RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
123 - Testo della trasmissione di martedì 3 maggio 2005
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Nello Stato indiano dell’Orissa, gli
estremisti indù convertono con la forza 600 Dalit cristiani
La Caritas di Hong Kong, presenta un rapporto sulla miseria nella Corea del Nord
Nuova strage di civili
in Iraq, dove oggi giura il nuovo governo. Presentata la versione italiana del
rapporto Calipari: i soldati USA spararono per inesperienza e stress
In Somalia, attentato
contro il premier Mohammed Gedi durante un comizio. Incolume il primo ministro,
ma un ordigno uccide otto persone e ne ferisce 30
3
maggio 2005
IN UN CLIMA CORDIALE E AFFETTUOSO, BENEDETTO XVI
HA ACCOLTO STAMANI
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, CIAMPI.
IL PAPA HA ACCETTATO
L’INVITO A
RECARSI AL QUIRINALE IL PROSSIMO 24 GIUGNO.
EUROPA E RAPPORTI ITALIA-SANTA SEDE AL CENTRO
DELL’INCONTRO
- Servizio di Alessandro Gisotti -
Un
incontro che rafforza i legami tra l’Italia e la Santa Sede: il presidente
della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, assieme alla moglie Franca, è
stato accolto stamani in Vaticano da Papa Benedetto XVI. Ciampi è il primo Capo
di Stato ad essere ricevuto dal nuovo Pontefice. Benedetto XVI ha accettato
“volentieri” l’invito di Ciampi a recarsi al Quirinale, il prossimo 24 giugno.
La notizia della prossima visita è stata resa nota dalla Sala Stampa Vaticana
in tarda mattinata. Al termine del colloquio con il Papa, il presidente si è intrattenuto
con il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano. Il servizio di Alessandro
Gisotti:
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(Inno
di Mameli)
Nel
suggestivo Cortile di San Damaso risuonano alte le note dell’Inno di Mameli: è
il segno di un’amicizia profonda, che si rinnova e prende vigore con il passare
del tempo. Il corteo presidenziale entra nel Palazzo Apostolico. Sono le 11 in
punto: un lieve inchino di Ciampi, il sorriso di Papa Benedetto XVI, una lunga
e calorosa stretta di mano. Inizia così l’incontro tra il presidente della Repubblica
italiana e il Successore di Pietro. A sottolineare il legame davvero unico, che
caratterizza i rapporti tra Italia e Santa Sede, Ciampi è stato il primo Capo
di Stato a far visita al Santo Padre, dopo l’elezione del 19 aprile scorso. “La
prima volta che sono entrato qui – ricorda Ciampi, riferendosi allo studio
privato del Papa – è stato nel 1993. Ero presidente del Consiglio e fu già
allora un incontro molto intenso con Giovanni Paolo II”. Parole alle quali,
Benedetto XVI risponde sottolineando l’importanza di questa amicizia tra Ciampi
e il suo predecessore:
“La
vostra amicizia è stata un segno per il mondo, per tutti”.
Poi, le
porte vengono chiuse per un colloquio privato, durato una ventina di minuti. Incontro
“molto cordiale”, informa una nota del direttore della Sala Stampa Vaticana, Navarro-Valls,
“che ha permesso uno scambio di idee sui rapporti bilaterali tra Italia e Santa
Sede”. Nel corso dell’incontro sono stati inoltre trattati alcuni temi
riguardanti la situazione europea. Al termine del colloquio, il Papa si intrattiene
con la moglie del presidente. Con Ciampi, viene ricevuto anche il ministro
degli Esteri, Gianfranco Fini.
Il
giorno stesso dell’elezione al soglio di Pietro, il presidente della Repubblica
aveva inviato a Benedetto XVI un messaggio di auguri a nome del popolo
italiano. “La consapevolezza di avere nel Vescovo di Roma un riferimento
universale esalta la presenza di Roma nel mondo – scriveva il presidente –
rafforza la volontà dell'Italia di affrontare le incognite del nuovo millennio
forte delle motivazioni etiche e dei fondamentali principi di cui la Chiesa
cattolica è sollecita interprete”. L’udienza si conclude con il tradizionale
scambio di doni. Ciampi omaggia Benedetto XVI di un calice d’oro appartenuto a
Pio IX. “Torna a casa in Vaticano”, è il commento scherzoso della coppia
presidenziale. Il Pontefice ricambia con una pregevole statuetta raffigurante
la Madonna.
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BENEDETTO XVI RICEVE DUE PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE
DELLO SRI LANKA IN
VISITA AD LIMINA APOSTOLORUM
- Intervista col
missionario gesuita padre Michele Catalano -
Benedetto
XVI ha ricevuto oggi in Vaticano due Presuli della Conferenza Episcopale dello
Sri Lanka, in visita "ad Limina": mons. Thomas Savundaranayagam, vescovo
di Jaffna, e mons. Joseph
Vianney Fernando, vescovo di Kandy. Si tratta della prima visita “ad Limina”di questo Pontificato. I
vescovi srilankesi hanno iniziato ieri i loro incontri con il Papa e li
concluderanno sabato prossimo.
La Conferenza Episcopale dello
Sri Lanka si è pronunciata nei giorni scorsi sulla cosiddetta “legge
anti-conversioni” che l'Assemblea legislativa del Paese si appresta a esaminare
e votare. Il provvedimento rende illegale la conversione religiosa in
circostanze che possono essere considerate “non etiche” e illegali. Ma come è
vista nel Paese, a maggioranza buddista, la presenza della minoranza cattolica?
