RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 149 - Testo della trasmissione di domenica 29 maggio 2005

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

“Non è facile vivere da cristiani”. Lo ha sottolineato Benedetto XVI durante la Messa conclusiva

del XXIV Congresso eucaristico nazionale a Bari: in migliaia, giovani e meno giovani, molti in veglia da ieri sera

 

IN PRIMO PIANO:

Aperti i seggi nella capitale del Libano: le legislative si concluderanno il 19 giugno. Con noi, mons. Mounged el-Hachem

 

Urne aperte anche in Francia per il referendum sulla Costituzione europea: intervista con l’ex primo ministro Michel Rocard

 

I problemi della popolazione devono tornare in primo piano nell’agenda della comunità internazionale: appello dei demografi riuniti in un convegno internazionale. Intervista con Antonio Golini

 

Impegno ed entusiasmo al concerto, ieri a Roma, per la manifestazione “Italia-Africa”. I conflitti dimenticati nel libro di Maurizio Simoncelli, “Le guerre del silenzio”. Con noi, l’autore

 

CHIESA E SOCIETA’:

Si celebra la “Giornata internazionale dei peacekeaper ONU”, i caschi blu delle Nazioni Unite, impegnati attualmente in 17 missioni di pace

 

Appello all’astensione “da qualsiasi atto di violenza” del presidente della Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo

 

160 Nazioni celebrano l’impegno sociale per “costruire la civiltà dell’amore e della giustizia”

 

Emergenza carestia in Niger: prevista per il prossimo 2 giugno una manifestazione per richiedere la distribuzione gratuita di cibo

 

18 confessioni a Trieste ricordano Papa Wojtyla: insieme per la prima volta per iniziativa del Consiglio comunale

 

24 ORE NEL MONDO:

Iraq: 1 morto nell’attacco a un convoglio britannico ad Amara. Autobomba anche a Kirkuk e Baghdad. La capitale circondata da 40 mila militari

 

Mostrata in un video Clementina Cantoni, la cooperatrice italiana rapita in Afghanistan 13 giorni fa

 

Il governo israeliano approva il rilascio di 400 detenuti palestinesi. Tre ministri del Likud contrari

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

29 maggio 2005

 

“NON È FACILE VIVERE DA CRISTIANI”.

LO HA SOTTOLINEATO BENEDETTO XVI DURANTE LA MESSA CONCLUSIVA

DEL XXIV CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE A BARI:

IN MIGLIAIA, GIOVANI E MENO GIOVANI, MOLTI IN VEGLIA DA IERI SERA

 

“Non è facile vivere da cristiani”. Lo ha ripetuto da Bari Papa Benedetto XVI, in un passaggio dell’omelia della Messa con cui ha concluso il XXIV Congresso Eucaristico Nazionale italiano, sul tema “Senza la Domenica non possiamo vivere”. Nella spianata di Marisabella, sul Lungomare della cittadina dell’Italia del Sud, di fronte ad una folla attenta e compatta, il Papa ha ribadito il suo messaggio di speranza, di fedeltà al Vangelo e con una decisa accentuazione ecumenica. Lo attendevano in migliaia, giovani e meno giovani, moltissimi dei quali in veglia da ieri sera, al ritmo di uno spettacolo di canti e preghiere. “Ci attendiamo un forte impulso missionario per recuperare la domenica come giorno della festa della Chiesa e dell’uomo”, ha ripetuto don Antonio Staglianò docente all’Istituto Teologico Calabro. Da Bari uno dei nostri inviati, Fabrizio Mastrofini:

 

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Al termine di otto giorni di Congresso Eucaristico Nazionale, nella solennità del Corpo e Sangue di Cristo, Papa Benedetto XVI ha ripetuto che nella società di oggi non è certo facile vivere da cristiani. Ma nella fame del deserto spirituale, è il Pane eucaristico l’alimento capace di dare la forza per affrontare le fatiche e la stanchezza della vita quotidiana:

 

“Il precetto festivo non è quindi semplicemente un dovere imposto dall’esterno. Partecipare alla Celebrazione domenicale e cibarsi del Pane eucaristico è un bisogno per il cristiano, il quale può così trovare l’energia necessaria per il cammino da percorrere. Un cammino, peraltro, non arbitrario: la strada che Dio indica mediante la sua legge va nella direzione   iscritta nell’essenza dell’uomo”.

 

Benedetto XVI ha dedicato l’omelia all’Eucaristia e all’ecumenismo, un tema strettamente legato a Bari, città di San Nicola, ponte tra Oriente ed Occidente. Ed ha inserito la centralità della celebrazione eucaristica nella vita cristiana all’interno di una più vasta riflessione sul significato che oggi dobbiamo dare alla presenza di Dio nella storia e nella vita personale di ognuno di noi. L’Eucaristia è centrale perché non è un simbolo ma è il segno della reale presenza di Gesù che accetta anche la defezione dei suoi discepoli e non cede dall’indicare la strada che bisogna seguire.

 

“Nell’Eucaristia Cristo è realmente presente tra noi. La sua non è una presenza statica. È una presenza dinamica, che ci afferra per farci suoi, per assimilarci a sé”.

 

Il Cristo presente nell’Eucaristia è lo stesso che porta per mano tutta la Chiesa, nei cinque continenti:

 

“Il Cristo che incontriamo nel Sacramento è lo stesso qui a Bari come a Roma, qui in Europa come in America, in Africa, in Asia, in Oceania. E’ l’unico e medesimo Cristo che è presente nel Pane eucaristico di ogni luogo della terra. Questo significa che noi possiamo incontrarlo solo insieme con tutti gli altri. Possiamo riceverlo solo nell’unità”.

 

Bari custodisce le reliquie di San Nicola, terra di incontro e dialogo con l’Oriente. Il Papa ribadisce qui, oggi, la sua volontà di assumere come impegno fondamentale quello di lavorare con tutte le energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo.

