RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
149 - Testo della trasmissione di domenica 29 maggio 2005
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
“Non è facile vivere da cristiani”. Lo ha sottolineato
Benedetto XVI durante la Messa conclusiva
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
160 Nazioni celebrano l’impegno
sociale per “costruire la civiltà dell’amore e della giustizia”
Iraq:
1 morto nell’attacco a un convoglio britannico ad Amara. Autobomba anche a
Kirkuk e Baghdad. La capitale circondata da 40 mila militari
Mostrata
in un video Clementina Cantoni, la cooperatrice italiana rapita in Afghanistan
13 giorni fa
Il
governo israeliano approva il rilascio di 400 detenuti palestinesi. Tre
ministri del Likud contrari
29 maggio 2005
“NON È FACILE VIVERE DA CRISTIANI”.
LO HA SOTTOLINEATO BENEDETTO XVI DURANTE LA MESSA
CONCLUSIVA
DEL XXIV CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE A BARI:
IN MIGLIAIA, GIOVANI E MENO GIOVANI, MOLTI IN
VEGLIA DA IERI SERA
“Non
è facile vivere da cristiani”. Lo ha ripetuto da Bari Papa Benedetto XVI, in un
passaggio dell’omelia della Messa con cui ha concluso il XXIV Congresso
Eucaristico Nazionale italiano, sul tema “Senza la Domenica non possiamo
vivere”. Nella spianata di Marisabella, sul Lungomare della cittadina
dell’Italia del Sud, di fronte ad una folla attenta e compatta, il Papa ha
ribadito il suo messaggio di speranza, di fedeltà al Vangelo e con una decisa accentuazione
ecumenica. Lo attendevano in migliaia, giovani e meno giovani, moltissimi dei
quali in veglia da ieri sera, al ritmo di uno spettacolo di canti e preghiere.
“Ci attendiamo un forte impulso missionario per recuperare la domenica come
giorno della festa della Chiesa e dell’uomo”, ha ripetuto don Antonio Staglianò
docente all’Istituto Teologico Calabro. Da Bari uno dei nostri inviati,
Fabrizio Mastrofini:
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Al termine di otto giorni di
Congresso Eucaristico Nazionale, nella solennità del Corpo e Sangue di Cristo,
Papa Benedetto XVI ha ripetuto che nella società di oggi non è certo facile
vivere da cristiani. Ma nella fame del deserto spirituale, è il Pane
eucaristico l’alimento capace di dare la forza per affrontare le fatiche e la
stanchezza della vita quotidiana:
“Il precetto festivo non è
quindi semplicemente un dovere imposto dall’esterno. Partecipare alla
Celebrazione domenicale e cibarsi del Pane eucaristico è un bisogno per il cristiano,
il quale può così trovare l’energia necessaria per il cammino da percorrere. Un
cammino, peraltro, non arbitrario: la strada che Dio indica mediante la sua
legge va nella direzione iscritta
nell’essenza dell’uomo”.
Benedetto XVI ha dedicato l’omelia
all’Eucaristia e all’ecumenismo, un tema strettamente legato a Bari, città di
San Nicola, ponte tra Oriente ed Occidente. Ed ha inserito la centralità della
celebrazione eucaristica nella vita cristiana all’interno di una più vasta
riflessione sul significato che oggi dobbiamo dare alla presenza di Dio nella
storia e nella vita personale di ognuno di noi. L’Eucaristia è centrale perché
non è un simbolo ma è il segno della reale presenza di Gesù che accetta anche
la defezione dei suoi discepoli e non cede dall’indicare la strada che bisogna
seguire.
“Nell’Eucaristia Cristo è
realmente presente tra noi. La sua non è una presenza statica. È una presenza
dinamica, che ci afferra per farci suoi, per assimilarci a sé”.
Il Cristo presente
nell’Eucaristia è lo stesso che porta per mano tutta la Chiesa, nei cinque
continenti:
“Il Cristo che incontriamo nel
Sacramento è lo stesso qui a Bari come a Roma, qui in Europa come in America,
in Africa, in Asia, in Oceania. E’ l’unico e medesimo Cristo che è presente nel
Pane eucaristico di ogni luogo della terra. Questo significa che noi possiamo
incontrarlo solo insieme con tutti gli altri. Possiamo riceverlo solo
nell’unità”.
Bari custodisce le reliquie di
San Nicola, terra di incontro e dialogo con l’Oriente. Il Papa ribadisce qui,
oggi, la sua volontà di assumere come impegno fondamentale quello di lavorare
con tutte le energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti
i seguaci di Cristo.
“Sono cosciente che per questo
non bastano le manifestazioni di buoni sentimenti. Occorrono gesti concreti che
entrino negli animi e smuovano le coscienze, sollecitando ciascuno a quella
conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso sulla via
dell’ecumenismo”.
E di grande suggestione nella
Messa è stata la proclamazione del Vangelo in lingua greca, che ha fatto
seguito alla lettura in italiano del brano del Vangelo di Giovanni, in cui Gesù
dice alle folle dei Giudei: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo”:
(prime parole del Vangelo in
lingua greca)
La presenza del Papa è servita a
centrare di nuovo l’attenzione sul tema dell’Eucaristia e sul significato della
domenica. Il motto scelto per il Congresso, “Senza la domenica non possiamo
vivere”, ci riporta alla persecuzione dell’anno 304, quando ad Abitene, in Tunisia,
un piccolo gruppo di cristiani venne sorpreso a celebrare nonostante i divieti
statali. Gli atti del processo prima del martirio riportano la motivazione di
quel gesto – “senza la domenica non
possiamo vivere” – data ai funzionari imperiali. Oggi non siamo nella persecuzione
ma certamente in una fase di indifferenza e di deserto spirituale – come dice
il Papa – che rende impegnativo il compito di dare testimonianza delle ragioni
della fede.
