RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
170 - Testo della trasmissione di domenica 19 giugno 2005
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
La comunità cristiana in prima linea nella solidarietà ai milioni di
rifugiati nel mondo: l’appello di Benedetto XVI all’Angelus di oggi, in
occasione della Giornata mondiale ONU del rifugiato, che si celebra
domani.
Il Papa saluta e
benedice i polacchi riuniti a Varsavia per la beatificazione di tre loro
connazionali, al termine del Congresso eucaristico polacco.
Domani, in Vaticano, primo incontro internazionale
sul dramma della prostituzione femminile, promosso dal dicastero per la
Pastorale dei migranti: con noi mons. Agostino Marchetto e don Oreste Benzi.
IN PRIMO PIANO:
Tre sacerdoti polacchi
beatificati oggi a Varsavia: con noi Tadeusz Konopka.
Sostenere la speranza
dei rifugiati: l’appello di Kofi Annan per la Giornata mondiale del rifugiato.
Intervista con Laura Boldrini.
Al Movimento
Cooperativo spagnolo Mondragon una onorificenza della Santa Sede: ai nostri
microfoni uno dei fondatori, Alfonso Gorronogoitia.
Al film “Guy X” il
premio per la migliore regia della 51.ma edizione del “Filmfest” di Taormina.
CHIESA E SOCIETA’:
In migliaia ieri sera a Madrid per una grande
manifestazione in difesa della famiglia tradizionale.
L’India sia modello di democrazia e tolleranza. Il
cardinale Toppo smorza gli allarmi sulla persecuzione delle minoranze nel
Paese.
Consegnati ieri a Rapolano terme i premi ”Goccia
d’Oro 2005”.
Sottovalutate in Africa le gravi conseguenze
sociali e sanitarie della massiccia urbanizzazione.
In Indonesia, migliaia di sfollati cristiani
dell’arcipelago delle Molucche sono rientrati nel loro Paese, accolti
pacificamente dalla comunità musulmana.
24 ORE NEL MONDO:
Presidenziali in Iran: si terrà venerdì prossimo
il ballottaggio tra i due candidati conservatori, Rafsanjani e Ahmadinejad.
19
giugno 2005
LA COMUNITA’ CRISTIANA SIA IN PRIMA LINEA NELLA
SOLIDARIETA’ AI MILIONI DI
RIFUGIATI NEL MONDO: L’APPELLO DI BENEDETTO XVI IN
OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE ONU DEL RIFUGIATO CHE SI CELEBRA DOMANI. IL SALUTO DEL PAPA
AI POLACCHI RIUNITI A VARSAVIA PER LA
BEATIFICAZIONE
DI TRE CONNAZIONALI
- Servizio di Alessandro De Carolis -
E’ dovere dei cristiani mostrare
un’“attenzione amorevole” e una capacità tempestiva di sostegno nei confronti
dei milioni di uomini, donne e bambini costretti a sfollare dal loro Paese “per
scampare a gravi difficoltà e pericoli”. L’invito di Benedetto XVI, all’Angelus
di oggi – secondo mese dall’elezione al soglio pontificio - ha preso spunto dalla
Giornata Mondiale del rifugiato che le Nazioni Unite celebrano domani. Ma
l’attenzione del Papa è andata anche alla Polonia, che ha concluso oggi il suo
Congresso eucaristico nazionale con la Beatificazione di tre Servi di Dio. Il
servizio di Alessandro De Carolis:
**********
Fuggire dal proprio Paese perché
devastato dalla guerra, o perché insanguinato da scontri interetnici, o perché
le condizioni sociali rendono impossibile pianificare il futuro. Scappare
lasciando dietro di sé casa, lavoro, abitudini e, spesso, gli affetti più
stretti. A questo dramma collettivo, che nasconde milioni di sconosciute
lacerazioni private, Benedetto XVI ha parlato rivolgendosi ad una piazza che
anche in questa occasione, come ormai da settimane, ha presentato al Papa il
suo volto più affollato e festoso. Domani si celebra la Giornata mondiale dl
rifugiato, ha esordito il Pontefice, e il tema del 2005, “Il coraggio di essere rifugiato”,
“pone l’accento – ha osservato - sulla forza d’animo richiesta a chi deve
lasciare tutto, a volte perfino la famiglia, per scampare a gravi difficoltà e
pericoli”. Una situazione che deve sollecitare anzitutto l’interesse dei
fedeli:
“La comunità cristiana si sente vicina a quanti vivono questa dolorosa
condizione; si sforza di sostenerli e in diversi modi manifesta loro il suo interessamento
e il suo amore che si traduce in concreti gesti di solidarietà, perché chiunque
si trova lontano dal proprio Paese senta la Chiesa come una patria dove nessuno
è straniero”.
I cristiani, ha proseguito
Benedetto XVI, traggono dalla loro “partecipazione attiva e consapevole”
all’Eucaristia la capacità di essere attenti e di servire le persone “più deboli
e svantaggiate”. La “carità operosa” è un tratto distintivo del cristiano che
partecipa al Sacramento eucaristico e lo stesso Anno dell’Eucaristia, è stato
l’auspicio del Papa, “aiuti le comunità diocesane e parrocchiali a ravvivare
questa capacità di andare incontro alle tante povertà del nostro mondo”:
“Quest’oggi vogliamo affidare, in particolare, gli uomini, le donne e
i bambini che vivono la condizione di rifugiati alla materna protezione di
Maria Santissima, che, insieme allo sposo san Giuseppe e al piccolo Gesù, conobbe
l’amarezza dell’esilio, quando l’assurda persecuzione del re Erode costrinse la
santa Famiglia a fuggire in Egitto (Mt
2,13-23). Preghiamo la Vergine Santissima perché questi nostri fratelli e
sorelle incontrino sulla loro strada accoglienza e comprensione”.
Al termine dell’Angelus, il
Pontefice ha rivolto un pensiero alle decine di migliaia di polacchi che, in
quello stesso momento, stavano assistendo a Varsavia alla solenne cerimonia di
Beatificazione di tre servi di Dio, a conclusione del Congresso eucaristico
nazionale:
“Auspico che questo significativo evento ecclesiale contribuisca a
rafforzare lo spirito di riconciliazione fraterna, fondamento necessario per
l'edificazione della comunione di quanti partecipano all'unica mensa di Cristo.
Così il Redentore rimarrà sempre nelle nostre famiglie, come è detto nel tema
del Congresso: "Rimani, Signore,
nelle nostre famiglie ".
