RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
331 - Testo della trasmissione di domenica 27 novembre 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Si
apre oggi a Barcellona il vertice Euromed
Denuncia
ONU: il conflitto in Uganda è una guerra dimenticata dalla comunità internazionale
Per
la prima volta dal 1990 in America Latina non aumenta la povertà
Movimenti di truppe al confine tra Etiopia ed Eritrea
fanno crescere la tensione
A Roma il Convegno nazionale dei delegati per
l’ecumenismo e il dialogo interreligioso
Elezioni parlamentari in
Cecenia: esclusi dalla consultazione i candidati indipendentisti
Urne aperte in Honduras
per vincere povertà e violenza diffusa
27
novembre 2005
NELL’AVVENTO I CRISTIANI RISVEGLINO LA SPERANZA DI
RINNOVARE IL MONDO.
COSI’ IL PAPA OGGI ALL’ANGELUS IN QUESTA PRIMA
DOMENICA D’AVVENTO
L’Avvento è il tempo in cui occorre che i cristiani
risveglino nel loro cuore la speranza di rinnovare il mondo. E’ quanto ha detto
Benedetto XVI oggi all’Angelus in Piazza San Pietro in questa prima Domenica di
Avvento che segna l’inizio del nuovo Anno liturgico. Il Papa ha sottolineato
che l’attesa di una terra nuova non deve indebolire ma stimolare l’impegno
nella terra presente. Numerosi i pellegrini in Piazza San Pietro nonostante la
giornata piovosa. Il servizio di Sergio Centofanti.
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L’Avvento – ha detto il Papa - è “un tempo di grande
suggestione religiosa, perché intriso di speranza e di attesa spirituale”:
“Ogni
volta che la Comunità cristiana si prepara a fare memoria della nascita del
Redentore, avverte in se stessa un fremito di gioia, che si comunica in certa
misura all’intera società. In Avvento il popolo cristiano rivive un duplice
movimento dello spirito: da una parte, alza lo sguardo verso la meta finale del
suo pellegrinare nella storia, che è il ritorno glorioso del Signore Gesù;
dall’altra, ricordandone con emozione la nascita a Betlemme, si china dinanzi
al Presepe”.
“La speranza dei cristiani – ha affermato il Pontefice - è
rivolta al futuro, ma resta sempre ben radicata in un evento del passato”.
Infatti “nella pienezza dei tempi il Figlio di Dio è nato dalla Vergine Maria”.
E il Vangelo odierno è un invito per tutti “a restare vigilanti nell’attesa
dell’ultima venuta di Cristo”:
“ Vegliate!, dice Gesù, poiché non sapete quando il padrone di casa
ritornerà. La breve parabola del padrone partito per un viaggio e dei servi incaricati
di farne le veci pone in evidenza quanto sia importante essere pronti ad
accogliere il Signore quando, all’improvviso, arriverà. La Comunità cristiana
aspetta con ansia la sua ‘manifestazione’, e l’apostolo Paolo, scrivendo ai
Corinzi, li esorta a confidare nella fedeltà di Dio e a vivere in modo da
essere trovati ‘irreprensibili’ nel giorno del Signore.
Di
qui l’invito di Benedetto XVI ai cristiani: potremmo dire che l’Avvento è il
tempo in cui occorre che i cristiani risveglino nel loro cuore la speranza di
potere, con l’aiuto di Dio, rinnovare il mondo”.
A questo proposito il
Papa ha ricordato nuovamente la
Costituzione conciliare Gaudium et
spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo: “è un testo profondamente
pervaso di speranza cristiana” – ha detto il Pontefice, citando un passo del
documento sull’attesa di una terra nuova
e di un cielo nuovo:
“ ‘Sappiamo dalla rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e
una terra nuova, in cui abita la giustizia… Tuttavia l’attesa di una terra
nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel
lavoro relativo alla terra presente’. I buoni frutti della nostra operosità li
ritroveremo, infatti, quando il Cristo consegnerà al Padre il suo regno eterno
e universale. Maria Santissima, Vergine dell’Avvento, ci ottenga di vivere
questo tempo di grazia vigilanti e operosi nell’attesa del Signore”.
Quindi il Papa nei saluti ai
pellegrini nelle varie lingue ha auspicato che l’Avvento sia “un tempo di
sincera conversione e interiore rinnovamento per tutti i cristiani” e
“un’occasione privilegiata di ritrovare la preghiera in famiglia, per condurre
i giovani verso il Signore”.
Infine indicando come ormai sia
iniziato l’allestimento del tradizionale presepe in Piazza San Pietro ha
augurato a tutti “un buon cammino di Avvento”.
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APRIRSI ALLA VOCE DI
DIO CHE VUOLE ENTRARE NEL TEMPO E NEL CUORE DELL’UOMO: QUESTA LA SPIRITUALITÁ
CON LA QUALE DEVE ESSERE VISSUTO L’AVVENTO. LO HA
RACCOMANDATO AI FEDELI IERI POMERIGGIO BENEDETTO
XVI CHE HA PRESIEDUTO
NELLA BASILICA VATICANA I PRIMI VESPRI DELLA PRIMA
DOMENICA D’AVVENTO
Vigilanza nella preghiera,
esultanza nella lode. Questi atteggiamenti spirituali devono caratterizzare
l’attesa del Natale. E’ quanto ha raccomandato ai fedeli ieri pomeriggio Benedetto
XVI che nella <basilica di San Pietro ha presieduto i Primi Vespri della
prima Domenica d’Avvento. Il servizio di Tiziana Campisi.
