RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
133 - Testo della trasmissione di venerdì 13 maggio 2005
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Rivolta in Uzbekistan: almeno 9 morti in scontri tra polizia e insorti
Diffuso il rapporto dell’ONU sulle condizioni di vita in Iraq nel 2004: la situazione è drammatica
13
maggio 2005
SI
AVRA’ MOLTO PRESTO L’APERTURA UFFICIALE DEL PROCESSO DI BEATIFICAZIONE
PER GIOVANNI PAOLO II: L’ANNUNCIO DI BENEDETTO XVI
NEL GIORNO
DELLA SUA UDIENZA AL CLERO ROMANO E DELLA PRESA DI
POSSESSO DELL’APPARTAMENTO PONTIFICIO IN LATERANO. IL PAPA HA RIFLETTUTTO
SUL SIGNIFICATO E LA MISSIONE DEL SACERDOZIO,
RISPONDENDO ALLE DOMANDE DEI PARROCI ROMANI
- Servizio di Alessandro De Carolis -
Benedetto
XVI “ha dispensato dal tempo di cinque anni di attesa dopo la morte del Servo
di Dio Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla), Sommo Pontefice, cosicché la causa di
Beatificazione e Canonizzazione del medesimo Servo di Dio possa avere subito
inizio”. Sono queste le parole, pronunciate in latino, con le quali il Papa ha
dato questa mattina un annuncio atteso da milioni di fedeli in tutta la Chiesa.
L’annuncio di Benedetto XVI è stato dato all’interno della Basilica
Lateranense, durante l’incontro con il clero romano. Il racconto dell’evento
nel servizio di Alessandro De Carolis:
**********
“Summus Pontifex Benedictus XVI (…) dispensavit a tempore quinque
annorum exspectationis post mortem Servi Dei Ioannis Pauli II (Caroli Wojtyla),
Summi Pontificis, ita ut causa Beatificationis et Canonizationis eiusdem Servi
Dei statim incipi posset.
(applausi)
E’ velata dalla formula in
latino ma scatena subito un commosso entusiasmo la grande notizia che coglie di
sorpresa la Chiesa universale e il mondo: Giovanni Paolo II sarà presto Beato.
E’ lo stesso Benedetto XVI, sfoggiando un sorriso emozionato, ad annunciare la
deroga al Canone, che – ad appena 42 giorni dalla morte di Papa Wojtyla –
risponde in sostanza a quel grido partito dal cuore di Piazza San Pietro l’8
aprile scorso, giorno delle esequie di Giovanni Paolo II: “Santo subito!”.
L’annuncio della dispensa
pontificia – dato significativamente il 13 maggio, festa della Madonna di
Fatima cui Giovanni Paolo II ha detto nel suo testamento di dovere la sua
“seconda” vita – ha fatto questa mattina da spartiacque tra i due momenti di un
altro avvenimento importante in questo inizio di Pontificato: la presa di
possesso dell’appartamento pontificio in Laterano da parte di Benedetto XVI,
nella sua veste di vescovo di Roma. Il Papa ha voluto incontrare in Basilica il
clero capitolino, in quella che è una tradizionale udienza annuale, offrendo
un’ampia riflessione sull’essenza spirituale e sulla natura ministeriale del
sacerdozio e poi soffermandosi in dialogo con i sacerdoti, ascoltando e
rispondendo alle loro domande.
Benedetto XVI ha fatto il suo
ingresso nella Basilica Lateranense verso le 10, accompagnato dal cardinale vicario
Camillo Ruini, dal vicegerente, mons. Luigi Moretti, e dal segretario generale
del Vicariato, mons. Mauro Parmeggiani. Il Papa ha percorso la navata centrale
della Basilica salutando i parroci romani che si protendevano dalle transenne
per stringergli la mano. Dopo il saluto del cardinale Ruini, che ha annunciato
in anteprima la presenza del Papa, con un suo discorso, all’apertura del
Convegno diocesano dedicato ai temi della famiglia in Basilica, il prossimo 6
giugno – Benedetto XVI ha voluto subito salutare “con animo amico”, ha detto,
ciascun sacerdote impegnato come lui “nella fatica quotidiana nella vigna del Signore”.
I funerali di Giovanni Paolo II, ha affermato, hanno dimostrato come la Chiesa
di Roma sia “profondamente unita e piena di fervore”. Merito certamente dei
sacerdoti romani, ha riconosciuto il Papa, chiamati a promuovere insieme a lui
“l’esemplarità” della Chiesa capitolina:
“Conto dunque su di voi, sulla vostra preghiera, sulla vostra
accoglienza e dedizione, perché questa nostra amata Diocesi corrisponda sempre
più generosamente alla vocazione che il Signore le ha affidato. E da parte mia
vi dico: potete contare, nonostante i miei limiti, sulla sincerità del mio paterno
affetto”.
Benedetto XVI ha poi offerto una
disamina della situazione attuale della Chiesa. Se è ormai alle spalle, ha
osservato, il tempo della “crisi d’identità” che aveva “travagliato” molti
sacerdoti nel passato, “rimangono però ben presenti – ha asserito -quelle
cause di ‘deserto spirituale’ che affliggono l’umanità del nostro tempo e
conseguentemente minano anche la Chiesa che vive in questa umanità”. Come non
temere, si è chiesto allora, “che esse possano insidiare anche la vita dei
sacerdoti?” Di qui, dunque, il discorso è entrato, in modo concettualmente denso,
nel merito del ministero sacerdotale:
“Siamo incaricati non di dire molte parole, ma di farci eco e
portatori di una sola “Parola”, che è il Verbo di Dio fatto carne per la nostra
salvezza (…) Cari sacerdoti di
Roma, il Signore ci chiama amici, ci fa suoi amici, si affida a noi, ci affida
il suo corpo nell’Eucaristia, ci affida la sua Chiesa. E allora dobbiamo essere
davvero suoi amici, avere con Lui un solo sentire, volere quello che Egli vuole
e non volere quello che Egli non vuole”.
Vivere ed agire come Gesù, ha
proseguito Benedetto XVI, comporta l’avere una relazione privilegiata con lui,
attraverso l’Eucaristia. Nell’invitare ogni sacerdote, sulla scia di Giovanni
Paolo II, a vivere la Santa Messa come centro “assoluto” della propria vita, il
Papa ha toccato il tema delicato dell’ubbidienza:
“Nella Chiesa però l’ubbidienza non è qualcosa di formalistico; è
ubbidienza a colui che è a sua volta ubbidiente e impersona il Cristo ubbidiente.
