo finite male, perché coloro che hanno comprato queste fabbriche, che erano statali, non si fidano di investire perché la situazione politica non è stabile proprio a causa di una soluzione che ha imposto praticamente due sistemi politici diversi: questo ha determinato il 48 per cento della disoccupazione e  non permette una vera ripresa  della vita sociale e della vita economica.

 

D. – A questa Conferenza  prendono parte i rappresentanti delle principali religioni in Bosnia Erzegovina. Questo è un passo avanti?

 

R. – Da noi c’è, in linea di principio, un consiglio interreligioso di cui fanno parte tutti i capi delle Chiese cristiane e delle altre comunità religiose; questo non è qualcosa di rivoluzionario, perché queste istituzioni umanitarie delle diverse Chiese e comunità religiose hanno collaborato molto durante la guerra, aiutandosi a vicenda, e continuano a collaborare anche dopo la guerra. Certamente, è un gesto significativo molto importante, però ci si pone la domanda: cosa possono fare istituzioni del genere, se siamo incatenati da una amministrazione imposta, un governo che fa del nostro Paese un Paese guidato dall’estero. Ben 17 miliardi di dollari sono stati investiti in Bosnia Erzegovina, e non se ne vede nulla, perché l’amministrazione si è mangiato tutto. I profughi che sono stati cacciati via durante la guerra, e più del 50 per cento dei cattolici sono fuggiti, non si fidano di tornare a causa, prima di tutto, della sicurezza che non c’è e poi della mancanza di posti di lavoro; i giovani delle ultime generazioni cercano ancora il modo di andare via; il 62 per cento di tutta la popolazione giovane della Bosnia vorrebbe lasciare la Bosnia perché non vede prospettive.

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INFLUENZA AVIARIA: IN INDONESIA CONTAGIATO UN BAMBINO.

POLLAME INFETTO SCOPERTO IN TURCHIA E ROMANIA.

GLI STATI UNITI: “NON SIAMO PRONTI A FRONTEGGIARE UN’EPIDEMIA”

- Intervista con Andrea Antinori -

 

L’ombra dell’influenza aviaria si allunga su Europa e Stati Uniti. Nuovi casi di volatili infetti sono stati scoperti  in Turchia, Romania e Bulgaria, mentre la notizia dell’ultimo caso di contagio umano giunge dall’Indonesia, dove ad essere colpito è stato ieri un bambino. Nel Vecchio Continente sono già scattate le misure di sicurezza: l’Unione Europea ha deciso la sospensione delle importazioni di pollame e piume da Ankara. Domani, invece, a Bruxelles, è in programma un incontro tra i responsabili veterinari dell’UE. Ed è allarme pure negli Stati Uniti, dove le autorità sanitarie hanno ammesso di non poter fronteggiare una possibile epidemia. Per il momento, però, sembra lontano il pericolo di una trasmissione del virus da uomo a uomo, come ci conferma, al microfono di Salvatore Sabatino, il prof. Andrea Antinori, infettivologo dell’Ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma, centro di riferimento nazionale per le malattie infettive:

 

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R. – Il virus limitatamente è riuscito a trasmettersi dall’animale all’uomo, provocando una malattia in alcuni casi mortale. Al momento, però, non ci sono avvisaglie che il virus possa fare in termini rapidi il cosiddetto “salto di specie”, nel senso di potersi trasmettere per via interumana, che è poi la cosa che farebbe scattare l’allarme pandemia.

 

D. - In quel caso che cosa avverrebbe nei singoli Stati, ad esempio dal punto di vista dei vaccini?

 

R. – Non siamo in grado di prevedere esattamente quali caratteristiche avrà il virus, semmai il virus si potrà adattare all’uomo e trasmettersi da uomo a uomo. Sarà comunque un virus diverso da quello che oggi alberga negli animali. Ci vorranno, dunque, alcuni mesi per allestire vaccini mirati contro quel tipo di virus.