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(Canto d’ingresso)
E’ tempo per la Chiesa di rileggere
le profezie e gli oracoli messianici, di meditare il mistero dell’Incarnazione.
Tempo di attesa e di speranza l’Avvento, che avvia i cristiani in un nuovo anno
liturgico e che invita a cantare Marán Athá, vieni Signore Gesù. E nella sua
omelia per i Primi Vespri della prima domenica d’Avvento Benedetto XVI ha
voluto spiegare a braccio, con un’intensa catechesi biblica, come deve essere
vissuta, sull’esempio di Maria, l’attesa di Cristo:
“In un certo senso il Signore,
sempre, desidera venire tramite noi e bussa alla porta dei nostri cuori: sei
disponibile a darmi la tua carne, la tua vita il tuo tempo? Questa è la spiritualità
dell’Avvento: aprirci a questa voce del Signore che vuole entrare anche nel nostro
tempo, entrare tramite noi, e che cerca adesso una dimora vivente, la nostra
vita personale”
Quindi il Papa ha aggiunto:
“Essere pronti, disponibili,
aperti per la venuta del Signore perché possa venire anche tramite noi, questo
vogliamo di nuovo imparare del tempo dell’Avvento”.
E così il Pontefice ha poi
riassunto il senso della venuta di Cristo sulla terra:
“Dio ci chiama alla comunione con sé, che si realizzerà pienamente al
ritorno di Cristo, e Lui stesso si impegna a far sì che giungiamo preparati a
questo incontro finale e decisivo. Siamo chiamati a misurarci con Lui per
essere trovati in Lui al momento del suo ritorno”.
(Canto del salmo 141)
Chiesa che canta il suo cammino,
quella, che in questa celebrazione, salmeggia a Dio invocandone l’aiuto e la
forza, perché in mezzo alle persecuzioni del mondo e con le consolazioni del
Signore, possa proseguire il suo pellegrinaggio terreno, fiduciosa di ereditare,
un giorno, la promessa del Creatore. Una Chiesa che intonando il Magnificat
guarda Maria, colei che per prima ha atteso ed accolto con ineffabile amore il
Figlio di Dio, come modello per prepararsi ad andare incontro al Salvatore che
viene.
(Magnificat)
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27
novembre 2005
DAL
SUMMIT DEI NOBEL A ROMA L’APPELLO CONTRO LA TORTURA
-
Intervista con Lech Walesa e Walter Veltroni -
Condanna
della tortura, sviluppo sostenibile, lotta all’AIDS, sono le priorità indicate
dai Premi Nobel per la Pace nel documento finale del summit conclusosi ieri a
Roma. Tema principale di questa VI Conferenza internazionale, promossa dalla
Fondazione Gorbaciov e dal sindaco Walter Veltroni, le emergenze del continente
africano. Il servizio è di Stefano Leszczynski.
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Una precisa condanna
della tortura che non è giustificabile in nessuna
circostanza, in quanto disumanizza sia chi la mette in pratica sia chi la
subisce. I premi Nobel per la pace a conclusione del loro VI incontro
internazionale puntano il dito contro una delle pratiche inumane e degradanti
più diffuse nel mondo, in particolare in questo periodo di gravi crisi
internazionali. Me è l’Africa il tema cruciale di questo summit 2005 dedicato
soprattutto alle azioni necessarie a contrastare le emergenze del Continente.
Cancellazione del debito, quindi, aumento degli aiuti, e riforma immediata
delle politiche e delle pratiche ineguali,
particolarmente i sussidi agricoli che danneggiano l’Africa e tutto il mondo in
via di sviluppo. Un appello rivolto in particolare all’UE cui viene chiesto nel
documento finale di interrompere immediatamente lo stallo nelle “negoziazioni
per il commercio agricolo". Le due aree dove sia le stesse nazioni
africane che la comunità internazionale dovrebbero incanalare i fondi sono
l’istruzione e la salute. Il Nobel Lech Walesa, ex presidente della Repubblica
polacca:
“Ovviamente l’accesso alle
medicine e alle cure contro l’AIDS non è sufficiente. Qualcuno ha anche detto
che l’Europa e i Paesi sviluppati dovrebbero vergognarsi per questa situazione,
io invece dico che sarebbe meglio se l’Europa cercasse di elaborare progetti
strutturati e lungimiranti per combattere questo flagello”.
Espressa la propria soddisfazione perché il continente africano è diventato
una zona senza armi nucleari, il documento dei Nobel ribadisce la convinzione
che "non esista alcuna alternativa allo sviluppo sostenibile”. Il sindaco
di Roma Walter Veltroni:
“Bisogna ridistribuire la ricchezza, ma questa è garanzia della sicurezza
di questa parte del mondo, dove per altro si stanno accentuando le divisioni
anche qui tra chi ha e chi non ha. Quindi lo sforzo che si doveva con il G8 e
poi con tutte le altre occasioni e poi con quella che si sarà fra qualche giorno,
ad Hong Kong, con il WTO è proprio
quella di trovare le vie per riequilibrare questo squilibrio pericolosissimo
per tutti”.
