RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
282 - Testo della trasmissione di domenica 9 ottobre 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
La Santa Sede chiede
il rispetto dei diritti di rifugiati e immigrati: con noi mons. Silvano Tomasi
OGGI IN PRIMO PIANO:
La Chiesa
colombiana al fianco degli indios “nasa”: intervista con padre Antonio Bonanomi
Dialogo su pace,
guerra e spiritualità: ai nostri microfoni Amos Oz e il priore di Bose Enzo
Bianchi
CHIESA E SOCIETA’:
Inaugurato ieri a Roma l’anno accademico della
Pontificia Università Gregoriana
Centroamerica devastato dall’uragano Stan. Forse 3000 i
morti in un solo villaggio del Guatemala
Si celebra oggi in Italia la Giornata nazionale della
persona con sindrome di Down
Elezioni presidenziali oggi in Polonia:
tutto si gioca all’interno del centro-destra
9
ottobre 2005
BENEDETTO XVI PLAUDE AL CARDINALE TEDESCO VON
GALEN, BEATIFICATO QUESTA MATTINA DURANTE UNA MESSA PRESIEDUTA NELLA BASILICA
VATICANA DAL CARDINALE SARAIVA MARTINS. VON GALEN – HA RICORDATO – E’ STATO UN
CORAGGIOSO
OPPOSITORE DEL NAZISMO. SEGNO CHE LA FEDE NON E’
UN SENTIMENTO PRIVATO,
DA NASCONDERE QUANDO E’ SCOMODA, MA IMPLICA UNA
TESTIMONIANZA PUBBLICA.
IL DOLORE DEL PAPA, ALL’ANGELUS, PER LE VITTIME
DEL TERREMOTO IN ASIA
E DELLE INONDAZIONI IN AMERICA CENTRALE
Alcune migliaia di pellegrini
giunti dalla Germania hanno partecipato questa mattina nella Basilica Vaticana
alla Beatificazione del cardinale
tedesco Clemens August von Galen, strenuo oppositore di Hitler durante il
nazismo. La Messa è stata presieduta dal cardinale José Saraiva Martins,
prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, alla presenza di numerosi
cardinali e vescovi tedeschi. Il Papa è giunto in Basilica al termine del rito
per salutare i fedeli. Successivamente, all’Angelus, Benedetto XVI ha
espresso il suo “profondo dolore” per le vittime del terremoto in Asia, in
particolare in Pakistan, dove sono morte forse 30 mila persone, e per quelle causate in America centrale
dalle inondazioni in seguito all’uragano “Stan”. Il servizio di Sergio
Centofanti:
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“It was with deep sadness that I
learned… “
Parlando all’Angelus in inglese
e poi in spagnolo il Papa ha espresso il suo
“profondo dolore” per le vittime del terremoto in Asia e delle
inondazioni in America centrale. Regioni tanto distanti accomunate da due
catastrofi naturali che hanno provocato così tante vittime e danni in Pakistan, India e Afghanistan e poi in El
Salvador, Guatemala, Hinduras e Nicaragua.
Il Papa ha affidato “all'amore misericordioso
di Dio” tutto coloro che sono morti
- e ha rivolto il suo piu' affettuoso pensiero ai feriti e
a quanti hanno perso i cari.
In particolare il Papa ha
pregato affinche' la comunita' internazionale possa rispondere con prontezza,
solidarietà e generosità a questi disastri,
e ha chiesto al Signore di dare
''forza e coraggio a tutti coloro che sono impegnati nelle operazioni di soccorso e ricostruzione''.
In precedenza Benedetto XVI
aveva parlato della Beatificazione del cardinale tedesco Clemens August von
Galen avvenuta questa mattina nella
Basilica di San Pietro, durante una Messa presieduta dal cardinale José Saraiva
Martins, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, alla presenza di
varie migliaia di pellegrini giunti dalla Germania. Von Galen, nato nel 1878 e vescovo di Münster dal 1933, è stato
intrepido oppositore del regime nazista. Benedetto XVI è giunto in Basilica
alla fine del rito per venerare le reliquie del Beato e per salutare e benedire
i fedeli. A braccio, in tedesco, ha detto:
“Siamo
tutti grati, soprattutto noi tedeschi, che Dio ci ha regalato questo grande
testimone della fede che ha innalzato in tempi bui la luce della Verità e che
ha mostrato il coraggio di resistere alla tirannia. Ci dobbiamo anche domandare
da dove gli veniva questo discernimento
in un periodo in cui persone intelligenti venivano accecate, da dove gli
veniva la forza di resistere in un momento in cui anche persone forti si
mostravano deboli e vigliacche. Questo discernimento e questo coraggio sono
venuti dalla fede che gli ha mostrato la Verità e gli aperto gli occhi e il
cuore e perché temeva Dio più degli uomini. Una fede che gli ha dato il coraggio di dire e fare ciò che gli altri
non osavano”.
Poi all’Angelus, in una Piazza
San Pietro piena di sole e affollata di pellegrini di tutto il mondo, ha
tracciato ancora un profilo del cardinale von Galen:
“In nome di Dio, denunciò l’ideologia neopagana del
nazionalsocialismo, difendendo la libertà della Chiesa e i diritti umani
gravemente violati, proteggendo gli ebrei e le persone più deboli, che il
regime considerava rifiuti da eliminare. Sono note le tre celebri prediche che
quell’intrepido Pastore pronunciò nel 1941. Il Papa Pio XII lo creò Cardinale
nel febbraio 1946 e, appena un mese dopo, egli morì, circondato dalla
venerazione dei fedeli, che riconobbero in lui un modello di coraggio
cristiano. Proprio questo è il messaggio sempre attuale del beato von Galen: la
fede non si riduce a sentimento privato, magari da nascondere quando diventa
scomoda, ma implica la coerenza e la testimonianza anche in ambito pubblico in
favore dell’uomo, della giustizia, della verità”.
