RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
202 - Testo della trasmissione di giovedì 21 luglio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Allarme della Chiesa dello Zimbabwe per la diffusione della
violenza in tutto il Paese
“Donne e uomini di speranza”: è lo slogan scelto
dalla direzione delle Pontificie Opere Missionarie
per l’ottobre missionario 2005
Ancora violenza in Iraq mentre fa discutere il
testo della nuova costituzione non ancora reso pubblico
Il ritiro israeliano da Gaza, previsto per il 15
agosto, potrebbe essere anticipato: lo rivela l’ufficio del premier Sharon
21
luglio 2005
IL PAPA, CHE IERI HA SOTTOLINEATO COME NEL MONDO NON SIA IN
ATTO
UNO SCONTRO DI CIVILTÀ, HA LASCIATO STAMANI
LES COMBES
PER UN’ESCURSIONE
SUL MONTE BIANCO
-
Interviste con Salvatore Mazza e con il cardinale Renato Raffaele Martino -
Dopo la prima escursione in Valgrisanche, ieri, e le
dichiarazioni rilasciate ai giornalisti sugli attacchi di Londra nelle quali il
Papa ha definito irrazionale il terrorismo, il Santo Padre ha lasciato il suo
chalet di Les Combes e ha fatto un’escursione stamane sul Monte Bianco.
Ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco l’inviato di Avvenire, Salvatore
Mazza:
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R. - Il Papa
stamattina, approfittando di una nuova giornata veramente molto bella, è uscito
molto presto, verso le 9.30, ed è andato sul Monte Bianco. Ha percorso i tre
tratti della funivia fino al ghiacciaio, ha assistito ad una messa, che non ha
celebrato lui, e poi si è fermato lì a contemplare il panorama che si gode da
lì. E’ rientrato verso le 12.30 al suo chalet. Prevedibilmente oggi resterà a casa.
D. – Al ritorno
allo chalet di Les Combes, il Papa ha anche scherzato con i giornalisti?
R. – Sì, ha visto tutti noi
schierati, con i microfoni già pronti. E’ stata una cosa molto cordiale. In
parte già conosce i giornalisti che sono qui. Ci sono poi molto fotografi ed
operatori. Ha scherzato ed ha scambiato con noi qualche battuta.
D. – Il Papa,
ieri, incontrando i giornalisti a Les Combes, ha detto che il terrorismo è
irrazionale e che nel mondo non è in
atto uno scontro di civiltà...
R. - Il Papa era uscito
in passeggiata ed è stato aspettato al rientro. Gli è stato chiesto che cosa
pensasse della situazione internazionale con il terrorismo che colpisce in
tutto il mondo. Benedetto XVI ha risposto dicendo che prega costantemente per
queste situazioni ed ha detto di essere convinto che non è in atto uno scontro
di civiltà, ma che solo piccoli gruppi di fanatici stanno cercando di portare
la violenza nel mondo e che il dialogo tra le religioni può sicuramente
contribuire a fermare l’ondata di violenza perché la volontà di chi vuole la
pace deve essere più forte del terrorismo. Per questo occorre pregare e per
questo occorre ancora una volta il dialogo tra le tre grandi religioni
monoteistiche.
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Il Papa ha dunque definito irrazionale
il terrorismo. Su queste parole pronunciate ieri dal Santo Padre a Les Combes,
ascoltiamo nell’intervista di Fabio Colagrande, una riflessione del cardinale
Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e
della Pace:
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R. – Non si tratta di uno
scontro tra civiltà, ma di un qualcosa di irrazionale: il terrorismo può
crescere anche in zone NON islamiche e questo lo vediamo purtroppo tutti i
giorni. E’ veramente irrazionale. Tempo fa io stesso ho definito il terrorismo
come la IV Guerra Mondiale, essendo stata la III la Guerra Fredda. L’umanità
deve ora fronteggiare questa guerra contro il terrorismo, che è purtroppo
imprevedibile, poiché può colpire dappertutto e in qualsiasi momento. E questo
fatto - ha detto Papa Benedetto XVI – è veramente irrazionale. Questa deve
essere la preoccupazione dei governi e di tutti quanti noi nel combatterlo e
nel prevenirlo. Questo è importantissimo che si faccia, senza perdere la calma
e sempre nel rispetto dei diritti umani.
D. – Non è uno scontro tra
religioni, dunque?
R. – Assolutamente no. Sappiamo
bene che Giovanni Paolo II parlò contro la guerra in Iraq e disse chiaramente
che non si trattava di una guerra di religione. Io sono stato testimone di
delegazioni che sono venute in Vaticano per ringraziare Giovanni Paolo II per
quanto fatto e per quanto detto per cercare di evitare che quella guerra
venisse interpretata come guerra di religione. Così anche per il terrorismo: si
tratta, infatti, di elementi che agiscono irrazionalmente. Naturalmente,
bisogna cercare di capire perché lo fanno e quindi ricercare anche le cause di
tutto questo, cercando poi di ovviare a quelle cause.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina il titolo "Il terrorismo non è frutto di uno 'scontro di
civiltà' ": Benedetto XVI, rispondendo alle domande di alcuni giornalisti,
ha riaffermato il valore della preghiera e del dialogo tra le religioni per
arginare la violenza.
Riguardo
all'Iraq un articolo dal titolo "Nel ricordo dei 32 bimbi uccisi l'anelito
ad un futuro di pace": tre minuti di silenzio per la strage perpetrata a
Baghdad il 13 luglio.
