RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
203 - Testo della trasmissione di venerdì 22 luglio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Clima sereno a Les Combes, dove prosegue la vacanza di Benedetto XVI: con noi Salvatore Mazza
OGGI IN PRIMO PIANO:
Il
presidente afghano Karzai,
a Roma per incontri istituzionali, condanna il terrorismo
CHIESA E SOCIETA’:
Angola: aggredito lunedì scorso l’amministratore apostolico di Cabinda, mons. Eugenio Dal Corso
Ucciso a Londra un
sospetto kamikaze che cercava di salire su un treno, mentre arrivano nuove
minacce terroristiche a Italia, Olanda e Danimarca
Dopo l’incontro con
Sharon visita a sorpresa di Condoleeza Rice in Libano per incontrare il
presidente Lahoud
22 luglio 2005
MENTRE
PROSEGUE LA VACANZA DI BENEDETTO XVI,
TORNIAMO
SULLE PAROLE DEL PAPA:
IL
TERRORISMO NON E’ FRUTTO DI UNO “SCONTRO DI CIVILTA’”.
LO
FACCIAMO CON IL PRESIDENTE DELL’UNESCO IN ITALIA, GIOVANNI PUGLISI
- Con
noi Salvatore Mazza e prof. Giovanni Puglisi -
Mattinata
all’insegna del riposo per Benedetto XVI in Valle d’Aosta, dopo l’escursione di
ieri sul monte Bianco. Il Papa potrebbe comunque
uscire nel pomeriggio per una passeggiata in alta quota, come già fatto nei
giorni scorsi. D’altro canto, cresce l’attesa per l’Angelus domenicale
quando i fedeli valdostani potranno incontrare Benedetto XVI. Ce ne
parla l’inviato di Avvenire, Salvatore Mazza,
raggiunto telefonicamente a Les Combes
da Alessandro Gisotti:
**********
R. – Stamattina il Papa non è uscito. Tuttavia
è un’altra giornata molto bella ed è quindi prevedibile che nel pomeriggio
esca, anche se ovviamente non si sa quale sia la sua destinazione. Potrebbe infatti tornare sui sentieri che partono dal pianoro, dove
si trova il suo chalet, come potrebbe scendere nuovamente verso il fondo valle
e da lì raggiungere una delle tante possibili destinazioni.
D. – Ieri Benedetto XVI ha avuto modo di scherzare con i
giornalisti che seguono queste sue prime vacanze valdostane. Si respira un
clima molto disteso, anche nell’entourage del Pontefice?
R. – Sì, direi che questa
tranquillità, questo clima molto rilassato e molto cordiale è veramente
palpabile. E’ un clima molto simpatico. Non c’è agitazione, il Papa fa fermare
la macchina, scende e saluta con calma, uno per uno, tutte le persone presenti.
E’ veramente un momento unico per poter incontrare il Papa in un’atmosfera, una
situazione molto, molto particolare.
D. – Domenica l’Angelus, lunedì l’incontro con il clero
valdostano: come sta vivendo la comunità locale l’attesa di questi momenti
pubblici di Benedetto XVI?
R. – Diciamo che c’è un’ansia
contenuta, nel senso che all’esterno non si nota nulla di particolare, ma
quando si va poi a mettere un po’ il naso nei paesini, nelle comunità e nei
luoghi di villeggiatura ci si accorge che la gente si prepara a partire. Si
capisce che è stata programmata la partenza domenica molto presto per evitare
di restare fuori dal pianoro, visto che più di tante
persone non può accogliere… domenica scorsa c’era una fila che arrivava fino al
fondo valle delle persone che avrebbero voluto seguire l’Angelus. Lunedì ci
sarà poi l’incontro con il clero locale: la conferma è arrivata soltanto tre
giorni fa. L’incontro avverrà nella piccola chiesa di Introd, dove si stanno facendo un po’ di corsa i
preparativi. Anche questo sarà un appuntamento molto
interessante.
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Intanto, è
ancora forte l’eco suscitata dalla riflessione di Benedetto
XVI in Valle d’Aosta sul terrorismo. Non è frutto di uno “scontro di civiltà”, ma l’opera irrazionale di “piccoli gruppi di
fanatizzati”, ha detto il Papa rispondendo alle domande dei giornalisti. Parole
che trovano il pieno sostegno del prof. Giovanni Puglisi,
presidente dell’UNESCO in Italia, intervistato da Alessandro Gisotti:
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R. – Io
preferire parlare, piuttosto che di scontri, di incontri
fra culture, anche un po’ per esorcizzare alcuni rischi che, in maniera
strumentale, tante volte, vengono portati all’attenzione della grande
informazione, quindi anche della gente più sprovveduta. Credo che le culture,
se sono tali, non possono scontrarsi. E’ l’ignoranza che determina lo scontro.
Le culture si possono soltanto conoscere, incontrare, integrare, confrontare.
D. – L’incontro, piuttosto che lo scontro, fra civiltà,
presuppone un dialogo. Benedetto XVI, e Giovanni Paolo II prima di lui, ha
messo molte volte in evidenza questo aspetto, cioè la
necessità di un impegno al dialogo, alla reciproca comprensione…
R. – L’UNESCO oggi sta proprio puntando moltissimo
sull’integrazione delle culture, sulla valorizzazione
di tutto ciò che si rapporta al superamento delle diversità culturali come
momento di scontro, appunto, e di conflitto. Credo che oggi il tema
dell’integrazione culturale, della valorizzazione delle
diverse esperienze passi attraverso la valorizzazione della dignità
della persona umana. E questo credo che sia il grande
messaggio che viene dalla Chiesa cattolica, che viene dall’impegno prima di
Giovanni Paolo II e adesso di Benedetto XVI: questo puntare sulla persona umana
come grimaldello per sconfiggere l’ignoranza e l’incompetenza culturale.