E tutto il Congresso, in questa
settimana passata, si è snodato lungo il binario della testimonianza e della
festa. Nei giorni scorsi è stato sottolineato anche l’impegno della Chiesa
italiana sul fronte della difesa della vita, con diversi interventi di
cardinali e arcivescovi, che hanno risposto a domande e spiegato di nuovo la
scelta della Conferenza episcopale di chiedere il non-voto ai credenti sul referendum
del prossimo mese di giugno.
Da Bari, per la Radio Vaticana,
Fabrizio Mastrofini.
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Al termine della Messa, dopo la
recita dell’Angelus, il Papa ha salutato una rappresentanza del Comitato
organizzatore. Quindi alle 12.30, raggiunto il campo sportivo alle spalle del
palco, si è congedato dalle autorità italiane che lo avevano accolto ed è
salito sull’elicottero per far rientro in Vaticano. E’ così terminato il XXIV
Congresso Eucaristico Nazionale, caratterizzato da diversi appuntamenti di
preghiera, di riflessione e di approfondimento. E ieri, la vigilia della prima
visita apostolica di Benedetto XVI è stata l’occasione per un primo bilancio
del Congresso, cominciato il 21 maggio scorso. Dal capoluogo pugliese, il
servizio del nostro inviato Fabio Colagrande:
**********
Nella conferenza stampa
conclusiva, il Comitato organizzatore ha reso noto le cifre di un evento
ecclesiale che ha registrato in 9 giorni 67mila iscritti, di cui 30 mila dalla
diocesi di Bari e Bitonto, 27 mila dalle altre diocesi pugliesi e circa 10 mila
dalle altre diocesi italiane. Secondo l’arcivescovo della città, mons.
Francesco Cacucci, l’elemento caratterizzante di queste giornate è stata la
presenza straripante di giovani, mentre, per quanto riguarda i contenuti, è
stato centrale il momento ecumenico di mercoledì quando, per la prima volta in
un Congresso eucaristico, si è parlato della domenica come segno fondamentale
nel cammino per l’unità dei cristiani. Il presule si è detto molto soddisfatto
della grande eco che il Congresso ha avuto a livello nazionale, anche se spesso
– ha osservato – i media hanno cercato il sensazionalismo.
Anche l’arcivescovo di Torino,
cardinale Severino Poletto, tra gli ospiti dell’ultima giornata congressuale,
ha osservato che è stato improprio ridurre il Congresso eucaristico al solo
tema del referendum sulla fecondazione artificiale, così come hanno fatto molti
organi di stampa. Mons. Cacucci, che è anche presidente del Comitato
organizzatore dei Congressi eucaristici italiani, si è detto altrettanto felice
per la risposta della città: “Dire che Bari è stata distratta è assolutamente
falso”, ha affermato rispondendo ai giornalisti.
A chiudere la giornata di ieri,
in attesa della domenica e dell’arrivo del Papa, è stata la grande
festa-spettacolo di musica, danza e poesia, dedicata alla Risurrezione, una
veglia che ha radunato circa 50 mila giovani sull’ansa di Marisabella, molti
dei quali hanno trascorso la notte sotto le stelle aspettando la
concelebrazione odierna. Un’ideale anticipazione della Giornata mondiale della
Gioventù di Colonia, dove il 14 agosto prossimo arriverà la Fiaccola della Pace
accesa all’inizio del Congresso e benedetta oggi dal Papa.
Da Bari, Fabio Colagrande, Radio
Vaticana.
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29
maggio 2005
APERTI I SEGGI NELLA CAPITALE DEL LIBANO PER LE
LEGISLATIVE
CHE SI CONCLUDERANNO IL PROSSIMO 19 GIUGNO.
OGGI SI VOTA SOLO NELLA CIRCOSCRIZIONE DI BEIRUT
- Intervista con mons. Mounged El-Hachem -
E’ iniziata stamani a
Beirut la lunga tornata elettorale per eleggere i 128 deputati del Parlamento
in Libano. Le legislative prevedono altre votazioni nelle prossime tre domeniche
e si concluderanno il 19 giugno. Grande favorito di questo primo appuntamento,
valido per la circoscrizione di Beirut e segnato per il momento da una bassa
affluenza, è il sunnita Saaddedin Hariri, figlio dell’ex premier Rafik Hariri
assassinato lo scorso 14 febbraio nella capitale. Alla consultazione, la prima
dopo il ritiro delle truppe siriane dal Paese dei Cedri, sono chiamati oggi
oltre 400 mila elettori mentre, complessivamente, gli aventi diritto al voto
sono più di due milioni e mezzo. Sull’odierna votazione in Libano, ascoltiamo
il vescovo di Baalbek - Deir el-Ahmar, mons. Mounged El-Hachem. L’inter-vista è di Andrea Sarubbi:
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R. –
E’ la prima volta, dopo trent’anni, che si tengono elezioni che rappresentano
un segno di vitalità e di democrazia. Noi vescovi invitiamo tutti ad andare a
votare, anche se purtroppo moltissimi deputati sono stati già dichiarati eletti
ancor prima delle elezioni. Questo è il caso di Beirut, dove su 19 appartenenti
alla lista di Hariri, già 9 sono a tutti gli effetti eletti, perché chi era
contro si è ritirato per un segno di protesta nei riguardi della nuova legge
elettorale.
D. –
Anche i vescovi protestano contro questa legge elettorale. Ma qual è il problema
principale?
R. –
Il problema principale è rappresentato dal fatto che le circoscrizioni sono
enormi. Tutto il sud, ad esempio, comprende zone a maggioranza cristiana dove
ci sono tre deputati maroniti che però sono stati scelti ed eletti dal
presidente del Parlamento. Lo stesso vale per Beirut. I cristiani non possono
quindi scegliere i loro deputati. Quello che noi presuli abbiamo chiesto è di
avere una circoscrizione piccola, nella quale l’elettore conosce il candidato e
viceversa. E’ una condizione indispensabile, questa, per poter scegliere tra i
candidati di ciascuna circoscrizione.
