RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
134 - Testo della trasmissione di sabato 14 maggio 2005
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
IN PRIMO PIANO:
La rivolta
in Uzbekistan assume proporzioni drammatiche: i morti negli scontri sono almeno
200.
Il
commento di Fabrizio Dragosei
Il
Vangelo di domani: il commento di padre Marko Ivan Rupnik
CHIESA E SOCIETA’:
Padre Aquileio Fiorentini è stato eletto nuovo superiore generale dei Missionari della Consolata
Presentato ieri a Milano il Rapporto della Fondazione giustizia e solidarietà sul debito estero
L’ONU
denuncia: prosegue a ritmi allarmanti la deforestazione nel mondo
Prorogato per altri 30 giorni lo stato di emergenza in Iraq dove almeno sei persone sono morte per nuovi attentati a Baghdad e a Ramadi
A Taiwan il Partito
Democratico Progressista (PDP) del presidente Chen Shui-bian ha vinto le
odierne.
14
maggio 2005
TELEGRAMMA DI RINGRAZIAMENTO DI BENEDETTO XVI AL
PRESIDENTE
ITALIANO CIAMPI,PER L’ATTENZIONE E LA VICINANZA
DEL CAPO DELLO STATO
IN QUESTA FASE DI INIZIO PONTIFICATO
- A cura di Alessandro De Carolis -
Un augurio di prosperità e pace
per l’Italia e per il suo presidente. E’ una delle espressioni di
ringraziamento contenute nel telegramma inviato da Benedetto XVI al capo dello
Stato italiano, Carlo Azeglio Ciampi. Il Papa ricorda la doppia e ravvicinata
occasione di incontro con il presidente della Repubblica, in occasione della
cerimonia d’inizio pontificato del 24 aprile e, successivamente, dell’udienza
privata del 3 maggio scorso. “Ho già potuto esprimerle – scrive Benedetto XVI -
il vivo compiacimento per le nobili espressioni di augurio, che Ella, anche a
nome del Popolo italiano, aveva voluto inviarmi in occasione dell'elezione alla Cattedra di Pietro.
Vorrei ora ringraziarla anche per iscritto – prosegue il testo - del Suo
premuroso atto di cortesia e le sono altresì riconoscente per aver voluto
prendere parte alla cerimonia dell'inizio solenne del mio ministero petrino”.
Prima di impartire la
Benedizione apostolica, il Pontefice ricambia “la cordiale attenzione” ricevuta
dal presidente Ciampi “con sinceri auspici di prosperità e di pace”, invocando
su lui e i suoi familiari la protezione mariana. “La Vergine Santa – chiude il
telegramma - continui a guidarla nel servire la diletta Italia”.
UDIENZE
Stamane Benedetto XVI ha
ricevuto in successive udienze il cardinale Darío Castrillón Hoyos, prefetto
della Congregazione per il Clero; il cardinale José Saraiva Martins, prefetto
della Congregazione delle Cause dei Santi; l’arcivescovo Stanisław
Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici; il cardinale
Eduardo Martínez Somalo, Camerlengo di Santa Romana Chiesa.
NOMINE
In Italia il Santo Padre ha
nominato arcivescovo di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia mons.
Francesco Alfano, del clero della diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, parroco e
vicario episcopale per il clero. Mons. Francesco Alfano è nato a Nocera
Inferiore, in provincia di Salerno, il 13 giugno 1956. Ha conseguito la licenza
in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale
il 17 aprile 1982.
Sempre in Italia il Papa ha nominato
vescovo di Oria mons. Michele Castoro, del clero della diocesi di
Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, finora capo ufficio della Congregazione
per i Vescovi. Mons. Castoro è nato il 14 gennaio 1952 ad Altamura, in
provincia di Bari. Ha conseguito la Licenza in Teologia Fondamentale presso la
Pontificia Università Gregoriana. In seguito ha ottenuto la Laurea in Storia e
Filosofia presso l’Università degli Studi di Bari. E’ stato ordinato sacerdote il 6 agosto 1977. Chiamato nel 1985 al
servizio della Santa Sede, ha svolto il suo ministero nella Congregazione per i
Vescovi, dove nel 1996 è stato nominato capo ufficio. Nel 2001 è stato nominato
anche sostituto della Segreteria del Collegio Cardinalizio. Dal 1998 è Prelato
d’onore di Sua Santità.
- Intervista con mons. Giovanni Tani -
La diocesi di Roma avrà da
domani 21 nuovi sacerdoti e sarà lo stesso Benedetto XVI a presiedere domani
mattina, alle 9.30, la cerimonia di ordinazione che la nostra emittente seguirà
in radiocronaca diretta, dalle 9.20, con commenti in italiano, tedesco,
francese, spagnolo e, su satellite, in lingua inglese e portoghese. Sei dei
futuri sacerdoti appartengono al Seminario Romano Maggiore, nove al Seminario
Redemptoris Mater, mentre gli altri sono membri di Istituti religiosi di
diritto diocesano, presenti a Roma. Sette sono di nazionalità
italiana, gli altri provengono invece da Irlanda, Uruguay, Nigeria, Costa Rica,
Romania, Bolivia, Perù, Kenya, Angola. Al rettore del Seminario Romano
Maggiore, mons. Giovanni Tani, Giovanni Peduto ha chiesto anzitutto di
tratteggiare un profilo dei prossimi ordinandi, tutti legati da un’età media
piuttosto alta, che va da poco meno di 30 anni a oltre 50:
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R. - Maurizio, il 55.enne,
lavorava ai Beni Culturali presso la Presidenza del Consiglio e, in
particolare, si occupava di musica. Il suo percorso vocazionale è stato
abbastanza lungo: è iniziato dopo i 40 anni ed è approdato al Seminario Romano
cinque anni fa. Enzo lavorava nel Centro Meccanografico delle Poste, aveva un
posto sicuro, come si dice, e qui a Roma la vocazione lo ha portato in
Seminario per questa nuova avventura. Giovanni, laureato in lingue, compreso il
russo, ha lavorato anche lui prima di entrare in seminario. Gli altri tre hanno
percorsi vocazionali più tradizionali, legati alla vita parrocchiale.