Tutto ciò non vanifica e nemmeno attenua le esigenze concrete dell’ubbidienza,
ma assicura la sua profondità teologale e il suo respiro cattolico: nel vescovo
ubbidiamo a Cristo e alla Chiesa intera, che egli rappresenta in questo luogo”.
La riflessione si è poi rivolta
al ruolo di mediatore che il sacerdote svolge tra Dio e l’umanità. “Noi
fungiamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro”. E
in quanto ministro di Cristo, il sacerdote diventa servitore dell’uomo, per il
dovere di annunciargli la salvezza del Vangelo, facendosi, come San Paolo”
“tutto a tutti”:
“Naturalmente una tale vicinanza e dedizione ha per ciascuno di voi un
costo personale, significa tempo, preoccupazioni, dispendio di energie. Conosco
questa vostra fatica quotidiana e voglio ringraziarvi, da parte del Signore. Ma
vorrei anche aiutarvi a non cedere sotto questa fatica. Per poter resistere, e
anzi crescere, come persone e come sacerdoti, è fondamentale anzitutto l’intima
comunione con Cristo, il cui cibo era fare la volontà del Padre”.
Proprio da Gesù, che sacrificò la
propria vita per fare la volontà di Dio, il sacerdote impara, ha notato il
Papa, “l’arte dell’ascesi sacerdotale”. Azione pastorale, dunque, ma anche
preghiera e meditazione quotidiane perché, come lo ha dimostrato ampiamente
Giovanni Paolo II, “il tempo per stare alla presenza di Dio è una vera
priorità pastorale, in ultima analisi la più importante. Le ultime parole del
suo discorso – prima dell’annuncio sul processo di beatificazione del suo
predecessore – Benedetto XVI le ha dedicate all’esortazione alla santità personale
di ogni membro del clero e alla comunione all’interno della gerarchia ecclesiale.
Quindi, il microfono è passato
ai parroci e ai sacerdoti romani. Venti interventi, intervallati da
considerazioni, manifestazioni d’affetto, domande, sollecitazioni al Pontefice
su temi tra i più vari, dalla necessità di una riaffermazione di Cristo al
centro della vita ecclesiale e parrocchiale alla situazione dei divorziati,
all’impegno ecumenico e alla missione. Proprio gettando uno sguardo al mondo –
in particolare soffermandosi sulla responsabilità dell’Europa
verso gli altri continenti, specialmente verso l’Africa - Benedetto XVI,
rispondendo a braccio, ha aperto una parentesi tra le più significative:
“L’Africa è un continente di grandissime possibilità, di una grandissima
generosità da parte della sua gente, con una fede viva e impressionante, ma
dobbiamo confessare che l’Europa ha esportato, purtroppo, non solo la fede in
Cristo, ma anche i vizi. Ha esportato il senso della corruzione, ha esportato
la violenza, che adesso sta devastando questa Africa. C’è il commercio delle
armi. C’è lo sfruttamento dei tesori di questa terra. Tanto più noi cristiani
dobbiamo fare di tutto perché arrivi la fede e con la fede la forza di
resistere a questi vizi”.
Benedetto XVI ha quindi concluso
il suo intervento a braccio, riaffermando con forza – tra gli applausi dei
sacerdoti - la necessità della missione, dell’annuncio di Cristo a tutti gli
uomini:
“Se noi abbiamo trovato il
Signore, se per me il Signore è la luce e la gioia della vita, se è così, siamo sicuri che a un altro che non ha
trovato Cristo manca una cosa essenziale. E’ un dovere nostro offrirgli questa
realtà essenziale. Poi lasciamo alla guida dello Spirito Santo e alla libertà
di ognuno quello che succederà. Ma se siamo convinti che abbiamo fatto
l’esperienza che senza Cristo la vita è incompleta, manca una realtà, la realtà
fondamentale, siamo anche convinti che non facciamo torto a nessuno se gli
mostriamo Cristo e offriamo la possibilità di trovare la gioia di aver trovato
la vita”.
(applausi)
Pochi minuti prima delle 12.30,
il Papa ha fatto rientro in Vaticano a bordo della berlina scoperta, ed ha
benedetto la folla che si era rapidamente addensata ai lati della strada per
salutarlo.
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Nel corso della sua visita alla
Basilica lateranense, Benedetto XVI ha rivolto un saluto ai dipendenti del
Vicariato di Roma, le cui varie mansioni, ha detto loro, “sono accomunate però
dalla partecipazione alla stessa missione della Chiesa”. Proprio quest’unica
missione, ha soggiunto il Papa, “chiama ciascuno ad una profonda comunione che
ha in Gesù Cristo il suo centro, ed esige da parte di tutti una quotidiana
disponibilità alla collaborazione. In tal modo – ha concluso il Pontefice,
chiedendo preghiere e sostegno ai presenti - ognuno porta a compimento con
gioia il compito che gli è affidato per il bene dell’intera Comunità
diocesana”.
Ma
torniamo all’annuncio di Benedetto XVI sulla dispensa dai cinque anni di attesa
per Giovanni Paolo II perché la sua causa di Beatificazione possa avere subito
inizio. Ascoltiamo il commento del
cardinale Josè Saràiva Martìns, prefetto della Congregazione per le Cause dei
Santi. Luca Collodi gli ha chiesto come si è arrivati a questa decisione:
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R. – Vorrei innanzitutto sottolineare l’intima e
profonda gioia che invade i nostri cuori. Tutti lo aspettavano, perché la fama
di santità di Giovanni Paolo II era chiara a tutti. Come si è arrivati a
questo? Certamente bisogna ricordare le norme giuridiche attualmente in vigore.
Il Diritto canonico, infatti, richiede che passino cinque anni dopo la morte
del servo di Dio, perché si possa dare inizio alla causa della sua beatificazione.
E’ un diritto certamente positivo che il Santo Padre può dispensare. Ed infatti
per Madre Teresa di Calcutta sono stati dispensati due anni circa. Adesso per
Giovanni Paolo II, Papa Benedetto ha dispensato in toto i cinque anni dopo la
morte. E’ certamente un caso eccezionale, un caso straordinario, come
straordinaria è la figura di Giovanni Paolo II.
D. – Che cosa succederà ora,
dopo quest’annuncio?
R. – L’attore della causa, che
poi è il Vicariato di Roma, deve procedere all’apertura ufficiale della causa
di beatificazione, nonché alla nomina di un postulatore della causa. Sotto la
guida, poi, del postulatore vengono raccolti i documenti e viene preparato
altresì l’elenco dei testimoni che testimonieranno sulle virtù eroiche di
Giovanni Paolo II. Questo è il meccanismo previsto dalle norme giuridiche.
