RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 123 - Testo della trasmissione di martedì 3 maggio 2005

 

 

Sommario

IL PAPA E LA SANTA SEDE:                                                                             

In un clima cordiale e affettuoso, Benedetto XVI ha accolto stamani il presidente Ciampi. Il Papa ha accettato l’invito a recarsi al Quirinale il prossimo 24 giugno

 

         Benedetto XVI riceve due presuli della Conferenza episcopale dello Sri Lanka in visita ad Limina Apostolorum: intervista col missionario gesuita padre Michele Catalano

 

Nel Santuario polacco di Jasna Gora, per la festa della Madonna “Regina di Polonia”, è stata letta oggi l’ultima lettera di Giovanni Paolo II, firmata il giorno prima di morire, in cui il Papa affidava tutta la Chiesa all’infallibile protezione della Madre di Dio.

 

IN PRIMO PIANO:

Nel mese mariano si intensificano in Terra Santa le iniziative di preghiera per la pace, nell’Anno dell’Eucaristia: ce ne parla padre Pierbattista Pizzaballa

 

Si celebra oggi  la Giornata mondiale della libertà di stampa: ma cresce nel mondo la repressione della libera informazione: con noi Domenico Affinito

 

CHIESA E SOCIETA’:

Nello Stato indiano dell’Orissa, gli estremisti indù convertono con la forza 600 Dalit cristiani

 

Forte appello della “Commissione per la pace e lo sviluppo umano del Pakistan” contro la persecuzione delle minoranze religiose nel Paese

 

La Caritas di Hong Kong,  presenta un rapporto sulla miseria nella Corea del Nord

 

A poche settimane dalle elezioni in Libano, dura critica del patriarca maronita, Nasrallah Sfeir, alla legge elettorale in vigore nel Paese dal 2000 per volere dei siriani

 

         Affollata conferenza stampa e dibattito ieri pomeriggio a Roma, presso la sede dell’Opera Romana Pellegrinaggi, sul libro di Fabio Zavattaro riguardo ai Santi proclamati da Giovanni Paolo II

 

24 ORE NEL MONDO:

 Nuova strage di civili in Iraq, dove oggi giura il nuovo governo. Presentata la versione italiana del rapporto Calipari: i soldati USA spararono per inesperienza e stress

 

In Somalia, attentato contro il premier Mohammed Gedi durante un comizio. Incolume il primo ministro, ma un ordigno uccide otto persone e ne ferisce 30

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

3 maggio 2005

 

 

IN UN CLIMA CORDIALE E AFFETTUOSO, BENEDETTO XVI HA ACCOLTO STAMANI

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, CIAMPI. IL PAPA HA ACCETTATO

 L’INVITO A RECARSI AL QUIRINALE IL PROSSIMO 24 GIUGNO.

EUROPA E RAPPORTI ITALIA-SANTA SEDE AL CENTRO DELL’INCONTRO

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

Un incontro che rafforza i legami tra l’Italia e la Santa Sede: il presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, assieme alla moglie Franca, è stato accolto stamani in Vaticano da Papa Benedetto XVI. Ciampi è il primo Capo di Stato ad essere ricevuto dal nuovo Pontefice. Benedetto XVI ha accettato “volentieri” l’invito di Ciampi a recarsi al Quirinale, il prossimo 24 giugno. La notizia della prossima visita è stata resa nota dalla Sala Stampa Vaticana in tarda mattinata. Al termine del colloquio con il Papa, il presidente si è intrattenuto con il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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(Inno di Mameli)

 

Nel suggestivo Cortile di San Damaso risuonano alte le note dell’Inno di Mameli: è il segno di un’amicizia profonda, che si rinnova e prende vigore con il passare del tempo. Il corteo presidenziale entra nel Palazzo Apostolico. Sono le 11 in punto: un lieve inchino di Ciampi, il sorriso di Papa Benedetto XVI, una lunga e calorosa stretta di mano. Inizia così l’incontro tra il presidente della Repubblica italiana e il Successore di Pietro. A sottolineare il legame davvero unico, che caratterizza i rapporti tra Italia e Santa Sede, Ciampi è stato il primo Capo di Stato a far visita al Santo Padre, dopo l’elezione del 19 aprile scorso. “La prima volta che sono entrato qui – ricorda Ciampi, riferendosi allo studio privato del Papa – è stato nel 1993. Ero presidente del Consiglio e fu già allora un incontro molto intenso con Giovanni Paolo II”. Parole alle quali, Benedetto XVI risponde sottolineando l’importanza di questa amicizia tra Ciampi e il suo predecessore:

 

“La vostra amicizia è stata un segno per il mondo, per tutti”.

 

Poi, le porte vengono chiuse per un colloquio privato, durato una ventina di minuti. Incontro “molto cordiale”, informa una nota del direttore della Sala Stampa Vaticana, Navarro-Valls, “che ha permesso uno scambio di idee sui rapporti bilaterali tra Italia e Santa Sede”. Nel corso dell’incontro sono stati inoltre trattati alcuni temi riguardanti la situazione europea. Al termine del colloquio, il Papa si intrattiene con la moglie del presidente. Con Ciampi, viene ricevuto anche il ministro degli Esteri, Gianfranco Fini.

 

Il giorno stesso dell’elezione al soglio di Pietro, il presidente della Repubblica aveva inviato a Benedetto XVI un messaggio di auguri a nome del popolo italiano. “La consapevolezza di avere nel Vescovo di Roma un riferimento universale esalta la presenza di Roma nel mondo – scriveva il presidente – rafforza la volontà dell'Italia di affrontare le incognite del nuovo millennio forte delle motivazioni etiche e dei fondamentali principi di cui la Chiesa cattolica è sollecita interprete”. L’udienza si conclude con il tradizionale scambio di doni. Ciampi omaggia Benedetto XVI di un calice d’oro appartenuto a Pio IX. “Torna a casa in Vaticano”, è il commento scherzoso della coppia presidenziale. Il Pontefice ricambia con una pregevole statuetta raffigurante la Madonna.

