RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
307 - Testo della trasmissione di giovedì 3 novembre 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Etiopia:
nuovi scontri ad Addis Abeba. La polizia presidia la
città. Intervista con Emilio Manfredi
Il rapporto tra
Occidente e Islam al centro del “Saturno Film Festival”: con noi, Ernesto G.
Laura
CHIESA E SOCIETA’:
Lettera aperta dei vescovi dello Sri Lanka per le elezioni presidenziali del 17 novembre
Il PAM chiede aiuti immediati per 6 Paesi africani:
la carestia colpisce milioni di persone
Nelle Filippine, un prete
cattolico impegnato a favore dei diritti umani riceve minacce di morte
L’ONU pubblica la
“lista nera” dei responsabili dei massacri nel Congo-ex
Zaire
Rispetto al 2004, diminuisce del 25 per cento la
produzione di oppio in Myanmar
Inaugurato in Nord Uganda un
sacrario in ricordo di 2 missionari martiri beatificati nel 2002
Ieri a Milano conferenza internazionale
dedicata all’Anno mondiale della fisica
Iraq:
4 civili feriti nel raid aereo americano a nord di Baghdad. Al Qaeda annuncia che ucciderà i due
impiegati dell'ambasciata marocchina rapiti giorni fa
3 novembre 2005
Solo se la scienza e la tecnica rispettano “l’inviolabile
dignità dell’uomo” e la vita umana in “tutte le sue fasi”, il nostro futuro sarà
“veramente umano”. E’ quanto ha detto il Papa ricevendo oggi in Vaticano i
membri del Gruppo parlamentare dell’Unione Cristiano-Sociale della Dieta
Bavarese,guidati dal leader del partito e presidente
del governo regionale della Baviera, Edmund Stoiber. Ce ne parla Sergio Centofanti:
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Festoso incontro nella Sala
Clementina in Vaticano tra il Papa e i suoi connazionali. Benedetto XVI parla della sua
“amata Patria bavarese” dove è nato il 16 aprile di 78 anni fa. La Baviera – ha
ricordato il Pontefice -
ha avuto nella sua storia
un legame particolare con la Cattedra di Pietro. E
oggi è all’avanguardia nel mondo per quanto riguarda la ricerca, la scienza e
la tecnica. Benedetto XVI sottolinea il fatto che in
Baviera lo sviluppo tecnologico e scientifico si armonizza con una tradizione
culturale e religiosa molto ricca. “E’ proprio in questa armonia
– afferma il Papa – che si trova la promessa di un futuro veramente umano”. Le
sfide della modernità interpellano infatti i
responsabili della politica. “Dal progresso delle scienze – nota Benedetto XVI
– possono venire benedizione o rovina”. Diventa dunque fondamentale la scelta
di coloro che hanno la responsabilità di decidere se
usare in modo giusto o abusare dei progressi tecnologici: “uomini e donne che
sono consapevoli della loro responsabilità davanti a Dio, datore di ogni
vita, faranno il loro meglio affinché
sia l’inviolabile dignità dell’uomo – la cui vita è sacra in tutte le sue fasi
– a determinare il modo di trattare le nuove cognizioni scientifiche”.
“Perchè i beni più alti della nostra cultura
occidentale siano rispettati e promossi anche in futuro – ha aggiunto il Papa –
è naturalmente necessaria un’educazione della gioventù che non tenga conto
soltanto della dimensione tecnica ed economica, ma anche di quel patrimonio
spirituale caratterizzato dai nomi di Atene,
Gerusalemme e Roma”. In questo contesto Benedetto XVI
ha menzionato il contributo indispensabile che danno le facoltà teologiche
bavaresi alle università del Paese. “Io stesso – ricorda il Papa - ho avuto l’onore di
fare ricerca e di insegnare per alcuni anni come professore di dogmatica alla facoltà
teologica dell’Università di Ratisbona”.
Infine Benedetto XVI ricorda il periodo in cui
è stato arcivescovo di Monaco: “nel cuore della mia
città vescovile mai dimenticata” – ha detto – sorge la statua di Maria, Patrona della Baviera. “Maria, la
Madre di Dio – ha concluso il Papa – abbia anche in
futuro un posto privilegiato nei cuori dei bavaresi”.
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ALTRE UDIENZE
Benedetto XVI ha ricevuto stamani il primo gruppo di
vescovi dell’Austria in visita ad Limina.
La visita dei presuli austriaci si concluderà l’8
novembre prossimo.
Nel pomeriggio, Benedetto XVI riceverà in udienza il cardinale Georges Marie Martin Cottier, pro-teologo della Casa Pontificia
RINUNCIA
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo
pastorale della diocesi di Hearst, in Canada,
presentata da monsignor André Vallée, della Società
per le Missioni Estere della Provincia di Québec, per
raggiunti limiti di età.
IERI SERA, BENEDETTO XVI ALLE GROTTE VATICANE PER
UN
MOMENTO DI PREGHIERA PRESSO LE TOMBE DEI PAPI.
IL
PONTEFICE HA RICORDATO IN PARTICOLARE IL SUO AMATO
PREDECESSORE,
GIOVANNI PAOLO II, A SETTE MESI DALLA MORTE
Come
annunciato all’Angelus di martedì scorso, festa di Ognissanti,
Benedetto XVI si è recato ieri sera alle Grotte Vaticane per pregare presso la
tomba di San Pietro e degli altri Pontefici. Un pensiero speciale è stato
rivolto dal Papa al suo predecessore, Giovanni Paolo II. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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Unendosi
spiritualmente a quanti si sono recati nei cimiteri per la commemorazione dei
fedeli defunti, Benedetto XVI si è raccolto presso le tombe dei Pontefici. Una
visita svoltasi in forma strettamente privata, in un clima di particolare
emozione. Ascoltiamo le parole con le quali il Santo Padre ha introdotto il
momento di preghiera:
“In
queste Grotte Vaticane, affidiamo alla misericordia del Padre coloro che qui hanno il loro sepolcro e attendono la risurrezione
della carne, in particolare Giovanni Paolo II e gli altri Sommi Pontefici che
hanno svolto il servizio di Pastore della Chiesa universale, perché siano
partecipi dell’eterna liturgia del cielo”.
