RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
128 - Testo della trasmissione di domenica 8 maggio 2005
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
39.ma Giornale mondiale delle comunicazioni sociali: intervista
con l’arcivescovo John Foley
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Migliaia di persone hanno partecipato oggi a Pompei alla Supplica alla Vergine Maria.
Ucciso ieri a Kinshasa da banditi di strada il p. gesuita René De Haes
L’Organizzazione Mondiale della Santità lancia l’allarme meningite nei campi per rifugiati in Darfur
Bush arriverà
questa sera a Mosca ma i rapporti tra Stati Uniti e Russia sono tesi - In Iraq il
premier Jaafari completa il governo – Oggi elezioni nella Repubblica
Centrafricana.
8 maggio 2005
IL MISTERO CRISTIANO DELL’ASCENSIONE ED IL RUOLO
DEI MEDIA PER FAVORIRE L’INTESA FRA I POPOLI DEL MONDO INTERO : I TEMI
AFFRONTATI STAMANE
DAL PAPA, PRIMA DELLA RECITA DEL REGINA COELI, IN UNA PIAZZA SAN PIETRO
GREMITA DI MIGLIAIA DI FEDELI, COME NELLE GRANDI OCCASIONI.
E PER LA PRIMA VOLTA E’ APPARSO IL NUOVO STEMMA DI
BENEDETTO XVI,
SULL’ARAZZO ROSSO STESO SOTTO LA FINESTRA DEL SUO STUDIO.
NELLA MATTINA, ANCHE IL SALUTO AI BAMBINI
PARTECIPANTI ALLA MARATONA DI PRIMAVERA, NEL GIORNO DELLA FESTA DELLA MAMMA.
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Servizio di Roberta Gisotti -
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“Nell’attuale
epoca dell’immagine i mass media costituiscono effettivamente una straordinaria
risorsa per promuovere la solidarietà e l’intesa della famiglia umana”: cosi il
Papa nella Giornata odierna delle comunicazioni sociali, dedicata al tema “I
mezzi di comunicazione al servizio della comprensione tra i popoli” E “prova
straordinaria”, ha ricordato Benedetto XVI, ne abbiamo avuta recentemente, in
occasione della morte e delle esequie di Giovanni Paolo II. “Tutto dipende però
– ha aggiunto il Santo Padre – dal modo in cui vengono usati”
“Questi
importanti strumenti della comunicazione possono favorire la conoscenza
reciproca e il dialogo, oppure, al contrario, alimentare il pregiudizio e il
disprezzo tra gli individui e i popoli; possono contribuire a diffondere la pace
o a fomentare la violenza. Ecco perché occorre sempre fare appello alla
responsabilità personale; è necessario che tutti facciano la loro parte per
assicurare in ogni forma di
comunicazione obiettività, rispetto della dignità umana e attenzione al
bene comune. In tal modo si contribuisce ad abbattere i muri di ostilità che
ancora dividono l’umanità, e si possono consolidare quei vincoli di amicizia e
di amore che sono segni del Regno di Dio nella storia.”
Benedetto XVI
si è soffermato quindi sulla solennità dell’Ascensione del Signore al Cielo,
celebrata oggi in molti Paesi, tra cui anche l’Italia. Una festa che invita la
comunità cristiana a volgere lo sguardo a Colui che “salendo al Cielo” – ha
spiegato il Papa - “ha riaperto la via
verso la nostra patria definitiva, che è il paradiso.”
“Siamo pertanto
chiamati a rinnovare la nostra fede in Gesù, l’unica vera àncora di salvezza
per tutti gli uomini.”
Infine la
benedizione e l’invocazione a Maria perché protegga la Chiesa e specialmente
quanti sono dedicati “all’opera di evangelizzazione mediante i mezzi della
comunicazione sociale”; e poi dopo la recita del regina Coeli, una particolare
raccomandazione di Benedetto XVI:
“Auspico
che la formazione delle nuove generazioni sia sempre al centro dell’attenzione
della comunità ecclesiale e delle pubbliche istituzioni.”
Tale richiamo è
giunto dopo che il Papa aveva questa mattina rivolto un particolare omaggio ai bambini e a tutte le loro mamme per la
Festa della Mamma, affacciandosi alle 10 dalla stessa finestra del suo studio
per salutare duemila alunni della scuole elementari di Roma e del Lazio,
arrivati in Piazza San Pietro, in occasione della 25 ma Maratona di Primavera -
Festa nazionale della scuola.
“La mia benedizione e saluti ai vostri genitori, ai vostri
amici…. Auguri a voi tutti e particolarmente alle mamme”
I piccoli
maratoneti hanno animato al centro della piazza una bella coreografia sul tema
“Europa e Musica” e poi hanno liberato verso il cielo tanti palloncini con
messaggi d’amore per la ‘Mamma celeste’. Quindi il via, alla presenza di
autorità civili, alla Maratona di 5 chilometri con meta finale il Pincio, cui
hanno partecipato anche studenti delle scuole superiori e diversi amatori della
FIDAL impegnati in una speciale sezione agonistica. Tutti uniti dallo stesso
spirito di correre con la voglia di costruire un mondo migliore, come ha
spiegato padre Antonio Maria Perrone, presidente nazionale della FIDAE, scuole
cattoliche, al microfono di Marina Tomarro:
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R. – La maratona è una forma di
presenza visibile di giovani che marciano per le vie di Roma per significare
una realtà, quella giovanile, che è una realtà in crescita, naturalmente, con
dei valori che ogni ragazzo porta in se stesso e che nella comunione con gli altri possono essere meglio
evidenziati.
