RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 312 - Testo della trasmissione di martedì 8 novembre 2005

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Solo il dialogo può trasformare il mondo in un luogo di pace e fraternità: così Benedetto XVI in un messaggio inviato per una Conferenza promossa dal Patriarcato di Costantinopoli a Istanbul

 

          Sono stati “cordiali e proficui” gli incontri con il Patriarcato ortodosso russo. Lo afferma ai nostri microfoni mons. Giovanni Lajolo parlando del suo recente viaggio a Mosca

 

Nota della Sala Stampa vaticana sulla vicenda della doppia appartenenza confessionale – cattolica e protestante – dell’esegeta tedesco Klaus Berger di Heidelberg

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Dodicesima notte di violenze nelle periferie delle città francesi. Il governo approva il coprifuoco per ristabilire l’ordine: ce ne parlano mons. Aldo Giordano e Paolo Romani

 

Elezioni parlamentari domani in Egitto: il commento di Luigi Serra

 

Ieri a Roma il convegno su “Etica e ambiente”: intervista con il cardinale Renato Raffaele Martino

 

In corso l’Assemblea generale dei Superiori Maggiori (CISM): con noi, padre Fidenzio Volpi

 

CHIESA E SOCIETA’:

Proseguirà l’impegno dei vescovi etiopici per una transizione pacifica alla democrazia

 

Il Consiglio d'Europa avvia un’inchiesta sulle “prigioni della CIA” nell’Est europeo

 

L’isola di Mindanao, nel Sud delle Filippine, apre nuovamente le porte alla “Settimana della pace”

 

Allarme dell’ONU: in forte aumento nel Benin il banditismo di strada, con furti, rapine e omicidi

 

La visita del nunzio apostolico in India nelle regioni nord-orientali del Paese

 

24 ORE NEL MONDO:

Un mese fa il disastroso terremoto nella regione pakistana del Kashmir. Oltre 70 mila i morti. E 100 mila persone aspettano ancora i soccorsi

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

8 novembre 2005

 

ETICA SOCIALE E MUTUO RISPETTO PER UNA REALE CONVIVENZA

CIVILE E INTERRELIGIOSA:

L’AUSPICIO DI BENEDETTO XVI IN UN MESSAGGIO AL CARDINALE KASPER,

SUO INVIATO ALLA CONFERENZA DI ISTANBUL

PROMOSSA DAL PATRIARCATO DI COSTANTINOPOLI

 

“Soltanto con il dialogo può esservi la speranza che il mondo si trasformi in un posto di pace e fraternità”, la democrazia da sola non basta. Sono due pensieri contenuti nel Messaggio che Benedetto XVI ha inviato al cardinale Walter Kasper. Il presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani rappresenta il Papa a Istanbul dove da ieri, e fino a domani, si tiene la Conferenza internazionale su pace e tolleranza nel Sud-Est europeo, nel Caucaso e nell’Asia centrale, promossa dal Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I. Sui contenuti del Messaggio, il servizio di Alessandro De Carolis.

 

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Cattolicesimo e ortodossia che incrociano le strade con l’islam: incontri che non sempre, in alcune zone del mondo, producono esempi di convivenza pacifica, di rispetto religioso come di integrazione sociale. Benedetto XVI ne è consapevole e l’occasione della Conferenza di Istanbul gli ha offerto l’opportunità per ribadire che i temi della pace e della tolleranza “sono di importanza basilare in un mondo in cui gli atteggiamenti rigidi provocano spesso incomprensioni e sofferenza”, talvolta fino a violenze che significano la morte.

 

Il dialogo, scrive al contrario il Papa, è “chiaramente indispensabile” per trovare soluzioni ai conflitti nocivi e alle tensioni che danneggiano la società. Ed è “dovere di ogni persona di buona volontà – aggiunge - e particolarmente di ogni credente, contribuire a sviluppare una società pacifica e a superare la tentazione di un confronto aggressivo ed inutile fra le diverse culture ed i gruppi etnici”, che invece hanno, nessuno escluso, la precisa responsabilità di contribuire “alla pace e all’armonia, mettendo a disposizione – dice il Papa - la propria eredità spirituale e culturale ed i valori etici al servizio della famiglia umana nel mondo intero”. Benedetto XVI nota pure che questo obiettivo non può essere raggiunto se non ponendo “al centro dello sviluppo economico, sociale e culturale di ogni comunità” un “adeguato rispetto per la vita e per la dignità di ogni persona umana”. Ovvero: animando con valori morali ogni forma di civile convivenza. Purtroppo, obietta il Pontefice, “il relativismo morale insidia i funzionamenti della democrazia, che da sola non è sufficiente per garantire la tolleranza ed il rispetto fra la gente”, e dunque nemmeno una pace stabile.

 

“Ogni persona di buona volontà ha il dovere di lavorare per questo obiettivo”, ripete ancora una volta Benedetto XVI. “È questo - sottolinea - è tanto più urgente per coloro che riconoscono in Dio il Padre di tutti, che dona liberamente a tutti la sua misericordia, che giudica con giustizia ed offre a tutti la sua amicizia”. Il Papa conclude chiedendo al cardinale Kasper di riaffermare, durante i lavori di Istanbul, “l'impegno forte della Chiesa cattolica a lavorare instancabilmente per la cooperazione fra la gente, le culture e le religioni”.

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NOMINE

 

Benedetto XVI ha nominato membro della Congregazione per la Dottrina della fede il cardinale Julián Herranz, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi. Il Papa, inoltre, ha nominato consultore del Pontificio Consiglio della Cultura il prof. John Haldane, ordinario di Filosofia nell’Università di Saint Andrews, in Gran Bretagna.

 

In Vietnam, il Pontefice ha nominato coadiutore della diocesi di Nha Trang il sacerdote Joseph Vo Duc Minh, finora parroco della cattedrale e vicario generale della Diocesi di Dalat.  Il neo presule, 61 anni, è originario dell’arcidiocesi di Hué ed ha compiuto gli studi filosofici nel Seminario Maggiore di Saigon, proseguendoli poi a Friburgo, in Svizzera, dove ha ottenuto la licenza in Teologia. Ordinato sacerdote nel 1971, mons. Vo Duc Minh ha soggiornato a Roma per studi presso l'Istituto Biblico, conseguendo la licenza in Sacre Scritture. Tornato in patria, è stato, tra l’altro, docente di Sacre Scritture in Seminari maggiori e quindi parroco.