Già
all’udienza generale di ieri mattina, Benedetto XVI aveva ricordato il suo
amato predecessore, a sette mesi esatti dalla morte, il 2 aprile scorso. “Nella
ricorrenza della sua ordinazione sacerdotale e del suo onomastico – aveva detto
il Pontefice ai pellegrini riuniti in piazza San
Pietro – rendiamo grazie a Dio per i frutti della vita e del Ministero di
questo Servo di Dio”. Proprio un primo novembre, quello del 1946, Giovanni
Paolo II veniva ordinato sacerdote. Domani poi, Festa
di San Carlo Borromeo, si festeggiava l’onomastico di
Papa Karol Wojtyla. Come tutti ricordano,
proprio l’allora cardinale Joseph Ratzinger
presiedette le esequie di Giovanni Paolo II, l’8 aprile scorso.
Un’omelia, quella pronunciata dal futuro Pontefice, il cui ricordo
è vivissimo nel cuore di quanti hanno amato Papa Wojtyla:
“L’amore
di Cristo fu la forza dominante nel nostro amato Santo Padre. Chi lo ha visto
pregare, chi lo ha sentito predicare, lo sa. E così, grazie a
questo profondo radicamento in Cristo ha potuto portare un peso, che va oltre
le forze puramente umane: essere pastore del gregge di Cristo, della sua Chiesa
universale”.
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LA
FEDE SENZA RAGIONE PUÒ DIVENTARE PREDA DEL FONDAMENTALISMO.
COSÌ
IL CARDINALE PAUL POUPARD PRESENTANDO IL CONVEGNO
“L’INFINITO
NELLA SCIENZA, NELLA FILOSOFIA E NELLA TEOLOGIA”,
UN’INIZIATIVA
DEL PROGETTO STOQ IN PROGRAMMA A NOVEMBRE ALLA LATERANENSE
“L’infinito nella scienza,
nella filosofia e nella teologia”. E’ il tema del primo congresso internazionale
del progetto STOQ, ‘Scienza, teologia e la questione ontologica’, in programma dal 9 all’11 novembre
all’Università Lateranense e presentato stamani nella Sala Stampa della Santa
Sede. Il convegno, che proporrà un confronto tra scienziati,
filosofi e teologi, sarà incentrato sull’Infinito, comune denominatore per un
dialogo a 360 gradi tra matematica, cosmologia, antropologia e teologia.
Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Il presidente del
Pontificio Consiglio della Cultura, cardinale Paul Poupard, dopo aver sottolineato
l’importanza del dialogo all’interno della Chiesa cattolica tra la cultura
scientifica e la cultura della fede, ha spiegato come nel dialogo della Chiesa
con il mondo non si tratti solo di trovare una formula che assicuri rapporti di
buon vicinato con le scienze, o di denunciare possibili sconfinamenti.
“Sappiamo – ha detto il cardinale – dove può condurre una ragione scientifica
fine a sé stessa”, citando la bomba atomica e la
clonazione. “Ma siamo anche consapevoli – ha aggiunto
– dei pericoli di una religione che recide i suoi vincoli con la ragione e
diventa così preda del fondamentalismo”. “I credenti – ha precisato il
porporato – hanno l’obbligo di mettersi all’ascolto di ciò che la scienza secolare
offre”:
“Già ai
tempi di Galileo Galilei il cardinale Baronio disse questo aforisma: ‘La
Sacra Scrittura non ci insegna come va il cielo, ma come si va al cielo’. Quello che interessa è che l’universo non si è
fatto da solo, ma che ha un Creatore. E’ importante per i
credenti sapere come la scienza vede le cose per capire meglio. Come
avrebbe detto Pascal è una questione di altro ordine”.
Durante la conferenza stampa,
sono state poi ricordate alcune delle domande che stimoleranno il convegno alla
Lateranense: L’universo è finito o infinito nello spazio e nel tempo?
L’universo si espande all’infinito? La tesi della potenziale infinità della
mente umana è ancora sostenibile, di fronte alle scienze cognitive moderne, per
giustificare la libertà e la razionalità delle singole persone? A tali quesiti
saranno chiamati a rispondere, fisici, matematici e religiosi analizzando i
legami tra scienza, filosofia e teologia. Il progetto Stoq
è stato avviato nel 2003, a mille anni esatti dalla morte di uno dei primi pionieri
dell’incontro tra scienza e fede nella cristianità
medievale, Papa Silvestro II. L’iniziativa, che ha già
coinvolto oltre 650 fra studenti e professori provenienti da tutto il mondo, è
coordinata dal Prontificio Consiglio della cultura.
Il progetto Stoq è stato promosso da tre Università
pontificie romane – Lateranense, Gregoriana e Regina Apostolorum
– ed è finanziato dalla John Templeton, la più
importante realtà privata impegnata nel dialogo tra scienza e religione.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina - Iraq:
strage per un’autobomba esplosa contro la moschea sciita di Mussayyb
Servizio vaticano - Due
pagine dedicate al cammino della Chiesa in Italia.
Servizio estero - Medio
Oriente: reiterate violenze minacciano di sgretolare la tregua nei Territori.
Servizio culturale - Un
articolo di Paolo Miccoli dal titolo “Tommaso, Agostino
e la parola interiore”: un volume dell’“opera omnia” di Bernard Lonergan.
Servizio italiano - In
rilievo il tema della finanziaria.