Debora Donnini lo ha chiesto a padre Michele Catalano, missionario gesuita a
Colombo:
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R. – La presenza dei missionari
cattolici è stata vista come un beneficio per tutte le nostre scuole e i nostri
ospedali. Sono tanti gli abitanti di questo Paese che sono stati a scuola da
noi. C’è quindi un grande apprezzamento della Chiesa. Però nel movimento nazionalista
c’è un risentimento per le conversioni che sono avvenute, e per questo ha organizzato
una sorta di resistenza a questo fenomeno, ma non ha avuto grande influenza
sulla vita della nazione.
D. – Nei giorni scorsi i vescovi
dello Sri Lanka però hanno rivolto un appello ai parlamentari, esprimendo forti
perplessità sulla legge anti-conversioni che
l’Assemblea legislativa del Paese, si appresta ad esaminare e a votare…
R. – Sì, dopo le ultime
elezioni, alcuni monaci buddisti hanno formato un partito e sono entrati nel
governo. E’ una forza che si fa sentire. Bisogna dire che purtroppo, ci sono
tante sette che si sono avventate contro il buddismo per fare conversioni
spesso con metodi non chiari, anche promettendo aiuti economici. E questo è
stato negativo. Questi eventi, quindi, hanno allarmato le classi più tradizionaliste,
più nazionaliste. Ma io credo che noi non ci dobbiamo allarmare. Dobbiamo
restare calmi, pregare e lasciarci guidare dal Signore.
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ALTRE
UDIENZE
Questa mattina Benedetto XVI ha ricevuto
in successive udienze anche il cardinale Lubomyr Husar, arcivescovo maggiore di
Lviv degli Ucraini, e mons. William Joseph Levada, arcivescovo di San Francisco
negli Stati Uniti d'America.
IERI
SERA NELLE GROTTE VATICANE LA PREGHIERA DI BENEDETTO XVI
SULLA
TOMBA DI GIOVANNI PAOLO II NEL TRIGESIMO DELLA SUA MORTE
Nel trigesimo della morte di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ha
ricordato ieri il suo venerato predecessore. Il Papa ha scelto due momenti
privati per ricordare il suo precedessore. Alle 7.30, nella cappellina
dell’appartamento privato del Pontefice, ha celebrato una Messa in ricordo di
Giovanni Paolo II, alla presenza, tra gli altri, di mons. Stanislao Dziwisz,
segretario di Papa Wojtyla. Una cerimonia semplice, in quella cappellina dove
Giovanni Paolo II ha celebrato per 26 anni la Messa e dove ha vissuto la sua
ultima Via Crucis il Venerdì Santo di quest’anno, con tutta la sua sofferenza,
collegato via TV con il Colosseo e con tutto il mondo. Ma Benedetto XVI non si
è limitato solo alla Messa della mattina ma ieri sera si è recato nelle Grotte
Vaticane per pregare sulla tomba del suo precedessore. Un omaggio toccante che
ha voluto vivere in forma strettamente privata.
NEL SANTUARIO POLACCO DI
JASNA GORA, PER LA FESTA DELLA MADONNA
“REGINA DI POLONIA”, E’
STATA LETTA OGGI L’ULTIMA LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II, FIRMATA IL GIORNO PRIMA
DI MORIRE, IN CUI IL PAPA AFFIDAVA TUTTA LA CHIESA ALL’INFALLIBILE PROTEZIONE
DELLA MADRE DI DIO
Nel
Santuario polacco di Jasna Gora, a Czestochowa, in occasione della festa odierna
della Madonna “Regina di Polonia”, è stata letta oggi l’ultima lettera firmata
da Giovanni Paolo II il giorno prima di morire: è indirizzata al priore del monastero
e porta la data del 1º aprile. Il messaggio del Pontefice era accompagnato dal
dono di due corone per l’icona della “Madonna nera” del Santuario, “cuore
spirituale” della Polonia cristiana. Il
servizio di Sergio Centofanti.
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Nel
testo, rivolto al priore degli Eremiti Paolini, Izydor Matuszewski, custodi del santuario, il Papa ricordava
quanto il Signore ha operato lungo i secoli nella Sua misericordia per la
Polonia mediante la Vergine e la sua
antica icona, l'immagine della Madonna
nera di Jasna Gora, che ha oltre 600 anni.
“Che
tutto ciò parli anche alla nostra generazione - scriveva Giovanni Paolo II -
Che tali eventi provvidenziali siano una chiamata all’unità nella costruzione
del bene comune per il futuro della Polonia e di tutti i polacchi. Siano una
chiamata a curare il tesoro dei valori eterni, così da assicurare che
l’esercizio della libertà porti all’edificazione, non alla caduta”. Il Papa
continuava affidando la sua Nazione all’“infallibile protezione” della Madonna
di Czestochowa dalle minacce contro la dignità umana. “Affido alla sua materna
protezione – aggiungeva – la Chiesa in terra polacca affinché tramite la
testimonianza della santità e dell’umiltà rafforzi sempre la speranza per un
mondo migliore nei cuori di tutti i credenti”. E affermava: “Prego per i
responsabili del futuro della Polonia affinché abbiano il coraggio di difendere
ogni bene che serve per la Repubblica”.
“Affido la nostra Patria, tutta
la Chiesa e me stesso – concludeva nella lettera – alla sua materna protezione.
Totus tuus!”.
Un atto di affidamento che
ricorda quello del 4 giugno del 1979, durante il primo viaggio di Giovanni
Paolo II in terra polacca: Papa Wojtyla chiedeva l’intercessione della Vergine
per tutta l’umanità e con immensa fiducia poteva dire: “Tutto attraverso
Maria”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima
pagina: Benedetto XVI prega sulla Tomba del Pontefice defunto Giovanni Paolo
II.