Ovviamente tutto questo richiede del tempo, ma ci auguriamo davvero che tutto
proceda con celerità e che quanto prima potremo venerare Giovanni Paolo II come
beato. Tutta la Chiesa ha proclamato questa santità e ha detto: “Per noi
Giovanni Paolo II è stato un Vangelo vivente. Ha vissuto il Vangelo nella sua
radicalità. E’ stato veramente un Santo”. Vox populi, vox Dei.
D. – L’annuncio dell’apertura
della causa di beatificazione di Giovanni Paolo II arriva nel giorno della
festa della Madonna di Fatima…
R. – Certamente per noi si tratta
di una felice coincidenza, ma io dico sempre che per Dio non ci sono
coincidenze, c’è sempre la Provvidenza. Io vedo in questo un segno meraviglioso
che viene a sottolineare in maniera particolarmente forte il rapporto intimo e
profondo che sempre ha avuto Giovanni Paolo II con Fatima, con la Bianca
Signora. La vita del Papa, Giovanni Paolo II, è quasi inspiegabile senza
rapportarla a Fatima.
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Per
conoscere le reazioni in Polonia, Roberto Piermarini ha raggiunto
telefonicamente a Varsavia il corrispondente dell’agenzia Ansa Tadeusz Konopka:
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R. -
Ovviamente è stata una notizia molto attesa ed accolta con soddisfazione e
grande gratitudine. I vescovi polacchi, in una lettera che sarà letta domenica
prossima in tutte la parrocchie, hanno invitato i cattolici a pregare in
continuazione perché Papa Wojtyla possa diventare subito santo.
D. –
Che cosa dicono i media polacchi?
R. – I
media polacchi ricordano che per annunciare questa decisione, il Papa Benedetto
XVI ha scelto una data molto particolare, il 24.mo anniversario dell’attentato.
Infatti, oggi, alle 17.17 minuti, in un programma della radio pubblica verrà
trasmesso una testimonianza registrata qualche anno fa all’Università cattolica
di Dublino di mons. Dziwisz, che racconta quel tragico evento di 24 anni fa.
D. –
La Polonia come ricorderà il 13 maggio del 1981?
R. – I
giovani, qualche giorno fa, si sono dati appuntamento per una veglia notturna
sulla stessa piazza dove sono stati per seguire insieme i funerali del Papa, 42
giorni fa. Sono attesi anche gli ospiti dalla Bielorussia, dall’Ucraina, dalla
Repubblica Ceca, dalla Germania, a mezzanotte il vescovo ausiliare di Cracovia
celebrerà la Messa la quale, sicuramente, sarà celebrata anche per dimostrare
gratitudine per questa decisione, ma anche per la missione del nuovo Papa.
D. – I
mezzi di comunicazione polacchi hanno raccolto in questi giorni, dalla morte di
Giovanni Paolo II, testimonianze sulla santità di Papa Wojtyla?
R. –
Certo le testimonianze vengono pubblicate in continuazione. C’è sempre la
volontà di ricordare e di tener presente l’importanza di questo Pontificato non
solo per la Polonia, ma anche per la Chiesa universale.
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BENEDETTO
XVI NOMINA L’ARCIVESCOVO DI SAN FRANCISCO,
WILLIAM JOSEPH LEVADA, PREFETTO DELLA
CONGREGAZIONE
PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
Benedetto XVI ha nominato oggi prefetto della Congregazione per la Dottrina
della Fede mons. William Joseph Levada, finora arcivescovo di San Francisco.
Sulla figura del presule, che succede proprio a Papa Joseph Ratzinger alla
guida dell’importante dicastero vaticano, il servizio di Alessandro Gisotti:
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Nato 69 anni fa a Long Beach, nell’arcidiocesi di Los Angeles, il nuovo
prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, è stato ordinato sacerdote
a Roma, nella Basilica di San Pietro, nel dicembre del 1961. Mons. Levada si è
laureato in teologia alla Pontificia Università Gregoriana e, dopo aver
ottenuto il dottorato, ha insegnato teologia nel seminario californiano di St.
John. Nel 1976 è stato nominato officiale della Congregazione per la Dottrina
della Fede. Nel 1983 è stato consacrato vescovo, tre anni dopo è stato nominato
arcivescovo di Portland, nello Stato dell’Oregon. Qui, nei nove anni di
servizio pastorale, si è dedicato in particolare alle vocazioni sacerdotali,
valorizzando il seminario di Mt. Angel, dove ha insegnato ecclesiologia. E’
stato vescovo ausiliare di Los Angeles e vicario episcopale per la contea di
Santa Barbara.
Nel 1995 è stato nominato da Giovanni Paolo II arcivescovo di San
Francisco. Ha preso parte attivamente a numerosi comitati della Conferenza episcopale
degli Stati Uniti. Dal 1986 al 1993, è stato l’unico vescovo americano a far
parte del comitato editoriale della commissione vaticana per la pubblicazione
del Catechismo della Chiesa Cattolica. Nel 2003 è stato nominato presidente del
comitato sulla dottrina della conferenza dei vescovi americani.
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ALTRE NOMINE
In Colombia, Benedetto XVI ha nominato vescovo di Riohacha mons. Héctor
Salah Zuleta, finora Vescovo di Girardota. Nato a Bogotá nel 1942 mons. Zuleta
è stato ordinato sacerdote nel 1972 e consacrato vescovo nel 1998.