Durante
l’omelia della Messa il cardinale Saraiva Martins aveva sottolineato che il
cardinale von Galen ha tratto dall’Eucaristia la forza per la sua testimonianza:
“In contrasto agli assordanti suoni della musica marziale e alle vuote frasi
degli altoparlanti provenienti dalle tribune oratorie – ha detto il porporato -
egli contrappose la venerazione della santa Eucaristia, la silenziosa
adorazione contemplativa del Signore fattosi pane. Dinanzi al Signore presente
sacramentalmente nel pane eucaristico, apparentemente indifeso e così poco
riconoscibile, egli trovò la forza e il nutrimento, che solo potevano riempire
in modo durevole il desiderio di vita degli uomini”.
E all’Eucaristia il Papa si è
riferito sempre all’Angelus parlando del Sinodo in corso in Vaticano e che
costituirà – ha detto - il suo
principale impegno in questi giorni. Benedetto XVI ha chiesto ai fedeli di
pregare per il Sinodo “affinché possa portare i frutti sperati”. In particolare
“in questo mese di ottobre, nel quale ogni comunità ecclesiale è chiamata a
rinnovare il proprio impegno missionario”,
ha invitato a vivere l’Eucaristia - secondo quanto affermava Giovanni Paolo II - come “principio e progetto di missione”:
“L’incontro con Cristo, continuamente approfondito nell’intimità
eucaristica, suscita nella Chiesa e in ciascun cristiano l’urgenza di
testimoniare e di evangelizzare”. Lo sottolinea il congedo alla fine della
Messa: “Ite, missa est”, che
richiama la “missio”, il
compito per chi ha partecipato alla celebrazione di portare a tutti la Buona
Notizia ricevuta e di animare con essa la società”.
Il Papa ha affidato questa
intenzione “all’intercessione di Maria Santissima e di san Daniele Comboni, che
domani verrà ricordato nella liturgia. Egli, che è stato insigne evangelizzatore
e protettore del continente africano – ha detto - aiuti la Chiesa del nostro tempo a rispondere con fede e con
coraggio al mandato del Signore Risorto, che la invia ad annunciare a tutti i
popoli l’amore di Dio”.
Quindi il
Papa si è rivolto agli insegnanti di religione cattolica provenienti da
tutta Italia, che hanno tenuto in questi giorni il loro primo incontro
nazionale:
“Cari amici, il vostro impegno nella scuola è un prezioso contributo
alla formazione delle nuove generazioni e alla loro maturazione nella
conoscenza della tradizione e della cultura cattolica, nella consapevolezza
delle responsabilità personali e nell’adesione ai valori della convivenza
civile”.
Infine Benedetto XVI ha
salutato i “Ragazzi per l’Unità”, del
Movimento dei Focolari, che oggi danno vita
a Roma e in molte città del mondo a una staffetta sportiva per l’unità e
la pace. “Cari ragazzi e ragazze – ha detto - rimanete sempre uniti a Gesù e
sarete costruttori di vera fraternità”.
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IERI POMERIGGIO LA COMMEMORAZIONE Del 40° ANNIVERSARIO
DELL’ISTITUZIONE DEL SINODO. DOMANI RIPRENDONO
LE CONGREGAZIONI
GENERALI.
DA GIOVEDI’ I CIRCOLI MINORI PER LA PREPARAZIONE
DELLE PROPOSTE DA CONSEGNARE AL PAPA
- Intervista con mons. Bruno Forte -
Dopo la
pausa odierna riprendono domani in Vaticano le Congregazioni Generali del Sinodo
sull’Eucaristia. Da giovedì inizieranno i Circoli minori per la preparazione
delle “proposizioni”, ovvero le proposte da presentare al Papa per la elaborazione
di un documento, che tradizionalmente viene chiamato “esortazione
post-sinodale”. Ieri pomeriggio invece si è svolta la commemorazione per i 40 anni dell’istituzione del Sinodo. Ce
ne parla Giovanni Peduto:
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Al
cardinale Jozef Tomko, che fu già segretario generale del Sinodo dei vescovi
dal 1979 al 1985, é toccato tenere il primo discorso celebrativo dei 40 anni
dalla istituzione del Sinodo dei vescovi, germogliata dal fertile terreno del
Concilio Vaticano II e grazie alla sensibile mente di Paolo VI che accolse
l'idea dei Padri conciliari di un Consiglio stabile dei vescovi che affiancasse
il Papa e la Curia Romana nel reggere la Chiesa universale. Nell'aprire
l'ultima sessione del Vaticano II il 15 settembre 1965 solennemente istituiva
il Sinodo dei vescovi con il motu proprio 'Apostolica sollicitudo'. Lo scopo
era di rafforzare con più stretti vincoli l'unione tra Papa e vescovi e
Giovanni Paolo II ne ha approfondito la teologia, consolidata l'autonomia, accresciuta
l'autorità e collegialità.
Attraverso
l'istituzione del Sinodo dei vescovi - ha detto il cardinale Tomko - il primato
valorizza l'episcopato e la collegialità, ma quasi di ritorno ne esce
valorizzata la stessa funzione primaziale, a beneficio dell'intero organismo
vivo della Chiesa. Il cardinale ungherese Péter Erdò, arcivescovo di
Eszergom-Budapest, ha poi messo a fuoco la natura giuridica del Sinodo dei
vescovi, cui il vigente Codice di diritto canonico dedica un intero capitolo.
Risulta prima di tutto che esso rende possibile che i grandi problemi della
vita della Chiesa e del mondo vengano affrontati in un ambiente dove tutti
hanno la possibilità di esprimere il proprio pensiero e di conoscere quello
degli altri. L'esperienza di 40 anni dimostra che il Sinodo è uno strumento
utile che ha reso grandi servizi al rafforzamento della comunione della Chiesa
e al miglioramento dell'esercizio del ministero pastorale, pur non
rappresentando giuridicamente l'intero Collegio dei vescovi.