 

“Sono cosciente che per questo non bastano le manifestazioni di buoni sentimenti. Occorrono gesti concreti che entrino negli animi e smuovano le coscienze, sollecitando ciascuno a quella conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso sulla via dell’ecumenismo”.

 

E di grande suggestione nella Messa è stata la proclamazione del Vangelo in lingua greca, che ha fatto seguito alla lettura in italiano del brano del Vangelo di Giovanni, in cui Gesù dice alle folle dei Giudei: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo”:

 

(prime parole del Vangelo in lingua greca)

 

La presenza del Papa è servita a centrare di nuovo l’attenzione sul tema dell’Eucaristia e sul significato della domenica. Il motto scelto per il Congresso, “Senza la domenica non possiamo vivere”, ci riporta alla persecuzione dell’anno 304, quando ad Abitene, in Tunisia, un piccolo gruppo di cristiani venne sorpreso a celebrare nonostante i divieti statali. Gli atti del processo prima del martirio riportano la motivazione di quel gesto  – “senza la domenica non possiamo vivere” – data ai funzionari imperiali. Oggi non siamo nella persecuzione ma certamente in una fase di indifferenza e di deserto spirituale – come dice il Papa – che rende impegnativo il compito di dare testimonianza delle ragioni della fede.

 

E tutto il Congresso, in questa settimana passata, si è snodato lungo il binario della testimonianza e della festa. Nei giorni scorsi è stato sottolineato anche l’impegno della Chiesa italiana sul fronte della difesa della vita, con diversi interventi di cardinali e arcivescovi, che hanno risposto a domande e spiegato di nuovo la scelta della Conferenza episcopale di chiedere il non-voto ai credenti sul referendum del prossimo mese di giugno.

 

Da Bari, per la Radio Vaticana, Fabrizio Mastrofini.

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Al termine della Messa, dopo la recita dell’Angelus, il Papa ha salutato una rappresentanza del Comitato organizzatore. Quindi alle 12.30, raggiunto il campo sportivo alle spalle del palco, si è congedato dalle autorità italiane che lo avevano accolto ed è salito sull’elicottero per far rientro in Vaticano. E’ così terminato il XXIV Congresso Eucaristico Nazionale, caratterizzato da diversi appuntamenti di preghiera, di riflessione e di approfondimento. E ieri, la vigilia della prima visita apostolica di Benedetto XVI è stata l’occasione per un primo bilancio del Congresso, cominciato il 21 maggio scorso. Dal capoluogo pugliese, il servizio del nostro inviato Fabio Colagrande:

 

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Nella conferenza stampa conclusiva, il Comitato organizzatore ha reso noto le cifre di un evento ecclesiale che ha registrato in 9 giorni 67mila iscritti, di cui 30 mila dalla diocesi di Bari e Bitonto, 27 mila dalle altre diocesi pugliesi e circa 10 mila dalle altre diocesi italiane. Secondo l’arcivescovo della città, mons. Francesco Cacucci, l’elemento caratterizzante di queste giornate è stata la presenza straripante di giovani, mentre, per quanto riguarda i contenuti, è stato centrale il momento ecumenico di mercoledì quando, per la prima volta in un Congresso eucaristico, si è parlato della domenica come segno fondamentale nel cammino per l’unità dei cristiani. Il presule si è detto molto soddisfatto della grande eco che il Congresso ha avuto a livello nazionale, anche se spesso – ha osservato – i media hanno cercato il sensazionalismo.

 

Anche l’arcivescovo di Torino, cardinale Severino Poletto, tra gli ospiti dell’ultima giornata congressuale, ha osservato che è stato improprio ridurre il Congresso eucaristico al solo tema del referendum sulla fecondazione artificiale, così come hanno fatto molti organi di stampa. Mons. Cacucci, che è anche presidente del Comitato organizzatore dei Congressi eucaristici italiani, si è detto altrettanto felice per la risposta della città: “Dire che Bari è stata distratta è assolutamente falso”, ha affermato rispondendo ai giornalisti.

 

A chiudere la giornata di ieri, in attesa della domenica e dell’arrivo del Papa, è stata la grande festa-spettacolo di musica, danza e poesia, dedicata alla Risurrezione, una veglia che ha radunato circa 50 mila giovani sull’ansa di Marisabella, molti dei quali hanno trascorso la notte sotto le stelle aspettando la concelebrazione odierna. Un’ideale anticipazione della Giornata mondiale della Gioventù di Colonia, dove il 14 agosto prossimo arriverà la Fiaccola della Pace accesa all’inizio del Congresso e benedetta oggi dal Papa.

 

Da Bari, Fabio Colagrande, Radio Vaticana.

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OGGI IN PRIMO PIANO

29 maggio 2005

 

 

APERTI I SEGGI NELLA CAPITALE DEL LIBANO PER LE LEGISLATIVE

CHE SI CONCLUDERANNO IL PROSSIMO 19 GIUGNO.

OGGI SI VOTA SOLO NELLA CIRCOSCRIZIONE DI BEIRUT

- Intervista con mons. Mounged El-Hachem -

 

         E’ iniziata stamani a Beirut la lunga tornata elettorale per eleggere i 128 deputati del Parlamento in Libano. Le legislative prevedono altre votazioni nelle prossime tre domeniche e si concluderanno il 19 giugno. Grande favorito di questo primo appuntamento, valido per la circoscrizione di Beirut e segnato per il momento da una bassa affluenza, è il sunnita Saaddedin Hariri, figlio dell’ex premier Rafik Hariri assassinato lo scorso 14 febbraio nella capitale. Alla consultazione, la prima dopo il ritiro delle truppe siriane dal Paese dei Cedri, sono chiamati oggi oltre 400 mila elettori mentre, complessivamente, gli aventi diritto al voto sono più di due milioni e mezzo. Sull’odierna votazione in Libano, ascoltiamo il vescovo di Baalbek - Deir el-Ahmar, mons. Mounged El-Hachem. L’inter-vista è di Andrea Sarubbi:

 

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R. – E’ la prima volta, dopo trent’anni, che si tengono elezioni che rappresentano un segno di vitalità e di democrazia. Noi vescovi invitiamo tutti ad andare a votare, anche se purtroppo moltissimi deputati sono stati già dichiarati eletti ancor prima delle elezioni. Questo è il caso di Beirut, dove su 19 appartenenti alla lista di Hariri, già 9 sono a tutti gli effetti eletti, perché chi era contro si è ritirato per un segno di protesta nei riguardi della nuova legge elettorale.