D. – Verrebbe da chiedere perché
si sono fatti sacerdoti e, più in generale, perché farsi sacerdoti oggi…
R. – Questa è una domanda molto
impegnativa, che sconfina nel mistero di Dio e nel mistero dell’uomo e nella
loro libertà. Certo è che accanto all’essere attirati fortemente da Dio, tutti
questi riportano dentro anche la consapevolezza che non si tratta di qualche
cosa per sé ma per gli altri, per far sì che la vita di tutti raggiunga lo
scopo, il suo scopo nell’amore di Dio e nell’amore degli altri. Avvertiamo
sempre più diffuso, oggi più che mai, il bisogno di trovare un senso profondo
al vivere. I sacerdoti e coloro che lo diventano sentono di essere qui al
centro di un impegno molto forte e molto bello.
D. – Lei, certamente, a questi
novelli sacerdoti, avrà spiegato quali sfide li attendono…
R. – Credo che la sfida
principale sia la sfida della fede: procedere nella fede in un ambiente dove essa
non è più così immediata, così facile, giacché viviamo prevalentemente in un
clima di indifferenza. L’altro aspetto, la grande sfida di oggi, è quello del
trasmettere la fede. E’ sempre più evidente che la trasmissione della fede ha
bisogno di una grande esperienza ed ha bisogno di rivestirsi di bellezza: una
trasmissione che sappia cioè attirare, che sappia affascinare.
D. – Monsignore, cosa direbbe ad
un giovane che le dicesse invece di sentire la vocazione?
R. – Gli raccomanderei,
immediatamente, di affidarsi molto alla Chiesa, ad un’esperienza di Chiesa, di
comunità, e quindi di rivolgersi subito alla parrocchia, di intensificare la
sua vita di partecipazione alla comunità, di affidarsi ad un direttore
spirituale esperto, in grado di aiutarlo a “leggersi” in questo suo
orientamento vocazionale, di pregare molto e di compiere opere di carità, cioè
di aiuto agli altri e di verificarsi in tutto questo per vedere se questo
richiamo alla vocazione sacerdotale regge e si irrobustisce nel tempo o meno.
D. – Circa la curva vocazionale?
R. – Direi che in questi ultimi
anni l’andamento delle vocazioni nel mondo tiene abbastanza. E’ certo che c’è
stato un grosso calo negli anni precedenti e negli ultimi anni c’è una
sostanziale tenuta. Se guardiamo le grandi aree del mondo, dobbiamo dire che
l’area principale, la prima per numero di vocazioni, è l’America. Certamente
l’America del Sud, in primo luogo, ma il dato riguarda tutta l’America con
37.191 unità, poi c’è l’Asia con uno scarto abbastanza notevole, con 27.931;
per l’Europa con 24 mila, l’Africa con 21 mila e l’Oceania con 955 seminaristi.
Penso che questi numeri possano dare una certa idea. Certo noi stiamo in Europa
e sappiamo che l’Europa Occidentale soffre ancora, in questo momento, di una
crisi che attende una risposta ancora forte per quanto riguarda questo problema.
D. – La diocesi di Roma,
specificamente?
R. – La diocesi di Roma diciamo
che per le vocazioni ha anche una tenuta sostanziale. Quest’anno il numero dei
sacerdoti ordinati sono sei. L’anno prossimo ancora un numero abbastanza basso,
poi ci saranno degli anni con numeri più elevati e diciamo che l’ingresso in
seminario, in questi ultimi anni, è abbastanza soddisfacente con un numero per
la diocesi di Roma che supera le dieci unità all’anno.
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IL RITRATTO DI SUOR MARIANNA
COPE, CHE VERRA’ BEATIFICATA
OGGI POMERIGGIO:
UN’INTERA VITA SPESA PER I LEBBROSI DELL’ISOLA
DI MOLOKAI, COME MEDICO DEI CORPI E DELLE ANIME
- Intervista con padre Ernesto Piacentini -
Un “angelo” in un’“isola
maledetta”, infestata dalla lebbra: è racchiusa in questo gioco d’opposti la
storia di suor Marianna Cope, una delle due Serve di Dio che, insieme a Madre
Ascensión Nicol Goñi, verrà beatificata oggi pomeriggio, alle 17, durante la
cerimonia presieduta in San Pietro dal cardinale José Saraiva Martins, prefetto
della Congregazione per le Cause dei Santi. Originaria della Germania
orientale, dove nacque nel 1838, ma trasferitasi all’età di due anni a New
York, Marianna Cope divenne una religiosa del Terz’Ordine francescano di
Syracuse. Nel 1883, dimostrando notevole coraggio e insieme un grande fervore
missionario, fu l’unica a rispondere all’appello del vescovo di Honolulu, che
chiedeva di aprire una missione nel lebbrosario dell’isola di Molokai, nelle isole
Hawaii. In quell’isola lavorò e servì i lebbrosi fino alla morte, che
sopraggiunse nel 1918. Per un ritratto della nuova Beata, ascoltiamo il
postulatore della Causa di beatificazione, padre Ernesto Piacentini,
intervistato da Giovanni Peduto:
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R. - Fu modello di carità e di
assistenza ai malati di lebbra. Durante la sua vita, infatti, si rivelarono le
varie virtù, particolarmente la sua fortezza e la sua misericordia verso i
malati di lebbra abbandonati. Ma tra tutte le sue virtù emerge la centralità di
fede sorretta da forte speranza. A Molokai, quale espressione della sua fama di
santità, sulla sua tomba fu eretto un monumento. E’ stata chiamata martire ed
eroina di Molokai ed anche madre dei lebbrosi. Lavorando in pericolo costante
per la propria vita, affrontò tutto con coraggio indomabile. A me personalmente
madre Marianna ha comunicato il suo messaggio un giorno, quando arrivai a
Molokai, davanti alla sua tomba. Era la prima volta che giungevo nell’isola e
quell’ambiente aveva creato in me una certa pesantezza d’animo. Appena arrivai
davanti alla tomba, lessi la frase che vi era scritta sopra in inglese antico:
“Smile! The smile will not broken
your face!”, cioè “Sorridi! Il sorriso non ti rovinerà la faccia!”. Da quel
momento cominciai a sorridere ai lebbrosi, in particolare mi impegnai a
lavorare per la causa di canonizzazione di madre Marianna, presentata al mondo
come un esempio di incoraggiamento per aiutare i lebbrosi.
