RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
210 - Testo della trasmissione di venerdì 29 luglio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
In
Uganda, è morto padre Paolo Serra, missionario comboniano
In Etiopia, il programma
governativo di sostegno alimentare rischia di fallire per mancanza fondi
Londra torna lentamente
alla normalità: riaperta la metropolitana di Edgware Road, colpita dai
terroristi il 7 luglio
In Burundi, i
consiglieri comunali chiamati al voto per eleggere 50 senatori. Con noi, padre Claudio Marano, missionario saveriano
Radiogiornale
29 luglio 2005
FESTA
PER BENEDETTO XVI A CASTEL GANDOLFO.
IL
PAPA E’ GIUNTO IERI SERA NELLA SUA RESIDENZA ESTIVA
DOPO
IL SOGGIORNO IN VALLE D’AOSTA
-
Intervista con Maurizio Colacchi e don Waldemar Niedziolka -
Prima mattina a Castel Gandolfo per Benedetto XVI. Il
Santo Padre è giunto nella residenza estiva nel tardo pomeriggio di ieri, dopo
aver lasciato alle 16.30 la villetta di Les Combes. In Val d’Aosta il Pontefice
era giunto l’11 luglio per un periodo di vacanza. Arrivato a Castel Gandolfo,
Benedetto XVI ha voluto salutare la cittadina dove risiederà fino a settembre.
Il servizio di Tiziana Campisi.
**********
“Cari fratelli e
sorelle, sono appena arrivato dalla Valle d’Aosta, dove ho trascorso due
settimane bellissime in montagna. Ma adesso sono felice di essere con voi…
(applausi) …, qui nel Castello dei Papi… (applausi) … Sarò adesso per più di un
mese vostro concittadino. E’ per me una gioia essere in questa bellissima e
piccola città, di vivere con voi e di vedere tutte le bellezze dell’antica
Roma. Grazie per il vostro affetto e la vostra amicizia. Vi imparto la mia
benedizione, la benedizione apostolica. Grazie per questa accoglienza…(applausi)…
Ci vedremo spesso”.
Con queste parole Benedetto XVI ha salutato
ieri, nel tardo pomeriggio, gli abitanti di Castel Gandolfo. Calorosa
l’accoglienza dei cittadini della residenza estiva del Pontefice. Tanti anche i
giovani, che hanno voluto esprimere il loro affetto al Papa, al suo arrivo in
elicottero:
“Benedetto… Benedetto… (applausi) … Benedetto…
Benedetto”.
Partito
dalla villetta dei Salesiani di Les Combes, in Valle d’Aosta, dove ha trascorso
diciotto giorni di riposo e studio, Benedetto XVI ha ricevuto il saluto del
vescovo di Aosta, Giuseppe Anfossi, del presidente del Consiglio regionale, Ego
Perron, e del sindaco di Introd, Osvaldo Naudin, quindi è salito a bordo del
Dornier diretto a Ciampino. L’aereo è decollato dall'aeroporto Corrado Gex di
Saint Christophe ad Aosta, intorno alle 17.00. Nello scalo aostano, hanno
accolto il Santo Padre circa 500 persone. Il Papa ha stretto mani, ha preso in
braccio alcuni neonati, poi si è congedato con le autorità e con il personale
delle Forze dell'ordine, ringraziandoli per il loro servizio.
All’aeroporto
militare di Ciampino il volo speciale dell'Air Vallèe è atterrato alle 18.35.
Il Santo Padre ha quindi raggiunto in elicottero Castel Gandolfo intorno alle
19. Nella residenza estiva, rimarrà fino a settembre, tranne per la breve
interruzione dal 18 al 21 agosto, giorni in cui il Pontefice prenderà parte
alla Giornata mondiale della Gioventù di Colonia. Le udienze generali
riprenderanno mercoledì prossimo. Benedetto XVI si sposterà in Vaticano, nel
caso fosse prevista una partecipazione numerosa di fedeli.
**********
Ad accogliere il Santo Padre, ieri pomeriggio, a Castel
Gandolfo c’era anche il sindaco, Maurizio Colacchi. Sentiamo al microfono di
Tiziana Campisi le sue impressioni sulle parole rivolte da Benedetto XVI alla
comunità locale e le iniziative previste dal Comune durante il soggiorno del
Papa:
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R. – Il Santo Padre si è affacciato dal balcone, salutando
i castellani, dicendo loro di essere con gioia qui e di poter trascorrere le
ferie insieme a loro. Questo è stato veramente un messaggio importante per noi.
E’ stato, quindi, un gesto di amore del Santo Padre nei confronti di Castel
Gandolfo. I castellani sono già entrati in sintonia con il Santo Padre.
Aspettavano con trepidazione la giornata di ieri.
D. – Sono previste iniziative durante il soggiorno di
Benedetto XVI a Castel Gandolfo?
R. – Sì, naturalmente. La prima iniziativa,
importantissima, quella di domenica, quando andremo ad offrire al Santo Padre
le pesche, che sono il frutto della nostra terra. Ci sarà quindi un ulteriore
incontro con i bambini e le bambine vestiti con i costumi tradizionali di
Castel Gandolfo, che porteranno dei cesti di pesche al Santo Padre. Poi, la
sera di domenica, al termine dei festeggiamenti della sagra, ci saranno i
fuochi d’artificio sul lago, dedicati a Benedetto XVI.
D. – Sono stati programmati degli incontri con il
Pontefice?
R. – Nel periodo in cui Bendetto XVI sarà a Castel
Gandolfo, spero ci siano altre opportunità di poterci incontrare e salutare.
Noi vogliamo che il Santo Padre trascorra a Castel Gandolfo un soggiorno
sereno, di riposo e di meditazione. Naturalmente, il clima che stiamo vivendo
in questo periodo non è certo dei migliori, però Castel Gandolfo è anche città
della pace e quindi speriamo che da questo comune possano partire, da parte del
Santo Padre, dei messaggi importanti, affinché si possa tornare a vivere più in
tranquillità e in serenità in tutto quanto il mondo.
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Ma come stanno vivendo i fedeli della parrocchia
pontificia di San Tommaso da Villanova di Castel Gandolfo queste prime ore del soggiorno
di Benedetto XVI nella loro cittadina? Sentiamo il parroco, don Waldemar
Niedziolka:
*********
R. – I parrocchiani, la comunità di Castel Gandolfo tutta,
siamo tutti molto contenti: finalmente il Papa sarà qui tra di noi. Noi lo
aspettiamo anche nella nostra chiesa parrocchiale. La parrocchia porta il nome
di parrocchia pontificia e lo abbiamo invitato per la Festa dell’Assunta,
sperando che il Santo Padre trovi il momento di visitare anche la nostra comunità.
