RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
164 - Testo della trasmissione di lunedì 13 giugno 2005
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Nuovi arresti di cristiani in Cina
La fede dei cattolici in Tanzania nell’Eucaristia: la
testimonianza del cardinale Francis Arinze
Svolta storica in Kuwait: per la
prima volta una donna è stata chiamata a far parte del governo
Oltre 3 mila ragazzi riuniti ieri
a Enna, in Sicilia, per il “Meeting giovani 2005”
La Conferenza episcopale filippina
lancia sul suo sito internet il “Blog cattolico”
In Iran nuovi attentati a pochi giorni dalle presidenziali: dieci morti ieri nel Paese
Legislative in Libano:
nella terza tornata è in testa la lista dell’ex-generale cristiano Aoun
Nel Kashmir indiano sono
morte dodici persone per un attentato. Gli inquirenti ritengono responsabili
gli estremisti islamici
13
giugno 2005
UDIENZE
Benedetto
XVI stamane ha ricevuto in successive udienze alcuni presuli della Conferenza
Episcopale del Madagascar, in visita "ad Limina”, e l’arcivescovo Giambattista Diquattro, nunzio apostolico in
Panamà, con i familiari.
GIOVEDI’ L’INCONTRO CON IL
PAPA, MA GIA’ DA OGGI
VISITA UFFICIALE IN VATICANO DEL REVERENDO SAMUEL
KOBIA,
SEGRETARIO GENERALE DEL
CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE (CEC),
CON ALCUNI RAPPRESENTANTI DEL CONSIGLIO
- Intervista con mons. Brian Farrell -
Il
reverendo Samuel Kobia, segretario generale del Consiglio Ecumenico delle
Chiese (CEC, WCC), con alcuni rappresentanti del Consiglio, sono
da oggi in visita ufficiale in Vaticano. Momento centrale dell'evento sarà
l'udienza con Benedetto XVI, giovedì prossimo, dopo la quale il reverendo Kobia,
che è un pastore metodista keniota, avrà un colloquio con il cardinale segretario
di Stato, Angelo Sodano. Il servizio di Fausta Speranza:
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La visita cade nel 40esimo anniversario del
"Gruppo Misto di lavoro", con rappresentanti nominati dal Pontificio
Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani ed esponenti del Consiglio
Ecumenico delle Chiese. Si tratta, dunque, dell’anniversario dell’inizio
ufficiale delle relazioni tra la Chiesa cattolica ed il CEC, anche se per
ricordarlo ci sarà in particolare una cerimonia a novembre a Ginevra. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese, noto anche come
Consiglio Mondiale delle Chiese, è il più importante organismo ecumenico a
livello mondiale. Fondato nel 1948, riunisce oltre 300 Chiese cristiane. La
Chiesa cattolica non ne fa formalmente parte ma coopera con rappresentanti
stabili. A ricevere oggi la Delegazione
di Ginevra, sono i Pontifici Consigli per l'Unità dei Cristiani e per il
Dialogo Interreligioso. Nei prossimi giorni saranno protagonisti altri
dicasteri e altri organismi pontifici. Mercoledì pomeriggio, inoltre, il rev.
Kobia sarà ospite della nostra emittente. In programma, tra l’altro, visite
alle principali Basiliche di Roma, con una Celebrazione dei Vespri con la
Comunità di Sant'Egidio. Dopo l’udienza giovedì dal Papa, anche una tappa a
Castel Gandolfo, sede del Movimento dei Focolari. Ma tornando al primo
appuntamento di oggi al Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei
cristiani, ascoltiamo mons. Brian Farrell:
R. – La visita è la prima del
segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese a Roma, al Santo Padre,
anche se era intervenuto ai funerali del compianto Papa, Giovanni Paolo II. Noi
guardiamo a questa occasione come ad un momento per riflettere su 40 anni di
cooperazione. Non siamo membri, però abbiamo una serie di momenti in cui
collaboriamo con il Consiglio su questioni ecumeniche, nell’affrontare le sfide
del mondo in cui viviamo. 40 anni di buona e utile, direi anche fruttuosa,
collaborazione. Dobbiamo adesso anche vedere che il mondo cambia con grande
rapidità. Noi vogliamo riflettere insieme. E in questi giorni avremo tanti
momenti di colloquio e di conversazione per riflettere insieme su come portare
avanti questa collaborazione.