FELICE DI STARE IN MISSIONE, DEDICO’ TUTTA
LA SUA VITA AL SERVIZIO
DEGLI ULTIMI: DOMANI, LA BEATIFICAZIONE DI MADRE ASCENSIÓN NICOL GOÑI,
FONDATRICE DELLE SUORE MISSIONARIE DOMENICANE DEL ROSARIO. LA RELIGIOSA
SARA’ ELEVATA ALL’ONORE DEGLI ALTARI ASSIEME A SUOR MARIANNE COPE
- Intervista con il postulatore, padre Vito Gomez -
Due nuove
Beate, docili all’azione dello Spirito Santo, che hanno contribuito con
diversità di doni e di carismi ad edificare e rafforzare il Corpo di Cristo che
è la Chiesa. Domani, alle ore 17, il cardinale José Saraiva Martins, prefetto
della Congregazione delle Cause dei Santi, presiederà la Santa Messa nella
Basilica Vaticana e, per incarico di Benedetto XVI, darà lettura della Lettera
Apostolica con la quale il Pontefice ha iscritto nell’albo dei Beati le Serve
di Dio: Marianne Cope, religiosa professa delle Suore del Terz'Ordine Francescano
di Syracuse e Ascensión Nicol Goñi, cofondatrice delle suore missionarie domenicane
del Rosario. Quest’ultima nacque a Tafalla in Spagna, nel 1868, e a 14 anni
entrò nel collegio di Santa Rosa da Lima nella città di Huesca. Nel 1886 emise
i primi voti e cominciò a lavorare come insegnante. Nel 1918 fondò la nuova
congregazione delle Domenicane missionarie del Rosario. Dopo una vita in
missione, al servizio degli ultimi, nel 1940 si è spenta a Pamplona. Sul
carisma della nuova Beata, Giovanni Peduto ha intervistato il postulatore,
padre Vito Gomez:
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R. – Possiamo dire che il suo
carisma era “Il Servizio generoso alla Parola di Dio”, sulle orme di San
Domenico, fra i più bisognosi, tramite l’evangelizzazione nelle religioni dove
non era ancora annunziato il nome di Gesù, sia nell’America Latina, sia in Cina.
Madre Ascensión è stata una contemplativa fondata nell’ ‘amore misericordioso
di Dio’; cercava di far tutto per diffondere questo amore in ogni parte del
mondo, ed in ogni circostanza in risposta alla sua vocazione missionaria.
D. – Un fatto particolarmente
significativo della sua vita ...
R. – Quel fatto che manifesta
sia la sua instancabile fiducia nel potere della preghiera, sia la sua fiducia
nella provvidenza, fatto accaduto nella selva amazzonica, all’inizio della sua
fondazione, allorché le missionarie non avevano proprio niente da mangiare quel
giorno. Madre Ascensión, con la sua gioia innata, pregava. Inaspettatamente
chiamò alla porta un giapponese e offrì alle Suore cibo sufficiente per alcuni
giorni. “Non abbiamo nemmeno una moneta a casa”, rispose la Madre. Il
Commerciante, invece, capì che non avevano spiccioli, e lasciò la sua merce,
aggiungendo che fra alcuni giorni poteva ritornare per ricevere il denaro. Le
Suore hanno potuto mangiare e quando il giapponese fece il suo ritorno, la
provvidenza di Dio aveva fatto giungere un’offerta alle missionarie per pagare.
D. – Il suo rapporto con Maria?
R. – La devozione prediletta
della Madre Ascensión fu l’Eucaristia che visse in intimo rapporto con la
spiritualità mariana. Fin dall’infanzia professò una devozione filiale a Maria.
Devozione che consigliò sempre alle missionarie del Rosario.
D. – Quante sono e cosa fanno
oggi le domenicane del Rosario?
R. – Le Domenicane Missionarie
del Rosario sono 785 in nove Paesi dell’America Latina, in quattro dell’Africa,
in Australia, nelle Filippine, India, Cina, Timor. Le suore appartengono a 24
nazionalità. Lavorano nell’educazione, la sanità, specialmente preventiva e
pubblica, e nell’azione sociale cercando uno sviluppo integrale.
D. – Qual è il messaggio che
lascia a noi cristiani oggi?
R. – La
Madre Ascensión trasmette innanzitutto un messaggio di amore a Gesù Cristo in
ogni circostanza della vita; manifestazione di questo amore a tutte le genti,
cercando di condividere la sua vita per portare a tutti quanti la luce della
fede, per aiutare a raggiungere una vita degna. La sua vita è un invito alla missione
fra tutti i popoli.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima
pagina: “Nel giorno della Madonna di Fatima Benedetto XVI annuncia con gioia
l’inizio della Causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo II”:
il primo incontro del Santo Padre con i sacerdoti e i diaconi della diocesi di
Roma nella cattedrale di San Giovanni in Laterano
Un inserto speciale dedicato
alla beatificazione – sabato 14 nella Basilica Vaticana – delle Serve di Dio
Ascensión Nicol Goñi e Marianne Cope.
Nelle vaticane un articolo di
Ignazio Schinella dal titolo “Papa Benedetto XVI, all’inizio sta
‘l’adorazione’”.
Nelle estere, Uzbekistan:
sanguinosa rivola di estremisti islamici nella città orientale di Andijon.
Nella pagina culturale, un
articolo di Giovanni Marchi sul fascino che Roma esercitava su Hans Christian Andersen,
il quale soleva dire: “Mi sento come se fossi nato a Roma”.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione legata al Prodotto interno lordo (PIL): preoccupano il
governo i dati Istat sull’economia. Secondo l’Unione si tratta di recessione.
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13 maggio 2005
OGGI LA CHIESA CELEBRA LA
MEMORIA LITURGICA
DELLA BEATA VERGINE DI FATIMA
- Intervista con mons. Clemente Dotti -
Oggi la Chiesa celebra la
memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Fatima, nell’88° anniversario
delle apparizioni ai tre pastorelli portoghesi iniziate il 13 maggio del
1917. Per questa occasione Benedetto
XVI ha esortato i fedeli a rivolgersi incessantemente e con fiducia alla
Madonna affidando a Lei ogni necessità. Ma quale messaggio continua ad arrivare
oggi da Fatima? Giovanni Peduto lo ha chiesto a mons. Clemente Dotti, cappellano
del Santuario di Fatima:
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R. – Fondamentalmente è un messaggio di pace. Maria è apparsa in Cova da
Iria, che significa “culla della pace”. E’ apparsa, non dimentichiamo, nel
1917, tempo di guerra e ha promesso la pace: se si darà ascolto, ci sarà la
pace. Se non si darà ascolto, un’altra guerra. E siamo stati testimoni della
Seconda Guerra Mondiale. E’ dunque soprattutto un messaggio di pace che vuole
diffondere nel mondo, ma comincia dal cuore di ciascuno. Quindi l’appello a non
peccare, perché il peccato è il primo ostacolo alla pace. Se vogliamo la pace
nel cuore dobbiamo non offendere Dio: “che non si offenda più nostro Signore,
che è già tanto offeso” – ha detto la Madonna. Con la pace nel cuore saremo
capaci di andare incontro agli altri, per cui avremo la pace nelle famiglie e
sapremo diffondere la pace anche nel mondo intero.
D.- Maria ci esorta a pregare
con il Rosario: come entrare nel segreto di questa preghiera, che ad alcuni può
sembrare meccanica?