D. – Che cosa ha spinto questa
donna a dare la vita per i lebbrosi?
R. – La spiritualità di madre
Marianna Cope è stata una spiritualità francescana. Apparteneva alla
Congregazione delle Suore Francescane di Syracuse. Di fatto, quando l’emissario
del vescovo di Honolulu si presentò a madre Marianna, per andare a risolvere il
grave problema della mancanza di assistenza ai lebbrosi nelle Isole Hawaii,
ella rispose: “San Francesco ha abbracciato i lebbrosi e quindi io, come francescana,
non posso rifiutare questo invito di andare ad assistere i lebbrosi
abbandonati, miei fratelli”.
D. – Padre Ernesto, vuole
tratteggiare un episodio particolare della vita di madre Marianna Cope?
R. – Mi sembra che uno di
questi, significativi, sia quello che madre Marianna si prese cura dei figli
dei lebbrosi a Molokai. Ella volle che si costruissero due collegi per i
ragazzi figli dei lebbrosi ed un altro collegio per le ragazze. I figli dei
lebbrosi nascono senza lebbra perché questa è una malattia non ereditaria e
quindi, tenendoli ragionevolmente separati dai genitori con la dovuta igiene,
cibo e medicine, potevano, da grandi, reinserirsi nella società. Un secondo
fatto, parallelo, è che, restando questi ragazzi in mezzo alle loro famiglie e
a tutti gli altri lebbrosi, essi erano oggetto anche di soprusi! A Molokai i
malati di lebbra non avevano più principi di moralità e quindi essi erano in
preda alla disperazione e alle violenze!
D. – Quale messaggio ci lascia
madre Marianna Cope di Molokai?
R. – Della sua vita, madre
Marianna Cope dice agli uomini di oggi che bisogna assistere i fratelli nel
bisogno, particolarmente i fratelli che sono soli, abbandonati ed emarginati.
Dice ad ogni uomo che le opere di misericordia vanno prese, accettate e praticate
se si vuole essere cristiani, perché Cristo ha detto: “Ogni cosa che avrete
fatto ai più piccoli, l’avrete fatta a me!”.
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Ricordiamo che la nostra emittente seguirà la cerimonia
di Beatificazione in radiocronaca diretta a partire dalle 16.50 con commenti in
italiano sull’onda media di 585 kHz e in modulazione di frequenza su 105 MHz.
Per il satellite il commento sarà in lingua spagnola e inglese.
LA GIOIA DI TUTTA LA
CHIESA PER L’AVVIO DELLA CAUSA DI BEATIFICAZIONE
DI GIOVANNI PAOLO II ANNUNCIATA IERI DA BENEDETTO
XVI
- Interviste con mons. Stanislao Dziwisz e il
cardinale Franciszek Macharski -
Grande
gioia ieri in tutta la Chiesa per l’annuncio dato da Benedetto XVI di avviare
prontamente la causa di beatificazione di Giovanni Paolo II senza attendere i 5
anni canonici dalla sua morte. Hanno esultato i fedeli che continuano a rendere
omaggio alla tomba del Pontefice scomparso: una media di 23 mila persone al
giorno, rende noto l’Osservatore Romano, si reca al sepolcro di Giovanni Paolo
II nelle Grotte Vaticane. Grande la
gioia in tutta la Polonia. Profondamente commosso si è detto l’ex segretario
personale di Papa Wojtyla, mons. Stanislao Dziwisz. Ascoltiamo il suo commento:
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(Parole in polacco)
Esprimo
gioia e gratitudine a Papa Benedetto XVI per l’apertura della strada che
conduce al riconoscimento ufficiale della santità di Papa Giovanni Paolo II.
Questo accade proprio nell’anniversario dell’attentato alla sua vita, il 13
maggio, giorno delle apparizioni di Fatima. Questo è un segno dal Cielo che
accogliamo con profonda commozione. E’ una riaffermazione di quello che il
popolo di Dio ha espresso pubblicamente durante i funerali: “Subito Santo!”.
Esprimo la mia gioia nel nome di don Mieczyslaw, del signor Angelo Gugel e
delle suore Serve del Sacro Cuore, e tutti quelli che con dedizione hanno
servito il Santo Padre ogni giorno nel suo lavoro apostolico.
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E adesso sentiamo la
testimonianza dell’arcivescovo di Cracovia il cardinale Franciszek Macharski,
raccolta da Stefano Leszczynki:
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Esprimo
la mia gioia e la gratitudine perché questo Papa, Giovanni Paolo II, era per me
un padre santo, santo e grande. Lui era un testimone di Dio. Ora questo Papa,
così vicino a noi, sarà vicino anche a tanti altri, a tutto il mondo, e non
solo a cattolici e credenti. Lui era veramente un dono dato da Dio in questi
difficilissimi tempi perché il mondo sia più umano e più credente.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina un articolo di Giampaolo Mattei dal titolo "Commossi e
gioiosi i pellegrini in preghiera davanti alla tomba del servo di Dio Giovanni
Paolo II": la gratitudine dei fedeli per l'inizio della Causa di
beatificazione e canonizzazione annunciato da Benedetto XVI.
Nelle vaticane, il discorso
pronunciato nel 1990 dal cardinale Joseph Ratzinger in occasione del centenario
della morte del cardinale John Henry Newman, "uno dei grandi maestri della
Chiesa".
