RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
209 - Testo della trasmissione di giovedì 28 luglio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
A
Londra continuano gli arresti di sospetti, dopo il fermo, ieri, di uno dei
terroristi del 21 luglio
Sgomento
in Iraq dopo l’uccisione, ieri, di due diplomatici algerini
28 luglio 2005
ULTIMA GIORNATA DI BENEDETTO XVI IN VALLE D’AOSTA.
OGGI
POMERIGGIO LA PARTENZA IN AEREO ALLA VOLTA DI ROMA,
POI IL TRASFERIMENTO NELLA RESIDENZA ESTIVA DI
CASTEL GANDOLFO.
AI NOSTRI MICROFONI IL SALUTO AL PAPA
DEL VESCOVO DI AOSTA,
GIUSEPPE ANFOSSI, E L’ATTESA DEI FEDELI CASTELLANI, NELLE PAROLE DEL VESCOVO DI
ALBANO, MARCELLO SEMERARO
- Con noi, Salvatore Mazza -
Sta per
concludersi il periodo di riposo di Benedetto XVI a Les Combes di Introd, in
Valle d’Aosta. La partenza in aereo da Aosta è prevista oggi pomeriggio alle
ore 17.30 e l’arrivo all’aeroporto di Ciampino alle 18.30. Subito dopo, informa
una nota della Sala Stampa della Santa Sede, il Papa raggiungerà il Palazzo
Apostolico di Castel Gandolfo. A partire da domenica prossima, 31 luglio, il
Pontefice reciterà la preghiera mariana dell’Angelus dalla sua residenza
estiva. Le udienze generali riprenderanno regolarmente da mercoledì 3 agosto.
Ma torniamo a questa ultima giornata valdostana di Benedetto XVI, raccontata
dall’inviato di Avvenire, Salvatore Mazza, raggiunto telefonicamente a
Les Combes da Alessandro Gisotti:
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R. – Prevedibile che questa
mattina Benedetto XVI si sia congedato dai Salesiani della colonia di Les
Combes, che è adiacente allo chalet dove ha soggiornato in questi giorni, dagli
uomini delle forze dell’ordine, che hanno garantito la sua tranquillità in
questa valle. Poi, oggi pomeriggio, ci sarà la partenza e tutti i saluti
ufficiali avverranno a Les Combes. Ci sarà il vescovo, ci saranno le autorità regionali.
D. - Quali sono le tue
impressioni alla fine di questo primo soggiorno valdostano di Banedetto XVI?
R. -
Credo che veramente si sia fatto conoscere, Benedetto XVI. Parlo della gente
“normale”. Diciamo che i giornalisti, che seguono le cose vaticane e avevano
avuto modo, in passato, di avvicinare il cardinale Ratzinger sapevano già che
si tratta di una persona di un’estrema gentilezza, estrema cordialità. Aspetti
però che probabilmente al grande pubblico non potevano arrivare, mentre
arrivava piuttosto l’immagine del custode della dottrina e della fede. Quindi
un’immagine un po’ rigida, un po’ severa. Ecco, direi che proprio le occasioni
di incontro estemporaneo, hanno permesso alla gente di scoprire la grandissima
umanità, semplicità, spontanea e veramente immediata di questo Pontefice.
D. –
Quale immagine, secondo te, rimarrà di questo soggiorno valdostano, quale lo
riassume meglio?
R. –
Due cose vorrei mettere in luce: una pubblica e una privata. Benedetto XVI ha fatto
due Angelus qui; durante il primo Angelus, c’erano molti disabili, molti malati
che erano rimasti, come dire, un po’ sparsi sul campo sportivo. Il Papa si era
pubblicamente rammaricato di non averli potuti salutare tutti uno per uno. La
domenica successiva ha voluto che fosse riservato loro una sorte di settore e
alla fine dell’Angelus è andato a salutarli tutti uno per uno, prendendosi
tutto il tempo di cui aveva bisogno e fermandosi a parlare con queste persone.
E’ stata una cosa, secondo me, molto significativa. Il momento privato, la
dedica che ha lasciato firmando il registro degli ospiti del museo dedicato a
Giovanni Paolo II; in quell’occasione, ha scritto: “Vi ringrazio per
l’accoglienza e per questi posti”. Ha voluto manifestare pubblicamente, sia
pure in un momento privato, quanto sia stato conquistato dalla serenità di
questi luoghi che gli hanno consentito di riposare, di studiare, di portare
avanti il suo lavoro nella quiete e nella privacy più completa, in un’atmosfera
realmente idilliaca.
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I fedeli valdostani hanno imparato ad amare, fin dai primi giorni a Les
Combes, le qualità umane di Benedetto XVI. In particolare, ha colpito la
semplicità del Papa, come sottolinea il vescovo di Aosta, mons. Giuseppe
Anfossi, intervistato da Luca Collodi:
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R. – Il suo sorriso, il suo
tratto cordialissimo e semplice con le persone, ci dà un’immagine di bontà;
quando parla, ci dà un’immagine di profondità di pensiero, ma sempre caldo.
D. – Mons. Anfossi, un racconto
che ha colpito molto, anche i lettori dei giornali, è l’incontro che il Papa ha
fatto con un bambino, un pastorello, che d’inverno studia e d’estate porta le
mucche all’alpeggio, al pascolo…
R. – Il bambino ha chiesto al
Papa se conosceva i nomi di tutte quelle montagne bellissime che lo
circondavano, su un orizzonte quasi rotondo. Il Papa ha risposto che non conosceva
il nome di quelle belle montagne e allora lui gliele ha indicate.