Il documento si conclude con un appello al
governo di Myanmar al fine di reintrodurre 'totalmente, immediatamente e senza
riserve i diritti civili, umani e politici' di Aung San Suu Kyi - anch'essa
premio Nobel ma impossibilitata a muoversi dal suo Paese.
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PRIMATO NEGATIVO PER L’EUROPA, MASSIMA PRODUTTRICE
DI DROGHE SINTETICHE.
NEL MONDO, PRODOTTE NEL 2005 QUASI 700 TONNELLATE
DI COCAINA.
SEMPRE PIU’ GRAVE E PRECOCE TRA I GIOVANI L’USO DI
ECSTASY E PASTICCHE
- Ai nostri microfoni Sebastiano Vitali, Nicolò
Pisanu e Gianluigi Gessa -
9 milioni di europei, ovvero il 3% di tutta la popolazione adulta, hanno provato la cocaina almeno una volta nella vita. Lo denuncia la Relazione annuale 2005 dell'Agenzia europea per le droghe. Secondo il documento, presentato nei giorni scorsi, traffico e consumo di “polvere bianca” sono in costante aumento: dopo Regno Unito e Spagna, l'Italia è il Paese in cui si registra il maggior utilizzo, in crescita anche l’ecstasy assunta sopratutto tra i giovanissimi. Sul fronte della lotta al narcotraffico l’Italia, secondo l’ONU, è al quinto posto: sequestrati nel 2005 oltre 3400 kg di cocaina e più di 270 mila dosi di droghe sintetiche.
Il servizio di Massimiliano Menichetti
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(musica)
Cocaina, ecstasy, tramutate in
strisce e pasticche: in una parola, droghe. Secondo le statistiche, il 5 per
cento dei ragazzi tra i 15 e i 19 anni ha provato la “polvere bianca”’. In
incremento esponenziale anche le droghe da discoteca che i giovanissimi cercano
per lo “sballo” del sabato sera o del pomeriggio: l’ecstasy liquida o in pasticche.
Sebastiano Vitali, direttore del Servizio operazioni per la Direzione centrale
dei Servizi antidroga:
“In questi ultimi anni, ma
soprattutto in questo ultimo anno, c’è stato un aumento esponenziale del
sequestro di droghe sintetiche. Questo perché è una droga facile da produrre,
facile da occultare, facile da trasportare e facile da smerciare. Fino al 30
settembre di quest’anno, sono state sequestrate circa 277 mila dosi”.
L’Europa è la più grande
produttrice di droghe sintetiche, Olanda e Belgio i Paesi leader, seguiti da
Polonia, Bulgaria, Inghilterra. Le pasticche si ottengono con semplicità anche
all’interno di un appartamento, senza bisogno di particolari competenze e
sofisticati macchinari. Basta comprare le polveri giuste. Per la cocaina, le
cose cambiano, e ai singoli produttori si sostituisce una complessa rete.
Ancora Vitali:
“Per quanto riguarda la cocaina,
si incrociano varie organizzazioni criminali ma prima di tutto la ‘ndrangheta calabrese,
che è leader mondiale. C’è la fase del trasporto - che può essere curata dai
colombiani, dai venezuelani, dai brasiliani - e c’è la distribuzione al minuto
fatta da romeni, nigeriani …”.
Secondo le stime, nel mondo,
quest’anno sono state prodotte 687 tonnellate di cocaina: 3.434 kg sono stati
sequestrati in Italia dalle forze dell’ordine. Ogni grammo costa dai 40 ai 100
euro e ci si possono ricavare anche quattro dosi singole.
Tutti contro la droga. Eppure,
il primo contatto avviene sempre più precocemente, fino a toccare i limiti di
13 anni per il primo sballo, per non parlare delle droghe come la marijuana,
spesso considerate “sigarette pesanti”, fumate per la prima volta anche a 11
anni. Ma perché i ragazzi cercano ecstasy e ora anche cocaina? E cosa
bisognerebbe fare? Nicolò Pisanu, direttore dell’Istituto “Progetto Uomo” della
Federazione italiana comunità terapeutiche:
“Una volta, la grande
trasgressione era fumare di nascosto dai genitori, adesso è la droga: sostanze
che si prestano a superare quelle ansie esistenziali o di rapporto che
l’adolescente o pre-adolescente sente di soffrire. Per quanto riguarda la
cocaina, è la droga che aiuta a sentirsi meglio in una società in cui i ritmi sono
sfrenati, in cui c’è un vuoto esistenziale da riempire. Il genitore deve
intanto riprendere la sua figura genitoriale, invece di essere genitore con
ruoli che non sa definire, incapace di dialogo e incapace di norme. Anche
l’adulto, dovrebbe essere lui il primo a mettersi in discussione. Bisogna
ridefinire lo stile di vita della società, in chiave non consumistica, perché
il consumismo è collusivo della dipendenza”.
Ma i ragazzi, che percezione
hanno del problema? E quanto è facile trovare le pasticche?