Alla
commemorazione non si è voluto dare un tono trionfalistico, tuttavia non si è mancato
di risaltare i frutti delle assemblee sinodali speciali: Paesi Bassi,
Africa, Libano, America, Asia, Oceania ed Europa, con un breve intervento ciascuno.
Dall'Aula
del Sinodo, Giovanni Peduto, Radio Vaticana.
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Sta partecipando ai lavori
sinodali anche mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti e Vasto. Giovanni
Peduto gli ha chiesto una sua impressione su questa prima fase del Sinodo
sull’Eucaristia:
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R. – Una grande ricchezza di
esperienza e uno stile di collegialità, perché soprattutto l’inserimento delle interventiones
libere, come si dice, da parte di Papa Benedetto, ha consentito una grande
possibilità di confronto, di ascolto, di dialogo. Questo mi sembra molto
positivo ed è un segno della ricchezza della Chiesa cattolica.
D. – Possiamo già parlare di una ‘raccolta’ di temi che stanno più a
cuore dei Pa dri sinodali, più ricorrenti?
R. – Distinguerei tre ambiti principali. L’ambito
teologico: è venuto fuori il tema dell’ecclesiologia eucaristica, cioè di che
cosa significa il rapporto Chiesa-Eucaristia per la vita e la prassi concreta
della Chiesa, per esempio la sinodalità, la collegialità ... Poi, sono venuti i
temi teologici dell’Eucaristia-sacrificio, dell’eucaristia-convito, il rapporto
con la Trinità, e così via. Temi pastorali – secondo ambito –, come annunciare
la buona novella che è l’Eucaristia, il dono della presenza di Cristo, dunque,
l’incontro con l’amato; Eucaristia-bellezza di Dio, Eucaristia-vita cristiana,
Eucaristia e pastorale. Quale rapporto tra diritto all’Eucaristia e le esigenze
della rigorosità nel rispettare la teologia e le norme della Chiesa. Questo ci
porta al terzo ambito, l’ambito disciplinare, dove molte questioni sono state
poste proprio perché l’Eucaristia sia celebrata con verità, con sobrietà, nella
fedeltà alla Chiesa.
D. – L’intervento che l’ha
maggiormente colpita?
R. – Ma, proprio quello del Santo Padre all’inizio
dei lavori, la sua meditazione iniziale che è stata di straordinaria bellezza
perché ci ha richiamato i termini essenziali della questione di cui ci
occupiamo. Non stiamo parlando di qualcosa ma di qualcuno che ci è vicino, si
fa presente, ci viene incontro: l’Eucaristia è questo.
D. – Si sta parlando anche della
situazione dei divorziati risposati ...
R. – Il problema è molto avvertito, anche perché le
situazioni di sofferenza di persone credenti che si trovano, appunto, in questo
stato, noi tutti pastori le avvertiamo, le sentiamo. Ecco perché mi sembra
ovvio che se ne parli e si cerchi di capire in che modo aiutare le persone a
riscoprire, per esempio, il legame profondo con la Chiesa anche in queste
situazioni. Diversi hanno fatto riferimento alla comunione spirituale, cioè a
quella profonda unione che sa anche tendere con spirito di sacrificio quando
non è possibile avvicinarsi all’Eucaristia, partecipando però ugualmente alla
Messa in una profonda attitudine di amore verso il Signore presente.
D. – Cosa pensa lei, eccellenza, di un anno
dedicato al Sacramento della Penitenza?
R. – Sarebbe certamente utile e
positivo, probabilmente, ad una certa distanza, però, da questo
dell’Eucaristia, in modo da non accavallare, proprio per dare il tempo anche di
recepire i frutti di questo Anno eucaristico e di preparare quello sul
Sacramento della Riconciliazione.
D. – Cosa si può fare di più per
rimettere al centro della vita l’Eucaristia? I suoi suggerimenti unitamente
alla sua esperienza dell’Eucaristia?
R. – Io insisto molto sull’idea
che l’Eucaristia è il dono dell’amore di Dio, della sua presenza, della sua
bellezza. Io credo che sia giusto dire che è precetto la Messa festiva ma è
ancora più importante, probabilmente, far capire perché, e cioè fare innamorare
i fedeli dell’Eucaristia. Come mia esperienza, a parte la centralità dell’Eucaristia
quotidiana che, grazie a Dio, non è mai mancata in nessun giorno della mia vita
di presbitero e di vescovo, e dell’adorazione prolungata, quest’anno ho scritto
una lettera sull’Eucaristia e la bellezza di Dio, che ha avuto tanta diffusione
tra il mio popolo e che è servita proprio per cercare di far riscoprire la
bellezza di questo dono e innamorarci di Gesù, presente nell’Eucaristia.
Vangelo ed Eucaristia sono inseparabili come Eucaristia e Carità.
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LA SANTA
SEDE RICHIAMA LA NECESSITA’ DI GARANTIRE
IL RISPETTO
DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELLA PERSONA,
NEGLI OLTRE
200 CENTRI DI DENTENZIONE PER RIFUGIATI E IMMIGRATI,
-
Intervista con l’arcivescovo Silvano Tomasi -
Scende il numero dei rifugiati nel mondo, ma sale il numero
delle persone sotto la protezione dell’ACNUR, l’Alto Commissariato dell’ONU per
i rifugiati, che di recente ha lanciato - insieme al Programma Alimentare
Mondiale - un appello alla comunità internazionale: entro il 2005 servono 181
milioni di dollari per fare fronte alle crescenti necessità di assistenza delle
due agenzie. Come si spiega questa apparente contraddizione? Roberta Gisotti lo
ha chiesto all’arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa
Sede, presso le Nazioni Unite a Ginevra, dove in questi giorni si è riunito
l’organo esecutivo dell’ACNUR:
*********
R. - E’ emerso chiaramente che
le cause che spingono tanta gente a sradicarsi dal proprio posto di nascita o
di abitazione per cercare sopravvivenza altrove stanno crescendo: conflitti,
fame, o altri situazioni di carattere politico forzano la gente a partire.