D. –
A sorpresa l’opposizione si presenta al voto divisa. Si puntava molto sull’ex
generale Aoun, cristiano, che non è però riuscito a trovare un accordo con
drusi e sunniti. Come mai?
R. –
Non ha potuto fare alcuna alleanza. Aoun ha presentato un programma politico ma
nessuno degli altri candidati si presenta con un programma. Vuole che sia
aperta un’inchiesta internazionale per punire tutti quelli che durante gli
ultimi 15 anni hanno accumulato un debito di 40-44 miliardi di dollari in un
Paese di 4 milioni di abitanti. Aoun, quindi, facendo tutte queste
dichiarazioni si trova isolato. Probabilmente, non riuscirà a stringere alleanza
con nessuno: ogni partito pensa soltanto a far eleggere il più gran numero dei
propri deputati invece di fissare un programma di governo.
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URNE
APERTE IN FRANCIA PER IL REFERENDUM SULLA COSTITUZIONE EUROPEA.
PROIEZIONI IN SERATA, MA I PRIMI RISULTATI
SOLO DOMANI
-
Intervista con Michel Rocard -
Sono circa 42 milioni i francesi chiamati oggi alle urne
per il referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale dell'Unione
europea. I seggi, aperti questa mattina alle 8.00, chiuderanno alle 20.00, ad
eccezione di Parigi e Lione, dove le operazioni di voto verranno prolungate di
altre due ore. La campagna elettorale ha spaccato il Paese e si è
caratterizzata per ripetuti appelli al voto da parte del governo francese, a
cominciare dal presidente Jacques Chirac e dal premier Jean-Pierre Raffarin.
Prime proiezioni si avranno stasera ma per i risultati bisognerà aspettare
domani.
Se verranno confermate le previsioni della vigilia, i
francesi respingeranno il Trattato, aprendo una crisi a livello europeo. Ed è
l'Europa intera ad attendere l'esito del voto. Nei giorni scorsi numerose
personalità del Vecchio Continente avevano invitato a votare ‘sì’, a cominciare
dal cancelliere tedesco Gerhard Schröder, che ha lanciato un forte appello ai
francesi affinché accolgano la Carta costituzionale, fino al premier spagnolo
José Luis Rodriguez Zapatero, secondo il quale “L’Europa non può avanzare senza
la Francia”.
Sappiamo il salto di qualità sul
piano politico che l’Unione Europea può fare con la Costituzione che rafforza
le istituzioni europee ormai deboli per un’Europa a 25. Ma quali sono le
motivazioni di chi sostiene il ‘no’? Fausta Speranza lo ha chiesto all’ex primo
ministro francese Michel Rocard, politico socialista di lungo corso:
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R. –
JE CROIS QUE, DANS L’EXPLOSION FRANÇAISE DU NON ...
Credo che, nell’esplosione
francese del “no” pesino tre fattori, di cui nessuno da solo è sufficiente a
spiegare. Il primo punto è che noi abbiamo sempre avuto, da un punto di vista
storico, tanto all’estrema destra quanto all’estrema sinistra, un certo numero
di “souvrainistes”: il nostro stesso partito comunista ha sempre giocato con le
carte del nazionalismo ... Può sembrare curioso, può sembrare “scandaloso”,
come atteggiamento di un partito comunista, ma è così. Però, questi si uniscono
ai “souvrainistes” dell’estrema destra, e già solo questi due gruppi messi
insieme arrivano a formare un buon 30 per cento dei francesi!
D. – Quindi, il rischio è che
questo voto non sia un voto realmente sulla Costituzione?
R. –
OUI, BIEN SUR! LE DEUXIEME ELEMENT C’EST QUE ...
Ovviamente ! Il secondo
punto è che esiste un contenzioso aperto, visibile a tutti, tra il popolo
francese e il presidente Chirac. Egli è stato rieletto nel 2002 con l’82 per
cento dei voti, perché all’opposizione era emerso il candidato fascista. A quel
punto i francesi hanno detto: “Questo, no!”. Però, questo significa che il presidente
della Repubblica è stato eletto con una metà dei voti, anzi un’ampia metà dei
voti della sinistra. E da quel momento, egli ha condotto una politica fortemente
a destra, fiscalmente estremamente conservatrice: è una politica che va a
favore dello 0,5 per cento dei francesi più ricchi, il che comunque non è
corretto. Ecco questo è quello che pensano i francesi che provano un grande
risentimento: questo ne è il motivo principale.
Il terzo punto, invece, possiamo
chiamarlo “sociale” ma che in definitiva è solo una forma di perplessità dei
francesi nei riguardi di una mondializzazione mal gestita: si sentono contro
questa situazione in cui la disoccupazione dura troppo a lungo, la crescita è
rallentata, le continue ristrutturazioni dell’industria, tanti licenziamenti,
molto trasferimenti ... questo fa sì che la classe operaia e la classe
impiegatizia francese vivono nella coscienza di un costante “pericolo” per il
proprio lavoro. Non è solo per via dei disoccupati, che comunque sono già
troppi; la minaccia pesa sugli altri! Ecco, è tutto questo che crea uno stato
di risentimento, e sfortunatamente questo risentimento va oltre il referendum
in sé e per sé, perché il referendum per l’approvazione della Costituzione non
ha nulla a che vedere con il nostro presidente: qualsiasi cosa accada, lui
comunque rimarrà al suo posto! E’ quindi sbagliato fare questo tipo di
confusione.
Per quanto riguarda la
mondializzazione, direi che l’Europa ne è piuttosto vittima che non causa e
possiamo rammaricarci del fatto che l’Europa non sia più capace di difenderci
da questa mondializzazione. Ma dal momento che essa non è più capace di
difenderci è necessario rafforzarla. Ecco perché è necessario adottare la
Costituzione! Il voto dettato dal risentimento produce l’effetto contrario!