Dopo aver aggiunto, in lingua
polacca, “Dio vi benedica”, il Papa ha nominato in francese e in italiano
alcuni dei gruppi di pellegrini presenti in Piazza San Pietro, tra i quali
l’OFTAL di Brescia, il Centro Volontari della Sofferenza delle diocesi di
Napoli e di Firenze, e l’Associazione “Easy Ryder” i cui membri, alla guida di
una ventina di Ferrari, hanno trasformato un angolo del colonnato in un
inusuale polo di attrazione. Infine, il Papa ha concluso:
“Auguro a tutti voi una buona domenica, una buona settimana, un buon
tempo di vacanze!”
(applausi)
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PENSARE AD UNA PASTORALE
DELL’ACCOGLIENZA PER LE DONNE
COLPITE DAL DRAMMA DELLA
PROSTITUZIONE:
IL TEMA IN DISCUSSIONE
DOMANI IN VATICANO NEL PRiMO INCONTRO INTERNAZIONALE PROMOSSO DALLA PASTORALE
DEI MIGRANTI E DEGLI ITINERANTI
- Intervista con
l’arcivescovo Agostino Marchetto e don Oreste Benzi -
Il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti
dedica, domani e dopodomani, due giornate di studio e di riflessione al dramma
delle donne costrette a prostituirsi. E’ il primo incontro internazionale
promosso dal dicastero vaticano per la liberazione delle donne di strada.
L’incontro si aprirà con il saluto del cardinale presidente, Stephen Fumio
Hamao, e la presentazione del programma e del tema da parte del segretario del
Pontificio Consiglio, l’arcivescovo Agostino Marchetto. Giovanni Peduto gli ha
chiesto le cifre di questo drammatico fenomeno:
*************
R. - Il
“fenomeno”, diciamo così, coinvolge ogni anno un milione di persone - mi riferisco
al traffico di esseri umani - con donne e bambini in posizione di maggior
rischio, provenienti dai Paesi in via di sviluppo. Solo in Thailandia si
calcolano fra le 150 e 200 mila le donne di strada, tra le quali 35 mila hanno
meno di 18 anni. In Italia, si calcola che siano 40 mila le donne di strada, 4
mila delle quali minorenni, e moltissime extraeuropee. Il nostro Congresso è
un’occasione per pensare insieme, a livello di Chiesa universale, con la
sollecitudine partecipata del Santo Padre per tutte le Chiese, anche a questo
dramma del mondo di oggi, a questa nuova schiavitù. L’esperienza condivisa ci
aiuterà a stabilire alcuni orientamenti pastorali comuni, che si traducano in
un apostolato dell’accoglienza, con relativi programmi nei loro vari aspetti,
umani, familiari, sociali, economici, ecclesiali. Non dobbiamo avere paura
nell’affrontare i drammi del nostro tempo per quanto gravi e dobbiamo “vincere
il male con il bene”. Forse il nostro Congresso sarà una goccia di acqua dolce
nel gran mare salato della sofferenza umana, ma se non ci fosse – nella visione
di Madre Teresa di Calcutta – qualcosa in esso mancherebbe.
**********
Ad approfondire i contenuti di una Pastorale della liberazione sarà Don
Oreste Benzi, responsabile della Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, da
tanti anni ormai impegnato a strappare le donne dalla schiavitù della strada.
Sentiamolo al microfono di Stefano Leszczynski:
**********
R. – Il
Congresso è un passo in avanti notevolissimo ed importantissimo: è la Chiesa intera
che si pone il problema di questa orribile e terribile schiavitù. E’ una risposta
alla speranza che tutte le schiave del mondo e le schiave specialmente italiane
attendevano dalla Chiesa. Nel medesimo tempo, è anche una spinta a debellare tutto
il commercio che viene compiuto dai criminali. Ma rappresenta anche un monito
molto forte che viene dato ai clienti, che sono in realtà i primi colpevoli
della prostituzione coatta.
D. – In Italia, il problema è
ancora particolarmente grave. Secondo lei ci sono stati segnali di
miglioramento?
R. – No, anzi direi di
peggioramento. Adesso, infatti, i criminali forniscono anche prostitute
minorenni e soprattutto le minorenni romene, che costituiscono una parte
principale della domanda che c’è da parte dei clienti. C’è una perversione
sempre maggiore nei clienti, perché chiedono le minorenni, chiedono le bambine.
D. – Come potrà la Chiesa
sostenere ed aiutare queste donne nel loro percorso di reinserimento, dopo
essere state liberate?
R. – Anzitutto ogni parrocchia
in Italia dovrebbe adottare una ex prostituta: ci sono 24 mila parrocchie e già
potremmo andare incontro a 24 mila ragazze, che possono trovare all’interno
della comunità parrocchiale un popolo che si prenda carico di queste creature
fornendo loro il lavoro. Questo sarebbe certamente un segnale grandioso nella
Chiesa. Ma, nel medesimo tempo, si potrebbe operare su un’illuminazione
maggiore per quanto riguarda i cosiddetti clienti, con un impegno forte. Si
potrebbe anche costituire in ogni parrocchia un comitato che si occupi di
andare a cercare queste ragazze per la strada, così come facciamo noi.
D. – Resta sempre il
confronto con una opinione pubblica e spesso un’opinione politica che sembra
giustificare quasi il fenomeno. Cosa rispondere in questo caso?
R. – C’è, invece, all’interno
della popolazione – io direi quasi al cento per cento – la coscienza e il
sentire che le schiave debbano essere liberate tutte, tutte! La Chiesa può far
forza su questo senso comune profondo. La gente pensa però che le prostitute
non siano tutte schiave e quindi si dice che si tratta di un male minore e si potrebbe
rinchiuderle nei villaggi a luci rosse. Se vengono però illuminate bene, le
persone arrivano a capire che la donna è il bene più grande dell’umanità e che
ogni ferita apportata a lei, è una ferita apporta alla comunità. Dobbiamo
quindi avere il coraggio – come nell’ultima campagna referendaria – di dire
finalmente come stanno le cose. I cristiani hanno ragione, sembra quasi che
chiedano scusa di esistere. Io non sono pessimista, se la Chiesa si unisce insieme.
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19
giugno 2005
TRE SACERDOTI POLACCHI BEATIFICATI OGGI A
VARSAVIA,
ALLA PRESENZA DEL CARDINALE GLEMP.
L’INVITO ALLA RICONCILIAZIONE TRA POLACCHI E
UCRAINI
La Chiesa polacca annovera da
oggi tre nuovi Beati. Sono tre sacerdoti elevati agli onori degli altari a
Varsavia, durante una solenne celebrazione eucaristica che ha radunato migliaia
di persone da tutta la Polonia. Una giornata di sole, che ha riunito polacchi e
ucraini esortati al perdono reciproco, dopo un passato segnato da tragedie e lutti,
in una lettera redatta dalla Conferenza Episcopale Polacca e letta durante la
Messa. Il servizio di Tiziana Campisi.