 

D. – E’ possibile, comunque, attualmente mangiare carne di pollo o uova?

 

R. – Questo assolutamente sì. Non va confuso questo tipo di problema con la trasmissione dell’infezione. Il virus non si trasmette attraverso il consumo di carne e di uova, anche perché il virus si degrada facilmente ad una temperatura di 70 gradi. Quindi, con la normale cottura è praticamente impossibile contrarre l’infezione. L’infezione in questo momento si può contrarre dagli animali direttamente infetti, nei Paesi dove questo problema esiste.

 

D. – Si è fatto un gran parlare della similitudine tra influenza aviaria e spagnola, che nel 1918 causò diversi milioni di morti. Ci può tranquillizzare in tal senso?

 

R. – La situazione mondiale, la situazione sanitaria, la situazione sociale sono completamente diverse da quelle del 1918-1919. Ricordiamo soltanto il fatto che era diversa la rete sanitaria, non c’erano gli antibiotici e molti di coloro che morirono per la pandemia di influenza spagnola, nei primi anni del secolo scorso, morirono in effetti di super infezioni antibiotiche, che oggi potrebbero essere controllate con i farmaci a disposizione. Quindi, uno scenario diverso che rende difficilmente ripetibili e difficilmente anche proponibili delle previsioni numeriche esatte di fronte ad una situazione che ancora in qualche modo deve prefigurarsi nella sua esattezza.

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CHIESA E SOCIETA’

11 ottobre 2005

 

 

INAUGURATO CON UNA SOLENNE CELEBRAZIONE L’ANNO ACCADEMICO 2005-2006

DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ URBANIANA. LA MESSA È STATA PRESIEDUTA

DAL CARDINALE CRESCENZIO SEPE, GRAN CANCELLIERE. IL PORPORATO:

SIATE MISSIONARI ASSUMENDOVI LE RESPONSABILITÀ

CHE SCATURISCONO DAL VOSTRO MANDATO

 

ROMA. = E’ stato inaugurato ieri pomeriggio a Roma, alla Pontificia Università Urbaniana, l’anno accademico 2005-2006. A presiedere la celebrazione eucaristica il cardinale Crescenzio Sepe, Prefetto della Congregazione per l’Evagelizza-zione dei Popoli e Gran Cancelliere dell’università. Nata nel Collegio Urbano che, voluto da Papa Urbano VIII nel 1627, preparava i sacerdoti per le missioni, l’Urbaniana è specializzata nelle discipline legate all’attività evangelizzatrice della Chiesa. Tra i suoi studenti ha avuto il cardinale John Henry Newman. Oggi annovera le facoltà di Teologia, Filosofia, Diritto Canonico e Missiologia. Tra i suoi istituti quello sullo studio della non credenza della religione e delle culture che ha lo scopo di formare al dialogo interreligioso ed interculturale e che vuole essere un centro di ricerca, di riflessione e di formazione per gli operatori della pace. Rivolgendosi a docenti e studenti, nella sua omelia, il cardinale Sepe ha voluto sottolineare l’importanza dell’impegno missionario: “Tutti siamo missionari – ha detto il porporato – ma noi lo siamo con un impegno speciale come università che prepara alla diffusione della fede; siamo degli inviati, scelti dal Padre, chiamati ad essere suoi collaboratori e ad assumerci delle responsabilità nella nostra missione. Abbiamo bisogno più di testimoni che di maestri”. Il cardinale Sepe ha anche riferito del suo intervento ieri al Sinodo dei vescovi, dove ha ricordato la necessità di diversificare la evangelizzazione in relazione ai destinatari. “La Chiesa è cresciuta – ha detto ancora il porporato – in Asia e in Africa si contano 1 miliardo e 100 milioni di nuovi cristiani, ma ce ne sono ancora 5 miliardi che non possono ricevere l’Eucaristia perché non c’è chi può portarla”. Nell’anno accademico 2004/2005 l’università contava 1.400 iscritti, provenienti da 100 nazioni, e 200 docenti. Proprio per il suo carattere di universalità ha dato vita all’associazione “Omnes gentes”, organismo che raduna tutti gli studenti e le cui finalità, attraverso svariate iniziative, sono: favorire legami di amicizia e promuovere la condivisione dei valori culturali dei diversi Paesi di provenienza degli iscritti. A dichiarare aperto l’anno accademico il rettore monsignor Giuseppe Cavallotto che dovrà lasciare il suo incarico perché nominato vescovo della diocesi di Cuneo e Fossano. (T.C.)