 

La diocesi di Nha Trang, creata nel 1960, ha una superficie di 9.500 kmq e un milione e mezzo di abitanti, di cui 185 mila cattolici. Conta 69 parrocchie, 144 sacerdoti (98 diocesani, 46 religiosi), 82 seminaristi maggiori, 56 fratelli religiosi, 363 religiose, un Seminario Maggiore Interdiocesano. La Diocesi è retta dal ‘75 da mons. Paul Nguyen Van Hoà, che è anche presidente della Conferenza Episcopale del Vietnam per il secondo mandato.

 

 

“CORDIALI E PROFICUI” GLI INCONTRI DI MONS. LAJOLO

CON IL PATRIARCATO ORTODOSSO RUSSO NEL SUO RECENTE VIAGGIO A MOSCA

- Intervista con mons. Giovanni Lajolo -

 

Sono stati “cordiali e proficui” gli incontri dell’arcivescovo Giovanni Lajolo durante la sua recente visita a Mosca dal 26 al 30 ottobre scorsi. Il segretario per i Rapporti con gli Stati ha incontrato autorità politiche ed esponenti ecclesiali, sia della Chiesa ortodossa russa che di quella cattolica. Ma ascoltiamo lo stesso mons. Lajolo, intervistato da Giovanni Peduto:

 

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D. – Eccellenza, c’era molta attesa per questo suo viaggio a Mosca, anche per saggiare il clima in Russia dopo l’elezione di Benedetto XVI. Che bilancio fa di questa visita?

 

R. La visita è avvenuta su invito del Ministro degli Affari Esteri Lavrov, e questo già indica il clima amichevole che ha caratterizzato il mio incontro con lui, lo scorso 28 ottobre. Cordiali e proficui sono stati anche gli incontri del giorno prima e dei giorni successivi con altre personalità politiche, con i quattro Vescovi cattolici nella sede della Nunziatura Apostolica, e con il Metropolita Kyrill, Presidente del Comitato per le Relazioni religiose esterne del Patriarcato, nella sua sede. Stampa, televisione e radio ne hanno riferito con interesse ed in senso positivo.

 

D. – Nella sua visita a Mosca ha potuto incontrare la comunità cattolica russa a partire dall’Arcivescovo Kondrusiewicz. Qual è oggi la situazione dei cattolici nella Federazione Russa?

 

R. La comunità cattolica in Russia è piccola: 600.000 fedeli, sparsi su di uno sconfinato territorio, di fronte ad una popolazione di circa 144 milioni di abitanti, in gran parte ortodossi. È una comunità piccola di numero, ma grande di fede, convinta, vivace; ma posta anche di fronte a problemi oggettivamente difficili, quali la scarsità di sacerdoti. I rapporti con gli ortodossi sono talvolta complicati dalla differente storia che sta alle spalle delle due comunità e dalla diversa sensibilità rispetto a problemi pastorali concreti; sarebbe però sbagliato dimenticare che sovente sono anche rapporti positivi. La piccola Chiesa cattolica in Russia ha bisogno della simpatia, dell’appoggio morale, del sostegno e di frequenti contatti fraterni da parte delle grandi comunità cattoliche di altri Paesi.

 

D. – Veniamo ai momenti più significativi di questa visita. Lei ha incontrato il Ministro degli Esteri russo Lavrov, con il quale ha firmato un comunicato congiunto. Quali i punti di convergenza con il Cremlino in politica estera?

 

R. Non è stato difficile stabilirlo: l’impegno per la pace là dove è messa in pericolo; l’azione concertata a livello internazionale contro i flagelli della povertà, della fame, delle pandemie; una più intensa reciproca attenzione in seno alla grandi organizzazioni internazionali, quali l’ONU, il Consiglio d’Europa e la OSCE.

 

D. – Lei ritiene che ci sia la ragionevole speranza di un ulteriore miglioramento delle relazioni diplomatiche tra Mosca e la Santa Sede, fino al traguardo del perfezionamento dei rapporti con la Federazione Russa?

 

R. Attualmente i rapporti sono contraddistinti dalla presenza a Mosca e a Roma di due Missioni con carattere speciale, a capo delle quali v’è rispettivamente un Nunzio Apostolico ed un Ambasciatore. Questi svolgono già un’opera eccellente, così che dal punto di vista sostanziale la Santa Sede ed il Governo russo intrattengono rapporti fluidi e proficui. L’attuale forma dei rapporti provoca un certo disagio soltanto dal punto di vista protocollare, perché questo “carattere speciale” sembra quasi esprimere la presenza di riserve nei reciproci confronti, riserve che non ci sono. Penso che sia logico progredire verso una soluzione di piena normalità, ma, per diverse ragioni, non è ancora possibile fissare un calendario.

 

R. – Uno dei momenti forti in questo suo viaggio, di particolare significato ecumenico, è stato l’incontro con il Metropolita Kyrill. Alla luce anche di questo colloquio, come giudica lo stato attuale dei rapporti con il Patriarcato ortodosso di Mosca?

 

R. – È mio convincimento, anzitutto, che il Patriarcato desideri, così come la Santa Sede, che i reciproci rapporti siano sempre più fraterni, aperti, fiduciosi. Vi sono difficoltà reciproche oggettive che richiedono uno studio più profondo. Lo strumento della Commissione Mista, istituita qualche tempo fa per l’esame delle divergenze, dovrebbe essere usato con costanza e regolarità periodica, senza lasciarsi scoraggiare da occasionali difficoltà, del resto inevitabili; esso non mancherà di dare i suoi frutti.

 

 D. Intervistato dall’agenzia di stampa russa “Blagovest-Info”, lei ha affermato che un viaggio apostolico del Papa in Russia “costituirebbe un evento ecumenico molto significativo ed importante”, aggiungendo che “dovrebbe rappresentare un motivo di gioia e di speranza non solo per i cattolici, ma per tutta la Russia”. Lei pensa che Benedetto XVI possa realizzare quello che è stato un grande desiderio mancato del suo predecessore?

 

R. – I cattolici russi attendono il Papa. La sua visita sarebbe per loro di grande incoraggiamento e li riempirebbe di entusiasmo. È ovvio però che essa può avvenire solo nel contesto ecumenico. L’incontro del Santo Padre con il Patriarca deve essere una testimonianza di fraternità cristiana di fronte a tutto il mondo e dovrebbe essere pieno di gioia ed aprire le porte ad una più intensa collaborazione nei campi in cui ciò sia possibile. Potrà realizzarsi? Preghiamo. Non v’è ostacolo che possa resistere al soffio dello Spirito!

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NOTA DELLA SALA STAMPA VATICANA

SULLA VICENDA DELLA DOPPIA APPARTENENZA CONFESSIONALE

– CATTOLICA E PROTESTANTE – DELL’ESEGETA TEDESCO KLAUS BERGER

DI HEIDELBERG.

