RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 202 - Testo della trasmissione di giovedì 21 luglio 2005

 

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa in escursione stamane sul Monte Bianco. Un altro momento di quella che ha definito, una meravigliosa vacanza: ai nostri microfoni Salvatore Mazza

 

Sulle parole di Benedetto XVI sul terrorismo, la riflessione del cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Torna a Kazan, in Russia, l’Icona della Madre di Dio, donata lo scorso anno da Giovanni Paolo II ad Alessio II

 

Niger: grave la crisi alimentare che affligge il Paese e che era stata praticamente annunciata: ce ne parla Caterina Falomo

 

Una Carta sui diritti delle popolazioni indigene: in discussione al Gruppo di lavoro ONU, impegnato a Ginevra: intervista con Vincenzo Buonuomo

 

Il sanguinoso cammino di un popolo verso la libertà: è la storia raccontata nel libro di Andrea Curti “Obiettivo Timor Est”. Con noi l’autore e Benedetto Giunti

 

Etica e giornalismo: Urbino promuove un premio per reportage che si distinguono per qualità e rispetto della persona: ai nostri microfoni Lella Mazzoli

 

CHIESA E SOCIETA’:

I vescovi canadesi commentano in un documento l’adozione del Parlamento di Ottawa del progetto di legge che autorizza il matrimonio tra coppie omosessuali.

 

Promuovere un dialogo chiaro e costruttivo con i fedeli delle altre religioni: è quanto affermato dal nuovo Gran Muftì di Siria, Ahmad Badr el Dine el Hasoun

 

Allarme della Chiesa dello Zimbabwe per la diffusione della violenza in tutto il Paese

 

“Donne e uomini di speranza”: è lo slogan scelto dalla direzione delle Pontificie Opere Missionarie

per l’ottobre missionario 2005

 

Prosegue con successo la campagna control arms per la firma di un trattato internazionale sul controllo del traffico di armi: nell’ultima settimana ottenute le adesioni di 13 nuovi Paesi, di cui sei africani

 

24 ORE NEL MONDO:

Ancora violenza in Iraq mentre fa discutere il testo della nuova costituzione non ancora reso pubblico

 

Il ritiro israeliano da Gaza, previsto per il 15 agosto, potrebbe essere anticipato: lo rivela l’ufficio del premier Sharon

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

21 luglio 2005

 

 

IL PAPA, CHE IERI HA SOTTOLINEATO COME NEL MONDO NON SIA IN ATTO

 UNO SCONTRO DI CIVILTÀ, HA LASCIATO STAMANI LES COMBES

PER UN’ESCURSIONE SUL MONTE BIANCO

- Interviste con Salvatore Mazza e con il cardinale Renato Raffaele Martino -

 

Dopo la prima escursione in Valgrisanche, ieri, e le dichiarazioni rilasciate ai giornalisti sugli attacchi di Londra nelle quali il Papa ha definito irrazionale il terrorismo, il Santo Padre ha lasciato il suo chalet di Les Combes e ha fatto un’escursione stamane sul Monte Bianco. Ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco l’inviato di Avvenire, Salvatore Mazza:

 

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R. - Il Papa stamattina, approfittando di una nuova giornata veramente molto bella, è uscito molto presto, verso le 9.30, ed è andato sul Monte Bianco. Ha percorso i tre tratti della funivia fino al ghiacciaio, ha assistito ad una messa, che non ha celebrato lui, e poi si è fermato lì a contemplare il panorama che si gode da lì. E’ rientrato verso le 12.30 al suo chalet. Prevedibilmente oggi resterà a casa.

 

D. – Al ritorno allo chalet di Les Combes, il Papa ha anche scherzato con i giornalisti?

 

R. – Sì, ha visto tutti noi schierati, con i microfoni già pronti. E’ stata una cosa molto cordiale. In parte già conosce i giornalisti che sono qui. Ci sono poi molto fotografi ed operatori. Ha scherzato ed ha scambiato con noi qualche battuta.

 

D. – Il Papa, ieri, incontrando i giornalisti a Les Combes, ha detto che il terrorismo è irrazionale e che nel  mondo non è in atto uno scontro di civiltà...

 

R. - Il Papa era uscito in passeggiata ed è stato aspettato al rientro. Gli è stato chiesto che cosa pensasse della situazione internazionale con il terrorismo che colpisce in tutto il mondo. Benedetto XVI ha risposto dicendo che prega costantemente per queste situazioni ed ha detto di essere convinto che non è in atto uno scontro di civiltà, ma che solo piccoli gruppi di fanatici stanno cercando di portare la violenza nel mondo e che il dialogo tra le religioni può sicuramente contribuire a fermare l’ondata di violenza perché la volontà di chi vuole la pace deve essere più forte del terrorismo. Per questo occorre pregare e per questo occorre ancora una volta il dialogo tra le tre grandi religioni monoteistiche.

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Il Papa ha dunque definito irrazionale il terrorismo. Su queste parole pronunciate ieri dal Santo Padre a Les Combes, ascoltiamo nell’intervista di Fabio Colagrande, una riflessione del cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace:

 

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R. – Non si tratta di uno scontro tra civiltà, ma di un qualcosa di irrazionale: il terrorismo può crescere anche in zone NON islamiche e questo lo vediamo purtroppo tutti i giorni. E’ veramente irrazionale. Tempo fa io stesso ho definito il terrorismo come la IV Guerra Mondiale, essendo stata la III la Guerra Fredda. L’umanità deve ora fronteggiare questa guerra contro il terrorismo, che è purtroppo imprevedibile, poiché può colpire dappertutto e in qualsiasi momento. E questo fatto - ha detto Papa Benedetto XVI – è veramente irrazionale. Questa deve essere la preoccupazione dei governi e di tutti quanti noi nel combatterlo e nel prevenirlo. Questo è importantissimo che si faccia, senza perdere la calma e sempre nel rispetto dei diritti umani.