Udienza
del Papa al Presidente della Repubblica italiana.
Sempre
in prima, un articolo di Michele Zappella dal titolo "Una commovente dichiarazione
d'amore per Cristo e per le anime": l'omelia di Benedetto XVI durante la
Celebrazione d'inizio del ministero petrino.
Nelle
vaticane, tre pagine dedicate all'Eucaristia.
Nelle
estere, Somalia: strage durante un comizio del Premier.
Iraq:
uccisi quattordici civili a Ramadi in uno scontro a fuoco tra soldati Usa e ribelli.
Nella
pagina culturale, gli articoli di Armando Rigobello e di Paolo Miccoli sulla figura
di Padre Cornelio Fabro, nel decimo anniversario della morte.
Per
l' "Osservatore libri" un articolo di Danilo Veneruso in merito al
volume di Matthew Fforde "Desocializzazione. La crisi della postmodernità".
Nelle
pagine italiane: giovedì, in Senato, il Premier riferirà sulla vicenda legata
l'uccisione di Nicola Calipari in Iraq; il rapporto consegnato all'Ambasciatore
Usa - Opposte le versioni.
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3
maggio 2005
NEL
MESE MARIANO SI INTENSIFICANO IN TERRA SANTA LE INIZIATIVE DI PREGHIERA PER LA
PACE, NELL’ANNO DELL’EUCARESTIA: DALLA CUSTODIA FRANCESCANA GIUNGE L’INVITO A TUTTI I CRISTIANI A RITROVARE LA
VIA DELL’UNITA’ PER OFFRIRE IN QUEI LUOGHI PERCORSI DALL’ODIO UN MODELLO DI
CONCORDIA NELL’AMORE DI DIO
-
Servizio di Roberta Gisotti -
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Nel
mese di maggio - appena cominciato - dedicato a Maria, il pensiero corre alla
Terra Santa, perché l’intercessione della Madonna, come auspicato da Benedetto XVI nel primo Regina
Coeli di domenica scorsa, possa donare la concordia e la pace a tutti i popoli
che soffrono a causa di guerre, malattie e povertà. E purtroppo tutti siamo
testimoni da oltre mezzo secolo di un odioso e sanguinoso conflitto in Terra
Santa, tra israeliani e palestinesi, che appare insanabile con il solo ausilio
delle ragioni umane. Di questo parliamo con il Custode di Terra Santa, a
Gerusalemme, padre Pierbattista Pizzaballa.
D. - Anzitutto sono previste particolari iniziative di preghiera, anche
alla luce dell’Anno dell’Eucarestia, che stiamo vivendo?
R. – Sì, il mese mariano è il
mese più sentito dalla piccola comunità cristiana di Terra Santa, non soltanto
da quella cattolica, ma anche da quella ortodossa. Le chiese sono veramente
tutte piene soprattutto nelle sere per il Rosario e quindi è un mese molto intenso,
con molte attività di carattere liturgico in tutto il Paese. Quest’anno,
proprio a motivo dell’Anno Eucaristico, saranno fatte celebrazioni particolari
nei luoghi eucaristici per eccellenza, quindi Emmaus e Cafarnao in modo
particolare, e poi ovviamente il Cenacolo con preghiere, rosari, processioni,
fiaccolate in quei luoghi.
D. - Padre Pizzaballa, è diffusa
in molti la convinzione che la pace in Terra Santa possa essere la chiave di
volta per sanare molti altri conflitti, che affliggono il Medio Oriente e non
solo. Ecco in questo complicato scacchiere di interessi politici ed economici,
che si sono velenosamente intrecciati alle convinzioni religiose
e alle identità di due popoli, quale ruolo possono o debbono ancora tentare di
giocare i Cristiani?
R. – E’ vero che il Medio Oriente
è il luogo dove si intrecciano un po’ tutti questi interessi e le relazioni
nazionali e internazionali. Ma è anche vero che spesso i conflitti sono qui
confluiti. Non è che nascono qui. E’ vero che Gerusalemme è veramente il cuore
della vita dl mondo, in questo senso quindi la pace qui a Gerusalemme è
fondamentale anche per la vita del mondo. Abbiamo visto in questi ultimi
decenni come solamente attraverso gli strumenti della politica o della violenza
non si arriva a nessuna conclusione. Noi uomini di fede dobbiamo insistere
molto innanzitutto sulla preghiera, sulla formazione nello spirito di Dio,
formare le nuove generazioni ad avere fede, soprattutto nel futuro. Quanto ai
cristiani, noi siamo una presenza piccolissima, siamo l’1,8 per cento della
popolazione, quindi non potremmo influire in maniera diretta sulla vita del
Paese e anche sulle grandi scelte che si debbono fare. Però, possiamo proporre
un atteggiamento, uno stile di vita diverso in questo Paese, che possa essere
preso come modello. E’ molto difficile, però, fare questo discorso anche perché
purtroppo noi come Chiesa siamo divisi: c’è la Chiesa cattolica, la Chiesa
ortodossa…
D. - Anche recentemente abbiamo
visto che ci sono state delle odiose divisioni…
R. – Sì, esatto per cui da un lato noi cristiani
siamo chiamati a testimoniare la nostra appartenenza a Cristo risorto, che è
uno solo. Dall’altro lato siamo ancora molto fragili e questo rende molto
difficile questa testimonianza. Detto questo, è chiaro che dobbiamo comunque
andare avanti con serenità.
D. - So che Lei è anche molto fiducioso che il
nuovo Papa Benedetto XVI saprà raccogliere e valorizzare l’eredità di Giovanni
Paolo II…
R. – Ne sono convintissimo.
Questo Papa già nei suoi primi discorsi lo ha fatto capire molto bene e sono
anche convinto che il richiamo di questo Pontefice alla persona di Gesù in una
maniera così forte sarà un elemento di unità anche tra noi cristiani.