D. – La partecipazione della
gente al dibattito sull’argomento in questo periodo è stata alta: questo
comunque è un buon segno, non crede?
R. –
OUI. CA C’EST LE SEUL AVANTAGE DE L’AFFAIRE: ...
Sì, e questo è l’unico aspetto
positivo di tutta la faccenda. Qualunque sia il risultato, sarà stata la prima
volta che abbiamo avuto un grande dibattito, anche molto approfondito,
sull’Europa. Il testo della Costituzione ha spopolato nelle librerie, pur
essendo stata inviata a titolo gratuito a tutti gli elettori: la gente ha
cercato testi di approfondimento, i dibattiti hanno ricevuto tanti approfondimenti
... Forse, alla fine, questo potrà contribuire a sbrogliare un po’ il malinteso
... Il dibattito è stato straordinariamente intenso, ma allo stesso tempo con
un forte significato simbolico e anche, forse, eccessivo ...
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I PROBLEMI DELLA POPOLAZIONE DEVONO TORNARE IN
PRIMO PIANO
NELL’AGENDA
DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE: APPELLO DEI DEMOGRAFI,
RIUNITI
NEI GIORNI SCORSI A ROMA IN UN CONVEGNO INTERNAZIONALE
-
Intervista con Antonio Golini -
Il 2050
è alle porte per i demografi abituati ad interrogarsi sugli andamenti della
popolazione nei tempi lunghi. Così, in questi giorni, dopo mezzo secolo dalla
prima Conferenza dell’ONU sulla popolazione che si svolse a Roma nel 1954, sono
tornati nella capitale italiana studiosi di ogni Continente, demografi,
statistici, economisti ed esperti delle varie agenzie sociali delle Nazioni Unite,
per analizzare i futuri scenari della popolazione mondiale nel XXI secolo. Il
Convegno internazionale si è svolto in settimana all’Accademia dei Lincei, che
lo ha organizzato insieme con l’Università “La Sapienza” di Roma. Roberta Gisotti
ha intervistato il prof. Antonio Golini, accademico dei Lincei, ordinario di
Demografia nell’Ateneo romano:
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R. – Si
presenta lo scenario di una forte crescita della popolazione, innanzitutto, e
di una forte differenziazione. Noi ci aspettiamo, nei prossimi 50 anni, che la
popolazione del mondo cresca circa di due miliardi e mezzo, sempre che non ci
siano nuovi eventi catastrofici o nuove epidemie. E questi due miliardi e mezzo
stanno tutti concentrati nel Sud del mondo mentre il Nord del mondo, il Nord
ricco, sarà a crescita zero e resterà ad 1,2 miliardi. Così, nei prossimi 50
anni, noi ci aspettiamo che i rapporti di popolazione cambino profondamente, da
quattro abitanti nel Sud del mondo per ogni abitante del Nord, quale è adesso,
si arriverà a sei a uno.
D. – Si
prospettano, dunque, rivolgimenti importanti. Eppure il dibattito sulla demografia
sembra essere stato accantonato dopo la Conferenza del Cairo del ’94 ...
R. –
Dopo la Conferenza si è puntato molto, e giustamente a quell’epoca, sugli
aspetti individuali della crescita della popolazione perché, ovviamente, una
popolazione è fatta di individui e dei loro comportamenti. Quindi si è puntato
a cercare di convincere ed indurre gli individui ad avere comportamenti più
corretti e, soprattutto, si è puntato molto giustamente sulla nuova condizione
della donna. Solo che, perché si abbiano degli effetti desiderati, occorre
tempo, occorre che si smaltiscano gli effetti che si hanno di generazione in
generazione. E un altro punto chiave è che ormai le dinamiche di popolazione si
sono molto differenziate. Noi abbiamo, da un lato, la necessità di politiche
che, soprattutto nell’Africa Subsahariana, incoraggino una minore dimensione
della famiglia, ma, dall’altro, per esempio in Italia e in Spagna, abbiamo
necessità che le famiglie e i loro bimbi siano incoraggiati perché,
effettivamente, in Italia si va verso l’invecchiamento e un declino assai difficile
da gestire.
D. - E’
comunque importante capire che i problemi della popolazione sono trasversali a
tutti gli altri problemi sociali?
R. –
Assolutamente. E’ chiaro che, per esempio, i fatti economici sono a monte e a
valle della popolazione nel senso che, le forze di lavoro, che dalla popolazione
derivano, producono dei beni e servizi che dalla popolazione saranno consumati.
La società è fatta di individui e di popolazione. L’analisi della popolazione è
trasversale ma, soprattutto, ha un grande vantaggio rispetto ad altre scienze
sociali: guarda alla catena delle generazioni, la generazione dei figli e dei
nipoti, e quindi ha la possibilità di guardare ad un lungo periodo.
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MIGLIAIA DI PERSONE IERI AL
CORTEO E AL CONCERTO, A ROMA, NELL’AMBITO
DELLA MANIFESTAZIONE ITALIA –
AFRICA. DEI CONFLITTI CHE INSANGUINANO
IL CONTINENTE AFRICANO SI
OCCUPA IL LIBRO INTITOLATO “LE GUERRE DEL SILENZIO”
- Intervista con Maurizio
Simoncelli -
Dare maggiore attenzione alle
guerre in corso, alle nuove schiavitù e rafforzare l’impegno per la pace e per
la giustizia. Sono alcuni degli appelli lanciati ieri nel corso della
manifestazione ‘Italia Africa’, iniziativa giunta alla seconda edizione che ha
lo scopo di far riflettere sui mali di cui soffre il Continente africano.
