RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
211 - Testo della trasmissione di sabato 30 luglio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Il Vangelo di domani: il commento di padre Marko Ivan Rupnik
CHIESA E SOCIETA’:
Finanziamenti dalla CEI per l’emergenza
fame in Sahel
Filippine: cristiani e musulmani uniti
nella prevenzione e nella lotta alla criminalità giovanile
A Buenos Aires una
cattedra sulla Dottrina Sociale della Chiesa
Dopo l’arresto a Roma di
uno dei quattro terroristi coinvolti nei falliti attentati di Londra, il
ministro dell’Interno Pisanu annuncia perquisizioni in diverse regioni italiane
Rapita una dirigente
del ministero della Sanità in Iraq, mentre un ordigno fa
vittime nel sud di Baghdad
30
luglio 2005
UNA TOCCANTE
TESTIMONIANZA DI FEDE: COSI’, IN UN VIDEO MESSAGGIO,
IL PAPA
DEFINISCE LA MISSA SOLEMNIS DI
BEETHOVEN, ESEGUITA IERI SERA
NEL DUOMO DI COLONIA, IN VISTA DELLA GMG DI AGOSTO
- Servizio di Alessandro Gisotti -
Le
parole della preghiera dell’uomo diventano vie “della passione per Dio e per se
stessi”: è quanto afferma Benedetto XVI in un video messaggio in tedesco per la
Missa solemnis di Ludwig van Beethoven, eseguita ieri sera nel Duomo di
Colonia, nel quadro della preparazione della GMG di agosto. Grande amante della
musica classica, il Pontefice sottolinea come la messa di Beethoven sia una
toccante testimonianza di fede. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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“Fin dai primi tempi la musica,
il canto, sono stati parte della Santa Messa”, constata Benedetto XVI che
aggiunge: “Se l’uomo sta davanti a Dio, la sola parola non gli basta. Come in
generale l’amore e la sofferenza spezzano i confini delle sole parole e cercano
un’espressione che abbracci anche l’indicibile, così è pure per l’incontro con
Dio, in cui l’uomo vuole andare aldilà di se stesso”.
“Anche per Beethoven, uomo che
lotta e soffre in un tempo di cambiamento – rileva – era evidentemente una
necessità interiore” creare una grande messa. La Missa Solemnis non è
più “musica liturgica in senso proprio”. “Anche la fede della Chiesa – afferma
il Pontefice – ora non è più presente come fatto ovvio”.
“Le parole della preghiera
dell’uomo – prosegue il video messaggio – diventano ora vie della lotta per
Dio, della passione per Dio e per se stessi”. In questo senso - sottolinea
Benedetto XVI - la Missa solemnis è “una toccante testimonianza sempre
nuova di una fede che cerca, che non si lascia sfuggire Dio e che attraverso la
preghiera dei secoli lo raggiunge nuovamente”.
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NOMINA
In Perù, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale del
vicariato apostolico di Requena, presentata da mons. Victor De la Peña Pérez,
dell’Ordine dei Frati Minori, in conformità al canone 401 § 2 del Codice di
Diritto Canonico. Il Papa ha nominato suo successore mons. Juan Tomás Oliver
Climent, dell’Ordine dei Frati Minori, coadiutore del medesimo vicariato
apostolico.
CON UN TELEGRAMMA, IL PAPA HA MANIFESTATO
LA SUA PARTECIPAZIONE SPIRITUALE AL ROSARIO RECITATO IERI SERA
NEI GIARDINI VATICANI, IN OCCASIONE DI SANTA MARTA
Con un telegramma inviato a mons.
Angelo Comastri, vicario generale per la Città del Vaticano, Benedetto XVI ha
voluto manifestare la sua partecipazione spirituale al Rosario recitato ieri
sera lungo i viali dei Giardini Vaticani. Ha auspicato che dall’incontro venga
un rinnovato impegno di carità nei fedeli. Occasione, la ricorrenza di Santa
Marta. C’era per noi Tiziana Campisi:
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“Marta,
Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui
c’è bisogno”.
Ricordare
che la vita è dono da donare, talento da spendere senza ansia. E’ questo
l’insegnamento da trarre dalle parole rivolte da Gesù a Marta nel Vangelo di
Luca. L’affanno, l’ansia e la preoccupazione non giovano. Non è efficiente chi
fa tanto, ma chi fa con Dio.
(Musica)
La figura di santa Marta è stata
ricordata ieri sera, proprio nel giorno della festività dedicata alla sorella
di Lazzaro di Betania, nei Giardini Vaticani. Centinaia le fiaccole accese dai
fedeli in preghiera ai quali Benedetto XVI ha indirizzato il suo saluto, in un
telegramma. Il Santo Padre, inviando la sua benedizione apostolica, ha espresso
vivo apprezzamento per l’iniziativa auspicando dall’incontro di preghiera un
rinnovato impegno di carità. Da 10 anni è tradizione la recita del Rosario in
processione in un percorso che sosta dinanzi alle icone della Madonna di
Czeistochova, Guadalupe, Fatima, Lourdes e della Guardia e che si conclude
davanti all’effigie della Madre della Misericordia.
(Musica)
Laici, religiosi e giovani hanno
pregato per la pace nel mondo e con l’intenzione di sostenere spiritualmente la
missione apostolica del Papa. Con un collegamento radiofonico, al Rosario hanno
preso parte anche le monache benedettine del monastero di clausura Mater
Ecclesiae in Vaticano, che hanno recitato la decina del quinto mistero.