R. – Sì, è vero, può essere meccanico ripetere 50 volte la stessa
preghiera, la stessa Ave Maria. La Madonna stessa ha insegnato a pregare. Nella
richiesta che ha fatto tramite suor Lucia, chiedendo la devozione dei primi
sabati del mese, la Madonna dice di meditare i misteri del Rosario: per poter
recitare con devozione, con il cuore, non solo parole, recitando il Rosario,
delle Ave Marie che non siano soltanto delle parole buttate fuori, pensando ad
altro, occorre meditare i misteri della vita di Cristo e della vita di Maria.
Penso che questo sia un po’ il segreto per dare valore alla preghiera del
Rosario. Meditando i misteri che contempliamo, abbiamo un po’ una panoramica di
tutta la vita di Cristo in compagnia di Maria, e noi siamo associati a loro
mentre meditiamo questi misteri, e li applichiamo alla nostra vita.
D. –
Ci può parlare del legame tra Fatima e Giovanni Paolo II?
R. –
Certamente è stato un legame forte, al di là della devozione fondamentale che
Papa Giovanni Paolo II ha sempre avuto, fin da piccolo: l’ha testimoniato in
molti discorsi, in molti scritti. La devozione alla Madonna è sempre stata
presente nella sua vita. Da quando ha capito che la visione che hanno avuto i
tre pastorelli del vescovo vestito di bianco era riferito a lui, dopo
l’attentato ha approfondito ancora di più il tema di Fatima ed è rimasto molto
legato a Fatima. E’ stato l’unico Papa a visitare per ben tre volte il Santuario
dicendo: la Madonna mi ha salvato la vita. “Una mano materna” ha deviato la
pallottola. Quindi, una devozione profonda, dovuta anche ad una grande
riconoscenza che aveva verso di Lei, ma soprattutto ha vissuto quel Totus
Tuus, quell’abbandono, quel mettersi nelle sue mani, quel lasciarsi guidare
da Maria, l’ha vissuto e insegnato anche a noi, attraverso le parole e
l’esempio della sua vita, ad essere fiduciosi, ad abbandonarci come bambini
nelle mani della mamma, che certamente ci porta a Cristo.
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ALLA GEOPOLITICA DELLA
CHIESA CATTOLICA LIMES DEDICA IL NUMERO SPECIALE
INTITOLATO “L’AGENDA DI PAPA RATZINGER”,
PRESENTATO IERI DAL DIRETTORE DELLA RIVISTA, LUCIO CARACCIOLO, ALLA PRESENZA
DEL NOSTRO DIRETTORE GENERALE PADRE PASQUALE BORGOMEO
- Con
noi padre Pasquale Borgomeo, Lucio Caracciolo e Stefano Picciaredda -
“Stato di salute geopolitica della Chiesa Cattolica”: questo l’obiettivo
del numero speciale della rivista di geopolitica Limes, intitolato “L’agenda di
Papa Ratzinger” e presentato ieri a Roma dal direttore, Lucio Caracciolo, e da
alcuni autori del dossier, alla presenza di padre Pasquale Borgomeo, direttore
generale della nostra emittente. C’era per noi Fausta Speranza:
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Una
varietà di temi che rispecchia la problematicità del mondo globale. Ad emergere
è la complessità della Chiesa cattolica e - spiega padre Borgomeo - “guai ad
una Chiesa che fosse uniformità”. Poi l’ONU e le sfide, ognuna difficile, di
Cina, America Latina, Africa, Islam, ‘neocon’ in USA, il tema caldo del
relativismo. Viene ricordato che Giovanni Paolo II parlava di una sua
spiritualità geografica. Padre Pasquale Borgomeo:
“Anche da un punto di vista di
geopolitica è più che legittimo, anche da parte di persone che non sono uomini
di Chiesa ma che seguono con attenzione e con serietà, farsi queste domande e
tentare delle specie di anticipazioni partendo da quello che si conosce di Papa
Ratzinger, quando ancora non era Papa, perché ogni Papa poi ha uno stile ed un
carisma, ecc, cercando di capire in che maniera sarà in continuità col
Pontificato di Giovanni Paolo II, e su quali strade e con quali priorità
risponderà alle sfide”.
Da parte sua, Lucio Caracciolo,
direttore di Limes, ha spiegato che “il dossier non vuole predire quale Papa
sarà Benedetto XVI, né dargli consigli, ma ha solo l'ambizione di riflettere su
problemi antichi e inediti che stanno di fronte al cattolicesimo internazionale''.
Ma ascoltiamo un esempio delle tematiche affrontate, dal ricercatore Stefano
Picciaredda, autore del dossier dedicato ai cattolici più lontani da Roma:
“La realtà del Brasile, che è il
più grande Paese cattolico del mondo. Un Paese dove ci sono più cattolici ma
dove la Chiesa sta vivendo – come si dice nel titolo dell’articolo – un inverno
della Chiesa. C’è il problema della mancanza del clero, di queste enormi parrocchie
sconfinate con 70 mila e più fedeli, con un solo prete anziano. C’è il problema
della tensione dei vescovi che vorrebbero un aumentato ruolo dei laici, che
vorrebbero ripensare addirittura come celebrare la domenica, la liturgia,
quando non si può consacrare l’Eucaristia. E su questo c’è la Curia Romana che
è molto prudente. C’è il dramma della povertà, c’è il dramma della diffusione
della violenza”.
Fondamentale resta la
metodologia in una società dell’informazione che troppo spesso sposa la
banalità. Ancora Stefano Picciaredda:
“C’è tutta una complessità
dentro la quale si prova a navigare non in maniera impressionistica o
televisiva, cioè per immagini, per sensazioni, per giudizi rapidi, ma facendo
uno scavo. E io volendo cercare di tratteggiare alcune sfide e realtà della
Chiesa cattolica in questi continenti, apparentemente periferici, ho fatto un
piccolo viaggio, cioè sono andato a vedere le visite ad Limina Apostolorum. E
queste visite rappresentano un fatto da un certo punto di vista eccezionale,
perché quale altra istanza internazionale, quale altro governo ha la
possibilità di incontrare a rotazione testimonianze e pareri così interessanti,
così autorevoli sulla realtà di un Paese, come in questo caso. Ho scoperto, ad
esempio, che gli ambasciatori che vanno in Vaticano si sentono fare un lungo
elenco delle situazioni di povertà presenti nel loro Paese, quelle più note e
quelle meno. Invece con i vescovi dell’America Latina, il Papa ha parlato più
di problemi intraecclesiali. Poi ci sono gli incontri con i vescovi africani e
Giovanni Paolo II negli ultimi anni ha fortemente sollecitato gli episcopati
africani perché le loro Chiese, in Sudan, Tanzania, Uganda, abbiano un ruolo
molto più deciso nella difesa degli ultimi, nella promozione della pace, nel
dialogo tra le religioni”.