Gli interventi di venti
presbiteri e di un diacono nella cattedrale di san Giovanni in Laterano durante
l'incontro, ieri, con il Papa.
Nelle estere, Uzbekistan:
ripresi gli scontri armati nella città di Andijan. Gli Usa esortano Governo e
dimostranti alla moderazione.
Nella pagina culturale, un
elzeviro di Mario Gabriele Giordano dal titolo "Acquistare un libro non
significa leggerlo": in margine alla Fiera di Torino.
Nelle pagine italiane, in primo
piano l'economia: il Premier chiede aiuto alle parti sociali e all'Europa per
superare la crisi.
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14
maggio 2005
LA
RIVOLTA IN UZBEKISTAN ASSUME PROPORZIONI DRAMMATICHE: I MORTI
NEGLI SCONTRI SONO ALMENO 200.
MIGLIAIA DI MANIFESTANTI HANNO CHIESTO,
STAMANI, LE DIMISSIONI DEL
PRESIDENTE KARIMOV
- Intervista con
Fabrizio Dragosei -
La situazione in Uzbekistan è
sempre più drammatica. Per ora la rivolta anti-presidenziale, scoppiata 48 ore
fa, rimane circoscritta alla zona orientale dell’ex Repubblica Sovietica. Secondo alcune agenzie per i diritti umani, sarebbero almeno 200 i
morti negli scontri ad Andijan. Il servizio di Giuseppe D’Amato:
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“L’Uzbekistan
non combatte contro donne e bambini”. Questa la prima reazione ufficiale ai
disordini di Andijian del presidente Karimov, che ha denunciato che lo scopo
principale della rivolta era liberare il capo di un gruppo estremista islamico
in prigione da tempo. “L’azione era pianificata”, ha sottolineato il leader
uzbeko, al centro di pesanti critiche della stampa internazionale. Tra i
militari, fedeli a Tashkent, vi sono una decina di morti, mentre tra gli
insorti “molti di più”, ha ammesso Karimov. Si ha, così, la conferma che ad
Andigian vi è stato un vero bagno di sangue. Fonti ospedaliere parlano di oltre
200 morti e centinaia di feriti, molti dei quali sono fuggiti nel vicino
Kirghizistan. Dopo una notte relativamente tranquilla le sparatorie sono ricominciate
in tutta la città. Alcune migliaia di persone, al grido “assassini”, si sono
radunate davanti al palazzo dell’amministrazione regionale, che era stato,
ieri, occupato dai rivoltosi. La polizia, pare, però, controllare ormai la situazione. Le notizie provenienti da Andijian restano
confuse e le autorità uzbeke hanno intimato alla stampa di allontanarsi non
potendo garantire la sicurezza dei giornalisti. L’Unione Europea ha
puntato l’indice contro la politica di Tashkent e la repressione poliziesca. La
Russia si dice preoccupata per gli eventi, definiti un problema interno uzbeko.
Disoccupazione con tassi
elevatissimi, povertà ed una situazione socio-economica complessa rendono
esplosiva la situazione nella valle di Ferganà.
Per la Radio Vaticana
Giuseppe D’Amato
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L’Uzbekistan
rischia di scivolare in una crisi di proporzioni drammatiche. La protesta
contro il presidente Karimov continua e il bilancio delle vittime si fa
drammatico, c’è anche chi parla di 300 morti, mentre sono molti ad accusare il
capo dello Stato di aver ordinato alle forze dell’ordine di sparare sulla
folla. Karimov ha negato quest’accusa, affermando che dietro l’insurrezione vi
sono gruppi integralisti islamici. Ma è possibile addebitare quanto successo
all’estremismo islamico? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Fabrizio Dragosei,
corrispondente a Mosca per il Corriere della Sera:
R. – Sicuramente la
protesta ha due componenti. C’è sicuramente una componente democratica e anti
Karimov, che prende spunto dalle famose Rivoluzioni di Velluto, la prima in
Georgia e poi in Ucraina. E c’è poi una componente dei gruppi estremistici
islamici che in quella zona sono molto attivi e hanno iniziato questa rivolta
con le armi, quindi non una rivolta pacifica, e che si richiamano a dei gruppi
islamici estremisti collegati con gruppi internazionali, anche con Al Qaeda,
che hanno fatto da tramite tra l’Uzbekistan e l’Afghanistan anche negli anni
passati. Certamente, il loro movimento raccoglie maggiori consensi di quanto
non ne raccoglierebbe in un Uzbekistan pacifico. E’ difficile oggi capire come
uscire da questa situazione.
D. – Quindi, in questo momento,
l’opposizione uzbeka secondo te non può esprimere un personaggio alternativo al
presidente Karimov, come invece è successo in Ucraina?
R. – Purtroppo, in questo
momento in Uzbekistan personaggi democratici che potrebbero diventare lo
Yushenko dell’Uzbekistan non ci sono, proprio perché Karimov si è concentrato
in questi anni in una repressione fortissima contro qualsiasi movimento
democratico. Quindi, gli unici che hanno una presa nel Paese e che sono attivi
sono questi leader islamici che, però, non sono amati dai pochi democratici che
ancora fanno sentire la loro voce in Uzbekistan. Io ho l’impressione che sia
difficile oggi vedere una rivoluzione di tipo democratico in Uzbekistan.
D. – La comunità internazionale
sembra che stia a guardare quanto sta succedendo in Uzbekistan. La stessa
Russia ha detto sono “fatti interni del Paese” …
R. – Questo deriva sicuramente
dalla grande importanza strategica che oggi ha l’Uzbekistan e dal fatto che
nessuno vuole perderlo. La Russia è ancora comunque presente in Uzbekistan, ha
buoni rapporti con Karimov, li ha riaffermati in questo momento e ha deciso di
giocare le sue carte sul presidente attuale, riconfermandogli la fiducia.
Washington pure si è limitata a delle dichiarazioni molto generiche, invitando
le parti a una certa moderazione. Gli unici che hanno fatto sentire la loro
voce contro Karimov, chiedendo il rispetto dei diritti umani, sono gli europei.
