RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 167 - Testo della trasmissione di giovedì 16 giugno 2005

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa, ricevendo 7 nuovi ambasciatori, lancia un forte appello alla solidarietà con i poveri della Terra: le ricchezze del mondo sono di tutti e vanno divise in modo equo

 

“L’impegno della Chiesa cattolica nella ricerca per l’unità dei cristiani è irreversibile”: lo ha dichiarato stamane Benedetto XVI incontrando il reverendo Samuel Kobia, segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese: intervista con il reverendo Kobia.

 

IN PRIMO PIANO:

Si apre nel pomeriggio il Consiglio Europeo a Bruxelles: i 25 leader alle prese con un momento di profonda crisi per le difficoltà sul Trattato costituzionale ma soprattutto per il disaccordo sul bilancio: ce ne parla Gianni Pittella

 

Si celebra oggi la “Giornata del bambino africano”: con noi Pietro Del Soldà.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Il Forum spagnolo della famiglia  ha invitato tutti cattolici della Spagna a scendere in piazza per protestare contro le politiche del governo che minano l’istituzione familiare

 

La Corea del Nord vive la sua più grave crisi alimentare

 

Compie un anno “Africable”, la tv satellitare africana per promuovere l’integrazione culturale tra i Paesi del continente

 

Assegnati a Roma i premi 2005 dell’Accademia Nazionale dei Lincei

 

La Cina premia un film italiano: protagonisti un gruppo di bambini ebrei

 

Domani a Bolzano i funerali di Carlo Maria Giulini

 

In Pakistan cristiani e musulmani festeggiano insieme S. Antonio con solenni celebrazioni.

 

24 ORE NEL MONDO:

In Cambogia liberati con un blitz della polizia 29 bambini sequestrati da una banda criminale. Nella sparatoria sono rimasti uccisi un bimbo canadese e due sequestratori

 

Cresce la tensione in Iran alla vigilia delle presidenziali di domani.

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

16 giugno 2005

 

 

IL PAPA, RICEVENDO 7 NUOVI AMBASCIATORI, LANCIA UN FORTE APPELLO

ALLA SOLIDARIETA’ CON I POVERI DELLA TERRA: LE RICCHEZZE DEL MONDO

SONO DI TUTTI E VANNO DIVISE IN MODO EQUO

- A cura di Sergio Centofanti, Alessandro Gisotti e Donika Lafratta -

 

Il Papa ha ricevuto stamane 7 nuovi ambasciatori accreditati presso la Santa Sede per la presentazione delle Lettere credenziali. I diplomatici provengono da quasi tutti i continenti: Rwanda, Zimbabwe e Guinea per l’Africa, Malta e Svizzera per l’Europa, Azerbaigian per l’Asia e Nuova Zelanda per l’Oceania. Al centro dei discorsi di Benedetto XVI un appello forte alla solidarietà verso i poveri della Terra, da perseguire attraverso una equa ripartizione delle ricchezze del pianeta che appartengono non solo a pochi fortunati ma a tutti i popoli del mondo. Il Papa lancia poi un nuovo invito alla difesa della vita e della famiglia, nel superamento dei pericoli insiti nel pensiero relativista. Il servizio di Sergio Centofanti.

 

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“Je les invite à s’engager pour créer une humanité toujours plus fraternelle…”

 

Benedetto XVI invita tutti i popoli ad un impegno comune: quello di “creare un’umanità sempre più fraterna”, in un’attenzione rinnovata “ai più poveri e a quanti sono esclusi dalla società”. Si tratta di una grande sfida per la quale occorre che l’uomo abbia sempre il primato sulla tecnica. I responsabili delle nazioni sono chiamati a curare non gli interessi particolari ma quelli di tutti.

 

“Notre coeur ne peut etre en paix tant que”…

 

“Il nostro cuore – afferma il Papa – non può essere in pace finchè vediamo dei fratelli soffrire per mancanza di cibo, lavoro, casa o di altri beni fondamentali”. Ma ci vogliono gesti concreti: la prima grande risposta è quella della “solidarietà tra generazioni, tra paesi e tra continenti per una  ripartizione sempre più equa delle ricchezze del pianeta tra tutti gli uomini”. Si tratta di uno dei servizi essenziali che gli uomini di buona volontà devono rendere all’umanità.

 

“La terre a en effet la capacité de nourrir tous ses habitants…”

 

La terra – ha detto il Papa – ha in effetti la capacità di nutrire tutti i suoi abitanti a condizione che i Paesi ricchi non tengano per sé ciò che appartiene a tutti”.

 

“L’Eglise continuera sur tous les continents à venire en aide…”

 

La Chiesa -  ribadisce il Pontefice - continuerà a portare il suo aiuto spirituale e materiale alle popolazioni di tutti i continenti, non chiedendo per sé alcun privilegio, ma solo le legittime condizioni di libertà di azione per la sua missione. Il Papa quindi rivolge il suo pensiero all’Africa: al nuovo ambasciatore rwandese,  Joseph Bonesha, parla della necessità della giustizia ma anche del perdono per superare le ferite del genocidio del 1994. Occorre “garantire i diritti fondamentali di tutti i cittadini”, una giustizia equa e senza ritardi, “che serva la verità e che bandisca la paura, la vendetta, l’impunità e le disparità”. Benedetto XVI auspica che il dialogo con le autorità rwandesi possa “far percepire sempre meglio il desiderio della Chiesa cattolica di partecipare attivamente allo sviluppo umano e spirituale di tutti i rwandesi”: si tratta di porre nei cuori di tutti la capacità di vivere fraternamente e “di rifiutare la barbarie in tutte le sue forme”.