Mentre il numero dei rifugiati - secondo la definizione della Convenzione del
1951 - è fortunatamente diminuito, il numero invece delle persone che sono di
responsabilità dell’ACNUR sta crescendo, purtroppo. Vediamo queste situazioni
disperate nei titoli dei mezzi di comunicazione quasi ogni giorno. Quindi la
preoccupazione di dare protezione a queste persone è una sfida nuova, che si
pone alla comunità internazionale in genere.
D. – Quali sono i problemi più urgenti nei campi profughi, spesso anche
al centro di contestazioni e polemiche da parte di organismi umanitari?
R. – La politica di molti Paesi
è quella di relegare in centri di detenzione le persone che cercano asilo,
perché si fa un po’ di confusione tra richiedenti asilo ed immigrati irregolari
e cioè persone che cercano di entrare in un Paese semplicemente perché vogliono
un lavoro, una situazione di vita migliore. Davanti a questo fatto, che tra il
Portogallo e l’Ucraina ci sono più di 200 di questi centri di detenzione, due
domande emergono: come mantenere il diritto di asilo per le persone che ne
hanno veramente bisogno e quindi evitare che si faccia una totale confusione
tra le varie tipologie di persone che cercano di entrare nel territorio di
Paesi più sviluppati? E la seconda, una volta che queste persone vengono messe
in questi centri di detenzione, come proteggere i loro diritti fondamentali,
fare in modo che abbiano cibo sufficiente, che abbiano il diritto di avere
visite e che vi sia accesso da parte di operatori pastorali, dei medici e così
via?
D. – Eccellenza, le varie politiche internazionali di sicurezza
antiterrorismo hanno forse ulteriormente aggravato la situazione dei rifugiati
o comunque di persone in certa di condizioni di vita migliori. Da parte della
Santa Sede, lei si è fatto portavoce di quali raccomandazioni particolari?
R. – Per trovare un nuovo
equilibrio forse dobbiamo partire da un concetto nuovo: la sicurezza non è
semplicemente protezione da conflitti armati, occorre anche vi siano elementi
addizionali che rendano la qualità di vita tollerabile. Partendo allora da una
definizione più ampia di sicurezza, in modo parallelo possiamo parlare di un
più ampio raggio di protezione di cui la comunità internazionale si deve
assumere la responsabilità, provvedendo anche che le persone abbiano il minimo
per sopravvivere.
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9
ottobre 2005
TERREMOTO IN ASIA.
Morte e distruzione in
pakistan: 30mila le vittime
-
Intervista con Veronica Semmier -
Si aggrava il bilancio delle
vittime del sisma di magnitudo 7,6 che ieri ha colpito Pakistan, India e
Afghanistan. Potrebbero arrivare a 30 mila i morti nella regione pakistana del
Kashmir, secondo una stima provvisoria del governo di Islamabad. In molte aree,
inoltre, sarà difficile arrivare per mesi. Per far fronte alla tragedia il
presidente pakistano, Musharraf, ha chiesto l'aiuto della comunità internazionale.
Sul versante indiano si contano, invece, oltre 500 morti. Il servizio di Maria
Grazia Coggiola:
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A oltre 24 ore dalla catastrofe
che ha colpito la regione himalayana, contesa da Pakistan e India, emerge
l’enorme entità dei danni. Le zone più devastate, dove ci sono interi villaggi
rasi al suolo, si trovano intorno a Mussafarabad, la capitale del Kashmir
pakistano, dove c’è stato l’epicentro del sisma di magnitudo 7,6. Metà della
popolazione della regione, quasi 2 milioni e mezzo di persone, sono rimaste
senza tetto. Ma a preoccupare sono quel 40 per cento di aree non ancora
raggiunte dai soccorsi, che vanno a rilento a causa delle strade di accesso,
bloccate da frane e crolli e da ieri sera anche dal maltempo. Il presidente Musharraf
ha rivolto un appello alla comunità internazionale chiedendo soprattutto
elicotteri per trasportare team di soccorso e il materiale nelle aree
terremotate. In alcune impervie vallate, al confine afghano, nella provincia di
frontiera del nord-ovest, nota per essere rifugio degli estremisti di Al Qaeda
e dei talebani non ci sarebbero neppure le vie di accesso ai villaggi. La
situazione è quindi ancora molto confusa, ma come è noto in questi casi le
prossime 72 ore saranno cruciali per salvare eventuali superstiti. Le Nazioni
Unite, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno stanziato una prima tranche di
aiuti. Il presidente Bush ha promesso 100 mila dollari. Un team di 60 medici
britannici è arrivato per primo a Islamabad stamattina per soccorrere decine di
persone che si troverebbero ancora sotto le macerie di due palazzi residenziali
del complesso Margalla Towers. Anche l’India, dove ci sarebbero oltre 500
vittime nello Stato di Jamuo e Kashmir, ha offerto di inviare aiuti e squadre
di soccorso.
Da
New Delhi, per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.
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Sul terremoto in Pakistan
ascoltiamo la testimonianza di Veronica Semmier, una Focolarina che vive a
Rwalpindi, una città vicina all’epicentro del sisma. L’intervista è di Sergio
Centofanti:
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R.- E’ stata forte, una scossa
molto forte. E credo che il numero delle vittime crescerà. Non si ha un quadro
preciso della situazione perché ci sono zone dove non si è potuto ancora
arrivare, dato che le strade sono bloccate, l’elettricità e i telefoni non
funzionano. Quindi, in questi giorni, si potranno avere maggiori notizie. Per
ora, non c’è niente di sicuro perché sono troppi i posti dove non si può arrivare
con i mezzi normali: ci si arriva solo in elicottero. Poi, dato che tutta la
notte ha piovuto molto forte, nelle strade, già bloccate, il terreno franato si
è trasformato con l’acqua in fango rendendo ancora più difficile raggiungere i
luoghi isolati.