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3 novembre 2005
MANIFESTAZIONE QUESTA SERA A ROMA PER PROTESTARE CONTRO LE
DICHIARAZIONI DEL PRESIDENTE DELL’IRAN SULLA CANCELLAZIONE DELLO STATO
D’ISRAELE
- Intervista con Alberto Zanconato -
Si inasprisce il confronto politico tra Italia e Iran. Stasera a Roma si
preannuncia un’ampia partecipazione alla manifestazione, organizzata dal
quotidiano “Il Foglio” di Giuliano Ferrara, davanti all’ambasciata di Teheran per riaffermare il diritto di Israele
ad esistere dopo le dichiarazioni del presidente iraniano Ahmadinejad sulla
cancellazione di questo Stato dalla carta geografica. Questa sera alle 21.00
scenderanno in strada fianco a fianco leader ed
esponenti di partito di entrambe le coalizioni, insieme alla comunità ebraica
ed a rappresentanti dei sindacati e della società civile. Ma
Teheran come si prepara a rispondere alla fiaccolata
di questa sera a Roma? Roberto Piermarini lo ha
chiesto al corrispondente dell’ANSA nella capitale iraniana, Alberto Zanconato:
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R. –
Prima di tutto con una protesta ufficiale ieri l’ambasciatore italiano a Teheran è stato convocato al Ministero degli Esteri, dove
gli è stata presentata una nota ufficiale. Il portavoce del Ministero degli
Esteri di Teheran ha risposto alle affermazioni del ministro
degli Esteri, Fini, che aveva auspicato un rinvio del
dossier nucleare iraniano al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per eventuali
sanzioni. E altresì ha detto che le affermazioni di
Fini sono al di fuori di ogni norma diplomatica, perché fatte in Israele e, in
sostanza, sono emanazione della propaganda israeliana. Quindi,
questa è la risposta ufficiale.
D. –
Cosa c’è dietro questa offensiva di Teheran contro Israele?
R. –
Tutti ovviamente si chiedono perché il presidente Ahmadinejad sia uscito con
frasi come queste, che hanno, è vero, sempre rappresentato la posizione ufficiale
della Repubblica islamica. Ma ci si chiede perché sia
uscito con frasi come queste in un momento in cui l’Iran è sotto i riflettori e
sotto la pressione internazionale per il suo programma nucleare. Quello che
sembra di capire è che vedendo anche il monito lanciato da Ahmadinejad ai Paesi
arabi moderati, perché non riconoscano Israele, l’Iran è preoccupato per
l’avanzare del processo di pace in Medio Oriente. E dopo il ritiro israeliano
da Gaza, poiché l’Iran è sempre stato contrario ad una soluzione come quella su
cui si sta discutendo, e cioè due Stati – palestinese
e israeliano – sembra intimorito, sembra reagire alla possibilità che questo
piano vada avanti. Il presidente Ahmadinejad ha appunto detto
che commetterebbero un crimine quei Paesi islamici che riconoscessero Israele
dopo il ritiro da Gaza.
D. – Questo atteggiamento contro Israele può essere legato anche
al fatto che alcuni elementi del governo di Teheran
spingono per la ripresa del programma nucleare iraniano?
R-. –
Sì, in realtà non hanno mai detto che c’era stata una
rinuncia al programma, ma solo una sospensione temporanea. Questo è stato
l’atteggiamento di tutti i dirigenti iraniani, non solo di quelli conservatori
o ultra conservatori, legati ad Ahmadinejad. Certo è che le prese di posizione di Ahamdinejad in tutti i settori,
compreso quello nucleare, fanno pensare ad una svolta intransigente nella
politica estera e tra le prove su cui ci si può basare per affermare questo è
il fatto che è stato annunciato proprio ieri un vasto rimpasto nei ranghi
diplomatici, con la sostituzione di ben 40 ambasciatori, tra i quali quelli in Francia, Germania e Gran Bretagna,
i Paesi con cui l’Iran ha portato avanti trattative sul nucleare per quasi 2
anni. E questi ambasciatori sostituiti sembrano essere
per la maggior parte ambasciatori considerati troppo moderati.
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ETIOPIA, NUOVI SCONTRI AD ADDIS ABEBA:
LA POLIZIA PRESIDIA LA CITTÀ
- Con noi, Emilio Manfredi -
Sono ancora
presidiate dalla polizia le strade della capitale etiopica Addis Abeba, dopo
gli incidenti degli ultimi giorni tra oppositori e forze dell'ordine, il cui bilancio è di almeno 37 morti e 200 feriti. L’opposizione
accusa il governo del premier Meles
Zenawi di aver vinto le elezioni del 15 maggio con i
brogli. Nuovi disordini sono stati segnalati anche stamattina, dopo che
l’esercito aveva circondato lo stadio della città, dov’erano riunite circa 10
mila persone per la fine del Ramadan. Sulle ragioni
dell’escalation di violenza in Etiopia, Giada Aquilino ha raggiunto
telefonicamente ad Addis Abeba il giornalista
free-lance Emilio Manfredi:
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R. – Questi
scontri nascono da un vecchio problema, che risale almeno a diversi mesi fa.
Qui in Etiopia si sono svolte le elezioni generali il 15 maggio. L’opposizione
ritiene di avere vinto le consultazioni e ha contestato i risultati forniti dal
governo, che continua a detenere la maggioranza assoluta in Parlamento e,
dunque, a governare. Lunedì è iniziata una forma di sciopero qui in città,
martedì c’è stata la serrata dei negozi, poi sono cominciati
dei lanci di pietre contro i militari in assetto antisommossa e la polizia
federale. I militari hanno risposto sparando sulla gente: sia su chi
manifestava, sia su chi lanciava sassi, sia su chi semplicemente scappava o cercava
di rientrare a casa. Ci sono stati i primi morti. Nel pomeriggio è stato
arrestato tutto il comitato centrale del partito di opposizione,
il CUD. E’ esplosa forte la rabbia della popolazione e altrettanto forte è esplosa la risposta dei militari e della polizia federale
del governo di Meles Zenawi.