 

All’ambasciatore dello Zimbabwe, David Douglas Hamadziripi, il Papa sottolinea la grande sfida della riconciliazione nazionale che richiede “oltre al riconoscimento delle ingiustizie commesse in passato, anche un grande impegno  per agire con giustizia e rispetto della dignità e dei diritti degli altri”. Benedetto XVI auspica che le elezioni del marzo scorso contribuiscano “non solo al conseguimento degli obiettivi di pacificazione e di ricostruzione economica, ma anche alla ricostruzione morale della società e al consolidamento di un ordine democratico in grado di attuare politiche dettate dall’interesse per il bene comune e lo sviluppo integrale di ogni individuo e di ogni gruppo sociale”. “A questo proposito - prosegue il Pontefice - posso solo appoggiare le osservazioni fatte dai vescovi dello Zimbabwe … riguardo l’urgente necessità di una leadership responsabile e giusta mossa da uno spirito di servizio verso gli altri, dall’onestà nella gestione dei beni pubblici, dal rispetto della legge e dalla promozione dei diritti e doveri di ogni cittadino”.

 

Quindi nel discorso all’ambasciatore della Guinea, El Hadj Aboubacar Dione,  Benedetto XVI lancia un appello ai governi di tutto il mondo a non dimenticare il dramma dei profughi africani: milioni di persone in attesa che qualcuno finalmente s’interessi della loro tragica sorte. A questi nostri fratelli e sorelle – afferma il Pontefice – bisogna ridare la speranza. Il Papa chiede alla comunità internazionale di impegnarsi con una ferma determinazione per riportare la pace e la giustizia nel continente africano. Infine Benedetto XVI chiede ai cattolici un impegno ancora più forte: quello di essere per tutti i popoli “dei segni di speranza e testimoni ardenti dell’amore del Signore”.

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Molti e tutti di grande attualità anche i temi affrontati da Benedetto XVI nei discorsi agli ambasciatori di Svizzera, Malta, Nuova Zelanda e Azerbajian. Ce ne parla Alessandro Gisotti:

 

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Sulle questioni fondamentali della vita, la Chiesa deve sempre far sentire la sua voce. E’ quanto sottolineato da Benedetto XVI nel discorso all’ambasciatore della Svizzera, Jean-François Kammer. Il Papa ha ricordato come, negli ultimi anni, la società elvetica abbia conosciuto un’evoluzione dei suoi costumi e siano state approvate numerose leggi riguardanti la vita e la famiglia. Si tratta, ha spiegato, di questioni delicate sulla trasmissione della vita, la malattia, la fine della vita ma anche il ruolo della famiglia e il rispetto del matrimonio. Su tali temi, la Chiesa cattolica “si è espressa chiaramente attraverso la voce dei suoi Pastori e continuerà a farlo, finché necessario, al fine di richiamare senza sosta la grandezza inalienabile della dignità umana, che richiede il rispetto dei diritti umani e primo fra tutti il diritto alla vita”. Il Pontefice si è infine augurato che il Paese continui ad essere aperto a quanti sono andati in Svizzera in cerca di lavoro o di protezione.

 

La valorizzazione delle radici cristiane dell’Europa è stato il tema centrale del discorso del Papa all’ambasciatore di Malta, Antonio Ganado. “Dar vita a un’Europa unita e solidale – è stato il richiamo di Benedetto XVI – è impegno di tutti i popoli che la compongono. L’Europa, infatti, deve saper coniugare i legittimi interessi di ogni nazione con le esigenze del bene comune dell’intero Continente”. I maltesi, ha evidenziato, “coerenti con le loro radici cristiane” avvertono “l’importanza della loro missione” in questa fase della storia europea e mondiale. “Mantenendosi in sintonia con le nobili tradizioni spirituali e culturali che l'hanno sempre caratterizzata lungo i secoli”, è stata l’esortazione del Santo Padre, Malta  deve “adoperarsi perché la Comunità europea del terzo millennio non smarrisca il patrimonio di valori culturali e religiosi del suo passato. E’ infatti solo a queste condizioni che si potrà  costruire con salda speranza un futuro di solidarietà e di pace”. Quindi, ha espresso il suo vivo incoraggiamento al popolo di Malta affinché “sia protagonista in questa nuova fase storica del Continente, contribuendo a consolidarne le capacità di dialogo, di difesa e di promozione della famiglia fondata sul matrimonio, le tradizioni cristiane, l’apertura e l’incontro con culture e religioni diverse”.

 

Un’analisi dei rischi insiti nel processo di secolarizzazione ha caratterizzato il discorso di Benedetto XVI all’ambasciatore della Nuova Zelanda, Geoffrey Kenyon Ward. “Laddove le radici cristiane della società vengono dimenticate – ha avvertito – il compito di mantenere la dimensione trascendente presente in ogni cultura diviene difficile”, così come “il rafforzamento dell’esercizio autentico della libertà contro il relativismo”.  Per questo, ha aggiunto, i leader religiosi e della società civile devono far sì che alla questione morale sia garantita un ampio spazio nel confronto dell’opinione pubblica. In tale contesto, ha sottolineato Benedetto XVI, “abbiamo bisogno di recuperare una visione di mutuo rispetto tra la legge morale e quella civile, che oltre ad essere proposta dalla tradizione cristiana” è anche parte del patrimonio delle migliori tradizioni giuridiche dell’umanità. Il Papa ha anche ricordato i giovani neozelandesi caduti nella Seconda Guerra Mondiale a Monte Cassino. Giovani che hanno sacrificato la propria vita per difendere i valori fondamentali minacciati da “false ideologie nazionaliste”. Ha così lodato l’impegno per la promozione della pace profuso dai neozelandesi con le loro missioni di peace keeping in Afghanistan e Medio Oriente.