(Ave Maria)
Il Rosario si è concluso con il
canto a San Gabriele, inno ufficiale della Radio Vaticana composto da mons.
Guglielmo Zannoni e musicato dal maestro Alberico Vitalini.
(Musica)
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina il terrorismo. Catturati a Londra e a Roma gli attentatori del
21 luglio. Per Scotland Yard c'è ancora il rischio di attentati.
Sempre
in prima, in rilievo l'Iraq, dove non finiscono le violenze. Le Filippine
richiamano il personale diplomatico.
Nelle
vaticane, due pagine dedicate al tema dell'Eucaristia.
Nelle estere, Medio Oriente: le autorità israeliane
definiscono le misure per il ritiro da Gaza.
Nella
pagina culturale, un elzeviro di Mario Gabriele Giordano dal titolo "Il
tramonto dell'intellettuale": dopo il crollo delle ideologie.
Nelle
pagine italiane, in primo piano il terrorismo. In carcere a Roma Osman Hussain,
autore di un fallito attentato a Londra.
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30
luglio 2005
1780 DONNE ASSASSINATE IN 5 ANNI IN GUATEMALA: E’ UNO DEI DATI SUI
CRIMINI
DI CUI SONO VITTIME LE DONNE IN PAESI DEL CENTROAMERICA
- Intervista con il prof.
Daniele Pompeiano -
In cinque anni, 1780 donne assassinate in
Guatemala, 462 in Honduras, 117 in Costarica. Sono dati forniti dalle autorità
di polizia dei singoli Paesi e che messi insieme lasciano emergere una
drammatica situazione per le donne in Centroamerica. Negli ultimi anni,
nonostante le pressioni della società civile nazionale e internazionale, le
autorità continuano a sottovalutare il fenomeno, non riuscendo a mettere fine
all'impunità che caratterizza questo genere di reati e a promuovere leggi
adeguate per tutelare le donne contro abusi e maltrattamenti. Uno dei casi più
eclatanti è quello del Guatemala. Come spiegare, per questo Paese, quello che
sembra un accanimento contro le donne? Andrea Cocco lo ha chiesto a Daniele
Pompeiano, professore di Storia dell'America Latina all'Università di Milano:
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R. – Io credo che la risposta
vada cercata da un lato in un persistente maschilismo, per cui in una struttura
sociale e statuale molto gerarchizzata le donne, e comunque gli esseri più
deboli, rappresentano il terreno di sfogo su cui si realizza la ricaduta delle
violenze, delle sopraffazioni, dello spirito di rivalsa.
D. - Nel Guatemala, la guerra
civile tra guerriglia e forze governative, sostenute dai paramilitari, si è
conclusa nel 1996. Da allora però, la violenza non è mai cessata…
R. – Sicuramente la criminalità
dilagante è molto aggressiva in Guatemala ed è legata alla smobilitazione delle
forze impegnate nell’opera di repressione da parte dello Stato delle insorgenze
dei guerriglieri e dall’uso indiscriminato di polizie private e di quelle
chiamate patrullas civiles, dette “Pac”, cioè contadini e altri civili armati e obbligati a
prestare vigilanza in alcuni distretti. La smobilitazione di un vastissimo e
articolato apparato di polizia e di intelligence
ha prodotto una criminalità legata alla mancanza di un reddito e ad una
copertura sostanziale da parte degli organi dello Stato.
D. – Una delle
maggiori problematiche legate alla violenza è l’indifferenza dell’opinione
pubblica e delle autorità. Molto spesso le vittime, soprattutto se donne,
evitano di denunciare gli abusi subiti, perché sanno di non essere tutelate.
Che peso ha questo clima di impunità sul rispetto dei diritti umani nel Paese?
R. – Il tema dei diritti umani è
un tema estremamente delicato nella misura in cui non soltanto non sono stati
storicamente rispettati i diritti umani e in particolare i soggetti più deboli
- quindi le popolazioni indigene, le donne e addirittura i bambini - ma in
generale si respira nel Paese un clima di forte indifferenza rispetto a tali
diritti. Pensiamo soltanto al destino delle lavoratrici delle maquilas.
Le maquilas sono strutture di assemblaggio di pezzi di produzione
che provengono dall’esterno. Non esiste nessuna forma di garanzia lavorativa,
assicurativa, previdenziale nei riguardi di queste donne. Qualunque forma di
attivazione sindacale viene vista come un rischio.
D. - Tra le persone che hanno scontato con la propria vita le critiche ai
soprusi, vi sono alcuni sacerdoti, come padre Maria Furlan o il vescovo José
Gerardi, assassinato nel 1998, dopo aver pubblicato un rapporto sulle
violazioni dei diritti umani…
R. – La Chiesa ha svolto
all’interno del Paese - ma non soltanto all’interno, pensiamo anche al Nicaragua sandinista – un ruolo assolutamente
profetico, nella misura in cui la Conferenza episcopale guatemalteca, alcuni
anni fa, emanò una carta pastorale in cui si sollecitava il ceto politico ad
una riforma agraria importante per dotare i contadini della terra e, quindi,
per tagliare le basi e l’origine della povertà, dell’insofferenza, della
criminalità.
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DENUNCIARE LA DRAMMATICA SITUAZIONE DEI DIRITTI
UMANI IN ERITREA:
E’
L’OBIETTIVO DI DUE FRATELLI CHE HANNO MARCIATO DA GINEVRA A ROMA
- Intervista con Samuel e Tekle Ghebregherghis -
Portare l’attenzione
internazionale sulla drammatica situazione dei diritti umani in Eritrea. E’
l’intento della recente marcia, da Ginevra a Roma, di due giovani fratelli eritrei.