D. – Ci
sono temi in particolare, in questo momento, all’attenzione?
R. – Uno
dei temi che a noi interessa di più riguarda il desiderio che la Commissione
Fede e Costituzione, che è la parte di studio ecumenico dottrinale e teologico,
sia sempre più al centro degli interessi del Consiglio Ecumenico delle Chiese.
Per noi, questo è importante. Senza uno studio fondato sulla ricerca della
verità non ci sarà modo di progredire nel dialogo ecumenico e nella
collaborazione. Vediamo con piacere che questa è anche l’intenzione del nuovo
segretario generale e perciò lavoreremo insieme perché così sia.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
La
prima pagina si apre con l’Angelus. Nell’occasione Benedetto XVI ha ricordato a
tutti i fedeli che la Messa domenicale è una gioia. Il Papa ha poi annunciato
che il prossimo 15 ottobre terrà “uno speciale incontro di catechesi” con i
bambini della Prima Comunione.
Sempre
in prima l’Iraq con la lieta notizia della liberazione – dopo 157 giorni di
prigionia – della giornalista francese Florence Aubenas.
Nelle
vaticane, una pagina dedicata al tema della Eucaristia.
Nelle
estere, l’intervento della Santa Sede alla 93.ma Conferenza internazionale del
Lavoro: la globalizzazione della solidarietà significa che non manchi il lavoro
per nessuno e che le condizioni lavorative siano sempre più rispettose della dignità
della persona umana.
Nella
pagina culturale, un articolo di Matthew Fforde dal titolo “Il ritratto di una
società che ha smarrito la via”: nel più recente romanzo di Nick Hornby.
Nelle
pagine italiane, in primo piano il referendum sulla fecondazione assistita: si
profila il non raggiungimento del quorum.
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13
giugno 2005
REFERENDUM SULLA PROCREAZIONE ASSISTITA: FRA MENO
DI UN’ORA
LA CHIUSURA DEI SEGGI.
FALLITO IL TENTATIVO DI PRESENTARE
LA CONSULTAZIONE COME UNO SCONTRO TRA LAICI E
CATTOLICI
- Con noi Giuliano Ferrara e il prof. Antonio
Maria Baggio -
Meno di un’ora alla chiusura dei
seggi per il referendum abrogativo della legge sulla procreazione medicalmente
assistita. Gli ultimi dati ufficiali del Viminale sono relativi alle 22 di ieri
sera. Bassa l’affluenza alle urne: solo il 18,7 per cento degli aventi diritto
ha votato nella giornata di ieri. La battaglia referendaria è dunque vicina al
suo epilogo. Un confronto quello sull’embrione e i suoi diritti, presentato da
alcuni come scontro tra ragione e fede, tra Chiesa e Stato laico. In realtà,
proprio Benedetto XVI, parlando ai vescovi italiani riuniti in assemblea
generale ha sottolineato che la Chiesa “non difende gli interessi cattolici, ma
l’uomo creatura di Dio”. Su questo aspetto del confronto referendario, Alessandro
Gisotti ha intervistato Giuliano Ferrara, direttore del quotidiano “Il Foglio”
che assieme al settimanale Tempi ha promosso la campagna “Fratello
embrione, sorella verità. Il nostro no alla dittatura del relativismo”:
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R. – Il
magistero della Chiesa cattolica si è svolto e ha potuto manifestarsi in tutto
il suo significato, ribadendo che non esiste Stato laico e pluralista senza la
partecipazione anche dei cattolici, con una pubblica professione dei loro
criteri, dei loro valori, alla vita politica e civile. D’altra parte, però, il
fatto nuovo di questo referendum è l’emersione di un dissenso laico, e direi
anche di un dissenso femminile. Il tentativo cioè di schierare tutti i laici,
tutta la cultura laica in una battaglia che era intimamente anticulturale, in
una battaglia con cattivi argomenti contro la legge e contro i principi che la
legge difende, è fallito. Ed è fallito perché il Paese è cresciuto, è cambiato,
perché il tema era tale da farlo fallire. Non c’era proprio motivo di una
divisione tra laici e cattolici. La vita, soprattutto se legata appunto a
questi temi, a questo sfondo genetico, è un bene prezioso per tutti gli uomini,
ed è un bene prezioso anche per l’eredità umanistica della cultura laica.