 

La promozione della libertà ed in particolare la libertà di credo religioso è stato il tema forte del discorso del Pontefice al primo ambasciatore presso la Santa Sede nella storia dell’Azerbaijan, Elchin Oktyabr Oglu Amirbayov. Il popolo azero, ha rilevato il Papa, sa bene che “se la dimensione spirituale di una persona è repressa o negata, l’anima di una nazione viene distrutta”. Per il bene della comunità, ha affermato, è necessario che la libertà religiosa sia garantita come un diritto fondamentale, protetto da un robusto sistema di leggi che rispetti la vita e le regole proprie delle comunità religiose. In tale contesto, Benedetto XVI ha ringraziato il presidente Aliev per aver facilitato la costruzione di una chiesa cattolica a Baku. L’Azerbaijan ha già “mosso alcuni passi verso l’affermazione dei diritti fondamentali dei cittadini e la promozione delle pratiche democratiche”. C’è però molto ancora da fare, ha avvertito. Una società civile che contribuisca alla prosperità di ogni suo componente, è stato il richiamo del Pontefice, può essere costruita “soltanto rispettando la dignità inviolabile della persona umana e promuovendo le libertà individuali”. Dal canto suo, il Papa ha assicurato l’impegno della Chiesa per la promozione della giustizia e la difesa dei poveri.

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“L’IMPEGNO DELLA CHIESA CATTOLICA NELLA RICERCA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI

È IRREVERSIBILE”: LO HA DICHIARATO STAMANE BENEDETTO XVI

INCONTRANDO IL REVERENDO SAMUEL KOBIA,

SEGRETARIO GENERALE DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE

- Intervista con il reverendo Samuel Kobia -

 

“L’impegno della Chiesa cattolica nella ricerca per l’unità dei Cristiani è irreversibile”: lo ha dichiarato stamane Benedetto XVI ricevendo in udienza il reverendo Samuel Kobia, segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese, accompagnato dalla moglie e da una delegazione di questo organismo con sede a Ginevra, cui aderiscono 342 confessioni cristiane. Il servizio di Roberta Gisotti:

 

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“The commitment of Catholic Church to the search for…”

 

Rafforzare “i legami di comprensione e di amicizia” questa la speranza espressa da Benedetto XVI, quale frutto di questa visita alla Santa Sede alla luce dell’impegno “irreversibile” della Chiesa cattolica per realizzare “la preghiera di Cristo ‘Ut unum sint’” e il desiderio “di continuare la cooperazione con questo “importante” organismo ecumenico.

 

Ha rammentato il Santo Padre che le relazioni tra Chiesa cattolica e Consiglio mondiale delle Chiese si sono sviluppate durante il Concilio Vaticano II, ai cui lavori parteciparono anche due osservatori da Ginevra, e che nel 1965 fu creato un Gruppo di lavoro congiunto, quale “strumento di continuo contatto e collaborazione, per “tenere a mente il comune dovere di unità”. E a 40 anni dalla sua fondazione si terrà nel novembre prossimo una rilevante consultazione sul futuro di questo Gruppo. Spero e prego – ha detto il Papa – perché il suo proposito e la metodologia di lavoro siano “ulteriormente chiariti nell’interesse di una sempre maggiore comprensione, cooperazione e progresso ecumenici”. Benedetto XVI ha quindi richiamato “il compito primario” - assunto nei primi giorni del pontificato – “di lavorare instancabilmente per ricostituire la piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo”, chiarendo anche in questa occasione che ciò richiede “in aggiunta alle buone intenzioni concreti gesti che entrino negli animi e smuovano le coscienze”.

 

Parole, “chiari segnali di speranza”, ha rilevato il reverendo Samuel Kobia, nel suo saluto al Papa, indicando in particolare “tre aree di capitale importanza” da approfondire per il bene del movimento ecumenico nel suo insieme: la spiritualità, la formazione e il dibattito ecclesiologico, che comporterà quesiti fondamentali e risposte che riguarderanno tra l’altro – ha detto il dott. Kobia – la capacità o incapacità di riconoscersi reciprocamente come Chiese. La nostra fede – ha aggiunto – è più efficace e vibrante quando è vissuta insieme con tutti i fratelli e sorelle in Cristo”, così come “la nostra testimonianza profetica, la nostra missione e il nostro servizio sono tanto più efficaci quando possiamo pregare, confessare, parlare e agire insieme piuttosto che separatamente”.

 

Ma ascoltiamo ora un commento del reverendo Kobia, al microfono di Philippa Hitchen della nostra redazione inglese:

 

R. – YES, I MUST SAY THAT I VERY….

Sì, devo anzitutto dire che ho apprezzato come un caloroso benvenuto le affermazioni fatte dal Santo Padre Benedetto XVI, per il quale l’ecumenismo risulta essere una priorità. Inoltre una delle cose che voglio fare è esprimere il mio più profondo apprezzamento per aver preso questa posizione, sottolineandogli che siamo pronti veramente a collaborare e lavorare insieme per il raggiungimento di una grande unità fra Cristianesimo e Chiese del mondo.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima il discorso di Benedetto XVI al Reverendo Dottor Samuel Kobia, segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra. Nell'occasione il Papa ha sottolineato che l'impegno della Chiesa cattolica nella ricerca dell'unità cristiana è irreversibile.