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BENEDETTO XVI RICEVE DUE PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE

DELLO SRI LANKA IN VISITA AD LIMINA APOSTOLORUM

 

- Intervista col missionario gesuita padre Michele Catalano -

 

Benedetto XVI ha ricevuto oggi in Vaticano due Presuli della Conferenza Episcopale dello Sri Lanka, in visita "ad Limina": mons. Thomas Savundaranayagam, vescovo di Jaffna, e mons. Joseph Vianney Fernando, vescovo di Kandy. Si tratta della prima  visita “ad Limina”di questo Pontificato. I vescovi srilankesi hanno iniziato ieri i loro incontri con il Papa e li concluderanno sabato prossimo.

 

La Conferenza Episcopale dello Sri Lanka si è pronunciata nei giorni scorsi sulla cosiddetta “legge anti-conversioni” che l'Assemblea legislativa del Paese si appresta a esaminare e votare. Il provvedimento rende illegale la conversione religiosa in circostanze che possono essere considerate “non etiche” e illegali. Ma come è vista nel Paese, a maggioranza buddista, la presenza della minoranza cattolica? Debora Donnini lo ha chiesto a padre Michele Catalano, missionario gesuita a Colombo:

 

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R. – La presenza dei missionari cattolici è stata vista come un beneficio per tutte le nostre scuole e i nostri ospedali. Sono tanti gli abitanti di questo Paese che sono stati a scuola da noi. C’è quindi un grande apprezzamento della Chiesa. Però nel movimento nazionalista c’è un risentimento per le conversioni che sono avvenute, e per questo ha organizzato una sorta di resistenza a questo fenomeno, ma non ha avuto grande influenza sulla vita della nazione.

 

D. – Nei giorni scorsi i vescovi dello Sri Lanka però hanno rivolto un appello ai parlamentari, esprimendo forti perplessità sulla legge anti-conversioni che  l’Assemblea legislativa del Paese, si appresta ad esaminare e a votare…

 

R. – Sì, dopo le ultime elezioni, alcuni monaci buddisti hanno formato un partito e sono entrati nel governo. E’ una forza che si fa sentire. Bisogna dire che purtroppo, ci sono tante sette che si sono avventate contro il buddismo per fare conversioni spesso con metodi non chiari, anche promettendo aiuti economici. E questo è stato negativo. Questi eventi, quindi, hanno allarmato le classi più tradizionaliste, più nazionaliste. Ma io credo che noi non ci dobbiamo allarmare. Dobbiamo restare calmi, pregare e lasciarci guidare dal Signore.

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ALTRE UDIENZE

 

Questa mattina Benedetto XVI ha ricevuto in successive udienze anche il cardinale Lubomyr Husar, arcivescovo maggiore di Lviv degli Ucraini, e mons. William Joseph Levada, arcivescovo di San Francisco negli Stati Uniti d'America.

 

 

IERI SERA NELLE GROTTE VATICANE LA PREGHIERA DI BENEDETTO XVI

SULLA TOMBA DI GIOVANNI PAOLO II NEL TRIGESIMO DELLA SUA MORTE

 

Nel trigesimo della morte di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ha ricordato ieri il suo venerato predecessore. Il Papa ha scelto due momenti privati per ricordare il suo precedessore. Alle 7.30, nella cappellina dell’appartamento privato del Pontefice, ha celebrato una Messa in ricordo di Giovanni Paolo II, alla presenza, tra gli altri, di mons. Stanislao Dziwisz, segretario di Papa Wojtyla. Una cerimonia semplice, in quella cappellina dove Giovanni Paolo II ha celebrato per 26 anni la Messa e dove ha vissuto la sua ultima Via Crucis il Venerdì Santo di quest’anno, con tutta la sua sofferenza, collegato via TV con il Colosseo e con tutto il mondo. Ma Benedetto XVI non si è limitato solo alla Messa della mattina ma ieri sera si è recato nelle Grotte Vaticane per pregare sulla tomba del suo precedessore. Un omaggio toccante che ha voluto vivere in forma strettamente privata.

 

 

NEL SANTUARIO POLACCO DI JASNA GORA, PER LA FESTA DELLA MADONNA

“REGINA DI POLONIA”, E’ STATA LETTA OGGI L’ULTIMA LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II, FIRMATA IL GIORNO PRIMA DI MORIRE, IN CUI IL PAPA AFFIDAVA TUTTA LA CHIESA ALL’INFALLIBILE PROTEZIONE DELLA MADRE DI DIO

 

Nel Santuario polacco di Jasna Gora, a Czestochowa, in occasione della festa odierna della Madonna “Regina di Polonia”, è stata letta oggi l’ultima lettera firmata da Giovanni Paolo II il giorno prima di morire: è indirizzata al priore del monastero e porta la data del 1º aprile. Il messaggio del Pontefice era accompagnato dal dono di due corone per l’icona della “Madonna nera” del Santuario, “cuore spirituale” della Polonia cristiana. Il servizio di Sergio Centofanti.

 

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Nel testo, rivolto al priore degli Eremiti Paolini, Izydor Matuszewski, custodi del santuario, il Papa ricordava quanto il Signore ha operato lungo i secoli nella Sua misericordia per la Polonia  mediante la Vergine e la sua antica icona,  l'immagine della Madonna nera di Jasna Gora, che ha oltre 600 anni.