D. – Qualcun altro invece
ha visto uno scontro tra progresso e restaurazione. In questi due termini
antitetici, che cosa ha visto in questo referendum, nel dibattito che lo ha caratterizzato?
R. – Se è progressista
disconoscere la realtà; se è progressista infischiarsene della biologia e dei
dati della scienza a proposito dell’embrione umano, a proposito del concepito e
dei suoi diritti, che senza considerarlo un idolo devono essere però protetti
insieme a quelli di altri soggetti; se è progressista non usare la ragione e
non avere una etica della ragione… allora è stata una battaglia tra conservatori
e progressisti e sono felice di essere annoverato tra i conservatori.
D. – A proposito di verità,
chi parla e chi ascolta sono ex embrioni. Questa è appunto una verità incontestabile. Si può dire, dunque, che in
gioco era una sfida di civiltà ma anche di umanità…
R. – Certamente, una battaglia di umanità più
ancora che una battaglia di civiltà. E i cattolici, non vedo perché negarlo,
hanno dato un contributo decisivo, importante e appunto cruciale nel far
risorgere, nel far rinascere anche nel mondo laico una vena che si andava
disperdendo, che si andava inaridendo. Il problema non è che si debba
ricristianizzare l’Europa o l’Italia, il problema non è che si debba abolire il
frutto di decenni di cultura secolarista, il problema è che il secolarismo non
deve trasformarsi in un vuoto conformismo, indifferente alle questioni di
umanità e di valore che sono implicate dalle scelte che noi facciamo nel campo
della biogenetica.
D. - “Andate a votare pensando
ai malati”: è stato uno degli slogan dei referendari…
R. - Credo che la campagna abrogazionista sia stata truce, cioè che abbia
inforcato subito tutti gli strumenti della propaganda nel senso meno alto e nobile
che questa parola può avere. Penso che loro abbiano fatto ciò che rimproverano
a noi “clericali” di aver fatto: hanno, cioè, giocato sulle illusioni della
gente e ne hanno spacciate troppe. Questa è una cosa che lascia una cicatrice,
non dico sul loro onore, ma certamente sulla loro capacità di comprendere il
Paese in cui vivono e la maturità degli elettori.
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E dopo un esponente laico del
panorama intellettuale italiano, ecco la riflessione di un cattolico sul
significato di questo referendum: il prof. Antonio Maria Baggio, professore di
etica politica alla Pontificia Università Gregoriana, al microfono di Fabio
Colagrande:
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R. - Sempre usando la dovuta
cautela, si può dire che la grande maggioranza degli italiani non ha accolto i
referendari e questo non può essere spiegato nei termini di disinformazione.
D. - Secondo lei, professor
Baggio, quanto si tratta di un’astensione dovuta ad incertezza e quanto di
un’astensione consapevole?
R.- Io penso che sia largamente
un’astensione consapevole e credo di poterlo affermare tenendo conto di ciò che
abbiamo messo in atto come comitato nelle ultime settimane cioé con il contatto
diretto con i cittadini. Poiché la grande stampa l’abbiamo avuta sempre
avversa, non si poteva contare su un’informazione obiettiva che tenesse conto
delle nostre ragioni. Abbiamo fatto ricorso alla passione civile, all’impegno
delle persone che in migliaia hanno fatto dei banchetti, dei volantinaggi fino
alla mezzanotte meno un minuto di venerdì, quando scattava il silenzio
elettorale. Negli ultimi giorni, passando per Roma, io non sono riuscito a
vedere un solo manifesto nostro perché erano immediatamente coperti da
attivisti, anche persone pagate apposta per strapparli perché li abbiamo incontrati
per Roma e ci hanno risposto “anche noi dobbiamo campare!”. Ecco, in queste
situazioni, la carta vincente è stato l’impegno di chi ha informato i propri
vicini di casa, le persone che uscivano dai supermercati o che passeggiano in
città.
D. - Quanto crede abbia influito
su questo risultato – ricordiamo ancora parziale – la posizione della Chiesa
Italiana, posizione che è stata appoggiata anche da Benedetto XVI?