 

D. – Non è uno scontro tra religioni, dunque?

 

R. – Assolutamente no. Sappiamo bene che Giovanni Paolo II parlò contro la guerra in Iraq e disse chiaramente che non si trattava di una guerra di religione. Io sono stato testimone di delegazioni che sono venute in Vaticano per ringraziare Giovanni Paolo II per quanto fatto e per quanto detto per cercare di evitare che quella guerra venisse interpretata come guerra di religione. Così anche per il terrorismo: si tratta, infatti, di elementi che agiscono irrazionalmente. Naturalmente, bisogna cercare di capire perché lo fanno e quindi ricercare anche le cause di tutto questo, cercando poi di ovviare a quelle cause.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina il titolo "Il terrorismo non è frutto di uno 'scontro di civiltà' ": Benedetto XVI, rispondendo alle domande di alcuni giornalisti, ha riaffermato il valore della preghiera e del dialogo tra le religioni per arginare la violenza.

Riguardo all'Iraq un articolo dal titolo "Nel ricordo dei 32 bimbi uccisi l'anelito ad un futuro di pace": tre minuti di silenzio per la strage perpetrata a Baghdad il 13 luglio.

Kenya: imponente e commossa partecipazione di popolo ai funerali del Vescovo Luigi Locati a Isiolo; la Messa esequiale presieduta dal Nunzio Apostolico e concelebrata da 17 Presuli e da 250 sacerdoti.

 

Nelle vaticane, una pagina dedicata al tema dell'Eucaristia.

 

Nelle estere, un articolo dal titolo "Continua lo stravolgimento del progetto di Dio sulla famiglia: in Canada le unioni omosessuali equiparate al matrimonio".

 

Nella pagina culturale, per la rubrica "Oggi" un articolo di Gaetano Vallini dal titolo "Quando la durezza del cuore cancella affetti e riconoscenza": il nipote che ha sfrattato la nonna di 97 anni.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano il tema della giustizia.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

21 luglio 2005

 

 

TORNA A KAZAN, IN RUSSIA, L’ICONA DELLA MADRE DI DIO

DONATA LO SCORSO ANNO DA GIOVANNI PAOLO II AD ALESSIO II

 

Il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Alessio II ha riconsegnato questa mattina alla diocesi di Kazan la storica icona della Madre di Dio, donata il 28 agosto dello scorso anno alla Chiesa ortodossa russa da Giovanni Paolo II. La giornata di oggi è stata scelta perché proprio il 21 luglio ricorre la festa dell’apparizione dell’icona. La Madonna di Kazan era stata regalata al Papa, nel 1993, dall’Armata Azzurra, organizzazione cattolica legata alla devozione alla Madonna di Fatima. Affidata dal Santo Padre al cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, perché fosse consegnata al patriarca russo Alessio II, prima di partire per Mosca è stata esposta alla venerazione dei fedeli nella basilica vaticana, sempre lo scorso anno, il 26 agosto. La città di Kazan celebrerà i mille anni della fondazione in agosto. Da Mosca Giuseppe D’Amato:

 

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L’icona della Madonna di Kazan è finalmente tornata a casa. Il patriarca di Mosca Alessio II l’ha riportata sulle rive del Volga, con una cerimonia seguita da una processione è stata riconsegnata alla diocesi di Kazan dopo 101 anni di assenza. Lo scorso agosto, il cardinale Walter Kasper, su incarico di Papa Giovanni Paolo II, l’aveva riaffidata al patriarcato di Mosca dopo un lungo peregrinare in giro per il mondo. Quella della madonna di Kazan è la più famosa icona, quella maggiormente venerata dagli ortodossi russi, quella che rappresenta anche la riappacificazione fra le varie confessioni religiose. Il dialogo musulmano-cristiano è uno dei più importanti indirizzi dell’attività della Chiesa ortodossa russa, ha detto nella sua omelia Alessio II. Nella cattedrale dell’Annunciazione era presente anche il parroco cattolico di Kazan. Migliaia di persone hanno assistito alla cerimonia attraverso schermi posti nelle strade.

 

Non si sa ancora dove sarà conservata l’icona che, probabilmente, verrà esposta solo a Pasqua e a Natale nella cattedrale. La cappella dove per secoli rimase fu distrutta dai bolscevichi, che al suo posto vi costruirono una fabbrica di tabacco. Il vicino monastero della Vergine è stato appena riaperto.

 

Da Mosca per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.

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NIGER: GRAVE LA CRISI ALIMENTARE CHE AFFLIGGE IL PAESE

E CHE ERA STATA PRATICAMENTE ANNUNCIATA

- Intervista con Caterina Falomo -

 

Nei mesi estivi potrebbe diventare ancora più grave la crisi alimentare che affligge il Niger. Colpito alla fine del 2004 dalla siccità e da una terribile invasione di cavallette, che ha distrutto la maggior parte del raccolto, il paese è oggi allo stremo. Secondo gli ultimi dati diffusi dall'Onu sono oltre 3 milioni e mezzo le persone che soffrono la fame, pari a circa un quarto della popolazione. Di queste almeno 800 mila sono bambini. Andrea Cocco ha chiesto a Caterina Falomo dell'ufficio stampa di Medici senza frontiere, di descrivere la situazione nelle zone del Niger dove è presente l'organizzazione.

