RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
199 - Testo della trasmissione di lunedì 18 luglio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
E’
stato consacrato ieri a Boa Vista, in Brasile, il nuovo vescovo della diocesi
di Roraima
Ad Amman, conferenza dei
Paesi donatori per favorire gli investimenti in Iraq
Finiti i tempi per
scusare il terrorismo: così il ministro degli Esteri britannico da Bruxelles
18
luglio 2005
IL
SANTO PADRE ESPRIME VIVO CORDOGLIO ALLE AUTORITA’ E AL POPOLO TURCO
PER
L’ATTENTATO CHE, SABATO SCORSO IN TURCHIA, HA PROVOCATO 5 MORTI:
LO FA
NEL TELEGRAMMA AL NUNZIO IN TURCHIA, IN CUI
BENEDETTO XVI
CONFERMA LA SUA PREGHIERA PER LE VITTIME E
PER I FERITI
Il Papa ha condannato
l’orribile attentato avvenuto sabato scorso a Kusadasi, località turistica
della Turchia, pregando per le vittime e per i numerosi feriti e esprimendo il
suo vivo cordoglio nei confronti delle autorità e del popolo turco. Benedetto
XVI ha, inviato, infatti, un telegramma, a firma del segretario di stato, card.
Angelo Sodano, al nunzio in Turchia, mons. Edmond Farhat. ''Informato
dell'esplosione mortale che è avvenuta recentemente in Turchia – si legge nel
telegramma diffuso in francese – il Santo Padre implora la misericordia
dell'Onnipotente sulle persone che hanno perso la vita in questo orribile
attentato e il conforto di Dio sulle loro famiglie. Ricordiamo che l'attentato,
avvenuto sabato scorso, ha provocato 5 morti e 14 feriti ed è stato rivendicato
da un gruppo indipendentista curdo, ala estremista del Pkk.
PROSEGUE
IL PERIODO DI RIPOSO IN VALLE D’AOSTA DI BENEDETTO XVI,
“UN
DONO PROVVIDENZIALE DI DIO”, L’HA DEFINITO IL PAPA CHE, IERI, ALL’ANGELUS,
HA
RICEVUTO L’ABBRACCIO CALOROSO DI MIGLIAIA DI FEDELI.
SULL’IMPORTANZA DELLE VACANZE, TEMPO PER
RITEMPRARSI NEL CORPO
E
NELLO SPIRITO, LA RIFLESSIONE DI PADRE ENZO BIANCHI
- Con
noi, Fabrizio Favre -
Una pausa
estiva, un dono provvidenziale di Dio: così, Benedetto XVI ha definito le sue
vacanze valdostane, iniziate lunedì scorso. Un periodo di riposo che prosegue
all’insegna della serenità e che ieri ha vissuto il primo bagno di folla per il
Papa con il tradizionale appuntamento domenicale dell’Angelus, nello splendido
scenario naturalistico di Les Combes. Nella serata poi, Benedetto XVI ha fatto
visita al museo dedicato all’amato predecessore Giovanni Paolo II, che per ben
dieci volte ha soggiornato nella località valdostana, durante le vacanze
estive. Su questa domenica particolare per il Santo Padre e i fedeli della
Valle d’Aosta, Luca Collodi ha intervistato Fabrizio Favre, direttore del
“Corriere della Valle”, settimanale della diocesi di Aosta:
*********
R. – Devo dire che la cosa che più mi ha colpito di questo
Angelus è stata la sua ufficialità, ovviamente, come momento pubblico, ma anche
alcune sottolineature fatte dal Papa molto particolari. Ha voluto veramente
dare un forte calore umano alle sue parole. Anche quel suo saluto finale nel
dialetto locale era proprio per voler rafforzare questo contatto con le genti
valdostane. Questo sicuramente è stato un elemento bello. L’altro elemento di
questo Angelus, che mi ha colpito molto è stato quel riferimento alle
problematiche di alcune aziende, che si trovano in un difficile momento
economico. Mi ha particolarmente colpito questa sottolineatura, fatta dal Papa,
legata proprio ai problemi di questi operai, di questi impiegati che temono un
po’ per la tranquillità delle loro famiglie. E’ legata ovviamente ad una
situazione di disoccupazione che non permette di mantenere in maniera adeguata
la propria famiglia, questa preoccupazione del Papa verso una vicenda locale,
ma che in realtà aveva una ricaduta decisamente maggiore.
D. – Il Papa ieri ha visitato il museo di Giovanni Paolo
II a Les Combes. Lo ha fatto quasi in modo inaspettato...
R. – La gente è rimasta molto stupita. Era evidente che
questa vacanza sarebbe stata profondamente nel solco di Giovanni Paolo II. Lo
stesso Papa ha subito esordito: da alcuni giorni mi trovo qui in Valle D’Aosta,
dove è ancora vivo il ricordo dell’amato mio predecessore Giovanni Paolo II e
qui è partito l’applauso. E’ evidente che tutti speravano, tutti si auguravano
questa visita al museo di Giovanni Paolo II e lui l’ha fatta forse nel giorno
più indicato.
D. – Un altro elemento che continua nei momenti pubblici
di Benedetto XVI è quello del gran numero di persone, di pellegrini che
affollano gli Angelus. Anche ieri in Valle d’Aosta sono saliti a Les Combes,
moltissimi pellegrini, molti giovani...
R. – Sì, molti giovani e infatti il Papa ha avuto un
momento di saluto particolare nei confronti dei giovani e qui c’è stato anche,
rispetto al testo che di solito viene distribuito, una nota in più che è stata
quella su Colonia che il Papa ha aggiunto in quel momento a braccio proprio
perché si è reso conto della forte presenza dei giovani. Di fatti ha detto: con
questo primo Angelus in montagna siamo già spiritualmente in cammino verso
Colonia!