 

D. – Anche i vescovi protestano contro questa legge elettorale. Ma qual è il problema principale?

 

R. – Il problema principale è rappresentato dal fatto che le circoscrizioni sono enormi. Tutto il sud, ad esempio, comprende zone a maggioranza cristiana dove ci sono tre deputati maroniti che però sono stati scelti ed eletti dal presidente del Parlamento. Lo stesso vale per Beirut. I cristiani non possono quindi scegliere i loro deputati. Quello che noi presuli abbiamo chiesto è di avere una circoscrizione piccola, nella quale l’elettore conosce il candidato e viceversa. E’ una condizione indispensabile, questa, per poter scegliere tra i candidati di ciascuna circoscrizione.

 

D. – A sorpresa l’opposizione si presenta al voto divisa. Si puntava molto sull’ex generale Aoun, cristiano, che non è però riuscito a trovare un accordo con drusi e sunniti. Come mai?

 

R. – Non ha potuto fare alcuna alleanza. Aoun ha presentato un programma politico ma nessuno degli altri candidati si presenta con un programma. Vuole che sia aperta un’inchiesta internazionale per punire tutti quelli che durante gli ultimi 15 anni hanno accumulato un debito di 40-44 miliardi di dollari in un Paese di 4 milioni di abitanti. Aoun, quindi, facendo tutte queste dichiarazioni si trova isolato. Probabilmente, non riuscirà a stringere alleanza con nessuno: ogni partito pensa soltanto a far eleggere il più gran numero dei propri deputati invece di fissare un programma di governo.

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URNE APERTE IN FRANCIA PER IL REFERENDUM SULLA COSTITUZIONE EUROPEA.

 PROIEZIONI IN SERATA, MA I PRIMI RISULTATI SOLO DOMANI

- Intervista con Michel Rocard -

 

Sono circa 42 milioni i francesi chiamati oggi alle urne per il referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale dell'Unione europea. I seggi, aperti questa mattina alle 8.00, chiuderanno alle 20.00, ad eccezione di Parigi e Lione, dove le operazioni di voto verranno prolungate di altre due ore. La campagna elettorale ha spaccato il Paese e si è caratterizzata per ripetuti appelli al voto da parte del governo francese, a cominciare dal presidente Jacques Chirac e dal premier Jean-Pierre Raffarin. Prime proiezioni si avranno stasera ma per i risultati bisognerà aspettare domani.

        

Se verranno confermate le previsioni della vigilia, i francesi respingeranno il Trattato, aprendo una crisi a livello europeo. Ed è l'Europa intera ad attendere l'esito del voto. Nei giorni scorsi numerose personalità del Vecchio Continente avevano invitato a votare ‘sì’, a cominciare dal cancelliere tedesco Gerhard Schröder, che ha lanciato un forte appello ai francesi affinché accolgano la Carta costituzionale, fino al premier spagnolo José Luis Rodriguez Zapatero, secondo il quale “L’Europa non può avanzare senza la Francia”.

        

Sappiamo il salto di qualità sul piano politico che l’Unione Europea può fare con la Costituzione che rafforza le istituzioni europee ormai deboli per un’Europa a 25. Ma quali sono le motivazioni di chi sostiene il ‘no’? Fausta Speranza lo ha chiesto all’ex primo ministro francese Michel Rocard, politico socialista di lungo corso:

 

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R. – JE CROIS QUE, DANS L’EXPLOSION FRANÇAISE DU NON ...

Credo che, nell’esplosione francese del “no” pesino tre fattori, di cui nessuno da solo è sufficiente a spiegare. Il primo punto è che noi abbiamo sempre avuto, da un punto di vista storico, tanto all’estrema destra quanto all’estrema sinistra, un certo numero di “souvrainistes”: il nostro stesso partito comunista ha sempre giocato con le carte del nazionalismo ... Può sembrare curioso, può sembrare “scandaloso”, come atteggiamento di un partito comunista, ma è così. Però, questi si uniscono ai “souvrainistes” dell’estrema destra, e già solo questi due gruppi messi insieme arrivano a formare un buon 30 per cento dei francesi!

 

D. – Quindi, il rischio è che questo voto non sia un voto realmente sulla Costituzione?

 

R. – OUI, BIEN SUR! LE DEUXIEME ELEMENT C’EST QUE ...

Ovviamente ! Il secondo punto è che esiste un contenzioso aperto, visibile a tutti, tra il popolo francese e il presidente Chirac. Egli è stato rieletto nel 2002 con l’82 per cento dei voti, perché all’opposizione era emerso il candidato fascista. A quel punto i francesi hanno detto: “Questo, no!”. Però, questo significa che il presidente della Repubblica è stato eletto con una metà dei voti, anzi un’ampia metà dei voti della sinistra. E da quel momento, egli ha condotto una politica fortemente a destra, fiscalmente estremamente conservatrice: è una politica che va a favore dello 0,5 per cento dei francesi più ricchi, il che comunque non è corretto. Ecco questo è quello che pensano i francesi che provano un grande risentimento: questo ne è il motivo principale.