 

“Che tutto ciò parli anche alla nostra generazione - scriveva Giovanni Paolo II - Che tali eventi provvidenziali siano una chiamata all’unità nella costruzione del bene comune per il futuro della Polonia e di tutti i polacchi. Siano una chiamata a curare il tesoro dei valori eterni, così da assicurare che l’esercizio della libertà porti all’edificazione, non alla caduta”. Il Papa continuava affidando la sua Nazione all’“infallibile protezione” della Madonna di Czestochowa dalle minacce contro la dignità umana. “Affido alla sua materna protezione – aggiungeva – la Chiesa in terra polacca affinché tramite la testimonianza della santità e dell’umiltà rafforzi sempre la speranza per un mondo migliore nei cuori di tutti i credenti”. E affermava: “Prego per i responsabili del futuro della Polonia affinché abbiano il coraggio di difendere ogni bene che serve per la Repubblica”.

 

“Affido la nostra Patria, tutta la Chiesa e me stesso – concludeva nella lettera – alla sua materna protezione. Totus tuus!”.

 

Un atto di affidamento che ricorda quello del 4 giugno del 1979, durante il primo viaggio di Giovanni Paolo II in terra polacca: Papa Wojtyla chiedeva l’intercessione della Vergine per tutta l’umanità e con immensa fiducia poteva dire: “Tutto attraverso Maria”.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Prima pagina: Benedetto XVI prega sulla Tomba del Pontefice defunto Giovanni Paolo II.

Udienza del Papa al Presidente della Repubblica italiana.

Sempre in prima, un articolo di Michele Zappella dal titolo "Una commovente dichiarazione d'amore per Cristo e per le anime": l'omelia di Benedetto XVI durante la Celebrazione d'inizio del ministero petrino.

 

Nelle vaticane, tre pagine dedicate all'Eucaristia.

 

Nelle estere, Somalia: strage durante un comizio del Premier.

Iraq: uccisi quattordici civili a Ramadi in uno scontro a fuoco tra soldati Usa e ribelli.

 

Nella pagina culturale, gli articoli di Armando Rigobello e di Paolo Miccoli sulla figura di Padre Cornelio Fabro, nel decimo anniversario della morte.

Per l' "Osservatore libri" un articolo di Danilo Veneruso in merito al volume di Matthew Fforde "Desocializzazione. La crisi della postmodernità".

 

Nelle pagine italiane: giovedì, in Senato, il Premier riferirà sulla vicenda legata l'uccisione di Nicola Calipari in Iraq; il rapporto consegnato all'Ambasciatore Usa - Opposte le versioni.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

3 maggio 2005

 

 

NEL MESE MARIANO SI INTENSIFICANO IN TERRA SANTA LE INIZIATIVE DI PREGHIERA PER LA PACE, NELL’ANNO DELL’EUCARESTIA: DALLA CUSTODIA FRANCESCANA GIUNGE  L’INVITO A TUTTI I CRISTIANI A RITROVARE LA VIA DELL’UNITA’ PER OFFRIRE IN QUEI LUOGHI PERCORSI DALL’ODIO UN MODELLO DI CONCORDIA NELL’AMORE DI DIO

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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Nel mese di maggio - appena cominciato - dedicato a Maria, il pensiero corre alla Terra Santa, perché l’intercessione della Madonna, come  auspicato da Benedetto XVI nel primo Regina Coeli di domenica scorsa, possa donare la concordia e la pace a tutti i popoli che soffrono a causa di guerre, malattie e povertà. E purtroppo tutti siamo testimoni da oltre mezzo secolo di un odioso e sanguinoso conflitto in Terra Santa, tra israeliani e palestinesi, che appare insanabile con il solo ausilio delle ragioni umane. Di questo parliamo con il Custode di Terra Santa, a Gerusalemme, padre Pierbattista Pizzaballa.

        

D. - Anzitutto sono previste particolari iniziative di preghiera, anche alla luce dell’Anno dell’Eucarestia, che stiamo vivendo?

 

R. – Sì, il mese mariano è il mese più sentito dalla piccola comunità cristiana di Terra Santa, non soltanto da quella cattolica, ma anche da quella ortodossa. Le chiese sono veramente tutte piene soprattutto nelle sere per il Rosario e quindi è un mese molto intenso, con molte attività di carattere liturgico in tutto il Paese. Quest’anno, proprio a motivo dell’Anno Eucaristico, saranno fatte celebrazioni particolari nei luoghi eucaristici per eccellenza, quindi Emmaus e Cafarnao in modo particolare, e poi ovviamente il Cenacolo con preghiere, rosari, processioni, fiaccolate in quei luoghi.

 

D. - Padre Pizzaballa, è diffusa in molti la convinzione che la pace in Terra Santa possa essere la chiave di volta per sanare molti altri conflitti, che affliggono il Medio Oriente e non solo. Ecco in questo complicato scacchiere di interessi politici ed economici, che si sono velenosamente intrecciati alle convinzioni religiose e alle identità di due popoli, quale ruolo possono o debbono ancora tentare di giocare i Cristiani?