 

Nelle vaticane, nel discorso generale ai nuovi ambasciatori di Nuova Zelanda, Azerbaigian, Guinea, Zimbabwe, Svizzera, Malta, Rwanda, il Santo Padre ha affermato che il nostro cuore non può essere in pace finché vediamo i fratelli soffrire per mancanza di cibo, di lavoro, di un tetto.

 

Nelle estere, Iraq: sanguinose violenze a Mossul e a Ramadi.  

 

Nella pagina culturale, un articolo di Ferdinando Montuschi dal titolo "Trionfa l'inganno nei 'reality show' ": in questo genere di trasmissioni televisive la realtà non è realtà e lo spettacolo non è spettacolo.

Un articolo di Marcello Filotei in ricordo del grande direttore d'orchestra Carlo Maria Giulini.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano l'Irap: approvato il decreto sulle entrate 2004-2005.                    

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

16 giugno 2005

 

 

SI APRE NEL POMERIGGIO IL CONSIGLIO EUROPEO A BRUXELLES:

I 25 LEADER ALLE PRESE CON UN MOMENTO DI PROFONDA CRISI

PER LE DIFFICOLTA’ SULLA COSTITUZIONE

MA SOPRATTUTTO PER IL DISACCORDO SUL BILANCIO

- Intervista con Gianni Pittella -

 

Il presidente della Commissione dell’UE José Manuel Barroso mette in guardia i leader europei dal rischio di fare precipitare l'Europa “nella paralisi permanente” se il Consiglio che comincia  a Bruxelles nel pomeriggio e prosegue fino a domani si chiuderà senza un accordo sulle prospettive finanziarie 2007-2013. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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“Un accordo è un imperativo politico”, ha scandito Barroso a poche ore da dichiarazioni molto pessimiste del presidente di turno della UE Jean-Claude Juncker. Il premier del Lussemburgo, che ha negoziato per settimane tra tutti i colleghi europei e continuerà a farlo fino all'ultimo minuto utile, non ha nascosto la sua sfiducia: “Sono quasi sicuro che non avremo le prospettive finanziarie a questo vertice”, ha commentato poco prima della presentazione della nuova proposta di compromesso della presidenza lussemburghese. C’è da dire che sullo sfondo del braccio di ferro economico ci sono gli interrogativi sulla Costituzione: dopo la bocciatura di Francia e Olanda, ci si aspetta dai leader un’indicazione sulle prossime ratifiche. Il cancelliere tedesco Schroeder ribadisce la necessità di continuare il processo di ratifica, con l’impegno ad un bilancio provvisorio all'inizio del prossimo anno. Ricordiamo che di 25 Paesi, 10 hanno ratificato, 2 hanno detto ‘no’, 13 devono ancora affrontare la ratifica. Emerge un quadro di crisi in cui resta fondamentale l’accordo sulle risorse da destinare all’Europa per le politiche pensate e annunciate per il periodo  2007 – 2013. Degli ostacoli ma anche delle concrete iniziative in programma, abbiamo parlato con l’europarlamentare Gianni Pittella:

 

R. – La vera posta in gioco è quella di ridare fiato alle istituzioni europee e di metterle in condizione di operare e di attuare le politiche che vengono richieste da parte dei cittadini europei. Il rischio reale è che prevalgano gli interessi nazionali. Una somma di interessi nazionali che non fanno, poi, un’unità vera sul piano europeo, perché spesso sono in contrasto tra di loro: la Francia vuole difendere il suo egoistico interesse rispetto alla politica agricola; la Gran Bretagna non vuole perdere il suo privilegio legato al rimborso che ha ottenuto 20 anni fa con la premier Thatcher, perché contribuente netto; la Spagna vuole assolutamente conservare il Fondo di coesione. Tutti vogliono qualcosa che, però, interessa solo il proprio territorio. Pochi si preoccupano, invece, del fatto che l’Unione Europea nel suo insieme deve fare la politica di coesione, la politica per la crescita, la ricerca e la competitività; la politica estera, la politica per la cittadinanza europea, che sono politiche che si fanno però con i quattrini. Poiché i quattrini le istituzioni europee non ce li hanno, sono gli Stati che devono quindi conferire queste risorse al bilancio europeo.

 

D. – Dobbiamo dire che il Parlamento, che è una rappresentanza popolare, in questo momento e così come sul tema della Costituzione, è un po’ in contrasto con le figure dei leader?

 

R. – Il Parlamento, diciamo, è avanti rispetto alle posizioni degli Stati. Ora non dobbiamo dimenticare, soprattutto non lo dimentichino i capi di governo, che il Parlamento è anche autorità di bilancio, per cui qualsiasi sia la decisione che prenderà il Consiglio Europeo e quindi i capi di governo, dovrà poi essere negoziata con il Parlamento.