*********
E all’Angelus, il Papa ha parlato della necessità
di ritemprarsi nel corpo e nello spirito, specie per chi abita in città dove le
condizioni di vita sono spesso frenetiche. Su queste parole di Benedetto XVI,
Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione di padre Enzo Bianchi, priore
della comunità monastica di Bose:
*********
R. - Da sempre il Cristianesimo è molto attento a quella
che noi chiamiamo la Creazione, che è opera di Dio, perché c’è indubbiamente un
messaggio, una sapienza che viene dal nostro rapporto con la natura. Quindi il
Papa certamente all’interno di questa grande attenzione che il cristiano sa
dare alla Creazione ha colto l’occasione per sottolineare la necessità che il
riposo del corpo, il riposo della mente sia accompagnato anche da questa
esperienza. Nel contesto in cui noi viviamo che è quello che Dio ci ha dato,
come un “partner” che richiede da noi una corresponsabilità e una relazione di
comunione.
D. – In fondo si può dire: scoprire il Creato per
riscoprire se stessi?
R. – Sì, perché soltanto all’interno del silenzio noi
possiamo anche udire la voce del nostro profondo, conoscere più noi stessi.
Come dicevano i padri della spiritualità cristiana: abitare secum, stare
con se stessi in modo da poter davvero vivere in vera comunione con tutte le
cose che Dio ha creato e in comunione con i fratelli e con noi stessi.
D. – Benedetto XVI ha anche detto: questa pausa estiva è
un dono provvidenziale di Dio dopo i primi mesi dell’esigente servizio
pastorale affidatomi dalla Provvidenza, come a dire che anche il Papa ha
bisogno di riposo…
R.- Abbiamo bisogno tutti di riposo e credo soprattutto
chi, come il Papa, ha un ministero estremamente carico di responsabilità, ha
bisogno di questo ritirarsi nel silenzio, ritirarsi in comunione con Dio. Non
dimentichiamolo: Gesù all’interno dei Vangeli sovente era oppresso dalla
quantità di gente che lo seguiva, lo inseguiva nel deserto. Però, lui cercava
dei momenti. Diceva anche ai discepoli: venite con me, in un luogo in disparte
per riposare un po’. Direi che il Papa non solo fa bene, ma è un suo dovere!
Per svolgere meglio il suo ministero di Pietro che è un ministero così
difficile e faticoso ha bisogno di ritemprarsi con la solitudine, con il
rapporto con Dio, con il ritiro.
*********
IL CARDINALE RENATO RAFFAELE MARTINO,
PRESIDENTE
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO GIUSTIZIA E PACE,
RIENTRA
OGGI A ROMA DALLA TANZANIA, DOVE HA PRESENTATO
IL
COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
- A
cura di Roberta Moretti -
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Rientra oggi a Roma dalla Repubblica Unita di Tanzania, in
Africa, il presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace,
cardinale Renato Raffaele Martino. Il porporato, partito il 13 luglio scorso,
era stato invitato dal Dipartimento giustizia e pace della Conferenza
episcopale del Paese, presieduta dal vescovo di Kigoma, mons. Paul Ruzoka. Un
viaggio nella cultura, nei colori e nelle tradizioni del Paese, apertosi il 14
luglio con la visita alle parrocchie di Tandale e Mansese, nell’area della
capitale, Dar-es-Salaam, a maggioranza musulmana. In un dibattito con i fedeli
e i pastori locali sulle difficoltà della missione nel territorio, il cardinale
Martino ha sollecitato tutti a trovare sempre nuove vie di dialogo e a
impegnarsi per costruire la pace e una serena convivenza con la comunità islamica.
A Mansese, in particolare, il porporato ha incontrato i rappresentanti del Consiglio
dei laici, che hanno illustrato il loro impegno a fianco degli orfani e dei poveri,
l’assistenza ai malati di AIDS e l’istituzione di una scuola professionale di falegnameria
e cucito. E sempre all’insegna della familiarità, si è svolta, nel pomeriggio,
una Sessione accademica presso l’Università di Dar-es-Salaam, dove giudici
della Corte d’appello della Tanzania e illustri cattedratici hanno proposto
alcune riflessioni sui Diritti umani nel Paese.
Presiedendo
l’incontro, il cardinale Martino ha commentato gli interventi, approfondendo
alcuni punti fondamentali della sua esperienza di Osservatore permanente della
Santa Sede presso le Nazioni Unite, dal 1986 al 2002. Grande partecipazione,
poi, il giorno seguente, alla presentazione del Compendio della Dottrina
Sociale della Chiesa nella sede della Conferenza episcopale tanzanese.
Ringraziando il porporato per la sua visita, l’arcivescovo metropolita di
Dar-es-Salaam, cardinale Polycarp’ Pengo, ha illustrato al presidente del dicastero
pontificio la lettera pastorale dei vescovi della Tanzania, in vista delle
elezioni nel Paese dell’ottobre prossimo. Dopo un confronto vivace sul
documento, mons. Ruzoka ha manifestato l’impegno a diffondere nel Paese la
Dottrina Sociale della Chiesa, anche attraverso la traduzione del Compendio
nell’idioma locale. La giornata di sabato è stata scandita, invece,
dall’incontro con i giovani del Centro Don Bosco, che hanno illustrato al
cardinale Martino proposte e riflessioni sul tema della pace, della tolleranza
e dell’AIDS. Al termine, il porporato è partito alla volta di Kigoma, dove ieri
ha incontrato la comunità di rifugiati provenienti dalla Regione dei Grandi Laghi.