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Circa
ottantamila persone hanno preso parte stamani a Varsavia, nella Piazza di
Pilsudski, alla Beatificazione dei tre sacerdoti polacchi: Ladislaw Findysz,
Bronislaw Markiewicz e Ignazio Klopotowski. La celebrazione, presieduta su mandato
di Benedetto XVI dal primate di Polonia l’arcivescovo Jozef Glemp, a conclusione
del III Congresso Eucaristico Nazionale Polacco ricordato oggi anche
all’Angelus dal Papa. Tre figure, quelle dei nuovi beati vissuti tra l’800 e il
900, che sono emerse negli anni del comunismo. Ma come le ha ricordate nella
sua omelia il Presidente della Conferenza Episcopale Polacca Jozef Michalik? Da
Varsavia ci riferisce il corrispondente Ansa Tadeusz Konopka:
R. - Si tratta di tre preti
polacchi molto coinvolti nel servizio apostolico, nel servizio ai poveri e
molto aperti ai bisogni anche sociali della società polacca, che in quel
periodo non godeva della possibilità di vivere in uno Stato libero. Il beato
Ladislaw Findysz, una prima vittima del regime comunista, è il prete che è
stato incarcerato. In carcere si sviluppò la malattia e non potendo curarsi
poco dopo è morto. Per quanto riguarda Bronislaw Markiewicz, si tratta del
fondatore della Congregazione dei Micaeliti, che tuttora sta prestando il
servizio per i più poveri. La stessa cosa per Ignazio Klopotowski, fondatore
dell’Associazione delle Suore di Loreto. Questi si era dedicato molto a
sviluppare l’editoria cattolica. Mons. Michalik ha citato nell’omelia diversi
brani scritti dai nuovi Beati, dai quale emerge la loro convinzione, legata
alla situazione del loro Paese allora, che la Polonia è la terra dei Santi e
che in modo particolare i polacchi devono dimostrare attaccamento ai valori
cristiani. Anche oggi la Polonia ha bisogno di santi – ha detto Michalik -
facendo anche riferimento agli ultimi avvenimenti accaduti in Polonia.
Nell’ambito del Congresso
eucaristico si è radunata anche la Conferenza Episcopale Polacca che ha
pubblicato una lettera di perdono e di riconciliazione firmata dall’arcivescovo
di Varsavia, Jozef Glemp, e dall’arcivescovo Maggiore di Leopoli dei Ucraini
Lubomyr Husar. Entrambi hanno letto il documento che ricorda la tragica storia
di polacchi ed ucraini e dei loro rapporti non sempre facili proprio durante la
celebrazione eucaristica, dopo la preghiera dei fedeli. Qual è il significato
di questa lettera?
R. - Questa lettera fa
riferimento alla quella di 40 anni fa che l’episcopato polacco scrisse alla
Chiesa di Germania: “Perdoniamo e chiediamo il perdono”. E’, più o meno, lo
stesso contenuto, ma ha un enorme significato simbolico, importante per la
riconciliazione tra i due popoli confinanti, i quali nel passato - come è stato
anche ricordato oggi – avevano storie molto dolorose che non sempre hanno ricevuto
il perdono da entrambe le parti. Oggi, i capi delle due Chiese con un toccante
appello si sono rivolti a questi popoli affinché si liberino dal peso del
passato, frenino il male e promuovano il bene. Questa citazione, presa dai
testi di uno dei nuovi Beati, credo sia stata particolarmente sentita.
L’Ucraina, dopo l’autunno scorso, è un Paese per i polacchi ancora più vicino.
Non sarebbe possibile un gesto di riconciliazione del genere se non ci fosse
stata la rivoluzione che ha riportato la libertà in questo Paese.
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ONORARE IL CORAGGIO E
SOSTENERE LA SPERANZA DEGLI SFOLLATI:
L’APPELLO DI KOFI ANNAN
PER LA GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO.
IN CALO IL NUMERO DI CHI
ABBANDONA FORZATAMENTE IL PROPRIO PAESE
- Intervista con Laura
Boldrini -
Come ampiamente sottolineato da Benedetto XVI all’Angelus, le Nazioni
Unite sollecitano oggi il mondo ad onorare lo spirito ed il coraggio dei
milioni di rifugiati che nel mondo affrontano enormi sofferenze, senza perdere
la speranza di ricostruire un futuro migliore. L’invito è espresso nel
messaggio del segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, dedicato alla Giornata
Mondiale del Rifugiato 2005, che si celebra domani. Attualmente, l’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiato (ACNUR) offre il proprio
aiuto a 17 milioni di rifugiati, in 115 Paesi. Tuttavia, non è facile per
queste persone che fuggono da guerre e persecuzioni trovare asilo e aiuto al di
fuori dei confini del proprio Paese. A descriverci la situazione è Laura
Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato per i Rifugiati in Italia, intervistata
da Stefano Leszczynski:
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R. – Il
numero dei rifugiati è diminuito di circa il 4 per cento rispetto all’anno precedente
e siamo ora ad una stima di circa 9 milioni di rifugiati. Questo è comunque un
dato in calo rispetto al passato ed è un dato positivo, perché nel 2004 ci sono
stati circa un milione e mezzo di rifugiati che sono rientrati volontariamente
nei loro Paese. Sono, invece, aumentati gli sfollati interni –quelle persone,
quindi, fuggite per gli stessi motivi dei rifugiati, ma che non hanno
attraversato la frontiera – e sono aumentati anche gli apolidi.
D. – Ci sono peraltro dei casi e
dei Paesi ancora in situazione molto grave che producono un gran numero di
rifugiati?
R. – Ci sono Paesi che producono
rifugiati e ci sono Paesi, invece, nei quali guerre a bassa intensità hanno
avuto una risoluzione. Ci sono poi Paesi che continuano a non avere all’interno
condizioni di sicurezza. Dovremmo, ad esempio, menzionare la Repubblica Democratica
del Congo, ma sicuramente anche il Sudan con il Darfur, dove la situazione
continua ad essere molto grave. E’, comunque, molto importante continuare a
mantenere alta l’attenzione, perché si è visto che nel momento in cui la
comunità internazionale si impegna davvero a trascinare fuori dal conflitto un
Paese, questo Paese ha la possibilità di farcela. Ma ciò significa anche
investire nel futuro di quella nazione e offrire alle persone una concreta
alternativa alla guerra.