D. – Il Mar Mediterraneo per secoli è stato quasi un lago,
tanto erano vicine culturalmente le sponde tra Europa e Nord
Africa. In questo senso, come può essere utile oggi la cultura
mediterranea per far dialogare e far integrare il
mondo arabo con quello europeo?
R. – Il Mar Mediterraneo nell’antica latinità si chiamava mare
nostrum. Il pregiudizio di questa
espressione nasceva dalla concezione romana che quello era un mare che
apparteneva ad una cultura. E la prima cosa che facevano
i romani, ovunque essi arrivassero, era imporre la lingua, l’esercito e la
moneta. Oggi il Mar Mediterraneo è un piccolo lago rispetto alle dimensioni
planetarie, però è un lago nel quale si affacciano tradizioni, culture,
esperienze, tanto diverse da finire con il diventare conflittuali
fra di loro. Allora credo che oggi il grande messaggio
che può venire dal cuore del Mediterraneo, dalla sua vocazione al pluralismo,
alla sensibilità, è un messaggio di grande tolleranza, di grande apertura, di
grande rispetto per gli altri.
**********
L’IMPEGNO
DELLA CHIESA CONTRO LA “MODERNA SCHIAVITÙ” DELLA PROSTITUZIONE: RIFLESSIONE SUL
DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL’INCONTRO INTERNAZIONALE
PER LA
LIBERAZIONE DELLE DONNE DI STRADA,
-
Intervista con l’arcivescovo Agostino Marchetto -
Sempre in primo piano la “moderna
schiavitù” della prostituzione, fenomeno in crescita che coinvolge migliaia di
donne, spesso vittime del traffico umano. Lasciano casa e affetti, in cerca di un futuro
migliore e si trovano strette nel giro del mercato del sesso. Il delicato tema
è stato approfondito dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e
gli Itineranti, che nei giorni scorsi ha pubblicato il
documento finale del I Incontro internazionale per la liberazione delle donne
di strada, svoltosi il 20 e 21 giugno in Vaticano. Torniamo a parlarne con il
segretario del dicastero Pontificio, l’arcivescovo Agostino Marchetto,
intervistato da Roberta Moretti:
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R. - All’incontro hanno partecipato, oltre ai superiori
del Pontificio Consiglio e a cinque officiali del dicastero, due vescovi e vari
sacerdoti, religiosi, religiose e laici rappresentanti
delle Conferenze Episcopali di 19 nazioni europee, cioè Albania, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Repubblica Ceca, Danimarca (Paesi
Nordici), Estonia, Germania, Inghilterra, Irlanda, Italia, Montenegro, Olanda,
Polonia, Portogallo, Scozia, Slovenia, Spagna, Svizzera e Ungheria. Inoltre,
includendo gli esperti, erano rappresentati anche Paesi di altri
continenti, (Repubblica Democratica del Congo, India, Nigeria e Thailandia). Erano presenti tra loro delegati dell’Unione
dei Superiori Generali (USG), e dell’Unione Internazionale delle Superiore
Generali (UISG), del Consiglio episcopale Latino Americano (CELAM), della Commissione
Internazionale Cattolica per le Migrazioni (CICM), dell’Associazione “Comunità
Papa Giovanni XXIII”, della Legione di Maria e
rappresentanti di altre associazioni, tutti con
impegno apostolico nel settore, con un delegato di Caritas
Internationalis.
D. - quali le conclusioni dell’Incontro?
R. - Ricordo alcuni punti chiave: La prostituzione è una
forma di schiavitù moderna; v’é un legame tra migrazione, diritti e traffico di esseri umani. Le cause della prostituzione;
chi è la vittima; chi è il “cliente”. Le relazione
tra uomini e donne: a questo proposito il documento finale rileva che essa “non
é alla pari, poiché la violenza, o la minaccia di violenza, dà all’uomo privilegi e potere che possono
rendere le donne silenziose e passive. Esse e i bambini sono spesso spinti
sulla strada dalla violenza che soffrono da parte di
componenti maschili presenti in casa, i quali hanno “interiorizzato” la
violenza inoculata dalle ideologie e presente nelle strutture sociali. È triste
dover dire che pure donne partecipano all’oppressione
e alla violenza verso altre donne e alcune anzi sono spesso scoperte
all’interno di reti criminali collegate alla crescita della prostituzione”.
D. – Qual è il compito della Chiesa per combattere il
fenomeno della prostituzione?
R. - A questo proposito ricorderò solamente che la Chiesa
ha una responsabilità pastorale per promuovere la dignità umana di persone
sfruttate a causa della prostituzione e nel perorare la loro liberazione, dando
pure a tal fine un sostegno economico, educativo e formativo. La Chiesa deve cioè assumersi la difesa dei legittimi diritti delle donne. Programmi di formazione poi per agenti pastorali sono comunque necessari per sviluppare competenze e strategie al
fine di combattere la prostituzione e il traffico di esseri umani. Questi sono
modi importanti di impegnare sacerdoti, religiosi e religiose
e laici nella prevenzione e nella reintegrazione delle vittime. La collaborazione
e la comunicazione tra Chiese di origine e di destino
sono anche considerate essenziali.
D. - Che cosa hanno
proposto i partecipanti all’incontro?
R. - Va compiuta tutta un’azione della Chiesa per liberare le
donne di strada. Quando poi si affronta la
prostituzione, è necessario un approccio pluridimensionale. Esso deve coinvolgere
sia uomini che donne in reciproca trasformazione e
porre i diritti umani al centro di ogni strategia. Tutti i cristiani sono
chiamati ad essere solidali con le donne prigioniere della strada. In
ogni caso gli uomini hanno un importante ruolo da svolgere nell’aiutare a
raggiungere l’uguaglianza dei sessi, in un contesto di
reciprocità e di giuste differenze. Gli sfruttatori (generalmente uomini), che
sono “clienti”, trafficanti, turisti del sesso, ecc.,
hanno bisogno di essere educati, sia circa la gerarchia dei valori, che
riguardo ai diritti umani. Essi hanno bisogno anche di udire dalla Chiesa, se
non dallo Stato, una chiara condanna del loro peccato e dell’ingiustizia che
commettono. Il documento finale dell’incontro ricorda poi il ruolo delle Conferenze
Episcopali e quello delle Congregazioni religiose.
