RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 210 - Testo della trasmissione di venerdì 29 luglio 2005

 

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Festosa accoglienza per Benedetto XVI a Castel Gandolfo. Il Papa è giunto ieri dalla Valle d’Aosta e rimarrà nella cittadina castellana fino ai primi di settembre: con Maurizio Colacchi e don Waldemar Niedziolka

 

La pace non si costruisce sull’assassinio e la morte, ma sulla fraternità: l’esortazione di Benedetto XVI nel telegramma di cordoglio per la morte dei due diplomatici algerini in Iraq

 

Dura presa di posizione della Santa Sede, che rigetta in una nota le accuse da parte israeliana e ricorda gli innumerevoli interventi di Giovanni Paolo II contro il terrorismo in Terra Santa: con noi padre David Jaeger e Janiki Cingoli

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La comunità internazionale plaude alla decisione dell’IRA di abbandonare la lotta armata nell’Ulster. La soddisfazione della chiesa cattolica, chiamata con quella protestante a farsi garante della nuova fase storica: intervista con il cardinale Cahal Brendan Daly

 

I diritti dei figli degli immigrati in Europa al centro della terza giornata di lavori al Meeting sulle migrazioni di Loreto

Diciannove titoli in concorso al prossimo festival del cinema di Venezia: con noi il direttore Marco Muller

 

CHIESA E SOCIETA’:

In India, i cristiani non usano la forza per convertire i tribali locali. È il verdetto di un’apposita commissione di inchiesta che ha giudicato infondate le accuse mosse da gruppi estremisti indù

 

In Uganda, è morto padre Paolo Serra, missionario comboniano

 

La polizia cinese ha arrestato un sacerdote cattolico, un seminarista e 9 fedeli nel corso di una funzione religiosa

 

In Lituania, nella diocesi di Siauliai, in occasione della giornata del pellegrinaggio, si svolgerà la tradizionale processione verso la Collina delle Croci

 

Diverse delegazioni di giovani provenienti da Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Benin e Mauritania partecipano in Senegal al Forum per la prevenzione dei conflitti nella regione africana

 

In Etiopia, il programma governativo di sostegno alimentare rischia di fallire per mancanza fondi

 

24 ORE NEL MONDO:

Londra torna lentamente alla normalità: riaperta la metropolitana di Edgware Road, colpita dai terroristi il 7 luglio

 

In Burundi, i consiglieri comunali chiamati al voto per eleggere 50 senatori. Con noi, padre Claudio Marano, missionario saveriano

 

RADIO VATICANA

Radiogiornale

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

29 luglio 2005

 

FESTA PER BENEDETTO XVI A CASTEL GANDOLFO.

IL PAPA E’ GIUNTO IERI SERA NELLA SUA RESIDENZA ESTIVA

DOPO IL SOGGIORNO IN VALLE D’AOSTA

- Intervista con Maurizio Colacchi e don Waldemar Niedziolka -

 

Prima mattina a Castel Gandolfo per Benedetto XVI. Il Santo Padre è giunto nella residenza estiva nel tardo pomeriggio di ieri, dopo aver lasciato alle 16.30 la villetta di Les Combes. In Val d’Aosta il Pontefice era giunto l’11 luglio per un periodo di vacanza. Arrivato a Castel Gandolfo, Benedetto XVI ha voluto salutare la cittadina dove risiederà fino a settembre. Il servizio di Tiziana Campisi.

 

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“Cari fratelli e sorelle, sono appena arrivato dalla Valle d’Aosta, dove ho trascorso due settimane bellissime in montagna. Ma adesso sono felice di essere con voi… (applausi) …, qui nel Castello dei Papi… (applausi) … Sarò adesso per più di un mese vostro concittadino. E’ per me una gioia essere in questa bellissima e piccola città, di vivere con voi e di vedere tutte le bellezze dell’antica Roma. Grazie per il vostro affetto e la vostra amicizia. Vi imparto la mia benedizione, la benedizione apostolica. Grazie per questa accoglienza…(applausi)… Ci vedremo spesso”.

 

Con queste parole Benedetto XVI ha salutato ieri, nel tardo pomeriggio, gli abitanti di Castel Gandolfo. Calorosa l’accoglienza dei cittadini della residenza estiva del Pontefice. Tanti anche i giovani, che hanno voluto esprimere il loro affetto al Papa, al suo arrivo in elicottero:

 

“Benedetto… Benedetto… (applausi) … Benedetto… Benedetto”.

 

Partito dalla villetta dei Salesiani di Les Combes, in Valle d’Aosta, dove ha trascorso diciotto giorni di riposo e studio, Benedetto XVI ha ricevuto il saluto del vescovo di Aosta, Giuseppe Anfossi, del presidente del Consiglio regionale, Ego Perron, e del sindaco di Introd, Osvaldo Naudin, quindi è salito a bordo del Dornier diretto a Ciampino. L’aereo è decollato dall'aeroporto Corrado Gex di Saint Christophe ad Aosta, intorno alle 17.00. Nello scalo aostano, hanno accolto il Santo Padre circa 500 persone. Il Papa ha stretto mani, ha preso in braccio alcuni neonati, poi si è congedato con le autorità e con il personale delle Forze dell'ordine, ringraziandoli per il loro servizio.

 

All’aeroporto militare di Ciampino il volo speciale dell'Air Vallèe è atterrato alle 18.35. Il Santo Padre ha quindi raggiunto in elicottero Castel Gandolfo intorno alle 19. Nella residenza estiva, rimarrà fino a settembre, tranne per la breve interruzione dal 18 al 21 agosto, giorni in cui il Pontefice prenderà parte alla Giornata mondiale della Gioventù di Colonia. Le udienze generali riprenderanno mercoledì prossimo. Benedetto XVI si sposterà in Vaticano, nel caso fosse prevista una partecipazione numerosa di fedeli.

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Ad accogliere il Santo Padre, ieri pomeriggio, a Castel Gandolfo c’era anche il sindaco, Maurizio Colacchi. Sentiamo al microfono di Tiziana Campisi le sue impressioni sulle parole rivolte da Benedetto XVI alla comunità locale e le iniziative previste dal Comune durante il soggiorno del Papa:

 

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R. – Il Santo Padre si è affacciato dal balcone, salutando i castellani, dicendo loro di essere con gioia qui e di poter trascorrere le ferie insieme a loro. Questo è stato veramente un messaggio importante per noi. E’ stato, quindi, un gesto di amore del Santo Padre nei confronti di Castel Gandolfo. I castellani sono già entrati in sintonia con il Santo Padre. Aspettavano con trepidazione la giornata di ieri.