D. – Quale può essere l’abbraccio, non solo di Castel
Gandolfo, ma della grande Europa in questo momento difficile?
R. – Essendo la parrocchia pontificia abbiamo preso
l’impegno per pregare per il Santo Padre in continuazione. Sentiamo proprio
questo impegno per lui, per le sue intenzioni che ci propone. Il Santo Padre ci
invita ad entrare in unione con l’Europa attraverso il Cristo. Lui può
veramente guidarci con amore e con la pace, soprattutto, della quale tutti noi
abbiamo bisogno e che tutti noi speriamo di avere al più presto in Europa e nel
mondo.
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LA
PACE NON SI COSTRUISCE SULL’ASSASSINIO E LA MORTE, MA SULLA FRATERNITA’:
L’ESORTAZIONE
DI BENEDETTO XVI NEL TELEGRAMMA DI CORDOGLIO
PER LA
MORTE DEI DUE DIPLOMATICI ALGERINI IN IRAQ
- A
cura di Alessandro De Carolis -
“La morte di alcuni uomini non può rappresentare la
soluzione a una qualunque rivendicazione, né si può fare degli assassini i
partner del dialogo e della pace”. Viceversa, sono gli uomini di buona volontà,
uniti insieme, a poter “edificare un mondo di fraternità tra le persone e i
credenti”. Sono alcune delle frasi contenute nel telegramma di cordoglio che
Benedetto XVI, a firma del cardinale Angelo Sodano, ha fatto pervenire al
presidente della Repubblica algerina, Bouteflika, in seguito all’assassinio dei
due diplomatici dello Stato nordafricano, sequestrati dai terroristi islamici
in Iraq e uccisi due giorni fa.
Nel sottolineare il “coraggio” degli emissari algerini e
la “fedeltà alla loro missione di costruttori di pace e di negoziato”, il Papa
esorta ancora le persone di buona volontà a far sì che le “diversità siano
occasioni di condivisione e di amicizia”, invocando su tutti l’abbondanza delle
benedizioni divine.
DURA PRESA DI
POSIZIONE DELLA SANTA SEDE,
CHE RIGETTA IN
UNA NOTA LE ACCUSE DA PARTE ISRAELIANA
E RICORDA GLI
INNUMEREVOLI INTERVENTI
DI GIOVANNI
PAOLO II CONTRO IL TERRORISMO IN TERRA SANTA
- Con
noi, padre David Jaeger e Janiki Cingoli -
Una
insostenibile e pretestuosa accusa: così la Sala Stampa della Santa Sede
stigmatizza, con una nota, le critiche rivolte a Benedetto XVI e Giovanni Paolo
II da un funzionario del Ministero degli esteri israeliano, intervistato dal Jerusalem
Post, sul mancato riferimento all’attentato di Netanya, all’Angelus del 24
luglio scorso. Ce ne parla Alessandro Gisotti:
*********
“Penosa
sorpresa”: questo l’amaro sentimento espresso dalla Sala Stampa della Santa
Sede in risposta alle pretestuose accuse lanciate contro Giovanni Paolo II,
colpevole, secondo un funzionario del Ministero degli esteri israeliano, di non
aver condannato gli attentati degli anni passati in Israele. Addirittura, si
sostiene che il governo israeliano “sarebbe in passato intervenuto
ripetutamente presso la Santa Sede” richiedendo un cambio di atteggiamento con
il nuovo Pontificato. Accuse insostenibili. “Gli interventi di Giovanni Paolo
II contro ogni forma di terrorismo e contro singoli atti di terrorismo nei
confronti di Israele – sottolinea la nota – sono stati numerosi e pubblici”.
Documenti di pubblico dominio che “fanno apparire tali dichiarazioni come
destituite di ogni fondamento”.
In realtà,
Giovanni Paolo II “ha espresso molte volte e in occasioni di diversa natura il
proprio pensiero in merito, sia in riferimento allo Stato di Israele ed ai suoi
diritti, sia in riferimento agli obblighi nei confronti del popolo palestinese,
nella chiara coscienza che la violenza e il terrorismo non portano alla
pace”. Al riguardo, la Sala Stampa
elenca oltre venti interventi di Papa Wojtyla a condanna del terrorismo in
Terra Santa. D’altro canto, si legge nella nota, “non sempre ad ogni attentato
contro Israele è stato possibile far seguire subito una pubblica dichiarazione
di condanna, e ciò per diversi motivi, tra l’altro per il fatto che gli
attentati contro Israele talora erano seguiti da immediate reazioni israeliane
non sempre compatibili con le norme del diritto internazionale. Sarebbe stato
pertanto impossibile condannare i primi e passare sotto silenzio le seconde”.
E ancora, prosegue la dichiarazione della Sala
Stampa vaticana: “Così come il Governo israeliano comprensibilmente non si
lascia dettare da altri ciò che esso deve dire
nemmeno la Santa Sede può accettare di ricevere insegnamenti e direttive
da alcun’altra autorità circa l’orientamento ed i contenuti delle proprie
dichiarazioni”. Anche nel ricordare gli inalienabili diritti del popolo
palestinese, ricorda la Sala Stampa vaticana, il Pontefice ha “ripetutamente
stigmatizzato con parole inequivocabili l’inammissibilità dei metodi violenti
che, mediante atti terroristici perpetrati nei confronti della popolazione
civile israeliana, hanno impedito le iniziative di pace poste in atto, lungo i
trascorsi cinque lustri, da sagge forze politiche sia israeliane sia
palestinesi”. “Le affermazioni contrarie alla verità storica – conclude la nota
– possono giovare solo a chi intende fomentare animosità e contrasti, e certo
non servono a migliorare la situazione”.