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SI CELEBRA OGGI LA GIORNATA MONDIALE DELLA LIBERTÀ
DI STAMPA:
MA CRESCE
NEL MONDO LA REPRESSIONE DELLA LIBERA INFORMAZIONE
- Intervista con Domenico
Affinito -
Si celebra oggi la 15.ma Giornata
Mondiale della libertà di stampa indetta dalle Nazioni Unite. L’obiettivo è
ricordare, soprattutto ai governi, che informare ed essere informati attraverso
i media rappresenta un diritto fondamentale per lo sviluppo della democrazia e per la pacifica convivenza fra
i popoli. Ma nel 2004 sono stati 53 i giornalisti che hanno perso la vita
mentre svolgevano il loro lavoro e 19 quelli di cui non si ha più notizia. In
questo contesto l’organizzazione internazionale Reporter Senza Frontiere ha
presentato oggi il rapporto annuale “Il giro del mondo della libertà di stampa
2004”. Ma cosa emerge da questo bilancio? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a
Domenico Affinito, vice presidente dell’organizzazione.
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R. – Emerge che il 2004 è stato
l’anno peggiore degli ultimi 10. Nel 2004 abbiamo tutti i dati in aumento. Ma
la cosa drammatica sono i dati che danno la salute della libertà di stampa nel
mondo: 907 i giornalisti arrestati, 1146 minacciati, 622 media censurati. La
situazione è estremamente grave.
D. – Quali sono i Paesi
maggiormente a rischio?
R. – L’Iraq, per quanto riguarda
il numero dei giornalisti uccisi, tra cui il nostro Enzo Baldoni. Per quanto
riguarda l’Asia, la situazione peggiore si registra in Bangladesh, Filippine e
Sri Lanka. Tra l’altro, il Bangladesh è uno Stato democraticamente eletto.
Un’altra zona molto difficile è quella dell’Africa. E poi per quanto riguarda
il continente americano, la situazione peggiore è sicuramente quella della
Colombia.
D. – Ci sono anche dei Paesi in
cui è difficile distinguere fra informazione e propaganda?
R. – Ne segnaliamo uno su tutti,
la Corea del Nord, insieme a Cuba e la Cina. In questi Paesi non è possibile
neanche parlare di giornalismo, nel senso che il giornalismo è di fatto
soltanto la glorificazione di leader che detengono il potere. La stessa cosa si
verifica ad esempio in Turkmenistan.
D. – Quali sono, secondo lei, le
cause?
R. – La cosa interessante è che
non dipende dalle condizioni economiche. Ci sono Paesi poverissimi dell’Africa,
come il Benin, dove c’è un buon livello di libertà di stampa ed altre realtà
del mondo occidentalizzato dove la situazione è peggiorata. Diciamo che la
libertà di stampa, però, quella che noi consideriamo accettabile, riguarda una
quarantina di Paesi al mondo, sui 190 esistenti. Quindi, è un affare che
riguarda poco più di un miliardo di persone, contro i 6 che abitano la terra.
D. – Cosa risponde a chi si
batte per il pluralismo nel sistema dei media, lasciando forse sullo sfondo il
problema dell’autonomia del giornalista?
R. – La libertà di informazione
è un bene assoluto dell’uomo, in quanto essere umano, e si abbina a due cose
fondamentali: la pluralità delle voci di formazione – quindi l’informazione
deve essere in mano a più persone – e l’autonomia dei giornalisti. I giornalisti
devono poter raccontare quello che vedono in modo autonomo, non condizionato da
pressioni politiche, economiche o da ricatti.
D. – Cosa si può fare per
risolvere il problema?
R. – 11 giornalisti sono stati
uccisi dal 1° gennaio 2005, e quattro di loro solo in Iraq. Quindi, la
situazione continua ad essere molto difficile. Molto difficile a Cuba,
nell’Africa centrale, nel sud-est asiatico, ed anche in alcune parti della nostra
Europa, dove sono passate leggi che obbligano i giornalisti a rivelare le loro
fonti, cosa per noi inaccettabile. Per cui noi chiediamo che l’opinione
pubblica stia attenta e vigile, perché è l’unico modo, ed è l’unica forza
reale, per i giornalisti. I giornalisti sono veramente autonomi nel momento in
cui chi legge i giornali, vede le tv o ascolta la radio, chiede informazione
libera e corretta.