Oggi la Russia teme più di ogni altra influenza il crescere dell’estremismo
islamico. E gli Stati Uniti ovviamente sono contrari a qualsiasi gruppo
islamico estremista. Il rafforzamento di questi gruppi in Uzbekistan potrebbe
creare grossissimi problemi.
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Domani, 15 Maggio, Solennità di Pentecoste, la
liturgia ci presenta negli Atti degli Apostoli la discesa dello Spirito Santo
come un vento gagliardo e come lingue di fuoco che si posano sui discepoli di
Gesù. Il Vangelo invece ci racconta l’apparizione di Gesù risorto agli
apostoli, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano per timore
dei Giudei. Il Signore dice:
«Pace a voi! Come il Padre ha
mandato me, anch'io mando voi».
Su queste parole ascoltiamo il
commento del teologo gesuita padre Marko Ivan Rupnik:
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Nella vicinanza
del suo congedo Cristo intensifica il discorso sullo Spirito Santo, il
Consolatore, lo Spirito di Verità, Spirito che ricorderà tutto ciò che Cristo
ha detto e ha fatto. Infatti, solo con la Pentecoste i discepoli comprenderanno
la grandezza, il senso e la portata della Passione, della morte e della
Risurrezione di Cristo. Sant’Agostino sottolinea che il Padre ha mandato Suo Figlio
per toccarci con il Suo amore e così suscitare in noi l’amore verso di Lui e
questo si è realizzato nel dramma della Pasqua, tramite la morte. Solo inviando
lo Spirito Santo il Signore può mandare anche noi, perché lo Spirito ci
convincerà che l’amore vive in modo pasquale e che l’esito del sacrificio è la
Risurrezione. Lo Spirito Santo ci convince che la rinuncia e la tristezza della
prova vengono superate con la beatitudine della consolazione che al cuore umano
solo il Paraclito, il Consolatore divino, può dare.
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14
maggio 2005
PADRE
AQUILEIO FIORENTINI È STATO ELETTO NUOVO SUPERIORE GENERALE
DEI
MISSIONARI DELLA CONSOLATA. PER LA PRIMA VOLTA NON SARÀ UN ITALIANO
A
GUIDARE L’ISTITUTO FONDATO POCO PIÙ DI UN SECOLO FA
SAN PAOLO. = Il capitolo generale dei Missionari della
Consolata (IMC) in corso a San Paolo, in Brasile, ha eletto il nuovo superiore
generale che guiderà l’Istituto nei prossimi sei anni: è padre Aquileo
Fiorentini, 53 anni, nato in Brasile, a Tucunduya, Rio Grande do Sul. A
comunicarlo all’agenzia Fides è stato il superiore della casa generalizia,
padre Vincenzo Mura. Padre Fiorentini ha studiato filosofia a San Paolo,
teologia a Roma, missiologia alla “Gregoriana” e spiritualità al “Teresianum”.
Sempre a Roma, presso l’Università Pontificia Salesiana, ha conseguito la
licenza in Psicologia. Dal 1984 al 1987, ha lavorato come parroco a Vilankulo,
in Mozambico. Successivamente, é stato formatore ed economo nel seminario filosofico
di Curitiba, in Brasile. Dal 1999 al 2005, é stato consigliere generale. Padre
Fiorentini alla guida dei Missionari della Consolata sarà affiancato da padre
Stefano Camerlengo, missionario in Congo, padre Francisco Lopez Vazque, missionario
in Corea, padre Antonio Manuel, missionario in Brasile e padre Matthew Ouma, kenyano.
La nuova direzione generale ha una forte connotazione internazionale, la
maggiore nella storia dell’Istituto. Per la prima volta, infatti, il superiore
non é italiano e, sempre per la prima volta, un africano – un keniano - entra
nella direzione. Fondato a Torino il 29 gennaio 1901 dal beato Giuseppe
Allamano, l’Istituto Missioni Consolata (IMC), dopo l’approvazione delle
Costituzioni da parte di Propaganda Fide (1923), fu riconosciuto aggregato al
dicastero missionario. I poco più di cento anni di storia missionaria dell’IMC
si identificano con un periodo di trasformazione da cui sono nati i popoli
liberi e le Chiese autoctone. A questo processo hanno contribuito i Missionari della
Consolata, seguendo la metodologia del loro fondatore, che ha fatto della
promozione umana e dell’evangelizzazione i due valori fondamentali e
irrinunciabili delle culture locali. Oggi, i Missionari della Consolata sono
circa un migliaio ed operano in 22 nazioni di quattro continenti: Europa,
Africa, America e Asia. (E. B.)
In Pakistan la “legge sulla blasfemia”, che prevede
l’ergastolo o la pena
di morte per quanti insultano il corano,
dal 1988 ha provocato la carcerazione di oltre 600
persone
oltre a 20 esecuzioni. A renderlo noto, il rapporto
della conferenza episcopale del paese
- A cura
di Eugenio Bonanata -
LAHORE. = A causa della “legge
sulla blasfemia” in vigore in Pakistan, dal 1988 ad oggi sono 647 le persone
accusate e incarcerate, mentre 20 sono quelle assassinate. Questi dati emergono
dal rapporto che la Commissione Nazionale “Giustizia e Pace” della Conferenza
Episcopale del Pakistan ha pubblicato giovedì scorso. La legge sulla blasfemia
è stata introdotta nel 1986. Una sezione si riferisce alle offese al Corano,
punite anche con l’ergastolo; un’altra prevede la pena di morte o l’ergastolo
per “quanti con parole o scritti, gesti o rappresentazioni visibili, con
insinuazioni dirette o indirette, insultano il sacro nome del Profeta”. La
disposizione, che permette di incarcerare il presunto trasgressore in seguito a
semplici dichiarazioni orali prestate da qualsiasi cittadino, favorisce
talvolta l’utilizzo della legge come strumento di vendetta personale. La Chiesa
cattolica pakistana definisce la normativa “ingiusta e discriminatoria” e da
molto tempo ne chiede la totale cancellazione, criticando apertamente i
superficiali emendamenti apportati dal governo del generale Pervez Musharraf.