Il servizio di Debora Donnini:
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Rompere il silenzio. Per questo
Samuel e Tekle Ghebregherghis hanno percorso 1.200 chilometri a piedi. Vogliono
che il mondo conosca la situazione in cui vivono gli eritrei, con migliaia di
persone imprigionate, spesso in carceri segrete e senza processo. Sentiamo
Samuel:
R. - Nel nostro Paese sono
continuamente violati i diritti umani ed abbiamo più di 40 mila detenuti: non
si sa neanche in quale carcere si trovino e in condizioni siano. Non si sa
neanche se siano vivi o se siano morti. Non si sa assolutamente niente. Se a queste
persone viene imputato di aver compiuto un reato, devono avere però un processo
regolare. In carcere ci sono persone di tutti i tipi: ci sono giornalisti, ci
sono ministri e collaboratori dell’attuale presidente e c’è tanta gente comune.
Ci sono studenti universitari che sono stati incarcerati per aver detto una
minima parola fuori posto o meglio che non è in linea con la politica
dell’attuale governo. Di questi ministri e di questi giornalisti, si sa almeno
dove si trovano. Il problema è che c’è moltissima gente che sparisce e della
quale non si sa più niente, tanto più che essendo gente comune non fa notizia.
L’intento non è soltanto di
parlare delle tante persone imprigionate, come ci spiega Tekle:
R. – Circa quattro milioni di eritrei vivono in uno stato di quasi
paralisi totale, una sorta di prigionia mentale. La paura ha paralizzato la
gente, che non può parlare e non può protestare. E’ come se fossero prigionieri
non fisicamente ma mentalmente. Noi vogliamo dare voce a questa gente che vive
questa terribile situazione. Tante famiglie che vengono arrestate,
semplicemente perché i loro figli sono fuggiti magari in Sudan e in Etiopia. Il
governo, in questi casi, va ad arrestare i genitori o chi è ritenuto in qualche
modo complice. La gente ogni volta che succedono delle cose del genere vive nel
terrore. Si è creato un clima di vera e propria sfiducia: non ci si può fidare
neanche del proprio vicino, perché non si sa mai chi sia, magari potrebbe
essere anche una spia.
Nelle diverse tappe della marcia
sono state raccolte, dunque, tante firme per chiedere di non dimenticare
l’Eritrea.
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LA FIGURA DI GIOVANNI BATTISTA SCALABRINI AL
CENTRO DELL’ODIERNA GIORNATA DEL MEETING INTERNAZIONALE SULLE MIGRAZIONI, A
LORETO. CONSEGNATO
IL PREMIO MEETING 2005 ALL’ASSESSORE TOSCANO
MASSIMO TOSCHI,
PER L’INIZIATIVA DI CURA DI BAMBINI PALESTINESI IN
OSPEDALI ISRAELIANI
- Intervista con lo stesso premiato -
Fu il primo a capire la portata
epocale delle migrazioni: per questo è così attuale. E’ l’essenza degli
interventi di questa mattina a Loreto, incentrati su Giovanni Battista
Scalabrini a cento anni dalla morte, per celebrarne la personalità e
l’attualità del carisma. Le migrazioni del “grande esodo” dell’Europa verso le
Americhe tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 colpirono l’uomo, il
cittadino e il vescovo Scalabrini, che cercò di reagire concretamente di fronte
alle problematiche, ai drammi e alle angosce dei “figli della miseria e del
lavoro” quali erano i migranti di allora e … di oggi. Ai nostri giorni le
migrazioni hanno assunto una vera e propria dimensione planetaria e le
intuizioni sociali, civili, politiche e religiose di Scalabrini risultano di
estrema attualità. Il servizio di Giovanni Peduto:
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Il centenario di Scalabrini – è stato detto dagli oratori
presenti al Meeting – non vuol essere solo la celebrazione di un ricordo e di
storie del passato, “quando gli albanesi eravamo noi”, ma intende essere l’occasione
per cercare di capire dove stiamo andando oggi in Europa e in Italia, proprio
assieme a questi “concittadini” diversi da noi, ma che sono chiamati a
costruire assieme a noi il futuro delle nostre città, della nostra società.
Scalabrini capì per primo che il fenomeno migratorio era
parte integrante della questione sociale e operaia. Previde che il futuro della
Chiesa si sarebbe giocato sul fattore della mobilità umana. Poco prima di
morire (il 1 giugno 1905) aveva inviato alla Santa Sede un progetto di
costituzione di una nuova Congregazione romana “Pro emigratis catholicis”. Oggi
la Santa Sede dispone di un apposito Pontificio Consiglio della pastorale per i
migranti e gli itineranti, in seno al quale lavorano anche religiosi
scalabriniani.
Questo pomeriggio a Loreto
saranno protagonisti del Meeting ragazzi di vari Paesi impegnati in un
“laboratorio interculturale”, mentre concluderà la giornata il musical “Per
terre lontane” della Compagnia Scalabrini & Friends.
La mattina si è conclusa con l’assegnazione del Premio MIM
2005 al prof. Massimo Toschi, assessore alla cooperazione internazionale, al perdono
e alla riconciliazione fra i popoli della Regione Toscana, per l’impegno da lui
profuso nel rendere possibili le cure mediche a bambini palestinesi e per varie
altre benemerenze.