La Repubblica Unita della Tanzania è stata fondata nel
1964 dall’unione del Tanganica e di Zanzibar, indipendenti dal Regno unito,
rispettivamente, nel 1961 e nel 1963. Esteso su 945 mila chilometri quadrati,
il Paese ha una popolazione di oltre 34 milioni di persone, il 44 per cento di
religione cristiana e il 34, islamica. La prima evangelizzazione cattolica
risale al 1499, quando i missionari portoghesi Agostiniani giunsero a Zanzibar,
al seguito di Vasco de Gama. La missione si concluse nel 1698, con la conquista
musulmana di Oman-Arab. Per la seconda e definitiva evangelizzazione bisogna
attendere il 19.mo secolo, ad opera delle congregazioni religiose dei Padri
dello Spirito Santo, dei Padri Bianchi e dei monaci Benedettini.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il titolo "A contatto con la natura la persona si riscopre creatura, 'capace di Dio'
": l'"Angelus" di Benedetto XVI tra le stupende montagne della
Valle d'Aosta.
Riguardo all'Iraq un articolo dal titolo
"Presso la moschea di Mussayeb la furia omicida di Al Zarqawi"; un
attentato ad un luogo di culto sciita - rivendicato dal gruppo estremista
sunnita - ha provocato 98 morti.
Il Kenya rende omaggio al vescovo Luigi Locati; il
presidente della Repubblica condanna il brutale assassinio.
Nelle vaticane, ampi stralci di alcune conferenze
tenute, ad Aachen, dal cardinale Javier Lozano Barragan, sul tema:
"Dolore, enigma o mistero?".
Nelle estere, Medio Oriente: febbrili sforzi per
fermare le violenze e per arginare il deterioramento della tregua fra
israeliani e palestinesi.
Nella pagina culturale, un articolo di Roberto
Morozzo Della Rocca sul libro di Arrigo Levi "Cinque discorsi fra due
secoli".
Nelle pagine italiane, in primo piano il
terrorismo. Ultimatum all'Italia: "Ritiratevi dall'Iraq"; minaccioso
messaggio via internet.
18
luglio 2005
CONCLUSE IN BOSNIA LE COMMEMORAZIONI IN RICORDO
DELLE VITTIME
DI SREBRENICA, A 10 ANNI DALLA STRAGE
COMINCIATA L’11 LUGLIO 1995
- Intervista con Federico
Eichberg -
Conclusione
in Bosnia delle commemorazioni in ricordo delle vittime di Srebrenica, a 10 anni dalla strage cominciata l’11 luglio 1995. Allora
i soldati serbo bosniaci uccisero almeno 8mila musulmani, di fronte
all’impotenza dei caschi blu olandesi presenti sul territorio. Una sconfitta
della comunità internazionale, che comunque riuscì a portare a termine gli
accordi di Dayton, ponendo fine al conflitto in Bosnia del ’92-’95 e creando
nel Paese balcanico una Federazione croato musulmana e una Repubblica
serbo-bosniaca. Ma cosa ha significato per la Bosnia ricordare i 10 anni
dalla strage di Srebrenica? Risponde, nell’inetrvista di Giada Aquilino,
Federico Eichberg, esperto di questioni balcaniche:
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R. – Cercare di rimarginare una
ferita che è stata definita l’atto di guerra più drammatico dalla II Guerra
Mondiale ad oggi svoltosi in Europa. Un atto che dimostrò innanzitutto la
violenza e la barbarie di quel conflitto, che per oltre tre anni ha attraversato
la Bosnia Erzegovina. Dimostrò, purtroppo, l’inefficienza di un intervento
internazionale che aveva creato delle safe area, zone sicure, che tali
non si dimostrarono. E dimostrò agli occhi del mondo quanto difficile fosse
creare le condizioni di convivenza.
D. – L’ex presidente jugoslavo,
Milosevic, è sotto processo all’Aja, ma sono ancora liberi Karazic e Mladic,
ritenuti l’ideatore e l’esecutore materiale della strage. Qual è l’impegno
della comunità internazionale in tal senso?
R. – L’impegno,
dal punto di vista del dispiegamento delle forze, è ancora significativo,
perché non dimentichiamoci che la I Force, la forza presente in Bosnia Erzegovina,
a guida europea da diversi mesi, ha fra gli obiettivi principali proprio quello
di far sì che questi ricercati verso i quali è stato spiccato un apposito mandato
possano essere condotti all’Aja. Il caso serbo dimostra che è fondamentale la
collaborazione delle autorità locali. In questo senso, soprattutto alla
Repubblica Serba, quindi all’entità serba, è richiesta una maggiore
collaborazione e, come noto alla luce della constatata inefficienza di questa
collaborazione, la comunità internazionale ha dato prova di determinazione nel
rimuovere anche quei rappresentanti di governo locale, di governo, di entità
che non hanno mostrato questa collaborazione. E’ importante soprattutto creare
le condizioni culturali perché la popolazione delle Bosnia Erzegovina,
guardando avanti, sappia finalmente riconoscere chi sono stati i colpevoli ed
essere consapevole del ruolo che deve svolgere.
D. – Invece, a che punto sono le
ricostruzioni sull’impotenza della comunità internazionale 10 anni fa in
Serbia?
R. – 10 anni fa in tutta l’area
dei Balcani la comunità internazionale ha dovuto registrare il proprio
fallimento. E una menzione particolare va fatta, temo, per l’Europa. Quella che
doveva essere l’ora dell’Europa si trasformò nella vergogna dell’Europa, perché
in un territorio così prossimo geograficamente all’Unione, questa possibilità
di esprimere la propria potenzialità si è trasformata in un’inefficienza. Da lì
credo sia nata una riflessione più profonda all’interno dell’Unione Europea.
Non è un caso che nella seconda metà degli anni ’90, nel ’97, nasca la figura
dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, proprio
perché si comprese come in quelle circostanze l’Europa non riuscì ad esprimere
una voce unitaria e come, invece, servisse questa voce unitaria, servisse
un’azione comune. E nel ’99, per l’esattezza, nasce l’iniziativa dell’Esercito
europeo. Sono due dimostrazioni che questa lezione è servita a qualcosa.