Kenya:
imponente e commossa partecipazione di popolo ai funerali del Vescovo Luigi
Locati a Isiolo; la Messa esequiale presieduta dal Nunzio Apostolico e concelebrata
da 17 Presuli e da 250 sacerdoti.
Nelle
vaticane, una pagina dedicata al tema dell'Eucaristia.
Nelle
estere, un articolo dal titolo "Continua lo stravolgimento del progetto di
Dio sulla famiglia: in Canada le unioni omosessuali equiparate al matrimonio".
Nella
pagina culturale, per la rubrica "Oggi" un articolo di Gaetano
Vallini dal titolo "Quando la durezza del cuore cancella affetti e
riconoscenza": il nipote che ha sfrattato la nonna di 97 anni.
Nelle
pagine italiane, in primo piano il tema della giustizia.
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21 luglio 2005
TORNA
A KAZAN, IN RUSSIA, L’ICONA DELLA MADRE DI DIO
DONATA
LO SCORSO ANNO DA GIOVANNI PAOLO II AD ALESSIO II
Il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Alessio II ha
riconsegnato questa mattina alla diocesi di Kazan la storica icona della Madre
di Dio, donata il 28 agosto dello scorso anno alla Chiesa ortodossa russa da
Giovanni Paolo II. La giornata di oggi è stata scelta perché proprio il 21
luglio ricorre la festa dell’apparizione dell’icona. La Madonna di Kazan era
stata regalata al Papa, nel 1993, dall’Armata Azzurra, organizzazione cattolica
legata alla devozione alla Madonna di Fatima. Affidata dal Santo Padre al
cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei
Cristiani, perché fosse consegnata al patriarca russo Alessio II, prima di
partire per Mosca è stata esposta alla venerazione dei fedeli nella basilica
vaticana, sempre lo scorso anno, il 26 agosto. La città di Kazan celebrerà i
mille anni della fondazione in agosto. Da Mosca Giuseppe D’Amato:
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L’icona della Madonna di Kazan è finalmente tornata a casa.
Il patriarca di Mosca Alessio II l’ha riportata sulle rive del Volga, con una
cerimonia seguita da una processione è stata riconsegnata alla diocesi di Kazan
dopo 101 anni di assenza. Lo scorso agosto, il cardinale Walter Kasper, su
incarico di Papa Giovanni Paolo II, l’aveva riaffidata al patriarcato di Mosca
dopo un lungo peregrinare in giro per il mondo. Quella della madonna di Kazan è
la più famosa icona, quella maggiormente venerata dagli ortodossi russi, quella
che rappresenta anche la riappacificazione fra le varie confessioni religiose.
Il dialogo musulmano-cristiano è uno dei più importanti indirizzi dell’attività
della Chiesa ortodossa russa, ha detto nella sua omelia Alessio II. Nella
cattedrale dell’Annunciazione era presente anche il parroco cattolico di Kazan.
Migliaia di persone hanno assistito alla cerimonia attraverso schermi posti
nelle strade.
Non si sa ancora dove sarà conservata l’icona che,
probabilmente, verrà esposta solo a Pasqua e a Natale nella cattedrale. La
cappella dove per secoli rimase fu distrutta dai bolscevichi, che al suo posto
vi costruirono una fabbrica di tabacco. Il vicino monastero della Vergine è
stato appena riaperto.
Da Mosca per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.
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NIGER:
GRAVE LA CRISI ALIMENTARE CHE AFFLIGGE IL PAESE
E CHE
ERA STATA PRATICAMENTE ANNUNCIATA
-
Intervista con Caterina Falomo -
Nei mesi estivi
potrebbe diventare ancora più grave la crisi alimentare che affligge il Niger.
Colpito alla fine del 2004 dalla siccità e da una terribile invasione di
cavallette, che ha distrutto la maggior parte del raccolto, il paese è oggi
allo stremo. Secondo gli ultimi dati diffusi dall'Onu sono oltre 3 milioni e
mezzo le persone che soffrono la fame, pari a circa un quarto della
popolazione. Di queste almeno 800 mila sono bambini. Andrea Cocco ha chiesto a
Caterina Falomo dell'ufficio stampa di Medici senza frontiere, di descrivere la
situazione nelle zone del Niger dove è presente l'organizzazione.
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R. – Medici senza frontiere da molto tempo sta seguendo la
situazione del Niger. Da gennaio scorso ha rilevato cifre veramente
impressionanti. All’inizio di giugno nei centri nutrizionali di Medici senza
frontiere sono stati ricoverati più di 9 mila bambini gravemente malnutriti e
si registra un incremento tre volte maggiore rispetto all’anno precedente. Sicuramente
è una situazione molto grave che va affrontata come una vera e propria emergenza.
D. – Il 28 giugno Medici senza frontiere ha reso noto un
rapporto sulla crisi alimentare in Niger. Nel documento si sottolinea come la
crisi fosse però ampiamente prevedibile. Ci può spiegare il perché?
R. – E’ dallo scorso ottobre che ci sono queste cifre
sconvolgenti, per quanto riguarda la malnutrizione nel Niger. Nove mesi più
tardi, nonostante i magazzini siano pieni e il miglio ancora inaccessibile per
le persone più colpite, ancora, tuttora, non viene fatta nessuna distribuzione
gratuita di cibo. Questo perché è stata messa in atto una politica dei prezzi
da parte dei principali finanziatori e dalle istituzioni dell’Onu, nonché
appunto dal governo del Niger, che mira a non abbassare il prezzo del miglio.