D. – La zona del Kashmir è stata
quella più colpita: qual è la situazione nel Kashmir?
R. – La popolazione del Kashmir
è continuamente provata. E’ una tragedia sulla tragedia.
D. – C’è povertà nel Kashmir?
R. – Certo che c’è povertà. E la
povertà si trova dappertutto nel Paese. Ci sono pochi ricchi e tanti poveri.
Questi disastri colpiscono sempre i più poveri, che hanno le case meno sicure,
le prime a crollare. Però nella gente c’è tantissima generosità,dappertutto.
Tutti cercano di aiutare dove possono e come possono.
D. – Una nota positiva è stato
detto il riavvicinamento tra India e Pakistan per questa tragedia?
R. – Sì, senz’altro. In questi
casi c’è solo l’aiuto reciproco.
D. – Cosa chiedete?
R. – In questo momento una
preghiera. E’ la prima cosa. Cercheranno di inviare, senz’altro, tutti gli
aiuti necessari, ma prima di tutto adesso chiediamo la preghiera.
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LA CHIESA AL FIANCO DEGLI INDIOS NASA, PICCOLA ETNIA COLOMBIANA DELLE
ANDE,
MINACCIATA DALLO SCONTRO TRA GUERRIGLIA ED
ESERCITO
- Intervista con padre
Antonio Bonanomi -
In Colombia, gli scontri tra
esercito regolare e guerriglia non risparmiano le comunità indigene. Dalla
primavera scorsa, in particolare nella regione centromeridionale del Paese, è
in corso un’offensiva delle truppe governative che cercano di riconquistare
terreno. In mezzo ai contendenti, vive un popolo che ora teme per la propria
stessa sopravvivenza e per il quale la Chiesa si spende da anni in sua difesa.
Ascoltiamo in proposito il servizio di Lucas Dùran:
*********
I
Nasa sono una popolazione indigena
della Colombia. Il loro numero è compreso tra le 100 - 200 mila unità. Vivono
in un territorio corrispondente alla Cordigliera centrale delle Ande, nel sud
del Paese, una zona controllata dal oltre 40 anni dalle FARC, le Forze armate
rivoluzionarie della Colombia. Nell’aprile scorso, l’esercito regolare ha
sferrato un’offensiva, in parte riuscita, mirante a riprendere il controllo
dell’area. Il costo dell’operazione è un alto numero di vittime e non solo tra
i belligeranti. A fare le spese del conflitto pluridecennale sono proprio i Nasa, accusati dalla guerriglia di
collaborare con il governo solo per il fatto di non aderire all’azione violenta
propugnata dalle FARC. Il governo, a sua volta, li sospetta di sostenere la
guerriglia a causa della loro opposizione alla politica di Bogotà, che
difenderebbe i diritti degli indios solo sulla carta. A sensibilizzare opinione
pubblica e media italiani sulla drammatica situazione dei Nasa è in questi giorni nel nostro Paese, padre Antonio Bonanomi,
missionario della Consolata, da 28 anni in Colombia e da 18 con i Nasa:
“Il popolo indio, e specialmente
il popolo Nasa – che vuol dire
“essere vivente” – ha resistito, non si è mai lasciato vincere. Molte volte ha
dovuto piegare la testa, però non ha mai piegato il cuore di fronte né alla
conquista, né alla colonizzazione, né alle invasioni delle multinazionali. In
questi ultimi 30 anni, approfittando anche della nuova Costituzione politica
del Paese, ha rivendicato una autonomia, il diritto ad essere padrone del proprio
territorio, padre del suo destino e a decidere sul progetto di sviluppo che
vuole. Non un progetto di sviluppo capitalista, un progetto di sviluppo di
sfruttamento degli altri, ma un progetto di sviluppo che sia solidale, che sia
comunitario, che sia rispettoso anche delle risorse naturali, non sia a danno della
terra, perché l’indio considera la terra sua madre”.
La coscienza di una propria
identità da far rispettare è cresciuta nei Nasa
come in molte delle circa 80 comunità indigene colombiane anche grazie
all’azione di uomini come padre Bonanomi. In particolare, i Nasa propongono un modello di autonomia
basato su cinque capisaldi: famiglia, progetto economico ambientale,
educazione, salute, sistema politico organizzativo fondato sulla non violenza e
sul richiamo al messaggio evangelico.
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PACE, GUERRA, SPIRITUALITA’:
DIALOGO FRA LO SCRITTORE ISRAELIANO AMOS OZ
E PADRE ENZO BIANCHI, PRIORE DELLA COMUNITÀ DI
BOSE
C’è stata grande partecipazione
di pubblico nei giorni scorsi a Torino
per l’incontro sui temi del conflitto e della pace fra lo scrittore
israeliano Amos Oz e padre Enzo Bianchi, priore della Comunità monastica di
Bose, moderato dalla giornalista Miriam Mafai. Al Teatro Carignano di Torino,
nell’ambito della rassegna “Torino Spiritualità”, c’era per noi A.V.:
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Un ebreo e un cattolico si
interrogano sulle ragioni del fondamentalismo e sulle possibilità della
riconciliazione. Quali sono le radici del fanatismo? Amos Oz :
R. – I THINK IT BEGINS
WITH…
Credo cominci con l’ossessione di cambiare le altre
persone. Questo accade a volte all’interno delle famiglie, all’interno della
comunità e naturalmente fra le religioni e le ideologie. C’è sempre questa
ossessione di cambiare la persona che ci sta accanto per il suo bene.