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L’attacco da
parte del funzionario israeliano nei confronti di Giovanni Paolo II ha destato
scalpore, tuttavia la polemica avrebbe anche altre motivazioni. Lo sottolinea,
al microfono di Alessandro Gisotti, padre David Jaeger, francescano israeliano,
ritenuto tra i maggiori esperti giuridici sui rapporti Chiesa-Stato in Israele:
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R. -
Bisogna capire innanzitutto che la causa di tutta questa crisi manufatta è
banalissima: il fatto che da tempo il governo d’Israele non stia ai patti
stipulati proprio con Giovanni Paolo II. Quindi, non è adempiente dell’accordo
fondamentale siglato con la Santa Sede. Specificamente vengono in mente due
gravissimi fatti. Il primo, nell’autunno dell’anno scorso, il governo d’Israele
ha ufficialmente informato la Corte Suprema d’Israele di non ritenersi
vincolato dall’accordo fondamentale. Il secondo fatto è che è divenuto
difficilissimo persino fissare degli appuntamenti per i negoziati.
D. – Padre Jaeger, può soffermarsi su questo punto…
R. – L’ultimo appuntamento era stato fissato per il 19
luglio, nel quale il governo d’Israele doveva portare un documento che
esponesse per iscritto la sua attuale posizione. Immediatamente prima di quella
data il governo informa di non voler stare all’appuntamento. Accetta, però, in
extremis di fissarne uno nuovo per il 25 luglio. Si vede che i funzionari che
avrebbero dovuto stendere il documento non erano pronti neanche per quella
data. Non potendo, però, trovare alcun pretesto per annullare questo appuntamento,
inventavano quella scusa, che è assurda, oltre ad essere violenta, cruda, senza
precedenti, contro il Papa regnante. Annullavano poi l’appuntamento
rifiutandosi di fissarne un altro, diventando a mio avviso, giuridicamente,
forse formalmente inadempienti del trattato. Come spiegare ora l’inadempimento
dei patti presi nei riguardi di Giovanni Paolo II, il più grande amico che il
popolo ebraico abbia mai avuto, il Papa che ha allacciato i rapporti con
Israele, anche assumendosi alcuni rischi, come si sa?
D. – Quali sono gli sviluppi possibili, secondo lei?
R. – Si richiedono da parte israeliana, a mio avviso, due
passi. Il primo, sarebbe una richiesta di scusa senza riserve e senza
qualificazioni al Papa regnante e alla memoria del Papa precedente. Questa è
una cosa che loro possono fare, in modo molto facile. Io infatti non credo che
il primo ministro abbia mai preso conoscenza di tutto quanto abbiano detto i
funzionari. Secondo, un impegno del governo israeliano di stare ai patti, di
rispettare i patti presi, che sono due accordi, due trattati internazionali. Se
il governo d’Israele adesso prendesse queste due iniziative, a mio avviso, il
rapporto si potrebbe salvare. E chi sia stato responsabile di questa crisi
manufatta, gratuita, si assumerà le proprie responsabilità.
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E
l’auspicio che questo momento di tensione tra Santa Sede ed Israele si sciolga
quanto prima viene espresso da Janiki Cingoli, direttore del Centro Italiano
per la Pace in Medio Oriente, che – intervistato da Alessandro Gisotti –
sottolinea l’atteggiamento sempre limpido tenuto da Giovanni Paolo II nei
confronti del popolo ebraico:
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R. – E’ indubbio che l’atteggiamento di Papa Wojtyla sia
per quello che riguarda il rapporto con il mondo ebraico, sia anche rispetto
alla specificità della condanna del terrorismo, è stato un atteggiamento
limpido. Non ritengo che sia fondata questa posizione del funzionario
israeliano. Occorre comprendere, però, alcune cose riguardo all’attentato di Netanya.
Questo attentato ha rotto un po’ la tregua che si era venuta consolidando da
parte dei gruppi palestinesi armati ed è avvenuto nel momento in cui sta per
essere avviato il ritiro da Gaza.
D. – C’è quindi, secondo lei, questo aspetto di fondo… un
momento di particolare tensione?
R. – E’ un momento di particolare tensione in cui la
sensibilità è molto alta. La mia opinione, molto sommessa, perché io non sono
certo uno che può dare né consigli agli israeliani né consigli alla Santa Sede,
è che forse conviene un po’ cercare di abbassare i toni di questa polemica e
cercare di lavorare in positivo per cogliere appieno le chances di questa finestra di opportunità che pare aprirsi in
questo momento con questo ritiro e con la possibilità, molto contrastata –
ripeto – tra le due parti e non solamente dentro di Israele di riprendere
questo cammino verso la pace.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina:
"Grazie per il vostro affetto e per la vostra amicizia"; Benedetto
XVI saluta la comunità di Castel Gandolfo, subito dopo l'arrivo nel tardo
pomeriggio di giovedì 28 luglio.
Sempre in prima, un
articolo, riguardo all'Irlanda del Nord, dal titolo "Un passo decisivo nel
processo di pace"; soddisfazione della comunità internazionale per la
definitiva rinuncia dell'Ira alle armi.
Nelle vaticane, una pagina dedicata all'ingresso in diocesi
dell'arcivescovo di Sant'Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia.
Nelle estere, nucleare:
segnali di ottimismo nei negoziati a sei; dialogo fra Stati Uniti e Corea del
Nord.
Nella pagina culturale,
un articolo di Armando Rigobello dal titolo "Intransigenza e misericordia":
il pensiero laicista e la morale cristiana.
Un articolo di Susanna
Paparatti dal titolo "La Roma 'rinata' di Leon Battista Alberti": l'innovativa
visione architettonica della città nel '400 al centro di una mostra ai Musei
Capitolini.
Nelle pagine italiane,
in primo piano il tema del terrorismo.
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29 luglio 2005
LA
COMUNITA’ INTERNAZIONALE PLAUDE ALLA DECISIONE DELL’IRA
DI
ABBANDONARE LA LOTTA ARMATA NELL’IRLANDA DEL NORD. LA SODDISFAZIONE
DELLA
CHIESA CATTOLICA, CHIAMATA CON QUELLA PROTESTANTE
A FARSI GARANTE DELLA NUOVA FASE STORICA
-
Intervista con il cardinale Cahal Brendan Daly -
“Un evento storico”. Con queste parole Javier Solana,
responsabile della politica estera dell'Unione europea, ha definito la
decisione dell'IRA, l’Esercito repubblicano irlandese, di deporre le armi,
mettendo fine alle violenze che in 30 anni hanno fatto vittime
indiscriminatamente tra le file delle truppe britanniche in Ulster e tra i
civili delle due fazioni in lotta. Anche il governo britannico ha risposto
positivamente all’annuncio dell’Ira, come racconta in questo servizio Enzo
Farinella:
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La fine della lotta armata, annunciata dai paramilitari
nazionalisti dell’IRA e che fa intravedere tempi più sereni per il nord
Irlanda, ha già ottenuto risposte concrete da parte dell’Inghilterra, il cui
primo ministro Tony Blair ha ordinato lo smantellamento delle torri militari di
osservazione disseminate in punti strategici del nord Irlanda e ha anche riportato
il partito Sinn Fein al centro delle trattative politiche.