 

D. – Più soldi, per più Europa…

 

R. – Risorse finalizzate alle politiche europee. Ci sono politiche che l’Unione Europea deve fare. Lo abbiamo detto tutti. La strategia di Lisbona per la crescita e la competitività, per la ricerca, deve essere fatta insieme, dall’Unione Europea e dagli Stati membri. L’Unione Europea deve fare la sua parte. Abbiamo un bellissimo programma, che si chiama Programma Quadro sulla ricerca e l’innovazione tecnologica, ma questo programma si realizza se ci sono le risorse. La politica di coesione, e quindi l’utilizzo dei fondi strutturali, si realizza solo nel momento in cui ci sono risorse sufficienti e deve realizzarsi sia nei nuovi Stati membri, che sono più poveri di noi, sia nelle regioni meno avanzate dei vecchi Stati membri, che venivano definiti ‘obiettivo uno’ e in cui rientrava anche parte del mezzogiorno d’Italia, se non tutto il mezzogiorno d’Italia. Ci sono poi le politiche per le azioni esterne e quindi perché l’Europa abbia un ruolo di attore globale, per intervenire in Afghanistan, in Iraq, per la ricostruzione dopo lo tsunami, per la pace in Palestina, per le politiche per il Mediterraneo, per la lotta alla fame, alla povertà, alle malattie. Tutto ciò si fa solo con le risorse.

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SI CELEBRA OGGI LA GIORNATA DEL BAMBINO AFRICANO

- Intervista con Pietro Del Soldà -

 

Si celebra oggi la “Giornata del Bambino Africano”. L’appuntamento rappresenta un occasione per riflettere sulla condizione dell’infanzia nei diversi Paesi africani dove fame, guerra, Aids, analfabetismo insieme con il triste fenomeno dei bambini soldato, rendono incerte le prospettive di sviluppo. Secondo le cifre fornite dalla coalizione “Stop all’uso dei bambini soldato” sono più di 300 mila i minori attualmente impiegati in conflitti nel mondo. Ma cosa si può fare  in un Paese africano per riabilitare socialmente un bambino che ha vissuto questa terribile esperienza? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Pietro Del Soldà, portavoce di Amref:

 

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R. - Dopo un primo processo di riabilitazione è necessario fornire la possibilità di un ricongiungimento familiare e, laddove è possibile, un reinserimento nel sistema scolastico. Il grave problema si pone ad esempio, come nel caso del nord Uganda, dove questi servizi sono assenti perché le strutture sono state cancellate da 20 anni di guerra civile. Il problema è però poi garantire loro la possibilità di vivere in positivo una infanzia migliore e spesso questo non è possibile.

 

D. – In Africa l’infanzia deve quotidianamente fare i conti con la diffusione dell’Aids. Alcuni dati indicano che 6 mila giovani al giorno contraggono il virus. Inoltre cresce il numero dei bambini resi orfani dalla malattia...

 

R. – Il dato forse più inquietante è proprio quello dei bambini orfani. Si calcola che siano oggi 12 milioni. Moltissimi bambini che rimango privi almeno di un genitore sono per questa ragione costretti ad uscire con troppo anticipo dall’infanzia per essere scaraventati di fatto nella vita adulta. E questo è causa di diserzione scolastica perché obbliga bambini magari di 9-10 anni ad abbandonare gli studi per prendersi cura dei fratelli più piccoli. Però, a sua volta, questo problema della diserzione scolastica diventa causa di una ulteriore diffusione dell’epidemia perché molti di questi bambini, uscendo dalla scuola, sono anche privati della possibilità di imparare le norme fondamentali di prevenzione sanitaria.

 

D. – Più di 400 milioni di africani soffrono la fame e la mancanza di  acqua. Ancora una volta sono le parti più vulnerabili della società a pagarne le conseguenze?

 

R. – Nel caso della mancanza d’acqua faccio un esempio. In tantissimi villaggi rurali, soprattutto dove non è presente acqua pulita, le donne sono costrette ad andare a prendere acqua, lasciando la casa priva di cura, per ore ed ore durante il giorno. In questo caso anche i figli sono di fatto privati dell’attenzione della madre. Oltre a ciò la mancanza d’acqua è anche uno dei fenomeni che crea il diffondersi di tante malattie debilitanti. L’acqua contaminata è uno dei fattori che genera la malaria, il killer silenzioso e più pericoloso che uccide ogni giorno 3 mila bambini africani.

 

D. – Secondo lei come si può e si deve aiutare l’infanzia per garantire all’Africa un futuro migliore?

 

R. – Con il potenziamento delle risorse investite. Anche il governo italiano in primis è da noi chiamato ad impegnarsi di più per raggiungere la famosa soglia dello 0,7 per cento del PIL investito in aiuti allo sviluppo, ma anche l’adozione di nuove strategie più radicate sul terreno attraverso un maggiore coinvolgimento attivo delle comunità beneficiarie. Questi i due punti chiave per poter sperare nella ricostruzione delle condizioni primarie perché i bambini possano vivere la propria infanzia.

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CHIESA E SOCIETA’

16 giugno 2005

 

 

A MADRID IN PIAZZA PER DIFENDERE LA FAMIGLIA. IL PROSSIMO 18 GIUGNO

IL FORUM SPAGNOLO DELLA FAMIGLIA HA INDETTO UNA MANIFESTAZIONE

DI PROTESTA CONTRO LA NUOVA LEGGE DEL PARLAMENTO

CHE RICONOSCE IL MATRIMONIO TRA OMOSESSUALI

 

MADRID. = “La familia sí importa”. Al grido di questo slogan il Forum Spagnolo della Famiglia (FEF) ha invitato tutti i cattolici della Spagna a scendere in piazza per protestare contro le politiche del governo che minano l’istituzione familiare. Sabato 18 giugno, migliaia di persone, sfileranno per le vie di Madrid per difendere il vero matrimonio e per manifestare il loro “no” alla normativa parlamentare che equiparerebbe all’unione tra un uomo ed una donna l'unione di persone dello stesso sesso. La Chiesa spagnola ha espresso il suo completo appoggio alla manifestazione. Una nota della Conferenza episcopale spagnola incoraggia i fedeli a partecipare all’evento. “Ci troviamo davanti ad una questione della massima importanza morale e sociale che esige dai cittadini, ed in particolare dai cattolici, una risposta chiara ed incisiva”, dichiarano i vescovi. Pieno sostegno all’iniziativa arriva anche dai singoli presuli, che non mancano di ricordare come il matrimonio e la famiglia rappresentino una realtà radicata nella natura stessa dell’uomo, e da diversi settori della società. Esponenti politici, associazioni di genitori e di studenti ma anche personalità del mondo della cultura e del giornalismo, infatti, prenderanno parte alla marcia di Madrid. (D.L.)