 

D. – Sono previste iniziative durante il soggiorno di Benedetto XVI a Castel Gandolfo?

 

R. – Sì, naturalmente. La prima iniziativa, importantissima, quella di domenica, quando andremo ad offrire al Santo Padre le pesche, che sono il frutto della nostra terra. Ci sarà quindi un ulteriore incontro con i bambini e le bambine vestiti con i costumi tradizionali di Castel Gandolfo, che porteranno dei cesti di pesche al Santo Padre. Poi, la sera di domenica, al termine dei festeggiamenti della sagra, ci saranno i fuochi d’artificio sul lago, dedicati a Benedetto XVI.

 

D. – Sono stati programmati degli incontri con il Pontefice?

 

R. – Nel periodo in cui Bendetto XVI sarà a Castel Gandolfo, spero ci siano altre opportunità di poterci incontrare e salutare. Noi vogliamo che il Santo Padre trascorra a Castel Gandolfo un soggiorno sereno, di riposo e di meditazione. Naturalmente, il clima che stiamo vivendo in questo periodo non è certo dei migliori, però Castel Gandolfo è anche città della pace e quindi speriamo che da questo comune possano partire, da parte del Santo Padre, dei messaggi importanti, affinché si possa tornare a vivere più in tranquillità e in serenità in tutto quanto il mondo.

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Ma come stanno vivendo i fedeli della parrocchia pontificia di San Tommaso da Villanova di Castel Gandolfo queste prime ore del soggiorno di Benedetto XVI nella loro cittadina? Sentiamo il parroco, don Waldemar Niedziolka:

 

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R. – I parrocchiani, la comunità di Castel Gandolfo tutta, siamo tutti molto contenti: finalmente il Papa sarà qui tra di noi. Noi lo aspettiamo anche nella nostra chiesa parrocchiale. La parrocchia porta il nome di parrocchia pontificia e lo abbiamo invitato per la Festa dell’Assunta, sperando che il Santo Padre trovi il momento di visitare anche la nostra comunità.

 

D. – Quale può essere l’abbraccio, non solo di Castel Gandolfo, ma della grande Europa in questo momento difficile?

 

R. – Essendo la parrocchia pontificia abbiamo preso l’impegno per pregare per il Santo Padre in continuazione. Sentiamo proprio questo impegno per lui, per le sue intenzioni che ci propone. Il Santo Padre ci invita ad entrare in unione con l’Europa attraverso il Cristo. Lui può veramente guidarci con amore e con la pace, soprattutto, della quale tutti noi abbiamo bisogno e che tutti noi speriamo di avere al più presto in Europa e nel mondo.

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LA PACE NON SI COSTRUISCE SULL’ASSASSINIO E LA MORTE, MA SULLA FRATERNITA’:

L’ESORTAZIONE DI BENEDETTO XVI NEL TELEGRAMMA DI CORDOGLIO

PER LA MORTE DEI DUE DIPLOMATICI ALGERINI IN IRAQ

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

“La morte di alcuni uomini non può rappresentare la soluzione a una qualunque rivendicazione, né si può fare degli assassini i partner del dialogo e della pace”. Viceversa, sono gli uomini di buona volontà, uniti insieme, a poter “edificare un mondo di fraternità tra le persone e i credenti”. Sono alcune delle frasi contenute nel telegramma di cordoglio che Benedetto XVI, a firma del cardinale Angelo Sodano, ha fatto pervenire al presidente della Repubblica algerina, Bouteflika, in seguito all’assassinio dei due diplomatici dello Stato nordafricano, sequestrati dai terroristi islamici in Iraq e uccisi due giorni fa.

 

Nel sottolineare il “coraggio” degli emissari algerini e la “fedeltà alla loro missione di costruttori di pace e di negoziato”, il Papa esorta ancora le persone di buona volontà a far sì che le “diversità siano occasioni di condivisione e di amicizia”, invocando su tutti l’abbondanza delle benedizioni divine.

 

 

DURA PRESA DI POSIZIONE DELLA SANTA SEDE,

CHE RIGETTA IN UNA NOTA  LE ACCUSE DA PARTE ISRAELIANA

E RICORDA GLI INNUMEREVOLI INTERVENTI

DI GIOVANNI PAOLO II CONTRO IL TERRORISMO IN TERRA SANTA

- Con noi, padre David Jaeger e Janiki Cingoli -

 

Una insostenibile e pretestuosa accusa: così la Sala Stampa della Santa Sede stigmatizza, con una nota, le critiche rivolte a Benedetto XVI e Giovanni Paolo II da un funzionario del Ministero degli esteri israeliano, intervistato dal Jerusalem Post, sul mancato riferimento all’attentato di Netanya, all’Angelus del 24 luglio scorso. Ce ne parla Alessandro Gisotti:

 

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“Penosa sorpresa”: questo l’amaro sentimento espresso dalla Sala Stampa della Santa Sede in risposta alle pretestuose accuse lanciate contro Giovanni Paolo II, colpevole, secondo un funzionario del Ministero degli esteri israeliano, di non aver condannato gli attentati degli anni passati in Israele. Addirittura, si sostiene che il governo israeliano “sarebbe in passato intervenuto ripetutamente presso la Santa Sede” richiedendo un cambio di atteggiamento con il nuovo Pontificato. Accuse insostenibili. “Gli interventi di Giovanni Paolo II contro ogni forma di terrorismo e contro singoli atti di terrorismo nei confronti di Israele – sottolinea la nota – sono stati numerosi e pubblici”. Documenti di pubblico dominio che “fanno apparire tali dichiarazioni come destituite di ogni fondamento”.

 

In realtà, Giovanni Paolo II “ha espresso molte volte e in occasioni di diversa natura il proprio pensiero in merito, sia in riferimento allo Stato di Israele ed ai suoi diritti, sia in riferimento agli obblighi nei confronti del popolo palestinese, nella chiara coscienza che la violenza e il terrorismo non portano alla pace”.  Al riguardo, la Sala Stampa elenca oltre venti interventi di Papa Wojtyla a condanna del terrorismo in Terra Santa. D’altro canto, si legge nella nota, “non sempre ad ogni attentato contro Israele è stato possibile far seguire subito una pubblica dichiarazione di condanna, e ciò per diversi motivi, tra l’altro per il fatto che gli attentati contro Israele talora erano seguiti da immediate reazioni israeliane non sempre compatibili con le norme del diritto internazionale. Sarebbe stato pertanto impossibile condannare i primi e passare sotto silenzio le seconde”.