D. – Quindi, il sistema degli aiuti alimentari, che in
Niger è gestito dal governo insieme ai Paesi donatori, ha fallito il suo
compito finora?
R. – Sicuramente ha fallito, perché appunto tiene conto di
realtà che sono soltanto economiche e non guarda quella che è l’emergenza in
corso.
D. – Ad inizio luglio il World Food Program, agenzia
dell’Onu che si occupa delle emergenze alimentari, ha annunciato di voler
triplicare il numero di persone che attualmente hanno accesso ai programmi di
distribuzione del cibo gratuito. Pensi che un aumento degli aiuti possa
bastare?
R. – Sicuramente maggiori sono gli aiuti in questo momento
e più si riesce a ridurre questa emergenza. Non per niente Medici senza
frontiere fa un appello soprattutto alle altre organizzazioni non governative
perché si attivino in una risposta immediata a questo problema.
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LA
BOZZA FINALE DELLA CARTA SUI DIRITTI FONDAMENTALI
DELLE
POPOLAZIONI INDIGENE: E’ QUANTO CI SI ATTENDE
DALLA
23.MA SESSIONE DEL GRUPPO DI LAVORO DELL’ONU
SULLE POPOLAZIONI AUTOCTONE IN CORSO A GINEVRA
-
Intervista con Vincenzo Buonuomo -
La Commissione per i Diritti umani delle Nazioni Unite
definisce indigeni “coloro che, avendo una continuità storica con le società
precoloniali che si svilupparono sui loro territori, si considerano distinti
dagli altri settori della società che ora sono predominanti su quei territori,
o su parti di loro”. Oltre 300 milioni di persone, dislocate in circa 70 Paesi,
rientrano in questa definizione rappresentando il 4% della popolazione mondiale
ed il 90% della diversità culturale del pianeta. Da lunedì scorso, i
rappresentanti e i leader indigeni sono riuniti a Ginevra per partecipare alla
23.ma sessione del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle popolazioni
autoctone chiamato ad approvare la bozza finale della dichiarazione sui loro
diritti fondamentali. Ma qual è l’impegno della comunità internazionale nei
confronti di questi gruppi? Donika Lafratta lo ha chiesto al prof. Vincenzo Buonomo,
docente di Diritto Internazionale alla Pontificia Università Lateranense:
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R. - Io farei riferimento al decennio sulle popolazioni
indigene, iniziato nel 1994 e conclusosi l’anno scorso, e all’apertura del
nuovo decennio che dovrà essere decisa proprio in questi giorni. Un decennio
che significa non una celebrazione dei popoli indigeni, bensì un tentativo di
creare una coscienza all’interno delle persone perché si possano rispettare e
garantire i diritti di queste popolazioni. Questo impegno ha significato, per
esempio, programmi specifici per l’istruzione, la sanità, la creazione di
strutture di governo per i popoli indigeni che in alcuni Paesi ha portato già
risultati concreti. Diverse situazioni, in cui la comunità internazionale è in
qualche modo impegnata, trovano un ostacolo fondamentale, cioè l’atteggiamento
degli Stati che sono poco disposti ad accettare una possibilità che gli
indigeni siano una voce diversa rispetto alla restante parte della popolazione.
D. - Cosa reclamano le popolazioni autoctone?
R. – Anzitutto il diritto all’autodeterminazione, che può
significare per gli indigeni un rapporto diretto con le risorse, con la terra,
con il loro patrimonio culturale. Gli indigeni poi reclamano di vedere la loro
cultura ancestrale riconosciuta negli ambiti dei processi di educazione o
nell’ambito dello stesso insegnamento scolastico. Gli indigeni vorrebbero
venisse riconosciuta la loro identità di indigeni.
D. - Il diritto alla terra e al territorio rappresenta uno
dei principali diritti rivendicati dalle popolazioni autoctone. Perché?
R. – Nella definizione di lavoro di popolo indigeno che
viene data dalle Nazioni Unite nel 1979
c’è questo legame ancestrale con la terra. Per loro la terra è madre, per loro
la terra è fonte di lavoro, è fonte di ricchezza, è fonte anche di risorse
naturali.
D. – Quanto è forte la loro voce nella comunità
internazionale?
R. - Un esempio è quello della costituzione del Forum permanente
sulla questione indigena all’interno delle Nazioni Unite. Una struttura che
doveva servire a rendere comune a tutto il sistema dell’ONU la questione
indigena. Questa struttura si è trasformata in un forum permanente al cui
interno convivono rappresentanti dei governi e rappresentanti di popolazioni
indigene. Questo è il modo attraverso cui le comunità indigene riescono a far
sentire la loro voce sul piano ufficiale.
D. - Qual è l’impegno della Chiesa cattolica nei confronti
delle popolazioni indigene?
R. – Qui farei una distinzione. Da una parte, l’impegno
pastorale della Chiesa che si affianca sempre alla prospettiva della promozione
umana e quindi di quello che può essere lo sviluppo integrale delle comunità
indigene. Non possiamo dimenticare che la Chiesa fin dall’inizio della
colonizzazione è stata un po’ il punto di forza di una rivendicazione dei diritti
di queste comunità. Non possiamo dimenticare, per esempio, che nei viaggi di Giovanni
Paolo II più volte egli ha incontrato comunità indigene dando loro il pieno
sostegno della Chiesa cattolica per le giuste rivendicazioni, come le chiamò
più volte Giovanni Paolo II. Dall’altro, poi, c’è un impegno della Santa Sede
sul piano internazionale che è finalizzato a garantire anche alle comunità indigene
un riconoscimento dei diritti fondamentali.