 

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R. – Medici senza frontiere da molto tempo sta seguendo la situazione del Niger. Da gennaio scorso ha rilevato cifre veramente impressionanti. All’inizio di giugno nei centri nutrizionali di Medici senza frontiere sono stati ricoverati più di 9 mila bambini gravemente malnutriti e si registra un incremento tre volte maggiore rispetto all’anno precedente. Sicuramente è una situazione molto grave che va affrontata come una vera e propria emergenza.

 

D. – Il 28 giugno Medici senza frontiere ha reso noto un rapporto sulla crisi alimentare in Niger. Nel documento si sottolinea come la crisi fosse però ampiamente prevedibile. Ci può spiegare il perché?

 

R. – E’ dallo scorso ottobre che ci sono queste cifre sconvolgenti, per quanto riguarda la malnutrizione nel Niger. Nove mesi più tardi, nonostante i magazzini siano pieni e il miglio ancora inaccessibile per le persone più colpite, ancora, tuttora, non viene fatta nessuna distribuzione gratuita di cibo. Questo perché è stata messa in atto una politica dei prezzi da parte dei principali finanziatori e dalle istituzioni dell’Onu, nonché appunto dal governo del Niger, che mira a non abbassare il prezzo del miglio.

 

D. – Quindi, il sistema degli aiuti alimentari, che in Niger è gestito dal governo insieme ai Paesi donatori, ha fallito il suo compito finora?

 

R. – Sicuramente ha fallito, perché appunto tiene conto di realtà che sono soltanto economiche e non guarda quella che è l’emergenza in corso.

 

D. – Ad inizio luglio il World Food Program, agenzia dell’Onu che si occupa delle emergenze alimentari, ha annunciato di voler triplicare il numero di persone che attualmente hanno accesso ai programmi di distribuzione del cibo gratuito. Pensi che un aumento degli aiuti possa bastare?

 

R. – Sicuramente maggiori sono gli aiuti in questo momento e più si riesce a ridurre questa emergenza. Non per niente Medici senza frontiere fa un appello soprattutto alle altre organizzazioni non governative perché si attivino in una risposta immediata a questo problema.

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LA BOZZA FINALE DELLA CARTA SUI DIRITTI FONDAMENTALI

DELLE POPOLAZIONI INDIGENE: E’ QUANTO CI SI ATTENDE

DALLA 23.MA SESSIONE DEL GRUPPO DI LAVORO DELL’ONU

 SULLE POPOLAZIONI AUTOCTONE IN CORSO A GINEVRA

- Intervista con Vincenzo Buonuomo -

 

La Commissione per i Diritti umani delle Nazioni Unite definisce indigeni “coloro che, avendo una continuità storica con le società precoloniali che si svilupparono sui loro territori, si considerano distinti dagli altri settori della società che ora sono predominanti su quei territori, o su parti di loro”. Oltre 300 milioni di persone, dislocate in circa 70 Paesi, rientrano in questa definizione rappresentando il 4% della popolazione mondiale ed il 90% della diversità culturale del pianeta. Da lunedì scorso, i rappresentanti e i leader indigeni sono riuniti a Ginevra per partecipare alla 23.ma sessione del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle popolazioni autoctone chiamato ad approvare la bozza finale della dichiarazione sui loro diritti fondamentali. Ma qual è l’impegno della comunità internazionale nei confronti di questi gruppi? Donika Lafratta lo ha chiesto al prof. Vincenzo Buonomo, docente di Diritto Internazionale alla Pontificia Università Lateranense:

 

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R. - Io farei riferimento al decennio sulle popolazioni indigene, iniziato nel 1994 e conclusosi l’anno scorso, e all’apertura del nuovo decennio che dovrà essere decisa proprio in questi giorni. Un decennio che significa non una celebrazione dei popoli indigeni, bensì un tentativo di creare una coscienza all’interno delle persone perché si possano rispettare e garantire i diritti di queste popolazioni. Questo impegno ha significato, per esempio, programmi specifici per l’istruzione, la sanità, la creazione di strutture di governo per i popoli indigeni che in alcuni Paesi ha portato già risultati concreti. Diverse situazioni, in cui la comunità internazionale è in qualche modo impegnata, trovano un ostacolo fondamentale, cioè l’atteggiamento degli Stati che sono poco disposti ad accettare una possibilità che gli indigeni siano una voce diversa rispetto alla restante parte della popolazione.

 

D. - Cosa reclamano le popolazioni autoctone?

 

R. – Anzitutto il diritto all’autodeterminazione, che può significare per gli indigeni un rapporto diretto con le risorse, con la terra, con il loro patrimonio culturale. Gli indigeni poi reclamano di vedere la loro cultura ancestrale riconosciuta negli ambiti dei processi di educazione o nell’ambito dello stesso insegnamento scolastico. Gli indigeni vorrebbero venisse riconosciuta la loro identità di indigeni.

 

D. - Il diritto alla terra e al territorio rappresenta uno dei principali diritti rivendicati dalle popolazioni autoctone. Perché?

 

R. – Nella definizione di lavoro di popolo indigeno che viene data dalle Nazioni Unite  nel 1979 c’è questo legame ancestrale con la terra. Per loro la terra è madre, per loro la terra è fonte di lavoro, è fonte di ricchezza, è fonte anche di risorse naturali.

 

D. – Quanto è forte la loro voce nella comunità internazionale?

 

R. - Un esempio è quello della costituzione del Forum permanente sulla questione indigena all’interno delle Nazioni Unite. Una struttura che doveva servire a rendere comune a tutto il sistema dell’ONU la questione indigena. Questa struttura si è trasformata in un forum permanente al cui interno convivono rappresentanti dei governi e rappresentanti di popolazioni indigene. Questo è il modo attraverso cui le comunità indigene riescono a far sentire la loro voce sul piano ufficiale.

