RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
192 - Testo della trasmissione di lunedì 11 luglio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
Cerimonia
commemorativa a 10 anni dall’eccidio di Srebrenica. Intervista con Joel
Hubrecht.
CHIESA E SOCIETA’:
Intervento dei vescovi delle
Filippine sulla grave crisi politica che sta attraversando il Paese.
Dal 13 al 16 luglio ad Urbino,
il Meeting nazionale italiano sulle politiche giovanili.
Presentato in questi
giorni a Roma un documentario sulla vita di Benedetto XVI.
Ancora massima
allerta in Gran Bretagna, sale a 80 il numero dei morti degli attentati di
giovedì a Londra.
11
luglio 2005
E’ INIZIATO IL SOGGIORNO ESTIVO DEL PAPA IN VALLE
D’AOSTA.
IL SANTO PADRE, AL SUO ARRIVO A LES COMBES,
È STATO ACCOLTO DAI BAMBINI DELLA SCUOLA MATERNA
- Interviste con Salvatore Mazza e Fabrizio Frave
-
Sono ufficialmente iniziate le
vacanze di Papa Benedetto XVI. Il Papa è arrivato in Valle d’Aosta dove resterà
fino a giovedì 28 luglio. Ad Aosta il Santo Padre è stato accolto dal vescovo
del capoluogo valdostano, mons. Giuseppe Anfossi, dalle autorità regionali e da
almeno 500 persone che si sono lasciate andare ad uno scrosciante applauso.
“Sono felice di essere in Valle d’Aosta, grazie per avermi accolto così, con
calore”, ha detto poi Benedetto XVI al suo arrivo a Les Combes di Introd.
Benedetto XVI è ospite in uno chalet in legno e pietra davanti al Monte Bianco
adornato con garofani bianchi e rossi. Accanto alla casa, la stessa dove ha
alloggiato più volte Giovanni Paolo II, è stato anche realizzato un orticello
che sembra un angolo dei giardini vaticani. Su questo primo giorno di vacanze
del Papa, ascoltiamo al microfono di
Amedeo Lomonaco, l’inviato di Avvenire, Salvatore Mazza:
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R. – Il Papa è arrivato
puntualissimo e sorridente, tra l’altro in una giornata veramente splendida. E’
atterrato all’aeroporto di Aosta e poi in macchina ha raggiunto Les Combes,
dove ha voluto salutare quasi una per una tutte le persone che si erano
raccolte in quel piccolo spiazzo davanti al cancello che immette al parco nel
quale si trova lo chalet che lo ospiterà.
D. – Come è stato accolto il
Papa dalla comunità valdostana?
R. – E’ stata un’accoglienza
senz’altro improntata ad uno spirito di famiglia: c’erano i bambini, c’erano
gli abitanti di Les Combes, molti fiori, il Papa ha salutato gli anziani del
Paese ... insomma, è stata veramente una cosa molto semplice, quindi anche
nelle corde di Papa Ratzinger che ama le cose molto spontanee.
D. – Poco dopo l’arrivo a Les
Combes, il Papa ha incontrato i bambini della locale scuola materna. Come si è
svolto questo incontro?
R. – Questi bambini hanno
recitato in italiano e in francese la poesiola di benvenuto, in cui gli
dicevano: ‘Benvenuto, Santo Padre, tra queste nostre montagne. Speriamo che lei
possa riposarsi come vuole e trovare l’atmosfera che le serve per passare un
periodo di vacanza tranquillo e sereno’. Il Papa ha ascoltato in silenzio, poi
si è chinato su tutti i bambini, li ha baciati, ha ricevuto i fiori che gli
porgevano, e poi invece di risalire in macchina ha continuato a camminare lungo
la transenna che era stata messa sul prato per salutare tutta la gente che era
venuta ad accoglierlo.
D. – La natura, i boschi, la
montagna: sarà una vacanza all’insegna del riposo e delle passeggiate?
R. – Dovrebbe essere una vacanza
all’insegna del riposo, del lavoro e dello studio, a quanto si è saputo. Non
sono per il momento in programma grandi passeggiate, però io credo che qualche
sorpresa potrebbe esserci, perché potrebbe esserci la tentazione di andare a
vedere un po’ le meraviglie di questa Valle, che sono veramente incantevoli.
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Benedetto XVI è il secondo Papa,
dopo Giovanni Paolo II, che soggiorna in Valle d’Aosta. Su questo legame tra il
Santo Padre e la regione italiana, ascoltiamo Fabrizio Favre, direttore del
“Corriere della Valle”, settimanale della diocesi di Aosta. L’intervista è di
Luca Collodi:
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R. – Quello che sembrava un
legame con Giovanni Paolo II è diventato un legame con il Pontefice in
generale. Ma io credo anche che in Papa Benedetto XVI ci sia una volontà, in
qualche maniera, di rendere omaggio anche a Giovanni Paolo II. Si è visto
nell’Angelus: nel momento in cui ha detto che andava in vacanza c’è stato quel
bell’applauso. E’ stato veramente un bel momento.
D. – Fabrizio, cerchiamo di dare
qualche particolare del programma che prevede la permanenza del Papa in Valle
d’Aosta fino al 28 luglio ...
R. – La visita ha carattere
strettamente privato, come del resto sarebbe stato anche con Giovanni Paolo II,
anche se i primi anni c’era stata una ‘ricaduta’ di tipo pastorale con alcune
celebrazioni più pubbliche ... però, essendoci questo lungo periodo, comunque
ci saranno ben due Angelus, in Valle d’Aosta: il 17 e il 24 luglio. Questi sicuramente
saranno momenti molto partecipati, come è sempre stato. Saranno entrambi a Les
Combes. Questi sono i momenti un po’ importanti.
D. – Non si prevedono molte
passeggiate, per Benedetto XVI, o comunque passeggiate al di fuori della zona
del comune di Introd?
R. – E’ stato preparato un ricco
programma. Poi, lui potrà vedere se farne tante, se farne poche ... Si tratterà
un po’ di capire quali sono i suoi desideri, quale è il suo modo di vivere la
vacanza, anche perché anche per noi della Valle è la prima volta che lo
ospitiamo. Però, diciamo che si è pronti a qualunque genere di richiesta!
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MAI IL
TERRORISMO IN NOME DELLA RELIGIONE: COSI’, AI NOSTRI
MICROFONI
IL PRESIDENTE DELLA LEGA MUSULMANA IN ITALIA,
MARIO
SCIALOJA E IL VESCOVO VINCENZO PAGLIA, DOPO IL VIBRANTE APPELLO
DI
BENEDETTO XVI AI TERRORISTI: “FERMATEVI IN NOME DI DIO”
“Dio
ama la vita, che ha creato, non la morte. Fermatevi, in nome di Dio!”: il vibrante
appello, all’Angelus, di Benedetto XVI ai terroristi, dopo gli attentati a
Londra di giovedì scorso, ha destato ampia eco in tutto il mondo. Le parole del
Papa sono state accolte positivamente anche dalla comunità islamica, come
sottolinea il presidente della Lega Musulmana in Italia, Mario Scialoja,
intervistato da Alessandro Gisotti:
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R. – Si tratta, senza dubbio, di
un nobile appello. Un appello che noi condividiamo. Il terrorismo di matrice
islamica è un progetto politico. Anche per noi musulmani non si può uccidere in
nome di Dio. Dio, come giustamente ha detto il Santo Padre, vuole la vita, non
la morte. Chiunque invoca il nome di Dio o invoca la religione cercando di
nascondersi dietro il paravento religioso per commettere atti terroristici dove
perdono la vita civili innocenti, bestemmia la propria religione e bestemmia il
nome di Dio.