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IL
SANGUINOSO CAMMINO DI UN PICCOLO POPOLO VERSO LA LIBERTÀ:
E’ LA
STORIA RACCONTATA NEL LIBRO
“OBIETTIVO TIMOR EST”, DI ANDREA CURTI
-
Intervista con l’autore e con Benedetto Giuntini -
Il sanguinoso cammino di un piccolo popolo verso la
libertà. E’ la storia raccontata nel libro “Obiettivo Timor Est”, presentato
nei giorni scorsi all’Università La Sapienza di Roma, dove l’autore Andrea
Curti, ripercorre, attraverso un excursus storico e geografico, le vicende che
interessarono l’isola dall’invasione da parte dell’Indocina, avvenuta nel 1974,
fino alla Dichiarazione di indipendenza giunta nel 2002 grazie all’intervento
dell’ONU. Il servizio di Marina Tomarro:
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Nel 2002 Timor Est viene dichiarato territorio libero
dalle Nazioni Unite dopo essere stata occupata dall’Indonesia per oltre 25
anni. Questa indipendenza è costata la vita ad oltre un terzo degli abitanti
della piccola isola del Sud-Est Asiatico. Andrea Curti, che ripercorre nel suo
libro “Obiettivo Timor Est” le tragiche vicende che i timorensi vissero durante
quegli anni, ci spiega perché il cammino di questo popolo verso la libertà è
stato così travagliato:
R. – Le motivazioni sono tante. Anzitutto perché è stata
colonizzata per 400 anni. Quest’isola del Sud-Est Asiatico ha visto prima gli
olandesi, i portoghesi e poi le invasioni del Giappone durante la II Guerra
Mondiale. Si tratta quindi di una storia molto travagliata. Penso che questa
storia così travagliata abbia ancor di più acuito la voglia di indipendenza dei
timorensi, senz’altro. L’orgoglio di questo popolo, da questo punto di vista, è
infinito.
D. – Qual è il messaggio che viene fuori da questo libro?
R. – Io penso che da “Obiettivo Timor Est” nasca una parola
di pace: dimostra che con l’operato
delle Nazioni Unite si può arrivare all’indipendenza di un Paese martoriato
dalla guerra civile. Timor Est è stato un esempio, spero che ve ne siano altri
presto.
Il libro racconta il lungo e terribile processo d’indipendenza
dell’isola, ponendo particolare attenzione al ruolo che le Nazioni Unite ebbero
soprattutto riguardo il referendum popolare del 1999, che sancì la fine della
dominazione indonesiana su Timor. Ma qual è l’attuale situazione del Paese?
Benedetto Giuntini, responsabile dell’ufficio Asia del ministero degli Affari
Esteri:
R. – La situazione di Timor Est è una situazione
difficile, indubbiamente, dal punto di vista della creazione di quelle che sono
le strutture statuali, come noi le intendiamo dal punto di vista occidentale.
Il contributo che noi diamo alla Comunità internazionale è quello di cercare di
fornire a Timor Est tutte quelle che sono le strutture portanti di uno Stato di
diritto. Timor Est non era un Paese da ricostruire, ma un Paese da costruire.
Questa è un’opera difficile e complessa, ma che è stata portata avanti con
grande impegno e che ha portato a risultati estremamente positivi. Certamente
si tratta di rafforzare le strutture giuridiche dello Stato. L’obiettivo è
quello di mettere in condizione Timor Est, nel più breve tempo possibile, di
riuscire a rendersi del tutto indipendente dagli aiuti internazionali e quindi
dal sostegno della Comunità internazionale.
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ETICA
E GIORNALISMO: URBINO PROMUOVE UN PREMIO PER REPORTAGE
CHE SI
DISTINGUONO PER QUALITÀ E RISPETTO DELLA PERSONA
-
Intervista con Lella Mazzoli -
Prima edizione per il “Premio Etica e Giornalismo”
dedicato ai reportage giornalistici ed al giornalismo d’inchiesta, nato dalla
collaborazione, fra gli altri, tra l’Istituto per la Formazione al Giornalismo
di Urbino e la casa editrice Infinito Edizioni. Ma quanto deve essere stretto
il legame fra l’etica ed il giornalismo? Rita Anaclerio lo ha chiesto a Lella
Mazzoli, direttrice dell’Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino ed
assessore alla Cultura del Comune di Urbino:
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R. - Il potere
della stampa è legato oggi, nel nostro Paese, anche al potere dell’editore.
L’etica, invece, dovrebbe essere separata dal potere dell’editore. Quindi
l’etica rispetta esigenze personali, ma anche collettive. Un giornalista è
libero di dire ciò che vuole, ma è anche obbligato a rispettare le persone. Io
credo che oggi nel nostro Paese, in particolare, ma non solo nel nostro Paese
si abusa un po’ del diritto di informazione.
D. –
Paradossalmente può essere impegnativo l’accesso all’informazione sia da parte
dei giornalisti che da parte dell’utente finale, ma c’è anche nel mondo il
numero crescente di vittime di un mestiere che non sempre trova adeguate
garanzie per poter assicurare una testimonianza libera e indipendente...
R. - C’è una grande
difficoltà ad accedere all’informazione, ma io credo che soprattutto ci sia una
grande difficoltà a collegarsi con il mondo della comunicazione. Penso
sostanzialmente che le difficoltà di accesso all’informazione siano meno gravi
rispetto alle difficoltà di comunicazione. Non so quanto si faccia informazione
oggi nel nostro Paese, o invece quanto si faccia comunicazione.