La smilitarizzazione del territorio del nord Irlanda, dove
fino a non molto tempo fa si contavano ben 21 mila elementi delle forze
dell’ordine, compresi i soldati di reparti speciali quali gli S.O.S, è stata
una richiesta continua da parte dei nazionalisti, quale indebita invasione
della privacy personale e adesso anche con la proclamata fine della lotta
armata senza alcun senso. I paramilitari dell’IRA, in cambio, faranno brillare
ben presto e definitivamente le loro micidiali armi esplosive che hanno portato
tanto terrore in tutto il Regno Unito.
Siamo così dinanzi a scenari del tutto nuovi sui quali
ricostruire la convivenza pacifica tra unionisti e nazionalisti, cosa non
facile data la diffidenza tra le due comunità che si è creata durante secoli di
soprusi. Ma la sfida lanciata ai governi di Londra e Dublino, ai vicini
unionisti, nonché agli stessi nazionalisti fa ben sperare che nuovi orizzonti
di pace giusta e duratura si profilino per tutta l’Irlanda del nord e per tutta
l’isola.
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I nazionalisti hanno chiamato la Chiesa cattolica e quella
protestante a farsi garanti di questa nuova fase nell’Irlanda del Nord.
L’arcivescovo di Armagh, Séan Baptist Brady ha dichiarato in una nota che
l’annuncio dell’IRA costituisce “un’opportunità unica” per “costruire un futuro
chiaro e sicuro per tutti, basato su nuovi rapporti di rispetto e
comprensione”. Soddisfatto anche l’arcivescovo emerito di Armagh, il cardinale
Cahal Brendan Daly, per il quale quanto avvenuto realizza le speranze di una
vita. Ascoltiamo il commento del porporato, raccolto dalla collega della
redazione inglese, Philippa Hitchen:
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R. – WHAT ALL WE RETAIN…
Quello
che noi tutti conserviamo è la speranza e la fiducia soprattutto nella forza
della preghiera. C’è stata una grande mobilitazione attraverso le preghiere
lungo tutta l’Irlanda e anche da parte di tanti amici al di fuori
dell’Irlanda. Ma la risposta pacifica è
venuta dal movimento stesso, che era così coinvolto nella violenza. Questa è
stata letteralmente una risposta alle preghiere ed anche una risposta al
commovente appello di Giovanni Paolo II, che ha pregato in ginocchio il
movimento repubblicano, perché si rendesse conto che esiste un’altra via,
migliore, una strada moralmente più giusta, per raggiungere la pace, e che la
violenza non serve mai la causa della pace. Ora credo che questo abbia aiutato
a creare un clima in cui l’esercito ha perduto completamente la sua rilevanza,
diventando controproducente. C’è voluto tanto tempo, ma grazie a Dio, alla fine
hanno capito il messaggio del Papa. Peccato che Giovanni Paolo II non l’abbia
potuto vedere e peccato che non abbiano ancora trovato la possibilità di
esprimere il proprio rimorso per il dolore e la sofferenza che hanno causato a
tanta gente. Ma forse il momento per esprimere un tale rimorso verrà più tardi
e questo momento rappresenterà una grande sorgente di speranza per il futuro.
Perché il problema ora è quello di raggiungere la riconciliazione tra l’Irlanda
e l’Irlanda del Nord, tra le due parti dell’Irlanda, e costruire la fiducia.
Certo, la manifestazione del proprio rimorso, ad un certo punto, sarebbe un
grande contributo per la costruzione di un nuovo rapporto basato sulla fiducia,
la riconciliazione e il perdono del passato.
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I
DIRITTI DEI FIGLI DEGLI IMMIGRATI IN EUROPA AL CENTRO DELLA
TERZA GIORNATA
DI
LAVORI AL MEETING SULLE MIGRAZIONI DI LORETO
Per l’ottava volta la città di Loreto, da sempre pronta ad
accogliere con generosità migliaia di pellegrini, sta ospitando il Meeting sulle
migrazioni e mai come quest’anno la manifestazione ha avuto un tema così
drammaticamente attuale: quello degli immigrati di seconda generazione, in
particolare i figli di quelle persone che nella loro fuga dalla miseria e dalla
dittatura hanno scelto l’Europa per vivere. Da Loreto, il servizio del nostro
inviato, Giovanni Peduto:
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La seconda generazione non è formata solo da minori, ci
sono anche ragazzi più grandi, uomini già con famiglia e figli, nati in Europa,
che non riescono ad accettare le regole ed i valori dell’Occidente. Per fortuna
si tratta solo di una piccola parte, segno che l’accoglienza che gli europei
hanno riservato alle popolazioni migranti sta funzionando bene, consentendo
loro di integrarsi nel tessuto sociale e culturale, pur mantenendo intatte le loro
tradizioni. Anche il recente episodio di Londra può aiutarci a riflettere e capire
che è ancora molta la strada che dobbiamo fare per essere certi di poter
lasciare ai nostri e ai loro figli un mondo, in pace.
Il Meeting ha dedicato questa mattina una particolare
attenzione ai più deboli, ai più indifesi, a quei bambini di cui spesso i
potenti dimenticano i diritti. La loro presenza è ormai radicata nel territorio
italiano e in quello europeo. Lo capiamo dai bambini che frequentano le scuole,
da quelli che giocano ogni giorno con i nostri figli. Abbiamo una certezza:
siamo diventati una società multiculturale e questa caratteristica, troppo
spesso paventata, deve essere vista come opportunità di arricchimento per
ognuno di noi.
Il confronto tra giovani immigrati ed operatori culturali,
fra figli emigrati della seconda generazione e giovani europei può aiutare nel
prospettare una sintesi positiva e fa del Meeting di Loreto, momento
privilegiato e necessario, capace di unire l’Europa dei politici a quella dei
suoi veri cittadini. Questi e molti altri gli spunti di riflessione che
l’ottava edizione del Meeting sulle migrazioni di offre.
Sull’appuntamento di quest’anno, aleggia più che mai lo
spirito del Beato Giovanni Battista Scalabriniani, apostolo dei migranti, nel
centenario della morte avvenuta il 1 giugno 1905. Del suo carisma si parlerà in
particolare domani.