D. – Mons. Anfossi, lei, ad
Introd, lunedì scorso, nel salutare il Papa, lo ha invitato a ritornare in
Valle d’Aosta…
R. – In realtà lo ho invitato
due volte. Certamente in quella occasione, ma anche prima dell’Angelus del 24
luglio, quando gli ho detto che noi gli volevamo bene e che non eravamo certi
che avrebbe accettato il nostro invito in Valle d’Aosta. Sin dal primo giorno,
quando è arrivato, c’erano molti genitori con bambini ammalati, portatori di
handicap o disabili che nutrivano il desiderio di vederlo. Quando il Papa viene
qui, infatti, c’è molta gente che soffre che desidera vederlo e questo il Papa
lo deve sapere. Lui ha anche detto che c’è poi la sofferenza dovuta al momento
che stiamo vivendo, segnato dal terrorismo, ed un’altra sofferenza dovuta alla
difficoltà con cui viviamo la fede cristiana in questo momento.
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Se dunque, la Valle d’Aosta si
appresta a salutare il Papa, i fedeli di Castel Gandolfo attendono con emozione
il suo arrivo. Sentimento che viene riassunto
da mons. Marcello Semeraro, vescovo della diocesi di Albano, al
microfono di Fausta Speranza:
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R. - E’ certamente grande
l’aspettativa e l’attesa nei fedeli. I sacerdoti si dispongono già ad
accompagnare i fedeli delle diverse parrocchie agli appuntamenti degli Angelus
domenicali, in modo particolare. Così come le comunità parrocchiali sperano in
improvvise visite del Papa. C’è tutta un’espressione di affetto, di
sollecitudine al Santo Padre. Venendo qui, il Papa troverà panorami certamente
differenti rispetto a quelli della Valle d’Aosta, ma troverà invece ugualmente
l’affetto, la gioia, il raccoglimento ed anche tutta l’amicizia dei castellani
e della diocesi di Albano e di quanti giungono nelle nostre cittadine per salutare
il Papa.
D. – Mons. Semeraro, nella
storia da sempre è stato forte il legame tra il Papa e la cittadina di Castel
Gandolfo. A suo avviso, oggi in che modo si sente vivo questo legame?
R. – Diciamo che tutti i Papi,
anche in circostanze particolari, hanno messo in evidenza i legami anche
affettivi e psicologi e non da ultimo spirituali. Giovanni Paolo II, in particolar
modo, parlando alla diocesi di Albano ha sottolineato i legami che esistono tra
la cattedrale di Roma di San Giovanni in Laterano e quella fatta edificare
ugualmente da Costantino, qui in Albano, e dedicata ugualmente a San Giovani
Battista. Questo crea senz’altro un legame e un congiungimento con gli altri
vincoli e dei rapporti molto stretti, che per noi si traducono in fedeltà
all’insegnamento del Papa e in stretta unità alla sua persona.
D. – Mons. Semeraro, ci sarà
qualche momento particolare previsto in questo soggiorno di Benedetto XVI a
Castel Gandolfo, che lei aspetta con particolare attenzione?
R. – Noi ce lo auguriamo, anche
se non è ancora programmato nulla. Ci sono tuttavia degli appuntamenti
tradizionali, come nel giorno dell’Assunta, Giovanni Paolo II normalmente
scendeva nella parrocchia di Castel Gandolfo per presiedere l’Eucaristia. In
altre circostanze, potremmo dire in modo quasi abitudinario, c’è poi l’incontro
con il clero della diocesi di Albano, che attende con grande speranza e con
forte emozione questa possibilità. Noi ce lo auguriamo davvero. Intendiamo
tuttavia rispettare il desiderio del Santo Padre di trascorrere momenti di
silenzio e di tranquillità.
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IL CORDOGLIO DI BENEDETTO XVI
PER LE VITTIME DEI MONSONI IN INDIA,
IN UN TELEGRAMMA
AL CARDINALE IVAN DIAS
- A cura di Roberta Moretti -
Profondo cordoglio di Papa Benedetto
XVI per le tragiche conseguenze delle piogge monsoniche che hanno sconvolto in
questi giorni lo Stato occidentale indiano del Maharashtra, provocando la morte
di almeno 418 persone. In un telegramma inviato stamani all’arcivescovo di
Bombay, cardinale Ivan Dias, a firma del cardinale segretario di Stato, Angelo
Sodano, il Pontefice assicura “profonda solidarietà, cura pastorale e fervide
preghiere, perché Dio onnipotente doni pace eterna ai defunti e consolazione e
forza a chi è rimasto senza casa”. Il Papa, si legge, invoca il dono “della
speranza, della forza e della pace sulle autorità civili e su quanti sono
impegnati nell’imponente lavoro di soccorso e di ricostruzione”.
Le
autorità di New Delhi parlano delle più imponenti piogge mai abbattutesi sul
Paese: 94 centimetri in un giorno, la stessa quantità che cade su Londra in un
anno. Frane e smottamenti di terreno hanno provocato vittime soprattutto a
Bombay, capitale finanziaria dell’India, dove attualmente l’elettricità
funziona a singhiozzo, il traffico stradale, ferroviario e aereo è bloccato, le
banche sono chiuse e la Borsa in servizio ridotto. Il governatore della
regione, Vilasrao Deshmukh, ha stabilito che la città si fermerà per un giorno
per permettere ai soccorsi di intervenire anche nelle zone rimaste isolate. “La
situazione è così grave – ha dichiarato Deshmukh – che, nonostante gli sforzi
impiegati, non siamo in grado di raggiungere tutti i distretti”. Più di 700
mila ettari di raccolti sono stati inghiottiti dalle acque, molti abitanti sono
stati costretti a rifugiarsi in albergo o sul luogo di lavoro, impossibilitati
a tornare a casa. Secondo il ministro degli Interni Patil, negli ultimi due
mesi già 633 persone sono morte nel Paese a causa delle piogge, e più di 5
milioni di indiani sono stati colpiti dalle inondazioni che hanno distrutto le
infrastrutture in 16 mila villaggi, alcuni rimasti isolati per giorni.
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OGGI SU
“L’OSSERVATORE ROMANO”
Aprono la prima pagina
gli approfondimenti sul terrorismo; Birmingham: uno degli arrestati è il
fallito "kamikaze" del 21 luglio.
Nelle vaticane, una
pagina dedicata al cammino della Chiesa in America.