D. – E ora Enzo Bianchi:
R. – Certamente sono origini che
stanno all’interno del cuore di ogni uomo, ma quando c’è intolleranza verso gli
altri, verso le posizioni ideologiche o addirittura di fede e religione, allora
si innesta un fondamentalismo il quale pretende poi, a volte, una lettura dei testi
della Bibbia che, certamente, non tiene conto di tutti gli elementi critici.
Altre volte è una mescolanza tra ideologia, nazionalismo e religione. Insomma,
ci sono tante possibilità. Altre volte è il pensare che Dio è un Dio con noi e
gli si dà un volto perverso come il Dio castigatore o il Dio che guida le
guerre o il Dio che combatte il nostro nemico. Tutta la storia e tutte le
vicende hanno conosciuto diverse forme che sono ancora presenti anche ai nostri
giorni.
D. - Qual è la via della pace,
della riconciliazione? Ancora Enzo Bianchi:
R. – Quella proposta tante
volte: quella dell’ascolto reciproco, della conoscenza reciproca, del dialogo,
di arrivare ad un confronto per percorrere insieme vie di pace e di giustizia.
Qualche volta è anche necessaria la riconciliazione e il perdono, perché le
storie sono così imbrattate di male che, se non si ha il coraggio della riconciliazione,
non è possibile progettare insieme la pace.
D. - Può essere Israele un esempio di questo
cammino e una speranza per il futuro? Amos Oz:
R. – WELL, I HOPE…
Spero che Israele e la Palestina
rappresentino un esempio. Ma questo non accadrà domani, ci vorrà del tempo,
come una lenta ripresa dopo una grave malattia. Credo che nel momento in cui
sei in grado di vedere te stesso nella stessa maniera in cui gli altri ti vedono,
allora non sei più un fanatico. Il momento in cui tu sei in grado di immaginare
gli altri, non essere sempre d’accordo con gli altri, non amare gli altri, ma
semplicemente sei in grado di immaginarli, diventerà più semplice risolvere il
conflitto. E se sei anche in grado di ridere di te stesso, allora ti trovi
sulla strada più veloce verso la riconciliazione.
D. - Che cosa teme, invece, per
il futuro Enzo Bianchi?
R. – Una mancanza di ascolto
reciproco, di conoscenza, il rischio di creare un nemico immaginario
all’orizzonte, il quale poi diventa davvero il male da combattere ed è quello
al quale, alla fin fine, come un idolo, sacrifichiamo la vita e il meglio della
nostra convivenza.
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9
ottobre 2005
INAUGURATO A ROMA L’ANNO ACCADEMICO 2005-2006 DELLA
PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA. FONDATA DA SANT’IGNAZIO DI LOYOLA COMPIE
QUEST’ANNO 455 ANNI.
IL RETTORE PADRE GIANFRANCO GHIRLANDA: DOCENTI E
STUDENTI A SERVIZIO DELLA MISSIONE DELLA CHIESA NELLA PROMOZIONE DEL SAPERE E
DEL DIALOGO FRA CULTURE
- A cura di Tiziana Campisi –
ROMA. = Solenne celebrazione
ieri pomeriggio a Roma, nella Chiesa di Sant’Ignazio, per l’inaugurazione
dell’anno accademico 2005-2006 della Pontificia Università Gregoriana, che
festeggia 455 anni. Voluta nel 1551 da Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, è
stata la prima scuola dei padri gesuiti e oggi, come università, vuole essere
al servizio delle Chiese d'ogni parte del mondo. La sua finalità è formare persone provenienti da
tutte le culture, perché sappiano trovare Dio là dove vivranno in futuro e,
secondo la propria vocazione, perché possano portare il mondo a Dio. Come Università, cerca l'eccellenza
nell'insegnamento, nella riflessione personale e nella ricerca. Conscia della
interrelazione delle scienze e della continua evoluzione del sapere, favorisce
l'interdisciplinarietà con metodo di ricerca. Coltiva oltre alle scienze
teologiche, canoniche e filosofiche, altre scienze umane per approfondire
sempre di più il Mistero di Dio che rivela se stesso e il suo disegno di
salvezza nella realtà dell'uomo, della storia e della Chiesa. Come università ecclesiastica
pontificia affronta con fedeltà al magistero della Chiesa, rigore scientifico e
decisione, le nuove sfide che provengono da un mondo sempre in cambiamento.
Collabora strettamente con il ministero petrino coltivando l'unità della fede
nel rispetto delle diverse culture. “In vaste parti del mondo,
anche quelle di tradizione cristiana, lo spirito nichilista invade la società –
ha detto il rettore padre Gianfranco Ghirlanda nella sua relazione accademica –
per cui i valori fondamentali che debbono presiedere ad una vita degna
dell’uomo sono deprezzati. Spesso, dove per reazione risorge un desiderio di
spiritualità, si cade in forme di religiosità emotiva ed irrazionale”. Di
fronte a tale realtà, ha osservato padre Ghirlanda, la Chiesa ha il compito di
condurre gli uomini verso l’amicizia con il Figlio di Dio. “È questa una
missione di cui tutte le componenti dell’università – ha proseguito il rettore
– i professori, col loro insegnamento e la loro ricerca, e gli studenti, con la
loro applicazione allo studio, si debbono sentire investiti. I programmi
accademici e le strutture amministrative dell’università sono volte a
quest’unico scopo, che è la ragione stessa per cui essa ha coscienza di
esistere”. Come
università affidata alla Compagnia di Gesù e quindi animata dallo spirito
ignaziano, la Gregoriana si caratterizza per la sua disponibilità al servizio
della Santa Sede. La sua pedagogia, fondata sulla relazione personale e
professionale tra docente e studente, insiste più nell'assimilazione del sapere
che nella molteplicità delle conoscenze. Tra i suoi obiettivi quello di
trasmettere, con fedeltà creativa, il senso sociale della fede che opera pace,
verità e giustizia; il dialogo con il mondo della cultura e della scienza;
l'incontro con le altre confessioni cristiane e le altre religioni; il valore e
la dignità di ogni persona e del creato. Come università al servizio di tutte le chiese del
mondo prende a cuore la necessaria incarnazione del messaggio evangelico, anima
ed incoraggia tutti i membri della comunità universitaria perché, attenti e
fedeli al magistero della Chiesa e alle circostanze particolari delle Chiese
locali, s'impegnino a vivere la solidarietà di figli al cospetto dell'unico
Padre. L’università gregoriana comprende sei facoltà: Teologia, Diritto
Canonico, Filosofia, Missiologia, Scienze Sociali e Storia e Beni culturali
della Chiesa, approvata dalla Santa Sede il 28 aprile di quest’anno. Da giugno
ha attivato corsi di insegnamento a distanza della lingua italiana fruibili
on-line e per sostenere gli studenti ha incrementato il fondo delle borse di
studio. (T.C.)