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13
maggio 2005
OLTRE 2 MILA FEDELI SI SONO RACCOLTI STAMANE A ROMA,
ALL'AUDITORIUM PIO
NEI PRESSI DEL VATICANO, PER CELEBRARE LA GIORNATA
DEL PELLEGRINO,
ORGANIZZATA DALL’OPERA ROMANA PELLEGRINAGGI, IN
COLLABORAZIONE
CON IL COMUNE
E LA PROVINCIA CAPITOLINA: EMOZIONE PER IL SALUTO PORTATO
DA BENEDETTO XVI PASSANDO PER VIA DELLA
CONCILIAZIONE, DI RITORNO
DAL SUO INCONTRO
CON IL CLERO ROMANO, A SAN GIOVANNI IN LATERANO
ROMA.
= Oltre duemila fedeli giunti da tutta Italia sono convenuti stamane all'Auditorium
Pio di Roma, nei pressi del Vaticano, in occasione della Giornata del
pellegrino, evento organizzato dall'Opera romana pellegrinaggi (ORP), in
collaborazione con la Provincia ed il Comune capitolini. Alla manifestazione
presentata dalla conduttrice Paola Saluzzi, sono intervenuti l'amministratore
delegato della ORP, mons. Liberio Andreatta, il sindaco della città, Walter
Veltroni ed il presidente della Provincia, Enrico Gasbarra. Dopo alcune
testimonianze filmate e la presentazione dei programmi dell’Opera romana
pellegrinaggi, è stato consegnato ai pellegrini il riconoscimento Fidelitas
2005. Grande emozione poi tra i fedeli che sono usciti dall’Auditorium per
rendere omaggio in strada a Benedetto XVI, che intorno alle 12.30, di ritorno
in Vaticano dal suo incontro con il clero di Roma - svoltosi nella mattinata a
San Giovanni in Laterano - ha transitato in via della Conciliazione, impartendo
la sua benedizione alla folla di fedeli che lo attendeva e sostando brevemente
con la sua auto per salutare il sindaco e il presidente della Provincia di
Roma. La Giornata del pellegrino proseguita con il pranzo al sacco nei giardini
di Castel Sant’Angelo, prevede nel pomeriggio la visita alle Grotte Vaticane
per l’omaggio alla tomba di Giovanni Paolo II, e la celebrazione Eucaristica,
presieduta dal vescovo Angelo Comastri. (R.G.)
VIOLENZE, INTIMIDAZIONI E FRODI NELLE ELEZIONI IN
TOGO DEL 24 APRILE SCORSO:
LA DENUNCIA IN UN RAPPORTO DELLA COMMISSIONE
GIUSTIZIA E PACE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE TOGOLESE, PERVENUTO
ALL’AGENZIA FIDES
LOME’.
= Numero di seggi variabile (da 5.311 a 5.320 secondo diverse fonti anche
ufficiali), liste incomplete, elettori scoperti con più di una scheda,
intimidazioni e irruzioni armate. Sono le gravi irregolarità riscontrate in un
rapporto della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale del
Togo, riguardo le recenti elezioni presidenziali nel Paese africano, svoltesi
il 24 aprile scorso. Il documento - pervenuto all’Agenzia Fides - è una vera e
propria analisi minuziosa del voto che ha visto la vittoria, contestata
dall’opposizione, di Faure Gnassinbé Eyadéma. Tra le irregolarità più gravi
segnalate vi sono la discrepanza tra il numero delle cedole elettorali
distribuite prima del voto (2.100.000) e il numero dei votanti (2.288.279)
annunciati al momento della proclamazione del risultato elettorale; un numero
più alto di schede nulle (5,21 per cento del totale) nelle regioni meridionali
del Paese, favorevoli all’opposizione, rispetto a quelle settentrionali (solo
lo 0,74 per cento) considerate vicine a Faure Gnassinbé Eyadéma; intimidazioni
ai rappresentati di lista dell’opposizione. Il giorno della votazione inoltre,
un centro di analisi del voto dell’opposizione è stato distrutto da miliziani
armati e le linee telefoniche e telematiche sono state in gran parte tagliate.
Il Rapporto dei presuli togolesi – riferisce la stessa Agenzia Fides - afferma che il Partito al potere avrebbe
saputo prima delle elezioni che non era in grado di vincerle (anche la maggior
parte dei militari di truppa aveva votato contro il regime in un anticipo della
votazione) ed avrebbe quindi preso delle misure per cercare di ribaltare il
risultato. (R.G)
DOMANI, SABATO 14
MAGGIO, A ROMA L’ASSOCIAZIONE CULTURALE “INSIEME
PER L’ATHOS” PROMUOVE IL
SUO QUARTO CONVEGNO NAZIONALE SUL MONTE ATHOS
- A cura di Giovanni
Peduto -
ROMA. = L’Associazione Culturale “Insieme per
l’Athos” tiene domani, a Roma, il suo IV Convegno Nazionale di studi sulla
cultura e spiritualità del Monte Athos. L’iniziativa, intitolata “Percorsi di
luce dall’Athos all’Italia: la Sacra montagna e la nostra storia”, si terrà nel
cuore di Roma al Foro di Traiano (Palazzo Roccagiovine). L’evento, patrocinato
dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dalla Fondazione Europea
Dragan e dalle ambasciate di Bulgaria, Grecia, Romania, Russia, Serbia e
Montenegro ed Ucraina presso il Quirinale, si svolge a cura dell’Associazione
Culturale “Insieme per l’Athos”, costituitasi nel febbraio 2001 con il preciso
scopo di riscoprire e divulgare l’immenso patrimonio spirituale ed artistico
della cultura athonita attraverso iniziative di natura molteplice come viaggi,
mostre, convegni, pubblicazioni, ecc. L’avvenimento si svolgerà con la benedizione
della Sacra Epistasia del monte Athos, organo politico ed esecutivo della
penisola monastica. L’appuntamento di domani intende mettere in luce i nessi
storici – profondi ma poco evidenziati – tra le due penisole, italiana ed athonita.