Da Loreto, Giovanni Peduto,
Radio Vaticana.
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Massimo
Toschi, assessore al perdono e alla riconciliazione tra i popoli della regione
Toscana, ha ricevuto il Premio “Meeting Internazionale delle Migrazioni 2005”
in particolare per il progetto Saving
Children, grazie al quale oltre 1000 bambini palestinesi sono stati curati
in ospedali israeliani. Per sapere come è nata l’iniziativa, Francesca Fialdini
ha intervistato lo stesso Massimo Toschi:
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R. – Durante la seconda Intifada
molti bambini morivano perché non potevano essere curati. Le strutture
sanitarie palestinesi erano degradate. Questo lo abbiamo visto in particolare a
Nablus. Partendo da questo problema che ci pareva praticamente insolubile, c’è
stato l’incontro con una straordinaria donna israeliana, Emanuela De Viri, con
i pediatri palestinesi e poi con il Centro Peres. Da lì è nato un progetto che
inizialmente prevedeva l’assistenza 300 bambini l’anno per tre anni. Oggi
possiamo dire, dopo un anno e mezzo, che sono stati curati circa 1.500 bambini,
il 30 per cento con operazioni a cuore aperto. Un risultato assolutamente
singolare, che ha la misura del miracolo. La cosa più straordinaria è che è
iniziata la guarigione dall’odio, cioè i palestinesi si sono resi conto che
c’erano degli israeliani disposti a rischiare per curare i loro figli; gli
israeliani hanno cominciato a toccare con mano, concretamente, il dolore
infinito dei palestinesi. Questo, in qualche modo, ha contribuito a cambiare
anche il modo di leggere il conflitto da parte degli israeliani. Quando io ho
incontrato il presidente dell’ANP, Abu Mazen, lui mi ha detto: se avvengono
queste cose, anche la politica deve cambiare.
D. – Il titolo del suo
assessorato non fa riferimento alla parola pace, bensì al perdono e alla
riconciliazione. Cosa significa?
R. – Oggi la parola pace è una
parola ambigua, tanto è vero che noi italiani siamo coinvolti nella guerra in
Iraq e noi chiamiamo quella guerra una missione di pace. Quindi c’è un rovesciamento.
La vera differenza oggi è sul metodo, sulla via da seguire. Si può fare la pace
attraverso la cooperazione, il perdono e la riconciliazione. E’ perché non si è
avviato un processo di perdono e riconciliazione che in Kosovo siamo ancora al
punto di partenza. E la stessa cosa vale per l’Afghanistan e a maggior ragione
vale oggi in Iraq.
D. – Quali sono le sfide
programmatiche e politiche su cui sta lavorando?
R. – Oggi sicuramente la questione israelo-palestinese.
Accanto a questo la grande sfida dell’Africa. Bisogna abbattere non solo il
muro che divide Betlemme da Gerusalemme, ma bisogna abbattere anche il grande
muro di povertà che divide il Sud dal Nord del mondo, sapendo che lo potremo abbattere
se la nostra politica si convertirà e comincerà ad inginocchiarsi davanti ai
piccoli della terra. Mi è capitato di andare in un piccolo Paese dell’Africa,
il Burkina Faso, e quando mi è capitato di veder morire una bimba disidrata, ho
pensato che ovviamente non è il Padre Eterno ad aver deciso questo, ma lo aveva
deciso una politica violenta, che metteva in conto che per il benessere
dell’Occidente un bambino africano potesse morire anche di sete. Allora se noi
vogliamo di nuovo riaprire una politica con l’Africa, bisogna anzitutto che
chiediamo perdono di tutto questo, assumendoci questa responsabilità.
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Domani 31 luglio, 18a Domenica
del Tempo Ordinario, il Vangelo ci presenta il miracolo della moltiplicazione
dei pani e dei pesci. Gesù prova una
grande compassione per la folla che lo
segue e guarisce molti malati. Sul far della sera i discepoli vogliono
congedare quella grande moltitudine perché vada a comprare altrove del cibo per
sfamarsi. Ma Gesù risponde:
“Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare”.
Su questo brano evangelico
ascoltiamo il commento del teologo gesuita padre Marko Ivan Rupnik:
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I
discepoli si rivolgono a Cristo affinché lui congedi le folle che si sono
radunate intorno a Lui. Lo fanno perché, preoccupati, si chiedono dove prendere
il pane per saziare tante persone. Ma com è possibile che il Signore congedi la
gente se Lui è lo scopo della vita di ogni uomo? Lui è quel centro che attira
ogni creatura. Tutto converge in Cristo e l’uomo stesso trova il significato
della propria persona solo in rapporto a Lui e con Lui. I discepoli
evidentemente ancora non hanno compreso che non esiste nessun cibo e nessuna
cosa che possa veramente saziare l’uomo, ma che l’unico che dà la vita e che
sazia i bisogni dell’uomo è Cristo. E Lui lo fa attraverso il pane, attraverso
le cose di questo mondo che vengono date tramite i discepoli stessi. Cristo
coinvolge i discepoli nel suo amore, nella sua carità, e i discepoli possono
comprendere che tutte le cose vengono dal Signore e che non sono semplice
soddisfazione dei bisogni, ma diventano la comunione.
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30
luglio 2005
SRI LANKA: L’ARCIVESCOVO DI COLOMBO, MONS. OSWALD
GOMIS, LANCIA UN APPELLO PERCHÈ VENGA GARANTITA LA LIBERTÀ RELIGIOSA LIMITATA
DA ALCUNI DISEGNI DI LEGGE. INTANTO, ATTI DI VANDALISMO CONTRO UNA PARROCCHIA
- a cura di Tiziana Campisi
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ColombO.