 

Il terzo punto, invece, possiamo chiamarlo “sociale” ma che in definitiva è solo una forma di perplessità dei francesi nei riguardi di una mondializzazione mal gestita: si sentono contro questa situazione in cui la disoccupazione dura troppo a lungo, la crescita è rallentata, le continue ristrutturazioni dell’industria, tanti licenziamenti, molto trasferimenti ... questo fa sì che la classe operaia e la classe impiegatizia francese vivono nella coscienza di un costante “pericolo” per il proprio lavoro. Non è solo per via dei disoccupati, che comunque sono già troppi; la minaccia pesa sugli altri! Ecco, è tutto questo che crea uno stato di risentimento, e sfortunatamente questo risentimento va oltre il referendum in sé e per sé, perché il referendum per l’approvazione della Costituzione non ha nulla a che vedere con il nostro presidente: qualsiasi cosa accada, lui comunque rimarrà al suo posto! E’ quindi sbagliato fare questo tipo di confusione.

        

Per quanto riguarda la mondializzazione, direi che l’Europa ne è piuttosto vittima che non causa e possiamo rammaricarci del fatto che l’Europa non sia più capace di difenderci da questa mondializzazione. Ma dal momento che essa non è più capace di difenderci è necessario rafforzarla. Ecco perché è necessario adottare la Costituzione! Il voto dettato dal risentimento produce l’effetto contrario!

 

D. – La partecipazione della gente al dibattito sull’argomento in questo periodo è stata alta: questo comunque è un buon segno, non crede?

 

R. – OUI. CA C’EST LE SEUL AVANTAGE DE L’AFFAIRE: ...

Sì, e questo è l’unico aspetto positivo di tutta la faccenda. Qualunque sia il risultato, sarà stata la prima volta che abbiamo avuto un grande dibattito, anche molto approfondito, sull’Europa. Il testo della Costituzione ha spopolato nelle librerie, pur essendo stata inviata a titolo gratuito a tutti gli elettori: la gente ha cercato testi di approfondimento, i dibattiti hanno ricevuto tanti approfondimenti ... Forse, alla fine, questo potrà contribuire a sbrogliare un po’ il malinteso ... Il dibattito è stato straordinariamente intenso, ma allo stesso tempo con un forte significato simbolico e anche, forse, eccessivo ...

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I PROBLEMI DELLA POPOLAZIONE DEVONO TORNARE IN PRIMO PIANO

NELL’AGENDA DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE: APPELLO DEI DEMOGRAFI,

RIUNITI NEI GIORNI SCORSI A ROMA IN UN CONVEGNO INTERNAZIONALE

- Intervista con Antonio Golini -

 

Il 2050 è alle porte per i demografi abituati ad interrogarsi sugli andamenti della popolazione nei tempi lunghi. Così, in questi giorni, dopo mezzo secolo dalla prima Conferenza dell’ONU sulla popolazione che si svolse a Roma nel 1954, sono tornati nella capitale italiana studiosi di ogni Continente, demografi, statistici, economisti ed esperti delle varie agenzie sociali delle Nazioni Unite, per analizzare i futuri scenari della popolazione mondiale nel XXI secolo. Il Convegno internazionale si è svolto in settimana all’Accademia dei Lincei, che lo ha organizzato insieme con l’Università “La Sapienza” di Roma. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Antonio Golini, accademico dei Lincei, ordinario di Demografia nell’Ateneo romano:

 

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R. – Si presenta lo scenario di una forte crescita della popolazione, innanzitutto, e di una forte differenziazione. Noi ci aspettiamo, nei prossimi 50 anni, che la popolazione del mondo cresca circa di due miliardi e mezzo, sempre che non ci siano nuovi eventi catastrofici o nuove epidemie. E questi due miliardi e mezzo stanno tutti concentrati nel Sud del mondo mentre il Nord del mondo, il Nord ricco, sarà a crescita zero e resterà ad 1,2 miliardi. Così, nei prossimi 50 anni, noi ci aspettiamo che i rapporti di popolazione cambino profondamente, da quattro abitanti nel Sud del mondo per ogni abitante del Nord, quale è adesso, si arriverà a sei a uno.

 

D. – Si prospettano, dunque, rivolgimenti importanti. Eppure il dibattito sulla demografia sembra essere stato accantonato dopo la Conferenza del Cairo del ’94 ...

 

R. – Dopo la Conferenza si è puntato molto, e giustamente a quell’epoca, sugli aspetti individuali della crescita della popolazione perché, ovviamente, una popolazione è fatta di individui e dei loro comportamenti. Quindi si è puntato a cercare di convincere ed indurre gli individui ad avere comportamenti più corretti e, soprattutto, si è puntato molto giustamente sulla nuova condizione della donna. Solo che, perché si abbiano degli effetti desiderati, occorre tempo, occorre che si smaltiscano gli effetti che si hanno di generazione in generazione. E un altro punto chiave è che ormai le dinamiche di popolazione si sono molto differenziate. Noi abbiamo, da un lato, la necessità di politiche che, soprattutto nell’Africa Subsahariana, incoraggino una minore dimensione della famiglia, ma, dall’altro, per esempio in Italia e in Spagna, abbiamo necessità che le famiglie e i loro bimbi siano incoraggiati perché, effettivamente, in Italia si va verso l’invecchiamento e un declino assai difficile da gestire.

 

D. - E’ comunque importante capire che i problemi della popolazione sono trasversali a tutti gli altri problemi sociali?

 

R. – Assolutamente. E’ chiaro che, per esempio, i fatti economici sono a monte e a valle della popolazione nel senso che, le forze di lavoro, che dalla popolazione derivano, producono dei beni e servizi che dalla popolazione saranno consumati. La società è fatta di individui e di popolazione. L’analisi della popolazione è trasversale ma, soprattutto, ha un grande vantaggio rispetto ad altre scienze sociali: guarda alla catena delle generazioni, la generazione dei figli e dei nipoti, e quindi ha la possibilità di guardare ad un lungo periodo.