 

 

La Corea del Nord vive la sua più grave crisi alimentare.

ALL’ORIGINE DELLA  CARESTIA LE SCELTE del governo e un sistema economico che mal si adatta alle reali condizioni del paese

 

Pyongyang. = La Corea del Nord sta affrontando la situazione peggiore da molti anni a questa parte nel campo dell’alimentazione. Lo denuncia la Fao, Il Fondo ONU per l’agricoltura e l’alimentazione. Gerald Bourke, portavoce dell’organizzazione ha detto che la situazione della Corea del Nord è molto più grave di una crisi. Secondo gli esperti internazionali, il taglio delle razioni giornaliere decise dal regime di Kim Jong-il, le disastrose riforme economiche e la crisi nucleare hanno provocato una carenza alimentare di proporzioni spaventose. Il rifiuto di Pyongyang di tornare al tavolo dei colloqui sul disarmo nucleare ha infatti provocato l’immediata sospensione dell’invio di aiuti umanitari da parte di Stati Uniti e Giappone; la Corea del Sud li ha interrotto per circa 3 mesi, ma ha ripreso quello dei generi alimentari, anche se in maniera molto limitata, nell’ambito della “diplomazia silenziosa” di Seoul. Un altro grave problema è costituito dalle riforme politiche del regime comunista, che sperava di trasformare il Paese in un sistema di economia autonoma basata sull’agricoltura. Secondo Kathi Zelleweger, operatrice Caritas da anni impegnata nella zona, la Corea del Nord non è e non può divenire una nazione agricola, composta com’è da zone prevalentemente montuose, con terreno duro e poco coltivabile. “Solo il 18 % del terreno  totale – ha detto - è arabile, ma la coltivazione dipende da costosissimi macchinari agricoli e fertilizzanti”. La razione minima giornaliera di cibo necessario alla normale sopravvivenza di un essere umano si aggira intorno ai 550/590 grammi: la razione ordinaria dei nordcoreani varia dai 300 grammi per le zone urbane ai 250 grammi per quelle agricole.

 

 

COMPIE UN ANNO “AFRICABLE”, LA TV SATELLITARE AFRICANA PER PROMUOVERE L’INTEGRAZIONE CULTURALE TRA I PAESI DELL’AFRICA 

 

BAMAKO. = Per promuovere e rafforzare l’integrazione dei Paesi dell’Africa, da un anno è attiva “Africable network”, rete televisiva satellitare gratuita con sede centrale a Bamako. Nata in Mali grazie all’iniziativa di giovani imprenditori, la TV propone cronaca, programmi culturali, dibattiti e programmi di intrattenimento. Trasmette in Burkina Faso, Guinea Conackry, Senegal, Camerun, Togo, Rwanda e Gabon. Entro la fine dell’anno dovrebbe essere fruibile anche in Costa d’Avorio, Niger e Ciad; poi si passerà ai Paesi anglofoni. “Le nostre differenze culturali sono la nostra ricchezza, il nostro auspicio è di contribuire alla costruzione di un Continente che ne prenda sempre più coscienza”, ha detto il direttore generale Ismaila Sibidé. (T.C.)

 

 

ASSEGNATI A ROMA I PREMI 2005 DELL’ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI.

RICONOSCIMENTI A STUDIOSI E RICERCATORI NEI PIU’ SVARIATI AMBITI SCIENTIFICI

 

ROMA. = Sono stati consegnati oggi, durante una cerimonia alla quale ha preso parte il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, i Premi 2005 dell'Accademia nazionale dei Lincei, destinati a studiosi affermati e giovani ricercatori nei più svariati ambiti culturali e scientifici. Il presidente dell'Accademia, Giovanni Conso, nella sua relazione sull'attività svolta nell'anno accademico, ha detto: Non e' stato un anno facile e ancora più difficile si prospetta il prossimo per i problemi economico-finanziari del Paese. Tuttavia, l'antidoto principale - ha aggiunto - sta nel reagire, così da fare delle difficoltà un ulteriore sprone. (T.C.)

 

 

LA CINA PREMIA UN FILM ITALIANO SU UNA VICENDA REALMENTE ACCADUTA DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE: PROTAGONISTI UN GRUPPO DI BAMBINI EBREI

 

SHANGAI. = Premiato in Cina il film tv “La fuga degli innocenti” diretto da Leone Pompucci, prodotto dalla Red Film per Rai Fiction. Lo Shangai international television festival ha conferito alla produzione i premi per la migliore regia e il miglior contributo tecnico in fotografia e musica. La fiction racconta la storia di 40 bambini ebrei arrivati il 17 giugno del 1942 a Nonantola, diretti in Palestina ma bloccati in Jugoslavia dall'occupazione tedesca e italiana. Nell'aprile del 1943 vi si aggiunse un secondo gruppo di 33 bambini, tutti orfani per aver perso i genitori nei campi di concentramento. Costretti poi a lasciare la città per l'arrivo delle truppe tedesche attraversarono la frontiera con la Svizzera e giunsero in Palestina soltanto nel maggio del 1945, aiutati da don Arrigo Beccari e dal medico Giuseppe Moreali, onorati nello Yad Vashem. Per l'aiuto coraggioso e generoso da loro prestato è stato loro dedicato un albero nel “Viale dei Giusti”. In occasione della premiazione, Mario Rossini della Red Film ha annunciato la lavorazione della miniserie dal titolo “Exodus” che affronta i temi della Shoah. (T.C.)