D. – Il premio
Etica e Giornalismo è dedicato in particolare ai reportage giornalistici e al
giornalismo d’inchiesta. E’ una scelta mirata, questa?
R. – Sì, certo. Il
giornalismo d’inchiesta è un giornalismo importante oggi, soprattutto perché
dovrebbe far vedere alle persone ciò che avviene nel nostro Paese di più nascosto,
attraverso l’indagine. Un’indagine che, qualche volta, purtroppo, va a cercare
di capire cose troppo interiori, troppo intime, di alcuni personaggi mentre ci
sono indagini – il Premio va verso quel tipo di informazione – che fanno vedere
nel modo più esatto possibile la realtà. Quindi è l’indagine che, in qualche
modo, mette a repentaglio spesso, purtroppo, la vita dei nostri giornalisti e
delle persone che vanno ad indagare. Il Premio ha un senso, significato anche
per queste persone che perfino mettendo a repentaglio la propria vita, vogliono
rendere un servizio alla comunità. Sempre però riispettando le esigenze delle
persone.
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21
luglio 2005
I VESCOVI CANADESI COMMENTANO, IN UN DOCUMENTO,
L’ADOZIONE DA PARTE
DEL
PARLAMENTO DI OTTAWA DEL PROGETTO DI LEGGE
CHE AUTORIZZA IL MATRIMONIO TRA COPPIE OMOSESSUALI.
I PRESULI RACCOMANDANO: L’UNIONE TRA UOMO E DONNA È
DA DIFENDERE
OTTAWA. = “La realtà fondamentale ed universale del
matrimonio resterà sempre l’unione esclusiva di un uomo e di una donna per la
vita. Dal punto di vista della Chiesa cattolica la nuova legge federale snatura
i valori e i principi morali”. E’ quanto si legge in un documento dei vescovi
canadesi pubblicato in seguito all’adozione, da parte del parlamento federale
di Ottawa, del progetto di legge che autorizza il matrimonio tra coppie omosessuali.
Nel messaggio si legge che i cattolici continueranno ad opporsi alle unioni gay
e cercheranno di assicurarsi che tutti i regolamenti provinciali e territoriali
sulla celebrazione dei matrimoni offrano una protezione completa della libertà
di coscienza e di religione, così come garantisce la Carta canadese dei diritti
e delle libertà. La Conferenza dei vescovi cattolici del Canada sottolinea con
gratitudine l’impegno di tanti canadesi, di tutte le confessioni religiose ma
anche di quanti non aderiscono ad alcuna fede particolare, a preservare la
definizione universale di matrimonio. Tanti hanno difeso la vera natura del
matrimonio con coraggio e pagando sacrifici personali considerevoli, talvolta
mettendo a rischio persino la propria carriera. Alcuni cattolici hanno
malauguratamente promosso la ridefinizione del matrimonio e votato a favore di
un tale cambiamento. A questo riguardo essi si pongono in contraddizione con
l’insegnamento della Chiesa, così come enunciato dal Santo Padre e dai vescovi.
I vescovi canadesi annunciano che individualmente ed insieme continueranno a
proteggere il matrimonio e la vita della famiglia. Il documento si conclude con
una raccomandazione: “E’ importante riaffermare che le persone omosessuali
devono essere accolte con rispetto, compassione e delicatezza. Riaffermando che
la definizione universale e tradizionale del matrimonio deve essere mantenuta,
si eviteranno discriminazioni ingiuste nei loro riguardi (Catechismo della
Chiesa cattolica, n.2358)”. (T.C.)
PROMUOVERE UN DIALOGO CHIARO E
COSTRUTTIVO
CON I FEDELI DELLE ALTRE RELIGIONI:
E’ QUANTO AFFERMATO DAL NUOVO GRAN MUFTI’ DELLA
SIRIA,
AHMAD BADR EL DINE EL HASOUN
DAMASCO.=
“Un dialogo chiaro, costruttivo e reciproco”. E’ quanto chiede il nuovo Gran
Muftì della Siria, Ahmad Badr El Dine El Hasoun, convinto della necessità del
confronto interreligioso “aperto a tutti”, con la “piena volontà di entrare in
rapporto con tutti, per promuovere la dignità umana”. Hassoun, nominato dal
presidente siriano Assad, prende il posto di Ahmad Kaftaro, deceduto quasi
un anno fa. È nato vicino ad Aleppo nel 1949; laureato in Letteratura Araba e
specializzato nello studio della Sharia nella scuola egiziana di El Azhar viene nominato
muftì d'Aleppo nel 2002. Hassoun è parlamentare e membro del Consiglio
superiore religioso della Repubblica Araba Siriana. Docente e predicatore di
fama internazionale, è sposato con 5 figli. Hassoun – riferisce l’agenzia AsiaNews
– è considerato da esponenti del governo di Damasco una persona colta, religiosa,
impegnata nel campo sociale e politico. Il Gran Muftì è stato ricevuto il 18
luglio dal presidente Assad. Al termine della prima visita ufficiale ha indicato
ad AsiaNews l'importanza del dialogo con i fedeli di altre religioni,
“un dialogo capace di seminare giustizia, valore sostenuto da tutte le religioni”,
di promuovere l'uguaglianza fra tutte le componenti della società e di
difendere la tolleranza come condizione primaria e necessaria. Per Hassoun è necessaria
una nuova proposta, “in grado di formare una generazione responsabile, capace
di annunciare i valori immortali predicati dai profeti”. Una generazione di
giovani “pronta a difendere i giusti valori, capace di servire la nazione e
tutti coloro che risiedono sul nostro territorio”. Un messaggio anche per i
Paesi vicini alla Siria, “nei quali deve essere mantenuta viva la fiamma della
libertà dell'uomo, aiutando le persone a costruire una società fondata su
principi religiosi sani”. Il Gran Muftì, al termine dell’incontro ufficiale, ha
ringraziato Assad per la nomina ed ha assicurato la sua piena adesione all'insegnamento
del Corano, “nel rispetto dei diritti di tutti, senza discriminazione,
proselitismo, né fondamentalismi”. (A.G.)