 

R. – E’ vero che il Medio Oriente è il luogo dove si intrecciano un po’ tutti questi interessi e le relazioni nazionali e internazionali. Ma è anche vero che spesso i conflitti sono qui confluiti. Non è che nascono qui. E’ vero che Gerusalemme è veramente il cuore della vita dl mondo, in questo senso quindi la pace qui a Gerusalemme è fondamentale anche per la vita del mondo. Abbiamo visto in questi ultimi decenni come solamente attraverso gli strumenti della politica o della violenza non si arriva a nessuna conclusione. Noi uomini di fede dobbiamo insistere molto innanzitutto sulla preghiera, sulla formazione nello spirito di Dio, formare le nuove generazioni ad avere fede, soprattutto nel futuro. Quanto ai cristiani, noi siamo una presenza piccolissima, siamo l’1,8 per cento della popolazione, quindi non potremmo influire in maniera diretta sulla vita del Paese e anche sulle grandi scelte che si debbono fare. Però, possiamo proporre un atteggiamento, uno stile di vita diverso in questo Paese, che possa essere preso come modello. E’ molto difficile, però, fare questo discorso anche perché purtroppo noi come Chiesa siamo divisi: c’è la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa…

 

D. - Anche recentemente abbiamo visto che ci sono state delle odiose divisioni…

 

R. – Sì, esatto per cui da un lato noi cristiani siamo chiamati a testimoniare la nostra appartenenza a Cristo risorto, che è uno solo. Dall’altro lato siamo ancora molto fragili e questo rende molto difficile questa testimonianza. Detto questo, è chiaro che dobbiamo comunque andare avanti con serenità.

 

D. - So che Lei è anche molto fiducioso che il nuovo Papa Benedetto XVI saprà raccogliere e valorizzare l’eredità di Giovanni Paolo II…

 

R. – Ne sono convintissimo. Questo Papa già nei suoi primi discorsi lo ha fatto capire molto bene e sono anche convinto che il richiamo di questo Pontefice alla persona di Gesù in una maniera così forte sarà un elemento di unità anche tra noi cristiani.

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SI CELEBRA OGGI LA GIORNATA MONDIALE DELLA LIBERTÀ DI STAMPA:

 MA CRESCE NEL MONDO LA REPRESSIONE DELLA LIBERA INFORMAZIONE

- Intervista con Domenico Affinito -

 

Si celebra oggi la 15.ma Giornata Mondiale della libertà di stampa indetta dalle Nazioni Unite. L’obiettivo è ricordare, soprattutto ai governi, che informare ed essere informati attraverso i media rappresenta un diritto fondamentale per lo sviluppo della  democrazia e per la pacifica convivenza fra i popoli. Ma nel 2004 sono stati 53 i giornalisti che hanno perso la vita mentre svolgevano il loro lavoro e 19 quelli di cui non si ha più notizia. In questo contesto l’organizzazione internazionale Reporter Senza Frontiere ha presentato oggi il rapporto annuale “Il giro del mondo della libertà di stampa 2004”. Ma cosa emerge da questo bilancio? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Domenico Affinito, vice presidente dell’organizzazione. 

 

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R. – Emerge che il 2004 è stato l’anno peggiore degli ultimi 10. Nel 2004 abbiamo tutti i dati in aumento. Ma la cosa drammatica sono i dati che danno la salute della libertà di stampa nel mondo: 907 i giornalisti arrestati, 1146 minacciati, 622 media censurati. La situazione è estremamente grave.

 

D. – Quali sono i Paesi maggiormente a rischio?

 

R. – L’Iraq, per quanto riguarda il numero dei giornalisti uccisi, tra cui il nostro Enzo Baldoni. Per quanto riguarda l’Asia, la situazione peggiore si registra in Bangladesh, Filippine e Sri Lanka. Tra l’altro, il Bangladesh è uno Stato democraticamente eletto. Un’altra zona molto difficile è quella dell’Africa. E poi per quanto riguarda il continente americano, la situazione peggiore è sicuramente quella della Colombia.

 

D. – Ci sono anche dei Paesi in cui è difficile distinguere fra informazione e propaganda?

R. – Ne segnaliamo uno su tutti, la Corea del Nord, insieme a Cuba e la Cina. In questi Paesi non è possibile neanche parlare di giornalismo, nel senso che il giornalismo è di fatto soltanto la glorificazione di leader che detengono il potere. La stessa cosa si verifica ad esempio in Turkmenistan.

 

D. – Quali sono, secondo lei, le cause?

 

R. – La cosa interessante è che non dipende dalle condizioni economiche. Ci sono Paesi poverissimi dell’Africa, come il Benin, dove c’è un buon livello di libertà di stampa ed altre realtà del mondo occidentalizzato dove la situazione è peggiorata. Diciamo che la libertà di stampa, però, quella che noi consideriamo accettabile, riguarda una quarantina di Paesi al mondo, sui 190 esistenti. Quindi, è un affare che riguarda poco più di un miliardo di persone, contro i 6 che abitano la terra.

 

D. – Cosa risponde a chi si batte per il pluralismo nel sistema dei media, lasciando forse sullo sfondo il problema dell’autonomia del giornalista?

 

R. – La libertà di informazione è un bene assoluto dell’uomo, in quanto essere umano, e si abbina a due cose fondamentali: la pluralità delle voci di formazione – quindi l’informazione deve essere in mano a più persone – e l’autonomia dei giornalisti. I giornalisti devono poter raccontare quello che vedono in modo autonomo, non condizionato da pressioni politiche, economiche o da ricatti.

 

D. – Cosa si può fare per risolvere il problema?

 

R. – 11 giornalisti sono stati uccisi dal 1° gennaio 2005, e quattro di loro solo in Iraq. Quindi, la situazione continua ad essere molto difficile. Molto difficile a Cuba, nell’Africa centrale, nel sud-est asiatico, ed anche in alcune parti della nostra Europa, dove sono passate leggi che obbligano i giornalisti a rivelare le loro fonti, cosa per noi inaccettabile. Per cui noi chiediamo che l’opinione pubblica stia attenta e vigile, perché è l’unico modo, ed è l’unica forza reale, per i giornalisti. I giornalisti sono veramente autonomi nel momento in cui chi legge i giornali, vede le tv o ascolta la radio, chiede informazione libera e corretta.