L’ALLORA CARDINALE RATZINGER NON ERA A CONOSCENZA DELLA VICENDA,

AL CONTRARIO DI QUANTO AFFERMANO ALCUNE NOTIZIE

APPARSE SULLA STAMPA TEDESCA

 

La Sala Stampa vaticana, con un comunicato del suo direttore Joaquín Navarro-Valls, è intervenuta oggi sulla vicenda dell’appartenenza confessionale dell’esegeta tedesco Klaus Berger di Heidelberg, che si ritiene cattolico e – secondo quanto adesso è reso noto pubblicamente – nel 1968,  partecipando alla Cena protestante è diventato “membro della Chiesa evangelica-luterana”. Alcune notizie apparse sulla stampa tedesca affermano che l’allora cardinale Joseph Ratzinger avrebbe avuto precisa conoscenza “della vicenda secondo il suo aspetto formale” e “non avrebbe sollevato alcuna obiezione”: tale asserzione – afferma Navarro-Valls – “è falsa”. “Fino all’insorgere dell’attuale discussione – prosegue la nota vaticana – non erano giunte al cardinale, ora Papa, informazioni che andassero oltre quello che era comunemente noto; di una duplice appartenenza confessionale non si aveva alcuna conoscenza”. Il cardinale Ratzinger “non aveva perciò alcun motivo di prendere posizione sulla questione dell’appartenenza confessionale del signor Berger, e di fatto su ciò egli non si è mai pronunciato”.

 

“È ovvio – ricorda ancora il comunicato – che le norme del diritto canonico cattolico, che escludono un’appartenenza simultanea alla Chiesa cattolica e ad una ‘Landeskirche’ protestante, rimangono pienamente in vigore senza alcuna eccezione e valgono quindi anche nel caso nominato. Da questa regola  della Chiesa – conclude Navarro-Valls – non si può ottenere dispensa neanche nel Sacramento della riconciliazione”.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina la drammatica situazione in Francia; il governo decide il coprifuoco. Indicate dal Primo Ministro de Villepin le misure per fronteggiare i tumulti. Promesse iniziative sociali per le periferie degradate.

 

Servizio vaticano - Il messaggio di Benedetto XVI al cardinale Kasper in occasione della seconda Conferenza internazionale sulla Pace e sulla Tolleranza in corso ad Istanbul.

 

Servizio estero - Due interventi della Santa Sede rispettivamente su “Ricordare la Shoah per purificare la memoria”; “Riconoscere il legame tra la salvaguardia dell’ambiente, la promozione dello sviluppo e la riduzione della povertà”.

Per la rubrica dell’“Atlante geopolitica” un articolo di Giuseppe M. Petrone dal titolo “Nucleare: speranze nei colloqui a sei”.

 

Servizio culturale – “Una passione educativa ed evangelica” è il titolo dell’articolo di Giulio Colombi in ricordo di mons. Enzo Giammancheri.

Per l’“Osservatore libri” un articolo di Antonio Manfredi su “Forme e modelli della tradizione manoscritta della Bibbia” a cura di Paolo Cherubini.

 

Servizio italiano - In rilievo il tema della finanziaria.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

8 novembre 2005

 

 

 

DODICESIMA NOTTE DI VIOLENZE NELLE PERIFERIE

DELLE CITTA’ FRANCESI: OLTRE MILLE MACCHINE DISTRUTTE,

 DODICI POLIZIOTTI FERITI. IL GOVERNO AUTORIZZA

IL COPRIFUOCO PER RISTABILIRE L’ORDINE

- Con noi, mons. Aldo Giordano e Paolo Romani -

 

Dodicesima notte di paura e violenza nelle periferie delle città francesi:  1100 autovetture sono state distrutte, mentre dodici poliziotti sono rimasti feriti. Dal canto loro, le forze dell’ordine hanno provveduto all’arresto di 143 persone. I rivoltosi hanno lanciato una bottiglia incendiaria contro la facciata di un ospedale a Vitry-Sur-Seine. In fiamme scuole materne e altri edifici a Bordeaux e Sevran. Una troupe della televisione italiana SKY TG24 è stata aggredita a Clichy-sous-Bois. Per far fronte ad una situazione che sembra ormai fuori controllo, il governo di Parigi ha approvato oggi eccezionali misure di sicurezza. Grazie ad una legge del 1955, applicata durante la guerra di Algeria, i prefetti hanno il potere di imporre il coprifuoco nelle città più a rischio. La drastica misura era stata annunciata già ieri sera, in diretta tv, dal primo ministro Dominique de Villepin. Intanto, in Francia si discute animatamente sul fallimento dell’integrazione degli immigrati, come sottolinea il corrispondente a Parigi di Famiglia Cristiana, Paolo Romani, raggiunto telefonicamente nella capitale francese da Fabio Colagrande:

 

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R. – E’ il naufragio di questo modello di integrazione francese, un modello di cui la Francia era molto orgogliosa, che contrapponeva spesso e volentieri al  ‘comunitarismo’ americano. Ora il naufragio di questo modello è sotto gli occhi di tutto il mondo, perché chiaramente questi giovani della seconda o terza generazione che sono poi cittadini francesi, si sentono emarginati, si sentono trattati come cittadini di serie B o di serie C e quindi reagiscono. Lo fanno con la violenza oppure ghettizzandosi ancor di più, insomma, richiudendosi nelle loro banlieue, dando vita ad una specie di ‘contro-società’ …

 

D. – Come sta reagendo il Paese?

 

R. – Il Paese è, secondo me, sgomento più che altro, perché non credo che si aspettasse una simile ondata di violenza, anche se solo gli ignari possono essere stati colti di sorpresa. Gli ingredienti di questa ‘intifada’, di questa fiammata di violenza, c’erano tutti, erano tutti presenti da un bel po’ di tempo! In queste banlieue, la disoccupazione giovanile sfiora il 50 per cento, mentre è del 20-25 per cento a livello nazionale. C’è poi il problema degli alloggi: la mancanza di case popolari, dei cosiddetti ‘alloggi sociali’, come si chiamano in Francia. Negli ultimi 15 anni, ogni governo che si è succeduto, di destra o di sinistra che fosse, ha messo in cantiere dei progetti per queste banlieue, queste periferie, tutti progetti che sono rimasti lettera morta o non sono stati completamente applicati!