Nelle estere, il
telegramma di cordoglio del Santo Padre per le vittime delle alluvioni che
hanno tragicamente colpito la regione di Bombay, in India.
Iraq: assassinati dal
gruppo di Al Zarqawi i due diplomatici algerini che erano tenuti in ostaggio.
Nella pagina culturale,
un articolo di Marco Testi dal titolo "Dinamiche visive e visionarie
dell'opera letteraria di Federigo Tozzi": la scrittura del romanziere
messa in relazione con l'intera cultura del primo Novecento.
Nelle pagine italiane,
in primo piano il tema del terrorismo.
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28
luglio 2005
IL VERTICE DELLA LEGA ARABA IN
EGITTO DOPO L’ONDATA DI TERRORISMO,
MENTRE MUBARAK AVANZA LA QUINTA CANDIDATURA ALLA
PRESIDENZA
- Intervista con Antonio Ferrari -
L’Egitto, ancora scosso dagli attentati di Sharm
el-Sheikh, si prepara ad accogliere proprio nella località del Mar Rosso, un
vertice straordinario della Lega Araba, convocato per mercoledì prossimo dal
presidente Hosni Mubarak. Ad Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere
della Sera ed analista di questioni mediorientali, Giada Aquilino ha chiesto
quale segnale voglia lanciare con questa decisione il presidente egiziano:
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R. – Mubarak si trova in una
posizione di estrema difficoltà come leader moderato del più grande Paese
arabo. Mubarak - che oggi ha annunciato di candidarsi per la quinta volta alla
presidenza della Repubblica, in vista delle elezioni del 7 settembre - teme che
questa ondata di terrorismo possa mettere in pericolo proprio quei regimi
moderati che con il terrorismo non vogliono avere nulla da spartire. Mubarak ha
ricevuto un colpo incredibile con l’ultima strage di Sharm el-Sheikh. Non
dimentichiamo che il turismo è la prima voce dell’economia egiziana. Un colpo
del genere, quindi, può addirittura cancellare le entrate di una intera
stagione. E’ chiaro ed evidente che l’attacco era diretto proprio al Paese e
alla sua stabilità di Stato moderato. Mubarak inoltre vuole coinvolgere in
questa strategia il maggior numero possibile di Stati arabi. Sicuramente saranno
dalla sua parte, anche per prendere delle misure e delle iniziative forti
contro il terrorismo, Paesi come la Giordania, forse anche la Siria e l’Arabia
Saudita: quest’ultima si trova in una situazione estremamente delicata, con un
possibile prossimo passaggio dei poteri: c’è chi dice che ormai Re Fahd stia
arrivando al traguardo della sua vita e quindi c’è da pensare ad una
transizione, la meno traumatica possibile. Ci sono poi la Tunisia, il Marocco,
l’Algeria. Insomma, credo che l’iniziativa in questo momento, anche con il
sostegno della Lega Araba, sia importante proprio per definire finalmente uno
spartiacque politico ed anche una linea comportamentale che in qualche modo
isoli sempre più questa infezione terroristica.
D. – Perché ora Mubarak ha
promesso nuove leggi contro il terrorismo?
R. – Siamo davanti ad un certo
paradosso. Si continua a chiedere ai Paesi arabi maggiore democrazia e più
rispetto dei diritti umani; però questi attacchi terroristici – come vediamo
nello stesso Occidente, che è stato obiettivo degli attacchi, basta pensare
agli Stati Uniti, alla Spagna, alla Gran Bretagna – stanno restringendo, in
qualche modo, un margine della nostra libertà quotidiana. E’ chiaro quindi che
anche da parte dei Paesi arabi - e dell’Egitto che ne è il più grande - c’è
proprio la volontà di promulgare e di far rispettare delle leggi ancora più
dure.
D. – Mubarak si ricandiderà per
un quinto mandato nelle elezioni di settembre, che vedono una sua scontata
vittoria, anche se ci saranno più candidati in lizza. Che tipo di elezioni
saranno, allora?
R. – Mubarak ha aperto, sia pure
con molti limiti, alla partecipazione di altri candidati. Dietro le quinte, c’è
sempre l’idea che Mubarak si ripresenti per poi tirare la volata al figlio
Gamal. La decisione di Mubarak di aprire ad altri candidati quantomeno limiterà
o eviterà che il risultato non ricalchi quello di certi Paesi comunisti di
antica memoria. Lo stesso Mubarak ha detto che si accontenterebbe di avere il
70 per cento dei consensi: questo potrebbe fargli dire che tutto sommato non
sono state elezioni plebiscitarie come d’abitudine, ma che in fondo c’è stato
un certo pluralismo. Da questo potrebbe poi trarre la forza per poter dire: in
fondo, sono ancora io la scelta migliore.
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IL DIALOGO POSSIBILE CON L’ISLAM CHE RISPETTA LA SACRALITA’
DELLA VITA,
OPPOSTO ALLA VISIONE RELIGIOSA STRUMENTALIZZATA DAL
TERRORSIMO
- Intervista con padre Justo Lacunza -
L’onda lunga delle stragi terroristiche in Occidente non
comporta conseguenze solo sul piano sociale e politico. La tensione e la paura
che hanno investito le società di questa parte del globo stanno producendo un
condizionamento culturale, che si ripercuote sul dialogo e la convivenza
pacifica con il mondo musulmano, che alcune frange insistono nel ritenere
impossibile. Su questo problema e sul modo di affrontarlo, Debora Donnini ha sentito
padre Justo Lacunza, rettore del Pontificio Istituto di Studi arabi e islamistica.
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R. –
Nei momenti di violenza è ovvio che noi sentiamo il colpo della morte e della
sofferenza. In questa situazione, nella quale vediamo la morte violenta, dovuta
al terrorismo, di moltissimi dei nostri fratelli e sorelle, in molte parti del
mondo, questo evidentemente getta sabbia nei nostri occhi. Non è facile individuare
le vie d‘uscita e, senza dubbio, quando accade un atto terroristico ci sono
dietro l’insegnamento e le finanze, l’indottrinamento. Questo evidentemente
lascia pensare che il terrorismo venga appoggiato, venga finanziato. La società
civile, quindi, innanzitutto i governi, gli Stati, che sono i primi
responsabili perché questa situazione del terrorismo venga gestita nel mondo
migliore, devono affrontare i problemi con provvedimenti che devono partire
dalle istituzioni stesse dello Stato.