D. - Cosa si attesta nel
documento su educazione e ricerca?
R. - Con attenzione al gruppo mirato, è importante
accostarsi al problema della prostituzione senza trascurare la visione
cristiana della vita, con gruppi giovanili in scuole, parrocchie e famiglie, al
fine di sviluppare giudizi corretti a proposito di relazioni umane, genere,
rispetto, dignità, diritti umani e sessualità. I
formatori e gli educatori dovranno certo tener conto del contesto
culturale in cui lavorano, ma non permetteranno che un senso di imbarazzo
impedisca loro di impegnarsi in un appropriato dialogo su questi argomenti, al
fine di creare consapevolezza e preoccupazione riguardo all’uso e abuso di
sesso e amore. La Chiesa dovrà insegnare e diffondere la sua Dottrina morale e
sociale, che offre chiare linee di comportamento e invita a lottare per la
giustizia. Impegnarsi a vari livelli, locale, nazionale e internazionale, per
la liberazione delle donne di strada è un atto di vero discepolato
cristiano, un’espressione di autentico amore cristiano
(cfr. 1 Cor 13,3).
L’ultimo punto che amo ricordare riguarda la prestazione di servizi.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il titolo "La determinazione
di reagire alla paura": con ferma compostezza la popolazione di Londra ha
risposto agli attentati che ancora una volta intendevano seminare terrore e
morte. Questa mattina la capitale britannica ha vissuto altri momenti
drammatici: la polizia ha ucciso un presunto terrorista in una
stazione della metropolitana.
Nelle vaticane, una pagina dedicata al cammino
della Chiesa in Asia.
Nelle estere, Iraq: nuove accuse alla
Siria di sostenere gli insorti; proteste per la bozza della Costituzione che
riduce i diritti delle donne in nome della "Sharia".
Nella pagina culturale,
un articolo di Matthew Fforde
sull'opera del romanziere, storico e saggista Herbert
George Wells, fondatore
della letteratura di fantascienza in Gran Bretagna.
Nelle pagine italiane, in primo piano il
terrorismo.
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22
luglio 2005
IL
PRESIDENTE AFGHANO KARZAI, A ROMA PER INCONTRI ISTITUZIONALI,
CONDANNA IL TERRORISMO
- Servizio di Andrea Sarubbi -
La lotta al terrorismo,
la paura che le azioni di fanatici vengano confuse con
l’Islam, l’invito alla comunità internazionale perché rimanga unita e scelga la
strada della “collaborazione di civiltà”. Sono molti i temi trattati questa
mattina dal presidente afghano, Hamid
Karzai, in visita a Roma. Il capo del governo di
Kabul, che ieri ha incontrato il presidente italiano, Ciampi, ed oggi vedrà il premier, Berlusconi, ha
partecipato ad una conferenza presso l’Istituto italiano per l’Africa e
l’Oriente. C’era per noi Andrea Sarubbi:
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“WHEN EACH TERRORIST
ACTIVITY OCCURS, IMMEDIATELY…
Ogni volta che c’è un’azione terroristica, immediatamente,
in qualche modo, la si associa all’Islam. E questo è uno sbaglio enorme. Le persone che hanno ucciso
civili a Londra sono le stesse che uccidono religiosi,
bambini, innocenti in Afghanistan e negli altri Paesi. Non appartengono
a nessuna religione, sono soltanto mercanti di morte”.
È un Karzai
preoccupato, quello che si rivolge all’Italia. Preoccupato
del rischio terrorismo, sì, ma anche del suo possibile indotto: la rabbia
dell’Occidente contro milioni di musulmani come lui, come la sua gente.
Chiede alla comunità internazionale di tenere alta la guardia perché, “mai come
ora, nessun luogo è sicuro”. Contemporaneamente chiede di non dimenticare che la
guerra al terrore si vince e si perde solo restando uniti. D’altra parte,
spiega, le radici del terrorismo hanno responsabilità
comuni:
“TERRORISM… IT EMERGED FROM
THE SOVIET INVASION OF
Il
terrorismo è nato con l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Mosca cercava di
imporre il comunismo alla nostra gente ed il popolo afghano,
molto legato all’Islam, ha iniziato a difendere il proprio Paese e la propria religione. Milioni di persone
furono costrette a fuggire. Ma mentre ciò accadeva,
l’Occidente ed alcuni Paesi musulmani hanno unito gli sforzi per aiutare la
resistenza afghana, promuovendo però le tendenze religiose più estremiste.
Secondo loro, il modo migliore per combattere il comunismo era quello di radicalizzare lo scontro sul piano ideologico e religioso. Ed è qui che è iniziato il problema”.
Poi, quando l’Unione
sovietica è andata via, nessuno si è più interessato dell’Afghanistan. Forse
perché – commenta con amarezza Karzai
– non avevamo niente da vendere e niente da acquistare. Se
oggi il terrorismo è così potente da poter colpire “qualunque vita in qualunque
momento”, prosegue il presidente afghano, il resto
del mondo deve dunque riconoscere le proprie responsabilità:
“TERRORISM, AFTER THE
SOVIETS LEFT AND IN THE PAST DECADES WAS MAINLY A PRODUCT OF NEGLECT…
Il terrorismo, dopo la fine dell’invasione sovietica e
negli ultimi decenni, è stato principalmente un prodotto del disinteresse del
resto del mondo. Finché
riguardava solo l’Afghanistan, non interessava a nessuno. Ce ne
si è occupati solo quando sono state colpite New York, Madrid, ora purtroppo
anche Londra… e nessuno è al sicuro, se non lo combattiamo”.