R. – E’ abbastanza diffuso,
diciamo al 30 per cento, nella scuola.
R. – Un modo per estraniarsi
dalla realtà …
R. – Se uno esce la sera, va in
un locale, non è difficile trovarle …
R. – Secondo me, basta che non
sia una cosa quotidiana, di tutti i giorni …
R. – Ti direi che non voglio
rispondere, ma siccome non me ne frega niente, te lo dico: sì, le ho usate!
R. – Comunque, il sabato sera
esci, ti butti in discoteca, ogni droga ha il suo prezzo, dipende dall’uso che
ne fai, dipende dalle tue possibilità …
R. – Dai 5 ai 10 euro, a seconda
del tipo. Diciamo che è più facile assumere una pasticca che farsi una striscia
di cocaina.
L’ecstasy
viene spesso assunta con l’alcol: aumenta il piacere di stare con gli altri,
abbatte le inibizioni. La cocaina da l’illusione di essere più forti, vince lo
stress. Tutte e due possono portare alla morte: per esempio, per aritmie cardiache.
Entrambe agiscono sul cervello, innescando patologie come la paranoia.
Gianluigi Gessa, direttore dell’Istituto di farmacologia all’Università di
Cagliari:
“L’ecstasy produce dei danni nel
cervello; neuroni che controllano il sonno, il sesso, la fame, la sazietà e il
tono dell’umore. Ecco, uno che prende cocaina si sente forte e diventa anche
cattivo con gli altri. A differenza dell’ecstasy, non produce lesioni nel
cervello, ma delle alterazioni. Per lui, la cocaina è l’oggetto del desiderio.
L’individuo è schiavo”.
Eppure,
molti continuano a sostenere che ecstasy e cocaina sono droghe che non danno
dipendenza. Ancora Gessa:
“Molti sono convinti –
falsamente – di non avere la dipendenza e dicono con assoluta certezza: ‘Io
posso smettere quando voglio’. Ma questo ‘quando voglio’ non viene mai”.
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IN UN LIBRO LA VITA QUOTIDIANA DEI MONACI
DELLA CERTOSA DI SERRA SAN BRUNO
- Intervista con Enzo Romeo e padre François
Lethel -
“I solitari di Dio. Separati da tutto, uniti a tutti”. E’
il titolo del libro del giornalista Rai Enzo Romeo tratto da un documentario
girato durante un soggiorno durante 15 giorni, in cui Romeo e la sua troupe
hanno vissuto insieme ai monaci della Certosa di Serra San Bruno in Calabria.
Quello che ne viene fuori è un ritratto molto umano di queste persone che hanno
deciso di abbandonare tutto ciò che possedevano per dedicarsi in solitudine, completamente
a Dio. Il servizio di Marina Tomarro.
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Un viaggio breve ma intenso e suggestivo nel mondo di chi ha deciso di
abbandonare tutto e dedicarsi solo alla preghiera e a Dio. E’ il libro di Enzo
Romeo “I solitari di Dio “, dove viene raccontata la vita quotidiana dei monaci
della Certosa di Serra San Bruno in Calabria. Ascoltiamo l’autore:
R. – Nasce sostanzialmente dalla volontà dei monaci
Certosini di far conoscere la loro esperienza alle tante persone che si
rivolgono loro, che bussano alla loro porta e che non possono essere accolte
perché questa scelta di clausura, così profonda, così forte impedisce il
contatto diretto con le persone.
D. – Tu hai vissuto 15 giorni in questa Certosa, ma
chi sono questi monaci Certosini?
R. – Persone molto diverse fra loro. Vengono da
esperienze ognuna differente dall’altra. C’è l’intelletuale, l’ex
professionista, l’ex contadino, l’ex calciatore, Quindi sono molto diversi
anche come nazionalità, provengono da tutto il mondo, ma sono uniti da quello
che San Bruno chiamava l’unico necessario, e c’è quindi questo cemento forte
che li unisce nel volersi dare totalmente a Dio in questa ricerca profonda di
Lui convinti che se si trova Dio, si è capaci poi di essere accanto a tutti,
accanto ad ogni uomo.
Padre François
Lethel docente di teologia dei monaci Certosini:
R. – Credo che siano veramente
uniti con tutto il mondo. Penso sempre alla preghiera come una corrente
positiva, una corrente di amore e questi contemplativi proprio con il loro
contatto con il Signore, in questa intensa vita di preghiera trasmettono a
tutta la Chiesa, ma direi a tutto il mondo, questa corrente invisibile di amore
che è la preghiera.
D. – In che modo arriva la loro
azione di bene verso gli altri?
R. – Non hanno una utilità
visibile nella Chiesa eppure allo stesso tempo quando si vede la storia della
Chiesa ci si accorge che i Certosini hanno avuto un influsso enorme sulla vita
della Chiesa, sul popolo di Dio e proprio è stato notato, nel libro, il
rapporto dei Certosini di Serra San Bruno con la gente. San Bruno è un santo
molto amato, molto popolare e praticamente tutto un paese – Serra San Bruno –
si è creato a partire dalla Certosa. Sono entrati in questa solitudine in un
certo modo per essere ancora più vicini al mondo di oggi.