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MIGLIAIA DI PERSONE IERI AL CORTEO E AL CONCERTO, A ROMA, NELL’AMBITO

DELLA MANIFESTAZIONE ITALIA – AFRICA. DEI CONFLITTI CHE INSANGUINANO

IL CONTINENTE AFRICANO SI OCCUPA IL LIBRO INTITOLATO “LE GUERRE DEL SILENZIO”

- Intervista con Maurizio Simoncelli -

 

Dare maggiore attenzione alle guerre in corso, alle nuove schiavitù e rafforzare l’impegno per la pace e per la giustizia. Sono alcuni degli appelli lanciati ieri nel corso della manifestazione ‘Italia Africa’, iniziativa giunta alla seconda edizione che ha lo scopo di far riflettere sui mali di cui soffre il Continente africano. Secondo gli organizzatori, almeno cento mila persone hanno partecipato a Roma al corteo per le vie del centro e al grande concerto in piazza del Popolo. Il servizio di Jean-Baptiste Sourou:

 

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Piazza del Popolo a Roma ed un solo palco dove cantanti, politici, atleti e responsabili di ONG hanno più volte ripetuto che combattere contro la povertà è possibile. Ancora prima del gran concerto, numerose persone hanno partecipato ad una marcia per l’Africa ed un pubblico multietnico si è raccolto sotto il palco. Tantissimi sono stati i giovani che sulle note della musica, italiana e africana, si sono intrattenuti tra ritmi e melodie, in una serata tornata serena dopo la pioggia del tardo pomeriggio. La pioggia non ha comunque scoraggiato quanti hanno voluto prendere parte all’evento. Grazie alla partecipazione di cantanti e personaggi dello spettacolo e dello sport, tra cui Carmen Consoli, Max Gazze, Georges Waeah, Raiz, Angelique Kidjo, il pubblico ha vissuto un momento particolare. Una constatazione ha accomunato tutti gli interventi: l’Africa è troppo vicina all’Europa per essere lasciata da sola. Questo sforzo significa democrazia, lotta contro la corruzione, lavoro per la pace, più spazio alle donne e un maggiore impegno per un’Africa più unita e forte. “Italia - Africa non è solo un slogan ma è una necessità”, hanno detto i rappresentanti della Comunità di Sant’Egidio.  Per il sindaco di Roma, Walter Veltroni, Italia - Africa non deve limitarsi ad un mandato politico ma deve radicarsi nelle sensibilità degli italiani. Gli africani presenti alla manifestazione hanno ringraziato gli organizzatori e ricordato le proprie responsabilità nel lavorare insieme con l’Italia per rinforzare la rete Italia-Africa.

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E proprio alla situazione dell’Africa, il Continente maggiormente sconvolto da tensioni e conflitti, è dedicata una ricerca condotta dall’Archivio Disarmo e proposta nel libro “Le guerre del silenzio. Alla scoperta dei conflitti e delle crisi del XX secolo”. Il volume, edito dalla Ediesse, curato da Maurizio Simoncelli e presentato nei giorni scorsi a Roma, analizza la dimensione geopolitica delle guerre dimenticate nel mondo con il supporto di carte, tabelle, dati e grafici illustrativi. Nel libro si sottolinea come i conflitti ignorati dai grandi mezzi di informazione si combattano soprattutto negli Stati ex coloniali dell’Africa. Ma quali sono, in particolare, le cause delle guerre nel Continente africano? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto all’autore del volume:

 

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R. – Motivo di grandi tensioni sono le enormi ricchezze che ha questo Continente, forse il più ricco del mondo per risorse minerarie e agricole. Contemporaneamente, ci sono però Stati che mostrano in realtà tutta la loro debolezza e situazioni da “medioevo”: la popolazione è la prima vittima di tutto questo.

 

D. – Numerose guerre vengono dimenticate dai media. Perché?

 

R. – Perché sono guerre lontane rispetto ai Paesi industrializzati, sono lontane dall’area del Medio Oriente, a noi vicina storicamente. In televisione, noi troviamo quotidianamente notizie sull’Iraq, sul Medio Oriente, ma le guerre che avvengono in Africa, invece, sono poco raccontate. Di questi conflitti non si sa nulla. Bisogna comunque dire che l’informazione su queste “guerre del silenzio” esiste ma va rintracciata su riviste specializzate, su Internet o tra le fonti dei missionari. Queste fonti spesso smentiscono la tesi del conflitto tribale. In molte guerre, erroneamente definite “tribali”’, sono infatti coinvolte grandi multinazionali, società petrolifere, imprese interessate a controllare l’estrazione dei diamanti, del koltan, della cassiterite e di altre ricchezze.

 

D. – I conflitti si combattono nel Terzo mondo, ma le armi si fabbricano in Occidente. E’ questo un intreccio indissolubile?

 

R. – Questo sembra, ormai, un dato storico: dalla seconda metà del XX secolo in poi, il commercio internazionale delle armi è sostanzialmente in mano a pochissimi Paesi, grandi potenze industriali, che controllano il 90-95 per cento del mercato mondiale degli armamenti.

 

D. – Dal 1946 ad oggi, le guerre scoppiano soprattutto in Paesi ex-coloniali. Perché?

 

R. – Questi Paesi, che per secoli sono stati dominati dalle grandi potenze coloniali, sono stati lasciati allo sbando. Non si è provveduto, infatti, a preparare una classe politica in grado di gestire il passaggio da nazione schiavizzata a nazione indipendente.

 

D. – Negli ultimi anni un altro dato impressionante riguarda la percentuale delle vittime civili…

 

R. – I conflitti attuali sono, nella stragrande maggioranza, asimmetrici: non avvengono tra eserciti di opposti Stati, ma tra forze governative e forze di opposizione. Rispetto alle guerre dei secoli scorsi, il rapporto si è rovesciato: il numero delle vittime civili è di circa il 90 per cento. Le vittime militari sono, invece, il 10 per cento.

 

D. – Quanti sono i conflitti che attualmente si combattono nel mondo e quali sono quelli più gravi?

 

R. – L’Archivio disarmo è stato in grado di individuare circa una cinquantina di aree di crisi e di conflitto. Se noi consideriamo le guerre che sono ancora in corso possiamo ricordare, in Africa, le drammatiche guerre d’Algeria, del Burundi e del Congo.