**********
Combattere il terrorismo,
dunque, è la sfida di oggi. Per farlo - spiega ancora
Garzai - non basta bloccarne i canali finanziari: occorre invece fermare quei
governi che “utilizzano l’estremismo come uno strumento di politica estera” e
proporre un modello alternativo, quello della collaborazione di civiltà, che
oggi l’Afghanistan sta sperimentando grazie agli aiuti internazionali. E ne avrà bisogno ancora - conclude il presidente - dicendosi
però ottimista sul futuro di un Paese che, presto, firmerà anche una
partnership con la Nato:
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Nel giro di tre anni, l’Afghanistan avrà 6 milioni di
bambini a scuola. Abbiamo una Costituzione che garantisce alle donne il 27 per
cento dei seggi in Parlamento. Saranno proprio loro, le donne, le protagoniste
delle elezioni del 18 settembre, che con la creazione di un Parlamento completeranno le fasi principali del processo di
transizione. Certo, non saranno rose e fiori: avremo posto le fondamenta, ma ci
sarà ancora bisogno dell’aiuto di tutti, per molti anni ancora.
*********
TOGO: IL PRESIDENTE GNASSINGBÉ E IL LEADER DELL’OPPOSIZIONE OLIMPIO
COMPIONO A ROMA UN PRIMO PASSO PER METTERE FINE
ALLE VIOLENZE
- Intervista con Mario Giro -
Il presidente del
Togo, Faure Gnassingbé,
e il principale leader dell’opposizione, Gilchrist
Olimpio, hanno raggiunto ieri un’intesa per porre fine alla crisi politica
esplosa dopo il fallimento delle elezioni dello scorso 24 aprile. L’accordo,
siglato presso la comunità di S. Egidio, rappresenta un primo passo verso la
riconciliazione del Paese, scosso da violenti scontri tra governo e
opposizione. Secondo la lega togolese dei diritti
sarebbero almeno 800 le persone uccise dall’inizio del 2005. Andrea Cocco ha
chiesto a Mario Giro,
responsabile dei rapporti internazionali della Comunità di
Sant'Egidio, di illustrare il contenuto del comunicato di ieri:
**********
R. – E’ stato raggiunto un
accordo sulla liberazione di chi è stato imprigionato dopo tali fatti, sul
ritorno dei rifugiati, su una condanna per l’arresto della violenza da
qualunque parte provenga. Bisogna sapere che la
Comunità di Sant’Egidio lavora da più di un anno e mezzo su questo dossier e aveva già fatto rendere il passaporto da parte del
presidente Eyadema, il padre dell’attuale presidente Faure Gnassingbé, e Gilchrist Olimpio, capo dell’opposizione. I contatti sono
proseguiti continuamente fino a questo incontro, molto
importante, perché il presidente stesso si è spostato per venire ad incontrare
l’oppositore storico al suo regime.
D. – L’incontro di ieri
rappresenta solamente un primo passo in vista di un nuovo incontro che probabilmente
sarà concordato tra le parti. Quali sono i maggiori ostacoli e i punti più
controversi che dovranno essere risolti?
R. – Da settembre si lavorerà
sulle tematiche politiche per arrivare ad un accordo
politico, e cioè la revisione costituzionale del codice elettorale e altre cose
di questo tipo. E’ un lavoro difficile e delicato, perché naturalmente tutti sapete che il Togo ha vissuto 40 anni di potere autoritario.
A questo punto, piano piano si cerca di riuscire a
trovare la soluzione, negoziata tra i due maggiori contendenti. E poi, attualmente, bisogna considerare anche la presenza degli
altri partiti.
D. – Uno degli aspetti più problematici è quello dei rifugiati che sono fuggiti dal
Togo dopo le violenze. Quali sono attualmente le loro
condizioni?
R. – Sono molti: circa 60, 65
mila, tra il Ghana, il Benin, la Costa d’Avorio. Uno
dei punti di decisione di questi giorni è il ritorno
di questi profughi. Tra l’altro, c’è sempre il rischio che si prepari una
reazione violenta. In Togo non c’è la guerra, c’è
stata la repressione. Speriamo che non esploda in maniera incontrollata. E’
questo che cerchiamo di evitare.
**********
L’ARTE COME ANTIDOTO ALLA VIOLENZA E AI MALI DEL
MONDO: E’ IL TEMA
DEL TODI
ARTE FESTIVAL 2005, LA RASSEGNA DI MUSICA, DANZA E TEATRO
CHE PRENDE
IL VIA OGGI NELLA CITTADINA UMBRA, NELL’ITALIA CENTRALE
- Intervista con Simona Marchini
-
L’arte come antidoto alla
violenza e ai mali del mondo, lo spettacolo come segnale di speranza. È
questo il tema del Todi Arte Festival 2005, la rassegna
di musica, danza e teatro che si svolge ogni anno nella cittadina umbra,
nell’Italia centrale. L’edizione di quest’anno, che prende il via oggi e
prosegue fino al 31 luglio, ha un valore particolare perché è dedicata in gran
parte ai bambini. Il servizio di Isabella Piro:
**********
(musica)
Musica, danza, teatro e arti visive: sono queste le 4
sezioni i cui si divide il Todi Arte Festival.
L’edizione 2005 è dedicata all’ombra, nel senso di un percorso di evoluzione e di chiarezza che porta l’uomo ad esorcizzare
i suoi mali. Ascoltiamo la direttrice artistica del Festival, Simona Marchini:
R. – Ombra
interiore, ombra del mondo, ombra del negativo, ombra del male: un’ombra,
quindi, che ci portiamo dentro, ma che dobbiamo
esplorare e superare.