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27
novembre 2005
ESPOSTO ALLA BASILICA DI SAN PAOLO DI ROMA IL
RITRATTO DI BENEDETTO XVI CHE VERRA’ COLLOCATO ACCANTO A QUELLI DEI 264
PONTEFICI CHE LO HANNO PRECEDUTO. TRATTO DA UN DIPINTO DELL’ARTISTA ULISSE
SARTINI, IL MOSAICO ERA STATO PRESENTATO MERCOLEDI’ AL PONTEFICE.
ROMA.=
“Nel realizzare il ritratto mi sono concentrato soprattutto sul volto e sugli
occhi cercando di centrare il suo sguardo sempre sorridente”. Così descrive il
frutto del suo lavoro il pittore Ulisse Sartini, autore del ritratto di
Benedetto XVI che sarà collocato nella Basilica di San Paolo a Roma, accanto a
quelli dei 264 altri Pontefici. Un,clipeo, mosaico di forma tonda, che si
aggiungerà alla serie di ritratti collocati nella navata della Basilica a
partire da quello di Pietro. Sabato, l’opera, insieme al dipinto originale
dell’artista Sartini, è stata esposta al pubblico nella Basilica, dove si è
svolto anche l’ultimo concerto del IV Festival Internazionale di Musica e Arte
Sacra. Come quello degli altri Pontefici e di Giovanni Paolo II, accanto al
quale sarà collocato, il ritratto di Benedetto XVI guarda verso l’altare della
Basilica e indossa gli abiti liturgici con i simboli del Pontificato: la conchiglia
e il pallio.
SI APRE OGGI A BARCELLONA IL VERTICE EUROMED TRA I
PAESI DELL’UE E DIECI PAESI DELL’AREA MEDITERRANEA. DIECI ANNI FA IL PROGETTO
EUROMED VENIVA LANCIATO CON LO SCOPO DI CREARE PACE E PROSPERITA’ SULL SPONDE
DEL MARE CHE UNISCE L’EUROPA, AFRICA E MEDIO ORIENTE.
BARCELLONA.= Un grande mercato comune che unisse la
Finlandia al Marocco, l’Irlanda alla Siria, passando per Israele e la
Palestina; un’area di sviluppo e cooperazione culturale oltre che commerciale.
Esattamente dieci anni fa, il 28 novembre del 1995, l’Unione Europea lanciava
insieme ai suoi partner del Mediterraneo un progetto ambizioso. La creazione
della più grande area di libero scambio del mondo, da realizzarsi entro il
2010. Oggi a Barcellona i rappresentanti dei Paesi Euromed si incontrano per
valutare i progressi fatti. Molte le critiche, soprattutto da parte della
società civile e della stampa che sottolineano la permanente disuguaglianza tra
i Paesi a Sud e a Nord del Mediterraneo. “L’abisso tra le due sponde si
allarga” titola oggi il quotidiano spagnolo El Pais, sottolineando che, mentre
nel 1995 il reddito medio dei Paesi settentrionali era 10 volte superiore a
quello dei Paesi del Sud oggi è 15 volte più alto. Diversa la valutazione del presidente
della Commissione europea Manuel Barroso il quale sottolinea il “successo in sé
rappresentato dalla creazione di una parternship tra le due sponde del
Mediterraneo. “Oggi” ha detto l’ex premier portoghese. “abbiamo creato un clima di fiducia che ci consente di discutere
anche i temi più sensibili, come sicurezza e terrorismo”. E proprio
quest’ultimo sembra essere l’argomento centrale del vertice di Barcellona che
si chiude domani. Su proposta del governo britannico verrà discusso un codice di buona condotta nella lotta al
terrorismo. Altro tema, l’immigrazione e la proposta di un’intesa per il controllo
congiunto e la riduzione dei flussi migratori dall’Africa subsahariana. Ma
il vertice spagnolo sarà segnato dalla defezione dei leader arabi e in primo
luogo del presidente egiziano Hosni Mubarak che ha declinato l’invito
all’ultimo minuto.
QUANDO UNA GUERRA VIENE TRASCURATA DALLA COMUNITA’
INTERNAZIONALE: IL CASO DEL CONFLITTO NEL NORD UGANDA. “UN’AREA DEVASTATA DA
CRIMINI AGGHIACCIANTI” SECONDO IL CONSIGLIERE ONU PER GLI SFOLLATI.