D. – I rifugiati affrontano
sofferenze enormi e tuttavia non perdono la speranza: questo è un punto che,
forse, è stato notato dalle Nazioni Unite, che quest’anno hanno dedicato una
Giornata proprio al coraggio dei rifugiati…
R. – Sì, un coraggio che spesso
non viene preso in considerazione dall’opinione pubblica. A volte, si
sottovalutata che per lasciare il proprio Paese, le persone a cui si vuole
bene, il proprio passato, ci vuole sicuramente un enorme coraggio. Un coraggio
enorme che è, a volte, il risultato di una non-scelta, perché se si rimane si
rischia di soccombere. Queste persone, quindi, con grande coraggio decidono di
chiudere con il proprio passato, si mettono molto spesso nelle mani dei
trafficanti, perché non hanno documenti a disposizione, arrivano in Paese dove
fanno domanda di asilo e non necessariamente hanno accesso alla procedura o
vengono creduti nelle loro istanze. Ci vuole poi molto coraggio a ricominciare
tutto da zero.
D.
– Per concludere, che appello si può lanciare in occasione di questa Giornata
mondiale del rifugiato?
R. – L’appello è proprio di
porsi in maniera più serena rispetto ai rifugiati, considerandoli persone come
noi e che sarebbero voluti rimanere a casa proprio, ma alle quali non è stato
consentito vivere questo privilegio. Sono persone che potrebbero insegnarci e
darci molto.
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CONCESSA UNA ONORIFICENZA DELLA SANTA SEDE AL
MOVIMENTO COOPERATIVO SPAGNOLO DE MONDRAGON, UNA RETE DI IMPRESE INDUSTRIALI,
COMMERCIALI
E TERZIARIE, ISPIRATE DALLA DOTTRINA SOCIALE DELLA
CHIESA
- Intervista con Alfonso Gorronogoitia -
Il
Movimento Cooperativo di Mondragon, in Spagna, è stato insignito dalla Santa
Sede con l’onorificenza dell’Ordine di San Silvestro. La consegna si è svolta ieri nel corso di una speciale celebrazione
religiosa, nel Santuario della Madonna di Aranzazu, patrona della diocesi di
San Sebastian, nei Paesi Baschi. La cerimonia è stata presieduta dal vescovo di
San Sebastian, mons. Juan Maria Uriarte, e dal vescovo emerito della stessa
diocesi, mons. Jose Maria Setien. La concessione di questa onorificenza risale
al Pontificato di Giovanni Paolo II. Nella motivazione, si dichiara che ai
fondatori di queste cooperative viene riconosciuto il merito di aver dato luogo
a un progetto che si ispira ai valori del Vangelo e della Dottrina sociale
della Chiesa. Tra i fondatori, va ricordato il sacerdote Jose Maria
Arizmendiarrieta, il quale come educatore e promotore ha saputo trasmettere una
nuova visione del mondo del lavoro, secondo gli orientamenti del Magistero
sociale ecclesiale. Il Movimento Cooperativo di Mondragon comprende oggi una
vasta rete di 155 imprese, con oltre 70 mila lavoratori, nei diversi settori
della vita industriale, dei servizi sociali, educazione, commercio. E collabora
alla creazione di altre cooperative, in particolare nei Paesi in via di
sviluppo. Uno dei cinque fondatori, Alfonso Gorronogoitia, intervistato da
padre Ignazio Arregui, racconta la sua impressione sull’onorificenza concessa
dalla Santa Sede:
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R. – PRIMERO UN HONOR INESPERADO
...
Innanzitutto è un onore
insperato. Vorrei sottolineare anche che si tratta di una grossa responsabilità
proprio per il suo carattere religioso, cosa che noi prendiamo molto sul serio.
Naturalmente, è motivo di un rapporto ancora più stretto ed affettuoso nei
confronti della Chiesa, indipendentemente dal riconoscimento che per la realtà
cooperativa rappresenta questo premio.
D. – Secondo lei, come si
giustifica in concreto questo riconoscimento, tenendo presente che oggi nel
mondo esistono molte cooperative?
R. – YO PIENSO QUE
PROBABLEMENTE...
Probabilmente per le dimensioni
e la risonanza conquistate dalla nostra associazione cooperativa e più in
generale per il successo finora ottenuto, ed anche perché è costituita da un
complesso di istituzioni che noi chiamiamo esperienza integrale: siamo infatti
presenti nei più diversi settori che
interessano i cittadini. Abbiamo cooperative industriali, ci occupiamo di
previdenza sociale, di sicurezza sociale, di ricerca. Abbiamo un ospedale regionale
ed infine, nel settore dell’educazione, un’università.
D. – Tenendo presente la diversità
di queste opere, quali sono le caratteristiche fondamentali del sistema
cooperativo di Mondragon?
R. – PRIMERO, HAY QUE DECIR…
Primo, bisogna dire che esistono
alcune caratteristiche universali del pensiero cooperativo. Una di queste
caratteristiche è quella del primato del lavoro sul capitale. Poi, l’uso della
democrazia, il famoso principio di “un uomo, un voto”, nel prendere le
decisioni. Nel nostro caso, il funzionamento si basa su tre principi: lavoro,
solidarietà, educazione. Altri principi funzionali sono quelli della corresponsabilità
(siamo poco paternalisti), il principio di efficienza, il principio di
adattamento al cambiamento. Queste sono alcune caratteristiche del
cooperativismo di Mondragon.
D. – Con tutta questa
esperienza, nell’arco di 49 anni, avete aiutato altri Paesi a sviluppare il
cooperativismo secondo i principi e l’esperienza accumulata dal cooperativismo
di Mondragon?
R. – AL PRINCIPIO ESTE GENERO DE
ACTUACIONES…
All’inizio, questo tipo di
azioni erano occasionali. Adesso apparteniamo all’Alleanza Cooperativa
Internazionale e abbiamo una rappresentanza. Al momento, abbiamo una sezione
dedicata alla collaborazione con i promotori di altre cooperative. Ci sono
scambi con Paesi e organizzazioni estere ed ogni anno vengono organizzati
gruppi di persone che si recano a dare il proprio aiuto sul posto. Questa
esperienza ha già qualche anno e dà risultati importanti, mobilita un gran
numero di persone e sta attuandosi principalmente in Africa e Sud America.
D. – Volgendo lo sguardo alle
origini, che cosa rappresenta per voi il fondatore, il sacerdote José M. Arizmendiarrieta?
R. - José M. Arizmendiarrieta è
stata l’anima, l’idea, la spinta, con la sua grande capacità di promuovere le
vocazioni e le istituzioni. Si è distinto per la sua capacità creativa, ma non
solo per questo. E’ stata fondamentale anche la sua azione educativa. Bisogna
tener presente che prima di lanciare le cooperative, don Josè Arizmendiarrieta
ha dedicato 16 anni alla nostra formazione. Oltre alla sua capacità creativa ed
educativa, ha portato soprattutto avanti la vocazione e una forma di intendere
la vita e l’impegno sociale. Quando si parla di fondatori, la parola
“fondatore” gli corrisponde per antonomasia. Senza di lui, chiaramente, tutto
questo non sarebbe stato possibile.