Da Loreto, Giovanni Peduto, Radio Vaticana.
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DICIANNOVE
FILM IN CONCORSO
ALLA
62.MA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
IN
PROGRAMMA DAL 31 AGOSTO AL 10 SETTEMBRE
-
Intervista con il direttore Marco Müller -
Presentata dal Direttore Marco Müller la 62.ma Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, che si aprirà il prossimo 31
agosto al Lido e si concluderà il 10 settembre con la cerimonia di premiazione.
Programma di classe e contenuto nel numero delle pellicole. Tra gli aspiranti
al Leone d’Oro Krzysztof Zanussi e Pupi Avati. Il servizio di Luca Pellegrini.
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Sarà una Mostra
dal sapore internazionale per presenze e proposte. Titoli grandi e meno grandi,
ma qualità assicurata per tutte le sezioni che compongono l’equilibrato e parco
programma, non più di sessanta film, come promesso dal direttore Marco Müller,
per questa manifestazione internazionale che compie 62 anni e che aspira,
giustamente, a nuovi spazi e soprattutto ad un nuovo Palazzo del Cinema la cui
prima pietra si spera possa essere finalmente posata nel corso del prossimo
anno. Diciannove i titoli del concorso e tra i prescelti si segnalano tre
registi italiani: Pupi Avati, Roberto Faenza e Cristina Comencini, un vegliardo
portoghese come Manoel de Oliveira, un visionario americano come Terry Gilliam,
un intellettuale mitteleuropeo come Krzysztof Zanussi, un coreano estremista
come Park Chan-wook ed un ibrido imprevedibile come Ang Lee. Rimane la sezione Orizzonti,
ben definita, con i suoi due propri premi ed una forte presenza, quest’anno,
seguendo moda e successi, di film documentaristici dai più diversi interessi.
Hollywood ed Estremo Oriente spadroneggiano, invece, fuori concorso e molti
sono i titoli di una buona e seria presenza americana. Leone d’oro alla
carriera per Hayao Miyazaki e per gli appassionati un’intrigante “Storia
segreta del cinema asiatico”. Abbiamo chiesto al Direttore Marco Müller
conferme, attese, speranze di questa 62.ma Mostra del Cinema di Venezia.
“Ogni edizione di un Festival non può che cercare di
rispondere alla questione e ai problemi sollevati dall’edizione precedente.
Quindi, da una parte dovevamo finalmente regalare alle sezioni autonome del
Festival una loro sala, come esiste a Berlino e a Cannes. Abbiamo contato le
caselle e ce ne stanno soltanto 55 dentro. Quindi, a questo punto è una
selezione ridotta drasticamente di 20 titoli e più rispetto allo scorso anno.
Una selezione che, a questo punto, può fregiarsi davvero del titolo di
selezione. Abbiamo definito anche, una volta per tutte, le differenze di
fisionomia tra Concorso e Orizzonti. Orizzonti non è più una sorta di appendice
del Concorso, non lo sarà mai e non lo è mai stata del resto. Deve essere
sempre più invece il luogo dove si cerca di fare il punto sulla ricerca, sul
cinema che cerca di rimettere in discussione se stesso, il punto di vista degli
spettatori e la posizione del regista”.
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29
luglio 2005
IN INDIA, I CRISTIANI NON USANO LA FORZA PER
CONVERTIRE I TRIBALI LOCALI.
È IL VERDETTO DI UN’APPOSITA COMMISSIONE DI
INCHIESTA CHE HA GIUDIACATO
INFONDATE LE ACCUSE MOSSE DA DIVERSI GRUPPI
ESTREMISTI INDU’. AD AVVICINARE
I TRIBALI AL CRISTIANESIMO SONO, INVECE, LE
CURE DEI MISSIONARI
NUOVA DELHI. = In India
centrale, nel distretto di Jhabua, una Commissione di inchiesta ha giudicato
infondate le accuse mosse ai cristiani locali di convertire con la forza i
tribali del posto. Lo ha reso noto in un comunicato ufficiale, John Dayal,
presidente dell’ “All India Christian
concil”, secondo quanto riportato dall’agenzia AsiaNews. Nei giorni scorsi,
durante la visita nel distretto di Jhabua, la Commissione ha incontrato
rappresentanti di organizzazioni indù, missionari cristiani, membri di partiti
politici, funzionari governativi e operatori sociali. La maggior parte di
queste persone ha negato, infatti, che i tribali siano oggetto di conversioni
forzate al cristianesimo, come denunciano invece i gruppi estremisti indù.
Secondo AsiaNews, perfino Shri Mahesh Agarwal, membro di organizzazioni indù
impegnate nella campagna anti-conversione, ha ammesso che molti tribali si
avvicinano al cristianesimo, solo perché colpiti dalle cure e dall’assistenza
ricevuta dai missionari. Si esclude, dunque, l’ipotesi di violenze e
coercizione. Dello stesso parere, anche Pintoo Jaiswal, leader della sezione
locale del Bharatiya Janata Party, il partito che sostiene una visione
estremista dell’induismo. Proprio il giovane politico ha spiegato che mentre
gli indù sono “esitanti persino a toccare” i tribali, i missionari sono invece
“pronti ad abbracciarli” e servirli in ogni modo. Inoltre, i missionari
cristiani svolgono un ruolo importante anche nel campo dell’istruzione. E
sempre Jaiswal ha aggiunto come i suoi figli, che studiano nella scuola di una
missione cristiana, non abbiano “mai raccontato di qualcuno che ha provato a
convertirli”. Intanto, proprio in questo distretto, il 21 luglio scorso, la
polizia ha arrestato e subito rilasciato su cauzione p. Thomas P.T., della
parrocchia di San Michele. Era stato falsamente accusato di istigare alla
conversione alcuni tribali della zona che volevano iscrivere i propri figli
nella scuola da lui amministrata. (E. B.)