D – Come vive la comunità
musulmana in Italia questo clima che si sta creando di preoccupazione, ma anche
il pericolo che si guardi con più circospezione, con paura chi professa
un’altra fede?
R. – Il nostro Imam, nel sermone
di venerdì scorso, ha menzionato gli attacchi terroristici di Londra ovviamente
condannandoli. Io credo che il popolo italiano abbia molto buon senso e capisca
che la quasi totalità della comunità musulmana che vive in Italia è gente
venuta per vivere in pace, per creare un futuro per loro stessi e per i loro
figli.
D. – Si parla molto di diffusione
della democrazia, di valorizzazione dei diritti e delle libertà per sconfiggere
il terrorismo. Cosa ne pensa?
R. –
Penso che sia assolutamente necessario. Nell’Islam non c’è niente che impedisca
l’instaurazione di un regime democratico. Dopo la morte del profeta Mohammed,
la pace del Signore sia su di lui, il primo califfo che gli successe ed anche
gli altri quattro, furono scelti per consenso dalla comunità musulmana, quindi
sulla base di un principio democratico. Poi, naturalmente si sono venute a
creare delle dinastie ereditarie e dei poteri assoluti, ma non c’è niente nella
dottrina che impedisca ad un Paese musulmano di essere democratico. La Turchia
è un Paese democratico, persino l’Iran, che certamente non è un modello, è un
regime teocratico, ha dei principi democratici: votano sia gli uomini che le
donne. E’ un cammino comunque che si deve sviluppare autonomamente, senza
l’imposizione dall’esterno perché questo rischia di creare delle reazioni
negative al riguardo. E’ un processo che è in grave ritardo rispetto
all’Occidente, ma che io penso sia in marcia e proseguirà in futuro.
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Sull’opportunità
del forte appello di Benedetto XVI si sofferma, ancora al microfono di
Alessandro Gisotti, il vescovo di Terni-Narni-Amelia, Vincenzo Paglia, che
ribadisce il no della Chiesa ad ogni ipotesi di scontro di civiltà:
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R. – A
me pare un grido particolarmente opportuno. Si inserisce a mio avviso nelle
‘grida’ dei Papi dell’ultimo secolo ogni volta che hanno voluto fermare la
violenza e la guerra appunto perché il nome di Dio non può essere usato per
distruggere, per uccidere e tanto meno uccidere innocenti!
D. –
Ogni volta che c’è un evento di così drammatica portata, legato in particolare
al terrorismo, torna nel dibattito la formula dello scontro di civiltà. Qual è
la sua riflessione?
R. – Io
ricordo ancora quando Giovanni Paolo II, volendo sconfiggere il terrore
nucleare, volle chiamare tutti i credenti ad innalzare una preghiera per
combattere qualsiasi sussulto di scontro. Credo che, ancora una volta, dal
profondo delle fedi, debba uscire una preghiera e un impegno all’incontro, al
dialogo, alla comprensione. In questo senso, mi pare di continuare a raccogliere
la ricchezza di quella parola amore, di quella parola di rispetto, che non è
solo tolleranza, ma comprensione e amore.
D. –
Mons. Paglia, non c’è forse proprio un problema di conoscenza da parte dei
cristiani nei confronti dei musulmani e viceversa, nonostante secoli di cammino
insieme e che cosa può fare la Chiesa in questo senso?
R. –
Esattamente. Credo che, sapendo che tutti nasciamo da Dio perché tutti da Lui veniamo
creati, se noi aumentiamo le occasioni di conoscenza, se mettiamo il buon
collirio dell’amore e del rispetto nei nostri occhi, scopriremo quello che è
già scritto nel libro della Genesi: facciamo l’uomo a nostra immagine e
somiglianza. Se tutti guardiamo dentro, scopriremo in ciascuno la scintilla di
Dio. Ecco perché io credo che la maturità della Chiesa cattolica, che per prima
ha esortato ad incontrarsi, è una maturità chiesta anche a tutte le religioni
perché invitino tutti i credenti a conoscersi e a rispettarsi come fratelli e
come sorelle.
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NOMINE
Il Santo
Padre ha nominato ausiliare della diocesi di Hamilton (Canada) il reverendo
Gerard Paul Bergie, del clero di Hamilton, finora parroco di Saint Margaret
Mary, ad Hamilton, assegnandogli la sede titolare vescovile di Tabe.
Sempre in Canada, il Santo Padre
ha nominato arcivescovo coadiutore dell’arcidocesi di Keewatin-Le Pas (Canada),
il padre Sylvain Lavoie, dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, parroco e
consultore provinciale.
LA SITUAZIONE DELLE COMUNITA’ CRISTIANE IN TERRA SANTA
E
DELLE COMUNITA’ EBRAICHE NEL MONDO AL CENTRO DELLA QUINTA RIUNIONE
DELLA COMMISSIONE BILATERALE DELLA SANTA SEDE
PER I RAPPORTI RELIGIOSI CON L’EBRAISMO. UN
COMUNICATO CONGIUNTO
SOTTOLINEA L’IMPORTANZA DEL DIALOGO TRA CATTOLICI
ED EBREI
- A cura di Alessandro Gisotti -
Le relazioni fra autorità religiosa e civile nelle tradizioni ebraica e
cristiana: è stato questo l’oggetto di confronto della quinta riunione della
commissione bilaterale della Santa Sede per i rapporti religiosi con l’Ebraismo
e del Gran Rabbinato d’Israele per i rapporti con la Chiesa cattolica, svoltosi
a Gerusalemme a fine giugno. Dei risultati dell’incontro, dà conto oggi un
comunicato congiunto, che sottolinea come scopo del dialogo sia innanzitutto
“promuovere i principi di santità e dignità di ogni essere umano” migliorando
la collaborazione tra cattolici ed ebrei. Obiettivo, questo, che Benedetto XVI
si è impegnato a promuovere sulla scia del suo predecessore, Giovanni Paolo II,
di cui è stato ricordato il suo “storico contributo alla riconciliazione tra cattolici
ed ebrei”.
La discussione si è concentrata sulla responsabilità dello Stato nel
garantire i diritti di tutte le comunità religiose. Particolare attenzione è
stata attribuita alla situazione e alle necessità delle comunità cristiane in
Terra Santa, così come alle necessità delle comunità ebraiche nel mondo,
facilitando la piena uguaglianza sociale e politica senza indebolire le
identità particolari.
Nella nota, firmata dal Rabbino
Capo Shear Yashuv Cohen e dal cardinale Jorge Mejía, presidenti delle due
delegazioni, vengono individuati i punti chiave emersi durante la riunione di
Gerusalemme. La commissione bilaterale ribadisce che “i valori religiosi sono
di vitale importanza per il benessere dell’individuo e della società” e che “scopo dell’autorità civile è servire e
procurare il bene comune, rispettando la vita e la dignità di ciascun individuo”.