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Le violenze che stanno scuotendo le periferie di Parigi e di molte altre città della Francia riportano drammaticamente in primo piano il fenomeno del disagio sociale, in particolare giovanile, che caratterizza molte città europee, non solo francesi. Su questo tema, Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione di mons. Aldo Giordano, segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali europee:

 

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R. – Questi fenomeni rivelano che abbiamo una grossa domanda di senso della vita, di domanda su quale futuro, su quali valori costruiamo una società e la nostra esistenza … Io non so quanto noi oggi in Europa abbiamo curato questa domanda:Perché siamo fratelli?’. Credo che ci sia una qualche parentela tra questa violenza esplosa a Parigi e quella violenza diffusa che noi respiriamo oggi anche in Europa: dalla violenza agli stadi alla violenza della città di notte, ai suicidi – 50 mila suicidi l’anno, in Europa! – questa violenza diffusa rimanda ad un malessere, ad un’inquietudine, ad un disagio che è molto più profondo. Il fatto dell’emigrazione ci sta creando una generazione che vive sul confine: il confine tra i popoli, il confine tra culture, religioni eccetera, e stando sul confine non si appartiene più a nessuno, non c’è più un’appartenenza, un’identità!

 

D. – A Berlino, la scorsa notte, sono state bruciate delle macchine: vede il pericolo di un’espansione delle violenze che scuotono le notti parigine, anche nelle periferie di altre città europee?

 

R. – Sì. Direi che la violenza è già diffusa: nelle nostre città c’è la violenza. Noi dovremmo forse ritornare come politici, ma anche come intellettuali, a riprendere più sul serio il fatto che c’è una generazione che è inquieta, che è a disagio; riprendere forse una certa umiltà, in Europa: cioè, l’Europa deve perdere – direi – la superbia intellettuale di sapere dove stanno le risposte, di pensare che abbiamo la luce sufficiente, perché abbiamo la ragione, abbiamo la scienza, e rimetterci alla ricerca.

 

D. – Quanto sta succedendo in Francia interroga profondamente l’Europa sul tema dell’immigrazione. Quali sono le proposte delle Conferenze episcopali europee, al riguardo?

 

R. – Le Chiese sono preoccupate di dare all’Europa il senso della fratellanza universale. Quindi, se noi riuscissimo a creare questa cultura di fondo, poi verrebbero fuori anche le politiche.

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ELEZIONI PARLAMENTARI DOMANI IN EGITTO. SCONTATA LA VITTORIA

DEL PARTITO NAZIONAL DEMOCRATICO DEL PRESIDENTE MUBARAK.

 L’OPPOSIZIONE DENUNCIA POSSIBILI BROGLI IN TUTTO IL PAESE

- Intervista con Luigi Serra -

 

Due mesi dopo le presidenziali che hanno confermato con l'89% dei voti Hosni Mubarak alla presidenza del Paese, oltre trenta milioni di egiziani sono chiamati domani alle urne per eleggere un nuovo parlamento. 5.310 i candidati - solo 23 le donne -  che si contendono i 444 seggi dell’assemblea, che ne conta altri dieci riservati a nomine presidenziali. E mentre l’opposizione già denuncia possibili brogli in tutto il Paese, l'unica novità rilevante è data dalla presenza dei ”Fratelli musulmani”, l'organizzazione proibita da mezzo secolo, ma tollerata e oggi di fatto uscita dalla illegalità. Ma che elezioni saranno? Salvatore Sabatino lo ha chiesto al prof. Luigi Serra, preside dell’Università Orientale di Napoli:

 

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R. – Saranno delle lezioni indubbiamente condizionate dal grandissimo successo del presidente uscente riconfermato che, come in ogni Paese arabo, costituisce un punto di riferimento, di richiamo, se non di condizionamento.

 

D. – Il partito nazional-democratico di Mubarak, che oggi detiene l’85 per cento dei seggi, secondo tutti gli osservatori è destinato a conservare la maggioranza assoluta. Perché l’opposizione non riesce ad imporsi in nessun modo?

 

R. – E’ ben evidente che per imporsi in quanto opposizione contro un livello di percentuale pari a quello che lei ha richiamato, necessitano nel Paese strumenti di democrazia gestibili. Al di là di quello che è l’assetto mediamente moderato della condizione politica in quel Paese, gli assetti di democrazia disponibili sono oggettivamente ridotti nella misura in cui una opposizione possa far valere la sua voce.

 

D. – Quali potrebbero essere, dunque, le mosse giuste dell’opposizione?

 

R. – Fare più cultura politica e meno opposizione tout court, nel senso che l’opposizione tout court è destinata in Egitto.

 

D. – L’Egitto, comunque, continuerà ad avere un ruolo importantissimo nello scacchiere mediorientale…

 

R. – L’Egitto è un grande Paese, per la sua storia, per il peso e per il ruolo politico e socioeconomico che recita all’interno del Medio Oriente, del mondo arabo musulmano e del Mediterraneo, è destinato ad avere un grande peso. Potrebbe averne di più nel senso che sposterebbe il baricentro della sua influenza determinante anche verso l’ovest, intendo dire verso le connotazioni politiche e geopolitiche di marchio prettamente occidentale, se l’innalzamento del tasso di democrazia, la risoluzione dei problemi sul filo di quelli che sono i modelli più accreditati a livello universale, prendesse corpo.

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L’AGIRE UMANO NEI CONFRONTI DELLA NATURA SIA ETICAMENTE ORIENTATO.

E’ QUESTO L’APPELLO LANCIATO IERI DAL CARDINALE RENATO RAFFAELE MARTINO

DURANTE IL CONVEGNO A ROMA SU “ETICA E AMBIENTE”

- Intervista con il porporato -

 

         Si deve rispettare non solo la natura mediante un’ecologia naturale, ma anche la degna vita morale dell’uomo mediante una “ecologia umana”. Lo ha detto il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, cardinale Renato Raffaele Martino intervenendo al convegno “Etica e ambiente”, tenutosi ieri a Roma al Pontificio Ateneo “Regina Apostolorum”. “Il problema ecologico – ha aggiunto il porporato – va percepito come un problema etico”. La questione ambientale - ha spiegato – è un problema antropologico che propone la complementarietà, sempre più evidente, tra ambiente naturale e mondo dell’uomo. Ma cosa si intende per “ecologia umana”? Ascoltiamo, al microfono di Amedeo Lomonaco, il cardinale Renato Raffaele Martino:

 

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R. – La creazione è un dono, ma non un dono di cui possiamo disporre senza rispettare la natura. E’ un dono all’umanità, che è stato dato all’uomo dal Signore. L’essere umano è al centro delle preoccupazioni per l’ambiente e lo sviluppo. Ma questa preoccupazione non vuol dire che l’uomo è il padrone e può fare tutto quello che vuole dell’ambiente. Deve essere un saggio amministratore. Tutto questo è un dono a tempo: dobbiamo trasmetterlo intatto alle generazioni future.