D.- A questa Maratona hanno
partecipato sia scuole cattoliche, che scuole pubbliche. Può essere l’occasione
per uno scambio di idee?
R. – Certo. Noi, per esempio, rappresentiamo
le scuole cattoliche, ma non andiamo assolutamente contro le cosiddette scuole
statali, anzi siamo insieme per una società migliore. Queste sono le parole che
io dico sempre. D’altra parte formiamo il sistema educativo nazionale per la
formazione dei giovani, per dare così un contributo ad una società più elevata
dal punto di vista culturale, attraverso l’educazione.
D. –
Qual è il messaggio che deve arrivare da questo tipo di iniziative?
R.- Continuiamo! Che la maratona
non si esaurisca in un solo giorno, ma sia un camminare insieme costante per
tutta la vita, soprattutto per il periodo della gioventù, perché sono i giovani
le fondamenta della nostra società di domani.
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IL POPOLO DI ROMA STRETTO
INTORNO AL SUO VESCOVO: IERI POMERIGGIO IL SANTO PADRE NELLA BASILICA DI SAN
GIOVANNI IN LATERANO PER IL RITO DI INSEDIAMENTO
Migliaia di fedeli hanno accolto ieri pomeriggio Benedetto XVI nella
Basilica di San Giovanni il Laterano dove si è svolto il rito di insediamento
sulla cattedra episcopale romana. Il Papa è arrivato a bordo di una mercedes
nera decappottata. Ad attenderlo, nella madre di tutte le chiese, anche il
sindaco di Roma Walter Veltroni, il presidente della Provincia Enrico Gasbarra
e il presidente della Regione, Piero Marrazzo. Il servizio di Tiziana Campisi.
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“Cari romani, adesso sono il vostro vescovo e così voglio
cercare con tutto il cuore di essere il vostro vescovo, il vescovo di Roma. E
tutti noi vogliamo cercare di essere sempre più cattolici, sempre più fratelli
e sorelle nella grande famiglia di Dio, quella famiglia in cui non esistono
stranieri”.
Con un pizzico d’emozione ha salutato così Benedetto XVI i
fedeli della sua diocesi. Dalla cattedra di San Giovanni in Laterano, come
vescovo di Roma, ieri pomeriggio, ha voluto sottolineare qual è il compito del
successore di Pietro spiegando che il seggio di ogni cattedrale è simbolo della
potestà di insegnamento, una potestà di obbedienza e servizio attraverso la
quale la Parola di Dio indica la strada.
Al vescovo di Roma Benedetto XVI hanno prestato
obbedienza, come rappresentanza della diocesi, dodici persone tra cui
presbiteri, diaconi, religiosi e laici, poi la liturgia della Parola al termine
della quale il Papa ha voluto ricordare il significato della festa
dell’Ascensione celebrata oggi.
“L’ascensione del Signore significa che Cristo non si è
allontanato da noi, ma che adesso grazie al suo essere con il Padre è vicino ad
ognuno di noi per sempre. Ognuno di noi può dargli del ‘tu’. Ognuno può
chiamarlo. Possiamo allontanarci noi da lui interiormente. Possiamo vivere
voltandogli le spalle, ma Egli ci aspetta sempre ed è sempre vicino a noi”.
Il vescovo di Roma siede sulla sua Cattedra per dare testimonianza
a Cristo, ha detto poi il Santo Padre, a lui spetta il ministero
dell’interpretazione della Sacra Scrittura, parte essenziale del mandato
conferito dal Signore a Pietro, la cui comprensione cresce sotto l’ispirazione
dello Spirito Santo.
“Dove la Sacra Scrittura viene staccata dalla voce
vivente della Chiesa, cade in preda alle dispute degli esperti, ma la scienza
da sola non può fornirci un’interpretazione definitiva e vincolante, non è in
grado di darci nell’interpretazione quella certezza con cui possiamo vivere e
per cui possiamo morire”.
Spaventa tanti uomini dentro e fuori la Chiesa questa
potestà di insegnamento, ha proseguito Benedetto XVI, molti si chiedono se essa
non minacci la libertà di coscienza, se non sia una presunzione contrapposta
alla libertà di pensiero.
“Non è così. La potestà di insegnare nella Chiesa comporta
un impegno al servizio dell’obbedienza alla fede”.
E al termine della celebrazione una preghiera per il
popolo di Roma: il Santo Padre si è recato nella Basilica di Santa Maria
Maggiore dove ha reso omaggio all’Icona di Maria Salus Populi dinanzi alla
quale i romani, per tradizione, pregano la Madre della Salvezza.
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OGGI, DOMENICA 8 MAGGIO: GIORNATA MONDIALE DELLE
COMUNICAZIONI SOCIALI
AL SERVIZIO DELLA COMPRENSIONE TRA I POPOLI
- Intervista di Giovanni Peduto con l’arcivescovo
John Foley -
Oggi 8 maggio, 39.ma Giornata mondiale delle comunicazioni
sociali sul tema “I mezzi di comunicazione al servizio della comprensione tra i
popoli”. Il messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata è stato pubblicato
il 24 gennaio scorso nella festa di San Francesco di Sales, patrono dei
giornalisti. Al centro della sua riflessione c’è un appello preciso: gli
operatori dei mass media contribuiscano ad abbattere i muri dell’odio e della
violenza promuovendo, invece, la pace e il dialogo. Ma ascoltiamo, nell’intervista di Giovanni Peduto, l’arcivescovo
Jonh Foley, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali:
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R. –Papa Giovanni Paolo II ha detto che “le moderne tecnologie hanno a
loro disposizione possibilità senza precedenti per operare il bene, per
diffondere la verità. Eppure il loro cattivo uso può fare un male
incalcolabile, dando origine all’incomprensione, al pregiudizio e addirittura
al conflitto”. Penso che questa sia la sintesi del potere e della potenza dei
mezzi di comunicazione per il bene e per il male.