KAMPALA.= Quasi venti anni di
conflitto, circa 100.000 vittime e 1.200.000 sfollati, oltre a interi reparti
di bambini arruolati come soldati. Il drammatico bollettino è di una delle
guerre più dimenticate dalla comunità internazionale: quella delle regioni
settentrionali dell’Uganda, contese dall’esercito nazionale alle milizie del
LRA, (Lord Revolutionary Army). A riportare l’attenzione sulla tragedia ugandese
è stato il Consigliere delle Nazioni Unite per gli sfollati, Dennis McNamara,
di ritorno da un viaggio nelle zone di guerra. Secondo McNamara la crisi è una
delle più drammatiche del continente, con il sedicente gruppo delle LRA che sta
“devastando con crimini agghiaccianti la zona e facendo incombere la minaccia
di un vero e proprio genocidio ai danni delle etnie Teso, Kuman, Acholi e
Lango”. Drammatica, secondo l’ONU, è in particolare la condizione degli
sfollati, ammassati nei campi profughi e privati spesso delle più elementari
necessità. A causa della mancanza di cibo e di cure sanitarie, il tasso di
mortalità all’interno delle tendopoli di sfollati sarebbe pari al doppio di
quella della tormentata regione del Sudan orientale, il Darfur. Sotto accusa
dell’ONU la comunità internazionale che non compie sufficienti sforzi per
tentare di trovare una risoluzione al conflitto. “Quello ugandese” ha detto
McNamara “è una delle crisi in assoluto più trascurate”. Ma non mancano le
critiche nei confronti del governo ugandese. Lo scorso mese l’esercito
nazionale è finito nel mirino di un’inchiesta di Human Rights Watch. Secondo
l’organizzazione, alcuni dei crimini commessi ai danni delle popolazioni
locali, andrebbero addebitati direttamente alle forze armate. Più in generale
l’ONU parla invece di un’inaccettabile mancanza di protezione da parte del
governo del presidente Yoweri Museveni agli abitanti delle zone di guerra.
Ma nell’ultimo mese sono ben
altri i problemi che preoccupano il leader Museveni. Dallo scorso 19 novembre
la capitale Kampala è teatro di scontri tra la polizia e i manifestanti che
protestano per l’arresto di Kiiza Besigye, leader del Forum per il cambiamento
democratico, principale partito dell’opposizione. Per il governo di Museveni,
Besigye sarebbe al centro di un progetto per la costituzione di un gruppo
armato. Per l’opposizione, l’operazione è una gigantesca messa in scena con il
quale Museveni tenta di sbarazzarsi di un avversario scomodo in vista delle
prossime elezioni.
AMERICA LATINA: PER LA PRIMA VOLTA DAL 1990 LA
POVERTA’ NON AUMENTA.
EL SALVADOR, NICARAGUA E GUATEMALA, TRA I PAESI
CHE HANNO FATTO I MAGGIORI PROGRESSI.
SANTIAGO DEL CILE.= La povertà
fa un passo indietro in America Latina? E’ la speranza della Commissione
economica dell’America Latina (CEPAL), organo dell’ONU, che venerdì, rendendo
noto a Santiago del Cile il suo ultimo rapporto, ha sottolineato, per la prima
volta negli ultimi 15 anni un’inversione di tendenza sulla povertà. Fra il 2003
e il 2005, circa 13 milioni di persone sono uscite da condizioni di povertà,
secondo la CEPAL. Un dato estremamente positivo, se si pensa che dal 1990 il
Continente registrava una costante crescita degli indici di indigenza. “Il
miglioramento” ha spiegato José Luis Machinea, segretario esecutivo della
Commissione, “si deve all’aumento del reddito, alle rimesse degli immigrati,
all’aumento delle spese sociali dei governi”. Ma la lotta alla povertà rimane
una priorità assoluta per gli Stati del Continente. Sono infatti ancora 213
milioni le persone che vivono al di sotto della soglia minima di reddito, un
numero pari al 40,6 per cento della popolazione totale. Di questi, oltre il 16
per cento vive nell’indigenza più totale. Tra i Paesi che hanno registrato
maggiori progressi, quelli del Centro America, tra cui El Salvador, Guatemala e
Nicaragua.
ETIOPIA-ERITREA,
MOVIMENTI DI TRUPPE AL CONFINE TORNANO A FAR AGITARE
LO SPETTRO
DI UN NUOVO CONFLITTO TRA I DUE PAESI.
ADDIS ABEBA.= “Abbiamo
constatato un’incursione militare etiopica all’interno della fascia temporanea
di sicurezza lungo il confine con l’Eritrea”. L’annuncio della Missione ONU tra
Eritrea ed Etiopia si aggiunge a una lunga serie di segnali preoccupanti sulla
possibilità di un nuovo conflitto tra i due Paesi. Secondo quanto riferito
dall’ONU, l’incursione militare etiopica fa seguito a quella compiuta da
milizie eritree appena poche settimane fa. Altro segnale preoccupante, i movimenti
di truppe da un lato e dall’altro del confine. Secondo le fonti dell’ONU
l’esercito etiope sarebbe pronto ad attaccare.
Sullo sfondo la difficile situazione politica interna del governo di
Addis Abeba, appena uscito da elezioni contestate e terminate con la morte di
numerosi dimostranti che protestavano per i supposti brogli. L’ultimo conflitto
tra i due Paesi, a seguito della sanguinosa guerra di indipendenza dell’Eritrea
dall’Etiopa, si è concluso con l’accordo di pace del 2002 e un bilancio di
circa 80 mila morti. La guerra era scoppiata per una disputa di confine, che
ancora oggi rimane irrisolta.