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CHIESA E SOCIETA’

29 maggio 2005

 

 

GLI OPERATORI DI PACE NEL MONDO: SI CELEBRA LA “GIORNATA INTERNAZIONALE

DEI PEACEKEAPERS ONU”, I CASCHI BLU DELLE NAZIONI UNITE

IMPEGNATI ATTUALMENTE IN 17 MISSIONI DI PACE

 

BRUXELLES. = “A tutti gli uomini e le donne che hanno servito e continuano a servire la pace”: è con questa motivazione che oggi si celebra la “Giornata Internazionale dei Peacekeepers ONU”, i noti caschi blu delle Nazioni Unite. Il Dipartimento ONU delle Operazioni di Peacekeeping sostiene attualmente 17 operazioni. Quasi 82.000 persone sono dispiegate in queste missioni, circa 66.000 il personale militare e più di 6.300 il personale civile internazionale. Negli ultimi 12 mesi, il Consiglio di Sicurezza ha avviato nuove operazioni ad Haiti, in Burundi ed in Costa d’Avorio ed ha protratto il mandato della Missione Organizzativa ONU nella Repubblica Democratica del Congo. Nei primi giorni di maggio, è stato dispiegato il primo gruppo di caschi blu ONU per la nuova missione delle Nazioni Unite in Sudan dove 10.000 soldati dovranno sostenere l’Accordo Globale di Pace che ha concluso dopo 21 anni la guerra civile nella regione africana. Il sottosegretario generale per il Peacekeeping, Jean-Marie Guèhanno, in occasione della Giornata Internazionale, ha sottolineato come “nonostante i successi ed i grandi cambiamenti apportati, la maggior parte delle missioni operano in contesti volatili e precari. E’ necessario, quindi – ha aggiunto il sottosegretario – sostenerle ed appoggiarle affinché esse raggiungano gli obiettivi demandati”. (R.A.)

 

 

APPELLO DEL Presidente della Conferenza Episcopale

della Repubblica Democratica del Congo: “Il popolo soffre da 45 anni

a causa di guerre civili e gravi disordini. Chiediamo a tutti

di astenersi da qualsiasi atto di violenza”

 

Kinshasa. = “Chiediamo a tutti di astenersi da qualsiasi atto di violenza”. Così mons. Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kisangani e presidente della Conferenza Episcopale della Repubblica Democratica del Congo (CENCO) invita i congolesi alla calma dopo gli ultimi atti di violenza verificatisi nel Paese a causa del probabile slittamento delle elezioni politiche che dovrebbero tenersi il prossimo 30 giugno. La nuova Costituzione approvata dal Parlamento, infatti, introduce la possibilità di rinviare le elezioni di 12 mesi. “Le violente reazioni popolari avvenute in diverse parti del Congo – ha sottolineato mons. Monsengwo Pasinya - vanno esaminate e valutate seriamente e in profondità, perché sono frutto di frustrazioni, d’esasperazione a causa delle condizioni generali di vita sociale, e d’impazienza davanti alle promessa di un avvenire migliore che tarda però a concretizzarsi”. Per migliorare il clima sociale e politico della nazione, i vescovi congolesi suggeriscono di prevedere almeno due mesi per spiegare alla nazione i punti essenziali e più importanti del testo costituzionale, in vista del referendum di approvazione della nuova Costituzione. In questo modo si rende tutta la popolazione consapevole del proprio impegno alla pace. Come ha ribadito mons. Monsengwo Pasinya, “il popolo congolese deve sentirsi partecipe nel processo di riconciliazione nazionale che ogni cittadino deve promuovere”. (R.A.)

 

 

“Underconstruction, aiutaci a costruire un mondo più giusto!”.

per la prima volta nell’ambito della “GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU’”

160 nazioni CELEBRANO l’impegno sociale

PER “costruire la civiltà dell’amore e della giustizia”

 

Colonia. = Nell’ambito delle “Giornate di incontro nelle Diocesi tedesche” che avranno luogo dall’11 al 15 agosto 2005, proprio in tutte le diocesi tedesche, in preparazione alla XX Giornata Mondiale della Gioventù (GMG) a Colonia, un posto di rilievo sarà riservato alla “Giornata dell’impegno sociale”, il 12 agosto. Lo slogan scelto per questa giornata sarà “Underconstruction - aiutaci a costruire un mondo più giusto!”. In preparazione a questa Giornata inoltre sarà realizzata una “Mappa della Diaconia”: i giovani tedeschi faranno una ricerca sulla struttura sociale della loro parrocchia e su questa base decideranno di realizzare un progetto sociale. “E’ la prima volta che si svolge una Giornata dell’impegno sociale nella cornice di una GMG – ha sottolineato il Responsabile della sezione Incontri dell’Uf-ficio organizzativo della GMG, Rafaela Ernst - e sarà una cosa molto speciale vedere come giovani provenienti da 160 nazioni in questa Giornata cercheranno di costruire insieme un mondo migliore. In questo modo, per i giovani impegnati e per l’opinione pubblica, sarà possibile vedere come si realizza la solidarietà universale. Dimostreranno inoltre che la solidarietà universale è necessaria e fattibile per costruire insieme una nuova cultura dell’amore e della giustizia”. (R.A.)

 

 

EMERGENZA CARESTIA IN NIGER. SONO OLTRE 4 MILIONI GLI ABITANTI

DEL PAESE AFRICANO COSTRETTI AD AFFRONTARE PENURIE ALIMENTARI.