R. – Io credo abbia influito
molto perché la Chiesa ha guadagnato, diciamo, il proprio prestigio agli occhi
dell’opinione pubblica per i suoi interventi in tanti campi. Quindi è una
Chiesa che interviene quando si tratta di diritti umani, di debito dei Paesi
non sviluppati. Quindi quando prende posizione su un argomento come questo che
riguarda la vita, l’umanizzazione della ricerca scientifica, può contare su un
patrimonio costruito versando il sangue ai quattro angoli del mondo. Però
vorrei anche sottolineare che non è stata la gerarchia a condurre la campagna;
la gerarchia ha correttamente lanciato un allarme e dato un’indicazione di
carattere dottrinale e pastorale. Sono stati poi i laici-cattolici in primo
piano, a condurre la campagna sapendo anche aggregare non cattolici che
tuttavia convenivano sulla giustezza delle nostre ragioni.
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UN
LIBRO DI DON ALDO BUONAIUTO AFFRONTA E DENUNCIA
LA
DIFFUSIONE DELLE SETTE SATANICHE IN ITALIA
-
Intervista con l’autore e don Oreste Benzi -
La
storia del satanismo dall’antichità ad oggi, attraverso le sue diverse forme e
manifestazioni come il vampirismo, la stregoneria, lo spiritismo fino ad
arrivare agli ultimi fatti di cronaca legati a delitti commessi da presunti
adepti di sette sataniche. E’ il tema del libro “Le mani occulte, viaggio nel
mondo del satanismo” di don Aldo Buonaiuto edito da Città Nuova e
presentato in questi giorni a Roma. Ce ne parla Marina Tomarro:
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Messe
nere e riti satanici, delitti efferati, apparentemente senza una spiegazione
logica. Il potere delle sette sataniche in Italia sta diventando sempre più
grande con un numero di adepti sempre maggiore. E’ la tesi del libro “Le mani
occulte” di don Aldo Buonaiuti. Ascoltiamo l’autore:
R. - Ci sono più di 3.000 sette
e la tipologia propria della setta è quella di nascondersi, di fare di tutto
per rimanere nascosta. Però ci sono anche sette terribili che vogliono passare
per realtà portatrici di benessere psichico, fisico e anche addirittura
spirituale e che poi, invece, si rivelano delle vere realtà con reati e
crimini.
D. - All’interno del libro ci
sono anche molte lettere di madri o padri, o fidanzate che scrivono perché i
loro cari hanno aderito a queste sette. Che cosa fare, quando ci si accorge che
un familiare sta prendendo questa brutta strada?
R. - Bisogna subito intervenire
e fare di tutto per allontanare la persona da quei circuiti prima che sia
troppo tardi, prima che la vittima non diventi così assoggettata, tanto da
vedere i propri cari come dei nemici.
Sono
per la maggior parte giovani in cerca di emozioni forti, in grado di riempire
il vuoto della loro vita gli adepti alle sette. E proprio per aiutare i familiari
di queste persone l’Associazione Papa Giovanni XXIII ha creato un
numero verde. Don Oreste Benzi, presidente
dell’associazione:
R. - Noi abbiamo un numero verde
che da tre anni teniamo attivo e che riceve una media di 10 telefonate al
giorno. Un 20 per cento sono proprio le vittime che si rivolgono a noi. La
stragrande maggioranza sono genitori, parenti di queste vittime, che non vivono
più con loro e sono seguaci di Satana. La prima cosa da fare è rompere la
propria solitudine, chiamare al telefono dell’Associazione Papa Giovanni
XXIII e quindi entrare in un ciclo di consiglio. Però bisogna che in ogni
parrocchia, in ogni associazione ci siano persone che si dedichino a questi che
sono non solo gli ultimi, ma gli ultimi più disperati. In questa maniera si può
fare qualcosa.
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A QUASI SEI MESI DAL
MAREMOTO IN ASIA,
ESCE IN LIBRERIA “SISA
TSUNAMI-DIARIO DAL CUORE DEL MAREMOTO”,
DI SERGIO CECCHINI
- Intervista con l’autore -
“Sisa Tsunami-Diario dal cuore del maremoto”. Così Sergio Cecchini, addetto
stampa di Medici Senza Frontiere, ha intitolato il proprio libro, dedicato
all’esperienza di soccorso alle popolazioni di Banda Aceh, sull’isola
indonesiana di Sumatra, colpite dal maremoto del 26 dicembre 2004. Dedicato ad
un territorio già duramente provato dalla lotta della guerriglia separatista,
il diario di Sergio Cecchini ripercorre con storie e fotografie le tappe di una
catastrofe che a Sumatra - secondo un bilancio ancora provvisorio - ha
provocato almeno 160 mila morti e mezzo milione di senza tetto. Ma perché il
titolo “Sisa Tsunami”? Giada Aquilino lo ha chiesto proprio a Sergio Cecchini.