D. – Si parla spesso
dell’importanza del dialogo con l’islam moderato…
R. – Qui è il problema. Ci sono
dei musulmani, ci sono delle formazioni, dei movimenti, che interpretano
l’islam in modo tale che per loro la via della violenza è garantita dalla lettura
dei testi. Ma questo, lo dobbiamo dire ad alta voce, è vietato nella visione
globale dell’islam. Nella religione islamica c’è la sacralità della persona
umana. Ci troviamo quindi davanti ad un fenomeno che è quello dei terroristi i
quali avvelenano le menti e i cuori, perché interpretano e utilizzano i testi
della loro religione in un determinato modo. La violenza, dunque, gli attentati
e ogni tipo di simili azioni, trovano fondamento in una lettura dei testi,
un’interpretazione di quello che per loro significa la religione musulmana.
D. – C’è forse una galassia di
organizzazioni, oltre ai terroristi, che magari non sono terroristiche, e che
però hanno una predicazione integralista e violenta… …
R. – L’insegnamento e
l’educazione sono assolutamente fondamentali. Incitare all’odio, chiamare alle
armi per lottare contro gli “infedeli”, contro l’Occidente, contro Israele,
contro chicchessia, evidentemente va condannato e va sottolineato, perché nelle
società libere, civili e democratiche non c’è spazio per ogni sorta di violenza
contro chicchessia, perché c’è la sacralità della persona umana che deve essere
al centro delle società umane. Questo, dunque, va condannato e fa parte del
mantenimento dell’ordine pubblico. Queste predicazioni, questi insegnamenti
vengono normalmente finanziati. Il problema è questo: la religione e la fede,
quando vengono trasformate con la miscela brutale, crudele, micidiale di una
ideologia che prende la violenza come strada maestra, evidentemente provocano
una grande esplosione.
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L’INTEGRAZIONE DEI FIGLI DEGLI IMMIGRATI DEVE
INIZIARE DALLA SCUOLA.
L’ARGOMENTO IN DISCUSSIONE ALL’VIII MEETING
INTERNAZIONALE DI LORETO
Da due giorni, Loreto è il fulcro di un’approfondita
riflessione ecclesiale e sociale sul fenomeno dell’immigrazione. A questo tema,
è dedicato l’VIII Meeting internazionale, promosso dai Padri Scalabriniani, dal
titolo “Figli di stranieri o figli di nessuno? I minori immigrati nell’Europa
di oggi e di domani”. A seguirne i lavori, è il nostro inviato, Giovanni
Peduto:
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Con l’analisi
del fenomeno della seconda generazione, l’appuntamento lauretano affronta un
tema cruciale per la nostra società sempre più anziana e sempre più povera di
nascite. Oggi, i figli degli immigrati cominciano a diventare parte integrante
della complessa problematica giovanile, ma nello stesso tempo vivono le
difficoltà di una duplice appartenenza, per cui è necessario prendere coscienza
della situazione per affrontare con serenità il problema, mettendo in atto
politiche organiche di integrazione nella società, nella scuola e nel mondo
della formazione professionale e del lavoro.
Si apre in altri termini un
problema che non è più soltanto di inclusione, ma di vera e propria piena
cittadinanza. Da questo punto di vista un ruolo fondamentale lo ha e deve
svolgerlo proprio la scuola, perché è nelle aule scolastiche che il futuro
della società ha già preso forma. Il numero dei bambini, figli di immigrati, è
crescente, così come numerose sono le etnie e le nazionalità rappresentate.
Tutto ciò pone il problema di costruire percorsi di integrazione e di
cittadinanza, partendo dal rispetto e dal dialogo delle diversità. Una sfida
importante, che richiede innanzitutto un’adeguata preparazione del corpo
docente, impegnato in questa funzione difficile. La carrellata delle esperienze
si è ampliata questa mattina nella riflessione e nel dibattito italiano, sia
per l’apporto significativo di esperti che stanno studiando il fenomeno, sia
con la presentazione di realizzazioni e di suggestioni molto varie, provenienti
da situazioni locali che dimostrano non solo la generosità degli operatori, ma
il supporto di analisi e di conoscenze sulla complessa situazione della seconda
generazione in Italia.
Il Meeting sulle migrazioni a
Loreto, guardando alla casa di Maria, qui venerata, scopre la scuola del vero
incontrarsi, del vero accogliersi, quindi la scuola del vero cammino verso
l’integrazione fra i popoli. L’umanità, guardando alla casa di Maria, scopre il
cuore di un’Europa che per il suo dna non può non camminare verso
l’integrazione, la solidarietà, la comunione nei diversi ambiti della vita
umana. Solo con queste premesse i minori immigrati potranno essere anch’essi
protagonisti nell’Europa di oggi e di domani.
Da Loreto, Giovanni Peduto,
Radio Vaticana.
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DA IERI FINO AL 31 LUGLIO, LA CAPITALE OSPITA LA
MANIFESTAZIONE
“STELLE E PIANETI NEL CIELO DI ROMA”,
SPONSORIZZATA, TRA GLI ALTRI, DALLA SPECOLA
VATICANA
- Il servizio di Rosa Praticò -
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Viaggiare nello spazio. Fare due
passi tra le stelle. Spiare costellazioni e pianeti. Trovarsi faccia a faccia
con Giove. La tuta d’astronauta non serve. In questi giorni, in Italia, basta
raggiungere il Belvedere più famoso della Capitale: il Pincio. La terrazza su
Piazza del Popolo si è trasformata in un osservatorio astronomico con tanto di
telescopi, monitor e binocoli speciali. E se non bastasse, anche un mini
planetario per saperne di più sul sistema solare o gli oggetti del cielo
profondo.