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3
maggio 2005
NELLO STATO INDIANO DELL’ORISSA, CONVERSIONE DI
MASSA ALL’INDUISMO
DI 600 DALIT CRISTIANI. “GLI ESTREMISTI INDU’ NE
SFRUTTANO LA DISPERAZIONE
E LA POVERTA’”: È IL COMMENTO DI MONS LUCAS
KERKETTA, VESCOVO DI SAMBALPUR
BIJEPUR. =
Circa 600 Dalit cristiani dell’Orissa, stato a nordest dell’India, sono stati
“riconvertiti” all’induismo durante una cerimonia spirituale organizzata dal
Vishwa Hindu Parishad (VHP), l’ala religiosa oltranzista del
Bharatiya Janata Party (BJP), partito al governo locale. Per assicurare lo
svolgimento pacifico della cerimonia, nella città di Bijepur, 2 sezioni di
poliziotti armati e 5 ufficiali di pubblica sicurezza sono stati distaccati
nella zona. La legge per la libertà religiosa dell’Orissa (OFRA) prevede che
chiunque voglia cambiare religione, lo comunichi alle autorità: secondo il VHP,
i “convertiti” hanno tutti compilato gli affidavit,
atti legali che contengono una deposizione giurata, in cui esprimono la loro
scelta. Mons. Lucas Kerketta, vescovo della diocesi di Sambalpur, denuncia che
gli estremisti indù della zona approfittano della condizione di povertà,
ignoranza e discriminazione in cui vivono i Dalit cristiani: “Ogni giorno il
VHP cerca di circuirli offrendo loro denaro e vestiti – spiega – e quando
questa tattica non funziona passa alle vie pesanti: intimidazioni, violenze e
minacce di perdere il posto di lavoro”. Ad approfittarsi di questi tribali non
sono, però, solo gli estremisti indù: “Spesso – commenta mons. Kerketta – alcuni
attivisti della Chiesa pentecostale offrono a questa gente vestiti, cibo e
denaro, regalano bibbie e opuscoli e organizzano degli incontri in cui leggono
alcuni passi del Vangelo, dove viene promessa una terra libera da malattie e
povertà”. Sono questi atteggiamenti, secondo il vescovo, che provocano le
accuse di proselitismo mosse contro la Chiesa. “Questi pentecostali, infatti,
sono penetrati in tutto lo Stato – spiega – e ogni volta che tengono i loro
incontri, i fondamentalisti indù si mobilitano con accuse alla Chiesa e
cerimonie di ‘riconversione’”. (R.M.)
FORTE APPELLO DELLA “COMMISSIONE PER LA PACE E LO
SVILUPPO UMANO
DEL PAKISTAN” CONTRO LA PERSECUZIONE DELLE
MINORANZE RELIGIOSE NEL PAESE,
A
MAGGIORANZA MUSULMANA
LAHORE.
= Porre fine agli attacchi contro le minoranze religiose; tutelare il diritto
alla libertà di culto e alle libertà fondamentali della persona; proteggere i
membri di tutte le comunità religiose: sono le richieste della “Commissione per
la Pace e lo sviluppo umano del Pakistan”, con sede a Lahore, in seguito
all’ennesimo caso di violenza che recentemente ha sconvolto la comunità
cristiana nel Paese. Il 23 aprile scorso, infatti, un giovane cristiano
protestante, Shahbaz Masish, è stato torturato e ucciso per essersi rifiutato
di convertirsi all’Islam. In un appello scritto, la Commissione chiede con
forza al governo pakistano che i colpevoli del crimine, due colleghi della
vittima, vengano catturati e puniti. “Occorre adottare misure per fermare
questo tipo di azioni odiose – affermano – e scoraggiare in tutti i modi e a
tutti i livelli la discriminazione religiosa”. Forte è l’invito anche alla polizia,
spesso troppo compiacente, a cambiare atteggiamento. La “Commissione per la
pace e lo sviluppo umano del Pakistan” è una ONG impegnata nella difesa dei
diritti umani e delle minoranze, che raccoglie cristiani e musulmani e spesso
lavora fianco a fianco con la Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza
episcopale pakistana. Secondo il presidente, Anthony Waseem, per estirpare
l’intolleranza religiosa e la minaccia terroristica dal Paese, è necessario
promuovere un pensiero moderato fra la gente e ricostruire un tessuto di pace e
di riconciliazione a partire dal basso, attraverso una rete di organizzazioni,
movimenti e gruppi. (R.M.)
“L’EMERGENZA UMANITARIA NELLA COREA DEL NORD NON È FINITA”: È LA
DENUNCIA DELLA CARITAS DI HONG KONG, CHE FA APPELLO ALL’AIUTO INTERNAZIONALE
PRESENTANDO UN RAPPORTO SULLA MISERIA NEL PAESE
HONG
KONG. = Occorrono 2,5 milioni di dollari nei prossimi 12 mesi per sostenere e assistere
la popolazione della Corea del Nord, che versa nella miseria più nera, operando
nei settori degli aiuti alimentari, dell’agricoltura, dello sviluppo e della
formazione professionale. Lo afferma un nuovo rapporto della Caritas di Hong
Kong, che da circa 15 anni cura progetti umanitari nel Paese. Dal 1993 al 1998,
infatti, il Prodotto interno lordo nordcoreano si è quasi dimezzato, passando
da 991 a 457 milioni di dollari, la speranza di vita è calata da 73,2 a 66,8
anni e il tasso dei mortalità infantile è salito dal 14 al 22 per cento su ogni
mille nuovi nati e dal 27 al 48% per i bambini sotto i cinque anni. Inoltre,
secondo il Programma alimentare mondiale della Nazioni Unite (PAM), oltre 6,5
milioni persone, su una popolazione di circa 22 milioni di abitanti, sono a
rischio di morte per fame. La Caritas fa appello agli Stati e agli organismi
internazionali a non abbandonare a se stessa la Corea del Nord, nonostante i
problemi politici che ciò oggi potrebbe causare nello scacchiere mondiale: “Il
lavoro umanitario deve essere indipendente da ogni diatriba di carattere
politico”, afferma il rapporto. La Caritas è stata fra le prime organizzazioni
ad avviare progetti oltre il 38.mo parallelo e, nel complesso, ha fornito aiuti
per oltre 30 milioni di dollari. (R.M.)
A POCHE SETTIMANE DALLE ELEZIONI IN LIBANO, DURA
CRITICA
DEL PATRIARCA MARONITA, NASRALLAH SFEIR, ALLA
LEGGE ELETTORALE IN VIGORE
NEL PAESE DAL 2000 PER VOLERE DEI SIRIANI:
“NON RIFLETTE CON FEDELTA’ LE ASPIRAZIONI
POPOLARI”
LOURDES. = Il patriarca
maronita, Nasrallah Sfeir, è “profondamente dispiaciuto” che il Parlamento di
Beirut non abbia trovato l’accordo per varare un nuova legge elettorale in
vista delle elezioni di fine mese in Libano. La normativa attuale, voluta dai
siriani nel 2000, è basata su una suddivisione del Paese in grandi distretti
elettorali e, secondo il cardinale, non “garantisce gli interessi di tutti i libanesi”.