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CHIESA E SOCIETA’

3 maggio 2005

 

 

NELLO STATO INDIANO DELL’ORISSA, CONVERSIONE DI MASSA ALL’INDUISMO

DI 600 DALIT CRISTIANI. “GLI ESTREMISTI INDU’ NE SFRUTTANO LA DISPERAZIONE

E LA POVERTA’”: È IL COMMENTO DI MONS LUCAS KERKETTA, VESCOVO DI SAMBALPUR

 

BIJEPUR. = Circa 600 Dalit cristiani dell’Orissa, stato a nordest dell’India, sono stati “riconvertiti” all’induismo durante una cerimonia spirituale organizzata dal Vishwa Hindu Parishad (VHP), l’ala religiosa oltranzista del Bharatiya Janata Party (BJP), partito al governo locale. Per assicurare lo svolgimento pacifico della cerimonia, nella città di Bijepur, 2 sezioni di poliziotti armati e 5 ufficiali di pubblica sicurezza sono stati distaccati nella zona. La legge per la libertà religiosa dell’Orissa (OFRA) prevede che chiunque voglia cambiare religione, lo comunichi alle autorità: secondo il VHP, i “convertiti” hanno tutti compilato gli affidavit, atti legali che contengono una deposizione giurata, in cui esprimono la loro scelta. Mons. Lucas Kerketta, vescovo della diocesi di Sambalpur, denuncia che gli estremisti indù della zona approfittano della condizione di povertà, ignoranza e discriminazione in cui vivono i Dalit cristiani: “Ogni giorno il VHP cerca di circuirli offrendo loro denaro e vestiti – spiega – e quando questa tattica non funziona passa alle vie pesanti: intimidazioni, violenze e minacce di perdere il posto di lavoro”. Ad approfittarsi di questi tribali non sono, però, solo gli estremisti indù: “Spesso – commenta mons. Kerketta – alcuni attivisti della Chiesa pentecostale offrono a questa gente vestiti, cibo e denaro, regalano bibbie e opuscoli e organizzano degli incontri in cui leggono alcuni passi del Vangelo, dove viene promessa una terra libera da malattie e povertà”. Sono questi atteggiamenti, secondo il vescovo, che provocano le accuse di proselitismo mosse contro la Chiesa. “Questi pentecostali, infatti, sono penetrati in tutto lo Stato – spiega – e ogni volta che tengono i loro incontri, i fondamentalisti indù si mobilitano con accuse alla Chiesa e cerimonie di ‘riconversione’”. (R.M.)

 

 

FORTE APPELLO DELLA “COMMISSIONE PER LA PACE E LO SVILUPPO UMANO

DEL PAKISTAN” CONTRO LA PERSECUZIONE DELLE MINORANZE RELIGIOSE NEL PAESE,

 A MAGGIORANZA MUSULMANA

 

LAHORE. = Porre fine agli attacchi contro le minoranze religiose; tutelare il diritto alla libertà di culto e alle libertà fondamentali della persona; proteggere i membri di tutte le comunità religiose: sono le richieste della “Commissione per la Pace e lo sviluppo umano del Pakistan”, con sede a Lahore, in seguito all’ennesimo caso di violenza che recentemente ha sconvolto la comunità cristiana nel Paese. Il 23 aprile scorso, infatti, un giovane cristiano protestante, Shahbaz Masish, è stato torturato e ucciso per essersi rifiutato di convertirsi all’Islam. In un appello scritto, la Commissione chiede con forza al governo pakistano che i colpevoli del crimine, due colleghi della vittima, vengano catturati e puniti. “Occorre adottare misure per fermare questo tipo di azioni odiose – affermano – e scoraggiare in tutti i modi e a tutti i livelli la discriminazione religiosa”. Forte è l’invito anche alla polizia, spesso troppo compiacente, a cambiare atteggiamento. La “Commissione per la pace e lo sviluppo umano del Pakistan” è una ONG impegnata nella difesa dei diritti umani e delle minoranze, che raccoglie cristiani e musulmani e spesso lavora fianco a fianco con la Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza episcopale pakistana. Secondo il presidente, Anthony Waseem, per estirpare l’intolleranza religiosa e la minaccia terroristica dal Paese, è necessario promuovere un pensiero moderato fra la gente e ricostruire un tessuto di pace e di riconciliazione a partire dal basso, attraverso una rete di organizzazioni, movimenti e gruppi. (R.M.)

 

 

 “L’EMERGENZA UMANITARIA NELLA COREA DEL NORD NON È FINITA”: È LA DENUNCIA DELLA CARITAS DI HONG KONG, CHE FA APPELLO ALL’AIUTO INTERNAZIONALE

PRESENTANDO UN RAPPORTO SULLA MISERIA NEL PAESE

 

HONG KONG. = Occorrono 2,5 milioni di dollari nei prossimi 12 mesi per sostenere e assistere la popolazione della Corea del Nord, che versa nella miseria più nera, operando nei settori degli aiuti alimentari, dell’agricoltura, dello sviluppo e della formazione professionale. Lo afferma un nuovo rapporto della Caritas di Hong Kong, che da circa 15 anni cura progetti umanitari nel Paese. Dal 1993 al 1998, infatti, il Prodotto interno lordo nordcoreano si è quasi dimezzato, passando da 991 a 457 milioni di dollari, la speranza di vita è calata da 73,2 a 66,8 anni e il tasso dei mortalità infantile è salito dal 14 al 22 per cento su ogni mille nuovi nati e dal 27 al 48% per i bambini sotto i cinque anni. Inoltre, secondo il Programma alimentare mondiale della Nazioni Unite (PAM), oltre 6,5 milioni persone, su una popolazione di circa 22 milioni di abitanti, sono a rischio di morte per fame. La Caritas fa appello agli Stati e agli organismi internazionali a non abbandonare a se stessa la Corea del Nord, nonostante i problemi politici che ciò oggi potrebbe causare nello scacchiere mondiale: “Il lavoro umanitario deve essere indipendente da ogni diatriba di carattere politico”, afferma il rapporto. La Caritas è stata fra le prime organizzazioni ad avviare progetti oltre il 38.mo parallelo e, nel complesso, ha fornito aiuti per oltre 30 milioni di dollari. (R.M.)