Inoltre, ogni sera, dalle 21.30,
per curiosi e appassionati, si svolge un ciclo di conferenze, con la
possibilità di incontrare esperti come l’astronauta Umberto Guidoni: il primo
europeo ad abitare la Stazione Spaziale Internazionale. Ma qual è l’obiettivo
dell’iniziativa? Lo abbiamo chiesto ad uno degli organizzatori, il dott.
Maurizio Chirri, dell’Associazione astrofili Hipparcos:
R. – Far conoscere al grande
pubblico quelli che sono gli obiettivi della nostra associazione ed ossia la
diffusione della conoscenza del cielo e di tematiche che sono connesse, come la
ricerca della vita nello spazio. Credo che iniziative come questa permettano
intanto di superare la distanza tra il mondo della ricerca e il grande
pubblico. Al Pincio, come conferenzieri, sono presenti docenti universitari e
ricercatori, ovvero coloro che fanno ricerca e la espongono con chiarezza al
pubblico, che apprezza questa iniziativa che è ormai giunta alla decima
edizione.
Non a caso l’iniziativa è
sponsorizzata da una serie di istituzioni scientifiche, tra cui la Specola
Vaticana. Ma qual è lo sguardo del cristiano verso il cielo? Abbiamo sentito
padre Sabino Maffeo, assistente del direttore della Specola:
R. – La prima cosa che mi viene in mente sono le
bellissime parole con cui iniziata un salmo: Coeli
narrant gloriam Dei et opera
manuum suarum annuntiat
firmamentum, il firmamento annuncia la gloria
di Dio. Oggi i cristiani hanno questa sensibilità? Non saprei. Molti anni fa,
padre Vigano scrisse un libro il cui titolo era “L’astronomia avvicina ancora a
Dio?”. L’astronomia, come altre scienze, può avvicinare a Dio, nel senso che
uno vede nelle cose che studia le meraviglie del Creato. Le vede naturalmente
non quando le scopre scientificamente, ma perché in base alla fede che ha
riesce a vedere in quelle cose che studia la presenza di Dio. Lo sguardo del cristiano
al cielo, che sia un ricercatore o uno scienziato, è quello di cercare per
scoprire i segreti della natura. Se invece lo fa come un contemplativo, allora
lo sguardo al cielo aiuta a contemplare la grandezza di Dio, a pregare, ad
unirsi a Lui e a lodarlo per le cose meravigliose che ha fatto.
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28
luglio 2005
IL PARLAMENTO POLACCO HA APPROVATO UNA LEGGE CHE
ISTITUISCE LA GIORNATA
DI GIOVANNI PAOLO II. IL 16 OTTOBRE IL PONTEFICE
SARÀ RICORDATO
COME PERSONALITÀ ESEMPLARE E PER LE SUE INIZIATIVE
DI PACE
- A cura di Tiziana Campisi -
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VARSAVIA. = Il Parlamento polacco ha istituito ieri con
una legge la Giornata di Giovanni Paolo II. La data scelta è il 16 ottobre, per
ricordare l’elezione sulla cattedra di Pietro del cardinale Karol Woytjla, nel
1978 arcivescovo di Cracovia. I sì sono stati 338, 3 i no, 2 gli astenuti:
questi, i dati della votazione parlamentare riferiti dall’agenzia cattolica
polacca, KAI. Nel testo normativo si legge che la giornata commemorativa vuole
rendere omaggio ad un uomo che, attingendo alle fonti del cristianesimo,
insegnava ad essere solidali, coraggiosi ed umili. “Il pontificato di Giovanni
Paolo II ha cambiato il corso della storia del mondo in ogni sua dimensione”,
spiegano le motivazioni della delibera parlamentare. “L’istituzione di una tale
giornata – asserisce la legge – esprimerà l’orgoglio che un tale grande umanista,
un uomo di profonda scienza e cultura, è stato formato dalla tradizione
polacca”. Il Parlamento chiarisce inoltre che la Giornata di Giovanni Paolo II
vuole fare memoria delle innumerevoli iniziative del compianto Pontefice volte
a risolvere conflitti sociali, politici ed internazionali. “Era un uomo di pace
e speranza – si legge ancora nella decisione
dell’organo legislativo – Indicava a tutto il mondo, ad ogni comunità, a tutti
gli uomini e ad ogni uomo che la vita si può rendere più umana, e insegnava
come, mantenendo la propria fede, è possibile donare agli altri rispetto e
amore”.
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ESPROPRIATE LE ABITAZIONI DI TRIBU’ INDIGENE NEL
NORD-OVEST DEL BANGLADESH PER COSTRUIRE UN “VILLAGGIO MODELLO”, FINANZIATO
DALL’UNIONE EUROPEA. SGOMENTO DEL VESCOVO DI DINAJPUR, MOSES COSTA, E DELLA
CARITAS LOCALE
DHAKA. = Membri delle tribù
indigene del nord-ovest del Bangladesh sostengono di essere stati espropriati
delle loro case dai rappresentanti dei governi locali e, nei giorni scorsi, si
sono riuniti nella capitale, Dhaka, in segno di protesta. Secondo alcuni
portavoce adivasi (indigeni), gli
ufficiali del distretto di Dinajpur hanno buttato fuori dalle loro abitazioni
almeno 65 famiglie, costrette a sfollare nel villaggio di Borodol, 190
chilometri a nord di Dhaka. Altre 50, nel distretto di Rajshahi, sono state
minacciate. Il governo locale vuole creare in queste aree alcuni adarshya
gram, “villaggi ideali”, con finanziamenti dell’Unione Europea. Durante la
manifestazione, cui hanno partecipato circa 150 rappresentanti di diverse
tribù, il leader della tribù dei Santal, Malai Tudu, che ha combattuto per
l’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan nel 1971, ha letto l’articolo della
costituzione che garantisce a tutti i bengalesi il diritto a vivere in libertà.