= Rispettare il diritto fondamentale della libertà religiosa in Sri
Lanka, da sempre esempio di pacifica convivenza tra diverse fedi, ma dove si è
annidato un estremismo irrazionale. È l’appello che mons. Oswald Gomis,
arcivescovo di Colombo, lancia attraverso AsiaNews al Governo e al Parlamento
singalese. Da più di un anno l’organo legislativo è impegnato nella discussione di due disegni di legge
che, se approvati, giustificherebbero discriminazioni non solo contro le minoranze
religiose, ma anche contro la maggioranza buddista. Il vescovo ricorda che il
testo originale della legge contro la conversione forzata (Bill on prohibition
of forcible converison), proposta dal partito buddista Jathika Hela Urumaya, è
stato approvato in modo parziale dal Parlamento il maggio scorso. La Corte Suprema, nell'agosto
2004, ne aveva giudicato incostituzionali due punti perché in contrasto con
l’articolo 10 della Costituzione che assicura la libertà religiosa e consente
di praticare o adottare una religione o un credo a propria scelta. Ora il testo
aspetta l’esame di un Comitato permanente che ne studierà gli emendamenti
necessari; tra i membri del Comitato compaiono anche 5 cattolici. Da condannare, per
mons. Gomis, è anche il disegno di legge presentato dal ministro per gli Affari
buddisti, Ratnasiri Wickremanayake. “L’Act for the protection of religious
freedom – spiega l’rcivescovo - deve essere presentato in Parlamento per la
seconda lettura, ma i tempi non sono ancora noti”. Organizzazioni
cristiane e per i diritti umani si dicono già pronte a contestarlo davanti alla
Corte Suprema. “Questa legge va contro l’armonia religiosa che caratterizza il
nostro Paese”, ha detto mons. Gomis. L'appello giunge mentre la comunità
cattolica continua ad essere oggetto di violenze da parte di gruppi buddisti
fondamentalisti - riferisce AsiaNews - preoccupati di difendere la millenaria
armonia del Paese da quello che definiscono ‘proselitismo cristiano’. Appena
due settimane fa, il 17 luglio, un gruppo di uomini mascherati ha attaccato e
dato fuoco a una chiesa cattolica a Pulastigama, nell’ex diocesi di mons.
Gomis, quella di Anuradhapura, a nordest di Colombo. “Conosco bene la
situazione di questa zona: qui cristiani e buddisti hanno sempre convissuto in
modo cordiale. Questo attacco è un’azione organizzata da gruppi estremisti che
vengono da fuori, ha dichiarato il presule, non so spiegarne il motivo,
l’estremismo è estremismo, non ha ragioni, è completamente irrazionale”.
Secondo padre Eric Fernando, parroco della chiesa, gli aggressori avevano
l’unico scopo di distruggere e spargere odio”.
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FINANZIAMENTI
DALLA CEI PER L’EMERGENZA FAME IN PAESI AFRICANI
DELL’AREA DEL SAHEL. IN COLLABORAZIONE CON LA
FONDAZIONE GIOVANNI PAOLO II PER IL SAHEL, EROGATI OLTRE 3000 EURO
ROMA. =
La Conferenza episcopale italiana ha espresso, in un comunicato diffuso ieri,
la sua solidarietà per i Paesi del Sahel colpiti in questi mesi da una grave carestia.
Per tale motivo, in collaborazione con la Fondazione Giovanni Paolo II per il
Sahel, organismo creato dal compianto Pontefice nel 1984, la presidenza della
Cei ha erogato, attraverso il Comitato per gli interventi caritativi a favore
del Terzo mondo, una somma complessiva di tre milioni e mezzo di euro, dai
fondi derivanti da “L’otto per mille”, a sostegno di numerosi progetti a
carattere assistenziale e per sopperire a carenze nutrizionali, sanitarie e
abitative. Le Nazioni colpite dalla progressiva desertificazione del Sahel sono
principalmente Burkina Faso, Niger, Mauritania, Mali, Ciad e Senegal
meridionale. La Conferenza dei vescovi, particolarmente preoccupata anche per
le alluvioni che stanno devastando l’India occidentale, ha affermato anche di
essere in contatto con i presuli di quella regione coordinati dal cardinale
Ivan Dias, arcivescovo di Mumbai (ex Bombay).
FILIPPINE: Cristiani e musulmani uniti nella
prevenzione e nella lotta
alla
criminalità giovanile. IN UN FORUM STUDIATI DIVERSI PROGETTI
DI
EDUCAZIONE E FORMAZIONE E PERCORSI DI REINSERIMENTO SOCIALE
Zamboanga. =
Per combattere la piaga dei ragazzi di strada, dediti a piccole azioni criminali,
e della delinquenza giovanile, c’è bisogno di uno sforzo comune: istituzioni,
comunità religiose, centri sociali, agenzie e educative, scuola, famiglia,
ognuno deve fare la propria parte. È quanto è emerso dal forum organizzato nel
mese di luglio a Zamboanga City, sull’isola di Mindanao, nel sud delle Filippine,
per discutere della situazione e delle forme di prevenzione della violenza giovanile.