A ROMA SI APRE IL
CONVEGNO NAZIONALE DEI DELEGATI
PER L’ECUMENISMO E IL DIALOGO INTERRELIGIOSO
PROMOSSO
DALLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
ROMA.= Al via oggi a Roma il Convegno nazionale dei delegati per
l’ecumenismo e il dialogo interreligioso sul tema “Ebraismo,
cristianesimo, Islam. Riflessioni e prospettive pastorali”. Promosso dalla
Conferenza episcopale italiana, l’incontro vedrà la partecipazione del Rabbino
capo di Roma, Riccardo Di Segni, del Rabbino capo di Milano, Giuseppe Laras, di
Allam Fouad Khaled, docente di sociologia del mondo musulmano e di Gianni Long,
presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia. Ad aprire il
Convegno il Rabbino capo emerito di Roma Elio Toaff insieme al Cardinale Walter
Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. A
quarant’anni dal Concilio Vaticano II e della “Nostra Aetate” “sentiamo
l'urgenza di una nuova spinta sia in campo ecumenico che nel campo del dialogo
interreligioso” ha detto monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Segretariato
CEI per l'Ecumenismo e il Dialogo, “tanto più” ha aggiunto, “che i mutati
scenari rispetto a quelli del dopo Concilio rendono questi testi conciliari
ancora più attuali e quindi profetici”.
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27 novembre 2005
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Urne
aperte in Cecenia per le legislative ma porte chiuse ai candidati che si richiamano
alle aspirazioni indipendentiste. I sondaggi prevedono la vittoria dei partiti
filo russi. Partecipano anche candidati
che hanno deposto le armi e preso le distanze dalla guerriglia indipendentista
e dall’amministrazione dell’ex presidente Aslan Maskhadov, ucciso nel marzo di
quest’anno dalle forze di sicurezza russe. Il servizio di Giuseppe d’Amato:
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La “pax
russa” alla prova delle urne in Cecenia. L’ex repubblica ribelle elegge il
proprio Parlamento in consultazioni che, secondo la logica del Cremlino, dovrebbero
segnare la conclusione della sanguinosa guerra, iniziata nel dicembre ‘94.
Oltre 596 mila elettori, inclusi i 34 mila militari russi di stanza nella
regione, sono chiamati a scegliere tra 357 candidati. Sono 18 i seggi da assegnare
nel Consiglio della Repubblica, la Camera alta, e 40 nell’Assemblea popolare,
quella bassa. Il sistema elettorale utilizzato è quello misto. Sono presenti
osservatori della Lega araba, della Conferenza islamica, della CSI.
I rami
locali dei partiti federali hanno presentato i loro uomini. I sondaggi della
vigilia sono contrastanti. Tra i candidati vi sono anche persone legate in
passato ai separatisti. “E’ un segnale di ritorno alla normalità”, ha
commentato il presidente ceceno Alu Alkhanov, che spera in elezioni
democratiche e trasparenti. Dopo l’uccisione del presidente separatista
Maskhadov in marzo, gli indipendentisti paiono trovarsi isolati ed in un
momento di difficoltà in Cecenia. Le misure di sicurezza restano tuttavia
imponenti dopo l’assalto del mese scorso nella vicina Kabardino-Balkaria. La
popolazione civile cecena è stanca della guerra e della violenza. Il problema
sicurezza è sempre fortissimo. Ma se 3 anni fa la gente temeva soprattutto le
truppe federali oggi il 22% ha paura dei gruppi della criminalità organizzata.
Secondo un sondaggio il 56% è, però, ora più preoccupato per la disoccupazione,
il cui tasso arriverebbe all’80% della forza lavoro.
Per la
Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.
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In
Medio Oriente dopo l’apertura del valico di Rafah, affidato al controllo
dell’Autorità nazionale palestinese e attraversato ieri da 1600 persone, il
presidente israeliano Katzav ha escluso la concessione di una grazia al leader
palestinese Barghuti, condannato a cinque ergastoli per aver ispirato attentati
contro Israele.
In
Iraq, il Comitato degli Ulema iracheni ha chiesto l’intervento della Lega araba
per impedire l'avvio di un'operazione militare di grande portata, annunciata
dal ministro dell’Interno iracheno. “Chiediamo alla Lega araba e all’ONU – si
legge nel comunicato degli Ulema - di adottare misure necessarie per impedire
lo spargimento di sangue”. Ma sul terreno le violenze non si fermano: sette
soldati iracheni sono rimasti uccisi in due attacchi condotti dai ribelli a
Falluja. Intanto, l’ex primo ministro iracheno Iyad Allawi ha dichiarato che
gli abusi e le violazioni dei diritti umani in Iraq sono gravi come quando era
al potere Saddam Hussein.
Tre
villaggi distrutti e cinque morti: è il bilancio, ancora provvisorio, di una
scossa di terremoto, di 5,9 gradi della
scala Richter, che ha colpito in Iran alcune isole nel Golfo Persico. Il sisma
è stato avvertito lungo la zona costiera e l’epicentro è stato localizzato
sull’isola di Qishm. I villaggi distrutti sono abitati da circa 6 mila persone.
Urne
aperte in Honduras: oltre 7 milioni di persone sono chiamate oggi al voto per
eleggere il nuovo presidente. I favoriti sono due candidati conservatori. Si
tratta di Porfirio Lobo, del Partito nazionale attualmente al governo, e di
Manuel Zelaya, del partito Liberale. Si vota anche per le legislative e le
municipali: circa 4 milioni di elettori sono chiamati a scegliere, infatti, 128
deputati e 298 sindaci. La campagna elettorale ha affrontato soprattutto due
temi: la criminalità e la povertà. Sulla situazione dell’Honduras il nostro
servizio:
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L’Honduras,
anche se ricco di risorse naturali, è uno dei Paesi più poveri dell’America Latina.