 

 

A POCHE SETTIMANE DALLE ELEZIONI IN LIBANO, DURA CRITICA

DEL PATRIARCA MARONITA, NASRALLAH SFEIR, ALLA LEGGE ELETTORALE IN VIGORE

NEL PAESE DAL 2000 PER VOLERE DEI SIRIANI:

“NON RIFLETTE CON FEDELTA’ LE ASPIRAZIONI POPOLARI”

 

LOURDES. = Il patriarca maronita, Nasrallah Sfeir, è “profondamente dispiaciuto” che il Parlamento di Beirut non abbia trovato l’accordo per varare un nuova legge elettorale in vista delle elezioni di fine mese in Libano. La normativa attuale, voluta dai siriani nel 2000, è basata su una suddivisione del Paese in grandi distretti elettorali e, secondo il cardinale, non “garantisce gli interessi di tutti i libanesi”. “Gli elettori – ha spiegato da Lourdes, dove ha celebrato la Messa per 5 mila appartenenti all’ordine di Malta – devono poter conoscere i candidati che vogliono eleggere e solo le piccole circoscrizioni rispondono a un simile criterio”. Il cardinale Sfeir ha sottolineato che il compito del Parlamento è di “riflettere con fedeltà le aspirazioni popolari”. La legge elettorale del 2000 ha ricevuto critiche pesanti anche dai libanesi all’estero: essa penalizza alcune zone del Libano ed è ritagliata in modo tale da favorire l’ascesa di personalità politiche locali. Il patriarca ha invitato i politici a non seguire i propri “interessi particolari”, ma quelli “della patria e dei libanesi”. Secondo alcuni membri dell’opposizione, la vecchia legge elettorale permetterà alla Siria di avere ancora influenza in Libano, anche dopo il ritiro delle truppe. A questo proposito il cardinale Sfeir ha aggiunto: “Gli osservatori ONU devono assicurarsi che il ritiro sia avvenuto davvero. Non è impossibile che pur essendo avvenuto in apparenza, in segreto alcuni siriani continuino ad essere presenti”. (R.M.)

 

 

AFFOLLATA CONFERENZA STAMPA E DIBATTITO IERI POMERIGGIO A ROMA,

PRESSO LA SEDE DELL’OPERA ROMANA PELLEGRINAGGI, SUL LIBRO DI FABIO ZAVATTARO RIGUARDO AI SANTI PROCLAMATI DA GIOVANNI PAOLO II

- A cura di Giovanni Peduto -

 

ROMA. = Nel giorno delle sue esequie, la folla lo ha più volte acclamato “santo”. Da più parti si sono elevati appelli e testimonianze affinché vengano riconosciute le virtù eroiche di Giovanni Paolo II. Ma quale era il pensiero di Karol Wojtyla nei confronti delle beatificazioni e delle canonizzazioni? Quali le novità introdotte nel corso del suo pontificato su questo tema così discusso e delicato? A queste e ad altre domande hanno cercato di rispondere ieri pomeriggio il cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il vescovo Renato Boccardo, segretario generale dello Stato della Città del Vaticano, e il professor Augusto D’Angelo, dell’Università “La Sapienza” di Roma, nel corso della presentazione del nuovo libro del vaticanista RAI Fabio Zavattaro, “I santi e Karol – il nuovo volto della santità”. L’iniziativa è partita da mons. Liberio Andreatta, amministratore delegato dell’Opera Romana Pellegrinaggi, che ha voluto così aprire una serie di incontri sulle più recenti opere letterarie dedicate al Santo Padre Giovanni Paolo II e ai problemi della Chiesa dai giornalisti vaticanisti italiani. Nei suoi oltre 26 anni di pontificato, Giovanni Paolo II ha proclamato 1345 beati e 483 santi, un record che nessuno dei papi che lo hanno preceduto ha mai raggiunto. Con essi, Wojtyla ha cercato di offrire ai credenti di tutto il mondo delle figure che potessero essere davvero punti di riferimento di una fede che sempre più ha bisogno di testimoni credibili. In modo inedito e originale, Fabio Zavattaro, attraverso racconti e memorie di viaggio, interviste e discorsi pronunciati dal Papa, ha tentato di leggere tutti questi santi e beati quasi in filigrana con la vita stessa di Karol Wojtyla, il primo Papa slavo della storia moderna, venuto “da un Paese lontano” come ebbe a dire da San Pietro quella sera del 16 ottobre 1978.

 

 

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24 ORE NEL MONDO

3 maggio 2005

 

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

Un nuovo bagno di sangue ha fatto da sfondo in Iraq alla formazione del nuovo governo iracheno, atteso oggi dal giuramento. Almeno 14 civili sono stati uccisi durante uno scontro a fuoco tra soldati americani e gruppi di ribelli, avvenuto oggi ad un check-point a Ramadi, città a prevalenza sunnita, situata a 110 chilometri ad ovest di Baghdad. La stampa locale, inoltre, riferisce oggi della morte di Zaman Thabhawi, uno dei leader della milizia sciita di Moqtada al Sadr. L’uccisione sarebbe avvenuta a Najaf. Il quadro generale della situazione irachena delle ultime ore è di Barbara Schiavulli:

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Si sono conclusi con successo i negoziati tra il premier al Jafaari e i legisaltori sunniti: alle 17 ore di Baghdad, giurerà il nuovo governo iracheno in una zona verde blindata. Ma se sul fronte politico si registra qualche avanzamento, non migliora la situazione sul terreno. E’ stato ritrovato dagli americani il corpo del pilota di uno dei due jet F18 dei marines dispersi in Iraq da ieri. Non sono stati ancora individuati i resti del secondo aereo, e non è nemmeno chiara la dinamica dell’incidente. Intanto, sul confine con la Siria è di almeno 12 morti e di otto feriti - compresa una bambina di nove anni, e sei soldati statunitensi - il bilancio di un forte scontro a fuoco avvenuto la scorsa notte. Sotto tiro, un covo di al Zarqawi, leader di al Qaeda in Iraq. Dopo la battaglia, il posto è stato bombardato e perquisito: rinvenuti valuta straniera, documenti falsi e armi. Sulla via dell’aeroporto, invece, è stato ucciso un soldato americano e un altro è stato ferito dall’esplosione di un ordigno. E intanto l’Australia, che ha confermato che non ci saranno trattative con i sequestratori per liberare l’ostaggio australiano, ha però inviato una squadra di salvataggio delle forze speciali per tentare il tutto per tutto.

 

Barbara Schiavulli per la Radio Vaticana.

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E intanto, sulla vicenda legata alla morte dell’agente italiano in Iraq, Nicola Calipari, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi riferirà giovedì prossimo in Parlamento, prima alla Camera dei deputati e quindi, intorno alle ore 11.30, nell'Aula del Senato. Ieri, era stato reso noto il Rapporto “non classificato” di parte italiana sulla ricostruzione degli avvenimenti che lo scorso 4 marzo portarono all’uccisione di Calidari da parte dei soldati americani di stanza ad un chek-point non lontano dall’aeroporto di Baghdad. Sul contenuto del Rapporto, sentiamo Giampiero Guadagni:

 

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Non è stato un agguato, ma neppure un tragico errore, come afferma il rapporto americano. La reazione dei militari statunitensi, che formavano il posto di blocco, è stata dovuta soprattutto a inesperienza e stress. La ricostruzione italiana della morte di Calipari differisce profondamente da quella di Washington. Intanto, nessun segnale avvertiva dell’esistenza di un posto di blocco, organizzato per proteggere il passaggio dell’ambasciatore Negroponte, che peraltro era già transitato e così – affermano i servizi italiani – la questione della velocità dell’auto non appare rilevante, anche se è da escludere che andasse a 100 km all’ora. Inoltre, anche se non nei dettagli, gli americani conoscevano il tipo di missione che Calipari stava conducendo. Il premier Berlusconi riferirà giovedì alla Camera. L’opposizione chiede che il governo tragga conseguenze politiche dalla vicenda. “I rapporti con gli Stati Uniti non sono incrinati”, ha detto ieri il ministro della Difesa, Martino, ma il presidente della Camera, Casini, ieri al cimitero americano di Nettuno, davanti all’ambasciatore Sembler, ha sottolineato: “Solo con la verità si potrà rendere onore a eroi come Calipari”.   

 

Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.

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Somalia. E’ stata forse una granata lanciata da sconosciuti a seminare questa mattina la morte nello stadio di Mogadiscio. Otto persone sono rimaste uccise e una trentina ferite dallo scoppio di un ordigno, avvenuto mentre il premier somalo, Ali Mohammed Gedi, parlava alla folla riunita per un meeting. Il primo ministro, uscito incolume dallo stadio, vive in esilio in Kenya per motivi di sicurezza dal momento della sua elezione, che risale allo scorso anno. Sui motivi dell’attentato, Roberto Piermarini ha intervistato il padre comboniano Giuseppe Caramazza, direttore della rivista missionaria “New People” a Nairobi:

 

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R. – La Somalia è molto divisa all’interno, non solo nelle classi etniche, ma anche negli interessi politici ed è chiaro che negli ultimi mesi il presidente non ha voluto andare ad abitare a Mogadiscio proprio perché sapeva che era pericoloso. L’area di Mogadiscio è tenuta in mano da diversi gruppi militari, ma ci sono anche grossi gruppi islamici che invocano il terrorismo e la Jihad islamica, pur di vincere il potere. Quindi, anche se il presidente fosse andato prima ad abitare in Somalia, non ci sarebbe stata la pace. E’ chiaro che questa bomba è stata messa da uno di questi gruppi che non vuole una soluzione in Somalia.

 

D. – Quindi è ancora lunga la normalizzazione del Paese?

 

R. – E’ molto lunga, e soprattutto bisogna dire che negli ultimi mesi ci sono stati degli errori molto gravi da parte del nuovo governo somalo. Si è cercato di guadagnare il controllo del Paese attraverso l’appoggio ad alcune persone solamente, senza cercare l’appoggio della gente. I clan di numero inferiore si sono sentiti messi da parte e possono veramente reagire in maniera violenta. Dobbiamo ricordare che in Somalia, negli ultimi dieci anni, non c’è stata una guerra convenzionale, ma una guerra di terrorismo, di piccoli attacchi, e non sempre nello stesso luogo. Un luogo, dunque, oggi era sicuro e domani era insicuro. E questo ha creato una grande insicurezza in tutto il Paese.

 

D. – Qual è la situazione della Chiesa in questo momento appunto in Somalia?

 

R. – La Chiesa in Somalia ha una presenza di una piccola fiammella. Ci sono pochissimi cristiani. La maggioranza dei cristiani somali sono fuggiti già da tempo e vivono qui a Nairobi. Il vescovo stesso, incaricato dalla Somalia, è a Gibuti, dove ha la sede ufficiale, e va in Somalia poche volte, proprio perché è difficile entrare e rimanere in maniera legale. Ci sono alcuni missionari, che spesso sono presenti come lavoratori e non si fanno conoscere come sacerdoti, e cercano di fare un lavoro a livello sociale. La Chiesa, dunque, farà molta fatica a riprendere le posizioni che aveva nel passato, che non sono poi mai state molto grandi. L’unica cosa che può fare è quella della testimonianza e questo lo sta già facendo.