 

E ancora, prosegue la dichiarazione della Sala Stampa vaticana: “Così come il Governo israeliano comprensibilmente non si lascia dettare da altri ciò che esso deve dire  nemmeno la Santa Sede può accettare di ricevere insegnamenti e direttive da alcun’altra autorità circa l’orientamento ed i contenuti delle proprie dichiarazioni”. Anche nel ricordare gli inalienabili diritti del popolo palestinese, ricorda la Sala Stampa vaticana, il Pontefice ha “ripetutamente stigmatizzato con parole inequivocabili l’inammissibilità dei metodi violenti che, mediante atti terroristici perpetrati nei confronti della popolazione civile israeliana, hanno impedito le iniziative di pace poste in atto, lungo i trascorsi cinque lustri, da sagge forze politiche sia israeliane sia palestinesi”. “Le affermazioni contrarie alla verità storica – conclude la nota – possono giovare solo a chi intende fomentare animosità e contrasti, e certo non servono a migliorare la situazione”.

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L’attacco da parte del funzionario israeliano nei confronti di Giovanni Paolo II ha destato scalpore, tuttavia la polemica avrebbe anche altre motivazioni. Lo sottolinea, al microfono di Alessandro Gisotti, padre David Jaeger, francescano israeliano, ritenuto tra i maggiori esperti giuridici sui rapporti Chiesa-Stato in Israele:

 

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R. - Bisogna capire innanzitutto che la causa di tutta questa crisi manufatta è banalissima: il fatto che da tempo il governo d’Israele non stia ai patti stipulati proprio con Giovanni Paolo II. Quindi, non è adempiente dell’accordo fondamentale siglato con la Santa Sede. Specificamente vengono in mente due gravissimi fatti. Il primo, nell’autunno dell’anno scorso, il governo d’Israele ha ufficialmente informato la Corte Suprema d’Israele di non ritenersi vincolato dall’accordo fondamentale. Il secondo fatto è che è divenuto difficilissimo persino fissare degli appuntamenti per i negoziati.

 

D. – Padre Jaeger, può soffermarsi su questo punto…

 

R. – L’ultimo appuntamento era stato fissato per il 19 luglio, nel quale il governo d’Israele doveva portare un documento che esponesse per iscritto la sua attuale posizione. Immediatamente prima di quella data il governo informa di non voler stare all’appuntamento. Accetta, però, in extremis di fissarne uno nuovo per il 25 luglio. Si vede che i funzionari che avrebbero dovuto stendere il documento non erano pronti neanche per quella data. Non potendo, però, trovare alcun pretesto per annullare questo appuntamento, inventavano quella scusa, che è assurda, oltre ad essere violenta, cruda, senza precedenti, contro il Papa regnante. Annullavano poi l’appuntamento rifiutandosi di fissarne un altro, diventando a mio avviso, giuridicamente, forse formalmente inadempienti del trattato. Come spiegare ora l’inadempimento dei patti presi nei riguardi di Giovanni Paolo II, il più grande amico che il popolo ebraico abbia mai avuto, il Papa che ha allacciato i rapporti con Israele, anche assumendosi alcuni rischi, come si sa?

 

D. – Quali sono gli sviluppi possibili, secondo lei?

 

R. – Si richiedono da parte israeliana, a mio avviso, due passi. Il primo, sarebbe una richiesta di scusa senza riserve e senza qualificazioni al Papa regnante e alla memoria del Papa precedente. Questa è una cosa che loro possono fare, in modo molto facile. Io infatti non credo che il primo ministro abbia mai preso conoscenza di tutto quanto abbiano detto i funzionari. Secondo, un impegno del governo israeliano di stare ai patti, di rispettare i patti presi, che sono due accordi, due trattati internazionali. Se il governo d’Israele adesso prendesse queste due iniziative, a mio avviso, il rapporto si potrebbe salvare. E chi sia stato responsabile di questa crisi manufatta, gratuita, si assumerà le proprie responsabilità.

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E l’auspicio che questo momento di tensione tra Santa Sede ed Israele si sciolga quanto prima viene espresso da Janiki Cingoli, direttore del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente, che – intervistato da Alessandro Gisotti – sottolinea l’atteggiamento sempre limpido tenuto da Giovanni Paolo II nei confronti del popolo ebraico:

 

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R. – E’ indubbio che l’atteggiamento di Papa Wojtyla sia per quello che riguarda il rapporto con il mondo ebraico, sia anche rispetto alla specificità della condanna del terrorismo, è stato un atteggiamento limpido. Non ritengo che sia fondata questa posizione del funzionario israeliano. Occorre comprendere, però, alcune cose riguardo all’attentato di Netanya. Questo attentato ha rotto un po’ la tregua che si era venuta consolidando da parte dei gruppi palestinesi armati ed è avvenuto nel momento in cui sta per essere avviato il ritiro da Gaza.

 

D. – C’è quindi, secondo lei, questo aspetto di fondo… un momento di particolare tensione?

 

R. – E’ un momento di particolare tensione in cui la sensibilità è molto alta. La mia opinione, molto sommessa, perché io non sono certo uno che può dare né consigli agli israeliani né consigli alla Santa Sede, è che forse conviene un po’ cercare di abbassare i toni di questa polemica e cercare di lavorare in positivo per cogliere appieno le chances di questa finestra di opportunità che pare aprirsi in questo momento con questo ritiro e con la possibilità, molto contrastata – ripeto – tra le due parti e non solamente dentro di Israele di riprendere questo cammino verso la pace.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Prima pagina: "Grazie per il vostro affetto e per la vostra amicizia"; Benedetto XVI saluta la comunità di Castel Gandolfo, subito dopo l'arrivo nel tardo pomeriggio di giovedì 28 luglio. 

Sempre in prima, un articolo, riguardo all'Irlanda del Nord, dal titolo "Un passo decisivo nel processo di pace"; soddisfazione della comunità internazionale per la definitiva rinuncia dell'Ira alle armi. 

 

Nelle vaticane,  una pagina dedicata all'ingresso in diocesi dell'arcivescovo di Sant'Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia.  

 

Nelle estere, nucleare: segnali di ottimismo nei negoziati a sei; dialogo fra Stati Uniti e Corea del Nord.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Armando Rigobello dal titolo "Intransigenza e misericordia": il pensiero laicista e la morale cristiana.