Secondo gli organizzatori, almeno cento mila persone hanno partecipato a Roma
al corteo per le vie del centro e al grande concerto in piazza del Popolo. Il
servizio di Jean-Baptiste Sourou:
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Piazza del Popolo a Roma ed un
solo palco dove cantanti, politici, atleti e responsabili di ONG hanno più
volte ripetuto che combattere contro la povertà è possibile. Ancora prima del
gran concerto, numerose persone hanno partecipato ad una marcia per l’Africa ed
un pubblico multietnico si è raccolto sotto il palco. Tantissimi sono stati i
giovani che sulle note della musica, italiana e africana, si sono intrattenuti
tra ritmi e melodie, in una serata tornata serena dopo la pioggia del tardo
pomeriggio. La pioggia non ha comunque scoraggiato quanti hanno voluto prendere
parte all’evento. Grazie alla partecipazione di cantanti e personaggi dello
spettacolo e dello sport, tra cui Carmen Consoli, Max Gazze, Georges Waeah,
Raiz, Angelique Kidjo, il pubblico ha vissuto un momento particolare. Una constatazione
ha accomunato tutti gli interventi: l’Africa è troppo vicina all’Europa per
essere lasciata da sola. Questo sforzo significa democrazia, lotta contro la
corruzione, lavoro per la pace, più spazio alle donne e un maggiore impegno per
un’Africa più unita e forte. “Italia - Africa non è solo un slogan ma è una
necessità”, hanno detto i rappresentanti della Comunità di Sant’Egidio. Per il sindaco di Roma, Walter Veltroni,
Italia - Africa non deve limitarsi ad un mandato politico ma deve radicarsi
nelle sensibilità degli italiani. Gli africani presenti alla manifestazione
hanno ringraziato gli organizzatori e ricordato le proprie responsabilità nel
lavorare insieme con l’Italia per rinforzare la rete Italia-Africa.
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E
proprio alla situazione dell’Africa, il Continente maggiormente sconvolto da
tensioni e conflitti, è dedicata una ricerca condotta dall’Archivio Disarmo e
proposta nel libro “Le guerre del silenzio. Alla scoperta dei conflitti e delle
crisi del XX secolo”. Il volume, edito dalla Ediesse, curato da Maurizio
Simoncelli e presentato nei giorni scorsi a Roma, analizza la dimensione
geopolitica delle guerre dimenticate nel mondo con il supporto di carte,
tabelle, dati e grafici illustrativi. Nel libro si sottolinea come i conflitti
ignorati dai grandi mezzi di informazione si combattano soprattutto negli Stati
ex coloniali dell’Africa. Ma quali sono, in particolare, le cause delle guerre
nel Continente africano? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto
all’autore del volume:
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R. – Motivo di grandi tensioni
sono le enormi ricchezze che ha questo Continente, forse il più ricco del mondo
per risorse minerarie e agricole. Contemporaneamente, ci sono però Stati che
mostrano in realtà tutta la loro debolezza e situazioni da “medioevo”: la popolazione
è la prima vittima di tutto questo.
D. – Numerose guerre vengono
dimenticate dai media. Perché?
R. – Perché sono guerre lontane
rispetto ai Paesi industrializzati, sono lontane dall’area del Medio Oriente, a
noi vicina storicamente. In televisione, noi troviamo quotidianamente notizie
sull’Iraq, sul Medio Oriente, ma le guerre che avvengono in Africa, invece,
sono poco raccontate. Di questi conflitti non si sa nulla. Bisogna comunque
dire che l’informazione su queste “guerre del silenzio” esiste ma va
rintracciata su riviste specializzate, su Internet o tra le fonti dei missionari.
Queste fonti spesso smentiscono la tesi del conflitto tribale. In molte guerre,
erroneamente definite “tribali”’, sono infatti coinvolte grandi multinazionali,
società petrolifere, imprese interessate a controllare l’estrazione dei
diamanti, del koltan, della cassiterite e di altre ricchezze.
D. – I conflitti si combattono
nel Terzo mondo, ma le armi si fabbricano in Occidente. E’ questo un intreccio
indissolubile?
R. – Questo sembra, ormai, un
dato storico: dalla seconda metà del XX secolo in poi, il commercio
internazionale delle armi è sostanzialmente in mano a pochissimi Paesi, grandi
potenze industriali, che controllano il 90-95 per cento del mercato mondiale
degli armamenti.
D. – Dal 1946 ad oggi, le guerre
scoppiano soprattutto in Paesi ex-coloniali. Perché?
R. – Questi Paesi, che per
secoli sono stati dominati dalle grandi potenze coloniali, sono stati lasciati
allo sbando. Non si è provveduto, infatti, a preparare una classe politica in
grado di gestire il passaggio da nazione schiavizzata a nazione indipendente.
D. – Negli ultimi anni un altro
dato impressionante riguarda la percentuale delle vittime civili…
R. – I conflitti attuali sono,
nella stragrande maggioranza, asimmetrici: non avvengono tra eserciti di
opposti Stati, ma tra forze governative e forze di opposizione. Rispetto alle
guerre dei secoli scorsi, il rapporto si è rovesciato: il numero delle vittime
civili è di circa il 90 per cento. Le vittime militari sono, invece, il 10 per
cento.
D. – Quanti sono i conflitti che
attualmente si combattono nel mondo e quali sono quelli più gravi?
R. – L’Archivio disarmo è stato
in grado di individuare circa una cinquantina di aree di crisi e di conflitto.
Se noi consideriamo le guerre che sono ancora in corso possiamo ricordare, in
Africa, le drammatiche guerre d’Algeria, del Burundi e del Congo.
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29
maggio 2005
GLI
OPERATORI DI PACE NEL MONDO: SI CELEBRA LA “GIORNATA INTERNAZIONALE
DEI PEACEKEAPERS ONU”, I CASCHI
BLU DELLE NAZIONI UNITE
IMPEGNATI ATTUALMENTE IN 17
MISSIONI DI PACE
BRUXELLES.