 

D. – Eminenza, come far convergere l’impegno politico, il patrimonio etico e la difesa dell’ambiente?

 

R. – L’ecologia sociale, ambientale, politica, umana sono ormai interdipendenti; c’è una interrelazione indispensabile e necessaria perché tutti questi ambiti devono cooperare affinché l’uomo sia al centro, nel rispetto della natura.

 

D. – Il rispetto della natura è, dunque, un obiettivo prioritario. Ma come far fronte, a partire dalla visione cristiana, alle forme di idolatria della natura?

 

R. – Tutto quello che Dio ha creato non è un’imposizione, ma è al servizio dell’uomo che deve amministrare la natura. Perciò, è impossibile che si cada in un nuovo paganesimo di adorazione della natura. Adoriamo Dio, che ha creato la natura.

 

D. – La tesi di un’imminente catastrofe umanitaria a causa dell’incremento della popolazione mondiale appare oggi una prospettiva senza fondamento …

 

R. – La popolazione, con l’andare degli anni, si stabilizza. L’andamento della popolazione mondiale tende alla normalizzazione; c’è una grande possibilità, nel rispetto dell’ecologia, di produrre risorse alimentari adeguate.

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“IL SUPERIORE MAGGIORE E IL SUO CONSIGLIO: UN SERVIZIO DI COMUNIONE

E DI CORRESPONSABILITA’”: E’ IL TEMA DELLA 45.MA ASSEMBLEA GENERALE

DELLA CONFERENZA ITALIANA DEI SUPERIORI MAGGIORI (CISM), IN CORSO A MONOPOLI, IN PUGLIA, FINO ALL’11 NOVEMBRE

- Con noi, padre Fidenzio Volpi -

 

Animare, sostenere, sensibilizzare e coordinare i Superiori Maggiori d’Italia: sono questi i compiti della Conferenza italiana dei Superiori Maggiori (CISM), riunita in questi giorni a Monopoli, in Puglia, per la sua 45.ma Assemblea generale. Fino all’11 novembre, 180 rappresentanti di diverse famiglie religiose si confrontano sul tema: “Il Superiore Maggiore e il suo Consiglio: un servizio di comunione e di corresponsabilità”. Ce ne parla, al microfono di Roberta Moretti, il segretario generale della CISM, padre Fidenzio Volpi:

 

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R. – E’ un tema che aiuterà i Superiori Maggiori, affinché riescano a servire i propri religiosi, creando comunione e coinvolgendoli al punto – ecco in che senso ‘corresponsabilità’ – da fare un discernimento, perché la persona viva in profondità, in radicalità la sua consacrazione, qualsiasi sia il carisma cui si è consacrato.

 

D. – Padre, come possono i Superiori Maggiori delineare una strategia di azione comune a tutti gli istituti, pur mantenendo intatto il singolo carisma di ogni istituto?

 

R. – Non è semplice. Noi infatti, come CISM, organismo di comunione e di animazione, indichiamo le varie piste. Ogni Superiore Maggiore deve calare il principio nel proprio carisma, a seconda delle proprie Costituzioni, perché l’Istituto che è nato, suscitato dallo Spirito, ha la necessità di realizzare questa partecipazione nel carisma, e viverlo così come è indicato, ma con l’originalità e l’apertura dei tempi di oggi.

 

D. – Quali difficoltà incontrano più di frequente i Superiori Maggiori nella loro opera?

 

R. – Oggi come oggi trovano molta più difficoltà perché l’età si è innalzata e provano a gestire le opere, che sono sempre numerose, in proporzione alla paucità delle persone. Poi, una difficoltà può essere anche quella dei cambiamenti, dove è indispensabile creare una disponibilità nella persona e questo si ottiene attraverso il dialogo.

 

D. – Cosa ci si aspetta in particolare da questa Assemblea generale? Quali frutti si attendono?

 

R. – Si vuole aiutare i provinciali a non chiudersi nello scoraggiamento di fronte alle difficoltà, a lasciarsi interpellare continuamente da due fonti: la Chiesa, con il suo Magistero e la sua comunionalità, e le necessità della società di oggi. Lì noi vogliamo arrivare rinnovati, ma sempre però con la fedeltà al carisma.

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CHIESA E SOCIETA’

8 novembre 2005

 

 

PROSEGUIRA’ L’IMPEGNO DEI VESCOVI ETIOPICI PER UNA TRANSIZIONE PACIFICA

ALLA DEMOCRAZIA NEL LORO PAESE: NE HA PARLATO L’ARCIVESCOVO DI ADDIS ABEBA, BERHANEYESUS SOURAPHIEL, IN UN’INTERVISTA ALLA RADIO VATICANA

 

ADDIS ABEBA. = I vescovi dell’Etiopia continueranno il loro impegno a sostegno della pace e della tolleranza nel Paese nella sua difficile transizione verso la democrazia. Lo ha dichiarato in un’intervista a Beth Hai, responsabile del Programma Inglese Africa della Radio Vaticana, l’arcivescovo metropolita di Addis Abeba, Berhaneyesus Souraphiel, parlando della posizione dell’episcopato locale sull’attuale situazione politica in Etiopia, dopo le controverse elezioni politiche del 15 maggio e del 21 agosto. Elezioni che, nonostante le perduranti violenze e tensioni per le accuse di brogli ed irregolarità rivolte al governo dalle forze dell’opposizione (ma anche da organismi internazionali), i presuli etiopi giudicano comunque un primo importante passo verso la democratizzazione del Paese. In questo senso, i vescovi si erano espressi nel messaggio diffuso dopo il voto di maggio, in cui avevano rivolto alle parti un appello al dialogo e al rispetto reciproco e quindi a proseguire il processo democratico iniziato. “Non è facile, è la prima volta nel nostro Paese – ha sottolineato mons. Souraphiel nell’intervista –  ci sono voluti molti anni in altre parti, ma noi possiamo fare di più di quello che stiamo facendo al momento”. Una linea d’impegno che i vescovi etiopici continueranno a perseguire. (L.Z.)