Un articolo di Susanna Paparatti dal titolo "La Roma 'rinata' di Leon Battista Alberti": l'innovativa visione architettonica della città nel '400 al centro di una mostra ai Musei Capitolini.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano il tema del terrorismo.

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

29 luglio 2005

 

LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE PLAUDE ALLA DECISIONE DELL’IRA

DI ABBANDONARE LA LOTTA ARMATA NELL’IRLANDA DEL NORD. LA SODDISFAZIONE

DELLA CHIESA CATTOLICA, CHIAMATA CON QUELLA PROTESTANTE

 A FARSI GARANTE DELLA NUOVA FASE STORICA

- Intervista con il cardinale Cahal Brendan Daly -

 

“Un evento storico”. Con queste parole Javier Solana, responsabile della politica estera dell'Unione europea, ha definito la decisione dell'IRA, l’Esercito repubblicano irlandese, di deporre le armi, mettendo fine alle violenze che in 30 anni hanno fatto vittime indiscriminatamente tra le file delle truppe britanniche in Ulster e tra i civili delle due fazioni in lotta. Anche il governo britannico ha risposto positivamente all’annuncio dell’Ira, come racconta in questo servizio Enzo Farinella:

 

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La fine della lotta armata, annunciata dai paramilitari nazionalisti dell’IRA e che fa intravedere tempi più sereni per il nord Irlanda, ha già ottenuto risposte concrete da parte dell’Inghilterra, il cui primo ministro Tony Blair ha ordinato lo smantellamento delle torri militari di osservazione disseminate in punti strategici del nord Irlanda e ha anche riportato il partito Sinn Fein al centro delle trattative politiche.

 

La smilitarizzazione del territorio del nord Irlanda, dove fino a non molto tempo fa si contavano ben 21 mila elementi delle forze dell’ordine, compresi i soldati di reparti speciali quali gli S.O.S, è stata una richiesta continua da parte dei nazionalisti, quale indebita invasione della privacy personale e adesso anche con la proclamata fine della lotta armata senza alcun senso. I paramilitari dell’IRA, in cambio, faranno brillare ben presto e definitivamente le loro micidiali armi esplosive che hanno portato tanto terrore in tutto il Regno Unito.

 

Siamo così dinanzi a scenari del tutto nuovi sui quali ricostruire la convivenza pacifica tra unionisti e nazionalisti, cosa non facile data la diffidenza tra le due comunità che si è creata durante secoli di soprusi. Ma la sfida lanciata ai governi di Londra e Dublino, ai vicini unionisti, nonché agli stessi nazionalisti fa ben sperare che nuovi orizzonti di pace giusta e duratura si profilino per tutta l’Irlanda del nord e per tutta l’isola.

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I nazionalisti hanno chiamato la Chiesa cattolica e quella protestante a farsi garanti di questa nuova fase nell’Irlanda del Nord. L’arcivescovo di Armagh, Séan Baptist Brady ha dichiarato in una nota che l’annuncio dell’IRA costituisce “un’opportunità unica” per “costruire un futuro chiaro e sicuro per tutti, basato su nuovi rapporti di rispetto e comprensione”. Soddisfatto anche l’arcivescovo emerito di Armagh, il cardinale Cahal Brendan Daly, per il quale quanto avvenuto realizza le speranze di una vita. Ascoltiamo il commento del porporato, raccolto dalla collega della redazione inglese, Philippa Hitchen:

 

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R. – WHAT ALL WE RETAIN…

Quello che noi tutti conserviamo è la speranza e la fiducia soprattutto nella forza della preghiera. C’è stata una grande mobilitazione attraverso le preghiere lungo tutta l’Irlanda e anche da parte di tanti amici al di fuori dell’Irlanda.  Ma la risposta pacifica è venuta dal movimento stesso, che era così coinvolto nella violenza. Questa è stata letteralmente una risposta alle preghiere ed anche una risposta al commovente appello di Giovanni Paolo II, che ha pregato in ginocchio il movimento repubblicano, perché si rendesse conto che esiste un’altra via, migliore, una strada moralmente più giusta, per raggiungere la pace, e che la violenza non serve mai la causa della pace. Ora credo che questo abbia aiutato a creare un clima in cui l’esercito ha perduto completamente la sua rilevanza, diventando controproducente. C’è voluto tanto tempo, ma grazie a Dio, alla fine hanno capito il messaggio del Papa. Peccato che Giovanni Paolo II non l’abbia potuto vedere e peccato che non abbiano ancora trovato la possibilità di esprimere il proprio rimorso per il dolore e la sofferenza che hanno causato a tanta gente. Ma forse il momento per esprimere un tale rimorso verrà più tardi e questo momento rappresenterà una grande sorgente di speranza per il futuro. Perché il problema ora è quello di raggiungere la riconciliazione tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord, tra le due parti dell’Irlanda, e costruire la fiducia. Certo, la manifestazione del proprio rimorso, ad un certo punto, sarebbe un grande contributo per la costruzione di un nuovo rapporto basato sulla fiducia, la riconciliazione e il perdono del passato.

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I DIRITTI DEI FIGLI DEGLI IMMIGRATI IN EUROPA AL CENTRO DELLA TERZA GIORNATA

DI LAVORI AL MEETING SULLE MIGRAZIONI DI LORETO

 

Per l’ottava volta la città di Loreto, da sempre pronta ad accogliere con generosità migliaia di pellegrini, sta ospitando il Meeting sulle migrazioni e mai come quest’anno la manifestazione ha avuto un tema così drammaticamente attuale: quello degli immigrati di seconda generazione, in particolare i figli di quelle persone che nella loro fuga dalla miseria e dalla dittatura hanno scelto l’Europa per vivere. Da Loreto, il servizio del nostro inviato, Giovanni Peduto:

 

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La seconda generazione non è formata solo da minori, ci sono anche ragazzi più grandi, uomini già con famiglia e figli, nati in Europa, che non riescono ad accettare le regole ed i valori dell’Occidente. Per fortuna si tratta solo di una piccola parte, segno che l’accoglienza che gli europei hanno riservato alle popolazioni migranti sta funzionando bene, consentendo loro di integrarsi nel tessuto sociale e culturale, pur mantenendo intatte le loro tradizioni. Anche il recente episodio di Londra può aiutarci a riflettere e capire che è ancora molta la strada che dobbiamo fare per essere certi di poter lasciare ai nostri e ai loro figli un mondo, in pace.