 

 

IL NUMERO DI GIORNALISTI ASSASSINATI IN COLOMBIA E’ DIMINUITO,

MA LA LIBERTA’ DI STAMPA RESTA A RISCHIO. E’ QUANTO EMERGE DAL RAPPORTO

DELLA SOCIETA’ INTERAMERICANA DELLA STAMPA

 

INDIANAPOLIS. = Dall’assemblea generale della “Società interamericana della stampa” (SIP) riunitasi ad Indianapolis, e giunta alla sua 70esima edizione, emerge un dato solo in parte confortante: il numero di giornalisti uccisi nell’esercizio della loro professione in Colombia, nell’ultimo anno e mezzo, è sensibilmente diminuito. La media annuale, normalmente, è di quattro vittime, ma secondo la SIP esistono ancora “crescenti forme d’intimidazione” che minacciano la libertà di stampa nel Paese sudamericano. “Il crescente livello di autocensura da parte di numerose testate – prosegue la SIP – e le minacce di provvedimenti giudiziari potrebbero essere la causa della diminuzione dei rischi per la professione”. Sono centinaia le denunce fatte ai massmedia, soprattutto da parte di militari a riposo, funzionari statali e cittadini. Sono 25 i giornalisti, si legge nel rapporto, che hanno ricevuto minacce di morte, di questi, almeno cinque hanno dovuto lasciare la loro città. (R.R.)

 

 

DIVERSE ORGANIZZAZIONI UMANITARIE, L’ONU E LA COMUNITA’ EUROPEA

DENUNCIANO NUOVE DEPORTAZIONI DI IMMIGRATI SUBSAHARIANI

NEL SUDOVEST DEL MAROCCO: A RISCHIO LA DIGNITA’ UMANA

 

MALAGA. = Non cessano le denuncie da parte di diverse ONG, delle Nazioni Unite, della Comunità europea e di religiosi spagnoli, sulle presunte violazioni dei diritti umani subite dagli immigrati africani arrestati dagli agenti marocchini. Mons. Antonio Dorado Soto, vescovo di Málaga, a cui appartiene l’enclave spagnola di Melilla, ha scritto diverse note nelle quali critica la “grave situazione degli immigrati che cercano di entrare in Spagna attraverso le frontiere del Regno del Marocco”. Il vescovo spagnolo chiede alle Nazioni Unite e all’Unione Europea di trovare “una soluzione nel rispetto della loro dignità umana”. Mons. Dorado Soto, conclude ringraziando i cristiani di Melilla oltre ai giornalisti, le organizzazioni umanitarie e le forze dell’ordine per l’aiuto che stanno dando. Anche Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni Unite, sostiene che usare modi drastici per “contenere i movimenti di migranti” sia “una soluzione che non funziona”. “Le migrazioni – prosegue Kofi Annan – sono necessarie affinché alcuni Paesi mantengano il loro attuale ritmo di crescita economica”. Il Marocco avrebbe caricato, denuncia Medici senza Frontiere, fra le mille e 200 e le mille e 500 persone su di una trentina d’autobus in direzione sud-ovest. Le condizioni di questi viaggi appaiono terribili: gli immigrati sarebbero ammanettati e privi d’acqua, tra loro ci sarebbero anche donne e bambini. I giornalisti non possono raggiungere queste zone desertiche del Sahara e quindi non esistono documentazioni. Il Marocco conferma di aver rimpatriato 140 dei 317 immigrati irregolari senegalesi e che nei prossimi giorni torneranno a casa 606 cittadini del Mali, ma nega l’esistenza di queste deportazioni verso il sud-ovest. Le ONG, tuttavia, insistono e credono che i pullman siano diretti verso la frontiera con la Mauritania. Il Marocco non è l’unico Paese criticato, anche il governo Zapatero è sotto accusa a causa delle espulsioni di immigrati africani. (R.R.)   