D. – Volgendo invece lo sguardo
alla base, qual è il compito dei membri della cooperativa al fianco dei
dirigenti?
R. –
EL COOPERATIVISTA ES EN FIN DE CUENTAS…
Il membro della cooperativa è il protagonista ultimo di tutto il
progetto ed è qualcuno di cui dobbiamo avere cura. Per noi, i contributi di
Arizmendiarrieta sono stati importanti e decisivi. Però, anche i contributi
collettivi sono stati importanti in questi lunghi anni di definizione del
sistema. Siamo partiti da un principio, cioè che le organizzazioni funzionano
non solo grazie all’apporto di una minoranza, ma necessitano
dell’appoggio della maggioranza, del coinvolgimento e di un impegno
comunitario. Non bisogna dimenticare che l’ultima parola nelle decisioni
importanti ce l’ha l’assemblea generale, costituita dai membri della
cooperativa. Anche nelle cooperative industriali non sono tutti dirigenti, ma
la massa, cioè coloro che con il loro voto personale prendono le decisioni, è
costituita da semplici lavoratori. Questo esige cura, ore dedicate alla
formazione cooperativa e all’informazione sulla vita interna dell’istituzione.
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A “GUY
X” IL PREMIO PER LA MIGLIORE REGIA
DELLA
51.MA EDIZIONE DEL BNL FILMFEST DI TAORMINA
Assegnati ieri sera, nella festosa cornice del Teatro
Greco, i Premi della 51.ma edizione del Taormina BNL FilmFest: singolare e
inaspettato il verdetto dell’autorevole Giuria internazionale, che ha cercato
di privilegiare stili di regia e di recitazione molto personali. Il direttore
artistico, Felice Laudario, trae poi un bilancio assai positivo ed annuncia le
date dell’edizione 2006 del Festival, che sarà spostata alla fine del mese di
luglio, dal 22 al 29, per dare ancor più spazio ai giovani studenti
universitari, il pubblico privilegiato della manifestazione. Il servizio di
Luca Pellegrini.
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Laura Morante, attrice nobile italiana, ha tenuto l’ultima
lezione di cinema del Festival di Taormina. La prima regola, valida per tutti:
“Un film deve stare a cuore, bisogna vivere il cinema in modo passionale”. Seconda regola: “L’attore imita la realtà,
l’artista deve dire la verità”. Terza regola: “L’orecchio e la grazia sono le
due qualità che ogni attore dovrebbe avere: per ascoltare se stessi, ciò che
sta attorno. Per ascoltare gli altri ed in quale film ci si trova”. Laura
Morante ha fatto anche parte della Giuria internazionale che ha assegnato i
premi del rinato concorso, nel quale si sfidavano dodici pellicole “del mondo”,
e queste tre regole devono aver anche orientato le decisioni degli illustri
giurati, presieduti dal regista inglese, Hugh Hudson. “Guy X” si aggiudica la migliore regia e interpretazione
maschile, rispettivamente assegnati a Saul Metzstein e Jason Biggs: un soldato
X, senza nome e senza motivi apparenti, si ritrova in una base militare
americana in Groenlandia, teatro di drammatiche vicende. Un film contro la
guerra ed i suoi orrori, il più delle volte tenuti miseramente nascosti, che
anche attraverso i toni lievi della commedia dell’assurdo si fa denuncia
appassionata e sincera.
Molto dramma, invece, e tanta verità, quelli recitati
dall’intero cast femminile e maschile del film danese “Nordkraft” di Ole Christian Madsen: la loro performance collettiva – un’inquieta storia urbana di giovani
afflitti da droga e alcolismo che cercano disperatamente di dare un senso alla
loro vita – si aggiudica il premio per i non protagonisti. Lucrezia Lante della
Rovere, che conserva una grazia speciale nel film di Giampaolo Tescari “Gli occhi dell’altro”, si aggiudica
per questo la migliore interpretazione femminile: nel film, il suo personaggio
- donna felice e sicura - si trova ad affrontare la presenza inaspettata di un
profugo curdo, creando abissi di incomprensioni e violenza inaspettate nei suoi
rapporti familiari. Infine, un fatto estremamente positivo: la Giuria del
pubblico, formata da 70 assidui spettatori, e quella della FIPRESCI, ossia dei
critici internazionali, hanno assegnato entrambe il loro riconoscimento a “Bye-Bye Blackbird”, opera prima,
struggente e raffinata, di Robinson Savary, figlio del noto regista di teatro
Jerome, ambientata in un circo d’altri tempi. Coincidenza rara, felice e
singolare, per sottolineare la esemplare cifra stilistica e coerenza narrativa
del giovane regista ed attenderlo ora nel non facile compito di mantenere le
premesse in quella che sarà la sua opera seconda.
Da Taormina, Luca Pellegrini per Radio Vaticana
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19
giugno 2005
ieri, a madrid, Migliaia di persone HANNO SFILATO per
dire no
al progetto di LEGGE CHE EQUIPARA LE COPPIE
OMOSESSUALI
ALLA FAMIGLIA TRADIZIONALE
A cura
di Eugenio Bonanata
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MADRID.
= “No alla guerra contro la famiglia”. “Per la libertà e la famiglia”. Erano
alcuni dei cartelloni che spuntavano dalla folla in marcia che ha percorso tranquillamente
le strade del centro madrileno. L'iniziativa, promossa dal Forum per la
famiglia, ha ricevuto l’appoggio di alcuni vescovi spagnoli - guidati
dall'arcivescovo di Madrid, il cardinale Antonio Maria Rouco Varela - e del
Partito Popolare dell’ex premier Aznar, oggi guidato da Mariano Rajoy, fra
l’altro ieri non presente tra i manifestanti. C’erano, invece, tante famiglie
con bambini in carrozzina, giunte da tutta la Spagna e anche dall’estero. Tutti
hanno sfilato, sotto un sole accecante e temperature di 35 gradi, per dire “Sì.