D. – “Dalla stessa bocca … esce benedizione e maledizione. Non deve
essere così”. Giovanni Paolo II iniziava il suo messaggio sui mezzi di
comunicazione sociale, citando la lettera di San Giacomo. “Le parole – scriveva
– hanno un potere straordinario e possono unire i popoli o dividerli”…
R. – Ricordo una conversazione avuta con Papa Giovanni Paolo II, a pranzo,
alcuni anni fa. Io gli ho parlato del valore delle sue azioni simboliche e lui
ha detto che la parola “simbolo” viene da una parola greca, sun-ballo, che ha il significato di “portare insieme”,
l’opposto della parola greca, dia-ballo, cioè “rompere”. Allora
il Santo Padre ha affermato che le cose simboliche possono unire le persone
nell’amore, in un’unione più completa. Le cose diaboliche invece possono
rompere i collegamenti tra le persone. Giovanni Paolo II allora ha detto che le
sue azioni simboliche hanno avuto l’intenzione di portare la gente insieme, di
unire le persone.
D. – Il messaggio pontificio
invita i comunicatori a “costruire ponti di dialogo tra i popoli, rompendo il
ciclo fatale di violenza, rappresaglia e nuova violenza, oggi così diffuso”. In
questo senso - notava Giovanni Paolo II – “è stato consolante vedere quanto
velocemente la comunità internazionale ha risposto al maremoto che ha sconvolto
il sud-est asiatico, anche grazie alla rapidità delle notizie” …
R. – Penso che lo tsunami, questo maremoto, abbia avuto un’eco
nel mondo perché i mezzi di comunicazione hanno fatto un rapporto completo sui
bisogni delle persone in quella zona. Possiamo parlare anche di uno tsunami
di interesse nella morte del Santo Padre, Giovanni Paolo II, e nella elezione
del suo successore, Benedetto XVI. Tutti i popoli del mondo sono stati uniti in
una cerimonia per la sepoltura del Santo Padre, Giovanni Paolo II. E tutti si
sono riuniti di nuovo per l’inaugurazione del Ministero pastorale del suo successore,
Benedetto XVI. La stessa persona, una volta quale cardinale Ratzinger e l’altra
come Papa Benedetto XVI, ha parlato e ha fatto davanti alla gente di tutto il
mondo un programma di amore e di verità.
D. – Nel messaggio c’è poi un forte appello agli operatori del settore
a promuovere una vera cultura della vita, prendendo loro stessi le distanze
dall’attuale cospirazione a danno della vita e trasmettendo la verità sul
valore e la dignità di ogni persona umana.
R. – La storia dei viaggi pastorali del Santo Padre Giovanni Paolo II,
è una storia di servizio ad ogni persona, alla dignità di ogni persona. Lui ha
parlato di una cultura della vita e di una cultura della morte. Ha detto sempre
una parola contro la cultura della morte, che sembra essere presente nel mondo
di oggi. Penso che i mezzi di comunicazione possano aiutare a promuovere una
cultura di vita, indicando il valore di ogni vita umana, come hanno fatto in
occasione dello tsunami nel sud-est asiatico. Per ogni tragedia umana i
mezzi di comunicazione sottolineano il valore di ogni vita umana. Spero che
loro possano fare questo sempre, per ogni avvenimento della vita, cioè
sottolineare l’importanza della vita umana, la dignità della vita umana, come
Giovanni Paolo II ha fatto e come Benedetto XVI sta facendo.
D. – Giovanni Paolo II nei suoi oltre 26 anni di Pontificato ha
richiamato con forza i cattolici ad essere presenti nel campo dei mass media.
Ma i cattolici fanno abbastanza o dovrebbero fare di più?
R. – Dovrebbero fare di più in molti sensi. Penso che nelle nostre
scuole dovremmo avere un corso per preparare la gente ad utilizzare i mezzi,
come consumatori e come persone attive nei mezzi di comunicazione sociale. Come
consumatori, devono essere persone che fanno scelte intelligenti e responsabili,
perché i mezzi di comunicazione possono nutrire la nostra vita intellettuale e
spirituale. Più cattolici dovrebbero essere presenti nei mezzi stessi. Dobbiamo
motivare le persone ad essere presenti, per fare un lavoro positivo, per
aiutare in modo positivo la gente a conoscere Gesù e a sapere quali sono i
valori fondamentali per una vita felice.
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8
maggio 2005
CON LA SCONFITTA DELLA GERMANIA NAZISTA,
L’8 MAGGIO 1945 L’EUROPA SI PREPARAVA ALLA
DEMOCRAZIA. DOMANI A MOSCA,
LE CELEBRAZIONI PER I 60 ANNI DALLA FINE DELLA
SECONDA GUERRA MONDIALE
- Intervista con il prof. Luigi Bonanate -
L’8
maggio 1945 l’Europa usciva dal tragico tunnel della guerra. Pochi giorni dopo
il suicidio di Hitler, la Germania – ormai stretta in una morsa dagli eserciti
russo e alleato – si arrese decretando di fatto la fine del regime nazista.