 

 

“PROMUOVERE LA VITA TEOLOGICA DELLA CHIESA”: È QUANTO SI PROPONE

IL PONTIFICIO ATENEO SANT’ANSELMO. IERI ALL’APERTURA

DEL NUOVO ANNO ACCADEMICO LA PROLUSIONE

DEL NEO RETTORE IL BENEDETTINO PADRE MARK SHERIDAN

 

ROMA. = È stato il nuovo rettore padre Mark Sheridan, benedettino, ad aprire il nuovo anno accademico 2005-2006 del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. La celebrazione eucaristica è stata presieduta dal gran cancelliere, l’abate primate dei benedettini Notker Wolf. La prolusione del rettore ha toccato tra altri temi l’aumento della popolazione cristiana a cavallo dei due ultimi pontificati, la globlizzazione “della Chiesa e del mondo”, ed i nuovi spazi logistici dell’ateneo. Promuovere la vita teologica della Chiesa: questo il compito del Sant’Anselmo, ha detto padre Sheridan. Al termine della Messa, padre Lorenzo Montenz ha eseguito due pezzi per sola arpa, che hanno introdotto la prolusione “Dei Verbum - quarant’anni dopo” del prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’arcivescovo William Joseph Levada. Riallacciandosi alla dissertazione del rettore, il prefetto ha commentato la Dei Verbum consultando uno dei primi commentari scritto, allora, dal giovane Joseph Ratzinger, estrapolando quelli che ha definiti i tre temi identificativi della costituzione: la nuova concezione del fenomeno della Tradizione all’interno della teologia cattolica; la questione della critica biblica, che a fronte delle controversie del modernismo, ha portato “una certa pace al mondo dell’esegesi cattolica”, interpretando il senso della Scrittura come il compenetrarsi della parola umana e della parola divina; il movimento biblico che ha fatto emergere il “desiderio che le Scritture fossero maggiormente conosciute e utilizzate nella vita della Chiesa”. (T.C)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

11 ottobre 2005

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

 

In Kashmir, regione contesa da India e Pakistan, continuano le operazioni di soccorso ma il bilancio delle vittime, provocate dal terremoto di sabato scorso, si aggrava di ora in ora. Nella parte pakistana, sono più di 30 mila i morti, di cui la metà bambini. La situazione è difficile anche nella parte indiana del Kasmir dove i morti sono più di mille. Sul versante politico, il primo ministro indiano ha dichiarato che il governo di New Delhi è pronto ad offrire il proprio aiuto al Pakistan. In questo drammatico scenario non mancano, comunque, segnali di speranza: tra le macerie di una scuola crollata nel nord del Pakistan sono stati ritrovati vivi cinque bambini. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:

 

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Tra tanto dolore e disperazione, oggi sono giunte buone notizie dalla città di Balakot, dove secondo le autorità pakistane un’intera generazione è stata purtroppo spazzata via: dalle macerie delle suole elementari, un team di specialisti francesi ha estratto vivi cinque bambini, durante la notte, e forse altri potrebbero essere tratti in salvo durante le prossime ore. Nel crollo di un complesso scolastico, formato da due scuole elementari e da un seminario religioso, sarebbero ancora intrappolati 100 studenti. E’ una lotta contro il tempo. Solamente oggi, quando sono arrivate le squadre internazionali con i cani da soccorso e le apparecchiature da rilevamento, emergono i contorni dell’orribile tragedia di Balakot. Questa cittadina montana a nord di Islamabad, è diventata il tragico simbolo del sisma che sabato ha colpito il Kashmir. Nonostante le accuse di ritardo, la macchina dei soccorsi sta funzionando: i feriti stanno confluendo negli ospedali di Islamabad. C’è però ancora bisogno di elicotteri da trasporto. Lunghe code di convogli umanitari sono partiti dalla capitale; nei centri abitati come Musaffarabad, capitale del Kashmir pakistano, e nella stessa Balakot, si stanno montando le tende, distribuendo viveri ma si temono disordini: la folla affamata ha preso d’assalto i convogli umanitari. Ancora confusa è, infine, la situazione nel Kashmir indiano, dove il numero dei morti è salito a circa 1.500 e dove solo oggi sono state riaperte alcune strade principali.