D. – Srebrenica ha ricordato le
sue vittime, ma oggi la Bosnia che Paese è?
R. – E’ consapevole della
propria anomalia. Superare Dayton non è semplice, perché richiede l’accordo
delle parti in causa, quindi delle tre nazionalità della Bosnia Erzegovina: i
croati, i musulmani e i serbi. La vera integrazione credo che verrà solo con il
tempo.
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INDONESIA: SIGLATA INTESA PER LA PACE
CON LA PROVINCIA DI ACEH
- Intervista con Emanuele Giordana -
Sarà firmato il 15 agosto l’accordo per la pace nella provincia
indonesiana di Aceh, raggiunto ieri a Helsinki
tra il governo di Giakarta e i ribelli del Gam. Il patto dovrebbe
mettere fine a un conflitto durato quasi trent’anni con un bilancio che oscilla
tra le 12 mila e le 90 mila vittime. Ma qual è il contenuto dell’accordo?
Andrea Cocco lo ha chiesto al giornalista di Lettera 22 Emanuele Giordana:
*********
R.- L’accordo prevede
teoricamente la fine della guerra tra governo centrale di Giakarta e ribelli di
Aceh Nardeka. La rinuncia, dunque, alla lotta armata da parte dei secessionisti
è la rinuncia alla secessione ed anche alla vecchia richiesta di un referendum
per decidere se andarsene o no dall’Indonesia, come aveva fatto Timor Est. Il
punto controverso riguarda però la richiesta che i ribelli hanno fatto al
governo di Giakarta, cioè di avere una rappresentanza politica.
D. – Nel dicembre 2002 fu
raggiunto un accordo che poi però fallì. Questa volta si può esser più
ottimisti?
R. – Io credo che la cautela sia
in realtà l’atteggiamento giusto per due motivi. Il primo che si era arrivati
molto vicini alla pace, poi in maniera unilaterale l’esercito di Giakarta fece
carta straccia, con la firma naturalmente dell’allora presidente della Repubblica
signora Megawati, di quegli accordi di pace. Secondo motivo è che non è ancora
chiaro il punto della rappresentanza politica. I ribelli chiedono di far
nascere un partito politico che si presenti regolarmente alle elezioni, il
governo dice: questo non è possibile perché va riformata la Costituzione perché
non è consentito in Indonesia che esistano partiti su basi regionali.
D. – Un altro aspetto molto
delicato riguarda la smilitarizzazione dei ribelli. Come pensi si potrà
procedere su questo punto?
R. – Se effettivamente ci sarà
il riconoscimento politico dell’organizzazione come partito, sarà possibile
procedere alla smilitarizzazione. Questo significa anche però che tutta
l’attività di guerra deve immediatamente cessare.
D. – Nella provincia di Aceh lo
tsunami ha provocato circa 170 mila morti. Che peso ha avuto secondo te questa
catastrofe nel riavvicinamento tra le parti?
R. – Ha avuto un ruolo
importante perché giustamente sono stati messi i riflettori anche su un
conflitto che era silenzioso e nascosto. C’è, però, da dire che la comunità
internazionale avrebbe dovuto fare molto di più. In realtà, questi accordi si
devono in gran parte alla testardaggine soprattutto di una piccola organizzazione
non governativa, quella finlandese capeggiata da Marzia Tissani, che con
ostinazione ha perseguito la via della pace.
**********
CON
IL TRADIZIONALE CONCERTO IN PIAZZA DUOMO, È CALATO IL SIPARIO
SUL FESTIVAL DEI DUE MONDI DI SPOLETO:
- Intervista con Francis Menotti -
Con
il tradizionale concerto in Piazza Duomo, diretto dal russo Yuri Termirkanov,
ieri sera è calato il sipario sul Festival dei Due Mondi di Spoleto. A.V.:
**********
(musica)
Orfano dei suoi spazi - il Teatro Nuovo
e Palazzo Arroni, ma anche l’interno del Duomo, e di parte della programmazione
lirica e di prosa, lo Spoleto Festival ha comunque mantenuto la promessa di
sorprese e scoperte: col “Ferdinando, Re di Castiglia di Haendel e il cantante
tedesco Max Raabe. Il direttore artistico Francis Menotti:
R. –
Siamo molto soddisfatti del programma. Ferdinando è andato molto bene e siamo
stati molto fortunati con le voci: Max Cencic, ma anche Marianna Pizzolato di
Palermo, che vive ora a Roma. E’ bravissima ed ha 21anni.
Nella marcia di avvicinamento al
cinquantenario del 2007, Francis Menotti annuncia, già per il prossimo anno,
qualche chicca:
R. –
Con Alan Curtis abbiamo trovato di Vivaldi, Montezuma, con un finale molto
bello, di felicità. Vorrei fare una nostra produzione qui in città, con scene e
costumi, con piume e sete. Non voglio fare una cosa moderna.
D. -
Condizione essenziale i luoghi: lei si è rivolto polemico al Comune…
R. – La cosa fondamentale per
realizzare un Festival è una buona sala di musica, dove eseguire i concerti ed
un buon teatro per la prosa. Delle intenzioni future dico che vorrei mettere in
calendario due opere liriche e compagnie di danza.
Un’ombra
sul Festival, gli attentati di Londra, che hanno colpito anche i familiari di
alcuni artisti…
R. – Sì, era il giorno del
compleanno di mio padre ed ero già pronto per fare qualche scherzo per la festa
di mio padre. Ma poi purtroppo è successa questa cosa e quindi abbiamo fatto,
all’inizio del programma, un minuto di silenzio.