Albert Sorren, assistente universitario e cattolico Santal, si è chiesto se gli
espropri siano dovuti alla lontananza del governo, incapace di controllare le
amministrazioni locali: “Il governo – ha affermato – deve sapere come gli adivasi hanno abitato quelle zone per
centinaia di anni”. Inoltre, Santosh Sorren, direttore della Caritas a Dinajpur,
ha dichiarato che le terre degli adivasi
risultano “khash”, cioè
“terre di nessuno”, dove famiglie hanno vissuto indisturbate per oltre 100 anni.
La maggior parte delle famiglie minacciate a Rajshahi sono indù, mentre 15
delle 65 famiglie di Dinajpur sono cattoliche e si guadagnano da vivere con
lavori occasionali o coltivando la terra. La Caritas sta cercando di aiutare
queste famiglie con sussidi, attrezzature per la riabilitazione e assistenza.
Un rappresentante della Caritas ha dichiarato che il vescovo di Dinajpur, Moses
Costa, ha chiesto al ministro per gli Affari delle donne e dei bambini di
mettere in discussione questi espropri. Ha anche chiesto un’indagine
giudiziaria per far sì che le famiglie possano ritornare nelle loro terre.
Mons. Costa ha scritto, inoltre, al primo ministro e al vice-commissario del
distretto di Dinajpur, per giungere ad una soluzione sul piano umanitario. Si è
rivolto infine al rappresentante dell’Unione Europea a Dhaka, giacché sarà l’UE
a finanziare la creazione del “villaggio ideale” di Dinajpur. (R.M.)
“LA SFIDA MAGGIORE È STATA LAVORARE SEMPRE CON I
PIÙ POVERI E I PIÙ LONTANI DALLA CHIESA”: COSI’, MONS. MIGUEL IRĺZAR
CAMPOS, VESCOVO DEL CALLAO,
IN PERÙ,
NEL RICEVERE NEI GIORNI SCORSI LA MEDAGLIA D’ONORE PER IL LAVORO PASTORALE E
L’IMPEGNO SOCIALE, SVOLTO NEL PAESE PER 45 ANNI
CALLAO.=
Lunedì scorso, in concomitanza con la ricorrenza del 33.mo anniversario
dell’ordinazione episcopale di mons. Miguel Irízar Campos, vescovo del Callao,
in Perù, il Congresso della Repubblica peruviana ha insignito il presule della
medaglia d’onore con il grado di “commendatore”, in riconoscimento del suo disinteressato
lavoro pastorale e dell’impegno sociale svolto da più di 45 anni nel Paese.
Ringraziando dell’onorificenza, mons. Irízar Campos ha spiegato che “la sua
maggiore sfida è stata sempre quella di lavorare per i più poveri e i più
lontani della Chiesa”. “Ringrazio Dio per questo riconoscimento – ha affermato,
visibilmente commosso – ma devo dire che l’onorificenza più grande che posso avere
è la Croce di Cristo”. Mons. Irízar Campos, nato a Ormáiztegui, in Spagna, nel
1934, è giunto in Perù nel 1960, inviato in missione dalla sua Congregazione
religiosa, quella dei Passionisti. Nel 1972, fu nominato vicario apostolico di
Yurimaguas, scegliendo come motto episcopale: “Inviato a portare la Buona
Novella”. Ha lavorato 17 anni come vescovo missionario, annunciando il Vangelo
alle comunità native della foresta peruviana. Nel 1989, Giovanni Paolo II lo ha
nominato vescovo coadiutore della diocesi del primo porto peruviano del Callao,
di cui dal 1995 è vescovo. (R.M.)
IL MOVIMENTO CARISMATICO INDIANO, “JESUS YOUTH
INTERNATIONAL”
SI PREPARA ALLA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU’
DI COLONIA:
PREGHIERA E MISSIONE IN PRIMO PIANO
KOCHI.
= La preghiera personale, la Parola di Dio, i Sacramenti, la sequela di Cristo
e l’impegno per l’evangelizzazione: sono i cinque pilastri su cui si fonda
l’impegno del “Jesus Youth International” (JYI), movimento carismatico cattolico
nato nello stato indiano del Kerala negli anni ‘70, con lo scopo di portare
Cristo ai giovani con modalità e strumenti propri dei giovani. Una realtà che
oggi coinvolge oltre 30 mila ragazzi anche in altri Stati dell’Asia, in America
e in Europa. “I giovani hanno nel profondo del loro cuore il desiderio di
restare vicini a Gesù: con questa convinzione ‘Jesus Youth International’ ne
promuove la crescita umana e spirituale e li rende ben presto veri e propri
operatori di evangelizzazione, perché essi stessi diventino protagonisti nel
portare l’annuncio di Gesù Cristo”, spiega Manoj Sunny, uno dei responsabili
del movimento. “La realtà del JYI – precisa – si caratterizza con il marchio
della missione. Nel movimento, sta infatti crescendo il numero dei giovani
volontari che scelgono di trascorrere un anno della loro vita totalmente nel
servizio missionario. E’ un’esperienza davvero edificante, che lascia una
traccia profonda”. Oltre alla presenza nelle parrocchie, le piccole comunità
del JYI evangelizzano per le strade, nelle scuole, nelle università e nei
luoghi di aggregazione. Durante l’assemblea del “Jesus Youth International”,
tenutasi a Roma nel 2003, il movimento ha chiesto il riconoscimento ufficiale
della Santa Sede, attraverso il Pontificio Consiglio per i Laici. Dopo aver
preso parte alla Giornata mondiale della gioventù asiatica, grande raduno dei
giovani cattolici del continente tenutosi a Bangalore, in India, nell’agosto
del 2003, una folta rappresentanza del JYI si sta preparando da 2 anni alla GMG
di Colonia, per un esperienza di comunione e condivisione con gli altri giovani
del mondo. (R.M.)