 

 

DOMANI A BOLZANO I FUNERALI DI CARLO MARIA GIULINI, MAESTRO DI MUSICA DALLA GRANDE FEDE APPRESA DAI GENITORI E COLTIVATA FERVIDAMENTE NELLA MATURITA’

 

BRESCIA. = Si svolgeranno domani alle 9, nell’Abbazia dei Benedettini di Bolzano, i funerali del direttore d’orchestra Carlo Maria Giulini, spentosi ieri notte a Brescia all’età di 91 anni dove da alcuni mesi era ricoverato in una clinica, assistito dal figlio medico. Aveva imparato a suonare il violino ancor prima di leggere e scrivere, poi aveva studiato a Roma al conservatorio di Santa Cecilia. Fervido credente, Giulini era molto vicino alla Chiesa. La sua era una fede salda, maturata soprattutto negli anni della Seconda Guerra Mondiale, ma come più volte raccontato dal musicista stesso, sostenuta dalla preghiera. Mons. Gianfranco Ravasi, ricorda oggi sul quotidiano “Avvenire”, che prendeva parte alle sue celebrazioni e alle sue conferenze sulla Bibbia nella chiesa milanese di San Fedele. “Dio non ci lascerà mai senza musica, amava ripetere il maestro. (T.C.)

 

 

IN PAKISTAN CRISTIANI E MUSULMANI FESTEGGIANO INSIEME S. ANTONIO

CON SOLENNI CELEBRAZIONI IN DIVERSE LOCALITA’

 

LAHORE. = Cattolici, protestanti e musulmani hanno celebrato la festa di S. Antonio da Padova il 14 giugno. Oltre 500 persone si sono riunite nella cattedrale del Sacro Cuore di Lahore per la messa solenne ed i festeggiamenti. Durante l’omelia padre Andrew Nasari, vicario generale dell’arcidiocesi di Lahore, ha definito il religioso francescano “il santo dei poveri” ed ha spiegato il motivo alla base di questa venerazione multireligiosa. “Sant’Antonio – ha detto – non ascolta le preghiere dei cattolici o dei cristiani; lui ascolta tutti coloro che hanno fede, di qualunque religione”. Il sacerdote ha anche raccontato di una sua visita alla tomba del santo durante un viaggio in Italia “Mentre ero in preghiera davanti al sepolcro – ha ricordato – ho notato una lettera scritta in Urdu [lingua nazionale pakistana ndr] che era stata inviata da un musulmano del Pakistan, malato di cancro. La lettera era di ringraziamento per la sua totale guarigione, confermata dai medici”. Il Pakistan è un Paese a larga maggioranza islamica: su 115 milioni di abitanti il 97 % della popolazione è di fede musulmana e l’1,5 % di fede cristiana. (T.C.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

16 giugno 2005

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

In Cambogia, è terminato con un blitz delle forze di polizia il sequestro di 29 bambini da parte di una banda criminale composta da sei malviventi. Nel raid, sono rimasti uccisi un bambino e due sequestratori. Gli altri quattro malviventi sono stati arrestati. Il nostro servizio:

 

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All’irruzione di uomini armati nella scuola, sono seguiti il sequestro di 29 alunni, di età compresa tra i due e i sei anni, e l’intervento risolutore delle forze di polizia. Teatro del sequestro è stato un istituto internazionale di Siem Reap, cittadina situata nella Cambogia nord occidentale. Gli ostaggi, tra i quali anche bambini europei, statunitensi e giapponesi, sono stati tutti riuniti in una sola aula. Un bimbo italiano di tre anni è stato liberato dal padre poco prima del blitz delle forze speciali. Prima di irrompere nella scuola, l’esercito e la polizia hanno isolato l’area intorno all’istituto. Nelle concitate fasi del raid, sono rimasti uccisi un bambino canadese di tre anni e due sequestratori. La sequenza del sequestro sembra riproporre la tragedia della scuola di Beslan ma in questo caso si deve escludere la matrice terroristica: i malviventi hanno chiesto un riscatto, armi e un’automobile in cambio del rilascio degli ostaggi. In Cambogia, dove l’orrore della guerra civile ha lasciato vaste fasce della popolazione in condizioni di estrema indigenza, le armi circolano in grande quantità e i sequestri di persona sono molto frequenti. Siem Reap costituisce, poi, un obiettivo prioritario per i criminali: sono infatti numerosi gli stranieri presenti nella zona, l’industria turistica è fiorente e nell’area sono concentrate diverse agenzie umanitarie che gestiscono ingenti aiuti. La città è vicina al sito archeologico di Angkor Wat, antica capitale della grande civiltà Khmer, fiorita nel periodo fra il X e il XIII secolo. Il complesso archeologico di Angkor Wat è stato dichiarato dall’UNESCO patrimonio mondiale dell’umanità.