La famiglia è importante”, in un corteo terminato intono alle 22 nella
centralissima Porta del Sol. Qui gli organizzatori, accusando Zapatero di
“promuovere iniziative contro le fondamenta della famiglia”, hanno letto un
comunicato in un cui chiedono all’esecutivo socialista di ritirare il progetto
di legge. Secca la risposta del vicepremier De la Vega: la nuova legge “non
obbliga nessuno a fare quello che non vuole”, mentre la manifestazione vuole
che “ad altri venga negato un diritto”. La legge contestata è una modifica del
Codice civile spagnolo che equipara totalmente le unioni omosessuali ai
matrimoni civili. Già approvato alla Camera, e ora in discussione al Senato, dovrebbe
ricevere il via libera definitivo entro il prossimo 30 giugno. In mattinata, la
Federazione degli omosessuali aveva compiuto una piccola celebrazione simbolica
contro le discriminazioni davanti al monumento alla costituzione spagnola,
mentre un vero raduno di massa a sostegno della parità di diritti per gli
omosessuali è stato annunciato per il 2 luglio. Per altri versi, la
dimostrazione di ieri indurisce lo scontro politico fra governo e Partito
Popolare, già manifestatosi nelle scorse settimane con la grande marcia a
Madrid contro le trattative con l’Eta volute da Zapatero, e con l'altra
manifestazione a Salamanca contro il trasferimento degli archivi della Guerra
Civile. Uno scontro che peraltro culmina oggi con le elezioni regionali in
Galizia, dove è in gioco la conferma di uno dei simboli dei popolari,
l’ottuagenario presidente Manuel Fraga, da 16 anni al governo locale, assediato
dai socialisti nella sua roccaforte del nord.
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L’india sia modello di democrazia e
tolleranza. Così il cardinale toppo,
presidente della conferenza episcopale
indiana, all’indomani del suo
incontro con il papa. Il porporato smorza
gli allarmi sulla persecuzione delle minoranze nel Paese
MUMBAI. = “Non c’è Paese al mondo che sia così vario e allo stesso
tempo così tollerante come l’India; tutti noi insieme dobbiamo renderla un
modello per il resto del mondo”. Così si è espresso il cardinale Telesphore
Placidus Toppo, presidente della Conferenza episcopale indiana (CBCI), parlando
dell’India e del ruolo della Chiesa nel Paese. Il cardinale è tornato ieri da
un il viaggio in Europa, durante il quale ha incontrato il Papa e alcuni leader
europei. A contrastare l’idea dell’India come Paese tollerante, tuttavia,
gravano le numerose violenze contro cristiani ed altre minoranze che,
secondo il porporato, non dovrebbero aver posto in una democrazia.
“Sfortunatamente – ha detto – l’ideologia è dietro numerosi di questi episodi”.
Ma il cardinale ha smorzato gli allarmi di chi vede in India una vasta campagna
di persecuzione delle minoranze. “Non bisogna dimenticare – ha precisato - che
ci sono fondamentalisti e fanatici in tutti i Paesi e in tutte le regioni,
l’India non è un’eccezione”. Per il cardinale Toppo, dunque, non bisogna
lasciarsi intimorire, ma occorre “affrontare la sfida insita nel nostro
profondo impegno di fede e civiltà”. In questo quadro, la Chiesa locale, con le
sue differenti espressioni rituali, secondo il capo dei vescovi indiani “deve
essere in grado di contribuire a proporre l’India come modello di democrazia al
mondo”. Ricordando il suo incontro con Benedetto XVI, il cardinale - il primo
proveniente dalla comunità tribale - ha dichiarato che “il nuovo Papa crede
nella decentralizzazione e ha già delegato i cardinali a presiedere alle
cerimonie di beatificazione”. “Egli – aggiunge – ha evidenziato il bisogno di
uno sforzo maggiore a favore dell’unità dei cristiani e relazioni migliori con
le altre religioni”. Il cardinale Toppo ha accennato, inoltre, alla sua
partecipazione alla prossima Giornata mondiale della Gioventù, in programma
nella città tedesca di Colonia dal 16 al 22 agosto. “Già nella mia ultima udienza
con Giovanni Paolo II, lo scorso ottobre, egli mi chiese se sarei andato a
Colonia e io risposi di sì. Non vedo l’ora di partecipare all’evento mondiale,
in cui i giovani di tutti i Paesi si riuniscono per celebrare la loro fede,
solidarietà e impegno per l’evangelizzazione”. Il cardinale ricorda, infine,
l’invito del defunto Pontefice, Karol Wojtyla, nel rivolgersi ai giovani
affinché “abbiano il coraggio di seguire Gesù e testimoniare l’amore di Dio
riversato su di noi in Cristo Gesù”. (E. B.)
CONSEGNATI, IERI A RAPOLANO TERME, I PREMI “GOCCIA
D’ORO 2005”.
TRA GLI INSIGNITI, L’UNITALSI E LE “MISERICORDIE”
DI ALBA E DI SIENA
- A cura di don Vito Magno –
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RAPOLANO TERME.= “La goccia
scava la roccia”: l’antico proverbio è vissuto alla lettera nella cittadina
toscana, Rapolano Terme, diventata capitale della solidarietà per via di quei
tre quarti dei suoi 4.800 abitanti che praticano il volontariato attraverso la
Confraternita della Misericordia e l’associazione Fratres dei donatori di
sangue. Dal proverbio è nato il nome di una singolare iniziativa, il premio Goccia
d’Oro, che da 15 anni il Comune con il sostegno di alcune ditte e istituti
bancari assegna a personalità e ad istituzioni pubbliche e private impegnate in
campo sociale. Invogliare tutti a costruire una società più fraterna è
l’obiettivo che si propone il premio, lodato dal vescovo di Arezzo, Gualtiero
Barsetti nel corso della concelebrazione che ha preceduto ieri sera la
cerimonia di consegna. La Goccia d’Oro di quest’anno ha avuto per tema la terza
età ed è stata assegnata all’Unitalsi a motivo della abnegazione con cui i suoi
volontari accompagnano gli anziani in pellegrinaggio ai vari santuari. Il
premio è andato anche alle Misericordie di Alba e di Siena, che gestiscono
bancarelle a disposizione della fasce più avanzate di età; alla vedova di
Alberto Manzi, l’indimenticabile maestro televisivo di “Non è mai troppo tardi”
ed infine a Giulia Mancini, manager dei progetti sociali dell’Associazione
italiana calciatori, quest’anno particolarmente impegnata favore degli anziani.