NUOVA UDIENZA DAVANTI AL GIP DEL
TRIBUNALE DI ROMA
SULLE QUESTIONIDEL PRESUNTO
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO
CAUSATO DALLA RADIO VATICANA
ROMA. =
Nel quadro del procedimento in corso contro la Radio Vaticana per l’accusa di
omicidio colposo conseguente ad inquinamento elettromagnetico, il GIP Zaira
Secchi, dopo aver valutato la possibilità di eseguire perizie scientifiche
utili al processo, nei mesi scorsi aveva escluso la fattibilità di perizie
elettromagnetiche o biologiche, mentre aveva disposto l’attuazione di una
perizia epidemiologica, ritenendo che questa avrebbe potuto fornire
eventualmente dati rilevanti. Tuttavia, le indagini preliminari devono
chiudersi entro il termine massimo di due anni, che non è sufficiente per la
realizzazione di una simile perizia. Di conseguenza, il GIP ha deciso oggi di
restituire gli atti alla Procura della Repubblica, che deve valutare come
procedere ulteriormente, se è sua intenzione proseguire le indagini.
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- A cura di Amedeo Lomonaco e Andrea Cocco -
“Occorre
arrestare al più presto tutti i terroristi dei falliti attentati del 21 luglio.
Sono persone estremamente pericolose che hanno fatto un solo errore”. Lo ha
detto il capo di Scotland Yard, Ian Blair, durante una riunione con i capi
della polizia metropolitana
all’indomani dell’arresto di uno dei quattro attentatori, un giovane
somalo. Blair ha anche aggiunto che i terroristi latitanti o altre cellule
potrebbero colpire ancora. La polizia ha reso noto, intanto, che nelle ultime
ore sono state fermate 12 persone. Il nostro servizio:
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La
gigantesca caccia all’uomo, innescata da Scotland Yard dopo gli attacchi
terroristici del 7 luglio, continua ad alternare indagini e arresti.
Nell’ambito dell’inchiesta sui falliti attentati di giovedì scorso, almeno 9
persone sono state fermate in seguito a due blitz condotti in un quartiere a
sud della capitale. La polizia ha arrestato anche tre donne sospettate di aver
dato asilo ai terroristi. Tra i nove fermati, non sono compresi i 3 presunti
attentatori dei mancati attacchi di giovedì scorso. Il quarto, il somalo Yasir
Omar, è stato arrestato ieri. Omar è emigrato in Gran Bretagna dalla Somalia
nel 1992 e nel maggio del 2000 gli è stato rilasciato il permesso di soggiorno
permanente. Riceveva anche un regolare sussidio di povertà dal governo
britannico. La polizia ha annunciato, intanto, “il più massiccio dispiegamento
di sempre” di propri agenti nella metropolitana di Londra, per fornire maggiori
garanzie di sicurezza nel sistema dei trasporti. Nuovi
particolari emergono, inoltre, sugli attentati del 7 luglio: all’indomani della strage è stata ritrovata un’auto carica di
esplosivo. Sulla vettura c’erano ben 16 bombe. L’auto, lasciata nei pressi
della stazione ferroviaria di Luton, era stata noleggiata dai terroristi autori
dei 4 attacchi simultanei che hanno provocato la morte di 52 persone. Scotland
Yard ha reso noto, infine, che sono state identificate tutte le vittime.
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In Iraq, Al Qaeda ha annunciato di avere ucciso i due diplomatici
algerini rapiti giovedì scorso, minacciando azioni analoghe contro i
rappresentanti di altri Paesi arabi ed islamici. Sempre nella capitale, un
gigantesco rogo si è sviluppato in seguito all’esplosione di una bomba
collocata sui binari. L’attentato, perpetrato contro un treno-cisterna carico
di petrolio, non ha comunque provocato vittime. Sulla situazione in Iraq,
ascoltiamo al microfono di Andrea Sarubbi, il commento di Guido Olimpio,
esperto di terrorismo del Corriere della Sera:
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R. -
L’uccisione dei due diplomatici algerini, che segue quella dell’egiziano, è un
tentativo evidente di intimorire i Paesi che hanno pieni rapporti diplomatici
con l’Iraq: i gruppi terroristici vogliono isolare diplomaticamente l’Iraq.
Inoltre, è un tentativo di compiere un’azione di solidarietà con gruppi
estremisti che operano in Paesi come l’Algeria e lo stesso Egitto. Infine, è un
modo per la fazione di Al Zarqawi di dimostrare di condurre uno scontro
globale.
D. –
Sono stati colpiti l’Egitto, l’Algeria... C’è qualche Paese arabo che può
invece considerarsi al sicuro, in questo momento?
R. – In
questa fase, penso che pochissimi Paesi arabi possano considerarsi sicuri.
Forse un po’ la Siria, ma anche la Siria ha dei problemi. Fa passare, sì, i
mujaheddin e i volontari, ma in qualche caso li arresta. Quindi, non credo che
alcun Paese arabo sia sicuro in questa fase.
D. – Si
può effettivamente oggi – tra Iraq, Gran Bretagna ed Egitto – parlare di un
fronte globale del terrorismo?
R. – Con
queste azioni, indubbiamente, c’è una specie di saldatura del fronte, perché sono
frequenti i messaggi di appoggio ad Al Zarqawi da parte di alcuni gruppi mediorientali.
Ma in realtà soltanto alcune fasce estreme sono su questa linea. La Jemaah Islamiyah e la Jihad, infatti, hanno
condannato l’uccisione del diplomatico egiziano da parte di Al Zarqawi.
D. – Ma
qual è il disegno di Al Zarqawi? C’è anche un obiettivo politico?
R. –
Certamente, Al Zarqawi vuol dimostrare di essere potente. Uccide certamente moltissime
persone - non soltanto diplomatici, ma decine di civili iracheni - ma forse
politicamente non è così importante. Penso che sia diventata soltanto una setta
di assassini e basta. Al tempo stesso, però, si propone come il punto di
riferimento di tutte le forze più estremiste. In questo senso, ricalca il
disegno di Osama Bin Laden.