Secondo quanto sottolineato dall’agenzia di stampa “AsiaNews”, le modifiche si
limitano a vizi di procedura e applicazione della legge, mantenendo in vigore
la pena di morte per chi offende Maometto. Secondo quanto scritto nel rapporto
della suddetta Commissione, i cristiani in carcere con l’accusa di blasfemia
sono attualmente più di 80: un numero elevato se si considera la bassa
percentuale dei cristiani rispetto alla popolazione pakistana (solo l’1%). Il
documento informa, inoltre, che il 50% degli accusati di blasfemia sono
musulmani, il 37% ahmadi, il 13% cristiani e l’1% indù. I casi sicuramente
censiti – ha spiegato Peter Jacob, presidente della Commissione – sono 647, ma
si stima che possano essere molti di più. Secondo quanto riferito l’estate
scorsa ad “AsiaNews” da Ejaz ul Haq, ministro federale per gli Affari
religiosi, è solamente negli ultimi 18 anni che si registra un abuso della
legge, poiché dal 1927 al 1986 si erano registrati solo 7 casi di blasfemia.
Nei processi iniziati a partire dal 1988, 102 persone sono state assolte dalla
Corte suprema del Pakistan. Delle 20 persone uccise, 14 sono musulmane e 6
cristiane. Fra le persone assassinate dagli integralisti, vi è anche un avvocato
ex giudice della Corte Suprema, Arif Huassain Bhatti, che aveva scelto di
difendere gli imputati di blasfemia. In Pakistan, su una popolazione di 155 milioni
di persone, i musulmani sono il 97%, in maggioranza sunniti, con il 20% di
sciiti. I cristiani sono il 2,5%, fra i quali
oltre 1 milione di cattolici. (E. B.)
IL MONDO MUSULMANO PROTESTA CONTRO LA PRESUNTA
PROFANAZIONE DEL CORANO DA PARTE DI ALCUNI SOLDATI STATUNITENSI
NELLA PRIGIONE DI GUANTANAMO. LE MANIFESTAZIONI
PIU’ VIOLENTE IN AFGHANISTAN, CON 7 MORTI ED UNA VENTINA DI FERITI
GUANTANAMO. = La prigione di
Guantanamo torna a riempire le pagine dei giornali internazionali, per
l’ennesimo inquietante episodio di sopraffazione, questa volta a sfondo
religioso. Durante alcuni interrogatori, i soldati statunitensi avrebbero
profanato alcune copie del Corano, strappandole e gettandole
nei bagni. La notizia, pubblicata dal
settimanale statunitense “Newsweek”, ha fatto il giro del mondo, provocando
un’ondata di proteste senza precedenti. Manifestazioni di piazza si sono avute
nei Territori palestinesi, in Libia, Pakistan. Ma è stato in Afghanistan che si
è registrato il bilancio più grave: almeno 7 morti ed una ventina di feriti.
Quattro poliziotti e militari hanno perso la vita in scontri con i dimostranti
nella provincia di Ghazni, a sudovest della capitale Kabul, mentre tre
manifestanti sono stati uccisi nella provincia nordorientale di Badakhshan,
tuttavia il bilancio, secondo fonti non ufficiali, sarebbe ancora più grave.
Per protesta contro la grave dissacrazione, anche nel vicino Pakistan migliaia
di persone sono scese in piazza a Islamabad, Karachi, Lahore, Peshawar, Multan
e Quetta: qui la polizia non ha segnalato alcun incidente. I palestinesi si
sono uniti alle contestazioni manifestando in alcune città della Cisgiordania e
della Striscia di Gaza. In Indonesia, il Paese musulmano più popoloso del
mondo, centinaia di fedeli si sono riuniti in una moschea della capitale
Giakarta per protestare in modo pacifico contro la dissacrazione del Corano. La
Casa Bianca ha comunicato di aver aperto un’inchiesta per far luce
sull’accaduto e per dare un nome ai responsabili. Dal 2001 Guantanamo, la base
statunitense in territorio cubano, è il luogo di detenzione di centinaia di
persone, in gran parte afgani e pakistani, accusate di terrorismo. (S.S.)
APERTA NEI GIORNI SCORSI A ROMA LA MOSTRA
STORICO-FOTOGRAFICA DAL TITOLO “PADRE PANCRAZIO PFEIFFER: UN GENERALE SENZA
ARMI”. SCOPO DELL’INIZIATIVA È RICORDARE LA STRAORDINARIA FIGURA DEL SACERDOTE
BAVARESE CHE,
DURANTE L’OCCUPAZIONE NAZISTA A ROMA, SALVÒ CENTINAIA
DI VITE UMANE,
TRA CUI MOLTI EBREI
ROMA. = Per ricordare il 60.mo
anniversario della morte di padre Pancrazio Pfeiffer, avvenuta il 12 maggio
1945, la Società del Divin Salvatore, cui il religioso apparteneva, ha
allestito una mostra nel palazzo Cesi di via della Conciliazione a Roma, sede
della Curia generalizia dei Salvatoriani. Obiettivo dell’iniziativa è far
conoscere l’opera di questo sacerdote, nato in Baviera, nel contesto della
Seconda Guerra Mondiale, durante l’occupazione tedesca. Padre Pfeiffer venne
definito “un generale senza armi”, che si è però servito delle armi della
carità per salvare centinaia di vite umane, tra cui molti ebrei, e non solo a
Roma. Era un uomo paziente ed infaticabile che, mettendo a frutto la sua
nazionalità tedesca e godendo della fiducia di Papa Pio XII, è riuscito a
svolgere una intensa attività di mediazione con il comando delle autorità tedesche,
salvando un gran numero di vite umane, ottenendo informazioni, perorando
situazioni particolari. La mostra, che sarà aperta al pubblico fino al 18
giugno, oltre a mettere a fuoco la figura di padre Pfeiffer ed il carisma dei
Salvatoriani, vuole quindi sottolineare la grande opera di questo sacerdote
tedesco durante il periodo bellico. Pfeiffer nacque il 18 ottobre 1872 a
Brunnen, presso Fuessen, in Baviera. Nel 1888 sceglie di abbracciare la vita
religiosa e il 18 marzo 1889 compie un viaggio a Roma per entrare nella Società
del Divin Salvatore. Ordinato sacerdote nel 1896, entra a lavorare in Vaticano
nel 1908, sotto il Pontificato di Pio X, nell’ufficio addetto alle udienze
papali. Nel 1915 viene eletto superiore generale dei Salvatoriani, succedendo
al Fondatore, incarico che mantiene per 30 anni, fino alla morte, il 12 maggio
1945. Durante l’occupazione tedesca di Roma, erano innumerevoli le persone che
si rivolgevano a lui per avere notizie di parenti arrestati o ottenere la loro
liberazione. Nessuno può calcolare quanti ebrei sia riuscito a nascondere,
quanti perseguitati abbia protetto o quanti condannati a morte abbiano avuto
salva la vita anche pochi momenti prima dell’esecuzione. Il tutto grazie alla
tenacia di questo sacerdote. (E. B.)