Ad aprire la rassegna, l’opera
di Gioacchino Rossini, Cenerentola. Una scelta
evidente legata ai bambini. Il ricavato della serata, infatti, sarà devoluto
all’UNICEF. Ancora Simona Marchini:
R. – La fiaba
è proprio il percorso interiore della nostra fiducia, della nostra
speranza nella vita, le cose buone che alla fine si avverano. E’ una Cenerentola
veramente bella. Le scene ed i costumi sono Pasquale Grossi. Ho inoltre una
compagnia di giovani meravigliosi e un maestro altrettanto giovane, il maestro
Pietro Rizzo, e vengono tutti rigorosamente gratis a
lavorare per l’UNICEF.
Ai più piccini è dedicata anche
la lettura “Ti scrivo per parlarti anche di me”, ossia le lettere di bambini da
tutto il mondo. Simona Marchini:
R. – E’ una
lettura, una visione generale di come il mondo si comporta con
l’infanzia. Pensiamo alle lettere di bambini all’UNICEF e non solo, ad annotazioni
di costume di maestri e di insegnanti sul loro
rapporto con i ragazzi; ad informazioni generali sullo stato dell’infanzia nel
mondo, sia quella più disperata sia quella più ricca.
“Ti scrivo per parlarti anche di
me” ha l’onore di chiudere il Festival: una scelta non casuale, conclude Simona Marchini:
R. – Voglio concludere
con una speranza, perché c’è moltissima gente meravigliosa che si occupa di
bambini in tutto il mondo ed anche in Italia. Anche se siamo sopraffatti
dall’orrore, dalle cattive notizie e dalle brutte cose, in realtà c’è
un’umanità che salva, che sostiene, che aiuta tutto ciò che è positivo e che è buono.
(musica)
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22 luglio 2005
ANGOLA: AGGREDITO LUNEDì SCORSO
l’Amministratore Apostolico di Cabinda, Mons. Eugenio
Dal Corso. DIFFUSA SOLO IERI LA NOTIZIA.
“Rimango al mio posto per continuare l’incarico
affidatomi dalla Chiesa”, HA DETTO IL PRESULE
Cabinda.
= “Sto bene, anche se
ho subito un’aggressione piuttosto violenta con colpi alla testa, che grazie a
Dio, non hanno avuto conseguenze gravi”. Lo ha detto all’agenzia Fides mons.
Eugenio Dal Corso, vescovo di Saurimo, nel nord
Angola, e amministratore apostolico di Cabina, che lunedì scorso ha subito una
violenta aggressione nella sagrestia della parrocchia dell’Immacolata
Concezione di Cabinda. Del
grave episodio si è appreso solo ieri. “Nonostante la
violenza subita intendo continuare la missione che mi è stata affidata dalla
Chiesa nella Diocesi di Cabinda”, ha affermato il
presule. Mons. Dal Corso era arrivato a Cabinda il 14 luglio per insediarsi come amministratore
apostolico, in attesa dell’arrivo del nuovo vescovo,
mons. Filomeno do Nascimento Vieira Dias. L’aggressione sarebbe avvenuta
mentre il vescovo si stava preparando a celebrare la Santa Messa nella
parrocchia dell’Immacolata Concezione. Si trovava nella sagrestia insieme al
parroco, quando sono giunti alcuni giovani. “Dove non
c’è pace non si può celebrare la Messa” avrebbero detto al prelato
aggredendolo, spingendolo a terra e colpendolo con pugni e calci. Accompagnato
all’ospedale i medici gli hanno riscontrato diverse ecchimosi e una lussazione a una mano. “Volevano ricoverarmi, ma ho preferito farmi
medicare e tornare nella Casa episcopale, per dare un segnale di serenità”, ha
dichiarato il vescovo. Secondo fonti locali il movente
dell’aggressione sarebbe da ricondursi a un intreccio di motivazioni etniche,
religiose e politiche. La violenza nei confronti di mons. Dal Corso ha
suscitato sdegno in tutta l’Angola. La Conferenza Episcopale e Sao Tomé hanno
diffuso un comunicato nel quale si esprime profonda indignazione per la dolorosa
notizia dell’aggressione fisica perpetrata contro la persona di mons. Eugenio
Dal Corso. Cabinda è un’enclave angolana
di 7.270 kmq, situata a 60 km dal resto dell’Angola, collocata tra la
Repubblica del Congo (Congo Brazzaville)
e la Repubblica Democratica del Congo (Congo Kinshasa, l’ex Zaire). La sua popolazione
è circa 250mila persone, dei quali 100mila originari
del luogo e gli altri rifugiati provenienti dai Paesi vicini. Nell’enclave
opera da decenni un movimento armato che rivendica l’indipendenza dall’Angola.
La principale posta in gioco del conflitto è il petrolio. L’enclave definita
“il Kuwait africano” possiede i due terzi delle riserve
petrolifere angolane. (T.C.)
Dialogo islamo-cristiano
in Australia:
occorre superare pregiudizi e
stereotipi,
lo afferma il Vescovo ausiliare di Melbourne
Melbourne. = Promuovere buoni rapporti e
legami di amicizia fra la comunità cristiana
d’Australia e quella musulmana: è l’intento dichiarato da mons. Christopher Prowse, vescovo
ausiliare di Melbourne, dopo i gravi attentati di Londra che hanno avuto
riflessi anche in Oceania. “Da quando ho instaurato legami di
amicizia con i leader musulmani della città mi sento una persona
migliore”, ha detto il vescovo. Mons. Prowse è stato invitato di recente a
un ciclo di incontri organizzato dalla comunità islamica di Melbourne. “Occorre
andare oltre gli stereotipi e promuovere dialogo e amicizia. Il rapporto con le
altre comunità religiose, in particolare con quella islamica,
non può consistere solo in una comparazione teologica e dottrinale. Ma deve
partire dall’eliminare l’ignoranza e i pregiudizi reciproci, promuovendo la conoscenza
e lo scambio a livello umano, in un dialogo di vita”, ha
osservato il presule. Secondo le stime degli studiosi, la comunità musulmana
d'Australia conta circa 350-400.000 unità su una popolazione di circa
17.000.000 di abitanti. L’Islam è, dopo quella
cristiana, la seconda religione tra quelle praticate
in Australia. Si tratta per lo più di emigrati da
Paesi a maggioranza musulmana, ma vi sono anche convertiti tra gli abitanti di
origine europea, stimati in circa 5.000. Il gruppo libanese è il più
consistente; seguono le comunità turca, egiziana, indonesiana, malese e
pakistana. La maggior parte dei musulmani abita a Sidney e nei dintorni, cioè nel Nuovo Galles del Sud. (T.C.)