PREVISTA IL 2 GIUGNO UNA MANIFESTAZIONE

PER RICHIEDERE DISTRIBUZIONE DI CIBO GRATUITO

 

NYAMEY. = “Più di 4 milioni di abitanti del Niger sono vittime della carestia. Migliaia di uomini hanno abbandonato i villaggi per cercare rifugio nelle città, lasciando al proprio destino mogli e figli”. Questa è la denuncia del “Coordinamento democratico della società civile del Niger” (CDSN) che ha indetto per il 2 giugno una manifestazione a Nyamey per richiedere “distribuzione gratuita” di aiuti alimentari.  “Finora il regime ha fatto orecchie da mercante – ha ribadito il Coordinamento democratico - punisce chi denuncia la carestia e insiste a voler vendere i beni di consumo alla popolazione”. Le zone più colpite sono soprattutto nell’est, nel nord e nell’ovest del Niger, uno dei Paesi più poveri del mondo, in gran parte desertico, dove 11 milioni di abitanti vivono soprattutto di agricoltura. Il direttore del Coordinamento democratico ha detto che la manifestazione prevede una marcia e un incontro nella piazza antistante il Parlamento. A febbraio, il “Sistema nazionale di allerta preventiva” del governo aveva censito 3,3 milioni di cittadini che si trovavano ad affrontare penurie alimentari. Secondo l’Indice di sviluppo umano dell’ONU, il Niger è il penultimo Paese, al 176.mo posto, solo prima della Sierra Leone. (R.A.)

 

 

18 CONFESSIONI A TRIESTE RICORDANO PAPA WOJTYLA:

PRIMA VOLTA INSIEME PER INIZIATIVA DEL CONSIGLIO COMUNALE

 

TRIESTE. = Trieste, città multietnica e plurireligiosa, ha ricordato Papa Giovanni Paolo II con un incontro svoltosi nella sala del Consiglio comunale, al quale hanno partecipato per la prima volta i rappresentanti di quasi tutte le 18 confessioni religiose presenti sul territorio, ivi compresa l’ultima nata, la comunità cristiana ortodossa romena. All’intervento del vescovo di Trieste, mons. Eugenio Ravignani, che ha ricordato “la costante tensione di Giovanni Paolo II per il dialogo ecumenico”, hanno fatto seguito le parole dei leader spirituali delle due più antiche chiese ortodosse della città, padre Rasko Radovic per i serbi e l’archimandrita greco Georgios Ntagkas, e quelle del rabbino Umberto Piperno. Affettuosa la considerazione della presidente del Centro culturale islamico e della monaca del Centro buddhista tibetano Sakya, che ha dato lettura di un messaggio del Dalai Lama. Infine, ha parlato padre Eugenio Costantin della neonata Chiesa ortodossa romena di Trieste e Gorizia, secondo il quale Papa Wojtyla “oggi, dalla casa di Dio, con amore pensa a noi tutti e desidera questa nostra, necessaria unità. Che noi possiamo ottenere, con la collaborazione fra tutti noi”. (R.A.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

29 maggio 2005

 

- A cura di Salvatore Sabatino -

 

 

Clementina Cantoni, la cooperatrice italiana rapita il 16 maggio in Afghanistan è viva e sta bene. La prova è giunta questa mattina in un video trasmesso da una televisione di Kabul, in cui la giovane, apparsa in buona salute, si è presentata ed ha citato la data di ieri. L’italiana è affiancata da due uomini armati ed ha la testa coperta da un velo blu. Secondo il ministero degli Esteri di Roma “il video è autentico e rassicurante”. Il nostro servizio:

 

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Lo sguardo presente, ma impaurito. Il capo coperto da un velo blu. Due mitra puntati alle tempie. Appare così Clementina Cantoni, la cooperatrice italiana in un video trasmesso questa mattina da Tolo Tv, un’importante emittente afghana. La giovane milanese, rapita a Kabul è, dunque, viva e dice in inglese il suo nome, quello della madre, del fratello, oltre che una data: “Oggi – risponde ad una domanda - è il 28 maggio”. Anche se poi, su suggerimento, aggiunge erroneamente domenica. Il video potrebbe essere stato registrato ieri. La prova tangibile, dunque, che la donna è viva. Così credono gli inquirenti che stanno seguendo questo intricato caso. Secondo fonti ufficiali, il video sarebbe stato consegnato al personale dell’emittente da un bambino che si trovava davanti alla moschea di Iedga, a Kabul. La redazione di Tolo Tv sarebbe, inoltre, in possesso della registrazione di una telefonata fatta da Timor Shah, il sequestratore di Clementina Cantoni, il quale sollecita le autorità italiane a dare un impulso alle trattative per la liberazione dell’ostaggio. Le immagini, ovviamente, hanno provocato grande commozione nei familiari di Clementina, che però hanno preferito non commentare. Un commento è, invece, giunto da parte del ministero degli Esteri di Roma che, attraverso il portavoce Pasquale Terracciano, ha riferito che il video “è rassicurante” e “appare attendibile”. I contatti con i rapitori, dunque, continuano.

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Ennesima giornata di sangue in Iraq. A finire nel mirino della guerriglia questa mattina è stato un convoglio militare britannico. L’attacco è avvenuto ad Amara, nel sud del Paese, controllato dal contingente di Londra. Ma è tutto l’Iraq ad essere messo a fuoco e fiamme dai guerriglieri che combattono contro la democratizzazione del Paese del Golfo. Ed il governo di Baghdad per la prima volta risponde con una massiccia operazione di sicurezza. La cronaca, nel nostro servizio:

 

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Una domenica di sangue. L’ennesima in Iraq, che giorno dopo giorno continua a vivere la propria quotidianità nella violenza. La giornata è iniziata con un attacco contro un convoglio militare britannico ad Amara, nel sud del Paese. La notizia è stata confermata dal portavoce del contingente di Londra, che ha parlato di un morto e 9 feriti. Sconosciuta al momento la dinamica dell’attacco. Ma il sangue continua a scorrere anche al nord. Due iracheni sono morti e altri nove sono rimasti feriti in un attentato suicida con un'autobomba compiuto al passaggio di un convoglio americano a Touz, davanti alla sede di un partito curdo. Un’autobomba è esplosa anche nel centro di Baghdad, nei pressi del ministero del Petrolio, causando la morte di 2 persone ed il ferimento di altre 6. L’intero Paese è, dunque, in preda alla violenza. Ed il Governo iracheno risponde per la prima volta con un'operazione senza precedenti, che vede l'impiego di 40.000 uomini. La capitale è stata circondata da un cordone di sicurezza per impedire l’ingresso a possibili terroristi. Sono già 500 le persone fermate. E continuano, invece, a giungere indiscrezioni sul terrorista giordano Abu Mussab Al Zarqawi, luogotenente di Al Qaeda in Iraq e capo della guerriglia. Le ultime notizie giungono dal britannico “Sunday Times”, secondo cui il braccio destro di Bin Laden sarebbe rimasto ferito ad un polmone nel corso di un’operazione americana al confine con la Siria e si sarebbe successivamente rifugiato in Iran per essere curato. Teheran ha prontamente smentito la notizia.