“Gli elettori – ha spiegato da Lourdes, dove ha celebrato la Messa per 5 mila appartenenti
all’ordine di Malta – devono poter conoscere i candidati che vogliono eleggere
e solo le piccole circoscrizioni rispondono a un simile criterio”. Il cardinale
Sfeir ha sottolineato che il compito del Parlamento è di “riflettere con
fedeltà le aspirazioni popolari”. La legge elettorale del 2000 ha ricevuto
critiche pesanti anche dai libanesi all’estero: essa penalizza alcune zone del
Libano ed è ritagliata in modo tale da favorire l’ascesa di personalità
politiche locali. Il patriarca ha invitato i politici a non seguire i propri
“interessi particolari”, ma quelli “della patria e dei libanesi”. Secondo
alcuni membri dell’opposizione, la vecchia legge elettorale permetterà alla
Siria di avere ancora influenza in Libano, anche dopo il ritiro delle truppe. A
questo proposito il cardinale Sfeir ha aggiunto: “Gli osservatori ONU devono
assicurarsi che il ritiro sia avvenuto davvero. Non è impossibile che pur
essendo avvenuto in apparenza, in segreto alcuni siriani continuino ad essere
presenti”. (R.M.)
AFFOLLATA CONFERENZA STAMPA E DIBATTITO IERI
POMERIGGIO A ROMA,
PRESSO LA SEDE DELL’OPERA ROMANA PELLEGRINAGGI,
SUL LIBRO DI FABIO ZAVATTARO RIGUARDO AI SANTI PROCLAMATI DA GIOVANNI PAOLO II
- A cura di Giovanni Peduto -
ROMA. = Nel giorno delle sue
esequie, la folla lo ha più volte acclamato “santo”. Da più parti si sono
elevati appelli e testimonianze affinché vengano riconosciute le virtù eroiche
di Giovanni Paolo II. Ma quale era il pensiero di Karol Wojtyla nei confronti
delle beatificazioni e delle canonizzazioni? Quali le novità introdotte nel
corso del suo pontificato su questo tema così discusso e delicato? A queste e
ad altre domande hanno cercato di rispondere ieri pomeriggio il cardinale José
Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il vescovo
Renato Boccardo, segretario generale dello Stato della Città del Vaticano, e il
professor Augusto D’Angelo, dell’Università “La Sapienza” di Roma, nel corso
della presentazione del nuovo libro del vaticanista RAI Fabio Zavattaro, “I
santi e Karol – il nuovo volto della santità”. L’iniziativa è partita da mons.
Liberio Andreatta, amministratore delegato dell’Opera Romana Pellegrinaggi, che
ha voluto così aprire una serie di incontri sulle più recenti opere letterarie
dedicate al Santo Padre Giovanni Paolo II e ai problemi della Chiesa dai giornalisti
vaticanisti italiani. Nei suoi oltre 26 anni di pontificato, Giovanni Paolo II
ha proclamato 1345 beati e 483 santi, un record che nessuno dei papi che lo
hanno preceduto ha mai raggiunto. Con essi, Wojtyla ha cercato di offrire ai
credenti di tutto il mondo delle figure che potessero essere davvero punti di
riferimento di una fede che sempre più ha bisogno di testimoni credibili. In
modo inedito e originale, Fabio Zavattaro, attraverso racconti e memorie di
viaggio, interviste e discorsi pronunciati dal Papa, ha tentato di leggere
tutti questi santi e beati quasi in filigrana con la vita stessa di Karol
Wojtyla, il primo Papa slavo della storia moderna, venuto “da un Paese lontano”
come ebbe a dire da San Pietro quella sera del 16 ottobre 1978.
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3
maggio 2005
-
A cura di Alessandro De Carolis -
Un nuovo bagno di sangue ha
fatto da sfondo in Iraq alla formazione del nuovo governo iracheno, atteso oggi
dal giuramento. Almeno 14 civili sono stati uccisi durante uno scontro a fuoco
tra soldati americani e gruppi di ribelli, avvenuto oggi ad un check-point a Ramadi, città a prevalenza
sunnita, situata a 110 chilometri ad ovest di Baghdad. La stampa locale,
inoltre, riferisce oggi della morte di Zaman Thabhawi, uno dei leader della
milizia sciita di Moqtada al Sadr. L’uccisione sarebbe avvenuta a Najaf. Il
quadro generale della situazione irachena delle ultime ore è di Barbara
Schiavulli:
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Si sono conclusi con successo i
negoziati tra il premier al Jafaari e i legisaltori sunniti: alle 17 ore di
Baghdad, giurerà il nuovo governo iracheno in una zona verde blindata. Ma se
sul fronte politico si registra qualche avanzamento, non migliora la situazione
sul terreno. E’ stato ritrovato dagli americani il corpo del pilota di uno dei
due jet F18 dei marines dispersi in Iraq da ieri. Non sono stati ancora
individuati i resti del secondo aereo, e non è nemmeno chiara la dinamica
dell’incidente. Intanto, sul confine con la Siria è di almeno 12 morti e di
otto feriti - compresa una bambina di nove anni, e sei soldati statunitensi -
il bilancio di un forte scontro a fuoco avvenuto la scorsa notte. Sotto tiro,
un covo di al Zarqawi, leader di al Qaeda in Iraq. Dopo la battaglia, il posto
è stato bombardato e perquisito: rinvenuti valuta straniera, documenti falsi e
armi. Sulla via dell’aeroporto, invece, è stato ucciso un soldato americano e
un altro è stato ferito dall’esplosione di un ordigno. E intanto l’Australia,
che ha confermato che non ci saranno trattative con i sequestratori per
liberare l’ostaggio australiano, ha però inviato una squadra di salvataggio
delle forze speciali per tentare il tutto per tutto.