Domani, una cinquantina di capi di Stato, tra cui il presidente americano Bush,
saranno a Mosca per celebrare con Vladimir Putin i 60 anni dalla fine del
conflitto, che fece tra i 40 e i 50 milioni di morti e culminò con le bombe
atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Ma cosa significò quell’8 maggio per chi
usciva da cinque anni e mezzo di guerra? Alessandro De Carolis ha rivolto la
domanda al prof. Luigi Bonanate, docente di relazioni internazionali
all’Università di Torino:
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R. – L’8 maggio è la data che ci ricorda che il nazi-fascismo, il più terribile
nemico che l’umanità, nel mondo contemporaneo, abbia conosciuto, fu
definitivamente sconfitto. L’8 maggio è il momento nel quale l’idea di
democrazia, di libertà, di rispetto dei diritti umani ha finalmente trionfato.
Ma questo è costato decine di milioni di morti. All’incirca, la guerra in
Europa è costata tra i 30 e i 40 milioni di morti; all’interno di questi 30-40
milioni di persone, non vanno dimenticati i 6 milioni di ebrei, l’oggetto
circoscritto, in un certo qual mostruoso senso, della posizione nazi-fascista.
D. – Tre mesi prima della caduta della Germania, ci fu la Conferenza
di Yalta. Dopo la resa dei totalitarismi, la Dichiarazione sull’Europa liberata
che ne scaturì fu certamente un enorme passo avanti per la ripresa democratica
del continente. Ma che tipo di democrazia nacque da Yalta?
R. – Beh, intanto si potrebbe discutere se sia vero che sia nata
proprio a Yalta, perché una parte di tutto questo dibattito porterà poi fino a
Potsdam, e questo per dire che fu un lungo processo. Dovessi sintetizzare che
cosa venne deciso: venne decisa la divisione dell’Europa in due. C’è una frase
famosa di Winston Churchill, successiva di alcuni anni. Lui disse: “Da Stettino
sul Baltico a Trieste sull’Adriatico è calata un’immensa cortina di ferro”. La
verità di questa frase sta nel fatto che lì erano arrivati gli eserciti. Se
occidentali e Unione Sovietica erano stati ovviamente alleati in guerra, è
anche vero che la corsa verso Berlino fu una competizione, e laddove gli
eserciti si fermarono, lì – più o meno – si instaurano dei regimi, di due tipi
diversi. Da una parte, a Occidente, ovviamente, i regimi
democratico-parlamentari, dall’altra parte i regimi di cosiddetta democrazia
popolare o socialista. Tutto questo, se Dio vuole, il 9 novembre 1989, finì.
D. – A 60 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, cosa paga
ancora la Comunità internazionale a quella grande tragedia collettiva?
R. – Direi che più che pagare, ottiene degli interessi, cioè il
ricordo della Seconda Guerra Mondiale dev’essere tenuto vivo come terribile, ma
grande ammonimento. Come tante volte si è detto e come, tra l’altro, più volte
il papato ha ricordato, “mai più una guerra come quella”, ebbene, non c’è –
credo – prezzo altrettanto alto che quello di quella guerra. Tanto più se noi
le aggiungiamo poi quello che è stato l’aspetto asiatico, altrettanto
terribile, che si è concluso con Hiroshima e Nagasaki, quindi con la bomba
atomica che ha lanciato l’ombra del suo fungo sul mezzo secolo successivo ...
D. – Alla cerimonia di lunedì prossimo a Mosca mancheranno i capi di
Stato delle Repubbliche Baltiche che insistono nel chiedere alla Russia una
sorta di ‘pentimento’ per l’annessione subita dall’Unione Sovietica. E’ la
testimonianza, in fondo, che poi non tutti i conti con il passato sono stati
saldati ...
R. – E’ vero che la loro libertà è stata calpestata, i loro diritti
sono stati conculcati, allora ... Ma sono passati 60 anni! Forse, dovremmo
guardare in avanti e non più indietro, da questo punto di vista! Tra l’altro, i
Paesi baltici sono proprio tra quelli che sono stati i protagonisti della
rivoluzione del 1987-89 e di quelli che hanno tratto grandi vantaggi dalla
caduta del bipolarismo. Quindi, riaprire le vecchie ferite mi sembra – tutto
sommato – oggi inutile.
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TECNOLOGIA DIGITALE E LOTTA ALLA POVERTA’: IL 12 E
IL 13 MAGGIO A MILANO E NEW YORK V EDIZIONE DELLA CONFERENZA MONDIALE
“INFOPOVERTY”
Aiutare
le realtà in via di sviluppo attraverso l’alta tecnologia e la tecnologia digitale.
E’ l’obbiettivo che si pone la V edizione di Infopoverty World Conference,
che si svilupperà in due giorni il 12 e 13 maggio prossimo fra il Politecnico e
l’Università Cattolica di Milano, sul tema “Attori e strategie per lo sviluppo:
tecnologia digitale e lotta alla povertà”.
.Collegati in videoconferenza ci saranno il Palazzo di Vetro dell’ONU a
New York, ma anche una comunità Navajo in Arizona; l’Università di Baghdad;
l’università di Costantine in Algeria; un villaggio tunisino; un centro studi
in Rwanda e a Pechino. Servizio di Fabio Brenna.
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Il
progetto Infopoverty intende superare il digital divide, il
sottosviluppo tecnologico, attraverso l’uso innovativo degli strumenti ICT (Information
& Communication Tecnologies), in grado di fornire servizi a banda larga
e senza filo per sostenere lo sviluppo delle comunità più disagiate.