 

Da New Delhi, Maria Grazia Coggiola.

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A pochi giorni dal referendum sulla Costituzione, non si fermano le violenze in Iraq: l’esplosione un’autobomba a Tall Afar, nel nord ovest del Paese, ha causato la morte di almeno 30 persone, in gran parte civili. La deflagrazione è avvenuta in un affollato mercato della cittadina irachena, vicina al confine con la Siria. Un altro attentato ha sconvolto anche Baghdad dove sono morte 25 persone. In questo caso, un kamikaze si è fatto saltare in aria in mezzo ad un gruppo di soldati iracheni. Il partito islamico ha denunciato, intanto, che i detenuti attualmente reclusi nelle carceri sotto il controllo dell’esercito americano o del Ministero degli interni iracheno sono più di 15 mila, tra i quali 1.500 adolescenti.

 

Almeno 18 poliziotti afghani sono rimasti uccisi, ieri, in seguito ad una imboscata tesa da ribelli nel sud dell’Afghanistan. Lo ha reso noto, stamani, il ministero dell’Interno di Kabul, precisando che l’attacco è stato sferrato nella provincia meridionale di Helmand, dove da diversi giorni le forze governative sono impegnate in operazioni militari contro gruppi di ex taleban. Un militare del contingente italiano in Afghanistan, il caporal maggiore Michele Sanfilippo, è morto inoltre stamani a Kabul, probabilmente in seguito ad un incidente: secondo le prime informazioni sarebbe stato, infatti, un colpo partito accidentalmente da un’arma ad uccidere l’uomo.

 

Dopo la proroga a fine ottobre dell’incontro tra il leader palestinese, Abu Mazen, e il premier israeliano, Ariel Sharon, lo Stato ebraico sarebbe disposto ad esaminare le richieste dell’Autorità nazionale palestinese relative alla liberazione di detenuti palestinesi. Lo ha confermato il vice-premier Shimon Peres in un’intervista a Radio Gerusalemme. Peres ha sottolineato che è interesse di Israele rafforzare il presidente Abu Mazen per consentirgli di prevalere sugli estremisti di Hamas.

 

Più di un milione e 300 mila persone sono chiamate oggi al voto, in Liberia, per le elezioni presidenziali e legislative, le prime dopo la fine di una guerra civile che ha causato oltre 250.000 morti e circa 500 mila profughi. Il conflitto ha avuto termine nel 2003 dopo l’esilio dell’ex presidente, Charles Taylor, e gli accordi di Accra stipulati tra fazioni ribelli e forze governative. Per controllare il processo di smobilitazione di miliziani governavi e dei gruppi ribelli, sono presenti nel Paese più di 15 mila caschi blu delle Nazioni Unite. Il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, ha esortato “tutti i liberiani a partecipare in massa a pacificamente a questo storico scrutinio”. Secondo i sondaggi, i favoriti sono l’ex calciatore del Milan, George Weah, e l’ex economista della Banca mondiale, Ellen Johnson Sirleaf. Le priorità da affrontare per il nuovo presidente saranno soprattutto il rilancio economico e la lotta contro la povertà: in Liberia, uno degli Stati più poveri del mondo, l’80 per cento della popolazione è disoccupata. Sulle elezioni nel Paese africano, che saranno monitorate da 400 osservatori internazionali e da 900 ispettori locali, ascoltiamo il servizio di Giulio Albanese:

 