D. – Quanto
incide sugli scontri la ripartizione del potere tra le varie etnie?
R. – Al
momento, al potere c’è una maggioranza di etnia
principalmente tigré, mentre i due
principali partititi di opposizione hanno una derivazione dall’etnia amhara e dall’etnia oromo. Di certo si può dire che negli ultimi tempi soprattutto, i partiti di
opposizione hanno preso molto piede a livello generale nel Paese. Ricordiamo
poi che gli oromo e gli amhara
sono due componenti assolutamente maggioritarie nella
popolazione e invece si trovano ad avere pochissimo potere con questa
maggioranza e con questo governo.
D. - Sembra
riaccendersi la tensione anche con l’Eritrea. Perché?
R. – La
tensione con l’Eritrea era soltanto sopita e anch’essa attendeva di riesplodere. E’ stato tracciato un confine dopo gli accordi
di pace di Algeri del 2000, un confine che prevede che
la zona di Bademme appartenga e
sia sotto controllo eritreo. In realtà, questo villaggio è ancora occupato da
truppe etiopiche. A questo si appoggia il presidente eritreo, Isaias Afeworki, per rivendicare i territori e per dichiarare
l’inutilità della presenza e della supervisione delle Nazioni Unite su questa
pace raggiunta faticosamente dai due Paesi. Di rimando possiamo dire che entrambi i governi, che in questo momento hanno
grosse difficoltà interne, possono avere un buon interesse a confrontarsi con
un nemico esterno da presentare alle proprie popolazioni, per cercare di
coprire i rispettivi problemi nazionali.
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IL RAPPORTO FRA OCCIDENTE E ISLAM AL
CENTRO DEL “SATURNO FILM FESTIVAL”
DI
ANAGNI E ALATRI
-
Intervista con Ernesto G. Laura -
Dedicato al cinema e al documentario storico, nasce il
Saturno Film Festival: ospitato nelle cittadine antiche di Anagni e Alatri, da oggi fino a
domenica 6 novembre, la piccola rassegna cinematografica vuole essere un invito
alla memoria e alla coscienza storica del presente. Il servizio di Luca
Pellegrini.
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Sceglie
di esplorare e discutere due argomenti di grande e sofferta attualità la prima
edizione di questo nuovo, piccolo Festival cinematografico: il rapporto fra
Occidente e l’Islam e il dialogo tra le culture. In una
prospettiva, però di rigore storico, perché ai rapporti tra cinema e storia è dedicata
la rassegna. L’originalità del Festival è, infatti, quella di trattare
il cinema storico non come “genere”, ma promuovere film in grado di raccontare
le trasformazioni del mondo e della realtà, quel cinema capace anche di slancio
epico, civile e politico. Dalla storia delle Crociate alla tragedia della Shoah, la rassegna presenta retrospettive
e documentari, accompagnati anche da tre tavole rotonde dedicate ai
rapporti tra cinema, televisione e storia. Il direttore Ernesto G. Laura,
storico e critico del cinema, lo definisce un “festival del tempo”: in quale
senso?
R. – Il
perché è dato dal fatto che un po’ tutti noi ci lamentiamo della perdita di
memoria storica nei giovani, in particolare, che hanno spesso orizzonti abbastanza
limitati all’esistenza quotidiana. Quindi, utilizzare
il cinema per riproporre in modo interessante, ma
anche approfondito, quello che è il passato, premessa necessaria per capire il
presente e per costruire il futuro. Secondo elemento, perché
mentre io non credo ai festival che tentano in piccolo di imitare i grandi
festival, sono invece convinto che ci sia uno spazio per tutte quelle
manifestazioni che scelgono un tema particolare da cui guardare al pianeta
cinema. Cureremo poi anche delle retrospettive, e ci tengo particolarmente
a quella su Alessandro Blasetti con “La Corona di
ferro”, perché oltre alla storia ci interessa anche il
mito, che è in qualche modo un velo che avvolge la storia, ma da cui si possano
trarre delle profonde verità. “La Corona di ferro” è un film di pace, per la
libertà contro i tiranni, curiosamente realizzato nel 1940, in piena guerra, da
un regista di grande statura.
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3 novembre 2005
“UN PROCESSO DI PACE CHE NON ESCLUDA NESSUN SOGGETTO
POLITICO E SOCIALE
E ASSICURI IL BENE DELL’INTERA
NAZIONE”: È QUANTO CHIEDONO
I VESCOVI DELLO SRI LANKA, IN UNA
LETTERA APERTA DIFFUSA
IN VISTA DELLE ELEZIONI PRESIDENZIALI
DEL PROSSIMO 17 NOVEMBRE
COLOMBO. = “No” a un clima di conflitto e di intolleranza; “sì” a un
processo di pace che non escluda nessun soggetto politico e sociale e assicuri
il bene dell’intera nazione: è l’appello lanciato dai vescovi dello Sri Lanka in una lettera aperta
diffusa in vista delle elezioni presidenziali previste nel Paese il prossimo 17
novembre. La Conferenza episcopale esorta i fedeli a considerare i programmi
dei candidati alla luce del bene comune, facendo anche attenzione a quanti difendono i diritti e le libertà delle minoranze etniche e
religiose. I vescovi notano con preoccupazione il crescente estremismo
religioso che si registra nel Paese e invitano tutte le comunità a seguire
criteri di tolleranza, dialogo, apertura, ricordando la questione della legge
“anti-conversioni” che ha attraversato il dibattito politico lungo tutto il
2005. “Il prossimo mandato presidenziale - si legge nella lettera - sarà determinante per condurre il Paese sulla via della pace. Il
capo di Stato dovrà impegnarsi in passi coraggiosi per cercare una soluzione a
tale questione nazionale. Deve immediatamente finire il circolo vizioso della violenza che sta distruggendo i territori del
Nord e dell’Est del Paese e che sta mettendo in serio pericolo il già fragile
accordo di cessate il fuoco”. I vescovi chiedono al nuovo presidente di tenere in considerazione tutti i punti di vista nell’affrontare il
processo di pace, costruendo un più ampio consenso politico sul futuro del
Paese. Sulla partecipazione dei cristiani alla vita politica, i vescovi ricordano
che essa rientra nella doverosa ricerca del bene comune e nella difesa delle
libertà e dei diritti fondamentali dell’uomo. (R.M.)