Un’applicazione utile in molti e importanti settori, come ci spiega Pierpaolo
Saporito, presidente dell’OCCAM, organismo delle Nazioni Unite che organizza l’evento:
“Veramente, noi adesso siamo arrivati a bisogni velleitari, cioè, quindi
sono tecnologie più a livello di gadget. Noi vediamo che l’applicazione della
telemedicina può salvare delle vite come pure preservare anche la sanità a
livello mondiale, oppure salvare dei raccolti: basta scannerizzare una foglia
di una cultura per vedere che tipo di parassita ha, mandarla ad un centro il
quale da subito una diagnosi e si fa un intervento. E soprattutto, d’ora in poi
i servizi a larga banda che sono essenziali. Cioè, nel discorso della
telemedicina noi abbiamo già messo in campo applicazioni tipo – non so – i
raggi x da montare sulle autoambulanze in modo che l’infortunato viene
immediatamente analizzato sul posto dell’incidente; o le ecografie, eccetera ...
Per esempio, usando anche gli stessi telefonini, possiamo avere come degli
scanner remoti ... Quindi, sono facilità impensabili! Tutta la Conferenza verte
sull’analisi di quanto si può fare e si lanciano poi dei progetti concreti”.
La
prima esperienza di villaggio digitale alimentato dall’energia solare fu
attuata in Honduras nel 1999, subito dopo le devastazioni dell’uragano Mitch.
L’ultima realizzazione portata a termine riguarda un villaggio tunisino dove
sarà possibile fare telemedicina e istruzione a distanza tramite le
apparecchiature donate da Infopoverty. Nel prossimo convegno milanese si
getteranno le basi per un intervento nei Paesi del Sud-Est asiatico devastati
dallo tsunami e per la creazione di una piattaforma tecnologica digitale di
supporto a tutte le ONG - Organizzazioni non governative - impegnate nelle
azioni di solidarietà internazionale. Infopoverty è anche un contributo
allo sviluppo a basso costo. Sentiamo ancora Pierpaolo Saporito:
“Con
poche risorse ma con molta intelligenza, utilizzando soprattutto la rete
satellitare – teniamo conto che oggi, sul pianeta, c’è un surplus di satelliti,
che è il vero investimento, senza il quale non si potrebbe parlare di questo,
che però sono tutti vuoti! Quindi, c’è anche una necessità di riempirli con
nuovi servizi. Ecco che c’è una convergenza di interessi che permette,
obiettivamente, se applicata con intelligenza, di dare una forte accelerazione.
Teniamo conto che tutti questi Paesi cosiddetti ‘poveri’, sono invece molto
ricchi di risorse. Ci sono tantissimi altri punti di vantaggio che non sono mai
stati utilizzati!”.
Da
Milano, per Radio Vaticana, Fabio Brenna.
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8 maggio 2005
IL
PADRE GESUITA RENE’ DE HAES E’ STATO UCCISO
IERI A KINSHASA NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, DA BANDITI DI STRADA. A SPARARE CONTRO LA VETTURA DEL RELIGIOSO BELGA ALCUNI UOMINI IN DIVISA
MILITARE, POI FUGGITI TRA LA FOLLA.
- A cura di Salvatore Sabatino -
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KINSHASA. = I colpi di arma da
fuoco lo hanno raggiunto mentre era al volante della sua auto, bloccato in un
ingorgo nella parte nord di Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo.
René de Haes, un padre gesuita molto noto per la sua attività d’insegnamento e
per i suoi scritti teologici in particolare sulla religione in Africa, era nato
in Belgio 72 anni fa e viveva nel Paese africano da diversi anni. Gravemente
ferito, il padre gesuita è stato trasportato urgentemente alla clinica
universitaria ma a causa delle sue condizioni il tentativo di soccorso si è
rivelato vano. I suoi aguzzini, secondo testimoni in divisa militare, sono
riusciti a fuggire tra la folla. Sconosciuto il movente del delitto, anche se
gli investigatori seguono la pista della rapina. Ipotesi, questa, confermata
dal fatto che molti degli oggetti personali del religioso sarebbero stati
asportati dalla vettura. Padre De Haes, docente di teologia alle “Facolta
Cattoliche” e direttore del “Centro spirituale Manresa”, si era distinto negli
anni anche per le sue ricerche e il suo impegno nel sociale. Sulla questione
del moltiplicarsi delle sette in Africa, in un articolo pubblicato dal mensile
“Popoli” nel 2001, all’interno di una sottile e articolata analisi, padre De
Haes aveva scritto tra l’altro: “Secondo l'opinione pubblica i poveri sfruttati
e abbandonati alla loro sorte dalla Chiesa e dai ceti ricchi, troverebbero
nelle sette certezze e speranze, in poche parole una concezione alternativa
dell'esistenza”. Il 27 aprile dell’anno scorso, in qualità di rettore, aveva
celebrato il cinquantenario dell’ “Institut Saint Pierre Canisius”, ricordando
che già dal 1954 i gesuiti belgi avevano ispirato la loro azione in terra
congolese alla figura del gesuita Peter Kanijs, latinizzato in Canisius,
beatificato nel 1869, tre secoli dopo essere stato teologo papale al Concilio
di Trento nel 1562.
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SOLENNE CONCELEBRAZIONE
EUCARISTICA OGGI NELLA CHIESA ROMANA
DI SANTA BALBINA PER COMMEMORARE I 30 ANNI DALLA MORTE
DEL CARDINALE Jozsef Mindszenty, PRIMATE D’UNGHERIA DURANTE
I DIFFICILI ANNI DI GUERRA COMUNISTA CONTRO LE RADICI CRISTIANTE DEL PAESE
MAGIARO.