In tale contesto, si avverte che “pur sottolineando l’importanza della
democrazia, nel medesimo tempo è essenziale tutelare, mediante la legge, la
società dall’individualismo estremo” e “dall’insensibilità ai valori culturali
e morali delle tradizioni religiose”.
Ancora - si legge nel comunicato - “la libertà di religione deve essere garantita,
sia agli individui sia alle comunità, da parte delle autorità civili e religiose”.
L’ultimo punto è un’esortazione comune “a dare esempio di responsabilità religiosa
in questi ambiti”, e specialmente ad “educare le giovani generazioni sia
ricorrendo agli operatori dei grandi mezzi di comunicazione, sia attraverso i
normali canali educativi”.
UN APPROCCIO PLURIDIMENSIONALE
CONTRO LA PROSTITUZIONE:
E’ QUANTO PROPONE IL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI
E GLI ITINERANTI, NEL DOCUMENTO CONCLUSIVO DEL PRIMO INCONTRO DI PASTORALE
PER LA LIBERAZIONE DELLE DONNE DI STRADA, SVOLTOSI IL MESE SCORSO A ROMA
- A cura di Roberta Moretti -
“Tutti i Cristiani sono chiamati
ad essere solidali con le donne prigioniere della strada”: è il pensiero di
fondo che emerge dal documento finale del primo Incontro di pastorale per la
liberazione delle donne di strada, promosso gli scorsi 20 e 21 giugno a Roma
dal Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti.
Secondo l’ILO, l’Organizzazione internazionale del lavoro, di 12,3 milioni di
persone schiavizzate nel mondo nel lavoro forzato, 2,4 sono vittime del
traffico. Un dato significativo, anche se non tutte le prostitute sono frutto
del traffico. Il traffico, in ogni caso, rende agli organizzatori circa 10
miliardi di dollari l’anno. Il servizio di Roberta Moretti:
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“Quando
si affronta la prostituzione, è necessario un approccio pluridimensionale. Esso
deve coinvolgere uomini e donne in reciproca trasformazione e porre i diritti
umani al centro di ogni strategia”. Nel documento si sottolinea la responsabilità
pastorale della Chiesa, in collaborazione con le istituzioni, i movimenti
laicali, le associazioni e i mezzi di comunicazione, nel denunciare e
combattere il fenomeno della prostituzione, definita “forma di schiavitù
moderna”. Assumersi “la difesa dei legittimi diritti delle donne di strada”
presuppone la conoscenza dei fattori che spingono alla prostituzione e lo
studio di una strategia efficace sul fronte economico, educativo e formativo.
Fondamentale
diviene allora la “profetica testimonianza” delle Congregazioni religiose,
specie quelle femminili, che nel mondo forniscono accoglienza e alloggio,
assistenza medica e legale, sostegno finanziario, ma anche attività di
formazione, protezione dalle minacce, collegamenti con le famiglie, assistenza
per il rimpatrio volontario e reintegrazione sociale nei Paesi d’origine.
“Un’ampia varietà di servizi”, studiati “in fedele meditazione della Parola di
Dio e della Dottrina sociale della Chiesa”, cui si affianca il forte sostegno,
nella preghiera, degli ordini contemplativi.
Necessaria
è poi la promozione di “programmi di formazione per agenti pastorali” e la
“collaborazione tra Chiese d’origine e Chiese di destino”. Da rilevare, infine,
il riferimento anche alla condizione del “cliente”: un uomo, in genere ultraquarantenne,
cui si affianca un crescente numero di giovani tra i 16 e i 24 anni, “che cerca
le prostitute più per dominare, che per soddisfazione sessuale”. A lui - si
legge nel documento - spetta qualcosa di più “di una condanna sociale” e “del
pieno rigore della legge”. “Egli deve essere aiutato – sottolinea il testo – a
risolvere i suoi problemi più profondi e a trovare altri modi di gestire le sue
cose personali”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
“Fermatevi,
in nome di Dio!” è il titolo che apre la prima pagina: all’Angelus, Benedetto
XVI manifesta dolore per gli atroci attentati di Londra e si rivolge a quanti
fomentano sentimenti di odio e compiono azioni terroristiche tanto ripugnanti.
Nelle
vaticane, l’omelia del cardinale Angelo Sodano che – nella cattedrale di
Sant'Aurea martire – ha preso possesso del titolo della chiesa suburbicaria di Ostia.
Il comunicato sulla riunione della Commissione
bilaterale delle Delegazioni della Commissione della Santa Sede per i rapporti
religiosi con l'ebraismo e del Gran Rabbinato d’Israele per i rapporti con la
Chiesa cattolica (Gerusalemme, 26-28 giugno).
Nelle
estere, l’attacco a Londra. Cristiani, ebrei e musulmani uniti contro il terrorismo.
Venerdì nelle moschee, sabato nelle sinagoghe, domenica nelle chiese si è
pregato per le decine di vittime degli attentati.
Nella
pagina culturale, un articolo di M. Antonietta De Angelis dal titolo “Benedetto
XIV e il Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo”.
Nelle pagine italiane, in primo piano il
terrorismo. Leggi speciali: si cerca l'intesa fra i poli.
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11
luglio 2005
CERIMONIA COMMEMORATIVA, OGGI, A 10 ANNI
DALL’ECCIDIO DI SREBRENICA .
IL PROCURATORE DEL TRIBUNALE INTERNAZIONALE PER LA
EX JUGOSLAVIA, CARLA DEL PONTE, BOICOTTA LA
CELEBRAZIONE
- Intervista con Joel Hubrecht -
Con un minuto di silenzio e una
preghiera in onore delle vittime del genocidio di Srebrenica ma anche di quelle
più recenti del terrorismo di Londra, si è aperta nel memoriale di Potocari, in Bosnia, la conferenza
internazionale sul genocidio avvenuto
10 anni fa. Partecipano una cinquantina
di personalità del mondo scientifico
internazionale, migliaia di persone, delegazioni ufficiali di 55 Paesi e
organizzazioni internazionali. Di rilievo l’assenza del procuratore capo del
Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia: Carla Del Ponte ha sottolineato che la comunità internazionale
commemora Srebrenica senza che si sia pervenuti ad arrestare Karadzic e
Mladic!. Nell’intervista di Laure Stephan, ascoltiamo Joel Hubrecht, ricercatore del
Centro studi e ricerche internazionali a Parigi, incaricato presso l’Istituto
di alti studi sulla Giustizia di analizzare la triste vicenda di Srebrenica:
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R. -
LE BOYCOT DU PROCUREUR DU TRIBUNAL, CARLA DEL PONTE, ME PARAIT...
Il boicottaggio del procuratore
del Tribunale penale dell’Aja, Carla Del Ponte, mi è sembrato un atto simbolico
forte, perché i ‘fasti’ della cerimonia non devono mascherare gli obblighi e le
responsabilità dei rappresentanti regionali, ma anche della Comunità internazionale.
Si deve mettere fine a questo scandalo insostenibile: sono passati ben 10 anni
dall’atto d’accusa lanciato contro i principali responsabili del massacro e non
sono stati ancora arrestati!