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E’ alta la tensione in Iran alla vigilia delle presidenziali di domani. Dopo il ferimento, ieri, di tre persone per l’esplosione di un ordigno in un fast food di Zahedan è stato chiuso un centro commerciale di Teheran per un allarme bomba. L’esito della consultazione appare incerto ma il favorito rimane l’ex presidente Rafsanjani. In un’intervista rilasciata alla BBC, Rafsanjani ha dichiarato che la futura leadership iraniana manterrà  gli impegni internazionali sui programmi nucleari presi con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA). Sulla figura di Rafsanjani, ascoltiamo Mashallah Shamas el Vaezin, fondatore dell’Associazione per la libertà di stampa in Iran. L’intervista è di Giada Aquilino:

 

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R.- (Parole in farsi)

Rafsanjani ha un potere strutturale fin da prima della rivoluzione islamica. E’ stato sempre al lato di Khomeini, è stato sempre al potere. Se dal punto di vista tecnico mi si chiede se è un democratico, dico “no”; se invece mi si chiede se Rafsanjani è capace di creare le condizioni affinché l’Iran viva in democrazia, allora dico “sì”. La rielezione di Rafsanjani potrebbe mantenere il grado di democrazia in Iran ad un livello accettabile, perché possa poi crescere, attraverso per esempio la liberalizzazione dell’economia o lo sviluppo dei rapporti con l’estero.

 

D. – La vigilia elettorale è stata caratterizzata da numerose violenze. A quali fattori sono da ricondurre?

 

R.- (Parole in farsi)

La ragione potrebbe essere ricondotta al fatto che c’è una certa freddezza nei confronti di questo appuntamento elettorale. Queste violenze potrebbero funzionare come un elettroshock, per far interessare la gente alle consultazioni e mandarla alle urne. In questo momento ci sono alcune istituzioni che sono molto preoccupate per la possibile bassa partecipazione al voto e, per questo, vorrebbero incrementarla.

 

D. – L’Iran ha accusato gli Stati Uniti di essere implicati in questa sorta di strategia della tensione. Perché?

 

R. - (Parole in farsi)

Non posso escludere un ruolo degli americani. Dall’Iraq, dove sono presenti gli statunitensi, il governo ad interim di Allawi più volte ha minacciato l’Iran, accusandolo di finanziare i gruppi estremisti iracheni e avvertendo, a sua volta, che anche l’Iraq sarebbe stato capace di fare altrettanto in Iran.

 

D. – Khatami lascia un Paese che deve affrontare almeno due nodi internazionali: la crisi in Medio Oriente e le trattative sul nucleare. Come si possono risolvere tali questioni?

 

R. - (Parole in farsi)

Per quanto riguarda il dossier atomico, se sarà eletto Rafsanjani, per i prossimi quattro anni il problema non esisterà più. Ci sarà una mediazione. Per quanto riguarda invece il problema del ruolo e delle posizioni dell’Iran nel processo di pace in Medio Oriente, credo che se le trattative tra israeliani e palestinesi riusciranno a mettersi sul binario giusto e a svilupparsi, la posizione stessa di Teheran perderebbe peso, fino ad arrivare ad essere una non posizione”.

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In Iraq continua a crescere il numero di vittime civili. Tre iracheni, tra cui due bambini, sono morti in seguito allo scoppio di una bomba a Kahn Bani Saad, cittadina a nord di Baghdad. Altri cinque civili sono rimasti uccisi in seguito ad un colpo di mortaio sparato nella parte meridionale della capitale. Le violenze hanno colpito anche le forze americane: cinque marine sono morti ieri, nei pressi di Ramadi, per un agguato teso dalla guerriglia.

 

Israele porta avanti il suo piano di disimpegno da Gaza, previsto per questa estate: ieri è stato raggiunto un accordo di massima per il coinvolgimento dell’Egitto nel monitoraggio delle operazioni. In base all’intesa, truppe egiziane presidieranno la frontiera con la striscia di Gaza durante il ritiro israeliano.

 

Strage in un ospedale dell’Afghanistan: diciassette persone, fra le quali sette medici, sono stati uccisi, martedì scorso, da presunti talebani nella provincia di Khost, nel Sud-est del Paese. Lo hanno rivelato fonti locali. Non è la prima volta che i medici finiscono nel mirino della guerriglia. Il 2 giugno dello scorso anno, nel nord del Paese, sono stati uccisi cinque dottori dell’organizzazione umanitaria Medici senza frontiere.  A Kabul, intanto, almeno quattro persone sono morte a causa del colera, mentre altre 26 persone risultano contagiate. Le autorità sanitarie hanno dichiarato che non c’è rischio di un’epidemia.

 

Il primo ministro serbo, Vojislav Kostunica, ha detto oggi a Bruxelles che il governo di Belgrado non è in contatto con Ratko Mladic, uno dei principali ricercati dal Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia. La collaborazione di Belgrado con il Tribunale internazionale per l’arresto di Mladic e dell’altro super ricercato serbo, il politico Radovan Karadzic, continua a rimanere la chiave per far avanzare il processo di avvicinamento della Serbia all’UE.

 

Ha ripreso il suo corso il faticoso negoziato di pace tra il governo di Bogotà ed i paramilitari delle Autodifese unite della Colombia: ieri 400 combattenti hanno deposto le armi, accettando la proposta di entrare in un programma di reinserimento della durata di 18 mesi, finanziato dall’esecutivo. Arriva dunque a 4.800 il numero di guerriglieri disarmati, ma l’accordo firmato dalle parti ne prevede circa 20.000 entro la fine dell’anno.

 

 

 

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