Barbara Schiavulli per la Radio
Vaticana.
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E intanto, sulla vicenda legata
alla morte dell’agente italiano in Iraq, Nicola Calipari, il presidente del
Consiglio Silvio Berlusconi riferirà giovedì prossimo in Parlamento, prima alla
Camera dei deputati e quindi, intorno alle ore 11.30, nell'Aula del Senato.
Ieri, era stato reso noto il Rapporto “non classificato” di parte italiana
sulla ricostruzione degli avvenimenti che lo scorso 4 marzo portarono
all’uccisione di Calidari da parte dei soldati americani di stanza ad un chek-point non lontano dall’aeroporto di
Baghdad. Sul contenuto del Rapporto, sentiamo Giampiero Guadagni:
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Non è stato un agguato, ma neppure un tragico errore, come
afferma il rapporto americano. La reazione dei militari statunitensi, che
formavano il posto di blocco, è stata dovuta soprattutto a inesperienza e
stress. La ricostruzione italiana della morte di Calipari differisce
profondamente da quella di Washington. Intanto, nessun segnale avvertiva
dell’esistenza di un posto di blocco, organizzato per proteggere il passaggio
dell’ambasciatore Negroponte, che peraltro era già transitato e così –
affermano i servizi italiani – la questione della velocità dell’auto non appare
rilevante, anche se è da escludere che andasse a 100 km all’ora. Inoltre, anche
se non nei dettagli, gli americani conoscevano il tipo di missione che Calipari
stava conducendo. Il premier Berlusconi riferirà giovedì alla Camera.
L’opposizione chiede che il governo tragga conseguenze politiche dalla vicenda.
“I rapporti con gli Stati Uniti non sono incrinati”, ha detto ieri il ministro
della Difesa, Martino, ma il presidente della Camera, Casini, ieri al cimitero
americano di Nettuno, davanti all’ambasciatore Sembler, ha sottolineato: “Solo
con la verità si potrà rendere onore a eroi come Calipari”.
Per la Radio Vaticana, Giampiero
Guadagni.
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Somalia. E’ stata forse una
granata lanciata da sconosciuti a seminare questa mattina la morte nello stadio
di Mogadiscio. Otto persone sono rimaste uccise e una trentina ferite dallo
scoppio di un ordigno, avvenuto mentre il premier somalo, Ali Mohammed Gedi,
parlava alla folla riunita per un meeting. Il primo ministro, uscito incolume
dallo stadio, vive in esilio in Kenya per motivi di sicurezza dal momento della
sua elezione, che risale allo scorso anno. Sui motivi dell’attentato, Roberto
Piermarini ha intervistato il padre comboniano Giuseppe Caramazza, direttore
della rivista missionaria “New People” a Nairobi:
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R. – La Somalia è molto divisa all’interno, non
solo nelle classi etniche, ma anche negli interessi politici ed è chiaro che
negli ultimi mesi il presidente non ha voluto andare ad abitare a Mogadiscio
proprio perché sapeva che era pericoloso. L’area di Mogadiscio è tenuta in mano
da diversi gruppi militari, ma ci sono anche grossi gruppi islamici che
invocano il terrorismo e la Jihad islamica, pur di vincere il potere. Quindi,
anche se il presidente fosse andato prima ad abitare in Somalia, non ci sarebbe
stata la pace. E’ chiaro che questa bomba è stata messa da uno di questi gruppi
che non vuole una soluzione in Somalia.
D. – Quindi è ancora lunga la
normalizzazione del Paese?
R. – E’ molto lunga, e
soprattutto bisogna dire che negli ultimi mesi ci sono stati degli errori molto
gravi da parte del nuovo governo somalo. Si è cercato di guadagnare il
controllo del Paese attraverso l’appoggio ad alcune persone solamente, senza
cercare l’appoggio della gente. I clan di numero inferiore si sono sentiti
messi da parte e possono veramente reagire in maniera violenta. Dobbiamo
ricordare che in Somalia, negli ultimi dieci anni, non c’è stata una guerra
convenzionale, ma una guerra di terrorismo, di piccoli attacchi, e non sempre
nello stesso luogo. Un luogo, dunque, oggi era sicuro e domani era insicuro. E
questo ha creato una grande insicurezza in tutto il Paese.
D. – Qual è la situazione della
Chiesa in questo momento appunto in Somalia?
R. – La Chiesa in Somalia ha una
presenza di una piccola fiammella. Ci sono pochissimi cristiani. La maggioranza
dei cristiani somali sono fuggiti già da tempo e vivono qui a Nairobi. Il
vescovo stesso, incaricato dalla Somalia, è a Gibuti, dove ha la sede
ufficiale, e va in Somalia poche volte, proprio perché è difficile entrare e
rimanere in maniera legale. Ci sono alcuni missionari, che spesso sono presenti
come lavoratori e non si fanno conoscere come sacerdoti, e cercano di fare un
lavoro a livello sociale. La Chiesa, dunque, farà molta fatica a riprendere le
posizioni che aveva nel passato, che non sono poi mai state molto grandi.
L’unica cosa che può fare è quella della testimonianza e questo lo sta già facendo.