IN
UGANDA E’ MORTO PADRE PAOLO SERRA, MISSIONARIO COMBONIANO
DA SEMPRE AL SERVIZIO DELLA POPOLAZIONE
UGANDESE
ROMA. = “Padre Paolo Serra
guardava l’uomo che aveva davanti a sé, senza distinzione di lingua, religione
e provenienza”. Così l’Associazione comboniana migranti e profughi (ACSE) –
citata da L’Osservatore Romano - ricorda il sacerdote nato nel 1937 a Mores
(Sassari), scomparso venerdì scorso per un’emorragia interna a Kampala,
capitale dell’Uganda. Entrato nei comboniani nel 1962, due anni dopo padre
Serra partì per l’Uganda dove rimase 32 anni, “svolgendo con amore – scrive il
quotidiano – con gioia e con dedizione il proprio servizio tra la popolazione
locale sconvolta dalla povertà e dalla guerra”. Rientrato in Italia nel 1996,
il missionario divenne responsabile dell’ACSE, “dedicando tutto il suo essere
al bene degli immigrati che arrivano a Roma”. All’inizio dell’anno, aveva
accolto con entusiasmo la notizia della sua nuova destinazione missionaria: un
“ritorno a casa” in Uganda, dove è morto tra quella che non aveva mai smesso di
sentire come la “sua” gente. “Padre Paolo sapeva mettere insieme le persone – ricorda
ancora l’ACSE – raccogliendo il bene in ciascuno per costruire un mosaico di comunione
tra la gente e le comunità”. (E. B.)
LA POLIZIA CINESE HA ARRESTATO UN SACERDOTE
CATTOLICO, UN SEMINARISTA
E 9 FEDELI NEL CORSO DI UNA FUNZIONE RELIGIOSA.
L’ARRESTO E’ AVVENUTO VENERDI’ SCORSO, IN UNA CASA PRIVATA.
ATTUALMENTE TUTTI SONO DETENUTI NELLA PRIGIONE DI
PINGTAN
ROMA. = Padre Lin Daixian,
sacerdote cattolico a Fuzhou, nel sud est della Cina, è stato arrestato il 25
luglio scorso, assieme ad un seminarista e a 9 fedeli. A diffondere la notizia
è stata la Kung Foundation. Le forze di pubblica sicurezza – secondo quanto
riporta l’agenzia di stampa AsiaNews - hanno fatto irruzione in una casa
privata a Pingtan, verso le 8 di sera, mentre padre Lin stava celebrando la
Messa insieme con 50 fedeli. La comunità si era radunata in preghiera per
chiedere la guarigione di un membro della parrocchia, malato di cancro. Quando
i poliziotti hanno arrestato il sacerdote, molti fedeli hanno cercato di
liberarlo, azzuffandosi con la polizia. Per tutta risposta, la Pubblica
sicurezza ha cominciato a colpire i parrocchiani, ferendone alcuni in
modo grave. Padre Lin Daixian, 40 anni, prete dal ’95, è stato arrestato già
diverse volte. La prima volta, il 18 ottobre 2000; la seconda volta il 15
agosto del 2001 e la terza volta nel novembre 2001. Il governo cinese, pur
ammettendo la libertà di religione nella Costituzione, permette le attività
religiose solo in strutture e con personale registrato presso l’Ufficio Affari
Religiosi. Ogni espressione di culto fuori da questi canali è considerata
illegale e pericolosa per l’ordine pubblico. (E. B)
IN
LITUANIA IN OCCASIONE DELLA GIORNATA
DEL
PELLEGRINAGGIO, SI SVOLGERA’ LA TRADIZIONALE PROCESSIONE VERSO
LA
COLLINA DELLE CROCI. FRA I PARTECIPANTI, MONS. ZURBRIGGEN,
NUNZIO
APOSTOLICO IN LITUANIA, LETTONIA ED ESTONIA, E MONS. BARTULIS,
VESCOVO
DELLA DICOCESI LOCALE
VILNIUS. = Nella diocesi di
Šiauliai, in Lituania, il prossimo 30 luglio si terrà l’annuale “Giornata del
Pellegrinaggio”. L’avvenimento centrale della giornata è rappresentato dalla
processione verso la Collina delle Croci, che si trova a circa 12 chilometri
dalla sede diocesana. Guidata da mons. Eugenijus Bartulis, vescovo di Šiauliai
e ordinario militare della Lituania, la processione partirà dalla Cattedrale
dei S.S. Pietro e Paolo di Šiauliai alle ore 11. I partecipanti, tra i quali il
nunzio apostolico in Lituania, Lettonia ed Estonia, mons. Peter Stephan Zurbriggen,
raggiungeranno la Collina delle Croci dopo una camminata di circa tre ore. Alla
fine della processione, sarà celebrata l’Eucaristia sul luogo della Collina
delle Croci in cui, nell’autunno del 1993, pregò Papa Giovanni Paolo II,
durante la sua visita apostolica nei Paesi Baltici. Due le novità dell’edizione
2005 della processione: anzitutto, avrà luogo il sabato invece della domenica,
come è stato sinora, per consentire una maggiore partecipazione dei fedeli, non
solo della Lituania, ma anche dalla confinante Lettonia e da altri Paesi
vicini. L’altra novità riguarda la radiodiffusione dell’evento: la Solenne
Messa della “Giornata del Pellegrinaggio”, infatti, sarà trasmessa in diretta
dalla Radio statale della Lituania. (E. B.)
DIVERSE
DELEGAZIONI DI GIOVANI PROVENIENTI DA COSTA D’AVORIO, GUINEA BISSAU, BENIN E
MAURITANIA PARTECIPANO IN SENEGAL AL FORUM PER LA PREVENZIONE DEI CONFLITTI
NELLA REGIONE AFRICANA
DAKAR. = “Dobbiamo estirpare
dall’Africa le cause principali dei conflitti che affliggono la nostra terra:
emarginazione, tribalismo, etnocentrismo, intolleranza, localismo”. Lo ha
dichiarato ieri Amadou Samba Bà, responsabile amministrativo della città di
Ziguinchor, nel sud del Senegal, in occasione della cerimonia di apertura del
Forum regionale sull’istruzione, i diritti umani e la prevenzione dei conflitti
nell’Africa Occidentale. All’incontro, che terminerà domenica prossima, vi
parteciperanno delegazioni di giovani provenienti da Costa D’Avorio, Guinea Bissau,
Benin, Mauritania, Guinea oltre che dal Senegal. Ziguinchor è stata scelta come
sede dagli organizzatori in quanto capoluogo della regione di Casamance, dove
nei mesi scorsi un accordo di pace ha posto fine ad un lungo conflitto iniziato
nel 1983. Tale conflitto vedeva contrapposti da un lato il governo del
presidente Abdoulaye Wade e, dall’atro, la ribellione indipendentista del
“Movimento delle forze democratiche della Casamance” (MDFC) dell’abate Austin
Diamacoune Senghor. Questa regione, che si basa sull’agricoltura e lo
sfruttamento turistico delle splendide spiagge, è separata geograficamente dal
resto del Senegal dal fiume Gambia e dall’omonimo Paese. (E. B.)