IL PROGRAMMA ALIMENTARE MONDIALE DELL’ONU (PAM) CHIEDE AIUTI IMMEDIATI
PER 6 PAESI SUDAFRICANI: LA MORTE PER FAME INCOMBE SU 10 MILIONI DI PERSONE
- A cura di Roberta Moretti -
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GINEVRA.
= Quasi 10 milioni di persone in 6 paesi dell’Africa meridionale hanno urgentemente
bisogno di aiuti alimentari, ma la comunità
internazionale non sta rispondendo agli appelli per raccogliere fondi: è quanto
ha denunciato ieri, in una conferenza stampa a Ginevra, il Programma alimentare
mondiale dell’ONU (PAM). “I governi
hanno il potere finanziario di salvare vite umane nella regione, ma esitano”,
ha dichiarato il direttore regionale del PAM, Mike Sackett, lamentando la “ciclica” sparizione dei drammi
dell’Africa dalla coscienza internazionale, non appena si allenta l’attenzione
sulle diverse crisi umanitarie. “I bambini dell’Africa meridionale – ha
aggiunto – hanno invece bisogno di aiuto adesso, prima
che i loro corpi emaciati appaiano sugli schermi televisivi”. Non meno di 9,7
milioni di persone in Lesotho, Malawi,
Mozambico, Swaziland, Zambia e Zimbabwe necessitano di
assistenza alimentare fino ad aprile 2006, data del prossimo raccolto. A causa
della siccità, i raccolti sono stati scarsi e la crisi è aggravata dalla
povertà endemica e dalla pandemia di AIDS. Il prezzo
del mais è esploso, moltiplicandosi fino a 11 volte in alcune regioni dello
Zimbabwe. In alcune zone rurali la popolazione ha come unico cibo radici e
frutti selvatici e intere famiglie sono morte per
intossicazione. “E’ tragico che con tanta ricchezza nel mondo, così poca sia
destinata a coloro la cui esistenza ne dipende”, ha concluso
il direttore del PAM, riferendosi, in particolare, ai Paesi esportatori di petrolio
che non hanno ancora risposto alla richiesta di fondi, nonostante gli introiti
record registrati a causa dell’aumento del prezzo del greggio.
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“SARAI IL PROSSIMO A ESSERE UCCISO”: NELLE FILIPPINE, UN PRETE CATTOLICO
IMPEGNATO
A FAVORE DEI DIRITTI UMANI RICEVE MINACCE DI MORTE
DENTRO
IL CESTINO DELLE OFFERTE IN CHIESA
MANILA. =
Biglietti con minacce di morte dentro il cestino delle offerte in chiesa.
A riceverli è stato padre Rollie de Leon, parroco della chiesa di Sant’Andrea di Norzagaray, nelle Filippine. Il
sacerdote ha raccontato all’agenzia AsiaNews
che alla fine della messa di sabato scorso i chierichetti hanno trovato nel
cestino delle offerte 4 buste più pesanti del solito e, insospettiti, gliele
hanno consegnate. “Quando le ho aperte – ha riferito
padre de Leon, anche portavoce di una
associazione per i diritti umani – ho visto che ognuna conteneva la
stessa minaccia contro la mia persona: Sarai il prossimo a essere ucciso”. Secondo
il sacerdote, la frase lascia pensare che il mittente abbia già commesso almeno
un altro omicidio. Padre de Leon, intanto, ha già
preso misure di precauzione contro possibili attentati: “Ricevere minacce in
chiesa – ha commentato – è diverso che riceverle nella propria casa”. Gli
abitanti della zona e i parrocchiani hanno condannato le intimidazioni,
definendo gli autori “messaggeri di morte”. Norzagaray
all’inizio dell’anno è stata teatro dell’assassinio del pastore protestante,
Zinnie Monteciko, ucciso fuori
dalla sua chiesa. Fonti anonime ritengono che dietro l’omicidio vi siano
bande di bracconieri locali, indispettitisi con il pastore per avere più volte denunciato l’abbattimento illegale di alberi nella
zona. (R.M.)
L’ONU PUBBLICA LA “LISTA NERA” DEI
RESPONSABILI DEI MASSACRI
NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO PER IL CONTROLLO DELLE RICCHEZZE.