IMPEGNI DI GIUSTIZIA: IL RAPPORTO DELLA FONDAZIONE
“GIUSTIZIA E SOLIDARIETA’” SUL DEBITO ESTERO DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO
E’ STATO PRESENTATO IERI A MILANO, NELL’AMBITO
DELLA CAMPAGNA DELLA CEI IN FAVORE DELLA REMISSIONE DEL DEBITO PER I PAESI
POVERI
- A cura di Fabio Brenna -
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MILANO. = Un impegno che deve
proseguire per battere un’autentica forma di moderna schiavitù. Dal rapporto
sul debito 2000-2005 e dalla Giornata di studio milanese arriva l’invito a
rinnovare l’impegno sul fronte della riduzione del debito estero dei Paesi
poveri, iniziativa, sostenuta da Giovanni Paolo II durante il Grande Giubileo
del 2000. La Chiesa italiana ha raccolto finora 17 milioni di euro, 6 di questi
sono stati destinati alla Guinea-Conakry, dove sono stati realizzati scuole,
ambulatori, un ospedale e dato impulso a cooperative economiche. Più
difficoltose le realizzazioni per lo Zambia, a cui sono stati destinati 10
milioni di euro. In questo Paese, si era anche indirizzato l’impegno giubilare
dello Stato italiano, ma l’intervento si è via via complicato con il
regolamento attuativo del provvedimento di legge e per le successive difficoltà
di bilancio. Eppure, tracciando un bilancio di questa esperienza l’arcivescovo
di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, ha parlato di una felice sintesi
tra i principi della Dottrina sociale della Chiesa, le proposte per le
istituzioni pubbliche e gli atteggiamenti e comportamenti concreti delle
persone. Il cardinale Tettamanzi ha però esplicitamente chiesto allo Stato
italiano il rispetto dei patti, quello cioè di dare lo 0,7 per cento del suo
prodotto interno lordo come stanziamento minimo a favore della cooperazione
allo sviluppo, rinnovando e completando il suo impegno con lo Zambia. Riccardo
Moro, direttore della Fondazione Giustizia e Solidarietà, dopo aver osservato
come le cancellazioni seguano il ritmo dell’iniziativa internazionale, ha evidenziato
la mancanza di attività di controllo sull’utilizzo delle risorse ottenute con
la cancellazione del debito.
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LA
DEFORESTAZIONE NEL MONDO AVANZA IN MODO PREOCCUPANTE. A DENUNCIARLO È L’ONU
ALLA VIGILIA DEL FORUM INTERNAZIONALE SULLE FORESTE, IN PROGRAMMA DAL 16 AL 27
MAGGIO A NEW YORK
PARIGI. = La deforestazione nel
mondo ha un andamento allarmante. Lo ritiene l’ONU che, alla vigilia di una
riunione internazionale sulle foreste, in programma a New York, ha diffuso un
comunicato ricevuto a Parigi. Il tasso netto di disboscamento è pari a 9,4 milioni
di ettari all’anno. Ogni anno, a partire dal decennio scorso, circa 15 milioni
di ettari vengono disboscati e poco più di 5 vengono recuperati grazie alla
rigenerazione naturale o alla decisione di piantare alberi in terreni
precedentemente non boschivi. La deforestazione si produce principalmente nelle
regioni tropicali, mentre nei Paesi nordici le foreste aumentano di quantità. Dal 16 al 27 maggio, si svolgerà
il forum dell’ONU sulle foreste, cui parteciperanno 300 responsabili
governativi tra cui 40 ministri. (E. B.)
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14
maggio 2005
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Iraq, almeno tre civili sono
rimasti uccisi in seguito ad un nuovo attentato dinamitardo avvenuto in un
quartiere meridionale di Baghdad. Sempre nella capitale, l’esplosione di
un’autobomba nei pressi del Ministero dell’industria ha provocato la morte di
quattro persone. Due militari iracheni sono morti, inoltre, per un attacco
della guerriglia contro un posto di blocco dell’esercito a Ramadi. Il nostro servizio:
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In questo scenario dominato dalle violenze, il
governo iracheno ha deciso di prorogare per altri 30 giorni lo stato di
emergenza. Lo ha annunciato il premier sciita, Ibrahim Jaafari, precisando che
il provvedimento non è esteso alle province curde. Un altro annuncio, dai
contenuti completamente diversi, riguarda Saddam Hussein. L’ex presidente
iracheno, che si trova in carcere dove attende di essere processato, ha deciso
di scrivere le proprie memorie. Uno dei difensori dell’ex rais ha detto che
Saddam intende scrivere una autobiografia con “molti dettagli rilevanti”. In
Italia, intanto, l’opposizione chiede chiarimenti su un documento, stilato dal Ministero delle attività produttive, sul ruolo
delle truppe italiane nel Paese arabo. Nel testo, si sottolinea l’importanza,
per l’Italia, di andare in Iraq anche per tutelare gli interessi nazionali
nell’approvvigionamento del petrolio. In un’interrogazione parlamentare, i
Verdi chiedono inoltre al governo “risposte precise sulla scelta dell’ENI di
partecipare alla guerra in Iraq e di Nassiriya quale sede operativa del
contingente italiano”. Gli Stati Uniti considerano conclusa, infine,
l’inchiesta sull’uccisione in Iraq dell’agente italiano Nicola Calipari.