= “A tutti gli uomini e le donne che hanno servito e continuano a servire la
pace”: è con questa motivazione che oggi si celebra la “Giornata Internazionale
dei Peacekeepers ONU”, i noti caschi blu delle Nazioni Unite. Il Dipartimento
ONU delle Operazioni di Peacekeeping sostiene attualmente 17 operazioni. Quasi
82.000 persone sono dispiegate in queste missioni, circa 66.000 il personale
militare e più di 6.300 il personale civile internazionale. Negli ultimi
12 mesi, il Consiglio di Sicurezza ha avviato nuove operazioni ad Haiti, in
Burundi ed in Costa d’Avorio ed ha protratto il mandato della Missione
Organizzativa ONU nella Repubblica Democratica del Congo. Nei primi giorni di maggio,
è stato dispiegato il primo gruppo di caschi blu ONU per la nuova missione
delle Nazioni Unite in Sudan dove 10.000 soldati dovranno sostenere l’Accordo
Globale di Pace che ha concluso dopo 21 anni la guerra civile nella regione
africana. Il sottosegretario generale per il Peacekeeping, Jean-Marie Guèhanno,
in occasione della Giornata Internazionale, ha sottolineato come “nonostante i
successi ed i grandi cambiamenti apportati, la maggior parte delle missioni
operano in contesti volatili e precari. E’ necessario, quindi – ha aggiunto il
sottosegretario – sostenerle ed appoggiarle affinché esse raggiungano gli obiettivi
demandati”. (R.A.)
APPELLO DEL Presidente della
Conferenza Episcopale
della
Repubblica Democratica del Congo: “Il popolo soffre da 45 anni
a causa di guerre civili e gravi
disordini. Chiediamo a tutti
di astenersi da qualsiasi atto di
violenza”
Kinshasa. = “Chiediamo a tutti di
astenersi da qualsiasi atto di violenza”. Così mons. Laurent Monsengwo Pasinya,
arcivescovo di Kisangani e presidente della Conferenza Episcopale della Repubblica
Democratica del Congo (CENCO) invita i congolesi alla calma dopo gli ultimi
atti di violenza verificatisi nel Paese a causa del probabile slittamento delle
elezioni politiche che dovrebbero tenersi il prossimo 30 giugno. La nuova
Costituzione approvata dal Parlamento, infatti, introduce la possibilità di
rinviare le elezioni di 12 mesi. “Le violente reazioni popolari avvenute in
diverse parti del Congo – ha sottolineato mons. Monsengwo Pasinya - vanno
esaminate e valutate seriamente e in profondità, perché sono frutto di frustrazioni,
d’esasperazione a causa delle condizioni generali di vita sociale, e
d’impazienza davanti alle promessa di un avvenire migliore che tarda però a concretizzarsi”.
Per migliorare il clima sociale e politico della nazione, i vescovi congolesi
suggeriscono di prevedere almeno due mesi per spiegare alla nazione i punti
essenziali e più importanti del testo costituzionale, in vista del referendum
di approvazione della nuova Costituzione. In questo modo si rende tutta la popolazione
consapevole del proprio impegno alla pace. Come ha ribadito mons. Monsengwo
Pasinya, “il popolo congolese deve sentirsi partecipe nel processo di riconciliazione
nazionale che ogni cittadino deve promuovere”. (R.A.)
“Underconstruction,
aiutaci a costruire un mondo più giusto!”.
per la
prima volta nell’ambito della “GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU’”
160
nazioni CELEBRANO l’impegno sociale
PER
“costruire la civiltà dell’amore e della giustizia”
Colonia. = Nell’ambito delle “Giornate
di incontro nelle Diocesi tedesche” che avranno luogo dall’11 al 15 agosto 2005,
proprio in tutte le diocesi tedesche, in preparazione alla XX Giornata Mondiale
della Gioventù (GMG) a Colonia, un posto di rilievo sarà riservato alla
“Giornata dell’impegno sociale”, il 12 agosto. Lo slogan scelto per questa
giornata sarà “Underconstruction - aiutaci a costruire un mondo più giusto!”.
In preparazione a questa Giornata inoltre sarà realizzata una “Mappa della Diaconia”:
i giovani tedeschi faranno una ricerca sulla struttura sociale della loro
parrocchia e su questa base decideranno di realizzare un progetto sociale. “E’
la prima volta che si svolge una Giornata dell’impegno sociale nella cornice di
una GMG – ha sottolineato il Responsabile della sezione Incontri dell’Uf-ficio
organizzativo della GMG, Rafaela Ernst - e sarà una cosa molto speciale vedere
come giovani provenienti da 160 nazioni in questa Giornata cercheranno di
costruire insieme un mondo migliore. In questo modo, per i giovani impegnati e
per l’opinione pubblica, sarà possibile vedere come si realizza la solidarietà
universale. Dimostreranno inoltre che la solidarietà universale è necessaria e
fattibile per costruire insieme una nuova cultura dell’amore e della
giustizia”. (R.A.)
EMERGENZA CARESTIA IN NIGER. SONO
OLTRE 4 MILIONI GLI ABITANTI
DEL PAESE AFRICANO COSTRETTI AD
AFFRONTARE PENURIE ALIMENTARI.
PREVISTA IL 2 GIUGNO UNA MANIFESTAZIONE
PER RICHIEDERE DISTRIBUZIONE DI
CIBO GRATUITO
NYAMEY.
= “Più di 4 milioni di abitanti del Niger sono vittime della carestia. Migliaia
di uomini hanno abbandonato i villaggi per cercare rifugio nelle città,
lasciando al proprio destino mogli e figli”. Questa è la denuncia del
“Coordinamento democratico della società civile del Niger” (CDSN) che ha
indetto per il 2 giugno una manifestazione a Nyamey per richiedere
“distribuzione gratuita” di aiuti alimentari.
“Finora il regime ha fatto orecchie da mercante – ha ribadito il Coordinamento
democratico - punisce chi denuncia la carestia e insiste a voler vendere i beni
di consumo alla popolazione”. Le zone più colpite sono soprattutto nell’est,
nel nord e nell’ovest del Niger, uno dei Paesi più poveri del mondo, in gran
parte desertico, dove 11 milioni di abitanti vivono soprattutto di agricoltura.