IN INDIA, Mons.
Oswald Lewis, primo vescovo della nuova diocesi di Jaipur,
spiega le sfide di una missione
minacciata dal fondamentalismo
e dal proselitismo delle sette
evangeliche:
"Ma il
nostro lavoro deve continuare"
JAIPUR. = “Nonostante la violenza dei fondamentalisti la missione cattolica
in India deve andare avanti. Sarà Dio a guidare i nostri passi, perché
noi siamo solo Suoi strumenti”. È il messaggio di mons. Oswald
Lewis, nominato il 20 luglio da Benedetto XVI primo
vescovo della nuova diocesi di Jaipur, la 152°
dell’India. In un’intervista ad AsiaNews il presule,
che ricopriva il ruolo di ausiliare di Meerut, ha detto: “Ringrazio Dio per questa novità anche
se, nello stesso tempo, mi rendo conto dell’immensità del compito che mi si prospetta.
Il Rajasthan, come pochi altri Stati indiani, è un
luogo dove la Chiesa affronta una crisi”. “Infatti – spiega – anche qui il
decreto anti-conversione (atto con forza di legge che impone la comunicazione
alle autorità in caso di conversione a religioni non induiste)
è stato imposto dal partito al potere, il BJP (Bharatiya Janata Party,
sostenitore di una visione fondamentalista dell’induismo)”. “Sono noti e purtroppo recenti – ha proseguito
il vescovo – i molti casi di violenze contro i cristiani e non è un mistero che
l’Amministrazione statale abbia un pregiudizio che
favorisce gli estremisti. Nonostante la Chiesa cattolica ed i suoi
rappresentanti abbiano un buon rapporto con i singoli individui al potere,
quando si entra nel ragionamento di apparato statale o
amministrativo noi diveniamo sempre “gli altri”. Queste persone partono
dal presupposto che i cattolici siano 'diametralmente opposti' a loro e vedono in noi una minaccia, alla quale
rispondono con la violenza”. Il motto scelto da Lewis,
non appena ricevuta la nomina ad ausiliare di Meerut,
è 'Servizio in Umiltà', che manterrà nel nuovo
incarico. “Qui a Jaipur avrò la possibilità di
metterlo veramente in pratica”, ha affermato il presule. (T.C.)
EDUCAZIONE ALLA SALUTE E COINVOLGIMENTO DELLE
COMUNITÀ LOCALI,
PER COMBATTERE LA PIAGA DELL’HIV/AIDS IN
MALAWI:
È L’IMPEGNO DI SAVE THE CHILDREN, CHE DAL 1983
OPERA NEL PAESE AFRICANO
ROMA. = Migliorare la situazione
sanitaria e il livello di istruzione in Malawi, puntando sul coinvolgimento diretto della comunità
locale: è l’obiettivo dei progetti di Save the Children, che dal 1983 lavora nel Paese africano.
Quest’anno, considerando la sempre più grave diffusione dell’HIV/AIDS e le
catastrofiche conseguenze sulla popolazione infantile, l’Associazione ha
focalizzato il suo impegno nel sostegno a livello comunitario delle famiglie,
nell’educazione e nella prevenzione e mitigazione degli effetti della pandemia.
Operando attualmente in 18 dei 28 distretti del Malawi, Save the Children offre programmi di formazione e assistenza a
oltre 2 milioni di persone. Circa 92 mila studenti di 171 scuole nei distretti
di Balaka, Mangochi e Blantyre vengono coinvolti in
attività di educazione all’igiene personale e alla cura e prevenzione dalle
malattie più comuni. In 9 scuole sono stati creati anche orti nutrizionali e
oltre 76 mila alunni hanno tratto beneficio da questa iniziativa.
In molti istituti sono stati costruiti, inoltre, pozzi per accedere
all’acqua e ai servizi igienici. Per quanto riguarda, invece, l’attuazione di
misure per la prevenzione, la cura e la riduzione dell’impatto dell’HIV/AIDS, Save the Children è particolarmente impegnata nel distretto di Blantyre, che detiene il
triste primato dei sieropositivi
nel Paese, con 93.400 adulti contagiati. Un altro obiettivo è quello di
potenziare le capacità delle comunità di fornire cura e assistenza ai bambini
orfani e vulnerabili e ai malati cronici, attraverso la costruzione di 10
centri comunitari che offrano accoglienza e sostegno psico-sociale. (R.M.)