Secondo il rapporto americano, si è trattato di un tragico incidente.
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Momenti di tensione ieri alla
frontiera fra Israele e Libano. Per la prima volta da gennaio sono entrate in
azione artiglieria e aviazione dello Stato ebraico, che hanno bombardato e distrutto quattro postazioni
hezbollah nel Libano meridionale. L’area interessata è quella delle “Fattorie
di Sheeba”, una zona controllata da Israele, che secondo gli hezbollah fa parte
del territorio libanese. L’ONU ritiene, invece, che sia una regione della Siria.
Il presidente palestinese, Abu
Mazen, sarà ricevuto a Washington dal capo della Casa Bianca, George Bush, il
prossimo 26 maggio. Lo hanno riferito fonti palestinesi. Un incontro tra Bush e
Abu Mazen era stato fissato, negli Stati Uniti, per lo scorso 10 gennaio. Ma questo
appuntamento era stato rinviato per consentire il raggiungimento di risultati
più significativi nel processo di pace israelo-palestinese.
A Taiwan, il Partito democratico progressista (PDP),
ha vinto le elezioni per eleggere i membri del Parlamento. Il PDP, Partito del
presidente Chen Shui-bian, ha ottenuto il 42,5 per cento dei voti, pari a 128
seggi dei 300 a disposizione. L’Assemblea nazionale dovrà votare una serie di
emendamenti costituzionali, che potrebbero portare Taiwan sulla strada dell’indipendenza
dalla Cina. Le operazioni di voto si sono svolte senza incidenti e l’affluenza
alle urne è stata inferiore al 40 per cento. Ma quali saranno i compiti dei
neo-deputati? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Francesco Sisci,
corrispondente del quotidiano “La Stampa” da Pechino:
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R. – Sono quelli normali di un
Parlamento, tra cui c’è forse la possibilità di varare degli emendamenti
costituzionali.
D. – E’
emersa ieri la nuova formula “Due sponde, una Cina”, nell’incontro tra il presidente
cinese Hu Jintao e il leader del secondo maggiore partito dell’opposizione di
Taiwan, James Soong. Qual è stata la risposta di Taipei?
R. – Questi due viaggi sembrano aver rovesciato la
tendenza che finora sembrava essere: più sei schierato per l’indipendenza di
Taiwan, più hai voti. Oggi, la tendenza sembra essere: più cerchi di andare
verso l’unificazione con Pechino e più hai voti. Infatti, proprio questa
settimana c’è stato un episodio, secondo me, molto importante: quello di una
rottura forte tra l’attuale presidente, Chen Shui-bian, e l’ex presidente, Lee Teng-hui. L’ex presidente, Lee Teng-hui, ha
accusato Chen Shui-bian di aver tradito gli ideali indipendentisti di Taiwan.
Questa rottura potrebbe essere molto importante, perché si potrebbe spaccare il
fronte filo-indipendentista e potrebbe preludere anche a dei passi di Chen
Shui-bian verso un rapporto migliore con Pechino.
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Negli Stati Uniti cresce l’appoggio al Trattato di
Kyoto per la limitazione dei gas serra, ratificato da diversi Paesi ma non
dalla Casa Bianca. Centotrentadue sindaci di diversi schieramenti si sono
ribellati alla politica ambientale del presidente Bush, imponendo alle proprie
città di rispettare i vincoli stabiliti dal Protocollo internazionale: tra le metropoli
che vi hanno aderito, anche New York e Los Angeles.
Agghiacciante rivelazione dell’ex
generale cileno, Contreras, attualmente in carcere, sulla drammatica sorte
toccata ai desaparecidos durante la dittatura di Augusto Pinochet. Per
la prima volta, un membro dell’ex regime degli anni ’70 in Cile accetta la
responsabilità dell’eliminazione degli oppositori. Ascoltiamo Maurizio Salvi:
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Dopo essere stato a lungo in
silenzio ed avere persino accettato una condanna a 12 anni di carcere, Manuel
Contreras, l’ex capo della DINA, la temibile polizia politica della dittatura
cilena, ha deciso di cominciare a rivelare parte della sua verità sulla sorte
di centinaia di oppositori di Augusto Pinochet, ufficialmente desaparecidos.
Dal carcere dove si trova, e non potendo sopportare di essere uno dei pochi ad
avere pagato con la prigione la lealtà al golpe militare e allo stesso
Pinochet, l’ex generale ha consegnato alle autorità cilene un documento in cui
giustifica le violazioni dei diritti umani commesse per combattere il
terrorismo e rivela la sorte toccata ad almeno 580 desaparecidos: quasi la metà
di questi, a suo avviso, sono stati gettati nelle acque di laghi, fiumi o
dell’Oceano Pacifico. I familiari degli scomparsi hanno sottolineato che è
positivo il fatto che per la prima volta un protagonista di quell’epoca abbia
accettato il principio e la responsabilità delle autorità dello Stato nella
repressione. Hanno chiesto l’intervento di un giudice istruttore e reclamato
tempo per esaminare l’autenticità delle affermazioni dell’ex generale sulla
sorte degli scomparsi.
Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.
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Il Parlamento della Repubblica
Democratica del Congo ha adottato, ieri sera, la nuova Costituzione che adesso
verrà sottoposta a referendum. Lo scorso 17 marzo, la Costituzione era stata
approvata dal Senato. Il testo prevede un sistema semi-presidenziale in uno
Stato unitario ma fortemente decentralizzato.
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