ALLARME DELLA CHIESA DELLO
ZIMBABWE PER LA DIFFUSIONE
DELLA VIOLENZA IN TUTTO IL PAESE. INTANTO, NEI
GIORNI SCORSI,
UNA DELEGAZIONE DELLE CHIESE SUDAFRICANE HA
PORTATO SOLIDARIETA’
ALLE VITTIME DELLE DEMOLIZIONI DI CASE E MERCATI
ABUSIVI DELLO ZIMBABWE,
DECISE DAL GOVERNO DI ROBERT MUGABE
HARARE.=
“La violenza ha preso casa presso di noi”. E’ quanto affermano i capi delle
Chiese cristiane dello Zimbabwe in un messaggio per i 25 anni d’indipendenza
del Paese. “Siamo ormai abituati alle sempre più diffuse rapine violente nelle
nostre città e villaggi”: si legge nel messaggio intitolato “A call to
conscience”, firmato da parte cattolica da Michael D. Bhasera, vescovo di Masvingo
e presidente della conferenza episcopale dello Zimbabwe. Il Paese africano è da
anni in preda a una grave crisi sociale, politica ed economica, di recente
aggravata dall’operazione di polizia “Murambatsvina” (Operazione “Restaurare
l’ordine”), che è stata duramente criticata da una delegazione ecumenica sudafricana
in visita di recente nel Paese. Scopo centrale di questa iniziativa è stato
portare la solidarietà di tutte le Chiese sudafricane alle vittime di questa operazione
di demolizione delle case e dei mercati abusivi lanciata dal governo di Robert
Mugabe nei quartieri poveri della capitale e di altre città del Paese. Tra i
membri della delegazione, anche il cardinale arcivescovo di Durban, Wilfred Napier,
presidente dell’episcopato sudafricano. (A.G.)
E’ LO SLOGAN SCELTO DALLA DIREZIONE DELLE
PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE
PER L’OTTOBRE MISSIONARIO 2005
ROMA.=
“Donne e uomini di speranza”: è questo lo slogan scelto dalla direzione
italiana delle Pontificie Opere Missionarie per “l’Ottobre missionario 2005” e
la Giornata Missionaria Mondiale, che si celebrerà domenica 23 ottobre. A questo
tema si ispirano i sussidi realizzati come ogni anno, per l’animazione e la
sensibilizzazione della comunità cristiana. “Donne e uomini di speranza” è
anche il titolo di un video, che evidenzia i segni positivi che ogni realtà
missionaria porta con sé: dalla Chiesa del Guatemala schierata dalla parte
delle vittime di una guerra civile durata 36 anni, alla pastorale nel ghetto
ovest di Chicago; dai missionari in Mozambico impegnati nel lento processo di
ricostruzione dopo l'alluvione del 2000, alle suore in Albania che vivono in
mezzo alla povertà non solo materiale, ma anche di fiducia nel futuro. E
ancora, dalle baraccopoli di Bangkok tra droga e prostituzione, ai profughi del
Sudan che rientrano dopo la fine della più lunga guerra civile africana con
l'accordo di pace del 9 gennaio 2005; dalle Piccole Sorelle di Gesù di Cuba, al
vescovo di Babahoyo in Ecuador, a fianco dei lavoratori delle piantagioni di
banane delle multinazionali. Queste sono solo alcune meravigliose storie di
missionari sparsi per il mondo, “uomini e donne di speranza” sempre in prima
linea per portare a tutti Gesù Risorto. Il video, disponibile in videocassetta
e in DVD, è stato già inviato ai Centri missionari diocesani insieme con tutto
il materiale dell'ottobre missionario. (A.G.)
PROSEGUE CON SUCCESSO LA
CAMPAGNA CONTROL ARMS
PER LA FIRMA DI UN TRATTATO INTERNAZIONALE SUL
CONTROLLO
DEL TRAFFICO DI ARMI: NELL’ULTIMA SETTIMANA
OTTENUTE LE ADESIONI
DI 13 NUOVI PAESI, DI CUI SEI AFRICANI
ROMA.=
La campagna Control arms, che chiede di realizzare un trattato internazionale
per il controllo del traffico di armi, ha guadagnato nell’ultima settimana 13
nuove adesioni, tra cui sei Paesi africani. I governi di Ghana, Guinea, Senegal,
Sierra Leone, Benin e Uganda hanno dato il loro sostegno all’iniziativa di
sensibilizzazione che mira a porre regole minime comuni sul commercio di armi,
in particolare per evitare che siano acquistate da Paesi in conflitto o in cui
si registrano gravi violazioni dei diritti umani. Tra le altre recenti
adesioni, anche quella di Colombia, Turchia, Olanda, Norvegia e Santa Sede che
si aggiungono all’appoggio già espresso da Kenya, Mali, Tanzania, Costa Rica,
Cambogia, Finlandia e Islanda. La campagna è sostenuta da un cartello di grandi
e piccole organizzazioni non governative tra cui Amnesty International, Oxfam,
e il Network contro il commercio di armi leggere (Iansa). Gli organizzatori
spiegano che per sperare di avviare un negoziato internazionale è importante
ottenere l’appoggio anche dei Paesi del ‘G8’ che sono i principali esportatori
di armi. Fino ad ora, tra le nazioni in questione, si sono dette favorevoli ad
una eventuale trattato Gran Bretagna, Francia, Spagna, Germania. (A. G.)