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Sono 22 i candidati che si contendono la presidenza in Liberia, dopo 14 anni di guerra civile e due anni di governo di transizione. Altri 206 candidati sono in lizza per i 30 seggi del Senato e 503 concorreranno per i 64 dell’Assemblea nazionale. L’ambasciata statunitense in Liberia e gli operatori per i diritti umani hanno sottolineato che la calma registrata durante la campagna elettorale fa sperare che le elezioni possano essere davvero libere e trasparenti. L’ex campione del Milan, George Weah, si dice certo della vittoria alle presidenziali. Finora nessun “pallone d’oro” aveva tentato la carriera politica come lui. Nei comizi ha sempre citato Socrate e Platone, per affermare che la sua candidatura rende onore a chi è stato discriminato, oppresso da abusi e vessazioni perpetrate dalle oligarchie liberiane, abituate a contendersi il potere. I risultati del voto dovrebbero essere resi noti entro il prossimo 26 ottobre. Qualora nessun candidato avesse ottenuto la maggioranza dei voti si tornerebbe alle urne il prossimo 8 novembre.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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In Italia, è iniziato stamani alla Camera l’esame della proposta di riforma della legge elettorale avanzata dalla Casa delle Libertà. Per tentare di bloccare la riforma, l’opposizione ha presentato ieri 550 emendamenti. In aula, il primo scontro tra maggioranza e centrosinistra è previsto oggi sulle eccezioni di costituzionalità, per le quali sono previste due votazioni a scrutinio segreto. Successivamente, avrà inizio l’esame della proposta di riforma elettorale.

 

In Germania, dopo una empasse durata 3 settimane, è nato ieri il governo di grande coalizione tra democratici cristiani e social democratici. Come cancelliere è stata scelta la leader della CDU, Angela Merkel. Il governo tedesco ha preso forma, dunque, dopo estenuanti trattative. Ma la realtà politica della Germania di oggi è ben diversa da quella che avevano previsto gli analisti prima delle elezioni del 28 settembre, quando si pensava ad una vittoria schiacciante della CDU di Angela Merkel. Lo conferma al microfono di Stefano Leszczinski, l’inviato a Berlino del Sole 24 Ore, Attilio Geroni:

 

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R. – Ci troviamo davanti ad un compromesso. Il cancelliere Angela Merkel,il primo cancelliere donna della Repubblica federale tedesca, non sarà probabilmente il cancelliere candidato che noi abbiamo visto l’estate scorsa, quando aveva il vento in poppa nei sondaggi. In quel periodo girava l’Europa spiegando cosa avrebbe voluto fare nel caso di una vittoria. In quei giorni si pensava ad una vittoria netta della CDU, che avrebbe permesso alla Merkel di formare un governo e dar vita ad una coalizione con il partner ideale, i liberali dell’SPD. Le elezioni non hanno confermato questo scenario: l’SPD avrà un peso notevole in questo governo, con alcuni ministeri chiave, quali quello delle Finanze, del Lavoro e dei Programmi di sostegno sociale. Ricordiamoci che prima delle elezioni, la prospettiva di una grande coalizione era vissuta in maniera molto negativa e forti preoccupazioni erano espresse anche da parte degli osservatori e del mondo imprenditoriale. Adesso che la grande coalizione c’è, tutti sembrano adattarsi a questa nuova situazione. Non è escluso che questa nuova situazione possa portare ad importanti progressi. Hanno promesso, ad esempio, di voler riformare il sistema fiscale, di “sburocratizzarlo” e semplificarlo, e di riformare il modello federalista, che in questo momento è un ostacolo ad un rapido progresso decisionale in Germania. Attualmente, abbiamo un sistema dove in Bundesrat, la Camera Alta, ha spesso una maggioranza che è completamente diversa da quella del Bundestag e che può bloccare tutta l’iniziativa legislativa della Camera dei Deputati.

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Una bomba artigianale è stata disinnescata davanti ad una scuola di Ballymena, nell’Ulster. L’IRA, il movimento paramilitare fautore dell’unificazione tra Ulster e Repubblica d’Irlanda, aveva annunciato la fine della lotta armata lo scorso 29 luglio.

 

In Gran Bretagna, è stata smantellata una gigantesca rete di immigrazione clandestina: all’alba di oggi sono state arrestate dieci persone. I fermi sono scattati al termine di due anni di indagini. Secondo gli inquirenti, la rete avrebbe consentito l’entrata illegale di decine di migliaia di persone. I clandestini pagavano da 4.500 a 7.000 euro per passare attraverso i Balcani e entrare in Gran Bretagna a bordo di camion o auto.

 

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