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- A cura di Amedeo
Lomonaco -
Un
sospetto kamikaze, che stava per salire su un treno, è stato ucciso a Londra da un agente in borghese. Secondo
gli inquirenti, l’uomo era uno degli attentatori coinvolti negli attacchi di
ieri rivendicati dalle “Brigate Al-Masri”. Il
messaggio contiene minacce esplicite all’Italia. Dopo Londra, “i prossimi segni
si vedranno a Roma, Amsterdam e in Danimarca”, si legge nel testo. Nella
capitale britannica, intanto, la tensione resta alta: poco fa è rientrato
l’allarme bomba in una moschea di Londra. Il servizio di Sagida
Syed:
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Alle 11.00 locali la polizia ha
sparato e ha ucciso un uomo, un sospetto kamikaze alla fermata della
metropolitana di Stockwell. L’uomo, che sarebbe morto
sul colpo, cercava di salire sul convoglio del treno, quando un poliziotto in
abiti civili, avrebbe estratto la pistola e sparato
cinque colpi; quello mortale lo avrebbe raggiunto alla testa. La stazione di Stockwell è stata evacuata e due linee della metropolitana,
la Northen e la Victoria, sarebbero
state sospese. Secondo un testimone, citato dalla BBC, il presunto
attentatore sembrava essere di origine asiatica. Nel
mirino della polizia, che ha l’ordine di sparare per uccidere di fronte a
potenziali kamikaze, restano i responsabili di quattro attentati,
fortunatamente non mortali in tre stazioni e su un autobus. Intanto le autorità
hanno riferito che entrambi gli uomini fermati ieri, uno nei pressi di Downing Street e l’altro vicino a Warren Street, sono stati rilasciati senza alcuna accusa.
Da Londra, per la Radio
Vaticana, Sapida Syed.
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Ma
quale segnale vogliono lanciare i terroristi con
queste nuove azioni a Londra? Roberto Piermarini lo
ha chiesto a Guido Olimpio, esperto di terrorismo del Corriere della Sera:
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R. – Vogliono dire
che possono colpire quando vogliono, come vogliono e dimostrare che la
sicurezza non può fare nulla contro di loro.
D. – Perché
ancora una volta Londra, visto che a New York e a Madrid non c’è stata una
replica degli attentati?
R. – A New
York non c’è stata una replica, perché la seconda schiera non è entrata in azione
o è saltato qualcosa nel piano. Dopo New York, in tutti gli attentati ci sono
sempre state nuove ondate, due o tre ondate. Questo
perché i gruppi vogliono dimostrare di poter colpire, di saper agire e
soprattutto di essere tanti.
D. – Quali differenze tra gli
attacchi del 7 luglio e quelli di ieri a Londra?
R. – Le differenze, secondo me,
sono minime: l’unica differenza è che i detonatori non hanno funzionato,
altrimenti avremmo avuto una strage identica e forse con più morti. Un altro
elemento che mi colpisce è che sicuramente gli artificieri non sono bravi e
quindi questo riporta al terrorismo fai da te. Questo non vuol dire che non sia pericoloso.
D. – E’ possibile l’effetto
emulazione e che i due gruppi non si conoscano?
R. – E’ possibile l’effetto
emulazione, ma io penso piuttosto che fanno parte comunque
dello stesso ambiente. Magari non sono necessariamente
collegati, ma sono probabilmente dello stesso ambiente. Troppi sono i
punti di contatto, troppe le similitudini. Ritengo inoltre che l’esplosivo sia
lo stesso e la composizione delle bombe identica. Sarebbe davvero una sorpresa
se fossero diversi.
D. – Ci sono rischi per
attentati con armi chimiche?
R. – Realizzare armi chimiche
oggi non è facile. Sono state fatte ricerche e studi, sappiamo che c’è questo
tentativo costante, ma fino ad oggi i terroristi non sono riusciti a
trasformare questi studi in armi. Questo non vuol dire
che non possa accadere e non vuol dire che non possano impossessarsi di qualche
ordigno, magari nell’Est europeo o in Russia, dove ci sono arsenali abbandonati.
D. – La pista di
Al Qaeda porta a Bin
Laden?
R. – Non necessariamente a Bin Laden, ma a coloro che si ispirano a Bin Laden. Possiamo dire che l’estremismo pakistano è l’estremismo più forte,
quello che fa da collettore di fondi, da centro di addestramento e da fonte di
ispirazione.
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In Iraq cinque persone, tra le quali tre poliziotti, sono
state uccise in due diversi attacchi in un quartiere nella parte ovest di
Baghdad. In entrambi i casi, uomini armati hanno sparato da auto in corsa. Un
primo commando ha aperto il fuoco contro una vettura delle forze dell'ordine,
nel quartiere occidentale di al-Baladayat:
due agenti sono morti. Poco dopo, nella stessa zona, è stato assassinato un
altro poliziotto: nella sparatoria hanno perso la vita anche due passanti.
È iniziata la missione in Medio
Oriente del segretario di Stato americano, Condoleezza
Rice, che è giunta ieri sera
in Israele per incoraggiare e rafforzare le condizioni per un ritiro ordinato
dei coloni ebraici dalla Striscia di Gaza:
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Ha assunto un’estensione ed una connotazione più ampia del
previsto la missione di Condoleeza Rice. Questa mattina, infatti, a sorpresa, dopo il
colloquio a Gerusalemme con il primo ministro israeliano Sharon, è partita per
il vicino Libano, ove avrà incontri con il presidente Lahoud, il nuovo
premier Siniora, ed
il figlio dell’ex premier Hariri, assassinato a
febbraio in un attentato. E’ la prima visita in due anni a Beirut di un
segretario di Stato americano e avviene all’indomani della formazione del
governo, su rapporti di forze espressi dalle recenti elezioni politiche,
seguite alla partenza dal Paese delle truppe siriane. Nell’esecutivo figura un
ministro del movimento fondamentalista islamico degli
Hezbollah. Ci sono, dunque, motivazioni sufficienti
per attribuire una grande importanza a questa missione della signora Rice, impegnata a promuovere in collaborazione con la
Russia per il prossimo settembre una conferenza regionale dei Paesi del Medio Oriente,
con l’obiettivo di dare nuovo impulso ai rapporti diplomatici ed economici fra
Israele e il mondo arabo. L’incontro della segretaria di Stato con Sharon è
stato definito dai collaboratori del premier
israeliano molto soddisfacente. E’ stato incentrato in prevalenza sul ritiro
dei coloni da Gaza, previsto per metà agosto, per il quale Washington chiede
che avvenga in stretta collaborazione con l’autorità palestinese.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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In Italia, il
Consiglio dei ministri ha approvato il pacchetto sicurezza per la lotta al
terrorismo. Il decreto legge anti-terrorismo prevede, tra l'altro,
l'introduzione del reato di addestramento alla
preparazione o all’uso di materiale esplosivo e la creazione di una task
force di polizia, carabinieri e guardia di finanza con specifici compiti e
funzioni anti-terrorismo. Il ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, ha detto che il
provvedimento ha come orientamento quello di rendere più chiare, cogenti e
efficaci ai fini anti-terrorismo norme di legge già in vigore e che non si
tratta di norme speciali. Anche in Francia sono state approvate misure
antiterrorismo: è stato deciso di potenziare il controllo sul territorio anche
attraverso maggiori strumenti di videosorveglianza.