Al forum hanno partecipato rappresentanti di diverse istituzioni ma anche
leader cristiani e musulmani, che si sono impegnati a promuovere iniziative
comuni per ottenere uno scopo di pubblico interesse: arginare il fenomeno della
delinquenza giovanile e aiutare il recupero di ragazzi e giovani che vivono per
le strade, fornendo loro un luogo dove vivere e l’istruzione necessaria per
potersi inserire nel tessuto sociale. Uno degli argomenti toccati durante il
forum è stato quello dei giovani che occupano le carceri filippine: nella città
di Zamboanga e nella regione sono numerosi i ragazzi fra i 9 e i 18 anni in
prigione per reati di vario genere. I partecipanti al forum hanno elaborato
numerose proposte per un percorso di rieducazione, attraverso istituti di
formazione e opere sociali in cui coinvolgere i giovani, sollecitando
interventi delle istituzioni pubbliche. Intanto un cammino di formazione
appositamente pensato per gli studenti dei college e delle università,
appartenenti a diverse religioni, è stato proposto a Zamboanga City dal
Movimento islamo-cristiano Silsilah, presso l’Harmony Village. I contenuti dei
seminari trattati, che coinvolgono numerosi giovani ogni anno, vanno dai temi
del dialogo e della responsabilità di ogni individuo, ai rapporti fra religioni
e culture, ai grandi temi di attualità internazionale come la lotta al fondamentalismo
e al terrorismo. (T.C.)
A Porto Recanati il
Movimento Giovanile Missionario sperimenta
una missione in spiaggia e per le strade della
cittadina turistica
Loreto. = Sono
una ottantina i giovani che hanno scelto di vivere un'esperienza estiva di
formazione missionaria organizzata dal Movimento Giovanile Missionario delle
Pontificie Opere Missionarie. Da lunedì 25 luglio sono riuniti a Loreto per riflettere
su "La Missione e i suoi doni": una settimana di preghiera e
approfondimento a partire dai doni che ognuno può riconoscere nella propria
vita. Ogni partecipante è chiamato a confrontarsi con se stesso, con il mondo e
con il presente per poi riflettere sulla propria vocazione e relazione con Dio
e sull'annuncio che sfocia oggi in un'esperienza attiva di evangelizzazione in
strada a Porto Recanati. “A due a due i giovani percorrono le spiagge e le
strade più frequentate per invitare le persone che incontrano ad un
appuntamento per la sera, in una parrocchia del centro cittadino - spiega Ivano
Lanzafame, Segretario del Movimento Giovanile Missionario delle POM -. In
chiesa, con l’esposizione del Santissimo Sacramento, si svolge un’adorazione
guidata con momenti comunitari e di silenzio e ci si può anche accostare al
Sacramento della Penitenza. Sono particolarmente curate l’accoglienza e
l’animazione liturgica.” Obiettivo dell’iniziativa è lanciare soprattutto un
invito a quanti da tanto tempo non entrano in chiesa e non si accostano ai
sacramenti. “Vogliamo sperimentare che l’evangelizzazione in strada, nel nostro
quotidiano, è possibile. Quello che auspichiamo - prosegue Ivano Lanzafame - è
che i giovani che fanno questa esperienza, i quali provengono da quasi tutte le
regioni italiane, una volta tornati a casa, nei loro gruppi e nelle loro
realtà, siano così pieni di entusiasmo da riproporla nei rispettivi ambienti”.
(T.C.)
A
BUENOS AIRES UNA CATTEDRA SULLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA.
SARÀ INAUGURATA IL 2
AGOSTO ALLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ CATTOLICA ARGENTINA
BUENOS AIRES. = La Commissione episcopale della pastorale sociale e la
Pontificia Università Cattolica Argentina hanno organizzato un Atto Accademico
per martedì 2 agosto a Buenos Aires, per presentare il Compendio della
Dottrina Sociale della Chiesa e siglare un accordo tra la stessa Università
Cattolica e la Pontificia Università Lateranense. Motivo dell’incontro tra le
due istituzioni, la fondazione di una cattedra di Dottrina Sociale della
Chiesa. L'Atto Accademico risponde alla richiesta del cardinale Renato Martino,
presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dal cui lavoro
quinquennale è emerso il Compendio. Interverranno, oltre al rettore
dell'Università Cattolica Argentina e al presidente della commissione episcopale,
il prof. Denis Biju-Duval, presidente dell'Istituto Pastorale Redemptor Hominis
della Pontificia Università Lateranense. (T.C.)
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- A cura di Eugenio Bonanata e Andrea Cocco -
E’ stata smantellata la cellula
di fondamentalisti responsabili dei falliti attentati del 21 luglio a Londra.
Operazioni condotte ieri nella capitale britannica e a Roma hanno portato,
infatti, all’arresto di tre terroristi del commando. Il quarto era già stato
fermato nei giorni scorsi. Intanto la Corte d’Appello di Roma si è riunita per
decidere sull’estradizione in Gran Bretagna del terrorista arrestato ieri nella
capitale italiana. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Tutti i terroristi coinvolti nei
falliti attentati del 21 luglio sono stati arrestati dalla polizia. A Londra la
più grande operazione di polizia dalla Seconda Guerra Mondiale, ha portato ieri
all’arresto di due estremisti. Si tratta di Ramzi Mohammed, accusato di aver
tentato di far esplodere una bomba nella stazione della metropolitana di Oval,
e dell’eritreo Said Ibrahim, l’uomo che secondo gli agenti ha abbandonato su un
autobus uno zaino con una bomba. Nei giorni scorsi era anche stato fermato il
somalo Yasin Omar, accusato di aver piazzato l’ordigno inesploso in una
stazione della metropolitana. Il quarto uomo del commando, l’etiope Osman
Hussain, è stato arrestato a Roma in un appartamento della periferia grazie
alla preziosa collaborazione tra i servizi segreti italiani e quelli
britannici. Secondo gli investigatori sarebbe l’aspirante kamikaze che ha tentato
di farsi esplodere in una stazione della metropolitana londinese. Gli
inquirenti hanno escluso che Hussain stesse preparando un attentato in Italia.