I percorsi di studio, guidati da insigni studiosi internazionali,
coinvolgeranno, infatti, le più svariate discipline, nel tentativo di offrire
un vasto panorama degli elementi artistici, storici e culturali che per secoli
hanno collegato l’Athos e l’Italia.
LA
COOPERAZIONE TRA PAESI DEL SUD PASSA PER LA VIA DELLE ARMI:
ACCORDO IN VISTA TRA
BRASILE ED ANGOLA PER LA FORNITURA DI NUOVI AEREI
DA COMBATTIMENTO,
AUTOBLINDO E ALTRI MATERIALI MILITARI
LUANDA. = Un accordo sud-sud da 100 milioni di
dollari per l’acquisto di armi. È quanto stanno negoziando Brasile e Angola
dopo la visita del Presidente José Eduardo dos Santos a Brasilia, all’inizio di
maggio. Lo riferiscono fonti della stampa brasiliana e angolana, secondo le
quali l’Angola intende acquistare dal Brasile da 8 a 12 aerei da combattimento
“Tucano” (adatti alle operazioni antiguerriglia) oltre a chiedere l’assistenza
brasiliana per aggiornare 400 camion di fabbricazione sovietica e 18 autoblindo
“Urutu” di costruzione brasiliana. Secondo fonti militari di Luanda, i nuovi
aerei “Tucano” hanno un sofisticato sistema elettronico che permetterà di
coordinare la loro azione con quella degli aviogetti da combattimento in servizio
nell’aeronautica locale. L’Angola inoltre intende comprare dal Brasile sistemi
di telecomunicazione militari, fucili e divise per il proprio esercito e
aggiornare i “Tucano” già in suo possesso. Il Brasile sta espandendo le sue attività
in Africa come dimostrato dalla recente visita del Presidente, Luiz Inácio Lula
da Silva, in diversi Paesi africani. Brasile e Angola hanno inoltre legami di
carattere culturali, grazie all’appartenenza all’area lusofona. (R.G.)
IN PAKISTAN DUE SCUOLE
NAZIONALIZZATE SONO TORNATE ALLA CHIESA CATTOLICA.
LA DECISIONE E’ STATA ASPRAMENTE CONTESTATA
DA INSEGNANTI E GRUPPI MUSULMANI
KARACHI. = Sono tornate di nuovo alla Chiesa due
scuole cattoliche che in Pakistan, dal 1972 erano state nazionalizzate. Si
tratta del college femminile St Joseph e il St Patrick che il Dipartimento per
l’istruzione di Sindh, nel Pakistan meridionale, ha deciso di restituire alla
Commissione cattolica per l’educazione (CBE) di Karachi. La notizia ha
suscitato forti critiche e proteste da parte dell’Associazione dei professori e
ricercatori del Sindh (SPLA) e del Muttahida Majlis- i- Amal (MMA, un’alleanza
di 6 partiti musulmani), secondo i quali la restituzione delle scuole sarebbe
illegale. “Queste scuole appartengono all’arcidiocesi e dovevano essere
restituite già da tempo”, ha affermato l’arcivescovo di Karachi, mons. Evarist
Pinto, il quale ha tentato di rassicurare tutti dicendo che “entrambi i College
sono in buone mani e impartiranno quell’istruzione di qualità da sempre riconosciuta
agli Istituti cattolici in Pakistan”. Ma la reazione dei leader musulmani è
stata dura, tanto da giungere a minacciare proteste nazionali. (M.V.S.)
DETENZIONI CAUTELARI,
MALTRATTAMENTI A LAVORATORI E ABUSI NEI CONFRONTI
DI DONNE E BAMBINI. SONO QUESTE
LE MAGGIORI VIOLAZIONI DENUNCIATE NEL PRIMO RAPPORTO ANNUALE DEL COMITATO
GOVERNATIVO
PER I DIRITTI UMANI IN QATAR
DOHA. = Il primo rapporto annuale del Comitato
governativo per i diritti umani in Qatar ha denunciato nei giorni scorsi gravi
violazioni subite dalla popolazione, soprattutto da lavoratori stranieri, donne
e bambini. L’organo governativo è stato costituito nel 2003 con lo scopo di
“consolidare la marcia del Paese verso la democrazia”. Molte proteste
riguardano i casi di detenzione e la lentezza dei processi. Nel campo dell’occupazione
le maggiori denunce riguardano i terribili maltrattamenti dei lavoratori
stranieri da parte dei datori di lavoro, i mancati compensi per le prestazioni
effettuate anche per lunghi periodi, “cosa che impedisce una vita dignitosa”,
ed anche gli abusi contro i numerosi lavoratori non specializzati, soprattutto
asiatici, che ricevono salari troppo miseri rispetto ai residenti. A destare
una forte preoccupazione sono anche le disumane violenze perpetrate alle donne:
“torture psichiche, percosse, reclusioni, violenze fisiche e sessuali da parte
di mariti, custodi e parenti”. Nemmeno i più piccoli sono risparmiati da queste
violenze e abusi. Infatti, fin dalla più tenera età, i bambini vengono
impiegati come fantini nelle popolari corse dei cammelli. Per il loro esiguo
peso sono ritenuti gli ideali cavalcatori, però questo gioco, per molti
divertente, spesso giunge a drammatici esiti, provocando ai piccoli pericolose
cadute dai dorsi dei cammelli, che a volte si rivelano letali. (M.V.S.)
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13
maggio 2005
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Uzbekistan
la cittadina di Andijon, nella zona orientale del Paese, è stata teatro di
scontri tra ribelli e forze della sicurezza: almeno 9 persone sono morte. Sulla
situazione di questa regione uzbeka, una delle poche aree fertili dell’Asia
centrale, ascoltiamo Giuseppe D’Amato:
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Nella
notte gruppi di sconosciuti armati, giunti a bordo di auto, hanno assaltato la
locale prigione liberando alcune migliaia di detenuti. La polizia ha reagito.
Successivamente, sarebbe scoppiata l’insurrezione popolare. Gli insorti,
appropriatisi anche di tre autoblindo, hanno occupato l’intera città.
Successivamente si è tenuta una manifestazione alla quale hanno partecipato 15
mila persone nella piazza centrale. Si chiedono le dimissioni del presidente
uzbeko, Islam Karimov, e la mediazione della Russia. Gli organizzatori della
rivolta apparterrebbero ad un gruppo islamico religioso semi legale
di nome ‘Akromiya’, fondato nel 1996. Le ragioni dell’insurrezione sarebbero da
attribuire alla repressione poliziesca dei giorni scorsi. Nella capitale
Tashkent, intanto, un uomo con indosso un giubbotto, è stato ucciso nei pressi
dell’ambasciata di Israele. Si pensava, in un primo momento, fosse un kamikaze
con una cintura esplosiva legata ai fianchi.