D. – Come si spiega il fatto che
il riconoscimento dei massacri di Srebrenica come genocidio sia avvenuto così
tardi, cioè soltanto l’anno scorso?
R.
– LE RECONNAISSEMENT DU GENOCIDE EST TARDIVE PARCE-QUE...
Il riconoscimento del genocidio
è tardivo perché il processo su Srebrenica stesso è tardivo. E’ ancora
largamente insufficiente rispetto ai crimini commessi. All’inizio di quest’anno
ci sono state numerose estradizioni di fuggitivi, tra i quali molti accusati dei fatti di Srebrenica.
Oggi, Carla Del Ponte vuole istituire un processo a gruppi, con sette-otto
accusati dei fatti di Srebrenica.
D. – Cosa implica, da un punto
di vista legale, il fatto che i fatti di Srebrenica siano stati riconosciuti come
genocidio?
R.
– LES ENJEUX VONT ETRE TRES LOURDS...
Le implicazioni sono pesanti. Lo
Stato di Bosnia-Erzegovina ha presentato una denuncia contro lo Stato di Serbia
davanti alla Corte penale internazionale e in quella sede soltanto la
definizione di “genocidio” può aprire la porta alla rivendicazione di
riparazioni da parte della Serbia. E’, peraltro, una delle ragioni per cui le
autorità serbe, ancora dopo la caduta del governo di Milosevic, sono state molto
reticenti ad aprire i loro archivi per fornire elementi all’Ufficio del
procuratore, che potessero suffragare la tesi di genocidio.
D. – L’uso del termine
‘genocidio’ non richiama forse in maniera ancora più forte la Comunità
internazionale alle sue grandi responsabilità a Srebrenica?
R. –
CERTAINEMENT. IL Y A UNE RESPONSABILITE’ PASSE’, UNE RESPONSABILITE’ ...
Certo! C’è una responsabilità
per il passato, ma c’è anche una responsabilità per il presente che ricade
sulle spalle della Comunità internazionale. Forse in Olanda potrebbe essere
aperto un procedimento contro il governo olandese, a Parigi è in corso di
svolgimento una procedura simile contro l’ONU ... Questo dossier delle
responsabilità internazionali deve
rimanere aperto! E’ nostro dovere farci carico delle nostre responsabilità,
anche se i primi responsabili rimangono, nonostante tutto, le autorità serbe.
Ma noi dobbiamo assumerci le nostre responsabilità e assumerci le nostre
responsabilità significa anche assumerle per il presente, per quanto riguarda
la ricostruzione della regione. La gente spesso vive in condizioni di vita
deplorevoli, molti di loro piangono dei dispersi perché ancora non è completata
l’identificazione dei corpi ritrovati. Soprattutto, è in questione l’avvenire
della regione, la cui stabilità è ben lungi dall’essere assicurata!
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SI CELEBRA OGGI LA GIORNATA MONDIALE DELLA
POPOLAZIONE,
INCENTRATA SUL TEMA DELL’UGUAGLIANZA TRA UOMINI E
DONNE
- Intervista con Antonio Golini -
“Uguaglianza è potere”. E’ il
motto dell’odierna Giornata mondiale della popolazione, celebrata sotto l’egida
dell’UNFPA, il Fondo dell’ONU per la popolazione. Ai governi si chiede di
adottare una strategia di azione che promuova per tutte le donne del mondo
l’istruzione, la partecipazione alla vita politica e alle iniziative di
sviluppo. Nel messaggio per l’odierna giornata, il segretario generale
dell’ONU, Kofi Annan, sottolinea che le conseguenze delle discriminazioni tra uomo
e donna producono nuove povertà e alimentano la diffusione del virus dell’AIDS.
Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Le differenze tra uomini e donne
riflettono lo squilibrio mondiale, fenomeno evidenziato dagli stridenti
contrasti degli stili di vita ma anche dalla sintesi dei numeri. Per conoscere
alcuni dei dati più significativi sulla popolazione mondiale, ascoltiamo il
prof. Antonio Golini, docente di Demografia all’Università “La Sapienza” di
Roma:
R. – Siamo circa sei miliardi e mezzo di persone sulla terra e si stima
che potremmo essere nove miliardi nel 2050; questi due miliardi e mezzo di
incremento da qui al 2050 saranno tutti concentrati nel Sud del mondo. Ma è
difficile pensare che la popolazione si possa ridistribuire: quando alla fine
dell’Ottocento e ai primi del Novecento c’era una straordinaria mobilità delle
persone, c’era un’altrettanto straordinaria opportunità storica: i nuovi mondi
da popolare e anche le colonie da sfruttare. Oggi non ci sono più né nuovi
mondi da popolare, né si pensa a colonie da sfruttare. Quindi, l’equilibrio va
trovato in un rapporto migliore tra Nord e Sud del mondo che possa soddisfare i
fabbisogni della popolazione.
Il
flusso delle ricchezze non è equamente distribuito sul pianeta e le divergenze
tra Nord e Sud, tra uomini e donne, hanno bisogno di trovare un nuovo sbocco:
l’uguaglianza, una sfida per l’uomo di oggi e una necessità per l’umanità del
futuro. Ancora il professor Golini:
R. – L’uguaglianza è certamente auspicabile, quasi da tutti auspicata, ma
straordinariamente difficile da realizzare. Se si pensa che, nonostante il
fortissimo incremento di reddito pro capite, la Cina è ancora
straordinariamente lontana dalla media dei Paesi ricchi e se si pensa che,
nonostante gli sforzi, le donne hanno ancora un’istruzione molto inferiore a
quella degli uomini, appare chiaro che l’uguaglianza è un obiettivo difficilissimo
da realizzare.
La statistica permette di
interpretare fenomeni e processi. Ma come rendere i dati sulla popolazione
mondiale non solo una variabile economica ma un’opportunità per un nuovo
approccio basato sui diritti?
R. – Una migliore ridistribuzione delle ricchezze può giovare in questa
direzione. Ma come facciamo a dire ai ricchi europei, ai ricchi nordamericani o
ai giapponesi: “Dovete ridurre la vostra ricchezza?”. Forse l’unica speranza ci
può venire dalla paura, dalla paura di un collasso ambientale, dalla paura del
terrorismo. Forse la paura può determinare una gestione più equa delle risorse.
Ma mi pare, comunque, un’operazione difficilissima e in ogni caso, lunga.
L’incremento demografico può
essere compatibile con la riduzione della povertà, il progresso economico e una
migliore tutela dell’ambiente?
R. – Certamente, l’incremento demografico si va riducendo anche nei Paesi
a più alta crescita e si è ridotto a zero nel Nord del mondo. Quindi, è
compatibile. Però, si scivola subito nell’altro corno del problema: i consumi.
Facciamo un piccolissimo esempio: in Italia abbiamo tra 21 e 22 milioni di
famiglie e abbiamo quasi 34 milioni di automobili. E’ colpa della popolazione
se abbiamo città inquinate, o è colpa dell’eccesso di automobili?
Una migliore gestione delle
migrazioni, una riduzione dei consumi e una più adeguata distribuzione della
popolazione appaiono, dunque, obiettivi prioritari per rendere la terra più
vivibile. Nei sei Paesi più popolati - Cina, India, Stati Uniti, Indonesia,
Brasile e Pakistan – vivono oltre 3 miliardi di persone, più della metà
dell’intera popolazione mondiale.