CENTROAMERICA DEVASTATO
DALLA TEMPESTA TROPICALE STAN: FORSE TREMILA I
MORTI IN UN SOLO VILLAGGIO DEL GUATEMALA PER UNA FRANA. MIGLIAIA GLI SFOLLATI
E I SENZATETTO. DIFFICILE, A CAUSA DI
INONDAZIONI E SMOTTAMENTI,
- A cura di Rosa
Praticò -
CITTA’ EL GUATEMALA.= Morte,
fango e macerie. È questo il volto del centroamerica dopo il passaggio della
tempesta tropicale Stan. Ieri in Guatemala un intero villaggio è stato
inghiottito da una frana provocata dalle piogge torrenziali: potrebbero essere
tremila i morti sotto la montagna di
fango spessa 12 metri. Ma si tratta di un bilancio ancora provvisorio
a cui vanno aggiunte anche circa 500
vittime registrate nel resto del Paese. “Il numero totale è ancora una
triste incognita” ha commentato il presidente del Guatemala Oscar Berger che
sta visitando i centri più colpiti della regione. I dispersi, infatti, sono centinaia e decine di località
dell’ovest e del sud ovest sono rimaste isolate perché inondazioni e
smottamenti hanno distrutto le strade.
Grave anche la situazione nel Salvador, dove Stan ha provocato danni
all’agricoltura per oltre 10 miliardi di dollari. A complicare il tutto,
l’eruzione di un vulcano e ieri una forte scossa di terremoto. Nel sud
del Messico, invece, almeno un milione di persone ha subito danni. Sono
soprattutto poveri, quelli che vivono in case fatiscenti vicino ai fiumi o sui
pendii delle montagne. Come gli abitanti dei 400 villaggi del Chiapas non
ancora raggiunti dai soccorritori. 300 mila persone sono senza tetto e oltre 30
mila evacuate e trasferite in centinaia di alberghi. Sono sopravvissuti ma per
loro ora c’è il rischio epidemie. Intanto si moltiplicano gli appelli delle
autorità locali alla comunità internazionale. Ieri la notizia secondo cui per
la ricostruzione la Banca interamericana di sviluppo e la Banca Mondiale
potrebbero concedere un prestito rispettivamente di 20 e 10
milioni di dollari.
OGGI NELLA CITTA’
ITALIANA DI POSSAGNO L’ULTIMO SALUTO A
MONS. ETTORE CUNIAL,
VICE CAMERLENGO EMERITO DI SANTA ROMANA CHIESA.
ROMA.= Avrebbe compiuto
cento anni il prossimo 16 novembre ma mons. Cunial si è spento lo scorso
giovedì sera. Oggi alle 15.30 il vescovo di Treviso, Andrea Bruno Mazzolato, ne
celebrerà i funerali nella cittadina italiana di Possagno, in provincia di
Treviso. Proprio Possagno, infatti, ha dato i natali all’arcivescovo che venne
inviato a Roma dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1929. Rettore del Seminario minore, per 17 anni è stato
parroco a Santa Lucia. Nel 1953 Papa Pio XII lo ha nominato vicegerente
della diocesi di Roma. Un compito, questo, che mons. Cunial ha rivestito per
venti anni. Poi, l’incarico di vice Camerlengo di Santa Romana Chiesa, Canonico
Vaticano e Assistente Ecclesiastico del Circolo di S. Pietro. (R.P.)
IN PIAZZA PER LA
GIORNATA NAZIONALE DELLA PERSONA CON SINDROME DI DOWN. OBIETTIVO: PIU’
RISPETTO, PIU’ SOSTEGNO, PIU’ OPPORTUNITA’
ROMA. = Hanno un nome e un cognome. Amano, soffrono, ridono, piangono. In
una parola sono delle persone. Eppure spesso vengono definiti per quello che
non hanno. Sono chiamati ciechi, sordi, disabili, handicappati. E sono
circondati da stereotipi e pregiudizi. Per questo oggi in Italia si celebra la Giornata
nazionale della persona con sindrome di Down. Nelle piazze di 80 città italiane
le associazioni riunite in CoorDown organizzeranno incontri e attività
ricreative per far conoscere la malattia e sensibilizzare le istituzioni
a garantire più sostegno, rispetto e opportunità alle persone con SD. Si mobiliteranno, insomma, per far capire
che avere un cromosoma in più (47 invece di 46) ritarda lo sviluppo mentale, fisico
e motorio ma non pregiudica la possibilità di raggiungere l’autonomia
necessaria ad avere una buona qualità della vita. Non la pregiudica purché le
persone affette da questa sindrome abbiano a disposizione servizi competenti e opportunità di inserimento
sociale. Oggi, si potranno sostenere le attività di CoorDown acquistando dagli
stand in piazza, al prezzo di cinque euro, un “messaggio di cioccolato”: un
prodotto artigianale realizzato con il cacao del commercio ecquo e solidale. (R.P.)