TRA LE RESTRIZIONI IMPOSTE AGLI ACCUSATI, IL DIVIETO DI RECARSI ALL’ESTERO
E IL BLOCCO IMMEDIATO DELLE
RISORSE ECONOMICHE
KINSHASA. = Ex-comandanti
ribelli, capi di fazioni armate foraggiate da Rwanda e Uganda per il controllo
delle ricchezze della Repubblica Democratica del Congo,
ma anche ex-generali “governativi” e trafficanti di armi: sono una quindicina i
destinatari dei provvedimenti restrittivi imposti dall’ONU, che ha reso noto
ieri l’elenco di alcuni dei responsabili di massacri e violenze nel Paese. A
loro, per la prima volta la comunità internazionale ha imposto il divieto di
recarsi all’estero, il blocco immediato di tutte le risorse economiche e ogni
azione che possa garantire loro benefici anche
indiretti a livello finanziario. Nell’elenco figurano alcuni capi ribelli
arrestati nella provincia orientale dell’Ituri, dove
in pochi mesi la missione di pace dell’ONU (MONUC) è riuscita a decapitare le
principali fazioni armate, colpevoli di stragi di civili, mentre gestivano
traffici di oro, coltan e
altri minerali. Nella lista compaiono anche i nomi di due “latitanti”, come gli
ex-ufficiali dell’esercito congolese, Jules Mutebusi e Laurent Nkunda, che a giugno del 2004 guidarono un gruppo di insorti alla conquista di Bukavu,
nel sud Kivu, provocando un’ottantina di vittime
civili. Il provvedimento colpisce anche il “dottor” Ignace
Murwanashy-Aka, residente in Germania, presidente
delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (FDLR), organizzazione hutu accusata di violenze nell’Est del
Congo e “coinvolta – si legge nella lista preparata da un apposito
comitato del Consiglio di sicurezza ONU – in traffico di armi in violazione
dell’embargo”. E ancora, Douglas
Mpano, dirigente della compagnia aerea “Grandi
Laghi”, “i cui velivoli – è scritto – sono stati usati per garantire assistenza
ai gruppi ribelli”. Nella “lista nera” compare anche l’ugandese,
James Nyakuni, a conferma
del ruolo di questo Paese nei traffici di armi a
favore di gruppi ribelli congolesi. La guerra del
1998-2003, dovuta soprattuto al saccheggio sistematico delle risorse dell’ex-Zaire, ha provocato non meno di 2 milioni e mezzo di
vittime, anche per fame e malattie. Nell’Est del Congo
l’insicurezza dura tuttora: malgrado 15 mila ribelli disarmati in Ituri, la MONUC non riesce a impedire violenze nelle
province del Nord e Sud Kivu. (R.M.)
RISPETTO
AL 2004, DIMINUISCE DEL 25 PER CENTO LA PRODUZIONE DI OPPIO
IN
MYANMAR: LO RIFERISCE L’UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE CONTRO LA DROGA
E IL
CRIMINE (UNODC) NEL SUO RAPPORTO ANNUALE
VIENNA.
= Il Rapporto 2005 dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il
crimine (UNODC) sulla produzione di oppio in Myanmar (ex Birmania), riferisce di un calo di oltre il 25
per cento rispetto al 2004. Nel Paese, uno dei principali produttori al mondo,
secondo solo all’Afghanistan, le aree di coltivazione dell’oppio sono passate
dai 44.200 ettari dello scorso anno agli attuali 32.800. E c’è una riduzione pari al 26 per cento del numero delle famiglie
coinvolte in questa attività. Nonostante la notizia
sia stata accolta con estrema soddisfazione dall’Ufficio dell’ONU, cautele sono
state espresse dal suo direttore esecutivo, Antonio Maria Costa, preoccupato di eventuali ripercussioni sulle persone che da sempre
vivono dei proventi ricavati dal commercio dell’oppio. Secondo Costa, i piccoli
coltivatori e le loro famiglie rischiano infatti di
perdere quella disponibilità economica necessaria per accedere ai pubblici
servizi e, in particolare, per scampare a una situazione insostenibile di
povertà. Per questo motivo – sostiene il direttore dell’UNODC – non è possibile
pensare di poter combattere il narco-traffico con misure che si traducano poi in veri e propri “disastri umanitari”. Costa
invita quindi la comunità internazionale ad “avere la saggezza di combattere
droga e povertà contemporaneamente, eliminando le cause e gli effetti di due
problemi concatenati”. (A.R)
INAUGURATO IN NORD UGANDA UN SACRARIO IN RICORDO DEI 2 MISSIONARI MARTIRI,
DAVIDE OKELLO E GILDO IRWA,
PROCLAMATI
BEATI DA GIOVANNI PAOLO II NEL 2002
KAMPALA. = Nei giorni scorsi, mons. John Baptist Odama, arcivescovo di Gulu, in Uganda, ha celebrato, nel distretto di Pader, l’inaugurazione di un sacrario, per ricordare il
martirio dei missionari nordugandesi, Davide Okello e Gildo Irwa. I due erano
stati proclamati beati da Giovanni Paolo II il 20 ottobre del 2002, perché
testimoni esemplari di un difficile lavoro di evangelizzazione
nel Paese. Giunti nel 1915 nella zona Acholi di Kitgum, nel Nord Uganda, i missionari si trovarono
fatalmente coinvolti nelle lotte intestine sollevate da gruppi di rivoltosi
locali, per contrastare sia l’avanzata dei colonizzatori britannici, sia
l’attività missionaria dei cristiani. Furono barbaramente uccisi da due guerriglieri
locali, rispettivamente a 18 e 14 anni, fra il 18 e il 20 ottobre del 1918. Le
testimonianze raccolte dopo la loro morte descrivono
il martirio dei due giovani, che hanno volontariamente rinunciato alla vita in
nome della fede, piuttosto che cedere alle pressioni dei loro assassini. A tre
anni dalla fondazione della missione comboniana di Kitgum, monsignor Odama ricorda
il venerabile gesto di Davide e Gildo, significativo
per un popolo da tempo coinvolto in un atroce conflitto interetnico. Dal 1986,
i ribelli dell’Esercito di Liberazione del Signore
conducono una campagna di violenza e di terrore nel Nord del Paese, con
l’obiettivo di rovesciare il governo centrale. Il presule ha condannato la
guerra civile in atto, nella convinzione “che il perdono e la riconciliazione
siano l’unica strada giusta per la pace”.
(A.R.)
“L’UNICO USO AMMESSO DELLA SCIENZA È A BENEFICIO E A SERVIZIO
DELL’UOMO”:
COSI’,
IL PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE MONDIALE DEGLI SCIENZIATI,
PROF. ANTONINO ZICHICHI, INTERVENENDO IERI A MILANO AD
UNA CONFERENZA
INTERNAZIONALE
DEDICATA AL 2005, ANNO MONDIALE DELLA FISICA
- A
cura di Fabio Brenna -
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MILANO.