 

D. - Qual è l’impegno della Chiesa cattolica nei confronti delle popolazioni indigene?

 

R. – Qui farei una distinzione. Da una parte, l’impegno pastorale della Chiesa che si affianca sempre alla prospettiva della promozione umana e quindi di quello che può essere lo sviluppo integrale delle comunità indigene. Non possiamo dimenticare che la Chiesa fin dall’inizio della colonizzazione è stata un po’ il punto di forza di una rivendicazione dei diritti di queste comunità. Non possiamo dimenticare, per esempio, che nei viaggi di Giovanni Paolo II più volte egli ha incontrato comunità indigene dando loro il pieno sostegno della Chiesa cattolica per le giuste rivendicazioni, come le chiamò più volte Giovanni Paolo II. Dall’altro, poi, c’è un impegno della Santa Sede sul piano internazionale che è finalizzato a garantire anche alle comunità indigene un riconoscimento dei diritti fondamentali.

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IL SANGUINOSO CAMMINO DI UN PICCOLO POPOLO VERSO LA LIBERTÀ:

E’ LA STORIA RACCONTATA NEL LIBRO

 “OBIETTIVO TIMOR EST”, DI ANDREA CURTI

- Intervista con l’autore e con Benedetto Giuntini -

 

Il sanguinoso cammino di un piccolo popolo verso la libertà. E’ la storia raccontata nel libro “Obiettivo Timor Est”, presentato nei giorni scorsi all’Università La Sapienza di Roma, dove l’autore Andrea Curti, ripercorre, attraverso un excursus storico e geografico, le vicende che interessarono l’isola dall’invasione da parte dell’Indocina, avvenuta nel 1974, fino alla Dichiarazione di indipendenza giunta nel 2002 grazie all’intervento dell’ONU. Il servizio di Marina Tomarro:

 

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Nel 2002 Timor Est viene dichiarato territorio libero dalle Nazioni Unite dopo essere stata occupata dall’Indonesia per oltre 25 anni. Questa indipendenza è costata la vita ad oltre un terzo degli abitanti della piccola isola del Sud-Est Asiatico. Andrea Curti, che ripercorre nel suo libro “Obiettivo Timor Est” le tragiche vicende che i timorensi vissero durante quegli anni, ci spiega perché il cammino di questo popolo verso la libertà è stato così travagliato:

 

R. – Le motivazioni sono tante. Anzitutto perché è stata colonizzata per 400 anni. Quest’isola del Sud-Est Asiatico ha visto prima gli olandesi, i portoghesi e poi le invasioni del Giappone durante la II Guerra Mondiale. Si tratta quindi di una storia molto travagliata. Penso che questa storia così travagliata abbia ancor di più acuito la voglia di indipendenza dei timorensi, senz’altro. L’orgoglio di questo popolo, da questo punto di vista, è infinito.

 

D. – Qual è il messaggio che viene fuori da questo libro?

 

R. – Io penso che da “Obiettivo Timor Est” nasca una parola di pace:  dimostra che con l’operato delle Nazioni Unite si può arrivare all’indipendenza di un Paese martoriato dalla guerra civile. Timor Est è stato un esempio, spero che ve ne siano altri presto.

 

Il libro racconta il lungo e terribile processo d’indipendenza dell’isola, ponendo particolare attenzione al ruolo che le Nazioni Unite ebbero soprattutto riguardo il referendum popolare del 1999, che sancì la fine della dominazione indonesiana su Timor. Ma qual è l’attuale situazione del Paese? Benedetto Giuntini, responsabile dell’ufficio Asia del ministero degli Affari Esteri:

 

R. – La situazione di Timor Est è una situazione difficile, indubbiamente, dal punto di vista della creazione di quelle che sono le strutture statuali, come noi le intendiamo dal punto di vista occidentale. Il contributo che noi diamo alla Comunità internazionale è quello di cercare di fornire a Timor Est tutte quelle che sono le strutture portanti di uno Stato di diritto. Timor Est non era un Paese da ricostruire, ma un Paese da costruire. Questa è un’opera difficile e complessa, ma che è stata portata avanti con grande impegno e che ha portato a risultati estremamente positivi. Certamente si tratta di rafforzare le strutture giuridiche dello Stato. L’obiettivo è quello di mettere in condizione Timor Est, nel più breve tempo possibile, di riuscire a rendersi del tutto indipendente dagli aiuti internazionali e quindi dal sostegno della Comunità internazionale.

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ETICA E GIORNALISMO: URBINO PROMUOVE UN PREMIO PER REPORTAGE

CHE SI DISTINGUONO PER QUALITÀ E RISPETTO DELLA PERSONA

- Intervista con Lella Mazzoli -

 

Prima edizione per il “Premio Etica e Giornalismo” dedicato ai reportage giornalistici ed al giornalismo d’inchiesta, nato dalla collaborazione, fra gli altri, tra l’Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino e la casa editrice Infinito Edizioni. Ma quanto deve essere stretto il legame fra l’etica ed il giornalismo? Rita Anaclerio lo ha chiesto a Lella Mazzoli, direttrice dell’Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino ed assessore alla Cultura del Comune di Urbino:

 

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R. - Il potere della stampa è legato oggi, nel nostro Paese, anche al potere dell’editore. L’etica, invece, dovrebbe essere separata dal potere dell’editore. Quindi l’etica rispetta esigenze personali, ma anche collettive. Un giornalista è libero di dire ciò che vuole, ma è anche obbligato a rispettare le persone. Io credo che oggi nel nostro Paese, in particolare, ma non solo nel nostro Paese si abusa un po’ del diritto di informazione.