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SOTTOVALUTATE IN AFRICA Le gravi
conseguenze sociali e sanitarie della massiccia urbanizzazione. L’onu LANCIA
L’ALLARME, preoccupata per le condizioni PRECARIE delle popolazioni DEL
CONTINENTE
NAIROBI. = Per il 2030, l’Africa
non potrà più definirsi un continente rurale. Per allora, infatti, il 61% della
popolazione vivrà nelle città e soprattutto nelle baraccopoli. E’ la previsione
dell’agenzia dell’ONU per gli insediamenti urbani (Habitat), preoccupata per la
sempre maggiore urbanizzazione in condizioni di precarietà delle popolazioni
africane. Il direttore esecutivo di Habitat, Anna Tibaijuka, durante una
conferenza a Nairobi - città dove il 70% degli abitanti vive in slum e
quartieri “spontanei” - ha denunciato che gli abitanti delle baraccopoli,
specie nell’Africa subsahariana, hanno bisogno di misure urgenti. “Essi – ha
specificato - vivono in agglomerati sovraffollati, costretti in spazi abitativi
insufficienti, senza acqua potabile né servizi igienici”. Tra gli “Obiettivi
del millennio per lo sviluppo”, promossi dalle Nazioni Unite, e sottoscritti da
191 Paesi, ci sono quelli di migliorare entro il 2020 le condizioni di vita di
100 milioni di persone che oggi vivono nelle bidonville e favelas di tutto il
mondo. In particolare, l’obiettivo è di fornire acqua potabile e fognature alle
case di metà della popolazione povera del pianeta. Secondo Habitat, il fenomeno
della massiccia e caotica urbanizzazione non è percepito con l’urgenza che merita
per la gravità delle sue conseguenze sociali, sanitarie ed economiche. E
dunque, gli obiettivi fissati, sostiene l’agenzia umanitaria, sono ancora
lontani dall’essere raggiunti. (E. B.)
In Indonesia, nell’arcipelago
delle Molucche, migliaia di sfollati cristiani, rientrati nel loro paese dopo
tre anni di conflitto interreligioso, hanno trovato una caLOROSA accoglienza da
parte di musulmani, un tempo ostili
AMBON. = Circa 1500 cristiani
“sono stati ricevuti con cordialità e apertura dai fratelli musulmani” quando,
in questi giorni, sono rientrati nella terra d’origine dopo la fine del
triennale conflitto interreligioso nelle Molucche. Ad affermarlo, all’agenzia
Misna è padre Kees Böhm, missionario del Sacro Cuore di Gesù ad Ambon, che dal
suo “osservatorio” nel capoluogo dell’arcipelago indonesiano delle Molucche ha
seguito da vicino la crisi e conosce le vicende di molti sfollati. In
particolare, secondo le indicazioni del missionario, a beneficiare
dell’accoglienza sono stati i cristiani rifugiati, da oltre 4 anni, nelle isole
Kei, per sfuggire agli scontri durati dal 1999 al 2002. Non sempre, però, la
situazione è ottimale. “In alcune parti delle Molucche – afferma padre Böhm
- è ancora difficile per i cristiani
tornare a casa”. Ed ha ricordato che all’apice del conflitto tra le comunità religiose
i profughi raggiunsero una cifra stimata fra i 300 e i 350 mila, all’incirca
metà musulmani e metà cristiani, disseminati nelle grandi isole indonesiane di
Sulawesi, Giava e all’interno delle stesse Molucche. Al momento, nessuno può dire
con certezza quanti siano ancora gli sfollati, ma alcune stime riferiscono di
“centinaia di migliaia”. Tra loro ce ne sono alcuni che hanno deciso di restare
dove si erano rifugiati. Altri protestano contro il governo centrale, come è
accaduto di recente a famiglie di sfollati che hanno cominciato a rientrare nel
villaggio di origine, Kariu, nell’isola di Haruku. “Un centinaio ha protestato
– spiega alla Misna il sacerdote - perché il governo di Giakarta non ha inviato
i soldi promessi per la ricostruzione delle case, mentre altre centinaia, ai
quali è stata consegnata una nuova abitazione, si sono lamentate perché alcuni
edifici non avevano finestre, cucina e neppure i bagni". Il sacerdote
ricorda, inoltre, come l’alto tasso di corruzione, in Indonesia, non risparmia
neppure la realtà dei profughi. “Alcuni sfollati – specifica - si registrano
più volte in campi diversi e in momenti diversi, in modo da garantirsi varie
entrate, molto probabilmente con la complicità dei funzionari”. Nonostante
l’impegno di alcune organizzazioni presenti sul posto, resta ancora molto da
fare per gli sfollati delle Molucche, ma la strada della riappacificazione
sembra ormai definitivamente imboccata. “Ad Ambon – conclude il missionario –
il rapporto tra cristiani e musulmani è molto migliorato e quegli anni di
violenze, soprusi e ostilità appaiono ora un lontano ricordo”. (E. B. )
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- A cura di Amedeo Lomonaco-
In Iran, il Ministero
dell’interno ha reso noti i risultati finali delle elezioni presidenziali, tenutesi
lo scorso 17 giugno: nessuno dei candidati ha conquistato la maggioranza
assoluta e ha votato oltre il 60 per cento degli elettori. Andranno al
ballottaggio il conservatore Rafsanjani, che ha ottenuto il 21 per cento dei
voti, e l’ultraconservatore Ahmadinejad che ha conquistato il 19,5 per cento
delle preferenze. E’ stato invece escluso dal ballottaggio, che si terrà il
prossimo 24 giugno, il riformista Karroubi che ha ricevuto poco più del 17 per
cento dei voti. Il nostro servizio:
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Per la prima volta nella storia
dell’Iran, sarà il ballottaggio a stabilire chi ricoprirà la più alta carica di
Stato. La partita per la successione al presidente uscente, Mohammed Khatami, è
ristretta a due candidati conservatori: Rafsanjani, già presidente iraniano per due mandati dal 1989 al 1997, e
Ahmadinejad, ex sindaco di Teheran. Quest’ultimo, ultraconservatore,
è riuscito a superare l’ex presidente del Parlamento, il riformista moderato
Karrubi. Ma il testa a testa tra Ahmadinejad e Karrubi, che ha lanciato accuse
di brogli, è stato incerto fino all’ultimo. L’ex sindaco di Teheran è arrivato
al ballottaggio probabilmente grazie ad un maggiore numero di preferenze nella
capitale. Il favorito Rafsanjani, invece, è sempre rimasto in testa ma non è
riuscito ad ottenere la maggioranza assoluta. Il premio Nobel per la
pace, l’iraniana Shiri Ebadi, ha annunciato, intanto, che non si recherà alle
urne per il ballottaggio. “Non prenderò parte ad alcuna elezione finché ci sarà
questa legge elettorale che prevede la supervisione sul voto dei guardiani
della rivoluzione”, ha detto Shiri Ebadi. Ma la sua decisione è in contrasto
con quella della maggioranza del popolo iraniano: hanno votato,
infatti, 29,32 milioni di elettori, pari al 63 per cento degli aventi diritto.
La guida suprema, l’ayatollah Khamenei, si è congratulato per l’alta affluenza
alle urne e ha detto che i risultati della consultazione costituiscono una
sconfitta per il presidente americano, George Bush. Poco prima della votazione,
il capo della Casa Bianca aveva duramente criticato le elezioni presidenziali
in Iran definendole come “non democratiche”.