ROMA. = Una concelebrazione eucaristica in occasione
di tre anniversari importanti per la vita del cardinale Jozsef Mindszenty,
l’avversario più forte della guerra scatenata nel secondo dopoguerra
dal comunismo contro le radici cristiane dell'Ungheria. Ricorre, infatti, oggi
il 90° anniversario dell’ordinazione sacerdotale, il 60° della nomina ad arcivescovo di Esztergom ed il 30° dalla
scomparsa di questa straordinaria figura del secolo scorso, Primate d’Ungheria,
custode della Sacra Corona e quindi difensore anche dell'identità storica del
suo gregge. Per commemorare il cardinale Jozsef Mindszenty è giunto a Roma il primate d’Ungheria ed
arcivescovo di Esztergom- Budapest, cardinale Peter Erdo, che nella Chiesa di Santa
Balbina ha partecipato alla solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal
cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei Vescovi. Ed è
stato proprio il porporato a ripercorrere, nell’omelia, le fasi della sua
intensa vita. “Il cardinale Jozsef Mindszenty – ha riferito il porporato – fu
l’intrepido difensore delle radici cristiane d’Ungheria contro il comunismo”. Alla
fine della seconda Guerra Mondiale, l'Ungheria viene occupata dall'esercito
sovietico. Il vescovo József Mindszenty, già incarcerato il 27 novembre 1944,
il 16 settembre 1945 viene nominato da Pio XII Primate di Ungheria. Intanto
prosegue implacabile la sovietizzazione del Paese, e per la Chiesa i tempi si
fanno sempre più difficili. Dopo una lunga campagna diffamatoria, il 26
dicembre 1948 il cardinale Primate viene
arrestato e accusato di alto tradimento. Il processo si conclude l'8 febbraio, con la condanna all'ergastolo. Il
23 ottobre 1956, a tre anni dalla morte di Stalin, Budapest insorge. Viene
nominato un governo di emergenza. Una settimana più tardi il cardinale
Mindszenty viene liberato, ma arriva la repressione sovietica ed il primate si
rifugia nell'ambasciata statunitense,
portando con sé la corona di Santo Stefano. Rimarrà nella sede diplomatica per
15 lunghissimi anni, fino al 1971, quando accetta di lasciare l'Ungheria. Muore
a Vienna il 6 maggio 1975, dopo essere stato accolto in Vaticano da Paolo VI.
Il cardinale Re durante la sua omelia ha poi voluto ricordare la visita che nel
1991 Giovanni Paolo II fece alla tomba del cardinale Mindszenty. Il Pontefice
– ha riferito il porporato- lo definì
“una preziosa testimonianza di fedeltà a Cristo e alla Chiesa e di amore alla
Patria. Il suo nome ed il suo ricordo rimarranno sempre in benedizione”. (S.S.)
MIGLIAIA DI PERSONE HANNO PARTECIPATO OGGI A POMPEI
ALLA SUPPLICA PER LA VERGINE MARIA, CHE SI SVOLGE NELLA CITTADINA MARIANA DA
122 ANNI. IL PENSIERO DI TUTTI E’ ANDATO A GIOVANNI PAOLO II, PELLEGRINO PER
DUE VOLTE A POMPEI.
- A cura di Loreta Somma
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POMPEI.= Maria, autentica discepola che ha accolto
Gesù per prima e lo ha seguito sempre, ci insegna ad essere veri seguaci del
suo Figlio ed autentici missionari. Questo auspicio è stato al centro
dell’omelia, tenuta dal cardinale Attilio Nicora, che ha presieduto la
celebrazione eucaristica e la Supplica alla Madonna di Pompei, svoltasi oggi
nella cittadina mariana. Salutato dal vescovo prelato e delegato pontificio,
mons. Carlo Liberati, il cardinale Nicora, presidente dell’Amministrazione del
patrimonio della Sede Apostolica, è stato accolto da decine di migliaia di
pellegrini, giunti da tutta Italia e dall’estero per questo appuntamento che si
ripete da 122 anni, ogni 8 maggio e ogni prima domenica di ottobre. Quest’anno
il pensiero di tutti è andato in modo particolare al ricordo di Giovanni Paolo
II, pellegrino qui a Pompei per ben due volte, e al nuovo Papa Benedetto XVI,
al quale il vescovo ha inviato un telegramma per ricordargli la celebrazione
odierna e per invitarlo a venire al più presto a Pompei.
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“PERU’ FISSO: UNA TIPICA CENA DI SOLIDARIETA’”. DAL
19 MAGGIO PROSSIMO CINQUE SERATE GASTRONOMICHE SOLIDALI ORGANIZZATE DAI PADRI AGOSTINIANI
PER AIUTARE LA REGIONE PERUVIANA DELL’APURIMAC.
ROMA.