Sentiamo:
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R. – Il titolo è semplicemente una scritta che era
riportata su una macchina, in uno dei quartieri più distrutti di Banda Aceh.
Significava “sopravvissuto allo Tsunami”. Quella macchina e il suo autista
erano le uniche cose rimaste di un’intera famiglia spazzata via dall’onda del
26 dicembre.
D. –
Cosa ti è rimasto di quell’esperienza?
R. –
Gli occhi vuoti delle persone, che per fortuna erano sopravvissute, ma per sfortuna
dovevano assumersi la responsabilità di continuare a vivere con tutto quello
che era successo intorno a loro.
D. –
Sei stato a Banda Aceh. Com’è cambiata l’Indonesia con lo Tsunami?
R. –
Innanzitutto, si è parlato di una zona in cui da anni è in corso un conflitto,
spesso ignorato dalla stampa internazionale. E si è fatta luce anche su una
cosa che ha un po’ spiazzato tutti e cioè l’enorme solidarietà dimostrata dalle
popolazioni locali, che ha fatto sì che l’entità della tragedia fosse estremamente
contenuta, soprattutto nelle prime ore dopo il maremoto: in quelle ore,
decisive, senza il supporto della popolazione locale sicuramente il bilancio
delle vittime sarebbe stato più alto.
D. –
Adesso cosa serve al Paese?
R. –
Un graduale ritorno alla normalità, a quella che era la vita di prima. La cosa
che ci ha più colpito, nel momento in cui siamo arrivati lì con la missione di
Medici Senza Frontiere, è stato riscontrare che i feriti erano pochissimi. Ho
visto villaggi di 1500 abitanti in cui ne erano rimasti in vita una ventina.
Ciò che bisogna fare adesso è occuparsi di questi pochi che devono vivere con
il dramma dell’aver perso tutto e poterli ricondurre ad una vita normale, il
prima possibile. Fattivamente servono cose molto semplici: ridare ai pescatori
delle barche per poter tornare ad un’attività produttiva che consenta loro di
vivere. Per molti significa poter celebrare cerimonie funebri, perché significa
dare pace a quelle vite perdute nell’onda.
D. –
Quali immagini vedremo, prossimamente, dell’Indonesia?
R. –
Mi auguro si possano rivedere delle immagini che in parte ci ricordino il tipo
di disastro che è avvenuto e che non era evitabile, ma quantomeno prevedibile.
E poi delle immagini che provino la ricostruzione, il fatto che lentamente queste
persone ritornano a vivere.
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13
giugno 2005
ANCORA PERSECUZIONI CONTRO I CRISTIANI IN CINA:
ARRESTATI 600 FEDELI
E LEADER
PROTESTANTI NELLA PROVINCIA NORD-ORIENTALE DI JILIN
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CHANGCHUN. = In una delle maggiori retate degli
ultimi mesi a Changchun, nella provincia cinese di Jilin, alla fine di maggio
la polizia ha arrestato 600 fedeli e leader protestanti. La notizia è stata
resa nota dall’organizzazione a difesa delle minoranze religiose nel Paese,
China Aid Association (CAA). Dei fermati, la maggior parte sarebbe stata
rilasciata dopo 24 o 48 ore, ma in detenzione vi sarebbero ancora 100 leader
protestanti, inclusi alcuni professori dell’università di Changchun. Fra gli
arrestati vi era anche il leader protestante, Zhao Dianru, 58 anni, prelevato
dalla sua abitazione il 22 maggio scorso e rinchiuso nella prigione di Jiutai
fino al 6 giugno. Secondo fonti della CAA, i motivi ufficiali del suo arresto
non sarebbero legati ad attività religiose, ma finalizzate a “istigare e disturbare
la stabilità sociale”. C’è da dire che Zhao si era sempre rifiutato di registrarsi
presso l’Ufficio governativo degli Affari religiosi della Cina. In base
alle nuove leggi sulla libertà religiosa nel Paese, infatti, i fedeli che si
radunano fuori del controllo dello Stato sono considerati fuorilegge e
perseguiti come delinquenti o cospiratori contro l’ordine pubblico. Molte le
limitazioni alla libertà imposte dal regime di Pechino anche nei confronti
della Chiesa cattolica: secondo l’agenzia AsiaNews, in Cina vi sarebbero attualmente 18 vescovi e 20
sacerdoti scomparsi nelle mani della polizia, in isolamento o impossibilitati
ad esercitare il loro ministero.