 

D. – Paradossalmente può essere impegnativo l’accesso all’informazione sia da parte dei giornalisti che da parte dell’utente finale, ma c’è anche nel mondo il numero crescente di vittime di un mestiere che non sempre trova adeguate garanzie per poter assicurare una testimonianza libera e indipendente...

 

R. - C’è una grande difficoltà ad accedere all’informazione, ma io credo che soprattutto ci sia una grande difficoltà a collegarsi con il mondo della comunicazione. Penso sostanzialmente che le difficoltà di accesso all’informazione siano meno gravi rispetto alle difficoltà di comunicazione. Non so quanto si faccia informazione oggi nel nostro Paese, o invece quanto si faccia comunicazione.

 

D. – Il premio Etica e Giornalismo è dedicato in particolare ai reportage giornalistici e al giornalismo d’inchiesta. E’ una scelta mirata, questa?

 

R. – Sì, certo. Il giornalismo d’inchiesta è un giornalismo importante oggi, soprattutto perché dovrebbe far vedere alle persone ciò che avviene nel nostro Paese di più nascosto, attraverso l’indagine. Un’indagine che, qualche volta, purtroppo, va a cercare di capire cose troppo interiori, troppo intime, di alcuni personaggi mentre ci sono indagini – il Premio va verso quel tipo di informazione – che fanno vedere nel modo più esatto possibile la realtà. Quindi è l’indagine che, in qualche modo, mette a repentaglio spesso, purtroppo, la vita dei nostri giornalisti e delle persone che vanno ad indagare. Il Premio ha un senso, significato anche per queste persone che perfino mettendo a repentaglio la propria vita, vogliono rendere un servizio alla comunità. Sempre però riispettando le esigenze delle persone.

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CHIESA E SOCIETA’

21 luglio 2005

 

 

I VESCOVI CANADESI COMMENTANO, IN UN DOCUMENTO, L’ADOZIONE DA PARTE

 DEL PARLAMENTO DI OTTAWA DEL PROGETTO DI LEGGE

CHE AUTORIZZA IL MATRIMONIO TRA COPPIE OMOSESSUALI.

I PRESULI RACCOMANDANO: L’UNIONE TRA UOMO E DONNA È DA DIFENDERE

 

OTTAWA. = “La realtà fondamentale ed universale del matrimonio resterà sempre l’unione esclusiva di un uomo e di una donna per la vita. Dal punto di vista della Chiesa cattolica la nuova legge federale snatura i valori e i principi morali”. E’ quanto si legge in un documento dei vescovi canadesi pubblicato in seguito all’adozione, da parte del parlamento federale di Ottawa, del progetto di legge che autorizza il matrimonio tra coppie omosessuali. Nel messaggio si legge che i cattolici continueranno ad opporsi alle unioni gay e cercheranno di assicurarsi che tutti i regolamenti provinciali e territoriali sulla celebrazione dei matrimoni offrano una protezione completa della libertà di coscienza e di religione, così come garantisce la Carta canadese dei diritti e delle libertà. La Conferenza dei vescovi cattolici del Canada sottolinea con gratitudine l’impegno di tanti canadesi, di tutte le confessioni religiose ma anche di quanti non aderiscono ad alcuna fede particolare, a preservare la definizione universale di matrimonio. Tanti hanno difeso la vera natura del matrimonio con coraggio e pagando sacrifici personali considerevoli, talvolta mettendo a rischio persino la propria carriera. Alcuni cattolici hanno malauguratamente promosso la ridefinizione del matrimonio e votato a favore di un tale cambiamento. A questo riguardo essi si pongono in contraddizione con l’insegnamento della Chiesa, così come enunciato dal Santo Padre e dai vescovi. I vescovi canadesi annunciano che individualmente ed insieme continueranno a proteggere il matrimonio e la vita della famiglia. Il documento si conclude con una raccomandazione: “E’ importante riaffermare che le persone omosessuali devono essere accolte con rispetto, compassione e delicatezza. Riaffermando che la definizione universale e tradizionale del matrimonio deve essere mantenuta, si eviteranno discriminazioni ingiuste nei loro riguardi (Catechismo della Chiesa cattolica, n.2358)”. (T.C.)

 

 

PROMUOVERE UN DIALOGO CHIARO E COSTRUTTIVO

CON I FEDELI DELLE ALTRE RELIGIONI:

E’ QUANTO AFFERMATO DAL NUOVO GRAN MUFTI’ DELLA SIRIA,

AHMAD BADR EL DINE EL HASOUN

 