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E’ sempre molto tesa la situazione in Togo. Oltre 16 mila persone sono in fuga dalle violenze e dagli scontri scoppiati nel Paese in seguito all'annuncio della vittoria elettorale di Faure Gnassingbè, figlio dell'ex presidente Eyadema e protagonista di un fallito golpe nei mesi scorsi. L’opposizione ha presentato ricorso alla Corte suprema, denunciando brogli e irregolarità durante le elezioni presidenziali del 24 aprile scorso, e ha proclamato vincitore il suo candidato, Emmanuel Bob-Akitani. Si teme che domani il clima di esasperazione possa ulteriormente inasprirsi durante la cerimonia d'insediamento di Gnassingbè. Secondo gli ultimi dati resi noti ieri a Ginevra dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), oltre novemila sfollati togolesi hanno trovato rifugio nel vicino Benin e circa 7.500 in Ghana.

Un mondo libero dagli ordigni atomici. E’ l’auspicio del segretario generale dell'ONU, Kofi Annan, che ieri ha lanciato l’allarme sulla inadeguatezza del Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP), chiedendone l’ammodernamento. Inaugurando la settima Conferenza per la revisione del Trattato, che risale al 1970, Annan ha osservato che il documento rischia di diventare obsoleto per il progresso delle tecnologie e della globalizzazione.

 

Intanto, sempre sul versante del nucleare, l’Iran ha detto di voler riprendere alcune delle attività che aveva sospeso in base ai negoziati con l’Agenzia internazionale dell’energia atomica. Le autorità di Teheran hanno assicurato che tali attività rimangono a scopo pacifico e che per il momento rimangono bloccati gli esperimenti con l’uranio impoverito.

 

Gli Stati Uniti sono in grado di difendere se stessi e gli alleati da minacce nucleari e missilistiche. Washington ha subito reagito con un monito alla notizia di possibili test nucleari sotterranei da parte della Corea del Nord, rilanciata oggi dal più diffuso quotidiano del Paese asiatico, “Chosun Ilbo”. “Non credo vi debbano essere dubbi sulla nostra capacità di scoraggiare qualunque cosa i nordcoreani si stiano apprestando a fare”, ha dichiarato il segretario di Stato americano, Condoleeza Rice. Ma dalla Corea del Sud, il ministro della Difesa, Yoon Kwang-ung, ha ridimensionato la portata delle indiscrezioni, affermando come finora non sia stato rilevato alcun segnale concreto sulla possibilità dell’esperimento.

 

La crisi tra Cina e Taiwan registra qualche timido segnale di distensione. Oggi, il presidente taiwanese, Chen Shui-bian, ha informalmente invitato il leader cinese, Hu Jintao, a visitare l’isola, che rivendica l’indipendenza da Pechino. Parlando durante una conferenza stampa nella città di Kiribati, il presidente taiwanese ha inoltre annunciato che James Soong - leader di un piccolo partito di opposizione - sarà da giovedì in visita in Cina e sarà latore di un suo messaggio per Hu Jintao. Da parte sua, la Cina ha deciso di consentire i viaggi turistici a Taiwan, mettendo fine ad un divieto durato quasi sei decenni. Il via libera ai viaggi è stato reso noto dall’agenzia ufficiale di Pechino “Nuova Cina”.

 

In Medio Oriente, il movimento fondamentalista di Hamas ha chiesto stamani all’Autorità nazionale palestinese di rimettere in libertà i 2 militanti islamici arrestati ieri a Gaza, perché trovati in possesso di armi puntate sul territorio israeliano. Da domenica scorsa, infatti, nei Territori è vietata l’esposizione in pubblico di armi. E mentre sul campo la situazione si presenta stabile, il fronte politico è in fermento. Ieri, Al Fatah, la corrente maggioritaria dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, ha indetto elezioni primarie per scegliere i propri candidati per le parlamentari del 17 luglio. Alla convocazione, programmata per il 27 maggio prossimo, si prevede la partecipazione di oltre mezzo milione di attivisti. E resta alta la tensione nel governo israeliano del premier Sharon, dopo le dimissioni, ieri, del ministro per gli Affari della Diaspora, Nathan Sharansky, in aperta polemica con il piano di evacuazione da Gaza di circa 8000 coloni.

 

Il ministro dell’interno cileno, José Miguel Insulza, è il nuovo segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA). “Manifesto la mia speranza che i problemi che hanno diviso Cile e Bolivia, due Paesi vicini con un destino comune, possano risolversi con un dialogo per un beneficio vicendevole”, ha commentato ieri Insulza, dopo la nomina. L’elezione è avvenuta con 31 voti a favore, una scheda bianca e due astensioni, sul totale dei 34 Paesi membri presenti alla riunione straordinaria del Consiglio permanente.

La Corte di giustizia europea ha respinto il ricorso dei giudici di Milano contro la legge italiana sul falso in bilancio. La decisione è stata presa perché, mentre il regolamento comunitario "è legge" negli stati membri, la direttiva ha invece bisogno di essere recepita in una legge nazionale.

 

Tragedia in Pakistan. Una ventina di persone sono morte e circa una dozzina ferite per una esplosione di tubature del gas che la scorsa notte ha fatto crollare tre edifici a Lahore, nell'est del Paese. I soccorritori continuano a lavorare per cercare di strappare eventuali sopravvissuti alle macerie. Da chiarire la dinamica dell’incidente, ma la polizia esclude si tratti di un sabotaggio.

 

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