Solo Nicaragua ed Haiti hanno un livello di reddito pro-capite più basso. Oltre
il 40 per cento della popolazione honduregna vive in condizioni di estrema
povertà. Dopo il passaggio, nel 1998, del devastante uragano Mitch che causò
oltre 25 mila morti, il Paese ha ricevuto ingenti aiuti dalla comunità internazionale
ma il tasso di crescita dell’economia resta al di sotto delle potenzialità. Il
presidente uscente Ricardo Maduro, leader del partito nazionale di centro
destra, ha assunto il potere nel gennaio del 2002, con ambiziosi propositi di
riforme in favore di una effettiva liberalizzazione economica. Ma le tensioni
sociali nel Paese e la mancanza di una solida maggioranza nel Congresso hanno
impedito la realizzazione di molte delle riforme prospettate. Le difficoltà
dell’Honduras sono legate inoltre al fenomeno della corruzione, alimentata dal
carattere oligopolistico dell’industria locale. Il governo honduregno ha
comunque ottenuto, negli ultimi anni, due importanti risultati: la conclusione
di un accordo con il Fondo Monetario Internazionale per l’adozione di misure di
austerità tese a ridurre la spesa pubblica e a promuovere una politica fiscale
più equa; la riduzione del livello di criminalità grazie a leggi “antimaras”
contro le bande criminali formate da minorenni, le cosiddette “maras”.
Si calcola che i ragazzi appartenenti a questi gruppi criminali siano più di 40
mila. La Chiesa dell’Honduras, dove i cattolici sono oltre l’86 per cento, ha
chiesto il rispetto della dignità dei ragazzi. Ai duri interventi delle
forze di polizia per contrastare le “maras”, sono spesso seguite, infatti,
denunce da parte di diverse organizzazioni internazionali per violazione dei
diritti umani. Alcune organizzazioni parlano anche di “esecuzioni extra
giudiziali”. Nel novembre del 2002 monsignor Angel Garachana Pérez,
vescovo di San Pedro Sula, ha pubblicato una lettera pastorale, nella quale
oltre a denunciare gruppi non identificati “che uccidono giovani solo perché
tatuati”, individua le cause principali del fenomeno delle “maras” nella
disgregazione, nella “violenza familiare” e nelle “grandi disuguaglianze
sociali”.
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Urne aperte anche in Gabon, dove
circa 600 mila elettori sono chiamati ad eleggere il presidente del Paese. Solo
una bassa affluenza potrebbe mettere in discussione la rielezione di Omar
Bongo, da 38 anni al potere. A sfidare la sua incontrastata egemonia, il leader
dell’opposizione Pierre Mamboundou, esponente dell’Unione del popolo gabonese.
Le autorità hanno dispiegato circa 20 mila soldati per presidiare i seggi e
scongiurare il rischio di scontri durante le operazioni di voto. In Gabon,
l’aumento del prezzo del greggio ha consentito, negli ultimi due anni, di
risollevare la finanza pubblica. Il reddito pro capite del Paese è quattro
volte superiore alla media dell’Africa subsahariana. Tuttavia, una diseguale
distribuzione della ricchezza lascia ampie fasce della popolazione in condizioni
di estrema povertà.
Referendum in Armenia: oltre due
milioni di elettori sono chiamati oggi ad esprimersi su una riforma
costituzionale che prevede maggiori poteri al Parlamento e al governo, a
scapito di quelli del presidente, e una più ampia indipendenza del sistema
giudiziario. Nel 2003 un referendum simile era stato invalidato per la forte
astensione alle urne.
In Svizzera,
quasi cinque milioni di elettori sono chiamati oggi all’appuntamento con il
voto per esprimersi su una moratoria sugli organismi geneticamente modificati
(OGM). Secondo gli exit poll, la moratoria ottiene la maggioranza dei consensi.
L’iniziativa popolare chiede un divieto della durata di cinque anni per l’importazione,
la messa in commercio di piante, in grado di riprodursi e destinate a essere
utilizzate in agricoltura, orticoltura o silvicoltura.
In Myanmar, la giunta militare al potere ha prolungato per un altro
anno gli arresti domiciliari alla leader dell’opposizione e premio Nobel per la
pace nel 1991, Aung San Suu Kyi. La 60.enne leader della Lega nazionale per la
democrazia ha già trascorso 10 degli ultimi 16 anni in stato di arresto. Nel
documento finale redatto dai premi Nobel che hanno partecipato a Roma al sesto
Summit mondiale, conclusosi ieri, è stato lanciato un appello proprio per la
scarcerazione di Aung San Suu Kyi.
Tragedia in India: è di un centinaio di morti il bilancio di due
incidenti avvenuti nello Stato meridionale indiano del Tamil Nadu. Si tratta di
due disastri indipendenti l’uno dall’altro, ma dalla dinamica simile: due
pullman sono slittati, infatti, sulla carreggiata e precipitati da ponti a
causa delle piogge torrenziali.
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