Silenzio anche del fondatore
Gian Carlo Menotti, che preferisce dedicare i suoi 94 anni alla composizione,
lontano dai clamori festivalieri: l’arte soprattutto. Chissà se ancora una
volta il vecchio Menotti non abbia ragione!
(musica)
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IL
MONDO CELEBRA I 200 ANNI DALLA NASCITA DI HANS CHRISTIAN ANDERSEN,
FAVOLISTA
DANESE VICINO ALL’INFANZIA IN DIFFICOLTA’
- Con
noi, il dott. Bruno Berni -
“Il
brutto anatroccolo”, “La sirenetta”, “La piccola fiammiferaia”, “I vestiti
nuovi dell’imperatore”, “L’intrepido soldatino di stagno”, “La principessa sul
pisello”. Sono solo alcune delle 156 fiabe nate dalla fantasia dello scrittore
danese, Hans Christian Andersen, di cui quest’anno ricorre il bicentenario
della nascita. Molteplici, le iniziative nella città natale di Odense, ma anche
in tutta la Danimarca e nel mondo, per divulgare gli scritti e il pensiero di
questo autore sensibile alle ingiustizie sociali e interprete dei sogni e delle
aspirazioni di bambini e adulti. Roberta Moretti ha intervistato il vincitore
del “Premio Andersen 2004” per la traduzione integrale in italiano delle sue
fiabe, il dott. Bruno Berni:
**********
R. – Andersen
veniva da una situazione assolutamente disagiata e lottò tutta la vita per
sollevarsi da questa situazione. Per questo nelle sue fiabe spesso descrive le
classi umili e sopratutto i bambini. Pensiamo alla piccola fiammiferaia, per
esempio, che alla fine muore e la morte assume valore di testimonianza sociale.
D. – Forte
quindi la componente autobiografica nelle sue opere. Pensiamo ad esempio alla
fiaba del Brutto Anatroccolo....
R. – Lui aveva
comunque la convinzione di essere un cigno, nato nel cortile delle anatre.
Continuava spesso a ripetere la storia dell’infelice che poi, alla fine, conquista
qualcosa. Una parabola della sua vita, in fondo, perché lui diventa uno degli
scrittori più famosi dell’Europa del suo tempo, accolto da re, da principi.
D. – Le fiabe
di Andersen sono spesso prive di un lieto fine. Abbiamo citato la piccola
fiammiferaia, ma anche la sirenetta, con la ragazza dal corpo di pesce dissolta
in schiuma. Perchè?
R. – Le
consideriamo prive di un lieto fine perché siamo abituati alla fiaba popolare
che normalmente ha il lieto fine, nel
quale il protagonista, ad esempio, conquista la principessa e la metà del regno. In realtà una fiaba come la
sirenetta ha un lieto fine, ad un livello superiore, semplicemente. La
Sirenetta non ottiene il principe, che poi in fondo, neanche la meritava, ma
ottiene qualcosa di più, ottiene un’anima.
D. – E’ proprio l’anima che
Andersen, nelle sue fiabe, dona ad ogni cosa: dagli animali, ai giocattoli, ai
fiori, o oggetti meno desiderati, un lampione, una casseruola, una scatola di
fiammiferi...
R. – La cosa
splendida di Andersen è che questi oggetti hanno una vita che corrisponde al
loro carattere originario. Non sono personificati, ma sono oggetti che si
comportano secondo il loro carattere. Il colletto si comporta come un colletto,
la teiera ha aspirazioni da teiera, nonostante poi pensi …
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18 luglio 2005
PRESENTATO DALL’UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE CONTRO LA DROGA E IL
CRIMINE,
A ROMA, ALLA FARNESINA, LO STUDIO “CRIMINE E SVILUPPO IN AFRICA”.
POVERTÁ,
DISOCCUPAZIONE, MALATTIE,
VIOLENZA E CRIMINALITÁ POSSONO ESSERE COMBATTUTE CON POLITICHE DI PREVENZIONE,
CONTROLLO E COOPERAZIONE
ROMA. =
Il sottosviluppo africano è causa e conseguenza di crimine, di violenza, corruzione
e conflitti. Cinque milioni di persone sono le vittime delle guerre negli
ultimi 50 anni. Ma spezzare questo circolo vizioso è possibile. Questo il
messaggio lanciato dal Rapporto crimine e sviluppo in Africa, presentato oggi a
Roma al ministero degli Affari Esteri da Antonio Maria Costa, direttore
esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine. Lo
studio si articola su diversi problemi che attanagliano l’Africa. Oltre alla
povertà, alla disoccupazione, le malattie, la fame, i mali altrettanto
insidiosi che affliggono questo continente sono i conflitti, la violenza, la
criminalità, lo sfruttamento, la tratta di esseri umani, il traffico di armi e
di droga e la corruzione. Obiettivo pratico di questo rapporto è quello di
stimolare i governi africani ad inserire la prevenzione ed il controllo del
crimine nelle politiche nazionali e rafforzare l’assistenza tecnica e la
cooperazione allo sviluppo della comunità internazionale nelle aree della
giustizia, della legalità, della sanità e dell’istruzione dell’Africa. Con le
deliberazioni del recente G8 sono stati destinati 50 miliardi di dollari
all’Africa ed è stato deciso di aumentare l’assistenza in materia di maggiori
aiuti a favore dello sviluppo, dell’abbattimento del debito e della lotta
all’Aids. E le Nazioni Unite hanno invitato i Paesi ricchi a non concentrarsi
solo sulla creazione di strutture fisiche, scuole, strade, fabbriche e dighe, ma
di focalizzarsi soprattutto sulla stabilità, sul progresso, sulla sicurezza dei
cittadini africani, aiutandoli nella promozione di una buona gestione di
governo, nella lotta alla criminalità organizzata e nel consolidamento della
democrazia. Questi i passi importanti e decisivi per restituire dignità
all’Africa e portare crescita economica ad un continente che non ne ha quasi
mai goduto. (F. S.)