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- A cura di Roberta Moretti -
E’ giunto nella tarda mattinata
un nuovo allarme terrorismo a Londra: le tre stazioni della metropolitana di
Warren Street, Shepherds Bush e Oval sono state evacuate in seguito a quelli
che la polizia ha definito “incidenti”. Dalle primissime notizie sembra che si
siano verificate delle esplosioni e che, contemporaneamente, sia avvenuta una
deflagrazione anche su autobus ad Hackney Road, all’incrocio con Colombia Road,
nella zona orientale della capitale. Proseguono intanto in Gran Bretagna le
indagini sugli attacchi terroristici del 7
luglio. Secondo il quotidiano, “Times”, poche ore prima
degli attentati di due settimane fa, un britannico
appartenente ad Al Qaeda, Haron Rashid Aswat, avrebbe telefonato a due dei
quattro attentatori suicidi. L’uomo, sotto interrogatorio, è stato fermato in
Pakistan, dove ieri sono stati arrestati anche circa 200 attivisti
islamici. Il diplomatico britannico a Islamabad,
Peter Wilson, ha però smentito che tali arresti siano legati agli attentati di
Londra. Intanto, il premier, Tony Blair, che nel pomeriggio incontrerà i vertici
di Scotland Yard e dei servizi segreti per varare nuove misure di sicurezza,
ha lanciato la proposta di una conferenza internazionale a Londra, per affrontare
la sempre più estesa minaccia del terrorismo di matrice religiosa.
Ancora violenza in Iraq, mentre
fa discutere, già prima di essere presentata, la nuova costituzione. Ascoltiamo
Andrea Cocco:
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Limitare i diritti delle donne irachene sarebbe un “grave
errore”. Questo il commento del
segretario alla Difesa statunitense Donald Rumsfield, a seguito delle
indiscrezioni emerse sulla bozza della nuova costituzione irachena, che dovrebbe
essere presentata al parlamento di Baghdad il 1° agosto. Lo scorso martedì il
quotidiano statunitense New York Times aveva reso noti alcuni stralci del progetto
di costituzione che, in caso di approvazione, limiterebbero in modo
significativo i diritti delle donne irachene. Tra le riforme che destano
perplessità: l’introduzione nell’ordinamento del diritto coranico, la sharia, e
l’abrogazione della legge che attualmente riserva alle donne una quota del 25
per cento nel parlamento iracheno.
Intanto sono proseguite anche oggi le violenze. In
mattinata, secondo una notizia diffusa dall’emittente televisiva Al Arabiya, è
stato sequestrato a Baghdad il capo della missione diplomatica algerina in
Iraq. Almeno otto persone sono morte invece a seguito di tre attacchi in
diverse zone del Paese. Secondo un rapporto del Pentagono, che sarà consegnato
venerdì al Congresso statunitense, gli estremisti iracheni sono pronti a pianificare
nuovi attentati con l'intenzione di provocare tensioni, dividere le diverse
etnie e l'obiettivo concreto di scatenare una guerra civile tra sciiti e
sunniti attraverso attacchi mirati a siti religiosi.
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Grande soddisfazione del
ministro della Difesa italiano, Antonio Martino, per il via libera della
Camera, stamani, al decreto legge che proroga di sei mesi la missione militare
“Antica Babilonia” in Iraq. Il provvedimento passa ora al Senato. E sempre oggi
a Roma, la formulazione di un unico piano
antiterrorismo in Italia, che dovrebbe essere presentato domani al Consiglio
dei ministri, è stata al centro del vertice
interministeriale presieduto dal premier, Berlusconi. Da ieri, intanto, nel
Paese la riforma dell’ordinamento giudiziario è legge: l’approvazione
definitiva della Camera è giunta al termine di un dibattito caratterizzato da
aspre polemiche, fuori e dentro il Parlamento. Giampiero Guadagni:
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Per il centro-destra è un primo
passo importante; secondo il centro-sinistra è una ferita per il Paese; a
giudizio dell’Associazione nazionale dei Magistrati è una pessima legge. Le
prime reazioni all’approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario
riflettono le dure polemiche che per anni hanno accompagnato l’esame
parlamentare del testo elaborato dalla casa delle libertà, contro il quale i
magistrati hanno scioperato ben volte, l’ultima lo scorso 14 luglio. D’altra
parte, il capo dello Stato aveva in precedenza rinviato la legge alle Camere,
mettendo in luce il rischio di perdita di autonomia della categoria.
La legge, approvata ieri,
prevede tra l’altro la separazione delle funzioni. I magistrati dovranno
scegliere in via definitiva, dopo 5 anni di servizio, tra la carriera di
giudice e quella di pubblico ministero. Inoltre, per fare carriera in magistratura,
è previsto un sistema di concorsi che comprende prove di idoneità
psico-attitudinali.