= Il 2005 è stato dichiarato ‘anno
mondiale della fisica’.
Cento anni fa gli scritti di un impiegato dell’Ufficio Brevetti di Berna, Albert Einstein, rivoluzionarono le teorie sulla natura e sulle
sue leggi. Il Prof.Antonino Zichichi,
presidente della federazione mondiale degli scienziati, ha ripercorso allora
questo secolo mutato dalle scoperte di Einstein, nel corso di una conferenza con la quale la Fondazione Europea Dragàn e il centro Unesco di
Milano hanno voluto contribuire alle celebrazioni del 2005 quale anno mondiale
della fisica. Zichichi ha espresso un ottimismo di fondo nell’approccio attuale con la scienza. “Non si rifletterà
mai abbastanza – ha osservato lo scienziato – su come la fine della guerra
fredda abbia sconfitto il pericolo di una guerra nucleare che avrebbe potuto
distruggere il mondo”. Zichichi ha quindi sottolineato i progressi ottenuti dalla scienza, che si sta
avviando a comprendere le leggi fondamentali della natura e i componenti della
materia. Questo progressivo avvicinamento al centro del sapere “dimostra che
non siamo figli del caos”, ha aggiunto Zichichi. Ultimo passaggio del suo lungo ed appassionato intervento, il
problema sempre attuale di quale uso fare delle scoperte scientifiche. Zichichi su ciò è stato categorico: “L’unico uso ammesso è
a beneficio e a servizio dell’uomo, per promuovere la pace, per
cui bisogna vigilare sugli usi distorti imposti dalla tecnica e dalla
politica”. Un impegno, questo, sottoscritto da 10 mila scienziati di tutto il
mondo e contenuto nel Manifesto di Erice,
promosso nel 1982 proprio da Zichichi.
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3 novembre 2005
- A cura di Fausta Speranza -
A Jenin, in Cisgiordania, è in
condizioni gravissime un ragazzino palestinese di 13 anni colpito dal fuoco
delle truppe israeliane nell’operazione organizzata per catturare i membri
della Jihad accusati di essere
mandanti dell'attacco
kamikaze del 26 ottobre, costato la vita a 5 israeliani. Ieri il ministro della
Difesa israeliano, Shaul Mofaz,
a Washington aveva detto che Israele è pronta a riprendere
il dialogo per la pace con il presidente dell’ANP, Abu
Mazen, non appena verranno smantellati i gruppi
terroristici.
Il presidente
siriano, Bashar al-Assad,
ha ordinato ieri il rilascio di 190 detenuti politici. La decisione giunge in
un momento particolarmente delicato per Damasco. Il Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite ha, infatti, approvato, nei giorni scorsi, la risoluzione
1636, in cui ha ingiunto alla Siria di “cooperare pienamente” alle indagini ONU
sull’uccisione dell’ex premier libanese, Rafik Hariri.
Quattro civili sono stati feriti oggi all'alba durante un raid aereo americano contro obiettivi a nord di Baghdad.
Intanto, al Qaeda in Iraq fa sapere di aver deciso di giustiziare i due
impiegati dell'ambasciata
marocchina rapiti circa dieci giorni fa. Sono le notizie della mattina dopo l’ennesima
giornata di sangue di ieri e mentre negli Stati Uniti e anche in Italia resta
in primo piano la vicenda Niger-gate. Il nostro servizio:
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Un’altra strage di sciiti e un’altra volta di fronte a una moschea nella cittadina di Mussayb,
a 55 km. a sud di Baghdad. Almeno 20 i morti nell’attentato fatto alla vigilia dell’Id
al-Fitr, la festività islamica che segna la fine del
Rama-dan. E sempre a sud della capitale è morto ieri il colonnello William Wood colpito mentre cercava di soccorrere un capitano: è l’ufficiale americano
di più alto grado ad essere stato ucciso
in Iraq da quando è cominciata la guerra. Di soldati USA ieri
ne sono morti 4 in tre episodi separati. Tra questi la caduta di un
elicottero nei pressi di Ramadi che – poi si è avuta
conferma – è stato abbattuto da elementi della guerriglia. E mentre non si placa la
violenza nel Paese del Golfo, la presidenza Bush è
sempre alle prese con il Cia-gate legato al Niger-gate,
il caso del falso dossier sull’acquisto di uranio dal
Niger da parte dell’Iraq di Saddam Hussein. Il caso ha chiamato in causa anche
l’Italia, o meglio il SISMI. Ma l’intelligence militare
si dichiara estraneo ai fatti: afferma di non aver avuto alcun ruolo nel confezionare
il dossier né tantomeno di averlo consegnato o accreditato presso
la CIA. Oggi il direttore dell’intelligence militare, Nicolò Pollari
ed il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi
segreti, Gianni Letta, riferiranno al Comitato parlamentare di controllo sui
servizi segreti (COPACO). E l’audizione di oggi sembra
molto attesa anche negli Stati Uniti, dove il presidente George
W. Bush è nell’occhio del
ciclone proprio per l’opera di disinformazione fatta per giustificare l’intervento
militare in Iraq. Per seguire le dichiarazioni di oggi
nel Parlamento italiano si sono accreditati giornalisti di diversi media americani,
dal New York Times
alla CNN, dal Los Angeles Times al Wall Street Journal
ad ABC News.