**********
11 LUGLIO, SAN BENEDETTO DA NORCIA, UN SANTO CHE
ANCORA OGGI
SUSCITA FAMIGLIE RELIGIOSE CHE S’ISPIRANO ALLA SUA
REGOLA
- Intervista con padre Mario Parente -
Un tempo si festeggiava il 21 marzo, in
coincidenza con l’inizio della primavera; dopo il Concilio, per ragioni
pastorali, la festa di San Benedetto è stata spostata all’11 luglio. Patrono
d’Europa unico per secoli, è stato affiancato dai Santi Cirillo e Metodio e, da
qualche anno, da tre Sante: Brigida di Svezia, Caterina da Siena ed Edith
Stein. San Benedetto, fondatore del monachesimo in Occidente, suscita ancora
monaci e nuove famiglie di monaci a quasi 1600 anni dalla sua esistenza.
Giovanni Peduto ne ha parlato con padre Mario Parente, priore della Comunità
monastica di Siloe, in Toscana:
**********
R. –
L’esperienza monastica cristiana è antichissima e affonda le radici nel Nuovo
Testamento: l’appello alla conversione, alla vigilanza, alla preghiera
incessante e il modello della primitiva comunità apostolica sono i punti fermi
della vita monastica fin dalle origini. San Benedetto si inserisce in questo
alveo. Lui stesso cita nella Regola santi monaci antecedenti. La sua vita e la
sua Regola esprimono in pienezza quei valori evangelici ma anche antropologici
su cui si fonda il monachesimo. San Benedetto ha saputo calare un forte anelito
spirituale nella realtà concreta di una comunità, offrendo così una reale
possibilità di vita evangelica. Ecco il fascino di San Benedetto.
D. –
Qual è l’essenza della Regola di San Benedetto?
R. –
Nella letteratura monastica antica, tra le diverse accezioni della parola “monaco”
– derivante da monos uno – vi è quella di “persona unificata”, non
frantumata, non dispersa. La Regola, con le sue indicazioni spirituali e
ascetiche e con le sue prescrizioni concrete per la sua vita quotidiana, vuole
plasmare un uomo nuovo: il figlio che ritorna alla casa del Padre e che si
trova inserito in un organismo vitale, la comunità, dove le relazioni interpersonali
e i criteri di giudizio non sono mondani, ma attingono alla sapienza di Dio.
D. – Il
monachesimo benedettino ha forgiato l’Europa e ... oggi?
R. –
Fino al XIII secolo, il monachesimo benedettino nelle sue varie espressioni ha
avuto un ruolo assolutamente preminente, ruolo che è andato via via decrescendo
ed attualmente non ci si può nascondere che il monachesimo abbia un’importanza
marginale non solo in campo sociale e culturale ma anche ecclesiale. Questa
posizione di debolezza può essere provvidenziale per svolgere in piena libertà
il compito profetico del monachesimo: dove tutto è relativo, c’è la la ricerca
dell’Assoluto; nella superficialità dilagante, il ritorno all’essenziale...
Insomma, la proposta è di un vivere veramente alternativo nella nostra società
secolarizzata.
D. - La
Comunità monastica di Siloe è un nuovo virgulto sorto sull’antico e sempre
verde tronco del monachesimo benedettino: ce ne vuole parlare?
R. – La nostra comunità è stata
riconosciuta nel 1997. Per ora siamo una piccola realtà, cinque monaci, e
scopriamo sempre di più l’equilibro, la discrezione e la saggezza spirituale ed
umana della Regola di San Benedetto. Sul monachesimo spesso si hanno pregiudizi
o si cerca di riportare nell’oggi realtà proprie di altri periodi storici, ora
senz’altro improponibili. Vogliamo quindi essere una comunità dove si respiri
vera fraternità, nella semplicità che deriva dal sentirsi non “supercristiani”
ma peccatori sempre perdonati da Dio e nell’accoglienza verso tutti coloro che
sinceramente si pongono in ricerca di Dio e di se stessi.
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POESIE
RUSSE DEL PRIMO NOVECENTO E FINNEGANS
WAKE
PROTAGONISTI A ROMA DI DUE SERATE, OGGI E DOMANI,
PER LA MANIFESTAZIONE “ACCORDI POETICI”
DELL’ASSOCIAZIONE LYRAS
Una serie di rare poesie russe
del primo Novecento e Finnegans Wake,
l’ultimo e poco noto romanzo di James
Joyce, vengono riproposti in due suggestive serate, oggi e domani, a Roma ad
ingresso gratuito. Si tratta di un appuntamento che coniuga recitazione e
letteratura nell’ambito della raffinata manifestazione “Accordi poetici”
promossa dall’Associazione Lyras. Il servizio di Luca Pellegrini:
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L’insolita architettura del Museo
Canonica, di ispirazione medievale, situato nel cuore del parco di Villa
Borghese, a Roma, significativo esempio di casa-museo, fa da cornice alle due
serate di recitazione che affrontano testi letterari desueti ma di grande
fascino. Ad aprire la manifestazione sarà
Massimiliano Cutrera, ideatore, regista e attore di Cvetok – il fiore, recital di poesie del primo Novecento russo, in
lingua e traduzione italiana, di alcuni dei maggiori poeti russi del cosiddetto
“Secolo d’Argento”. La lettura si intreccierà con il ritmo e le composizioni di
alcuni tra i più grandi musicisti di quel tempo, come Prokof’ev, Rachmaninov,
Skrjabin, Šostakovič. Domani sera sale, invece, sul palco Maurizio
Donadoni, che leggerà brani tratti dal primo capitolo di Finnegans Wake di James Joyce, iniziato
nel 1921 e pubblicato nel 1939. Abbiamo chiesto all’attore perché
ritiene che il romanzo di Joyce non
sia tanto un libro da leggere quanto da ascoltare:
R. – Quando l’ho letto la
prima volta, leggendolo a mente capivo meno di quanto capisse leggendolo a voce
alta. Quindi penso che sia un libro da ascoltare più che da leggere perché
siccome è un parolmondo, come lo definisce Joyce, è un mondo fatto tutto di
parole, è come una specie di grande mappa piena di labirinti, l’attore, mentre
lo legge, istintivamente sceglie un percorso dei 18, 20, 30 che ci sono
disponibili e quindi la comprensione è un po’ più immediata. Invece leggendo,
non è che si riesce a scegliere proprio un percorso.
D. – Qual è la più
interessante particolarità narrativa di Joyce che emerge dalla sua recitazione?
R. – Quando uno sente
qualcun altro recitare o dire delle parole grosso modo sono delle parole che
tutti noi usiamo nella vita. Nel caso di Joyce, nel Finnegans Wake, di questi
35 minuti di lettura del primo capitalo, la cosa più bella è che la gente si
pone la domanda: ma che parole sono queste? Perché ci sono delle parole
inventate, che non esistono nel vocabolario, come appunto parolmondo,
meandertal istoria. Quando la gente sente parole di questo tipo è come se fosse
in una fase di ascolto molto primitiva, pura, originaria e originale.
D. – In questi curiosi racconti trova un particolare
messaggio spirituale?