Nel suo intervento alla Camera, il ministro italiano dell’Interno, Pisanu, ha affermato
che gli attacchi del 21 luglio – in base a quanto rivelato dalle autorità
britanniche - avrebbero provocato una strage uguale a quella del 7 luglio se
non fosse intervenuto un difetto di funzionamento degli esplosivi. Pisanu ha aggiunto:
“Nel corso delle indagini è stato anche possibile
individuare un fitto reticolo di soggetti appartenenti alle comunità eritrea ed
etiopica in Italia, ritenuti funzionali alla copertura del latitante. Stiamo
seguendo l’evoluzione della situazione complessiva nel Corno d’Africa, dove Al Qaeda
si è insediata e da dove tende ad inviare suoi adepti in Europa e nel resto del
mondo”.
In relazione alle dichiarazioni emerse durante l’interrogatorio
del terrorista, il ministro Pisanu ha comunicato inoltre che sono in corso
perquisizioni in almeno 15 province italiane.
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E
dopo l’arresto di Osman Hussain, ci si interroga su
come l’uomo sia riuscito a lasciare Londra, passare per Parigi, fino ad
arrivare a Roma. Sotto accusa, ancora una volta, il trattato di Schengen sulla
libera circolazione dei cittadini nell’Unione Europea. Ce ne parla l’esperto di
terrorismo del Corriere della Sera, Guido Olimpio, intervistato da Giada
Aquilino:
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R. –
Sicuramente i controlli all’interno di Schengen non funzionano. Noi sappiamo
che le frontiere non sono sorvegliate, ma detto questo c’era un’allerta
specifica antiterrorismo, lui era ricercato. Secondo me, ha sfruttato questo
lassismo che c’è sicuramente. Utilizzando il treno ha destato meno sospetti. Di
solito gli spostamenti in treno avvengono con maggiore tranquillità.
D. – Osman
Hussein potrebbe appartenere ad un gruppo terroristico organizzato o si tratterebbe
di una scheggia dell’estremismo islamico?
R. – Dagli
elementi che abbiamo ritengo sia più probabile la seconda ipotesi e cioè che questo
sia un gruppo che si è formato tra amici, tra conoscenti. Certo bisogna capire
poi se c’è un ispiratore esterno, come quasi sempre esiste in questo tipo di
organizzazioni.
D. – L’operazione di Roma è
frutto di un lavoro di intelligence molto fitto. Come si è arrivati a
questo?
R. – Grazie alla collaborazione
che non c’è mai in tempi normali, quando non c‘è l’emergenza. Le comunicazioni
sono subito volate, invece che passare attraverso i soliti canali burocratici.
E’ stato fatto un lavoro di ricognizione e di indagine sui telefoni. In questo
la polizia italiana è ormai bravissima. Quindi sono stati efficaci nel seguire
questa debole traccia e questo ha funzionato, ma soprattutto hanno funzionato i
rapporti con Scotland Yard.
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Approvata all’unanimità ieri dal
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una risoluzione che amplia
ulteriormente la lista nera delle organizzazioni e dei soggetti considerati
alleati di Al Qaeda. Estesa e meglio definita, inoltre, la gamma delle
sanzioni, in base ai comportamenti degli stessi soggetti. La gestione e il
periodico aggiornamento della lista spetteranno ad un’apposita commissione creata
dallo stesso Consiglio di Sicurezza.
Passiamo ora in Iraq, dove anche
quella odierna è una giornata caratterizzata dalla violenza, mentre è salito a
40 il numero dei morti dell’attentato di ieri a Mossul, nel nord del Paese. Il
nostro servizio:
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Non si attenua l’offensiva dei
ribelli contro diplomatici e funzionari statali. A Baghdad la direttrice
generale del ministero della Sanità è stata rapita nella sua abitazione.
Inoltre, un convoglio del consolato britannico è stato attaccato a Bassora, nel
sud del Paese, uccidendo due guardie del corpo britanniche. E a Baghdad
l’esplosione di un ordigno al passaggio di un convoglio americano avrebbe
provocato diverse vittime tra i soldati. La dinamica di questo incidente,
tuttavia non è stata ancora chiarita. Intanto, sono stati ritrovati sgozzati
nella capitale il direttore generale delle comunicazioni e i due impiegati dell’aeroporto
internazionale di Baghdad, rapiti mercoledì scorso. Lo riferisce una fonte del
ministero dell’Interno, specificando che le vittime sono state ritrovate
bendate e con le mani legate. Ma anche le forze di sicurezza irachene restano
sempre nel mirino della guerriglia. E sale a 40 morti il bilancio
dell’attentato suicida sferrato ieri a Rabie, nei pressi di Mossul. Come da
triste copione erano tutti giovani reclute in fila per l’arruolamento e, sempre
come da copione, l’azione è stata rivendicata in Internet dal gruppo del
terrorista giordano al Zarqawi. L’attacco peraltro ha subito rinfocolato le
polemiche sui metodi usati dalla polizia negli arresti e negli interrogatori
dei sospetti. Diversi media hanno riportato, infatti, denunce da parte di cittadini
che raccontano di essere stati torturati con metodi degni del regime di Saddam.