 

Il Meeting ha dedicato questa mattina una particolare attenzione ai più deboli, ai più indifesi, a quei bambini di cui spesso i potenti dimenticano i diritti. La loro presenza è ormai radicata nel territorio italiano e in quello europeo. Lo capiamo dai bambini che frequentano le scuole, da quelli che giocano ogni giorno con i nostri figli. Abbiamo una certezza: siamo diventati una società multiculturale e questa caratteristica, troppo spesso paventata, deve essere vista come opportunità di arricchimento per ognuno di noi.

 

Il confronto tra giovani immigrati ed operatori culturali, fra figli emigrati della seconda generazione e giovani europei può aiutare nel prospettare una sintesi positiva e fa del Meeting di Loreto, momento privilegiato e necessario, capace di unire l’Europa dei politici a quella dei suoi veri cittadini. Questi e molti altri gli spunti di riflessione che l’ottava edizione del Meeting sulle migrazioni di offre.

 

Sull’appuntamento di quest’anno, aleggia più che mai lo spirito del Beato Giovanni Battista Scalabriniani, apostolo dei migranti, nel centenario della morte avvenuta il 1 giugno 1905. Del suo carisma si parlerà in particolare domani.

 

Da Loreto, Giovanni Peduto, Radio Vaticana.

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DICIANNOVE FILM IN CONCORSO

ALLA 62.MA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA

IN PROGRAMMA DAL 31 AGOSTO AL 10 SETTEMBRE

- Intervista con il direttore Marco Müller -

 

Presentata dal Direttore Marco Müller la 62.ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, che si aprirà il prossimo 31 agosto al Lido e si concluderà il 10 settembre con la cerimonia di premiazione. Programma di classe e contenuto nel numero delle pellicole. Tra gli aspiranti al Leone d’Oro Krzysztof Zanussi e Pupi Avati. Il servizio di Luca Pellegrini.

 

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Sarà una Mostra dal sapore internazionale per presenze e proposte. Titoli grandi e meno grandi, ma qualità assicurata per tutte le sezioni che compongono l’equilibrato e parco programma, non più di sessanta film, come promesso dal direttore Marco Müller, per questa manifestazione internazionale che compie 62 anni e che aspira, giustamente, a nuovi spazi e soprattutto ad un nuovo Palazzo del Cinema la cui prima pietra si spera possa essere finalmente posata nel corso del prossimo anno. Diciannove i titoli del concorso e tra i prescelti si segnalano tre registi italiani: Pupi Avati, Roberto Faenza e Cristina Comencini, un vegliardo portoghese come Manoel de Oliveira, un visionario americano come Terry Gilliam, un intellettuale mitteleuropeo come Krzysztof Zanussi, un coreano estremista come Park Chan-wook ed un ibrido imprevedibile come Ang Lee. Rimane la sezione Orizzonti, ben definita, con i suoi due propri premi ed una forte presenza, quest’anno, seguendo moda e successi, di film documentaristici dai più diversi interessi. Hollywood ed Estremo Oriente spadroneggiano, invece, fuori concorso e molti sono i titoli di una buona e seria presenza americana. Leone d’oro alla carriera per Hayao Miyazaki e per gli appassionati un’intrigante “Storia segreta del cinema asiatico”. Abbiamo chiesto al Direttore Marco Müller conferme, attese, speranze di questa 62.ma Mostra del Cinema di Venezia.

 

“Ogni edizione di un Festival non può che cercare di rispondere alla questione e ai problemi sollevati dall’edizione precedente. Quindi, da una parte dovevamo finalmente regalare alle sezioni autonome del Festival una loro sala, come esiste a Berlino e a Cannes. Abbiamo contato le caselle e ce ne stanno soltanto 55 dentro. Quindi, a questo punto è una selezione ridotta drasticamente di 20 titoli e più rispetto allo scorso anno. Una selezione che, a questo punto, può fregiarsi davvero del titolo di selezione. Abbiamo definito anche, una volta per tutte, le differenze di fisionomia tra Concorso e Orizzonti. Orizzonti non è più una sorta di appendice del Concorso, non lo sarà mai e non lo è mai stata del resto. Deve essere sempre più invece il luogo dove si cerca di fare il punto sulla ricerca, sul cinema che cerca di rimettere in discussione se stesso, il punto di vista degli spettatori e la posizione del regista”.

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CHIESA E SOCIETA’

29 luglio 2005

 

 

IN INDIA, I CRISTIANI NON USANO LA FORZA PER CONVERTIRE I TRIBALI LOCALI.

È IL VERDETTO DI UN’APPOSITA COMMISSIONE DI INCHIESTA CHE HA GIUDIACATO

INFONDATE LE ACCUSE MOSSE DA DIVERSI GRUPPI ESTREMISTI INDU’. AD AVVICINARE

I TRIBALI AL CRISTIANESIMO SONO, INVECE, LE CURE DEI MISSIONARI

 

NUOVA DELHI. = In India centrale, nel distretto di Jhabua, una Commissione di inchiesta ha giudicato infondate le accuse mosse ai cristiani locali di convertire con la forza i tribali del posto. Lo ha reso noto in un comunicato ufficiale, John Dayal, presidente dell’ “All India Christian concil”, secondo quanto riportato dall’agenzia AsiaNews. Nei giorni scorsi, durante la visita nel distretto di Jhabua, la Commissione ha incontrato rappresentanti di organizzazioni indù, missionari cristiani, membri di partiti politici, funzionari governativi e operatori sociali. La maggior parte di queste persone ha negato, infatti, che i tribali siano oggetto di conversioni forzate al cristianesimo, come denunciano invece i gruppi estremisti indù. Secondo AsiaNews, perfino Shri Mahesh Agarwal, membro di organizzazioni indù impegnate nella campagna anti-conversione, ha ammesso che molti tribali si avvicinano al cristianesimo, solo perché colpiti dalle cure e dall’assistenza ricevuta dai missionari. Si esclude, dunque, l’ipotesi di violenze e coercizione. Dello stesso parere, anche Pintoo Jaiswal, leader della sezione locale del Bharatiya Janata Party, il partito che sostiene una visione estremista dell’induismo. Proprio il giovane politico ha spiegato che mentre gli indù sono “esitanti persino a toccare” i tribali, i missionari sono invece “pronti ad abbracciarli” e servirli in ogni modo. Inoltre, i missionari cristiani svolgono un ruolo importante anche nel campo dell’istruzione. E sempre Jaiswal ha aggiunto come i suoi figli, che studiano nella scuola di una missione cristiana, non abbiano “mai raccontato di qualcuno che ha provato a convertirli”. Intanto, proprio in questo distretto, il 21 luglio scorso, la polizia ha arrestato e subito rilasciato su cauzione p. Thomas P.T., della parrocchia di San Michele. Era stato falsamente accusato di istigare alla conversione alcuni tribali della zona che volevano iscrivere i propri figli nella scuola da lui amministrata. (E. B.)