R. – La cosa che, secondo me, è notevolissima è questo
occhio attento alla realtà, a tutti i suoi dettagli, come se lui santificasse
anche le cose più piccole, i granelli, la bottiglia di birra. Tutto, cioè, fa parte
di questo grande mistero del mondo in cui viviamo.
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11
luglio 2005
TRASPARENZA, GIUSTIZIA E
PREGHIERA: È QUANTO CHIEDONO I VESCOVI DELLE
FILIPPINE, IN UN DOCUMENTO, PUBBLICATO IERI A
MANILA, SULLA GRAVE CRISI
POLITICA CHE STA ATTRAVERSANDO IL PAESE
ASIATICO
MANILA. = Rifiuto di ogni
soluzione violenta; appello a un serio discernimento, improntato ai criteri di
trasparenza e giustizia; preghiera comune perché nell’ordine politico trionfi
il bene comune: sono le richieste contenute nell’appello pubblicato ieri dalla
Conferenza episcopale delle Filippine, intervenuta sulla crisi politica che
attraversa il Paese asiatico. Il testo, dal titolo “Ristabilire la fiducia:
appello per i valori morali nella politica filippina”, è stato redatto da 85
vescovi filippini, riuniti a Manila dall’8 luglio fino a oggi. L’episcopato
filippino non si è unito ai diversi segmenti sociali e politici che chiedono a
gran voce le dimissioni della presidente Arroyo, sotto accusa per presunti
brogli elettorali e costretta a fronteggiare un diffuso malcontento sociale
causato da una recente impennata dei prezzi al consumo. “Al centro di questa
crisi – spiegano i presuli – c’è la questione dei valori morali, in particolare
quello della fiducia. Il popolo non ha fiducia nelle nostre istituzioni
economiche, che lo pongono sotto la tirannia di una povertà disumana. E non ha
fiducia nel nostro sistema politico. La politica non ha risposto efficacemente
ai bisogni dei poveri e degli emarginati”. Riferendosi alla Arroyo, i vescovi
filippini affermano: “In spirito di umiltà e di verità noi dichiariamo il nostro
discernimento collettivo e non chiediamo le sue dimissioni”. Ma, d’altra parte,
essi riconoscono che “ gli appelli non violenti alle dimissioni, la richiesta
di una Commissione per la verità non sono contro il Vangelo”. La Conferenza
episcopale chiede che, in ogni caso, venga seguito un percorso secondo il
dettato costituzionale e invita tutti i politici a prendere decisioni “alla luce
dei valori evangelici di verità, giustizia e bene comune”. “Chiediamo alla
nostra gente nelle parrocchie e nelle comunità religiose – si legge nel
documento - alle organizzazioni e ai movimenti, di riunirsi a pregare, e poi
decidere e agire, affinché la volontà di Dio prevalga nell’ordine politico”. I
presuli filippini assicurano, infine, un maggiore impegno per evangelizzare il
sociale e la politica, per la formazione di uomini e donne competenti e
cristiani autentici, che possano dare prova di integrità morale nell’esercitare
la loro leadership politica. (R.M.)
“IL DIALOGO E LA COOPERAZIONE TRA I PAESI DEL MEDITERRANEO
SONO STRUMENTI ESSENZIALI PER RESPINGERE LA MINACCIA DEL FONDAMENTALISMO
E DEL TERRORISMO”: COSI’,
IL MINISTRO DEGLI ESTERI ITALIANO, GIANFRANCO FINI, INTERVENENDO STAMANI A
MILANO ALLA CONFERENZA INTERNAZIONALE
“LABORATORIO EUROMEDITERRANEO”
MILANO. = “La creazione di un’area di prosperità e di sicurezza
condivisa nel Mediterraneo è una priorità assoluta per l’Italia e per l’Europa intera”:
è questo il messaggio che il ministro degli Esteri italiano, Gianfranco Fini,
ha voluto far giungere oggi ai partecipanti alla Terza conferenza
internazionale “Laboratorio Euromediterraneo”, in corso a Milano.
Un’iniziativa, coordinata dal 1999 dalla Camera di
Commercio di Milano, con lo scopo di costruire, attraverso attività di analisi,
ricerca e progettazione, una rete di alleanze per rendere i Paesi mediterranei
e i rispettivi sistemi economici e sociali più sviluppati e omogenei. “ Il dialogo e la
cooperazione a tutto campo, in uno spirito di solidarietà e di effettiva
partecipazione dei nostri vicini mediterranei - ha spiegato Fini - sono
strumenti essenziali per respingere la minaccia, anch’essa drammaticamente
incombente, del fondamentalismo e del terrorismo”. “I barbari attentati di
Londra – ha aggiunto il capo della Farnesina – rappresentano l’ultimo atroce
episodio della guerra senza confini ingaggiata dalle organizzazioni del terrore
contro i nostri Paesi e cittadini inermi”. Esprimendo “accorata solidarietà”
con le vittime di Londra, Fini ha sottolineato come questo “ennesimo efferato
crimine” debba “rafforzare la nostra determinazione a perseguire con ogni mezzo
la via del dialogo, in vista di un futuro di pace e di benessere”. A questo fine,
l’azione dei governi deve essere coadiuvata da organismi, quali quelli che
fanno capo al Laboratorio Euromediterraneo: qui, politici, industriali ed
esponenti del mondo dell’informazione “possono avanzare idee e proposte volte a
rafforzare l'interdipendenza fra Europa e sponda sud del Mediterraneo, valorizzando
il cruciale contributo del Sistema Italia”. (R.M.)
“INVESTIRE
NELLA GIOVENTÚ SIGNIFICA INVESTIRE NELLA RICCHEZZA DELLE NOSTRE SOCIETÁ DI OGGI
E DI DOMANI”: E’ LO SLOGAN DEL MEETING NAZIONALE ITALIANO
SULLE
POLITICHE GIOVANILI, IN PROGRAMMA A URBINO DAL 13 AL 16 LUGLIO PROSSIMI
URBINO.
= “I giovani sono la principale risorsa del futuro dell’Europa, una indispensabile
risorsa umana in grado di sviluppare autonomamente le sue potenzialità e valorizzare
la sua identità culturale in un’ottica interculturale”. Con questi termini il
Libro Bianco sulle politiche giovanili per l’Unione Europea si rivolge ai
giovani. In questo particolare e delicato momento della costruzione europea, caratterizzata
dal processo di allargamento e dalla necessità di rendere attuabile la
Convenzione sull’Unione, i giovani hanno un ruolo chiave. Occorre, dunque
rivolgere una particolare attenzione alle politiche che li riguardano
favorendone un maggiore coinvolgimento nei processi decisionali e
nell’elaborazione delle politiche per lo sviluppo. Alla luce di queste
considerazioni il centro Europe Direct Pesaro, in collaborazione con la
provincia di Pesaro e Urbino e con il patrocinio della Rappresentanza in Italia
della Commissione europea, organizza il “Meeting Nazionale dei giovani e delle
politiche giovanili - Patto Aperto per la gioventù”, che si terrà nella città
di Urbino dal 13 al 16 luglio 2005. L’incontro, che è rivolto ai rappresentanti
delle Istituzioni regionali, provinciali e comunali che operano nel campo delle
Politiche Giovanili, ha lo scopo di avviare un dibattito nazionale, arricchito
anche da esperienze europee, che possa tradurre in un concreto impegno
progettuale e politico, le nuove forme di “governance” delle politiche
giovanili. Per gli organizzatori il meeting di Urbino vuole essere anche, un
momento di confronto di indirizzi politici, d’idee e proposte per verificare e
migliorare l’esperienza maturata in Italia finora in questo ambito. (D.L.)