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E’ sempre molto tesa la
situazione in Togo. Oltre 16 mila persone sono in fuga dalle violenze e dagli
scontri scoppiati nel Paese in seguito all'annuncio della vittoria elettorale
di Faure Gnassingbè, figlio dell'ex presidente Eyadema e protagonista di un
fallito golpe nei mesi scorsi. L’opposizione ha presentato ricorso alla Corte
suprema, denunciando brogli e irregolarità durante le elezioni presidenziali
del 24 aprile scorso, e ha proclamato vincitore il suo candidato, Emmanuel Bob-Akitani.
Si teme che domani il clima di esasperazione possa ulteriormente inasprirsi
durante la cerimonia d'insediamento di Gnassingbè. Secondo gli ultimi dati resi
noti ieri a Ginevra dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati
(UNHCR), oltre novemila sfollati togolesi hanno trovato rifugio nel vicino
Benin e circa 7.500 in Ghana.
Un mondo libero dagli ordigni atomici. E’ l’auspicio del
segretario generale dell'ONU, Kofi Annan, che ieri ha lanciato l’allarme sulla
inadeguatezza del Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP), chiedendone
l’ammodernamento. Inaugurando la settima Conferenza per la revisione del
Trattato, che risale al 1970, Annan ha osservato che il documento rischia di
diventare obsoleto per il progresso delle tecnologie e della globalizzazione.
Intanto, sempre sul versante del nucleare, l’Iran ha detto
di voler riprendere alcune delle attività che aveva sospeso in base ai
negoziati con l’Agenzia internazionale dell’energia atomica. Le autorità di
Teheran hanno assicurato che tali attività rimangono a scopo pacifico e che per
il momento rimangono bloccati gli esperimenti con l’uranio impoverito.
Gli Stati Uniti
sono in grado di difendere se stessi e gli alleati da minacce nucleari e
missilistiche. Washington ha subito reagito con un monito alla notizia di
possibili test nucleari sotterranei da parte della Corea del Nord, rilanciata
oggi dal più diffuso quotidiano del Paese asiatico, “Chosun Ilbo”. “Non credo
vi debbano essere dubbi sulla nostra capacità di scoraggiare qualunque cosa i
nordcoreani si stiano apprestando a fare”, ha dichiarato il segretario di Stato
americano, Condoleeza Rice. Ma dalla Corea del Sud, il ministro della Difesa,
Yoon Kwang-ung, ha ridimensionato la portata delle indiscrezioni, affermando
come finora non sia stato rilevato alcun segnale concreto sulla possibilità
dell’esperimento.
La crisi tra Cina e Taiwan
registra qualche timido segnale di distensione. Oggi, il presidente taiwanese,
Chen Shui-bian, ha informalmente invitato il leader cinese, Hu Jintao, a
visitare l’isola, che rivendica l’indipendenza da Pechino. Parlando durante una
conferenza stampa nella città di Kiribati, il presidente taiwanese ha inoltre
annunciato che James Soong - leader di un piccolo partito di opposizione - sarà
da giovedì in visita in Cina e sarà latore di un suo messaggio per Hu Jintao.
Da parte sua, la Cina ha deciso di consentire i viaggi turistici a Taiwan,
mettendo fine ad un divieto durato quasi sei decenni. Il via libera ai viaggi è
stato reso noto dall’agenzia ufficiale di Pechino “Nuova Cina”.
In Medio Oriente, il movimento
fondamentalista di Hamas ha chiesto stamani all’Autorità nazionale palestinese
di rimettere in libertà i 2 militanti islamici arrestati ieri a Gaza, perché
trovati in possesso di armi puntate sul territorio israeliano. Da domenica
scorsa, infatti, nei Territori è vietata l’esposizione in pubblico di armi. E
mentre sul campo la situazione si presenta stabile, il fronte politico è in
fermento. Ieri, Al Fatah, la corrente maggioritaria dell’Organizzazione per la
liberazione della Palestina, ha indetto elezioni primarie per scegliere i
propri candidati per le parlamentari del 17 luglio. Alla convocazione,
programmata per il 27 maggio prossimo, si prevede la partecipazione di oltre
mezzo milione di attivisti. E resta alta la tensione nel governo israeliano del
premier Sharon, dopo le dimissioni, ieri, del ministro per gli Affari della
Diaspora, Nathan Sharansky, in aperta polemica con il piano di evacuazione da
Gaza di circa 8000 coloni.
Il
ministro dell’interno cileno, José Miguel Insulza, è il nuovo segretario
generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA). “Manifesto la mia
speranza che i problemi che hanno diviso Cile e Bolivia, due Paesi vicini con
un destino comune, possano risolversi con un dialogo per un beneficio
vicendevole”, ha commentato ieri Insulza, dopo la nomina. L’elezione è avvenuta
con 31 voti a favore, una scheda bianca e due astensioni, sul totale dei 34
Paesi membri presenti alla riunione straordinaria del Consiglio permanente.
La Corte
di giustizia europea ha respinto il ricorso dei giudici di Milano contro la
legge italiana sul falso in bilancio. La decisione è stata presa perché, mentre
il regolamento comunitario "è legge" negli stati membri, la direttiva
ha invece bisogno di essere recepita in una legge nazionale.
Tragedia in Pakistan. Una
ventina di persone sono morte e circa una dozzina ferite per una esplosione di
tubature del gas che la scorsa notte ha fatto crollare tre edifici a Lahore,
nell'est del Paese. I soccorritori continuano a lavorare per cercare di
strappare eventuali sopravvissuti alle macerie. Da chiarire la dinamica
dell’incidente, ma la polizia esclude si tratti di un sabotaggio.
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