 

 

IN UGANDA E’ MORTO PADRE PAOLO SERRA, MISSIONARIO COMBONIANO

 DA SEMPRE AL SERVIZIO DELLA POPOLAZIONE UGANDESE

 

ROMA. = “Padre Paolo Serra guardava l’uomo che aveva davanti a sé, senza distinzione di lingua, religione e provenienza”. Così l’Associazione comboniana migranti e profughi (ACSE) – citata da L’Osservatore Romano - ricorda il sacerdote nato nel 1937 a Mores (Sassari), scomparso venerdì scorso per un’emorragia interna a Kampala, capitale dell’Uganda. Entrato nei comboniani nel 1962, due anni dopo padre Serra partì per l’Uganda dove rimase 32 anni, “svolgendo con amore – scrive il quotidiano – con gioia e con dedizione il proprio servizio tra la popolazione locale sconvolta dalla povertà e dalla guerra”. Rientrato in Italia nel 1996, il missionario divenne responsabile dell’ACSE, “dedicando tutto il suo essere al bene degli immigrati che arrivano a Roma”. All’inizio dell’anno, aveva accolto con entusiasmo la notizia della sua nuova destinazione missionaria: un “ritorno a casa” in Uganda, dove è morto tra quella che non aveva mai smesso di sentire come la “sua” gente. “Padre Paolo sapeva mettere insieme le persone – ricorda ancora l’ACSE – raccogliendo il bene in ciascuno per costruire un mosaico di comunione tra la gente e le comunità”. (E. B.)

 

 

LA POLIZIA CINESE HA ARRESTATO UN SACERDOTE CATTOLICO, UN SEMINARISTA

E 9 FEDELI NEL CORSO DI UNA FUNZIONE RELIGIOSA. L’ARRESTO E’ AVVENUTO VENERDI’ SCORSO, IN UNA CASA PRIVATA.

ATTUALMENTE TUTTI SONO DETENUTI NELLA PRIGIONE DI PINGTAN

 

ROMA. = Padre Lin Daixian, sacerdote cattolico a Fuzhou, nel sud est della Cina, è stato arrestato il 25 luglio scorso, assieme ad un seminarista e a 9 fedeli. A diffondere la notizia è stata la Kung Foundation. Le forze di pubblica sicurezza – secondo quanto riporta l’agenzia di stampa AsiaNews - hanno fatto irruzione in una casa privata a Pingtan, verso le 8 di sera, mentre padre Lin stava celebrando la Messa insieme con 50 fedeli. La comunità si era radunata in preghiera per chiedere la guarigione di un membro della parrocchia, malato di cancro. Quando i poliziotti hanno arrestato il sacerdote, molti fedeli hanno cercato di liberarlo, azzuffandosi con la polizia. Per tutta risposta, la Pubblica sicurezza  ha cominciato a colpire i parrocchiani, ferendone alcuni in modo grave. Padre Lin Daixian, 40 anni, prete dal ’95, è stato arrestato già diverse volte. La prima volta, il 18 ottobre 2000; la seconda volta il 15 agosto del 2001 e la terza volta nel novembre 2001. Il governo cinese, pur ammettendo la libertà di religione nella Costituzione, permette le attività religiose solo in strutture e con personale registrato presso l’Ufficio Affari Religiosi. Ogni espressione di culto fuori da questi canali è considerata illegale e pericolosa per l’ordine pubblico. (E. B)

 

 

IN LITUANIA IN OCCASIONE DELLA GIORNATA

DEL PELLEGRINAGGIO, SI SVOLGERA’ LA TRADIZIONALE PROCESSIONE VERSO

LA COLLINA DELLE CROCI. FRA I PARTECIPANTI, MONS. ZURBRIGGEN,

NUNZIO APOSTOLICO IN LITUANIA, LETTONIA ED ESTONIA, E MONS. BARTULIS,

VESCOVO DELLA DICOCESI LOCALE

 

VILNIUS. = Nella diocesi di Šiauliai, in Lituania, il prossimo 30 luglio si terrà l’annuale “Giornata del Pellegrinaggio”. L’avvenimento centrale della giornata è rappresentato dalla processione verso la Collina delle Croci, che si trova a circa 12 chilometri dalla sede diocesana. Guidata da mons. Eugenijus Bartulis, vescovo di Šiauliai e ordinario militare della Lituania, la processione partirà dalla Cattedrale dei S.S. Pietro e Paolo di Šiauliai alle ore 11. I partecipanti, tra i quali il nunzio apostolico in Lituania, Lettonia ed Estonia, mons. Peter Stephan Zurbriggen, raggiungeranno la Collina delle Croci dopo una camminata di circa tre ore. Alla fine della processione, sarà celebrata l’Eucaristia sul luogo della Collina delle Croci in cui, nell’autunno del 1993, pregò Papa Giovanni Paolo II, durante la sua visita apostolica nei Paesi Baltici. Due le novità dell’edizione 2005 della processione: anzitutto, avrà luogo il sabato invece della domenica, come è stato sinora, per consentire una maggiore partecipazione dei fedeli, non solo della Lituania, ma anche dalla confinante Lettonia e da altri Paesi vicini. L’altra novità riguarda la radiodiffusione dell’evento: la Solenne Messa della “Giornata del Pellegrinaggio”, infatti, sarà trasmessa in diretta dalla Radio statale della Lituania. (E. B.)

 

 

DIVERSE DELEGAZIONI DI GIOVANI PROVENIENTI DA COSTA D’AVORIO, GUINEA BISSAU, BENIN E MAURITANIA PARTECIPANO IN SENEGAL AL FORUM PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI NELLA REGIONE AFRICANA

 

DAKAR. = “Dobbiamo estirpare dall’Africa le cause principali dei conflitti che affliggono la nostra terra: emarginazione, tribalismo, etnocentrismo, intolleranza, localismo”. Lo ha dichiarato ieri Amadou Samba Bà, responsabile amministrativo della città di Ziguinchor, nel sud del Senegal, in occasione della cerimonia di apertura del Forum regionale sull’istruzione, i diritti umani e la prevenzione dei conflitti nell’Africa Occidentale. All’incontro, che terminerà domenica prossima, vi parteciperanno delegazioni di giovani provenienti da Costa D’Avorio, Guinea Bissau, Benin, Mauritania, Guinea oltre che dal Senegal. Ziguinchor è stata scelta come sede dagli organizzatori in quanto capoluogo della regione di Casamance, dove nei mesi scorsi un accordo di pace ha posto fine ad un lungo conflitto iniziato nel 1983. Tale conflitto vedeva contrapposti da un lato il governo del presidente Abdoulaye Wade e, dall’atro, la ribellione indipendentista del “Movimento delle forze democratiche della Casamance” (MDFC) dell’abate Austin Diamacoune Senghor. Questa regione, che si basa sull’agricoltura e lo sfruttamento turistico delle splendide spiagge, è separata geograficamente dal resto del Senegal dal fiume Gambia e dall’omonimo Paese. (E. B.)