DAMASCO.= “Un dialogo chiaro, costruttivo e reciproco”. E’ quanto chiede il nuovo Gran Muftì della Siria, Ahmad Badr El Dine El Hasoun, convinto della necessità del confronto interreligioso “aperto a tutti”, con la “piena volontà di entrare in rapporto con tutti, per promuovere la dignità umana”. Hassoun, nominato dal presidente siriano Assad, prende il posto di Ahmad Kaftaro, deceduto quasi un anno fa. È nato vicino ad Aleppo nel 1949; laureato in Letteratura Araba e specializzato nello studio della Sharia nella scuola egiziana di El Azhar viene nominato muftì d'Aleppo nel 2002. Hassoun è parlamentare e membro del Consiglio superiore religioso della Repubblica Araba Siriana. Docente e predicatore di fama internazionale, è sposato con 5 figli. Hassoun – riferisce l’agenzia AsiaNews – è considerato da esponenti del governo di Damasco una persona colta, religiosa, impegnata nel campo sociale e politico. Il Gran Muftì è stato ricevuto il 18 luglio dal presidente Assad. Al termine della prima visita ufficiale ha indicato ad AsiaNews l'importanza del dialogo con i fedeli di altre religioni, “un dialogo capace di seminare giustizia, valore sostenuto da tutte le religioni”, di promuovere l'uguaglianza fra tutte le componenti della società e di difendere la tolleranza come condizione primaria e necessaria. Per Hassoun è necessaria una nuova proposta, “in grado di formare una generazione responsabile, capace di annunciare i valori immortali predicati dai profeti”. Una generazione di giovani “pronta a difendere i giusti valori, capace di servire la nazione e tutti coloro che risiedono sul nostro territorio”. Un messaggio anche per i Paesi vicini alla Siria, “nei quali deve essere mantenuta viva la fiamma della libertà dell'uomo, aiutando le persone a costruire una società fondata su principi religiosi sani”. Il Gran Muftì, al termine dell’incontro ufficiale, ha ringraziato Assad per la nomina ed ha assicurato la sua piena adesione all'insegnamento del Corano, “nel rispetto dei diritti di tutti, senza discriminazione, proselitismo, né fondamentalismi”. (A.G.)

 

 

ALLARME DELLA CHIESA DELLO ZIMBABWE PER LA DIFFUSIONE

DELLA VIOLENZA IN TUTTO IL PAESE. INTANTO, NEI GIORNI SCORSI,

UNA DELEGAZIONE DELLE CHIESE SUDAFRICANE HA PORTATO SOLIDARIETA’

ALLE VITTIME DELLE DEMOLIZIONI DI CASE E MERCATI ABUSIVI DELLO ZIMBABWE,

DECISE DAL GOVERNO DI ROBERT MUGABE

 

HARARE.= “La violenza ha preso casa presso di noi”. E’ quanto affermano i capi delle Chiese cristiane dello Zimbabwe in un messaggio per i 25 anni d’indipendenza del Paese. “Siamo ormai abituati alle sempre più diffuse rapine violente nelle nostre città e villaggi”: si legge nel messaggio intitolato “A call to conscience”, firmato da parte cattolica da Michael D. Bhasera, vescovo di Masvingo e presidente della conferenza episcopale dello Zimbabwe. Il Paese africano è da anni in preda a una grave crisi sociale, politica ed economica, di recente aggravata dall’operazione di polizia “Murambatsvina” (Operazione “Restaurare l’ordine”), che è stata duramente criticata da una delegazione ecumenica sudafricana in visita di recente nel Paese. Scopo centrale di questa iniziativa è stato portare la solidarietà di tutte le Chiese sudafricane alle vittime di questa operazione di demolizione delle case e dei mercati abusivi lanciata dal governo di Robert Mugabe nei quartieri poveri della capitale e di altre città del Paese. Tra i membri della delegazione, anche il cardinale arcivescovo di Durban, Wilfred Napier, presidente dell’episcopato sudafricano. (A.G.)

 

 

“DONNE E UOMINI DI SPERANZA”:

E’ LO SLOGAN SCELTO DALLA DIREZIONE DELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE

PER L’OTTOBRE MISSIONARIO 2005

 

ROMA.= “Donne e uomini di speranza”: è questo lo slogan scelto dalla direzione italiana delle Pontificie Opere Missionarie per “l’Ottobre missionario 2005” e la Giornata Missionaria Mondiale, che si celebrerà domenica 23 ottobre. A questo tema si ispirano i sussidi realizzati come ogni anno, per l’animazione e la sensibilizzazione della comunità cristiana. “Donne e uomini di speranza” è anche il titolo di un video, che evidenzia i segni positivi che ogni realtà missionaria porta con sé: dalla Chiesa del Guatemala schierata dalla parte delle vittime di una guerra civile durata 36 anni, alla pastorale nel ghetto ovest di Chicago; dai missionari in Mozambico impegnati nel lento processo di ricostruzione dopo l'alluvione del 2000, alle suore in Albania che vivono in mezzo alla povertà non solo materiale, ma anche di fiducia nel futuro. E ancora, dalle baraccopoli di Bangkok tra droga e prostituzione, ai profughi del Sudan che rientrano dopo la fine della più lunga guerra civile africana con l'accordo di pace del 9 gennaio 2005; dalle Piccole Sorelle di Gesù di Cuba, al vescovo di Babahoyo in Ecuador, a fianco dei lavoratori delle piantagioni di banane delle multinazionali. Queste sono solo alcune meravigliose storie di missionari sparsi per il mondo, “uomini e donne di speranza” sempre in prima linea per portare a tutti Gesù Risorto. Il video, disponibile in videocassetta e in DVD, è stato già inviato ai Centri missionari diocesani insieme con tutto il materiale dell'ottobre missionario. (A.G.)