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Tensione alta anche sul fronte israelo-palestinese. Numerosi episodi di violenza vengono segnalati da ieri nei Territori, dove nelle ultime ore sono rimasti uccisi due palestinesi, il primo a Hebron, il secondo a Mevò Dotan. Entrambe le località si trovano in Cisgiordania. Nonostante gli episodi di violenza, il governo israeliano questa mattina ha approvato a larga maggioranza la liberazione di 400 detenuti palestinesi, nel contesto di una politica di distensione verso il presidente Abu Mazen. Tre ministri del Likud hanno comunque espresso parere contrario. Ce ne parla Graziano Motta:

 

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Nuovo passo nell’attuazione degli accordi di Sharm el-Sheik e un altro gesto volto a mantenere distese le relazioni con Abu Mazen: così il primo ministro Sharon ha motivato la decisione di liberare i 400 detenuti palestinesi in aggiunta ai 500 di qualche mese fa, nonostante le resistenze diffuse nel suo partito e l’opposizione esplicitata nella riunione odierna del governo da tre ministri politicamente molto importanti, come Banjamin Netanyahu, ex leader del Likud ed ex premier, e poi Dannu Naveh e Yisrael Katz. Secondo i ministri, la prosecuzione delle attività della guerriglia nei territori – tra l’altro, nelle ultime ore due palestinesi sono stati uccisi da soldati a Hebron e a Mevò Dotan – dovrebbe non solo bloccare ogni iniziativa di pace, ma escludere pure il ritiro unilaterale previsto a metà agosto di coloni e soldati da Gaza e dai quattro insediamenti della Cisgiordania. Diciotto, comunque, i ministri e fra di essi tutti quelli del partito laburista, che hanno votato a favore della liberazione dei prigionieri. Tiepide le reazioni dell’Autorità palestinese perché – afferma – non ci sono state consultazioni preventive: in effetti, il suo dissenso verte sul fatto che Israele intende trattenere nelle carceri quanti nella guerriglia e negli attentati dell’Intifadah si sono macchiati le mani di sangue.

 

Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Il Consiglio dei Guardiani, la Corte costituzionale iraniana, che ha l’autorità di vagliare le candidature alle prossime elezioni presidenziali, ha deciso di allargare ad otto la rosa dei candidati alla consultazione del 17 giugno prossimo, riammettendo il riformista Mostafa Moin, ex ministro dell’Università. Moin è il più popolare dei candidati riformisti, sostenuto da tutti i raggruppamenti politici anti-conservatori. Secondo i sondaggi, il candidato favorito alla vittoria è l’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani, seguito a grande distanza dall’ex capo della polizia Mohammad Baqer Qalibaf. Moin non dovrebbe andare oltre il terzo posto.

 

“l’Iran è molto interessato alla bomba atomica”. Lo ha dichiarato al settimanale tedesco “Der Spiegel” il presidente pachistano Pervez Musharraf, il quale ha aggiunto di non sapere cosa potrebbe indurre Teheran a rinunciarvi. Secondo il numero uno di Islamabad, inoltre, l’ipotesi di un attacco preventivo americano contro l’Iran, sarebbe “nell’attuale situazione internazionale un disastro”: creerebbe una rivolta del mondo musulmano. Da parte sua, Teheran ha chiesto ufficialmente chiarimenti al Pakistan sulle dichiarazioni di Musharraf.

 

Sono stabili le condizioni di salute del re saudita Fahd, ricoverato venerdì in un ospedale di Ryad in seguito ad un’infezione ai polmoni. L’anziano sovrano è stato colpito da un ictus nel 1995 e da allora, pur conservando la sua carica, ha affidato al fratellastro, il principe ereditario Abdullah, la gestione del Paese.

Secondo i nuovi risultati, ancora provvisori, delle elezioni politiche del 15 maggio scorso in Etiopia, il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope, il partito del premier etiope Meles Zenawi, è in grado di formare un nuovo governo, avendo ottenuto 269 seggi su un totale di 547 che compongono il Parlamento federale. Assieme ai quattro partiti alleati, il Fronte arriva a 283 seggi, cinque in più di quelli necessari per avere la maggioranza.

 

Prosegue la visita del segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, in Sudan, dove un accordo di pace, siglato lo scorso 9 gennaio, ha messo fine ad una sanguinosa guerra civile durata oltre vent'anni. Questa mattina Annan ha incontrato John Garang, l’ex leader ribelle che diventerà presto vice presidente del Sudan nel governo ad interim previsto dagli accordi di pace. Ieri il numero uno del Palazzo di Vetro aveva visitato il campo profughi di Kalma, uno dei più grandi del Darfur.

 

Le famiglie delle vittime del massacro di piazza Tiananmen in una lettera aperta inviata al presidente Hu Jintao, hanno chiesto che il governo cinese riconosca le sue responsabilità nella manifestazione studentesca, repressa nel sangue nella notte tra il 3 al 4 giugno 1989. Nella missiva, firmata da 125 persone, il gruppo delle Madri di Tienanmen ritiene insensato che Pechino accusi il Giappone di revisionismo storico, quando la Cina non si è ancora scusata per la repressione di 16 anni fa.

 

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