Il direttore del Coordinamento democratico ha detto che la manifestazione
prevede una marcia e un incontro nella piazza antistante il Parlamento. A febbraio,
il “Sistema nazionale di allerta preventiva” del governo aveva censito 3,3
milioni di cittadini che si trovavano ad affrontare penurie alimentari. Secondo
l’Indice di sviluppo umano dell’ONU, il Niger è il penultimo Paese, al 176.mo posto,
solo prima della Sierra Leone. (R.A.)
18 CONFESSIONI A TRIESTE RICORDANO
PAPA WOJTYLA:
PRIMA VOLTA INSIEME PER INIZIATIVA DEL CONSIGLIO
COMUNALE
TRIESTE. = Trieste, città
multietnica e plurireligiosa, ha ricordato Papa Giovanni Paolo II con un
incontro svoltosi nella sala del Consiglio comunale, al quale hanno partecipato
per la prima volta i rappresentanti di quasi tutte le 18 confessioni religiose
presenti sul territorio, ivi compresa l’ultima nata, la comunità cristiana
ortodossa romena. All’intervento del vescovo di Trieste, mons. Eugenio Ravignani,
che ha ricordato “la costante tensione di Giovanni Paolo II per il dialogo ecumenico”,
hanno fatto seguito le parole dei leader spirituali delle due più antiche
chiese ortodosse della città, padre Rasko Radovic per i serbi e l’archimandrita
greco Georgios Ntagkas, e quelle del rabbino Umberto Piperno. Affettuosa la considerazione
della presidente del Centro culturale islamico e della monaca del Centro buddhista
tibetano Sakya, che ha dato lettura di un messaggio del Dalai Lama. Infine, ha
parlato padre Eugenio Costantin della neonata Chiesa ortodossa romena di
Trieste e Gorizia, secondo il quale Papa Wojtyla “oggi, dalla casa di Dio, con
amore pensa a noi tutti e desidera questa nostra, necessaria unità. Che noi possiamo
ottenere, con la collaborazione fra tutti noi”. (R.A.)
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29 maggio 2005
- A cura di Salvatore Sabatino -
Clementina
Cantoni, la cooperatrice italiana rapita il 16 maggio in Afghanistan è viva e
sta bene. La prova è giunta questa mattina in un video trasmesso da una
televisione di Kabul, in cui la giovane, apparsa in buona salute, si è presentata
ed ha citato la data di ieri. L’italiana è affiancata da due uomini armati ed
ha la testa coperta da un velo blu. Secondo il ministero degli Esteri di Roma
“il video è autentico e rassicurante”. Il nostro servizio:
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Lo sguardo presente, ma impaurito. Il capo coperto da un
velo blu. Due mitra puntati alle tempie. Appare così Clementina Cantoni, la
cooperatrice italiana in un video trasmesso questa mattina da Tolo Tv, un’importante
emittente afghana. La giovane milanese, rapita a Kabul è, dunque, viva e dice
in inglese il suo nome, quello della madre, del fratello, oltre che una data:
“Oggi – risponde ad una domanda - è il 28 maggio”. Anche se poi, su
suggerimento, aggiunge erroneamente domenica. Il video potrebbe essere stato
registrato ieri. La prova tangibile, dunque, che la donna è viva. Così credono
gli inquirenti che stanno seguendo questo intricato caso. Secondo fonti ufficiali,
il video sarebbe stato consegnato al personale dell’emittente da un bambino che
si trovava davanti alla moschea di Iedga, a Kabul. La redazione di Tolo Tv
sarebbe, inoltre, in possesso della registrazione di una telefonata fatta da
Timor Shah, il sequestratore di Clementina Cantoni, il quale sollecita le
autorità italiane a dare un impulso alle trattative per la liberazione
dell’ostaggio. Le immagini, ovviamente, hanno provocato grande commozione nei
familiari di Clementina, che però hanno preferito non commentare. Un commento
è, invece, giunto da parte del ministero degli Esteri di Roma che, attraverso
il portavoce Pasquale Terracciano, ha riferito che il video “è rassicurante” e
“appare attendibile”. I contatti con i rapitori, dunque, continuano.
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Ennesima giornata di sangue in Iraq. A finire nel mirino
della guerriglia questa mattina è stato un convoglio militare britannico.
L’attacco è avvenuto ad Amara, nel sud del Paese, controllato dal contingente
di Londra. Ma è tutto l’Iraq ad essere messo a fuoco e fiamme dai guerriglieri
che combattono contro la democratizzazione del Paese del Golfo. Ed il governo
di Baghdad per la prima volta risponde con una massiccia operazione di sicurezza.
La cronaca, nel nostro servizio:
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Una domenica di sangue. L’ennesima in Iraq, che giorno
dopo giorno continua a vivere la propria quotidianità nella violenza. La
giornata è iniziata con un attacco contro un convoglio militare britannico ad
Amara, nel sud del Paese. La notizia è stata confermata dal portavoce del
contingente di Londra, che ha parlato di un morto e 9 feriti. Sconosciuta al
momento la dinamica dell’attacco. Ma il sangue continua a scorrere anche al
nord. Due iracheni sono morti e altri nove sono rimasti feriti in un attentato
suicida con un'autobomba compiuto al passaggio di un convoglio americano a
Touz, davanti alla sede di un partito curdo. Un’autobomba è esplosa anche nel
centro di Baghdad, nei pressi del ministero del Petrolio, causando la morte di
2 persone ed il ferimento di altre 6. L’intero Paese è, dunque, in preda alla
violenza. Ed il Governo iracheno risponde per la prima volta con un'operazione
senza precedenti, che vede l'impiego di 40.000 uomini. La capitale è stata
circondata da un cordone di sicurezza per impedire l’ingresso a possibili terroristi.