Il ministero dell’Interno, dal canto suo, ha respinto tali accuse con la
necessità di garantire la sicurezza nel Paese. Infine,
l’ex rais nei giorni scorsi è stato ascoltato dal tribunale speciale incaricato
del processo, in merito alla rivolta degli sciiti del 1991, rivolta, questa,
soppressa nel sangue dalle truppe di Baghdad; un interrogatorio di 45 minuti,
che anticipa il processo il cui inizio dovrebbe essere fissato nei prossimi
giorni.
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L’Uzbekistan ha formalmente
ritirato il permesso concesso agli Stati Uniti di utilizzare la sua base aerea
di Karshi Khanabad per le operazioni in Afghanistan. Lo scrive il Washington
Post rivelando che il governo di Tashkent ha dato 180 giorni di tempo per
smantellare le installazioni. Una decisione, questa, che secondo il quotidiano
porrà seri problemi logistici all’esercito americano.
Un evento storico. Così Javier
Solana, responsabile della politica estera dell’Unione Europea, ha definito la
decisione di giovedì dell’IRA, di deporre le armi, dopo 30 anni di violenze. Il
premier britannico Blair ha ordinato lo smantellamento delle torri militari di
osservazione disseminate in punti strategici del Nord Irlanda e ha riportato il
partito Sinn Fein al centro delle trattative politiche. I nazionalisti hanno
chiamato la Chiesa cattolica e quella protestante a farsi garanti di questa
nuova fase nell’Irlanda del Nord.
Quinto giorno di colloqui a
Pechino per i sei Paesi che partecipano al negoziato multilaterale sulla crisi
nucleare nordcoreana - le due Coree, Stati Uniti, Cina, Giappone e Russia. Le
delegazioni sono al lavoro per formulare una dichiarazione congiunta per la
soluzione pacifica della crisi. ''Sono negoziati molto difficili”, ha affermato
il rappresentante americano Christopher Hill, il quale ha aggiunto che saranno
necessari altri incontri per giungere ad una soluzione definitiva.
Ha causato l’ennesimo incidente
diplomatico tra Grecia e Turchia la firma, venerdì, di un accordo commerciale
tra Ankara e i dieci nuovi membri dell’Unione Europea. Con l’accordo, la
Turchia ha accettato l’abbattimento delle barriere doganali con i nuovi Stati
europei, tra cui la Repubblica di Cipro. Le autorità turche hanno tuttavia ribadito
che non intendono dare riconoscimento alla Repubblica della parte greca
dell’isola, divisa in due dal 1974. "La Turchia continua a sostenere un
paradosso politico", ha reagito stamattina il governo greco per voce del
ministro degli Esteri, Georges Koumoutsakos. "Si rifiuta di riconoscere un
membro dell’Unione Europea, nel momento in cui si appresta a intraprendere i
negoziati per la sua adesione all’organizzazione".
L’ex ministro della Sanità
francese, Bernard Kouchner, fondatore di Medici Senza Frontiere, è arrivato
nella notte in Niger con 18 tonnellate di aiuti alimentari. A causa della
carestia infatti ottocentomila bambini sotto i 5 anni rischiano la vita mentre
fame e malnutrizione minacciano oltre 3 milioni e mezzo di persone. Ma quali le
cause dell’attuale situazione in Niger? Antonella Palermo lo ha chiesto a
Giancarlo Cirri, direttore del Programma Alimentare Mondiale dell’ONU, raggiunto
telefonicamente a Niamey:
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R. – Sono due: la siccità
dell’anno scorso ed una invasione di cavallette. Questi due fenomeni hanno
fatto sì che la produzione di cereali in Niger fosse piuttosto bassa. Quindi
noi come Programma Alimentare Mondiale vogliamo evitare una catastrofe
umanitaria, ma abbiamo pochissimo tempo per farlo.
D. – Il problema che accentua la
crisi è anche che molti villaggi sono talmente difficili da raggiungere che non
si conosce bene neanche quante persone hanno bisogno effettivamente di aiuto.
Giusto?
R. – Il Niger è un Paese molto
esteso e la distanza fra i villaggi è abbastanza importante. C’è poi un altro
fattore aggravante nelle nostre operazione e cioè che siamo nella stagione
delle piogge. Per evitare ancora una volta una catastrofe umanitaria si deve
riuscire a coprire il fabbisogno nutrizionale della popolazione adulta, estremamente
vulnerabile.
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Si sono concluse con una
massiccia vittoria delle Forze per la difesa della democrazia (FDD), le
elezioni del Senato in Burundi. L’ex forza ribelle dei guerriglieri Hutu ha
conquistato 30 dei 34 seggi disponibili. Ad agosto i senatori dovranno
procedere, insieme ai deputati, alla nomina del nuovo presidente della
repubblica, ponendo così fine al processo di transizione dopo la guerra civile
iniziata nel 1993.
Dopo 19 anni in Uganda torna il
multipartitismo. E’ questo il responso del referendum che si è svolto giovedì
nel Paese. Secondo i risultati non ancora definitivi, il sì ha ottenuto il
91,7% dei suffragi. Molto alto tuttavia l’astensionismo che avrebbe addirittura
superato il 55%. Per l’opposizione, che aveva invitato gli ugandesi a
boicottare il voto, il tasso di partecipazione riflette lo scarso sostegno di
cui gode il presidente Yoweri Museveni.
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