 

 

IN ETIOPIA, IL PROGRAMMA GOVERNATIVO DI SOSTEGNO ALIMENTARE RISCHIA

 DI FALLIRE PER MANCANZA FONDI. SONO QUASI 5 MILIONI I CITTADINI ETIOPI

CHE RICEVONO DENARO E SOPRATTUTTO CIBO GRAZIE A QUESTO PIANO

 

ADDIS ABEBA. = La mancanza di fondi rischia di far saltare il principale programma sociale messo a punto dal governo etiope per dare sostegno e cibo a quasi 5 milioni di cittadini. Sono le conclusioni di uno studio redatto dal Centro di Prevenzione dei disastri di Addis Abeba, secondo cui il programma avviato lo scorso gennaio è riuscito a raccogliere finora solo l’11% dei soldi e il 44% del cibo necessario. Il piano di sostengo governativo, denominato “Programma per una rete di salvaguardia produttiva”, prevede sostanzialmente che cinque milioni di etiopi partecipino a lavori pubblici e socialmente utili ricevendo in cambio denaro, ma soprattutto cibo. “Lo sviluppo inadeguato del programma – sottolinea il rapporto - fa sì che in molte aree del Paese si stia consumando un disastro”. (E. B.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

29 luglio 2005

 

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco e Andrea Cocco -

 

A Londra unità speciali stanno conducendo, in questi minuti, un’operazione antiterrorismo nella zona di Notting Hill. Nel quartiere, sono state avvertite due forti esplosioni e alcuni spari. Il blitz degli agenti è finalizzato a trovare i responsabili dei mancati attacchi del 21 luglio. Londra, intanto, torna lentamente alla normalità: questa mattina è stata riaperta la stazione della metropolitana di Edgware Road, colpita dai terroristi il 7 luglio. Il capo della polizia metropolitana, Ian Blair, ha criticato inoltre l’impiego di pistole elettriche per arrestare a Birmingham uno dei quattro attentatori spiegando che la scarica avrebbe fatto innescare un eventuale ordigno. Blair si è detto anche profondamente addolorato per la famiglia del giovane brasiliano ucciso per errore da un agente britannico ma ha difeso la decisione della polizia di “sparare per uccidere” contro sospetti kamikaze. Gli agenti della sezione antiterrorismo di Scotland Yard hanno rivelato, intanto, che prove inconfutabili attestano l’esistenza di collegamenti tra cellule di estremisti di Londra con quelle di Torino.

 

“I complici degli attentatori di Sharm non possono essersi allontanati dalla zona”. Lo ha affermato il governatore del sud Sinai, mentre prosegue la caccia ai sospetti. Continuano anche gli accertamenti delle vittime ancora senza nome: in aiuto delle autorità egiziane ci sono anche la polizia scientifica italiana ed i carabinieri. Intanto, sono completamente rientrate le preoccupazioni per la famiglia italiana composta da padre, madre e figlia tredicenne che si temeva potesse essere rimasta coinvolta negli attentati. La Farnesina ha reso noto che i tre sono partiti il 17 luglio da Verona per la Tunisia e non per l’Egitto.

 

In Iraq, un kamikaze si è fatto esplodere poco fa uccidendo 25 reclute irachene vicino alla città di Mossul. Le forze irachene e americane hanno ucciso almeno 9 ribelli in uno scontro avvenuto in un villaggio a nord est di Baghdad. Altre quattro persone sono morte, a nord della capitale, per un attacco kamikaze contro reclute dell’esercito. In questo consueto e tragico scenario segnato dalle violenze, le condizioni di vita dei bambini iracheni sono sempre più drammatiche. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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La difficile situazione irachena si riflette soprattutto tra i volti dei bambini. Come in uno specchio, negli sguardi dei più piccoli sono impressi gli orrori della guerra e del terrorismo. Il centro di Baghdad, il più esposto ad attentati e agguati che infiammano l’Iraq, brulica di bambini poveri ed emaciati che chiedono l’elemosina. Le loro storie, riprese da diversi quotidiani arabi, propongono esperienze simili: Ismail ha lasciato la scuola, il piccolo Ali racconta di essere stato abbandonato dalla famiglia e Saswan  di essere fuggita da Nassiriya con la sorella. Molti sono orfani e si ritrovano nella piazza centrale Tahrir dove litigano e giocano, tra l’impotenza del governo di Baghdad, che non dispone di mezzi sufficienti per contrastare questa piaga. Il fenomeno non è nuovo ma dopo la guerra ha assunto connotati allarmanti. Il dramma del conflitto è sullo sfondo di ogni storia: Ayad, 13 anni, ha perso un occhio ed è stato sfigurato dalle schegge di una bomba. Lo scorso 13 luglio si è sottoposto, negli Stati Uniti, ad un intervento chirurgico al viso. L’operazione è riuscita ma il suo vero sogno, quello di restare negli Stati Uniti, non si è realizzato: un aereo lo ha riportato in Iraq dove le notizie di attentati e di scontri spesso nascondono le sofferenze di migliaia di bambini.

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Medio Oriente: il premier israeliano, Ariel Sharon, ha lanciato da Parigi un avvertimento ai palestinesi, affermando che Israele reagirà in modo “estremamente duro” se “le organizzazioni terroristiche islamiche” dovessero compiere attacchi durante le difficili fasi del ritiro dalla Striscia di Gaza e da alcune zone della Cisgiordania, previsto a partire dal 15 agosto. Il ministro della Difesa israeliano, Mofaz, ha comunque escluso qualsiasi intervento preventivo, come proposto dai vertici militari. Dal versante palestinese sono giunte nel frattempo le rassicurazioni del premier Abu Ala, che ha affermato ieri sera di aver ottenuto garanzie di cooperazione dalle principali fazioni armate palestinesi per evitare che il ritiro israeliano si svolga in un clima di violenza. Sul terreno, intanto, militari israeliani hanno ucciso ieri un palestinese di 25 anni nei pressi della cittadina di Tulkarem, nel nord della Cisgiordania. Lo hanno riferito fonti mediche e della sicurezza.