 

 

PROSEGUE CON SUCCESSO LA CAMPAGNA CONTROL ARMS

 PER LA FIRMA DI UN TRATTATO INTERNAZIONALE SUL CONTROLLO

DEL TRAFFICO DI ARMI: NELL’ULTIMA SETTIMANA OTTENUTE LE ADESIONI

DI 13 NUOVI PAESI, DI CUI SEI AFRICANI

 

ROMA.= La campagna Control arms, che chiede di realizzare un trattato internazionale per il controllo del traffico di armi, ha guadagnato nell’ultima settimana 13 nuove adesioni, tra cui sei Paesi africani. I governi di Ghana, Guinea, Senegal, Sierra Leone, Benin e Uganda hanno dato il loro sostegno all’iniziativa di sensibilizzazione che mira a porre regole minime comuni sul commercio di armi, in particolare per evitare che siano acquistate da Paesi in conflitto o in cui si registrano gravi violazioni dei diritti umani. Tra le altre recenti adesioni, anche quella di Colombia, Turchia, Olanda, Norvegia e Santa Sede che si aggiungono all’appoggio già espresso da Kenya, Mali, Tanzania, Costa Rica, Cambogia, Finlandia e Islanda. La campagna è sostenuta da un cartello di grandi e piccole organizzazioni non governative tra cui Amnesty International, Oxfam, e il Network contro il commercio di armi leggere (Iansa). Gli organizzatori spiegano che per sperare di avviare un negoziato internazionale è importante ottenere l’appoggio anche dei Paesi del ‘G8’ che sono i principali esportatori di armi. Fino ad ora, tra le nazioni in questione, si sono dette favorevoli ad una eventuale trattato Gran Bretagna, Francia, Spagna, Germania. (A. G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

21 luglio 2005

 

 

- A cura di Roberta Moretti -

 

E’ giunto nella tarda mattinata un nuovo allarme terrorismo a Londra: le tre stazioni della metropolitana di Warren Street, Shepherds Bush e Oval sono state evacuate in seguito a quelli che la polizia ha definito “incidenti”. Dalle primissime notizie sembra che si siano verificate delle esplosioni e che, contemporaneamente, sia avvenuta una deflagrazione anche su autobus ad Hackney Road, all’incrocio con Colombia Road, nella zona orientale della capitale. Proseguono intanto in Gran Bretagna le indagini sugli attacchi terroristici del 7 luglio. Secondo il quotidiano, “Times”, poche ore prima degli attentati di due settimane fa, un britannico appartenente ad Al Qaeda, Haron Rashid Aswat, avrebbe telefonato a due dei quattro attentatori suicidi. L’uomo, sotto interrogatorio, è stato fermato in Pakistan, dove ieri sono stati arrestati anche circa 200 attivisti islamici. Il diplomatico britannico a Islamabad, Peter Wilson, ha però smentito che tali arresti siano legati agli attentati di Londra. Intanto, il premier, Tony Blair, che nel pomeriggio incontrerà i vertici di Scotland Yard e dei servizi segreti per varare nuove misure di sicurezza, ha lanciato la proposta di una conferenza internazionale a Londra, per affrontare la sempre più estesa minaccia del terrorismo di matrice religiosa.

 

Ancora violenza in Iraq, mentre fa discutere, già prima di essere presentata, la nuova costituzione. Ascoltiamo Andrea Cocco:

 

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Limitare i diritti delle donne irachene sarebbe un “grave errore”. Questo il  commento del segretario alla Difesa statunitense Donald Rumsfield, a seguito delle indiscrezioni emerse sulla bozza della nuova costituzione irachena, che dovrebbe essere presentata al parlamento di Baghdad il 1° agosto. Lo scorso martedì il quotidiano statunitense New York Times aveva reso noti alcuni stralci del progetto di costituzione che, in caso di approvazione, limiterebbero in modo significativo i diritti delle donne irachene. Tra le riforme che destano perplessità: l’introduzione nell’ordinamento del diritto coranico, la sharia, e l’abrogazione della legge che attualmente riserva alle donne una quota del 25 per cento nel parlamento iracheno.

 

Intanto sono proseguite anche oggi le violenze. In mattinata, secondo una notizia diffusa dall’emittente televisiva Al Arabiya, è stato sequestrato a Baghdad il capo della missione diplomatica algerina in Iraq. Almeno otto persone sono morte invece a seguito di tre attacchi in diverse zone del Paese. Secondo un rapporto del Pentagono, che sarà consegnato venerdì al Congresso statunitense, gli estremisti iracheni sono pronti a pianificare nuovi attentati con l'intenzione di provocare tensioni, dividere le diverse etnie e l'obiettivo concreto di scatenare una guerra civile tra sciiti e sunniti attraverso attacchi mirati a siti religiosi.

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Grande soddisfazione del ministro della Difesa italiano, Antonio Martino, per il via libera della Camera, stamani, al decreto legge che proroga di sei mesi la missione militare “Antica Babilonia” in Iraq. Il provvedimento passa ora al Senato. E sempre oggi a Roma, la formulazione di un unico piano antiterrorismo in Italia, che dovrebbe essere presentato domani al Consiglio dei ministri, è stata al centro del vertice interministeriale presieduto dal premier, Berlusconi. Da ieri, intanto, nel Paese la riforma dell’ordinamento giudiziario è legge: l’approvazione definitiva della Camera è giunta al termine di un dibattito caratterizzato da aspre polemiche, fuori e dentro il Parlamento. Giampiero Guadagni:

 

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Per il centro-destra è un primo passo importante; secondo il centro-sinistra è una ferita per il Paese; a giudizio dell’Associazione nazionale dei Magistrati è una pessima legge. Le prime reazioni all’approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario riflettono le dure polemiche che per anni hanno accompagnato l’esame parlamentare del testo elaborato dalla casa delle libertà, contro il quale i magistrati hanno scioperato ben volte, l’ultima lo scorso 14 luglio. D’altra parte, il capo dello Stato aveva in precedenza rinviato la legge alle Camere, mettendo in luce il rischio di perdita di autonomia della categoria.

 

La legge, approvata ieri, prevede tra l’altro la separazione delle funzioni. I magistrati dovranno scegliere in via definitiva, dopo 5 anni di servizio, tra la carriera di giudice e quella di pubblico ministero. Inoltre, per fare carriera in magistratura, è previsto un sistema di concorsi che comprende prove di idoneità psico-attitudinali.