RAI
TRADE PRESENTA A ROMA UN DOCUMENTARIO SULLA VITA DI BENEDETTO XVI:
TESTIMONIANZE, INTERVISTE E
FILMATI INEDITI RACCOLTI DAL VATICANISTA,
FABIO ZAVATTARO, E DAL
DOCUMENTARISTA, SANDRO LAI
ROMA. = La vita di Papa Benedetto
XVI in 46 minuti: è l’obiettivo che si sono proposti il vaticanista RAI, Fabio
Zavattaro, e il documentarista, Sandro Lai, autori del DVD “Joseph Ratzinger -
Papa Benedetto XVI”, presentato in questi giorni a Roma da RAI Trade. Un
viaggio attraverso gli anni e la carriera ecclesiastica del Pontefice, con
interviste esclusive e fotogrammi inediti: dalla fumata bianca del 19 aprile
scorso fino alla celebrazione di inizio Pontificato. “Crediamo in questo
prodotto - spiega Nicola Cona, amministratore delegato di RAI Trade - perché ha
tutte le caratteristiche per essere accolto con entusiasmo nel mondo intero”.
“È un documento straordinario – aggiunge – fedele a quanto accaduto appena
pochi mesi fa: il passaggio da Papa Wojtyla a Papa Ratzinger, i bagni di folla
in piazza San Pietro, la straordinaria forza della gente comune. Tutto questo,
racchiuso in un prodotto multimediale di grande qualità”. Il DVD, realizzato in
5 lingue, verrà distribuito ad agosto in Germania, nel corso della Giornata
mondiale della Gioventù di Colonia “in oltre 60 stand che lo diffonderanno in
maniera capillare”. In Italia verrà distribuito nelle librerie, ma anche negli
Uffici Postali, nei treni di lunga percorrenza e nelle edicole. (R.M.)
“DOVE È RIVOLTA E DIRETTA LA PROPRIA VITA”: E’ IL
TEMA DEL VI FESTIVAL
INTERNAZIONALE GIOVANILE CRISTIANO, IN PROGRAMMA
IL MESE PROSSIMO
A BELOZEM, IN BULGARIA
BELOZEM. = “Quo vadis?”: questo,
il titolo del VI Festival Internazionale Giovanile cristiano che si svolgerà a
Belozem, in Bulgaria dal 29 agosto al 3 settembre prossimi. “Dove è rivolta e
diretta la propria vita” è il tema di questa edizione, che prende spunto dalle
parole del romanzo di Henrik Senkewicz, rivolte da Cristo a Pietro che fugge da
Roma, lasciando la Chiesa, a causa dalla persecuzione nei confronti dei
cristiani. Il festival, a cui potranno prendere parte i giovani dai 14 anni in
su, prevede diversi workshop e gruppi di lavoro sui temi della paura, della
depressione e della vita come sfida. In programma, anche una scuola musicale,
dei concerti e la registrazione di un cd in uno studio professionale per i partecipanti,
che si potranno esibire come solisti o in gruppo. Previste, infine, diverse
celebrazioni liturgiche presiedute dal vescovo di Sofia e Plovdiv, mons. Georgi Jovcev. (R.M.)
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- A cura di Eugenio Bonanata e Donika Lafratta -
E’ ancora massima allerta in
Gran Bretagna dove, tra circa un’ora, il premier Tony Blair si rivolgerà al
Parlamento per rinnovare la sua fiducia nei servizi segreti respingendo così la
proposta, avanzata dai conservatori, di aprire un’inchiesta sulle falle
dell’intelligence. E mentre la polizia è continuamente mobilitata dalle
segnalazioni di pacchi sospetti prosegue il lavoro all’interno delle stazioni
metropolitane per recuperare i cadaveri dei dispersi. I morti della strage
sarebbero circa 80. Da Londra Sagida Sayed:
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Scotland Yard ha chiesto alla
popolazione di sottoporre tutte le registrazioni fatte con i videotelefoni
durante i momenti successivi alle esplosioni. Smentite le voci riportate da
alcuni giornali secondo cui la Metropoltian Police sarebbe sulle tracce di un
marocchino e due siriani. Per Lord Stevenson, ex capo della polizia,
intervistato da un tabloid domenicale, gli assassini, infatti, sarebbero
britannici, collegati ad Al Qaeda, probabilmente addestrati in Pakistan e in
Afghanistan. Sono aumentati, intanto, gli attacchi xenofobi ai danni della comunità
islamica. Ieri i leader religiosi hanno emesso un comunicato in cui si invita
alla tolleranza.
Il ministro dell’Interno Clarke
porterà ai suoi omologhi dell’Unione Europea la proposta di una maggiore
cooperazione europea nella lotta al terrorismo e proporrà la memorizzazione dei
messaggi telefonici e delle e-mail dei cittadini europei, un maggior controllo
dei finanziamenti dei terroristi e dello spostamento dei passeggeri all’interno
e all’esterno dell’Unione.
Da Londra, per la Radio
Vaticana, Sagida Syed.
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Gli elettori lussemburghesi
hanno approvato ieri la Costituzione europea. Con il 56, 52% di voti
positivi, contro il 43,48 di quelli negativi, il Lussemburgo è così il
tredicesimo Paese a ratificare il Trattato costituzionale. L’affluenza alle
urne, secondo i dati forniti dall’ufficio elettorale del Granducato è stata
massiccia, con il 95% degli elettori aventi diritto al voto. Il nostro
servizio:
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Il premier lussemburghese
Juncker ce l’ha messa tutta perché nel suo Paese il risultato fosse positivo,
tanto da aver messo in gioco il proprio incarico: in caso di un ‘no’, infatti,
si sarebbe dimesso. Immediata la soddisfazione del presidente della Commissione
europea, José Manuel Barroso, il quale ha sottolineato come il ‘sì’
lussemburghese è un segnale forte, che indica come la maggioranza degli Stati
membri ritiene che il Trattato costituzionale risponda alle proprie attese. Per
il presidente del Parlamento Europeo, Josep Borrell, questo ‘sì’ è
“molto incoraggiante perché vuol dire ‘sì‘ al proseguimento dell’integrazione
europea”. Borrel si è congratulato, inoltre, con il premier lussemburghese per
il “coraggio politico” dimostrato nella decisione di mantenere il referendum,
dopo il “no” di Francia e Olanda. C’è da sottolineare, infatti, che il voto del
granducato rompe la serie dei risultati negativi degli Stati che hanno scelto
la consultazione popolare e apre uno spiraglio positivo sul futuro. Si guarda,
infatti, alla possibilità di raggiungere il numero di 20 Paesi che hanno
adottato il testo, rimandando, quindi al Consiglio europeo il compito di
trovare una soluzione per quei Paesi che non sono stati in grado di approvarlo.