 

 

IL CONSIGLIO D'EUROPA HA DECISO IERI DI AVVIARE UN’INCHIESTA FORMALE SULLE PRESUNTE PRIGIONI NELL’EST EUROPEO IMPIANTATE

DALLA CIA, I SERVIZI SEGRETI STATUNITENSI. A GUIDARE L’INDAGINE SARA’

IL LIBERALE SVIZZERO, DICK MARTY

 

BRUXELLES. = Il Consiglio d'Europa ha avviato un'inchiesta formale sulle presunte “prigioni della CIA” nell'est Europa. A guidare l’indagine, sarà il liberale svizzero Dick Marty, presidente della Commissione Affari legali dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. Lo ha deciso ieri la stessa Commissione, richiamando “la raccomandazione 1433 del 2005 in cui l'Assemblea parlamentare invita gli Stati membri a vigilare affinché i propri  territori e le proprie installazioni non siano utilizzati per la pratica della detenzione segreta''. La Commissione ha inoltre deciso di autorizzare Dick Marty a recarsi, se necessario, in alcuni Paesi membri dell'Organizzazione ed ha invitato il segretario generale del Consiglio d'Europa a chiedere a tutti gli Stati membri di far pervenire ogni informazione a loro disposizione, in virtù dell'articolo 52 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo. Il presidente dell'Assemblea parlamentare, Rene' van der Linden, da parte sua, la settimana scorsa, in una comunicazione, aveva  già sottolineato che tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa sono tenuti a rispettare le disposizioni relative alla Convenzione sui  diritti dell'Uomo e alla Convenzione europea per la prevenzione della tortura. Renè van der Linden ha anche fatto riferimento ai testi recentemente adottati dall'Assemblea parlamentare sulla ''legittimita' della detenzione di individui da parte degli Stati Uniti a Guantanamo  Bay'' e sulle ''scomparse forzate''. (R.G.)

 

 

L’ISOLA DI MINDANAO, NEL SUD DELLE FILIPPINE, TORNA ALL’APPUNTAMENTO

DELLA “SETTIMANA DELLA PACE”, EDIZIONE 2005. IL TEMA IN OGGETTO:

“LE DONNE E I GIOVANI, ARTEFICI DELLA PACE”

 

DAVAO. = L’edizione 2005 della “Settimana della pace”, evento oramai tradizionale dell’isola di Mindanao, nel Sud delle Filippine, coinvolgerà dal 24 al 30 novembre in numerose iniziative le comunità locali, organizzate in associazioni sia religiose che laiche. Saranno predisposti seminari, incontri di preghiera, marce, con l’obiettivo di facilitare una comune volontà di dialogo e di pace tra le popolazioni cristiane e musulmane dell’area. L’appuntamento, che si ripete ogni anno dal 1998, quando fu inaugurato a Zamboanga, città situata nella parte occidentale dell’isola, è sponsorizzato dalla Conferenza dei vescovi e degli Ulema delle Filippine. Il tema al centro della manifestazione di quest’anno è “Gli obiettivi del Millennio per lo sviluppo: le donne e i giovani, artefici della pace”. I partecipanti alla Settimana ritengono infatti che l’apporto fornito dalle famiglie e dalle piccole comunità alla costruzione del dialogo e della pace costituisca una risorsa aggiuntiva agli accordi raggiunti dai leader politici. Fra le manifestazioni in programma: “In bicicletta per la pace” e “I giovani, la nostra speranza per la pace”. Alla prima, che vedrà centinaia di persone percorrere il tragitto che collega le città di Digos e Davao, prenderà parte il vescovo di Kidapawan, Romulo Valles; l’altra sarà invece coordinata da padre Angel Calvo, missionario claretiano nel sud dell’arcipelago filippino. Gli organizzatori, nel ricordare “gli obiettivi del Millennio”, faranno il punto sullo stato attuale della povertà nelle Filippine, le quali entro il 2015, come riferisce l’agenzia Fides, dovranno impegnarsi assieme ad altri Paesi per ridurre il tasso di mortalità, garantire a tutti un livello adeguato di istruzione, e combattere efficacemente le malattie mortali. Si tratta di problematiche urgenti, per un’area come quella di Mindanao che stenta ad uscire da una insostenibile condizione di sottosviluppo, forte ostacolo all’avanzamento del processo di pace. Dal 1970, gruppi di fondamentalisti islamici conducono infatti una lotta armata contro il governo di Manila per la secessione dell’isola. (A. R.)          

 

 

ALLARME DELL’ONU: IN FORTE AUMENTO NEL BENIN IL BANDITISMO DI STRADA,

CON FURTI, RAPINE E OMICIDI. IL FENOMENO AGGRAVA LO SCENARIO CRIMINALE

DEL PAESE AFRICANO, GIA’  NOTO PER IL TRAFFICO DI BAMBINI, DROGA ED ARMI. SECONDO ESPERTI LOCALI, LA CAUSA VA RICERCATA NELLA CRISI

ECONOMICA CHE HA FATTO IMPENNARE I PREZZI DEI GENERI DI BASE

 

COTONOU. = Allarme criminalità in Benin. Le fragili condizioni economiche del Paese africano - denunciano esperti dell’ONU - hanno causato, negli ultimi tempi, un forte aumento di atti violenti, banditismo di strada, furti e rapine a mano armata. Le vie principali del Paese sono infestate da criminali che derubano e taglieggiano automobilisti e camionisti e uccidono perfino per estorcere magri bottini. “La polizia locale - riferisce l’agenzia Fides - non è in grado di affrontare da sola la situazione e il governo ha deciso di impiegare l'Esercito per combattere il banditismo di strada”. Secondo il sociologo locale, Jean Luc Quassi, sarebbero stati gli aumenti del 25 per cento dei prezzi del pane e della benzina le principali cause dell'esplosione della criminalità. ''I prezzi dei generi di base, come il mais, sono triplicati negli ultimi mesi'', dichiara il sociologo. Il direttore generale della Polizia del Benin, Abassi Alle, ritiene invece che l'incremento della delinquenza sia dovuto alla facilità di attraversare la frontiera tra Benin e Nigeria, perché in queste zone di confine hanno base i banditi, che quando sono ricercati in un Paese si rifugiano nell'altro e viceversa. “In molti casi - ha spiegato Abassi Alle - ci troviamo di fronte a reti criminali ben organizzate che hanno referenti in entrambi i Paesi''. Il Benin, inoltre, è da anni al centro di un vasto traffico di bambini impiegati nel lavoro: oltre 4 mila i ragazzini “esportati” ogni anno oltre confine. Come ha spiegato un missionario all'agenzia Fides, il Benin “è il crocevia del traffico dei minori nella regione; anche dal vicino Togo i bambini fanno tappa qui per poi essere inviati in Costa d'Avorio e Nigeria, dove vengono sfruttati nelle piantagioni”. “Si tratta - ha aggiunto il religioso - di uno dei tanti traffici che fanno base” nel Benin, dove passano anche le rotte della droga e delle armi. (R.G.)