Sono già 500 le persone fermate. E continuano, invece, a giungere indiscrezioni
sul terrorista giordano Abu Mussab Al Zarqawi, luogotenente di Al Qaeda in Iraq
e capo della guerriglia. Le ultime notizie giungono dal britannico “Sunday
Times”, secondo cui il braccio destro di Bin Laden sarebbe rimasto ferito ad un
polmone nel corso di un’operazione americana al confine con la Siria e si
sarebbe successivamente rifugiato in Iran per essere curato. Teheran ha prontamente
smentito la notizia.
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Tensione alta anche sul fronte israelo-palestinese.
Numerosi episodi di violenza vengono segnalati da ieri nei Territori, dove
nelle ultime ore sono rimasti uccisi due palestinesi, il primo a Hebron, il
secondo a Mevò Dotan. Entrambe le località si trovano in Cisgiordania.
Nonostante gli episodi di violenza, il governo israeliano questa mattina ha approvato
a larga maggioranza la liberazione di 400 detenuti palestinesi, nel contesto di
una politica di distensione verso il presidente Abu Mazen. Tre ministri del
Likud hanno comunque espresso parere contrario. Ce ne parla Graziano Motta:
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Nuovo passo nell’attuazione degli accordi di Sharm
el-Sheik e un altro gesto volto a mantenere distese le relazioni con Abu Mazen:
così il primo ministro Sharon ha motivato la decisione di liberare i 400
detenuti palestinesi in aggiunta ai 500 di qualche mese fa, nonostante le
resistenze diffuse nel suo partito e l’opposizione esplicitata nella riunione odierna
del governo da tre ministri politicamente molto importanti, come Banjamin Netanyahu,
ex leader del Likud ed ex premier, e poi Dannu Naveh e Yisrael Katz. Secondo i
ministri, la prosecuzione delle attività della guerriglia nei territori – tra
l’altro, nelle ultime ore due palestinesi sono stati uccisi da soldati a Hebron
e a Mevò Dotan – dovrebbe non solo bloccare ogni iniziativa di pace, ma
escludere pure il ritiro unilaterale previsto a metà agosto di coloni e soldati
da Gaza e dai quattro insediamenti della Cisgiordania. Diciotto, comunque, i
ministri e fra di essi tutti quelli del partito laburista, che hanno votato a favore
della liberazione dei prigionieri. Tiepide le reazioni dell’Autorità palestinese
perché – afferma – non ci sono state consultazioni preventive: in effetti, il
suo dissenso verte sul fatto che Israele intende trattenere nelle carceri
quanti nella guerriglia e negli attentati dell’Intifadah si sono macchiati le
mani di sangue.
Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Il Consiglio dei Guardiani, la Corte costituzionale
iraniana, che ha l’autorità di vagliare le candidature alle prossime elezioni
presidenziali, ha deciso di allargare ad otto la rosa dei candidati alla
consultazione del 17 giugno prossimo, riammettendo il riformista Mostafa Moin,
ex ministro dell’Università. Moin è il più popolare dei candidati riformisti,
sostenuto da tutti i raggruppamenti politici anti-conservatori. Secondo i
sondaggi, il candidato favorito alla vittoria è l’ex presidente Akbar Hashemi
Rafsanjani, seguito a grande distanza dall’ex capo della polizia Mohammad Baqer
Qalibaf. Moin non dovrebbe andare oltre il terzo posto.
“l’Iran è molto interessato alla bomba atomica”. Lo ha
dichiarato al settimanale tedesco “Der Spiegel” il presidente pachistano Pervez
Musharraf, il quale ha aggiunto di non sapere cosa potrebbe indurre Teheran a
rinunciarvi. Secondo il numero uno di Islamabad, inoltre, l’ipotesi di un
attacco preventivo americano contro l’Iran, sarebbe “nell’attuale situazione
internazionale un disastro”: creerebbe una rivolta del mondo musulmano. Da
parte sua, Teheran ha chiesto ufficialmente chiarimenti al Pakistan sulle dichiarazioni
di Musharraf.
Sono stabili le condizioni di salute del re saudita Fahd,
ricoverato venerdì in un ospedale di Ryad in seguito ad un’infezione ai
polmoni. L’anziano sovrano è stato colpito da un ictus nel 1995 e da allora,
pur conservando la sua carica, ha affidato al fratellastro, il principe
ereditario Abdullah, la gestione del Paese.
Secondo i nuovi risultati, ancora provvisori, delle elezioni
politiche del 15 maggio scorso in Etiopia, il Fronte democratico rivoluzionario
del popolo etiope, il partito del premier etiope Meles Zenawi, è in grado di
formare un nuovo governo, avendo ottenuto 269 seggi su un totale di 547 che
compongono il Parlamento federale. Assieme ai quattro partiti alleati, il
Fronte arriva a 283 seggi, cinque in più di quelli necessari per avere la maggioranza.
Prosegue la visita del segretario generale delle Nazioni
Unite, Kofi Annan, in Sudan, dove un accordo di pace, siglato lo scorso 9
gennaio, ha messo fine ad una sanguinosa guerra civile durata oltre vent'anni.
Questa mattina Annan ha incontrato John Garang, l’ex leader ribelle che
diventerà presto vice presidente del Sudan nel governo ad interim
previsto dagli accordi di pace. Ieri il numero uno del Palazzo di Vetro aveva
visitato il campo profughi di Kalma, uno dei più grandi del Darfur.
Le famiglie delle vittime del massacro di piazza Tiananmen
in una lettera aperta inviata al presidente Hu Jintao, hanno chiesto che il
governo cinese riconosca le sue responsabilità nella manifestazione
studentesca, repressa nel sangue nella notte tra il 3 al 4 giugno 1989. Nella
missiva, firmata da 125 persone, il gruppo delle Madri di Tienanmen ritiene
insensato che Pechino accusi il Giappone di revisionismo storico, quando la
Cina non si è ancora scusata per la repressione di 16 anni fa.
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