Per la Radio Vaticana, Gianpiero
Guadagni
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Medio Oriente: un’automobile è esplosa stamani in Cisgiordania
sotto un ponte sull’autostrada israeliana della TranSamaria, vicino all'insediamento
di Ariel, sembra senza provocare vittime. Intanto, fonti
dell’ufficio del premier israeliano, Sharon, hanno rivelato la possibilità che
il ritiro israeliano da Gaza, fissato per il 15 agosto prossimo, venga
anticipato. La decisione avviene in seguito alle violente manifestazioni di
protesta ingaggiate da migliaia di coloni e attivisti ebraici a Kfar Maimon,
nel Neghev settentrionale, smobilitate nella notte. E sempre stanotte, oltre
250 militanti della destra ultra-nazionalista sono stati arrestati dalla
polizia israeliana, per lo più al valico di confine di Kissufim, mentre tentavano
unirsi ai coloni che intendono resistere allo sgombero forzato. Proprio in
Medio Oriente, comincia domani la visita del segretario di Stato americano,
Condoleeza Rice.
Scuse formali: è quanto ha chiesto e ottenuto dal governo di
Khartoum il segretario di Stato americano, Condoleeza Rice, giunta questa
mattina in Sudan, per contribuire ad una celere soluzione alla difficile crisi
nella regione del Darfur. Il capo della diplomazia degli Stati Uniti si è detta
“adirata” per i maltrattamenti inflitti dal servizio d’ordine della residenza
presidenziale ai funzionari dell’amministrazione USA e ai giornalisti al suo seguito,
mentre era impegnata in colloqui con il presidente, Omar Hassan al-Bashir. La
Rice si è poi recata in un campo profughi nel Darfur.
Fertilizzante, nitrato di ammonio, polvere di alluminio, nitrato
di potassio: ieri la polizia saudita ha scoperto a sud della capitale, Riad, un
covo di militanti, sospettati di avere legami con Al Qaeda, pieno di materiale
per fabbricare bombe. La notizia è giunta poche ore dopo che l’ambasciata americana
a Riad aveva allertato i cittadini statunitensi del pericolo di nuovi
attentati.
L’integrazione della Serbia-Montenegro in Europa e
i futuri rapporti con il Kosovo sono stati al centro degli incontri dell’Alto
rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, Javier Solana, ieri
in visita a Pristina e Belgrado. Ce ne parla, nel servizio, Emiliano Bos:
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Sono sorpreso di vedere un
rallentamento nel processo degli standard democratici e del decentramento.
Solana lo ha detto senza mezze misure. Politici del Kosovo, state sbagliando:
ha insistito il ministro degli esteri dell’Unione a poche settimane dai
colloqui internazionali che dovrebbero decidere il futuro della provincia
balcanica che dopo la guerra del 1999 è di fatto amministrata dall’ONU.
Gli albanesi del Kosovo
rivendicano l’indipendenza. Belgrado non è disposta a concederla. Intanto da
Belgrado Solana ha poi rilanciato l’urgenza di riallacciare rapidamente
rapporti tra Bruxelles e l’Unione di Serbia e Montenegro che unisce le due ex
repubbliche jugoslave. I colloqui di adesione – ha detto – potrebbero iniziare
già forse ad ottobre a condizione, però, di una decisa collaborazione con il
Tribunale Penale Internazionale dell’Aja per chiudere definitivamente il capitolo
dei crimini delle guerre degli anni Novanta.
Per la Radio Vaticana, Emiliano
Bos.
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Cresce
la speranza per la pace in Indonesia: il presidente, Susilo Bambang Yudhoyono,
ha ordinato ieri all’esercito di cessare le ostilità contro i ribelli separatisti
nella provincia di Aceh, nel quadro dell’accordo di pace raggiunto domenica a
Helsinki, in Finlandia. Il protocollo dell’intesa verrà firmato il 15 agosto.
Si riaccende la violenza in Turchia, dove oggi due separatisti del
Partito dei lavoratori curdi PKK e un soldato turco sono stati uccisi in
scontri tra guerriglieri ed esercito vicino Erics, nella regione orientale di
Van.
Il governo yemenita ha invitato oggi la popolazione a mantenere la
calma, all'indomani dei violenti scontri tra dimostranti e polizia nella capitale,
Sanaa, e in altre città, che hanno provocato 13 morti e decine di feriti. Le
violente proteste erano state innescate dalla revoca, martedì scorso, dei
sussidi statali per i prodotti petroliferi, che ha comportato un immediato
raddoppiamento dei prezzi di benzina, gasolio e gas per uso domestico. Il
governo yemenita ha giustificato la misura con l’aumento dei prezzi petroliferi
a livello mondiale.
E’ di 26 morti e 3 feriti il bilancio dell’esplosione avvenuta
martedì in una miniera di carbone nella provincia di Shaanxi, nel nord della
Cina. La notizia è stata diffusa solo oggi da alcuni mezzi di informazione
locali. L'anno scorso, più di 6 mila minatori cinesi hanno perso la vita a
causa di esplosioni e di altri incidenti.
La Cina rivaluta la sua moneta
nazionale, lo yuan, del 2 per cento. E’ la prima volta da almeno dieci anni che
la Banca centrale di Pechino prende una decisione di questa portata. Tra i
primi effetti, la modifica del tasso di cambio con il dollaro, che da oggi vale
8,11 yuan. “La rivalutazione del yuan – ha spiegato il governatore della Banca
centrale cinese – ridurrà gli squilibri commerciali e servirà ad aumentare
l’indipendenza della politica monetaria di Pechino”.
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