Una bocciatura da parte dei lussemburghesi avrebbe definitivamente sepolto il
Trattato. Ora, grazie anche alla ratifica di Cipro e Malta, il periodo di
riflessione deciso dai 25 nell’ultimo vertice presenta aspetti più positivi.
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Ancora sangue
in Iraq dove, stamani, nove soldati sono stati uccisi in un attacco contro un
posto di blocco all'entrata di Khales, a 80 km a nord di Baghdad. Intanto il
giornale britannico, Mail on Sunday ha pubblicato ieri un documento
del governo che annuncia il ritiro dall’Iraq di una consistente parte del
contingente inglese e americano. Il memorandum prevederebbe che entro la metà
del 2006 le truppe britanniche nel Paese siano ridotte dagli attuali 85mila a
30mila e quelle americane dagli attuali 140mila a 66mila. Interpellato nel
merito, il ministro della Difesa britannico, John Reid, non ha smentito
l’esistenza del documento, ma ha sostenuto che si tratta solamente di una
‘prudente pianificazione’ e che non è stata presa ancora nessuna decisione
definitiva.
E’ stato trovato morto il
soldato americano disperso nella provincia di Kunar, in Afghanistan, di cui due
giorni fa era stata annunciata l’esecuzione. La notizia è stata resa nota dal
comando dell’esercito statunitense che nel suo comunicato indica che “il luogo
e le circostanze del ritrovamento indicano che il soldato è deceduto durante un
combattimento”. La pattuglia di cui faceva parte il giovane era composta da
quattro membri: uno è stato tratto in salvo dai commilitoni, mentre gli altri
due sono stati trovati morti.
In vista del prossimo ritiro
israeliano da Gaza e Nord Cisgiordania, il governo del premier Sharon fa
appello a Washington per un finanziamento di oltre 2 miliardi di dollari per sostenere
il costo dell’operazione. Ma se da un lato continuano a ritmo costante i passi
verso lo sgombero dei coloni ebraici dagli insediamenti palestinesi, dall’altro
prosegue la costruzione del muro di separazione che Israele sta costruendo
attorno a Gerusalemme est. Ce ne parla Graziano Motta:
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Il nuovo tracciato, approvato
ieri dal Consiglio dei ministri, prevede che il grosso centro di Shuefat e il
villaggio di Aqab, con i loro 55 mila abitanti arabi dello Stato d’Israele, restino separati dalla capitale di
cui sono cittadini. Per raggiungerla, saranno aperti 12 valichi che dovrebbero
restare aperti in permanenza, al fine di assicurare la permanenza dei servizi
municipali, sanitari, educativi, sociali. Una decisione che è stata accolta
male dagli interessati e deplorata dal ministro palestinese Erekat. Stamane,
intanto, il governo israeliano presenta a Washington una richiesta di aiuto di
due miliardi e 200 milioni di dollari per attuare il piano di ritiro da Gaza:
serviranno alla reinstallazione delle basi militari evacuate, all’adozione di
misure di sicurezza lungo la frontiera con l’Egitto, allo sviluppo economico
del Negheb e della Galilea dove è previsto il trasferimento dei coloni.
Per la Radio Vaticana, Graziano
Motta.
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Sedici persone sono morte oggi
nella citta' di Ukhta', nella repubblica autonoma di Komi, nella Russia del
nord, in seguito ad un'esplosione in un negozio. Secondo i primi accertamenti
del ministero degli Interni la
deflagrazione sarebbe stata provocata da una bombola di gas.
In Kossovo l’esplosione di una
mina, probabile residuo della guerra combattuta tra il 1998 e il 1999, ha
provocato ieri la morte di due bambini e il ferimento di altri tre. L’incidente
è avvenuto nell’immediata periferia della città di Klina, nel Kossovo centrale.
Le vittime stavano giocando in un campo quando accidentalmente sono inciampati
nell’ordigno.
Nessuna sorpresa alle elezioni
di ieri in Kirghizistan. Il capo di Stato ad interim, Kurmanbek Bakiyev, è il
nuovo presidente dell’ex Repubblica sovietica, il secondo dall’indipendenza del
Paese, nel ‘91, e dopo la sollevazione popolare di marzo che portò alla
destituzione di Askar Akayev. A scrutinio quasi ultimato, risulta che a Bakiyev
sia andato l’89% dei voti. Il servizio da Bishkek è di Fabrizio Vielmini:
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La vittoria di Bakhiev era
largamente scontata da quando il nuovo presidente ha concluso un patto
elettorale con l’altro grande favorito della competizione: il generale Felix
Kulov, patto in base al quale quest’ultimo andrà ora alla guida del governo. Le
elezioni si sono svolte in un’atmosfera molto tranquilla, che contrasta con i
numerosi sconvolgimenti che si susseguono nel Paese a partire dagli eventi di
marzo. Il tandem Bakhiev-Kulov dovrà ora definire una strategia per risolvere
gli enormi problemi che stanno di fronte al Paese. Repubblica tra le più povere
dell’ex Asia centrale sovietica, il Kirghizistan è profondamente diviso tra
differenti clan regionali e si trova sull’orlo di una bancarotta economica in
cui prosperano clan criminali in buona parte dediti al traffico della droga
proveniente dal vicino Afghanistan. Sita in un’importante posizione strategica,
al crocevia tra Cina, India e Russia, il Kirghizistan è inoltre sottoposto a
fortissime pressioni internazionali che di certo non facilitano il compito del
nuovo governo.
Da Bishkek, per la Radio
Vaticana, Fabrizio Vielmini.
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Ha provocato il ferimento di una
ventina di persone l’esplosione di una bomba avvenuta ieri a Cesme, località
balneare lungo la costa egea della Turchia. Dietro l’azione terroristica ci
sarebbe un gruppo di separatisti curdi. Il gruppo dei Falchi per la Liberazione
del Kurdistan, ala militare del partito PKK, messo al bando, ha, inoltre, reso
noto che saranno diversi gli attacchi condotti ai danni dei turisti.
È di 22 morti e 60 dispersi il
bilancio parziale di un’esplosione di gas in Cina, nella miniera di carbone di
Shenlong, nella regione dello Xinjiang. Soltanto cinque minatori sono stati
trovati vivi fino a questo momento, secondo l'agenzia di stampa Cina nuova. Al
momento dell’esplosione - le 4:00 locali (le 22:00 in Italia) - nella miniera erano al lavoro 87 persone.
Misure più severe nel controllo
dell’abbigliamento islamico delle donne. L’avvertimento, a due settimane
dall’elezione dell’ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad, è stato lanciato dal
generale Chamani, vice capo della polizia di Teheran. Chamani ha spiegato la preparazione
di un piano per affrontare altri simboli della corruzione. Obiettivi
soprattutto le donne e la diffusione di canzoni ritenute non consone all'Islam.
Ancora richieste di dimissioni per la presidente delle Filippine,
Gloria Arroyo, accusata dall’opposizione di frode elettorale in occasione delle
elezioni del 2004. A pronunciarsi in proposito anche l’ex presidente, Corazon
Equino, uno dei maggiori sostenitori della Arroyo. E il malcontento cresce
anche fra la popolazione. Nei giorni scorsi, oltre ottomila filippini
hanno sfilato per le strade della capitale Manila contestando alla Arroyo il
forte aumento dei prezzi dei beni e dei servizi essenziali.
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