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Storico
annuncio nell’Ulster: l’Irish Republican
Army (lRA) ha dichiarato la fine della lotta armata e ha invitato i membri
delle Chiese protestante e cattolica a fare da garanti del processo di disarmo.
Il movimento paramilitare, fautore dell’unificazione tra l’Ulster e la
Repubblica d’Irlanda, ha ordinato a tutti i suoi militanti di deporre le armi
mettendo così fine ad un ciclo di violenza, durato 30 anni, che ha colpito
indiscriminatamente le truppe britanniche, gli unionisti protestanti e anche
civili cattolici. La decisione, resa nota con un comunicato diffuso poco fa,
era stata preannunciata ieri da uno dei leader del Sinn Fein, braccio politico
dell’IRA. Il leader del Sinn Fein, Gerry Adams, ha detto che la fine della
lotta armata da parte dell’IRA costituisce una grande “sfida” nei confronti dei
governi di Londra e Dublino.
Proseguono
i colloqui sulla crisi nucleare nordcoreana in corso a Pechino. “Le discussioni
con il governo di Pyongyang – ha detto il negoziatore americano Hill - non sono
facili, ma spero sia comunque possibile preparare una dichiarazione congiunta
entro le prossime 24 ore”. Il nodo da sciogliere dei negoziati, ai quali
partecipano le due Coree, la Cina, la Russia, il Giappone e gli Stati Uniti,
resta la ripresa delle ispezioni internazionali ai siti del programma nucleare
di Pyongyang.
Gli
Stati Uniti hanno annunciato, a sorpresa, la firma di un patto per la riduzione
dei gas serra con le principali potenze asiatiche: Giappone, Australia, Cina e
India. Siglato al di fuori del protocollo sui cambiamenti climatici di Kyoto,
che Stati Uniti e Australia si sono fino ad ora rifiutati di ratificare,
l’intesa mira a contrastare gli effetti dell’inquinamento sul riscaldamento
globale, attraverso lo sviluppo di nuove tecnologie nei Paesi emergenti.
Secondo diverse voci critiche, la nuova intesa tra Stati Uniti e Paesi asiatici
punta ad indebolire i risultati raggiunti con la firma del protocollo di Kyoto.
A differenza di quest’ultimo, che stabilisce specifici obblighi di riduzione
dei gas serra, il patto non prevede, infatti, nessun impegno vincolante per gli
Stati firmatari.
Seggi
aperti oggi in Uganda per il referendum che propone la reintroduzione del
multipartitismo. Nove milioni gli elettori chiamati ad esprimersi. Il servizio
di Giulio Albanese:
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A detta
degli osservatori, l’esito è già scontato in partenza: sarà una valanga di sì,
anche perché questa è l’indicazione fornita dal presidente Yoweri Museveni. La circostanza è curiosa, non fosse
altro perché fu proprio lui che nell’’86, dopo la presa del potere, abolì i
partiti denunciando la pericolosa deriva tribale che essi comportavano. Oggi,
però, ha cambiato idea e dice che tale rischio non c’è più, per cui è tempo di
ristabilire le regole democratiche. Ma molti osservatori individuano
nell’iniziativa di Museveni una sorta di escamotage per ottenere un terzo
mandato presidenziale, emendando in tal senso la costituzione. Risoluzione,
peraltro, già approvata due volte a larghissima maggioranza dal Parlamento, in
termini che, tra l’altro, non pongono più limiti al numero di mandati presidenziali.
Museveni, per ora, non si pronuncia ma è scontato che alla fine, secondo copione,
è il caso di dirlo, si inchinerà al volere popolare, avviandosi così di fatto,
secondo gli oppositori, ad una presidenza a vita. In altre parole, una sorta di
monarchia africana.
Per la
Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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I
rifugiati in sud Sudan nel mirino dei ribelli del nord Uganda: il sedicente
Esercito di resistenza del signore ha attaccato un campo sfollati nella città
meridionale di Juba, uccidendo almeno 8 persone. Il raid – sottolinea la
missione dell’ONU in Sudan – è la conferma che l’azione dei guerriglieri si sta
spostando sempre più oltre il confine dell’Uganda.
Dopo la comunicazione dei primi
risultati, ancora provvisori, appare scontata la vittoria dell’ex militare Joao
Bernardo Vieira alle elezioni presidenziali della Guinea Bissau. Ad annunciarlo
è stata questa mattina la Commissione elettorale nazionale, che ha reso noti i
risultati parziali dello scrutinio. Concluse con il ballottaggio del 24 luglio,
le elezioni dovrebbero porre fine al periodo di instabilità per il Paese,
scosso da una lunga sequela di colpi di Stato. Ma a Bissau, capitale del Paese,
il clima resta teso. Subito dopo l’annuncio dei risultati, il paese è stato
teatro di scontri violenti tra manifestanti delle opposte fazioni. Nella notte
di mercoledì l’ex presidente Malam Bacai Sahna, avversario diretto di Vieira al
ballottaggio di domenica, aveva già fatto sapere che non avrebbe accettato il responso
delle urne per presunti brogli commessi da Vieira.
E’ crisi
diplomatica tra Polonia e Bielorussia. Il governo di Varsavia ha richiamato il
proprio ambasciatore a Minsk e denunciato il regime del presidente Alexander
Lukashenko di reprimere la minoranza polacca in Bielorussia. “Le relazioni tra
Polonia e Bielorussia - ha detto il ministro degli Esteri polacco, Adam Rotfeld
- sono entrate in grave crisi in seguito alle iniziative assunte dalle autorità
di Minsk contro l’Associazione dei polacchi”. L’Associazione polacca è stata dichiarata
illegale da Lukashenko.
In
Bulgaria fallisce l’accordo sul nuovo esecutivo, che avrebbe visto uniti – in
un governo di minoranza – i socialisti ed un partito turco, il Movimento per i
diritti e la libertà. Già ieri, il Parlamento aveva bocciato l’investitura, per
un solo voto: la votazione è stata ripetuta, in seguito ad alcune proteste, ma
ha dato lo stesso esito.
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