e’ stato consacrato ieri A BOA VISTA, in brasile, il
nuovo vescovo
dELLA DIOCESI DI roraima. E’ monsignor Roque
Paloschi, nominato
il 18 maggio
da benedetto XVI E SUCCEDE A monsignor Apparecido José Dias
BOA
VISTA. = “Accetto la sfida di essere vescovo di Roraima come servizio alla
Chiesa, alla vita e alla dignità umana": lo ha detto, a Radio Monte
Roraima, monsignor Roque Paloschi, nuovo vescovo di Roraima, stato del nord del
Brasile, al confine con il Venezuela e La Guyana. Ieri, alla solenne
celebrazione per la sua consacrazione e la presa di possesso della diocesi,
hanno partecipato diversi vescovi, tra cui monsignor Jaime Hernrique Chemello,
presidente della Comissione Episcopale per l'Amazzonia, i vescovi emeriti di Roraima
Servilio Conti e Aldo Mangiano e una cinquantina di sacerdoti. Monsignor
Chemello, nella sua omelia, ha presentato al nuovo vescovo la complessa realtà
della diocesi, che conta una popolazione di circa 330.000 abitanti, soprattutto
popolazioni indigene, primi fra tutti gli Yanomami, cui la Chiesa ha rivolto
sempre particolare attenzione. Alla celebrazione del mattino é seguita quella
della notte nella cattedrale di Boa Vista durante la quale il neo-vescovo ha
voluto spiegare ai fedeli il suo motto episcopale, “Sono venuto per servire”.
Ha salutato poi personalmente ciascuno dei partecipanti. Già conosciuto come
territorio di Rio Branco, dall’omonimo fiume, Roraima è uno Stato dal 1988. Ha
acquisito il suo nome nel 1962, da un monte locale alto più di duemila metri;
il significato verdeblu (roroi) e grande (ma). Per le enormi ricchezze
naturali, i conflitti e le tensioni provocate dalla forte resistenza dei
latifondisti alla attribuzione delle terre agli indigeni, Roraima è uno dei
territori più “caldi” del Brasile. Monsignor Paloschi, già sacerdote diocesano
nominato vescovo il 18 maggio da papa Benedetto XVI, è noto per aver partecipato
al "Progeto Igrejas Solidarias" ed essersi impegnato come missionario
in Mozambico per due anni. A Radio Monte Roraima, il nuovo vescovo ha anche
detto che intende porsi al servizio della comunità come "un buon
samaritano". (T.C.)
L’UNESCO NOMINA NELSON MANDELA “AMBASCIATORE DI BUONA
VOLONTÀ”
PER IL SUO IMPEGNO
CONTRO LA DISCRIMINAZIONE RAZZIALE
JOHANNESBURG.
= “Per il suo straordinario ruolo nella lotta contro l’apartheid e la discriminazione
razziale nel suo Paese, come nel resto del mondo”: con questa motivazione
l’Organizzazione Onu per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco) ha
nominato suo “ambasciatore di buona volontà” l’ex-presidente sudafricano Nelson
Mandela che, lunedì prossimo, in occasione del suo 87° compleanno, riceverà in
visita l'ex-presidente Usa Bill Clinton. In una cerimonia che si è svolta nella
sede della fondazione che porta il nome del Premio Nobel per la pace 1993, a
Johannesburg, il direttore generale dell’Unesco Koichiro Matsuura - riferisce
l’agenzia missionaria Misna - ha reso omaggio “all’attaccamento di Nelson
Mandela alla causa della riconciliazione tra diverse comunità, al suo impegno
senza sosta a favore della democrazia, dell’uguaglianza e dell’istruzione, al
suo sostegno a tutti gli oppressi della Terra e al suo contributo esemplare
alla pace e alla comprensione reciproca”. Primo nero della storia del Sudafrica
a diventare presidente nel 1994, dopo 27 anni di prigionia nel carcere di
Robben Island, Mandela dedica ormai da anni le sue energie contro la sindrome di
immunodeficienza acquisita (AIDS) che colpisce oggi 26 milioni di persone nella
sola Africa sub-sahariana. (T.C.)
ANNUNCIATO
AL FILM FESTIVAL DI GIFFONI L’INIZIO DELLE RIPRESE DELLA SECONDA PARTE DEL FILM
SU GIOVANNI PAOLO II “KAROL, UN UOMO DIVENTATO PAPA”.
A SETTEMBRE
IL PRIMO CIAK CON L’ATTORE PIOTR ADAMCZYK
GIFFONI VALLE
PIANA. = Inizieranno a
fine settembre le riprese della seconda parte di “Karol, un uomo diventato
Papa”. Ad annunciarlo, al Giffoni Film Festival, il protagonista Piotr
Adamczyk, l'attore cui spetterà il compito di raccontare anche il secondo
capitolo della vita di Papa Giovanni Paolo II. “E' un ruolo che mi
preoccupa – ha
detto Adamczyk - ho solo 33 anni. Quando mi hanno detto che dovevo ricoprire il
ruolo di Papa Wojtyla sono stato contento ma anche molto teso”. Grande entusiasmo da
parte del pubblico quando sul grande schermo del festival internazionale del
cinema per ragazzi sono state proiettate le immagini dell'udienza che il
pontefice ha concesso allo staff del Festival per ragazzi il 13 settembre del
2000: i 1500 giurati si sono alzati tutti in piedi per una “ola” urlando a
squarciagola ''Papa Giovanni''. Stasera
al Giffoni Film Festival saranno premiati i cortometraggi contro la droga che
hanno vinto la selezione di “Don't kill your brain”, l'iniziativa realizzata
insieme dall'Istituto Luce e dalla Comunità di San Patrignano. I filmati
saranno utilizzati per una campagna di sensibilizzazione nelle scuole. A
consegnare i premi ai giovani vincitori sarà Andrea Piersanti. “Doneremo loro
apparecchiature digitali per la ripresa, ha detto Piersanti. Speriamo infatti
che l’ottimo lavoro realizzato in questa occasione possa avere un seguito. Il cinema
è sempre un momento di impegno. Ma può essere anche fonte di forti distrazioni
dall'etica e dalla razionalità”. (T.C.)