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L’Iran è dunque chiamato ad una
nuova consultazione per stabilire il successore di Mohammed Khatami. Ma il
ballottaggio di venerdì prossimo tra due conservatori può disegnare un nuovo
Iran? Risponde il corrispondente dell’Ansa da Teheran, Alberto Zanconato:
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R. – Non credo. Il ministro
degli Esteri, Kamal Kharrazi, ha
detto che la politica iraniana non cambierà. Chiunque sarà eletto, non muterà
la politica di Teheran. Le scelte e la posizione dell’Iran sul piano internazionale
sono pilastri della politica estera. Un cambiamento, quindi, non appare
assolutamente probabile anche perché, come hanno mostrato questi otto anni di
presidenza di Mohammed Khatami, i poteri del presidente in Iran sono molto limitati.
D. – Quali chances di vittoria avrà al ballottaggio l’ultraconservatore
Ahmadinejad?
R. – Ahmadinejad ha poche chances di vittoria. Il fatto che sia
arrivato al ballottaggio con l’ex presidente Rafsanjani
crea dei timori soprattutto a Teheran. Ahmadinejad è infatti un ultraconservatore,
già membro delle forze speciali di Pasdaran. Questo timore dovrebbe spingere,
anche quanti non si sono recati alle urne per il primo turno, a votare per Rafsanjani
e a votare contro Ahmadinejad.
D. – Per questo primo turno è
stata comunque sventata la minaccia dell’astensionismo?
R. – Sì. Non c’è stato né un
astensionismo di massa, come si poteva pensare per la delusione dopo gli otto
anni di Khatami e delle promesse di riforme democratiche, mantenute solo in
parte. Non c’è stata nemmeno una massiccia partecipazione: si parla di una affluenza
intorno al 60 per cento. Evidentemente, molti hanno pensato che fosse meglio
andare a votare per il candidato più gradito ai riformisti. Questo candidato si
delinea, in vista del ballottaggio di venerdì prossimo, nella figura dell’ex
presidente Rafsanjani.
D. – Con il cambio di presidenza
in Iran, ci potranno essere dei mutamenti nel programma nucleare iraniano?
R. – L’Iran continua a sostenere
che vuole andare avanti nel suo programma e soprattutto con la realizzazione di
un ciclo per l’arricchimento dell’uranio, che è il punto più controverso del
programma iraniano. Queste attività sono state sospese da diversi mesi
nell’ambito delle trattative con l’Europa. L’Iran, però, non è più disposto a
continuare con questa sospensione e riprenderà le attività anche di arricchimento
dell’uranio.
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In
Iraq, un’autobomba è esplosa a Baghdad davanti ad una moschea sciita provocando,
secondo alcuni testimoni, un numero imprecisato di vittime. Sempre nella
capitale, due poliziotti sono rimasti uccisi in seguito ad un agguato teso da
ribelli. A Tikrit un attacco suicida nei pressi di una postazione americana ha
causato, inoltre, la morte di almeno tre soldati iracheni.
In Afghanistan, i guerriglieri taleban hanno annunciato di
aver ucciso uno dei loro prigionieri, il locale capo della polizia
distrettuale. I talebani, negli ultimi giorni, hanno preso in ostaggio 31
poliziotti e hanno occupato un edificio governativo a Mian Nishin, a nord di
Kandahar.
Israele e l’Autorità nazionale
palestinese hanno espresso la loro disponibilità a cooperare sul ritiro
pacifico israeliano dalla Striscia di Gaza, in particolare sulla “rimozione”
delle case dei coloni ebraici. Lo ha detto il segretario di Stato Usa, Condoleeza
Rice, in una conferenza stampa dopo colloqui con entrambe le parti. Il nostro
servizio:
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A due giorni dal vertice a Gerusalemme fra il premier
israeliano Ariel Sharon e il presidente palestinese Abu Mazen, il segretario di
Stato americano, Condoleezza Rice, ha detto che entrambe le parti sono
determinate a portare avanti il processo di pace. Il ritiro di Israele da Gaza – ha
spiegato la Rice - può costituire un passo storico per aprire la strada alla
fine del conflitto israelo-palestinese. La Rice ha anche
annunciato che è stata raggiunta un’intesa per la “rimozione” delle 1.200 case
dei coloni. Le abitazioni saranno distrutte per lasciare spazio a progetti
edilizi più consoni alle necessità della sovraffollata striscia di Gaza. “La cosa
importante è che le parti vogliano lavorare insieme sul ritiro”, ha detto la
Rice. Israele evacuerà ad agosto circa 8.000 coloni dalla Striscia di Gaza e altri
400 dalla Cisgiordania. Ma il primo
ministro, Ariel Sharon, ha comunque ribadito che non ci possono essere
progressi nella “Road map” se l’Autorità palestinese non disarmerà e non
scioglierà i gruppi militanti. Sull’altro versante, il
presidente palestinese Abu Mazen ha chiesto al governo di Tel Aviv di adempiere,
come chiesto anche dall’amministrazione americana, ai propri impegni che
prevedono oltre al ritiro, la liberazione dei prigionieri palestinesi ancora
detenuti nelle carceri israeliane e l’abbattimento del muro in Cisgiordania. Sul terreno, infine, un commando della
Jihad islamica ha attaccato due postazioni israeliane. Nell’azione, è rimasto
ucciso un miliziano palestinese.
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In Libano, si sono aperti
stamani i seggi nel nord Paese per il quarto e ultimo turno delle elezioni
legislative, cominciate lo scorso 29 maggio. Sono
ancora 28 i seggi da assegnare: oggi, circa 700 mila elettori sono chiamati a
scegliere 13 deputati musulmani e 15 cristiani. Gli altri 100 deputati sono già
stati designati nelle precedenti tornate elettorali. La competizione elettorale riguarda gli alleati del
musulmano sunnita, Saad Hariri, e quelli dell’ex generale cristiano, Michel
Aoun.
Circa 500 persone hanno manifestato in piazza a Yangon,
capitale del Myanmar, contro la giunta militare. I manifestanti hanno anche
rivolto gli auguri ad Aung San Suu Kyi, la donna agli arresti domiciliari e
Premio Nobel per la pace, che oggi compie 60 anni. Grandi cortei sono stati
organizzati per chiederne la libertà in tutta l’Asia e messaggi di auguri e
sostegno politico sono giunti a Aung Suu Kyi da diversi leader, a partire dal
presidente americano George Bush.
La Francia mette in guardia i Paesi che tentano di
procedere soli nell’Unione Europea: il futuro dell’Europa - sostiene Parigi -
dovrà essere “consensuale” e non si dovrà procedere “per rottura”. Ieri, il
primo ministro britannico Blair ha lanciato un appello per “un dibattito
fondamentale” sul futuro dell’UE dopo aver respinto un compromesso sul bilancio
al vertice di Bruxelles, concluso con un fallimento.
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