IN ETIOPIA, IL PROGRAMMA GOVERNATIVO DI SOSTEGNO
ALIMENTARE RISCHIA
DI FALLIRE
PER MANCANZA FONDI. SONO QUASI 5 MILIONI I CITTADINI ETIOPI
CHE RICEVONO DENARO E SOPRATTUTTO CIBO GRAZIE A
QUESTO PIANO
ADDIS ABEBA. = La mancanza di
fondi rischia di far saltare il principale programma sociale messo a punto dal
governo etiope per dare sostegno e cibo a quasi 5 milioni di cittadini. Sono le
conclusioni di uno studio redatto dal Centro di Prevenzione dei disastri di
Addis Abeba, secondo cui il programma avviato lo scorso gennaio è riuscito a
raccogliere finora solo l’11% dei soldi e il 44% del cibo necessario. Il piano
di sostengo governativo, denominato “Programma per una rete di salvaguardia
produttiva”, prevede sostanzialmente che cinque milioni di etiopi partecipino a
lavori pubblici e socialmente utili ricevendo in cambio denaro, ma soprattutto
cibo. “Lo sviluppo inadeguato del programma – sottolinea il rapporto - fa sì
che in molte aree del Paese si stia consumando un disastro”. (E. B.)
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- A cura di Amedeo Lomonaco e Andrea Cocco -
A Londra unità speciali stanno
conducendo, in questi minuti, un’operazione antiterrorismo nella zona di
Notting Hill. Nel quartiere, sono state avvertite due forti esplosioni e alcuni
spari. Il blitz degli agenti è finalizzato a trovare i responsabili dei mancati
attacchi del 21 luglio. Londra, intanto, torna lentamente alla normalità:
questa mattina è stata riaperta la stazione della metropolitana di Edgware
Road, colpita dai terroristi il 7 luglio. Il capo della polizia metropolitana, Ian Blair, ha criticato
inoltre l’impiego di pistole elettriche per arrestare a Birmingham uno dei
quattro attentatori spiegando che la scarica avrebbe fatto innescare un
eventuale ordigno. Blair si è detto anche profondamente addolorato per la
famiglia del giovane brasiliano ucciso per errore da un agente britannico ma ha
difeso la decisione della polizia di “sparare per uccidere” contro sospetti
kamikaze. Gli agenti della sezione antiterrorismo di Scotland Yard hanno
rivelato, intanto, che prove inconfutabili attestano l’esistenza di
collegamenti tra cellule di estremisti di Londra con quelle di Torino.
“I complici degli attentatori di
Sharm non possono essersi allontanati dalla zona”. Lo ha affermato il
governatore del sud Sinai, mentre prosegue la caccia ai sospetti. Continuano
anche gli accertamenti delle vittime ancora senza nome: in aiuto delle autorità
egiziane ci sono anche la polizia scientifica italiana ed i carabinieri.
Intanto, sono completamente rientrate le preoccupazioni per la famiglia
italiana composta da padre, madre e figlia tredicenne che si temeva potesse
essere rimasta coinvolta negli attentati. La Farnesina ha reso noto che i tre
sono partiti il 17 luglio da Verona per la Tunisia e non per l’Egitto.
In
Iraq, un kamikaze si è fatto esplodere poco fa uccidendo 25 reclute irachene
vicino alla città di Mossul. Le forze irachene e americane hanno ucciso
almeno 9 ribelli in uno scontro avvenuto in un villaggio a nord est di Baghdad.
Altre quattro persone sono morte, a nord della capitale, per un attacco
kamikaze contro reclute dell’esercito. In questo consueto e tragico scenario
segnato dalle violenze, le condizioni di vita dei bambini iracheni sono sempre
più drammatiche. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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La
difficile situazione irachena si riflette soprattutto tra i volti dei bambini.
Come in uno specchio, negli sguardi dei più piccoli sono impressi gli orrori
della guerra e del terrorismo. Il centro di Baghdad, il più esposto ad
attentati e agguati che infiammano l’Iraq, brulica di bambini poveri ed
emaciati che chiedono l’elemosina. Le loro storie, riprese da diversi
quotidiani arabi, propongono esperienze simili: Ismail ha lasciato la scuola,
il piccolo Ali racconta di essere stato abbandonato dalla famiglia e
Saswan di essere fuggita da Nassiriya
con la sorella. Molti sono orfani e si ritrovano nella piazza centrale Tahrir
dove litigano e giocano, tra l’impotenza del governo di Baghdad, che non
dispone di mezzi sufficienti per contrastare questa piaga. Il fenomeno non è
nuovo ma dopo la guerra ha assunto connotati allarmanti. Il dramma del
conflitto è sullo sfondo di ogni storia: Ayad, 13 anni, ha perso un occhio ed è
stato sfigurato dalle schegge di una bomba. Lo scorso 13 luglio si è
sottoposto, negli Stati Uniti, ad un intervento chirurgico al viso.
L’operazione è riuscita ma il suo vero sogno, quello di restare negli Stati
Uniti, non si è realizzato: un aereo lo ha riportato in Iraq dove le notizie di
attentati e di scontri spesso nascondono le sofferenze di migliaia di bambini.
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Medio Oriente: il
premier israeliano, Ariel Sharon, ha lanciato da Parigi un avvertimento ai
palestinesi, affermando che Israele reagirà in modo “estremamente duro” se “le
organizzazioni terroristiche islamiche” dovessero compiere attacchi durante le
difficili fasi del ritiro dalla Striscia di Gaza e da alcune zone della
Cisgiordania, previsto a partire dal 15 agosto. Il ministro della Difesa
israeliano, Mofaz, ha comunque escluso qualsiasi intervento preventivo, come
proposto dai vertici militari. Dal versante palestinese sono giunte nel
frattempo le rassicurazioni del premier Abu Ala, che ha affermato ieri sera di
aver ottenuto garanzie di cooperazione dalle principali fazioni armate
palestinesi per evitare che il ritiro israeliano si svolga in un clima di
violenza. Sul terreno, intanto, militari israeliani
hanno ucciso ieri un palestinese di 25 anni nei pressi della cittadina di
Tulkarem, nel nord della Cisgiordania. Lo hanno riferito fonti mediche e della
sicurezza.