CINQUE CONCERTI A MILANO SUI TEMI DELLA RELIGIONE, DELLA
SPIRITUALITÁ
E DELLA POLITICA. DOMANI SERA IL PRIMO APPUNTAMENTO
CON IL “CONCERTO PER DIVERSI CREDO”
MILANO. = Si apre domani sera a Milano la settima edizione della
rassegna “Padiglione d’arte contemporanea in concerto” che prevede cinque
concerti pensati intorno al tema della religione, della spiritualità e della
politica. Il primo appuntamento è il “Concerto per diversi Credo”, musiche,
danze e canti che propongono un percorso nel cuore di alcune tra le più antiche
tradizioni religiose del mondo. Il programma spazierà dal canto gregoriano al
rito islamico del dhikr fino alle danze tradizionali cingalesi, con la loro
commistione di buddismo, induismo e animiamo. Protagonista della serata sarà la
Schola Gregoriana Mediolanensis, formata da quaranta cantori, che sarà
affiancata da una scuola di dervisci sufi. Il concerto vuole mettere in
relazione i canti tipicamente occidentali con le tradizioni più lontane al fine
di creare un dialogo di reciproca conoscenza e comprensione. Le attività
concertistiche sono inserite nell’ambito della mostra “Arte Religione Politica.
Incontri ravvicinati dai cinque continenti” allestita al Padiglione d’arte
contemporanea e aperta fino al 18 settembre. (T. C.)
E’ STATA RIELETTA SUPERIORA GENERALE DELLE FRANCESCANE MISSIONARIE
DEL CUORE IMMACOLATO DI
MARIA MADRE MARIA ROBERTA MALGRATI
ROMA. = E’ stata eletta sabato scorso la superiora generale delle
Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria (dette d’Egitto). E’
madre Maria Roberta Malgrati, rieletta nel corso del XXII Capitolo generale
dell’istituto dal tema “Sui passi dell’Amore crocifisso per noi, portiamo il
Vangelo della speranza”. Nata a Limbiate, nel milanese, madre Malgrati si è
laureata in teologia dogmatica all’Angelicum di Roma. (T.
C.)
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- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Iraq tre poliziotti sono stati uccisi nella
capitale, un soldato statunitense è morto nel nord del Paese per lo scoppio di
un ordigno e uomini armati hanno assassinato a Bassora un docente
universitario. C’è attesa, intanto, per le decisioni che saranno prese nella riunione
di oggi e di domani ad Amman tra i rappresentanti delle nazioni donatrici. Al
Vertice si farà il punto sullo stato di avanzamento dei progetti finanziati
dalla comunità internazionale in occasione delle riunioni di Madrid del 2003 e
di Bruxelles del giugno scorso. Ma di che cosa ha realmente bisogno l’Iraq?
Giancarlo La Vella lo ha chiesto all’inviato speciale del Corriere della Sera,
Antonio Ferrari:
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R. – Non si tratta di un
problema di denaro, o meglio, non è soltanto un problema di denaro. Il denaro
può certamente servire ad alleviare le sofferenze della popolazione. Ricordiamo,
tra l’altro, che l’Iraq non è un Paese povero: potenzialmente con le sue
riserve petrolifere è un Paese ricco. Servono strutture, ma soprattutto serve
ricreare un clima di fiducia. Questa soluzione di governo, scaturita dopo le
elezioni non ha risolto, di fatto, il problema del rapporto tra le tre grandi
componenti irachene: gli sciiti al sud e in parte a Baghdad, i curdi al nord e
i sunniti sparsi a macchia di leopardo. Forse bisognerebbe lavorare proprio su
questo, per cercare di ricomporre quelle che sono state le coordinate del
rapporto difficile, storico, tra le tre componenti della società. Non
dimentichiamo che se la gente non guadagna, se la situazione economica è
disastrata e se la situazione della sicurezza continua ad essere grave non c’è
da essere molto ottimisti. Ecco perché occorre proprio ripensare assieme agli
iracheni quale sia la strada migliore per far tornare questo Paese relativamente
normale.
D. - Un Iraq che non avesse
subito una dittatura così lunga, così dura, come quella di Saddam Hussein,
potrebbe uscire in tempi più brevi da questa situazione?
R. – Le difficoltà sono enormi. Chiariamo una cosa: tutto
questo parlare di esportazione della democrazia, di aiutare questo Paese a
recuperare la democrazia è molto bello da un punto di vista teorico, da un
punto di vista ideale, ma assai difficile da realizzare dal punto di vista
pratico. L’Iraq non ha esperienza di democrazia. Non l’ha vissuta né con Saddam
Hussein, ovviamente, né prima di Saddam Hussein. Quindi, non esiste una cultura
democratica nel Paese. Esistono delle convenienze. Esistono dei clan. Esistono
dei rapporti di forza che sono stati brutalizzati dalla dittatura di Saddam
Hussein. Purtroppo credo che occorra cominciare a lavorare nuovamente dal
basso, cioè occorrerà tanto tempo. Se vogliamo, però, che questo ritorni ad
essere “l’ombra”, quantomeno, di un Paese normale, occorrerà uno sforzo
convinto e non solo da parte di tutti i Paesi donatori, ma da tutti gli Stati
che hanno interesse a vedere stabilizzata quell’area delicatissima del mondo.