 

 

“USARE LO STRAORDINARIO POTERE DELL’AMORE”: CON QUESTO MESSAGGIO

IL NUNZIO APOSTOLICO IN INDIA, L’ARCIVESCOVO PEDRO LOPEZ QUINTANA, HA INVITATO LE COMUNITÁ CRISTIANE DEGLI STATI NORD ORIENTALI DEL PAESE ASIATICO A COSTRUIRE UN FUTURO DI PACE E SERENITÁ

 PER LE LORO TRAVAGLIATE POPOLAZIONI

 

NEW DELHI. = Il nunzio apostolico, l’arcivescovo Pedro Lopez Quintana, si è recato di recente in visita negli Stati di Nagaland e Manipur, nell’India nord-orientale. È questo il primo viaggio del rappresentante della Santa Sede, secondo quanto rileva l’agenzia Fides, in un’area attraversata da tempo da aspri conflitti etnici e sociali. Il suo arrivo è stato salutato con estremo favore dalle autorità locali, con le quali ha discusso della necessità di cooperare per riportare la situazione verso un sentiero di pace. A questo scopo, l’arcivescovo, rivolgendosi alla comunità cattolica della diocesi di Kohima (capoluogo del Nagaland), riunita per l’occasione nella cattedrale, ha invitato i fedeli ad “usare lo straordinario potere dell’amore”. Solo il perdono, solo il rifiuto dell’utilizzo di “forme di nazionalismo esasperato, razzismo e intolleranza” – ha precisato il presule – possono efficacemente contrastare l’odio e la violenza che caratterizzano questi territori. Lo Stato del Nagaland da più di 50 anni conduce infatti una lotta accanita contro il governo federale: una campagna per l’indipendenza portata avanti dal gruppo indigeno di maggioranza, i Naga, tradottasi nella morte di oltre 100 mila persone, soprattutto fra gli appartenenti ai gruppi etnici minoritari dell’area. Simile la situazione nel vicino Manipur, al cui interno operano gruppi separatisti di etnia Naga per annettere alcune zone del territorio in un Nagaland indipendente. Anche qui mons. Lopez Quintana, in un messaggio alle Chiese cristiane della zona, ha ribadito il proprio interesse a che le comunità lavorino fianco a fianco per riportare adeguate condizioni di serenità fra la popolazione locale. Il nunzio apostolico ha quindi partecipato alle celebrazioni per il 25 anniversario di fondazione dell’Arcidiocesi di Imphal, capoluogo dello Stato del Manipur. (A. R.) 

 

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24 ORE NEL MONDO

8 novembre 2005

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

Il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, in visita al Cairo ha invitato oggi la Siria a “continuare a cooperare all’inchiesta internazionale sull’assassinio dell’ex primo ministro libanese, Rafic Hariri. Il capo della diplomazia egiziana, Ahmed Aboul Gheit ha annunciato, dopo un colloquio con Annan, che il segretario generale dell’ONU preferisce che il processo agli accusati si tenga in Libano.

        

In Israele dura sconfitta al parlamento per il governo Sharon. Ieri la Knesset ha bocciato la nomina di tre nuovi ministri, un voto che mette a rischio l’ultima parte della legislatura israeliana, che si concluderà tra un anno.

 

Tamer Hammoud Hadi, uno degli avvocati di Barzan al-Tikriti, coimputato con Saddam Hussein nel processo sul massacro di circa 150 sciiti, è stato ferito da uomini armati a Baghdad. E’ una notizia appena arrivata di cui non si conoscono ulteriori dettagli. Non è l’unico episodio di violenza in Iraq, mentre porsegue la visita in Italia del  presidente iracheno e mentre si parla del presunto uso da parte delle truppe americane di armi chimiche a Falluja. Il nostro servizio:

 

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Il presidente iracheno Talabani, in visita ufficiale a Roma, ieri ha ringraziato l’Italia per il contributo dato all’Iraq nel cammino verso la democrazia. Talabani, che giovedì sarà in visita da Benedetto XVI, ha incontrato il presidente della Repubblica, Ciampi, ed il presidente del Senato, Pera. E la sua visita ha portato maggioranza ed opposizione a trovare un punto d’incontro sul rientro delle truppe italiane dall’Iraq: la linea attuale non prevede nessun ritiro immediato delle truppe, ma smobilitazione graduale ed in accordo con il governo di Baghdad. Intanto, negli Stati Uniti è polemica sul presunto utilizzo da parte delle truppe americane di armi chimiche a Falluja, in particolare bombe al fosforo. La notizia, pubblicata, in Italia da Rainews 24, è stata smentita dal Pentagono che ha confermato l’utilizzo di fosforo, ma solo per illuminare le postazioni della guerriglia. Intanto sul terreno, forze statunitensi e irachene sono impegnate in un’operazione contro  un’insurrezione di arabi sunniti  che si oppongono al governo a guida sciita e curda. Ci sono poi vari episodi di violenza: un colonnello delle forze irachene e suo fratello uccisi da una bomba a sud di Bassora. 4 militari statunitensi e un interprete colpiti a morte ad un checkpoint nei pressi di Baghdad. Un poliziotto ucciso e altri 5 feriti da insorti a Baquba. Infine, una bomba è esplosa presso l’Università Mustansiriyah nella zona est della capitale, ferendo due passanti.

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E l’Iraq continua ad essere il più grande problema dell’amministrazione Bush, che deve far fronte alle polemiche interne causate dalle continue morti di marines. Il presidente Bush è tornato ieri a Washington, dopo 5 giorni in America Latina. Dopo aver visitato Argentina e Brasile, l’ultima tappa lo ha portato a Panama.

 

La Corte Suprema americana si pronuncerà sulla validità dei tribunali militari istituiti dall’amministrazione Bush per giudicare i detenuti di “guerra contro il terrorismo”. L’attenzione è puntata in particolare sui detenuti della base di Guantanamo, a Cuba, dove sono reclusi centinaia di prigionieri, parte dei quali arrestati in Afghanistan.

 

Maxi retata ieri in Australia. In un’operazione antiterrorismo condotta a Sidney e a Melbourne sono state arrestate 17 persone. I fermati sono accusati di preparazione di attacchi estremisti. Tra loro anche un religioso islamico radicale, Abu Bakr.