= “Perù fisso: una tipica cena di solidarietà”. Un’occasione gastronomica
unica, che alla degustazione di piatti tipici peruviani, unisce la solidarietà
concreta per le popolazioni in via di sviluppo. Dal 19 maggio prossimo alle
20.30 e per cinque settimane consecutive, la cucina peruviana sbarcherà infatti
a Roma, e lo farà grazie alla collaborazione della LU.EL.PI, società di
catering fondata e gestita da Elsa
Javier, ristoratrice peruviana da 15 anni in Italia. Empanadas, Tamales,
Ceviche, tutti piatti tipici della millenaria tradizione andina, che
risveglieranno i sensi del palato, anche quelli più sofisticati, senza perdere
di vista le esigenze dei meno fortunati. Le portate verranno servite in una
cena a menù fisso, del costo di 15 Euro. La cifra verrà devoluta completamente
all’Associazione “Apurimac Onlus”, dei Padri Agostiniani, che dal 1992 ha
finanziato oltre 170 progetti di sviluppo sociale. “Apurimac Onlus” riesce ogni
anno a realizzare in maniera concreta e fattiva numerosi progetti di
collaborazione con le popolazioni latino-americane e africane. E numerose sono
pure le collaborazioni che in questi anni hanno fatto crescere il potenziale
dell’Associazione, come quella con la FIMMG – Federazione Italiana del Medici
di Famiglia, che ha portato numerosi medici di medicina generale nella regione
andina di Apurimac, da cui l’associazione prende il nome. Le cene si
svolgeranno presso la sede di “Apurimac Onlus”, in via dei Panieri, 32 – Zona
Trastevere. Per ulteriori informazioni potete chiamare il seguente numero:
06-45426336. (S.S.)
L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA’ LANCIA
L’ALLARME MENINGITE NEI CAMPI PER
RIFUGIATI IN DARFUR. GIA’ ESEGUITE 30 MILA VACCINAZIONI. DA GENNAIO AD OGGI
SEGNALATI 118 CASI, MA POTREBBE TRASFORMARSI IN EPIDEMIA
SARAF OMRA (DARFUR). =
“Neisseria meningitides W 135”. E’ il nome clinico del tipo di meningite
riscontrata in alcuni campi profughi del Darfur. L’Organizzazione mondiale
della sanità ha comunicato ieri che da gennaio a oggi ne sono stati
segnalati 118 casi, 8 dei quali mortali, un terzo nel solo campo di Saraf Omra.
Fonti mediche hanno inoltre confermato che il ceppo della patologia può
potenzialmente provocare un’epidemia, soprattutto in condizioni di
sovraffollamento, esodi, pellegrinaggi e situazioni di crisi sociale. Il vento
carico di polvere e le infezioni respiratorie dovute alle notti fredde
accentuano la diffusione della malattia tra dicembre e giugno con una punta in
aprile e maggio. Infezione delle meningi, sottile rivestimento del cervello e
del midollo spinale, la malattia è causata da microbi presenti nel pulviscolo
atmosferico; anche se diagnosticata per tempo e trattata, può essere mortale,
entro 24-48 ore dal contagio, per il 5-10 % dei pazienti. I casi del Darfur non
configurano ancora un’epidemia, ma l’Oms raccomanda vaccinazioni di massa e a
Saraf Omra ne sono state effettuate 30.000 con buoni risultati. Nella parte
orientale del Sudan, negli stati di Gadaref e Blue Nile, al confine con
l’Etiopia, verso la fine di gennaio erano stati diagnosticati 169 casi, 23
mortali. L’ultima epidemia colpì il Sudan nel 1999 con oltre 33.000 ammalati e
2306 vittime. (S.S.)
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8 maggio 2005
- A cura
di Amedeo Lomonaco -
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Entra nel vivo il viaggio in Europa del presidente statunitense, George Bush,
per il 60.mo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. Questa mattina
il capo della Casa Bianca ha incontrato a Maastricht il primo ministro
olandese, Jan Peter Balkenende, e poi ha visitato il cimitero americano di
Margraten dove ha sottolineato il valore della libertà per l’umanità. Ma
l’appuntamento centrale della giornata è previsto questa sera quando Bush si recherà nella dacia del presidente russo,
Vladimir Putin. Il nostro servizio:
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L’incontro si preannuncia carico di tensioni. Uno dei portavoce del governo russo fa sapere che “la cena nella dacia
di Putin sarà fredda”. L’attuale fase di gelo nei rapporti tra Russia e Stati
Uniti segue le dichiarazioni del presidente americano rilasciate ieri in
Lettonia, dove Bush ha intrecciato alcuni orrori del passato con i timori del
presente: “L’Europa e il mondo non dovranno più conoscere i drammi dei
totalitarismi e delle dittature”; “l’occupazione sovietica dell’Europa dell'Est
sarà ricordata come una delle più grandi ingiustizie della storia” ha detto il
capo della Casa Bianca indicando la Bielorussia come “l'ultima dittatura
presente in Europa”. “Bisogna diffondere la democrazia affinché la vittoria
della pace sia duratura”, ha aggiunto Bush riconoscendo le responsabilità degli
Stati Uniti per quanto accaduto nell’Europa dell’Est dopo la seconda Guerra mondiale.
Bush ha anche
condannato l’accordo di Yalta del 1945 tra
il suo predecessore Roosevelt e il leader dell’ex regime sovietico Stalin per la
divisione dell’Europa. Il presidente statunitense, che ha elogiato i popoli
baltici per aver resistito durante una “lunga veglia di sofferenza e speranza”
durata cinquant’anni, ha poi detto che
il nuovo governo iracheno costituisce un esempio di transizione riuscita da una
dittatura alla democrazia. La reazione del presidente russo non si è fatta
attendere: “Il nostro popolo – ha detto Putin - ha liberato 11
Paesi europei dai nazisti. Altro che invasione – ha rimarcato il capo del
Cremlino – sottolineando che l’URSS sbaragliò tre quarti della macchina bellica
di Adolf Hitler”. Nei confronti degli Stati Uniti Putin ha anche lanciato un
preciso monito: “La democrazia non si può esportare con armi e dollari”.