 

Per la Radio Vaticana, Gianpiero Guadagni

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Medio Oriente: un’automobile è esplosa stamani in Cisgiordania sotto un ponte sull’autostrada israeliana della TranSamaria, vicino all'insediamento di Ariel, sembra senza provocare vittime. Intanto, fonti dell’ufficio del premier israeliano, Sharon, hanno rivelato la possibilità che il ritiro israeliano da Gaza, fissato per il 15 agosto prossimo, venga anticipato. La decisione avviene in seguito alle violente manifestazioni di protesta ingaggiate da migliaia di coloni e attivisti ebraici a Kfar Maimon, nel Neghev settentrionale, smobilitate nella notte. E sempre stanotte, oltre 250 militanti della destra ultra-nazionalista sono stati arrestati dalla polizia israeliana, per lo più al valico di confine di Kissufim, mentre tentavano unirsi ai coloni che intendono resistere allo sgombero forzato. Proprio in Medio Oriente, comincia domani la visita del segretario di Stato americano, Condoleeza Rice.

 

Scuse formali: è quanto ha chiesto e ottenuto dal governo di Khartoum il segretario di Stato americano, Condoleeza Rice, giunta questa mattina in Sudan, per contribuire ad una celere soluzione alla difficile crisi nella regione del Darfur. Il capo della diplomazia degli Stati Uniti si è detta “adirata” per i maltrattamenti inflitti dal servizio d’ordine della residenza presidenziale ai funzionari dell’amministrazione USA e ai giornalisti al suo seguito, mentre era impegnata in colloqui con il presidente, Omar Hassan al-Bashir. La Rice si è poi recata in un campo profughi nel Darfur.

 

Fertilizzante, nitrato di ammonio, polvere di alluminio, nitrato di potassio: ieri la polizia saudita ha scoperto a sud della capitale, Riad, un covo di militanti, sospettati di avere legami con Al Qaeda, pieno di materiale per fabbricare bombe. La notizia è giunta poche ore dopo che l’ambasciata americana a Riad aveva allertato i cittadini statunitensi del pericolo di nuovi attentati.

 

L’integrazione della Serbia-Montenegro in Europa e i futuri rapporti con il Kosovo sono stati al centro degli incontri dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, Javier Solana, ieri in visita a Pristina e Belgrado. Ce ne parla, nel servizio, Emiliano Bos:

 

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Sono sorpreso di vedere un rallentamento nel processo degli standard democratici e del decentramento. Solana lo ha detto senza mezze misure. Politici del Kosovo, state sbagliando: ha insistito il ministro degli esteri dell’Unione a poche settimane dai colloqui internazionali che dovrebbero decidere il futuro della provincia balcanica che dopo la guerra del 1999 è di fatto amministrata dall’ONU.

 

Gli albanesi del Kosovo rivendicano l’indipendenza. Belgrado non è disposta a concederla. Intanto da Belgrado Solana ha poi rilanciato l’urgenza di riallacciare rapidamente rapporti tra Bruxelles e l’Unione di Serbia e Montenegro che unisce le due ex repubbliche jugoslave. I colloqui di adesione – ha detto – potrebbero iniziare già forse ad ottobre a condizione, però, di una decisa collaborazione con il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja per chiudere definitivamente il capitolo dei crimini delle guerre degli anni Novanta.

 

Per la Radio Vaticana, Emiliano Bos.

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Cresce la speranza per la pace in Indonesia: il presidente, Susilo Bambang Yudhoyono, ha ordinato ieri all’esercito di cessare le ostilità contro i ribelli separatisti nella provincia di Aceh, nel quadro dell’accordo di pace raggiunto domenica a Helsinki, in Finlandia. Il protocollo dell’intesa verrà firmato il 15 agosto.

 

Si riaccende la violenza in Turchia, dove oggi due separatisti del Partito dei lavoratori curdi PKK e un soldato turco sono stati uccisi in scontri tra guerriglieri ed esercito vicino Erics, nella regione orientale di Van.

 

Il governo yemenita ha invitato oggi la popolazione a mantenere la calma, all'indomani dei violenti scontri tra dimostranti e polizia nella capitale, Sanaa, e in altre città, che hanno provocato 13 morti e decine di feriti. Le violente proteste erano state innescate dalla revoca, martedì scorso, dei sussidi statali per i prodotti petroliferi, che ha comportato un immediato raddoppiamento dei prezzi di benzina, gasolio e gas per uso domestico. Il governo yemenita ha giustificato la misura con l’aumento dei prezzi petroliferi a livello mondiale. 

 

E’ di 26 morti e 3 feriti il bilancio dell’esplosione avvenuta martedì in una miniera di carbone nella provincia di Shaanxi, nel nord della Cina. La notizia è stata diffusa solo oggi da alcuni mezzi di informazione locali. L'anno scorso, più di 6 mila minatori cinesi hanno perso la vita a causa di esplosioni e di altri incidenti.

 

La Cina rivaluta la sua moneta nazionale, lo yuan, del 2 per cento. E’ la prima volta da almeno dieci anni che la Banca centrale di Pechino prende una decisione di questa portata. Tra i primi effetti, la modifica del tasso di cambio con il dollaro, che da oggi vale 8,11 yuan. “La rivalutazione del yuan – ha spiegato il governatore della Banca centrale cinese – ridurrà gli squilibri commerciali e servirà ad aumentare l’indipendenza della politica monetaria di Pechino”.

 

 

 

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