 

Il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, ha detto che terrà conto del fatto che l’occidente ha espresso critiche sul voto parlamentare di domenica scorsa, sollevando dubbi sugli standard raggiunti di democraticità, dopo che gli alleati Stati Uniti hanno detto che le elezioni potrebbero avere effetti sui legami tra i Paesi. L’opposizione intanto ha annunciato proteste di piazza dopo che i risultati del voto hanno attribuito la maggioranza assoluta al partito in carica di Aliyev. L’Azerbaijan ha stretti legami con Paesi occidentali che hanno compagnie petrolifere che hanno investito pesantemente nell’estrazione del petrolio nella repubblica musulmana della regione caucasica. Aliyev, da parte sua, ha detto che complessivamente lo svolgimento del voto è stato democratico e trasparente a parte casi di violazioni delle norme in sette  o otto collegi elettorali, sui 125 totali. Aliev ha aggiunto che saranno puniti i responsabili delle violazioni e che non sarà permesso a funzionari che hanno avuto un comportamento scorretto di gettare un’ombra sulle elezioni.

 

A un mese esatto dal terremoto che ha colpito la regione pakistana del Kashmir, causando oltre 70 mila morti, ieri, in un rapporto presentato al palazzo di Vetro, le Nazioni Unite hanno detto che ci sarebbero oltre 100 mila sopravvissuti che non sono stati ancora raggiunti dai soccorsi. Oltretutto la temperatura sta scendendo in fretta nelle vallate himalayane colpite dal sisma. Da New Delhi, Maria Grazia Coggiola:

 

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Anche per le famiglie che hanno ancora un tetto, circa 70 mila, è emergenza perché mancano cibo e medicine, secondo quanto riportato dal PAM. Preoccupa anche la situazione sanitaria nelle tendopoli allestite nei grandi centri. Si teme l’arrivo di un’altra ondata di sfollati, costretti ad abbandonare i villaggi di montagna devastati, per scendere a valle. Di fronte all’immensità della catastrofe, India e Pakistan ieri hanno aperto un primo punto di passaggio per i soccorsi, attraverso il loro confine conteso in Kashmir. Una ventina di camion carichi di cibo, tende e medicine indiane hanno attraversato la linea di controllo diretti ad una città a  65 km da Muzaffarabad. E’ stato un evento storico, paragonabile all’apertura del collegamento autobus tra le due capitali kashmire, lo scorso aprile. Per ora però non è stata possibile la circolazione delle persone che hanno bisogno di un permesso speciale rilasciato dalle due autorità. Molte famiglie kashmire, giunte al valico nella speranza di attraversare e visitare i loro congiunti sul versante indiano, sono state disperse dall’esercito pakistano con lacrimogeni. Nei prossimi giorni è prevista l’apertura di altri due punti di passaggio.

 

Da New Delhi, per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.

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L’influenza aviaria continua a preoccupare il mondo. Ieri la conferma di una nuova vittima in Vietnam. La pandemia ci sarà, è solo questione di tempo: è quanto ha affermato nuovamente ieri il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della Sanità, Lee Jong-Wook. Lo ha fatto nel discorso di apertura al summit internazionale sul virus dei polli, in corso a Ginevra, dove sono arrivati i più importanti esperti mondiali. Ma si può pensare che sia inevitabile una pandemia? Debora Donnini lo ha chiesto a Giovanni Rezza, direttore del reparto di epidemiologia del dipartimento di malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità:

 

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R. – Quando si dice è inevitabile, credo che sia un termine in qualche misura esatto da un punto di vista scientifico, se guardiamo al lungo termine. La gente, però, pensa che “inevitabile” voglia dire che succederà domani. Allora io dico potrebbe succedere anche domani, però potrebbe anche non succedere domani e non succedere fra un anno. Siamo di fronte ad una situazione in cui c’è una grande epidemia dei volatili. La situazione sembra essere fuori controllo per quanto riguarda la diffusione e l’infezione nei volatili anche domestici, quindi polli e tacchini, nel sud-est asiatico, in parte dell’Estremo Oriente. I casi umani però sono ancora sporadici e la trasmissione tra uomo e uomo non è ancora efficiente. Io credo che nessuno di noi possa sapere in questo momento quando e se la trasmissione interumana di H5N1 diventerà efficiente. Questo potrebbe avvenire e non avvenire. Potrebbe avvenire con un altro virus aviario e non con H5N1. Potrebbe avvenire con H5N1 fra un giorno, come fra un anno, dieci anni o 50 anni. In questo momento è difficile prevederlo.

 

D. – Secondo alcuni studi ogni nuova epidemia su scala globale è potenzialmente in grado di provocare fra i 100 e i 200 mila morti, solo negli Stati Uniti…

 

R. – Questo è molto difficile da prevedere, perché mentre possiamo prevedere che un virus nuovo faccia milioni di casi, in quanto la popolazione mondiale non ha anticorpi rivolti contro questo virus - questo è molto possibile, anzi è probabile - non sappiamo, invece, quella che potrebbe essere la mortalità, perché questa dipende dal tasso di letalità, ovvero sia quante persone muoiono su un certo numero di malati. Allora, siccome questo virus per adattarsi all’uomo deve mutare, potrebbero mutare insieme alla contagiosità anche le caratteristiche della virulenza. Più virulento è difficile, perché per ora praticamente riesce ad uccidere una persona su due di quelle che contagia. Potrebbe, però, per esempio diventare meno virulento. Quindi, direi che questo è difficile da prevedere.

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Trasferta a Santiago del Cile per i magistrati di Lima che devono occuparsi dell’estradizione dell’ex presidente del Perú Alberto Fujimori, arrestato domenica scorsa nella capitale cilena. Un funzionario del governo giapponese ha detto che il Giappone ha chiesto a Lima di trattarlo con giustizia. Il 67enne Fujimori è stato arrestato ieri a Santiago dove era giunto dal Giappone, Paese originario dove ha vissuto in questi anni dopo che è scoppiato lo scandalo corruzione che lo ha travolto nel 2000. E’ ricercato, infatti, in Perú, per questioni legate a diritti umani e corruzione.

 

Il direttore di un quotidiano thailandese è stato ucciso a colpi d’arma da  fuoco ieri sera nella provincia di Narathiwat, nel sud della Thailandia, in preda a violenze di gruppi separatisti. Lo hanno reso noto oggi fonti della polizia. Abdulloh Mama, 37 anni, direttore del Thongtin Thai, è stato ucciso nella città do Sungai Kolok da uomini armati che lo hanno seguito a bordo di un pick-up. Secondo un ufficiale della polizia locale, l’omicidio può essere legato a un regolamento di conti personale, ma anche alle violenze separatiste. Una settimana fa era stato assassinato il proprietario di un giornale di Pattaya (150 km a est di Bangkok), il cui quotidiano aveva rivelato l’esistenza di una rete di prostituzione in cui  erano coinvolti dei poliziotti.

 

 

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