 

Una bomba, nascosta sotto un’auto, è esplosa nella città turca di Hakkari uccidendo due persone e ferendone una. Lo hanno riferito autorità locali. La provincia di Hakkari è spesso teatro di attacchi compiuti da ribelli curdi che hanno recentemente incrementato le loro azioni contro il governo.

 

In India, un attentato ha provocato la morte di almeno 13 persone. Una bomba, collocata in una valigia, è esplosa ieri su un treno, nello Stato settentrionale dell’Uttar Pradesh. L’azione terroristica non è stata rivendicata ma le autorità indiane sospettano che l’attentato sia stato compito da gruppi fondamentalisti o da ribelli maoisti attivi nello stato del Bihar, dal quale era partito il treno. Nel Paese, intanto, sono salite a 786 le vittime di inondazioni, frane e smottamenti causati dalle piogge monsoniche che si stanno abbattendo in questi giorni nello Stato occidentale di Maharashtra e in particolare nella metropoli Mumbai. Il premier indiano Manmohan Singh ha annunciato lo stanziamento di 96 milioni di euro per affrontare l’emergenza.

 

Dopo il quarto colloquio bilaterale in pochi giorni, Corea del nord e Stati Uniti hanno deciso di prorogare di 24 ore i negoziati a 6 sul nucleare, che avrebbero dovuto concludersi oggi a Pechino. Le maggiori difficoltà riguardano l’interpretazione del concetto di disarmo ed i tempi in cui questo dovrebbe avvenire: sia Washington che Pyongyang, infatti, attendono prima un gesto concreto dalla controparte. Si attende, comunque, una dichiarazione comune.

 

Le autorità russe hanno criticato la decisione della rete televisiva statunitense ‘ABC’ di trasmettere un’intervista a Shamil Basayev, capo guerrigliero ceceno sulla cui testa è stata posta una taglia di 10 milioni di dollari. Basayev è ritenuto uno dei responsabili del massacro di Beslan, avvenuto lo scorso primo settembre e costato la vita a quasi 400 persone.

 

In Italia, il Senato ha approvato i primi 10 articoli del decreto legge contenente il pacchetto di misure predisposte dal ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu contro il terrorismo. Il provvedimento si compone in tutto di 19 articoli. Pisanu, nella sua informativa al Senato sul terrorismo, ha detto ieri che “dopo gli attacchi di Sharm permane per l’Italia il rischio di un attentato terroristico”. “Circostanze e indizi convergenti ci inducono a considerare possibile un attentato nel nostro Paese”, ha riferito il ministro dell’Interno pur escludendo la presenza di “elementi precisi e inconfutabili”.

 

Ancora una giornata elettorale per il Burundi, reduce da una guerra che in 12 anni ha causato 400 mila morti. A votare, questa volta, non sarà la popolazione civile, ma i 3.225 consiglieri comunali, chiamati ad eleggere 41 senatori. Sul significato di questa consultazione, Roberto Piermarini ha intervistato padre Claudio Marano, missionario saveriano a Bujumbura:

 

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R. – Non è un grande appuntamento elettorale, perché comporta solamente il voto dei deputati e dei consigli comunali, che voteranno i senatori. E’ un’istituzione nata nel periodo della guerra per cercare di trovare un punto di legame tra le varie differenze del Burundi. Sono 50 quelli che dovranno essere eletti. Quindi, non è una grande votazione, anche perché dopo le comunali, dopo i deputati, si è visto ormai che il CNDD, il Partito di maggioranza ha stravinto e nessuno si aspetta qualcosa di nuovo.

 

D. – In che clima politico si svolge questa ennesima tornata elettorale?

 

R. – In un clima molto stanco, perché il governo precedente ha chiuso i battenti ormai da tanto tempo e non dà più niente al Paese. Ci sono delle difficoltà enormi a livello economico, ci sono delle difficoltà enormi a livello politico, a livello della giustizia, a livello della sicurezza. Il governo precedente sembra là solo per arrivare alla conclusione del suo mandato, che sarà il 19 agosto. Davanti a lui c’è soltanto un nome, Pierre Nkurunziza, che sarà il nuovo presidente del Paese. Il Burundi, quindi, continua la sua ricerca per la pace, perché appunto guidato da 7 mila effettivi dell’ONU. Così la situazione è sufficientemente calma. Quello che preoccupa molto di più sono invece gli interventi dell’FDD continui in alcune parti del Paese, che portano ancora scaramucce, uccisioni ed insicurezza nel Paese.

 

D. – La Chiesa si è espressa per questo nuovo appuntamento elettorale?

 

R. – La Chiesa si sta preparando a esprimersi. Si sa che i vescovi continuano ad incontrarsi, continuano a parlare su come gestire la situazione post-elettorale. Ci sono diversi punti interrogativi. Il primo: ha vinto un partito che ha vinto la guerra. Quindi, bisognerà ricordare che l’arrivo al comando del Paese con un partito che combatte, distrugge e uccide non è proprio il caso di prenderlo come esempio. Secondo: questo partito è formato non più da membri di diverse religioni: sono musulmani, protestanti di diverse denominazioni. Anche lì la Chiesa dovrà fare dei passi sull’ecumenismo e vedere come può intervenire, come può fare intervenire la sua comunità.

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E’ terminato il piano di demolizioni messo in atto dal governo dello Zimbabwe per rimuovere le baraccopoli intorno alla capitale e in altre città. “Abbiamo avviato questo programma per combattere lo squallore e la povertà nell’interesse della nostra nazione”, ha spiegato il vice presidente Joyce Mujuru. Venerdì scorso, l’ONU ha pubblicato un rapporto in cui denuncia le violazioni commesse dalle autorità a partire dal 19 maggio, data in cui sono iniziati gli sgomberi forzati. Secondo il documento, la distruzione degli ‘slums’ ha lasciato 700.000 persone senza dimora.

 

Oltre 300 persone sono sbarcate, nella notte, sulle coste di Agrigento e Siracusa. Un centinaio di persone sono state avvistate ad Agrigento ed altri 164 extracomunitari a Porto Empedocle. Sempre in nottata, altri 39 immigrati, sono sbarcati a Lampedusa. Tutti gli immigrati sono stati portati in centri di accoglienza

 

 

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