La Camera dei rappresentanti americana ha rinnovato il Patriot Act, la legge
speciale antiterrorismo varata negli Stati Uniti dopo gli attacchi dell’11
settembre 2001. Contrariamente a quanto auspicato dal presidente George Bush, non tutte le misure contenute nell’Atto
diventeranno permanenti: le più controverse, in particolare quella che attribuisce
all’FBI e al ministero della Giustizia la facoltà di accedere, senza
l’autorizzazione del giudice, a dati di biblioteche e servizi pubblici,
resteranno in vigore per dieci anni. Gran parte dei principali provvedimenti
contenuti nella legge che ha spaccato l’America e la classe politica del Paese sono in scadenza alla fine del 2005. Il Senato
dovrebbe approvare il rinnovo della legge a settembre.
La Corea del Nord è disponibile a firmare un trattato di pace in
sostituzione dell’armistizio del 1953 con gli Stati
Uniti. Lo ha detto un portavoce del ministero degli Esteri di
Pyongang aggiungendo che un trattato di pace
risolverebbe la crisi nucleare sulla penisola coreana. Il nostro servizio:
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A quattro giorni dalla ripresa dei colloqui a sei a Pechino sul
programma nucleare di Pyongang, il governo della
Corea del Nord vuole firmare un trattato di pace con gli Stati Uniti in sostituzione dell’armistizio
che pose fine alla guerra di Corea, nel 1953. Lo ha reso noto
l’agenzia di stampa nord coreana precisando che il trattato di pace darebbe uno
slancio ai negoziati. “Sostituire il meccanismo del cessate il fuoco con un meccanismo
di pace nella penisola coreana porrebbe fine alla politica ostile americana
verso la Corea del Nord”, si legge in una nota del ministero degli Esteri. La
richiesta del trattato di pace precede l’apertura dei colloqui di Pechino: i
negoziati prevedono, in cambio dell’abbandono dei programmi nucleari, garanzie
sulla sicurezza e piani di assistenza economica
finanziati soprattutto dalla Corea del Sud. In questo nuovo corso della politica nord coreana, il miglioramento delle
relazioni con l’amministrazione americana costituisce inoltre un passo
fondamentale. “La costruzione di un meccanismo di pace – ha dichiarato infatti un portavoce dell’esecutivo nord coreano - è un
processo al quale la Corea del Nord e gli Stati Uniti dovrebbero pervenire per
raggiungere lo scopo finale delle denuclearizzazione
della penisola coreana”.
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Il senato giapponese ha approvato un progetto di legge che autorizza
il ministro della Difesa ad intervenire da solo, senza l’obbligo di consultare
il Consiglio dei ministri, in caso di attacco
missilistico. Lo hanno annunciato fonti ufficiali giapponesi precisando che il
progetto di legge è stato approvato con 126 voti a favore e 94 contrari.
Secondo i calcoli fatti dal ministero della Difesa di Tokyo, un missile nordcoreano impiegherebbe solo 10 minuti per arrivare sulle
isole del Giappone.
La Germania andrà alle urne il prossimo 18
settembre. Ieri infatti il presidente tedesco Koehler ha annunciato lo scioglimento del Bundestag, il Parlamento di Berlino e ha indetto elezioni
anticipate. Il servizio è di Giada Aquilino:
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Era attesa da tre settimane la
decisione del presidente Koehler, dopo che il 1°
luglio scorso il cancelliere Schroeder, incassando la
sfiducia al Bundestag, si era recato dal capo di Stato con la
richiesta di sciogliere il Parlamento. Poche ore prima la sua Spd aveva registrato una netta sconfitta nel land Nord Reno-Westfalia, ex
roccaforte dei socialdemocratici. Allora Schroeder
parlò di difficoltà a governare per un'opposizione crescente in seno alla
maggioranza, invocando una nuova legittimazione popolare per continuare il
programma di riforme. Scontata quindi la sua candidatura per
un terzo mandato. Meno scontata la vittoria, dato che
a sfidarlo sarà la leader cristiano-democratica Angela Merkel.
Il presidente Koehler, in un discorso televisivo, ha
invocato la necessità di un governo che possa contare
su una solida maggioranza al Bundestag, in un momento
di profonda crisi: “milioni di persone - ha ricordato Koehler
- sono senza lavoro, molte di esse da anni”. I tedeschi potrebbero dunque
essere chiamati alle urne già il 18 settembre, se arriverà
parere favorevole dalla Corte costituzionale.
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In Kenya, il Parlamento ha approvato la nuova bozza della
Costituzione che attribuisce la maggior parte
dei poteri al capo di Stato. Rispetto alla bozza precedente, il nuovo testo
ridimensiona inoltre le funzioni del primo ministro. La riforma della Costituzione,
voluta dal presidente Mwai Kibak,
è stata fortemente criticata. Il Paese è stato scosso, infatti, da sanguinosi
scontri fra manifestanti e poliziotti che, negli ultimi giorni, hanno provocato
a Nairobi la morte di una persona.
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