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Un mese di tempo per ritirarsi dall’Iraq altrimenti sarà colpito il
cuore dell’Europa. E' questo l’ultimatum lanciato via internet dalle brigate
Al-Masri, l’organizzazione terroristica che ha rivendicato gli attentati di
Londra, a diversi Paesi europei, tra i quali l’Europa. Le minacce sono
esplicite: “Agiremo – si legge nel testo - toccando il cuore dell'Europa e
dando origine ad una guerra cruenta e sanguinosa”.
“Sono
finiti i tempi per le scuse sul terrorismo”. Lo ha detto il ministro degli
Esteri britannico, Straw, al suo arrivo al Consiglio degli Esteri a Bruxelles,
il primo vertice dopo gli attentati del 7 luglio a Londra. Il servizio di
Amedeo Lomonaco:
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Straw ha
ricordato che il terrorismo ha colpito anche in Egitto, Kenya, Tanzania, Indonesia
e Turchia senza collegamenti con l’intervento militare in Iraq. “E’ responsabilità
della gente di tutto il mondo occidentale - ha chiarito il ministro britannico
- affrontare il terrorismo e non fornirgli alcuna giustificazione”. Un rapporto
del Royal Institute of International Affairs (Riia), sostiene invece che in
Gran Bretagna l’allarme terrorismo è alto a causa del dispiegamento delle
truppe britanniche in Iraq e in Afghanistan. Intanto, procedono le indagini sugli attentati del 7 luglio
che hanno causato la morte di almeno 55 persone. La polizia ha precisato che
sei persone arrestate ieri sera a Leeds non sono state fermate sulla base di
leggi antiterrorismo ma per violazioni delle norme sull’immigrazione. Il
portavoce della polizia ha spiegato che i sei “per ora non sono direttamente
collegati agli attacchi di Londra”, anche se alcuni dei fermati erano amici dei
quattro kamikaze. In Italia, intanto, il capo del pool antiterrorismo della procura
di Roma ha aperto un fascicolo sugli attentati di Londra in cui ha perso la
vita anche la trentenne italiana Benedetta Ciaccia. Il magistrato, che ipotizza
il reato di strage con finalità terroristiche, disporrà, appena la salma della
giovane verrà portata in Italia, un ulteriore esame del dna e accertamenti medico-legali.
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In Germania la Corte costituzionale ha
dichiarato non valida la legge tedesca sul mandato di cattura europeo. I
cittadini tedeschi sospettati di reati non potranno essere estradati in altri
Paesi. L'Alta corte ha in tal modo accolto il ricorso di Mamoun Darkazanli, un
cittadino tedesco di origini siriane sospettato di legami con al Qaeda, di cui
la Spagna aveva chiesto l'estradizione.
Sta assumendo proporzioni drammatiche l’incendio
scoppiato nella Spagna centrale, nella regione di Guadalajara. Sono 11, al
momento, le persone che hanno perso la vita a causa delle fiamme. Le vittime
sono tutti pompieri. Oltre 5.000 ettari di bosco sono bruciati in questo fine
settimana probabilmente a causa di un fuoco lasciato inavvertitamente acceso da
turisti.
E’ morto ieri all’età di 89 anni Edward Heath, ex
primo ministro britannico dal 1970 al 1974. Edward, che aveva portato la Gran
Bretagna nella Comunità Economica Europea, ha stabilito un record di permanenza
in Parlamento dove è rimasto come deputato fino al 2001.
Il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh ha
annunciato a sorpresa che non si ricandiderà alle prossime presidenziali del
settembre 2006, ponendo così fine al lungo e incontrastato dominio della vita
politica nel suo Paese, prima alla guida dello Yemen del nord per 12 anni e
poi, dal 1990, dello Yemen riunificato. “Non parteciperò alle elezioni – ha
detto Saleh – e spero che tutti i partiti politici, compresa l’opposizione e il
Congresso generale del popolo, trovino giovani leader per competere nelle
elezioni, perchè dobbiamo addestrarci alla pratica della successione pacifica”.
In
Pakistan un gruppo armato ha aperto il fuoco contro i passeggeri di un autobus:
quattro morti e diversi feriti è il bilancio del sanguinoso assalto avvenuto in
una strada di Chilas, nel Nord, a 480 km dalla capitale Islamabad. Nel sud del
Paese, a Karachi, un esponente religioso sunnita è stato ucciso a colpi di arma
da fuoco mentre era in auto insieme con il padre, rimasto ferito nell’agguato.
Il
Parlamento libanese ha approvato una legge di amnistia generale che consentirà
il rilascio di Samir Geagea, il leader della disciolta milizia delle Forze
libanesi in carcere dal 1994. Lo ha riferito la radio ‘Voce del Libano’.
Dell’amnistia, potranno beneficiare anche i detenuti integralisti arrestati per
una fallita rivolta nel nord del Libano nel 2000 e quelli detenuti dal 2004 in
relazione allo sventato attentato all’ambasciata d’Italia a Beirut.
Un razzo
lanciato dalla Striscia di Gaza è caduto in territorio israeliano senza
fortunatamente provocare vittime. Nessuna conseguenza anche per l'esplosione di
13 bombe di mortaio, sparate sempre da Gaza su alcune colonie ebraiche. Ieri,
il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha dichiarato di
essere determinato a porre fine “a qualunque costo” al lancio di razzi.
Otto morti e 2 feriti: è il bilancio di
un attacco nel nord della Colombia. La polizia sospetta il coinvolgimento delle
Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC). Ma non è escluso che
l'attentato sia connesso ad una disputa tra la guerriglia marxista e gruppi paramilitari
di estrema destra. Il comandante della polizia di La Guajira ha riferito che
una carica di esplosivo è scoppiata in strada al passaggio di un veicolo.
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