Una bomba, nascosta sotto un’auto,
è esplosa nella città turca di Hakkari uccidendo due persone e ferendone una.
Lo hanno riferito autorità locali. La provincia di Hakkari è spesso teatro di
attacchi compiuti da ribelli curdi che hanno recentemente incrementato le loro
azioni contro il governo.
In India, un attentato ha
provocato la morte di almeno 13 persone. Una bomba, collocata in una valigia, è
esplosa ieri su un treno, nello Stato settentrionale dell’Uttar Pradesh.
L’azione terroristica non è stata rivendicata ma le autorità indiane sospettano
che l’attentato sia stato compito da gruppi fondamentalisti o da ribelli
maoisti attivi nello stato del Bihar, dal quale era partito il treno. Nel
Paese, intanto, sono salite a 786 le vittime di inondazioni, frane e
smottamenti causati dalle piogge monsoniche che si stanno abbattendo in questi
giorni nello Stato occidentale di Maharashtra e in particolare nella metropoli
Mumbai. Il premier indiano Manmohan Singh ha annunciato lo stanziamento di 96
milioni di euro per affrontare l’emergenza.
Dopo il
quarto colloquio bilaterale in pochi giorni, Corea del nord e Stati Uniti hanno
deciso di prorogare di 24 ore i negoziati a 6 sul nucleare, che avrebbero
dovuto concludersi oggi a Pechino. Le maggiori difficoltà riguardano
l’interpretazione del concetto di disarmo ed i tempi in cui questo dovrebbe
avvenire: sia Washington che Pyongyang, infatti, attendono prima un gesto
concreto dalla controparte. Si attende, comunque, una dichiarazione comune.
Le
autorità russe hanno criticato la decisione della rete televisiva statunitense
‘ABC’ di trasmettere un’intervista a Shamil Basayev, capo guerrigliero ceceno
sulla cui testa è stata posta una taglia di 10 milioni di dollari. Basayev è
ritenuto uno dei responsabili del massacro di Beslan, avvenuto lo scorso primo
settembre e costato la vita a quasi 400 persone.
In Italia, il Senato ha approvato i
primi 10 articoli del decreto legge contenente il pacchetto di misure
predisposte dal ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu contro il terrorismo. Il
provvedimento si compone in tutto di 19 articoli. Pisanu, nella sua informativa
al Senato sul terrorismo, ha detto ieri che “dopo gli
attacchi di Sharm permane per l’Italia il rischio di un attentato
terroristico”. “Circostanze e indizi convergenti ci inducono a considerare
possibile un attentato nel nostro Paese”, ha riferito il ministro dell’Interno
pur escludendo la presenza di “elementi precisi e inconfutabili”.
Ancora
una giornata elettorale per il Burundi, reduce da una guerra che in 12 anni ha
causato 400 mila morti. A votare, questa volta, non sarà la popolazione civile,
ma i 3.225 consiglieri comunali, chiamati ad eleggere 41 senatori. Sul
significato di questa consultazione, Roberto Piermarini ha intervistato padre
Claudio Marano, missionario saveriano a Bujumbura:
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R. – Non è un grande appuntamento elettorale, perché
comporta solamente il voto dei deputati e dei consigli comunali, che voteranno
i senatori. E’ un’istituzione nata nel periodo della guerra per cercare di
trovare un punto di legame tra le varie differenze del Burundi. Sono 50 quelli
che dovranno essere eletti. Quindi, non è una grande votazione, anche perché
dopo le comunali, dopo i deputati, si è visto ormai che il CNDD, il Partito di
maggioranza ha stravinto e nessuno si aspetta qualcosa di nuovo.
D. – In che clima politico si
svolge questa ennesima tornata elettorale?
R. – In un clima molto stanco,
perché il governo precedente ha chiuso i battenti ormai da tanto tempo e non dà
più niente al Paese. Ci sono delle difficoltà enormi a livello economico, ci
sono delle difficoltà enormi a livello politico, a livello della giustizia, a
livello della sicurezza. Il governo precedente sembra là solo per arrivare alla
conclusione del suo mandato, che sarà il 19 agosto. Davanti a lui c’è soltanto
un nome, Pierre Nkurunziza, che sarà il nuovo presidente del Paese. Il Burundi,
quindi, continua la sua ricerca per la pace, perché appunto guidato da 7 mila
effettivi dell’ONU. Così la situazione è sufficientemente calma. Quello che
preoccupa molto di più sono invece gli interventi dell’FDD continui in alcune
parti del Paese, che portano ancora scaramucce, uccisioni ed insicurezza nel Paese.
D. – La Chiesa si è espressa per
questo nuovo appuntamento elettorale?
R. – La Chiesa si sta preparando
a esprimersi. Si sa che i vescovi continuano ad incontrarsi, continuano a
parlare su come gestire la situazione post-elettorale. Ci sono diversi punti
interrogativi. Il primo: ha vinto un partito che ha vinto la guerra. Quindi,
bisognerà ricordare che l’arrivo al comando del Paese con un partito che
combatte, distrugge e uccide non è proprio il caso di prenderlo come esempio.
Secondo: questo partito è formato non più da membri di diverse religioni: sono
musulmani, protestanti di diverse denominazioni. Anche lì la Chiesa dovrà fare
dei passi sull’ecumenismo e vedere come può intervenire, come può fare
intervenire la sua comunità.
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E’ terminato il piano di
demolizioni messo in atto dal governo dello Zimbabwe per rimuovere le
baraccopoli intorno alla capitale e in altre città. “Abbiamo avviato questo
programma per combattere lo squallore e la povertà nell’interesse della nostra
nazione”, ha spiegato il vice presidente Joyce Mujuru. Venerdì scorso, l’ONU ha
pubblicato un rapporto in cui denuncia le violazioni commesse dalle autorità a
partire dal 19 maggio, data in cui sono iniziati gli sgomberi forzati. Secondo
il documento, la distruzione degli ‘slums’ ha lasciato 700.000 persone senza
dimora.
Oltre 300 persone sono sbarcate,
nella notte, sulle coste di Agrigento e Siracusa. Un centinaio di persone sono
state avvistate ad Agrigento ed altri 164 extracomunitari a Porto Empedocle.
Sempre in nottata, altri 39 immigrati, sono sbarcati a Lampedusa. Tutti gli
immigrati sono stati portati in centri di accoglienza
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