Per la Radio Vaticana, Giuseppe
D’Amato.
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La crisi in Uzbekistan è dunque
scaturita da un complesso scenario politico. Sulla situazione nell’ex
Repubblica sovietica, ascoltiamo Fabrizio Vielmini, osservatore
dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. L’intervista
è di Andrea Sarubbi:
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R. – L’Uzbekistan, dopo il
Turkmenistan, è forse il Paese dove il regime dittatoriale è caratterizzato dai
tratti più repressivi fra tutti i sistemi politici centroasiatici. Il Paese è
governato dal presidente Islam Karimov che ha intrapreso una sua guerra personale
contro gli oppositori politici. Questi dissidenti hanno tentato di opporsi a
Karimov sul piano politico chiedendo elezioni. Ma la repressione è stata dura.
Il presidente ha poi iniziato a reprimere le forme di dissenso religioso: sono
stati arrestati quanti professavano la loro appartenenza alla fede islamica. Si
sono così acuite ancor di più le tensioni interne.
D. – Quindi l’Islam si è
trasformato in opposizione politica?
R. – L’Islam è divenuto
opposizione politica. L’Islam è divenuto l’unico spazio in cui si è potuta
esprimere una qualche forma di dissenso a questo regime che è sempre più in
contraddizione con quelle che sono le esigenze della società. Sul piano
economico, in particolare, non è stata realizzata alcuna riforma.
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La Russia ha firmato un accordo
con il Club di Parigi per il rimborso di una tranche pari a circa 15
miliardi di dollari del suo debito complessivo di 43 miliardi.
Complessivamente, il debito ereditato dall’ex URSS è per il governo di Mosca di
95 miliardi di dollari, pari al 15 per cento del suo prodotto interno lordo.
Il presidente dell’Ucraina,
Viktor Iushenko, ha dichiarato ieri, in diretta televisiva, che una eventuale
adesione del Paese all’Unione Europea e alla Nato sarà sottoposta a referendum.
Iushenko ha comunque precisato che l’adesione alla Nato “non è all’ordine del
giorno”. Il presidente ucraino ha aggiunto che il Paese deve concentrare i
propri sforzi su una maggiore integrazione con l’Europa e su un riavvicinamento
con la Russia.
In Iraq continua
l’offensiva condotta dalle truppe americane nella turbolenta regione di Al
Anbar per catturare il terrorista giordano Al Zarqawi. Un rapporto dell’ONU
documenta, inoltre, il deterioramento delle condizioni di vita degli iracheni.
E nel Paese, scosso anche oggi dagli attacchi della guerriglia, è sempre più
drammatico il bilancio delle vittime militari e civili. Il servizio di Amedeo
Lomonaco:
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Il comando statunitense
ha reso noto che almeno 1700 soldati della Coalizione sono rimasti uccisi in
Iraq. L’esecutivo iracheno ha rivelato che oltre 400 persone sono morte dopo
l’insediamento del nuovo governo, avvenuto lo scorso 28 aprile. A questi dati
bisogna aggiungere le vittime degli attacchi condotti stamani dalla guerriglia:
a Baquba l’esplosione di un’autobomba ha provocato la morte di due soldati
iracheni e di un civile; a Baghdad un gruppo di ribelli ha ucciso un poliziotto.
Ma l’orrore della violenza non è l’unico dramma che attanaglia il Paese arabo.
Un rapporto dell’ONU intitolato “Le condizioni di vita in Iraq nel 2004”
delinea un quadro allarmante: il Paese è afflitto da un alto tasso di
disoccupazione (18,4 per cento), dalla carenza di alloggi e di infrastrutture
sanitarie, dalla mancanza di elettricità e di acqua potabile. L’inchiesta,
realizzata grazie alla collaborazione tra Nazioni Unite e governo iracheno, ha
preso in esame la situazione di 22 mila nuclei familiari. Tra i dati emersi
sono estremamente gravi quelli che riguardano le fasce più deboli della
popolazione: circa un quarto dei bambini iracheni soffre di malnutrizione ed il
tasso di analfabetismo femminile è del 47 per cento. Il rapporto mostra lo stridente
contrasto tra il grande potenziale dell’Iraq, ricco di risorse naturali e
umane, e le difficili condizioni di vita degli iracheni.
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In Afghanistan almeno tre persone sono morte e 21
sono rimaste ferite nella provincia del Badakhshan nel corso di manifestazioni
contro presunte profanazioni del Corano da parte di soldati americani a
Guantanamo. Lo ha reso noto il vice governatore della provincia.
In Israele, la protesta
di migliaia di persone contro il ritiro da Gaza, deciso dal premier Sharon, ha
caratterizzato le celebrazioni di ieri per il 57.mo anniversario dalla nascita
dello Stato ebraico. Nel suo discorso al corpo diplomatico, il presidente
Katzav ha manifestato, intanto, preoccupazione per la ripresa del terrorismo.
Negli Stati Uniti è
stata eseguita la condanna a morte di un serial killer reo confesso. L’uomo
aveva rinunciato ad ogni ricorso e si era anche opposto ad eventuali rinvii. Si
tratta della prima esecuzione nel New England da 45 anni. In questo Stato, gran
parte dell’opinione pubblica è decisamente contraria alla pena di morte.
Spiragli di pace nel Darfur, martoriata regione sudanese:
i due principali movimenti di ribelli hanno deciso di tornare al tavolo dei
negoziati con il governo. Lo ha reso noto la Comunità di Sant'Egidio che ha
promosso una serie di incontri tra le parti per favorire la riconciliazione.
L’impegno per la pace è confermato anche dalla liberazione di 17 militari della
forza multinazionale dell’Unione Africana (UA), rapiti martedì scorso da un
gruppo di ribelli. Ma sul terreno la situazione resta comunque difficile: un
gruppo di uomini armati ha ucciso due autisti che lavoravano per il Programma
alimentare mondiale (PAM). L’Agenzia delle Nazioni Unite ha chiuso i campi per
rifugiati dislocati al confine con il Ciad.
Un episodio di violenza è avvenuto anche nella Repubblica
Democratica del Congo dove sconosciuti hanno teso un’imboscata ad una pattuglia
di peacekeepers dell’ONU uccidendo un soldato del Bangladesh e ferendone
altri sei. L’agguato si è verificato nella tormentata regione orientale
dell’Ituri.
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