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9
ottobre 2005
- A cura
di Eugenio Bonanata -
● In Polonia, fino alle 20
di questa sera, 30 milioni di cittadini si recheranno alle urne per eleggere il
capo dello Stato. I candidati in lizza sono nominalmente 12 ma, secondo i
sondaggi, tutto si risolverà in un testa a testa fra il leader liberale di
Piattaforma Civica (Po), Donald Tusk, e il conservatore Lech Kaczynski, leader
di Giustizia e Diritto (Pis). Se nessuno otterrà la metà più uno dei voti si
andrà al ballottaggio, fissato per il 23 ottobre prossimo. Il nostro servizio:
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A due settimane dal voto che ha
riconsegnato il Paese alla destra, gli elettori sono chiamati a scegliere il
successore, Aleksandr Kwasniewski, il presidente uscente che sebbene molto
popolare, non può presentarsi per un terzo mandato. Si profila un duello tutto
interno al centro-destra. Gli ultimi sondaggi danno il leader di Piattaforma
Civica, Tusk, in leggero vantaggio, tuttavia, sembra che nessuno dei due
otterrà la maggioranza al primo turno. Con tutta probabilità si andrà al
ballottaggio. A favore di Tusk gioca il fatto che una parte dei polacchi è
spaventata dalla eventualità di affidare tutto il potere del Paese nelle mani
di un partito, Giustizia e Diritto, e di due gemelli, mentre a favore di
Kaczynski gioca il suo impegno negli ultimi tre anni da sindaco di
Varsavia. La sinistra è fuori gioco
dopo che il proprio candidato, Cimoszewicz, coinvolto da uno scandalo
finanziario, si è fatto da parte. Per l’esito sarà dunque determinante il voto
dell’elettorato di sinistra. E In questo terreno il gemello Kaczynski sembra
svantaggiato viste anche le sue posizioni, ad esempio, sulla permanenza
dell’esercito in Iraq e sul ripristino della pena di morte. Tuttavia molto,
anche in questa occasione, dipenderà dal tasso di affluenza alle urne, che già
alle politiche ha toccato il minimo storico, sfiorando il 40%. La Commissione
Elettorale prevede di diffondere i primi dati parziali intorno alle 23.00, per
quelli definitivi, invece, bisogna attendere lunedì.
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● In Indonesia un bambino
di quattro anni è risultato positivo alle analisi sull'influenza dei polli. Lo ha riferito il ministro della
Sanità indonesiano, specificando che se confermato, questo caso sarebbe il
sesto nel Paese. Intanto, cresce l’allarme anche Europa. In Romania, nel
Delta del Danubio, ieri stata accertata la morte di altri tre volatili per il
virus dell’influenza aviaria, dopo i tre casi documentati venerdì scorso. Ed è
allarme anche in Turchia dove circa duemila tacchini sono morti per sospetta
influenza aviaria, nel nord ovest del Paese.
● Il ministro della salute
italiano, Storace, intende chiedere una convocazione dei colleghi dell'Unione
Europea per un confronto sulle misure da assumere contro l'influenza aviaria.
“In questo momento - ha spiegato il ministro - qualunque notizia fa pensare all'influenza
aviaria e non dobbiamo sottovalutare la situazione”. La convocazione dei ministri
dell’Unione Europea “servirà per affrontare a livello politico la questione
perchè – ha precisato ancora il ministro – è bene ci sia una rapida verifica
sulle misure da affrontare”.
● A Bassora, nell’Iraq
meridionale, un bambino è morto ed altre tre persone sono rimaste ferite quando
un'autobomba e' esplosa vicino ad una
sede di una milizia sciita Secondo fonti della polizia, l'esplosione ha
lasciato un grosso cratere ed ha danneggiato l'edificio che ospita membri del
movimento Badr, legato ad uno dei partiti sciiti che sostiene il governo di
Baghdad. I sunniti hanno spesso accusato il movimento Badr di avere formato
squadre, con il beneplacito del governo, per attaccare i sunniti. Un'accusa respinta
sia dal movimento che dal governo.
In Medio Oriente, dopo due
settimane di chiusura, è stato riaperto il valico commerciale di Karni fra Gaza
e il territorio israeliano. Il
provvedimento è giunto mentre dirigenti israeliani e palestinesi sono impegnati
anche oggi a preparare il vertice fra il premier, Sharon, e il presidente
palestinese, Abu Mazen. Nell’odierna seduta del consiglio dei ministri
israeliani, Sharon ha ordinato al ministro della difesa, Mofaz, di fare il massimo
per consentire ai palestinesi che lo desiderano di recarsi in pellegrinaggio
alla Mecca. Sharon ha ordinato in particolare che ai fedeli islamici non siano
opposti intralci ai valichi di transito. In Cisgiordania, intanto, un militante
delle 'Brigate Martiti di Al Aqsa”, è rimasto ucciso in una sparatoria con militari israeliani.
L'inviato americano per il Medio
Oriente David ha detto oggi che gli Stati Uniti sono preoccupati per le
ingerenze della Siria in Iraq, in Libano e nel conflitto israelo-palestinese,
ma Damasco ignora i richiami e non cambia atteggiamento. Lo ha affermato
l’inviato americano per il Medio Oriente, Welch, dopo l'incontro con il
presidente egiziano Mubarak. Gli Stati Uniti accusano la Siria di interferire
negli affari interni del Libano, anche dopo il ritiro delle sue truppe, e
minacciano Damasco di isolameno se non coopera sulla sicurezza con il governo
di Baghdad. Inoltre Washington accusa la Siria, che rinvendica dei territori
occupati da Israele, di aiutare i militanti palestinesi.
Il nucleo antiterrorismo della
polizia britannica ha arrestato ieri 10 persone nel corso di un'operazione
effettuata in tre diverse zone della periferia di Londra e in due altre città
del Paese. Lo ha riferito un portavoce di Scotland Yard precisando
che l’operazione, pur essendo legata ad un'inchiesta su presunte attività
terroristiche, non ha alcuna relazione con gli attentati del 7 luglio scorso a
Londra.