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Tra imponenti
misure di sicurezza, ma anche dopo l’annuncio di forti proteste di piazza anti-statunitensi,
arriva oggi a Mar del Plata, in Argentina, il presidente
George Bush, che prenderà
parte al IV Vertice delle Americhe, con oltre 30 capi
di Stato. Il servizio è di Maurizio Salvi:
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A quasi
11 anni dall’annuncio fatto dal presidente Bill Clinton a Miami della creazione sul continente americano di
una grande area di libero commercio, le prospettive di
questo progetto restano ancora totalmente incerte. La situazione per Washington
è delicata al punto che lo stesso George Bush, che arriva oggi in Argentina per il quarto vertice
delle Americhe, ha dovuto rinunciare all’idea di forzare i 33 Paesi
latino-americani ed aderirvi a tutti i costi. Dal 1994
infatti il clima nel continente è profondamente mutato con il consolidamento
di una serie di governi progressisti o populisti che si rifiutano di abbattere
le barriere doganali, senza prima chiarire a fondo le regole del gioco, e
sfruttando anche il fatto che gli Stati Uniti nel conflitto iracheno, il
Brasile di Lula, e ancor più il Venezuela di Chavez, hanno criticato il progetto dell’area di libero
commercio delle Americhe, l’Alca, chiedendo per poter
avanzare nel dialogo più concessioni e, prima fra tutte, l’annullamento dei
sussidi agli agricoltori statunitensi.
Da Mar
del Plata, Maurizio Salvi, Ansa, per la Radio
Vaticana.
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Settima notte consecutiva di
guerriglia urbana alla periferia nord-orientale di Parigi abitata soprattutto
da minoranze nord-africane. Bande di giovani hanno inscenato violenti tumulti,
provocando ingenti danni. Le violenze, a stento arginate dalla polizia, si sono
scatenate giovedì scorso, dopo la morte di due minori che cercavano di sfuggire
alla polizia. Da Parigi, Francesca Pierantozzi:
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Non è bastato l’appello alla calma del presidente Jacques Chirac, né i toni più
comprensivi del governo per far scendere la tensione nelle periferie a nord di
Parigi. Il bilancio è ancora una volta grave: almeno un centinaio
le auto bruciate, 15 gli arresti, un posto di polizia preso d’assalto, vetrine
in frantumi. Alcuni giovani a viso coperto hanno sparato contro gli agenti della
polizia, proiettili veri, questa volta, non solo sassi. Non c’è stato nessun
ferito, ma la calma sembra ancora lontana. Durante la notte il ministro
dell’interno Nicola Sarkosi, da più parti criticato
per la sua politica del pugno di ferro e per le sue dichiarazioni poco pacificatrici,
si è recato al centro dipartimentale di pubblica sicurezza per presiedere una
riunione con i responsabili delle forze dell’ordine. La situazione è tornata più o meno alla normalità intorno alle 3. In
mattinata a Palazzo Martignon, sede del governo, si è
tenuta una riunione sulla situazione nei quartieri in rivolta, presente anche Sarkozi. Intanto si attendono i risultati dell’inchiesta
sulla morte giovedì scorso di due adolescenti rimasti folgorati in una cabina
elettrica, probabilmente mentre cercavano di sfuggire
alla polizia. E’ da questo episodio che è cominciata
la rivolta.
Francesca
Pierantozzi, da Parigi, per la Radio Vaticana.
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Il processo contro
13 uomini, sospettati di appartenere al Gruppo islamico combattente marocchino
(GICM), un movimento terrorista che si ritiene legato agli attentati di Madrid
del marzo 2004 e di Casablanca del maggio 2003, si è aperto questa mattina a
Bruxelles e, come previsto, dopo alcune questioni di carattere procedurale, le
udienze sono state aggiornate al 16 novembre prossimo. Tra gli accusati, in maggioranza marocchini,
figura anche Youssef Belhadj,
sospettato dalla giustizia spagnola di essere l'autore del video di rivendicazione degli attentati di Madrid.
E con gli attentato di Madrid e Londra sembra essere in relazione
anche la notizia che giunge dal Pakistan: un presunto militante di al Qaeda è
stato ucciso e un altro è stato arrestato nel
corso di una sparatoria avvenuta a Quetta. Il
ministro pachistano dell’Informazione, Sheik Rashid
Ahmed, ha
detto che lo scontro a fuoco è avvenuto
martedì e che l’uomo catturato è sospettato di essere il siriano Mustafa Setmariam Nasar coinvolto negli
attentati in Spagna e Gran Bretagna. Sul siriano, già ricercato a livello internazionale e
conosciuto anche con il nome di Abu Musab al Suri, “grava una taglia di cinque milioni di dollari”,
ha detto un dirigente governativo.
Intanto, continua a
crescere, in modo drammatico, il bilancio delle vittime del terremoto che lo
scorso 8 ottobre ha colpito il Pakistan. L’ultima stima, ancora provvisoria,
parla di oltre 73 mila morti e 69 mila feriti, che si
aggiungono alle 1.300 vittime nel Kashmir indiano. Cresce l’attesa, intanto, in
vista della Conferenza dei Paesi donatori, che si svolgerà
il prossimo 19 novembre.
Tre bambini
indonesiani, tutti al di sotto dei cinque anni,
sono stati ricoverati in un ospedale di Giakarta
per sintomi di influenza aviaria. Lo ha
riferito il ministro della sanità indonesiano, Siti Fadillah
Supari. I piccoli, ha detto l’esponente del governo, mostrano
tutti i segni del virus dei polli, ma ancora
mancano i risultati definitivi del test effettuato su di loro
In Thailandia una
testa senza corpo è stata trovata stamane nel
villaggio di Talogapo nella provincia meridionale di Pattani,
al confine con la Malaysia. Altre due persone
sono morte nell'esplosione di una bomba nella vicina città di Narathiwat.
Riprenderanno il 9 novembre
prossimo i colloqui a sei
sulla crisi nucleare nella penisola coreana. Ad annunciarlo un
portavoce del ministero degli Esteri di Pechino secondo cui l'appuntamento
definirà i criteri di applicazione dell’intesa
raggiunta il 19 settembre scorso. L’incontro segue di quasi due mesi l'apertura
di Pyongyang a smantellare il proprio programma
nucleare in cambio di aiuti e di migliori rapporti con
Washington e Tokyo.
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