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Si prospetta, dunque,
all’insegna della tensione l’incontro di questa sera a Mosca tra Putin e Bush. Molti
osservatori concordano sul rischio di una nuova guerra fredda. Sostiene questa
tesi anche l’opinionista del
quotidiano “La Stampa”, Giulietto
Chiesa. L’intervista è di Amedeo Lomonaco:
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R. – Potrebbe essere l’inizio della nuova guerra
fredda, perché le dichiarazioni Condoleeza Rice e di Bush hanno rilasciato
sulla fine della seconda Guerra Mondiale e sul fatto che la Russia deve
accettare l’ingresso della democrazia americana nei suoi confini, sono
provocatorie per Mosca. Le dichiarazioni di Putin a caldo lo testimoniano.
Questo significa un inasprimento inevitabile - io credo - delle relazioni tra
Russia e Stati Uniti e in generale tra Russia e Occidente.
D. – Sarà dunque un clima molto freddo quello di
domani durante le celebrazioni per il 60.mo anniversario della fine della
seconda guerra mondiale?
R. – Sì, sarà un clima assolutamente gelido. Non si
capisce a questo punto per quale ragione Bush abbia accettato di venire a
celebrare l’anniversario della vittoria e poi rilasciare queste dichiarazioni.
Bisogna anche capire quali saranno gli effetti politici. Uno di questi sarà il
prevedibile avvicinamento tra Russia e Bielorussia fino, probabilmente
all’unificazione, dei due Paesi. E se ci sarà una federazione, toccare la
Bielorussia sarà equivalente a toccare la Russia. Il gioco potrebbe allora
diventare estremamente grave.
D. – Quanto c’è di vero nella dichiarazione di
Bush, secondo cui “la Bielorussia è l’ultima dittatura in Europa”?
R.- Se la Bielorussia è una dittatura, anche la
Russia è una dittatura. Bisognerà quindi trarne le conseguenze da questa
affermazione. Se la Russia non è una dittatura, non è una dittatura neanche la
Bielorussia. Mi pare che l’affermazione sia del tutto irresponsabile e piena di
conseguenze gravi.
D. – Qual è allora il ruolo di
Putin nello scacchiere politico europeo?
R. – Putin è un elemento centrale dell’equilibrio
europeo. Bisognerà semplicemente decidere se si vuole andare allo scontro con
lui o no. Si tratterà di vedere se l’Europa si fa trascinare in questa
avventura pericolosa oppure se l’Europa adotterà un’altra linea di
comportamento verso tutto il problema della cosiddetta “esportazione della
democrazia”.
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●In
Iraq, il premier Ibrahim Jaafari ha completato la formazione del nuovo governo
assegnando i cinque ministeri che erano ancora vacanti. La nomina dei nuovi
ministri non ha riservato sorprese: come previsto, i dicasteri della Difesa e
dell’Industria sono andati a due sunniti. Per il ministero del Petrolio e
dell’Elettricità sono stati scelti due sciiti. Il dicastero dei Diritti umani è
stato invece assegnato ad un curdo che però non ha accettato l’incarico. Sul
terreno, intanto, le forze della coalizione hanno ucciso sei persone sospettate
di appartenere al gruppo terroristico del giordano al-Zarqawi, A Baghdad,
uomini armati hanno assassinato, inoltre, un alto funzionario del ministero dei
Trasporti e delle Comunicazioni.
●In Afghanistan, sono 3 le persone morte per
l’attentato compiuto ieri a Kabul. Una delle vittime è un ingegnere birmano che
lavorava per le Nazioni Unite. Lo ha riferito, stamani, il ministero
dell'Interno afghano.
●Israele
ha deciso di congelare, per il momento, il rilascio di altri detenuti
palestinesi. Lo ha reso noto il premier Ariel Sharon nell’odierna seduta del
Consiglio dei ministri. Sharon ha
subordinato ulteriori liberazioni di detenuti palestinesi ad una dura
repressione da parte dell’ANP contro i gruppi fondamentalisti dell’Intifada.
●Il segretario generale della Lega
Araba, Amr Moussa, ha ribadito a Buenos Aires che Iran ed Israele non devono
avere armi nucleari. L’Iran ha annunciato, intanto, la ripresa del proprio
programma atomico. il portavoce del ministero degli Esteri iraniano,
Hamid Reza Asefi, ha detto che le garanzie fornite a Francia, Germania e Gran
Bretagna sul carattere pacifico del programma di Teheran sono “sufficienti”.
●Sono
iniziate regolarmente stamani, nella Repubblica Centrafricana, le operazioni di
voto delle legislative ed il ballottaggio per eleggere il nuovo presidente. Per
le presidenziali, ci si attende la
riconferma di Francois Bozizè, capo di Stato uscente,. Al primo turno
Bozizè ha ottenuto il 43 per cento dei voti e l’ex primo ministro, Martin
Ziguelè, il 23 per cento delle preferenze.
●Tragedia in Perù: un autobus per il
trasporto di passeggeri è caduto in un precipizio, causando la morte di 40
persone e il ferimento di altre 18. Lo ha riferito l’emittente radiofonica ‘Rpp
Noticias’. L'automezzo assicurava il collegamento fra Lima e Tallabamba.
●In Australia, un aereo è precipitato nel nord del
Paese e tutte e 15 le persone a bordo sono morte. Lo ha reso noto la polizia
locale aggiungendo che il velivolo si è schiantato, ieri, contro una collina a
circa 11 km dalla pista di Lockhart Rive.
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