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LA FEDE DEI CATTOLICI IN TANZANIA
NELL’EUCARISTIA: LA TESTIMONIANZA
DEL CARDINALE FRANCIS ARINZE, PREFETTO DELLA
CONGREGAZIONE PER IL CULTO
DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, RIENTRATO A
ROMA DAL PAESE AFRICANO
- A cura di Giovanni Peduto -
DAR
ES-SALAAM. = Il cardinale Francis Arinze, prefetto della
Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, si è recato
nei giorni scorsi in Tanzania, su invito della locale Conferenza episcopale,
per trattare di problemi di liturgia in quel Paese. La Tanzania – ha dichiarato
il porporato al suo rientro a Roma – gode di notevole stabilità politica e
sociale, e non ha mai vissuto situazioni di violenza o colpi di Stato. La popolazione,
pertanto, vive in pace ed è molto attiva sul piano religioso dando testimonianza
di una fede particolarmente intensa. Così ad esempio – ha aggiunto il porporato
– in occasione della festa del Corpus Domini, su invito del cardinale
Polycarp Pengo, arcivescovo di Dar-es-Salaam, le varie parrocchie hanno
organizzato delle processioni eucaristiche, e i fedeli che vi
hanno preso parte hanno
camminato anche oltre quattro ore per raggiungere il luogo dove era in
programma la celebrazione della Santa Messa, alla quale hanno partecipato il
nunzio apostolico nel Paese e numerosissimi vescovi. “Sono rimasto molto
impressionato – ha affermato il cardinale Arinze – nel vedere la gente inginocchiata
sulla polvere alle tre e mezza del pomeriggio sotto il sole tropicale”. Il
porporato è stato invitato dai vescovi della Tanzania per un incontro di
studio, durato due giorni, sull’Eucaristia e sulla liturgia, in particolare sul
documento Redemptionis Sacramentum. All’incontro è stato anche invitato il presidente
della Repubblica e – ha sottolineato il cardinale Arinze – ho potuto con
soddisfazione constatare la cordialità dei rapporti tra i vescovi ed il capo
dello Stato tanzaniano sia in pubblico che in privato. Il porporato si è recato
anche a visitare il seminario maggiore dove ha celebrato una Santa Messa e si è
incontrato con i seminaristi, ricevendone – ha detto - una straordinaria
impressione positiva. “Possiamo essere poveri – ha dichiarato ancora il
cardinale Arinze, che è di origine nigeriana – ma, attenzione, siamo contenti.
Non dico “poveri ma contenti”, bensì “poveri e contenti”.
GIORNATA STORICA IERI IN KUWAIT:
PER LA PRIMA VOLTA
UNA DONNA E’ STATA CHIAMATA A FAR PARTE DEL
GOVERNO
KUWAIT
CITY. = Per la prima volta il governo del Kuwait avrà un ministro donna. Si tratta
di Massouma al Mubarak, docente universitaria di Scienze Politiche e attivista
di lunga data per i diritti delle donne, chiamata ieri a far parte
dell’esecutivo come responsabile del dicastero della Pianificazione e degli
Affari amministrativi, al posto di Ahmad al Abdullah al Sabah. “Lo ritengo un
grande onore per le donne kuwaitiane e un apprezzamento della loro lotta e dei
grandi servizi resi al Paese”, ha dichiarato la Mubarak dopo la nomina. Il suo
ingresso nel governo fa seguito alla storica decisione nel Paese, lo scorso 16
maggio, di estendere alle donne il diritto di partecipare al voto e di
candidarsi. Un provvedimento, questo, arrivato troppo tardi, per essere
applicato durante le elezioni municipali del 2 giugno e rimandato al 2007, in
occasione delle prossime parlamentari. Con la nomina di Mubarak, l’Emirato
diventa il terzo Paese della regione del Golfo ad avere una donna al governo.
(R.M.)
A 13 ANNI DALLA FINE DELLA GUERRA CIVILE IN
SALVADOR, L’ISTITUTO PER I DIRITTI UMANI DELL’UNIVERSITÀ CENTROAMERICANA
“JOSÉ SIMEÓN CAÑAS” PROMUOVE
UNA CAMPAGNA “PER LA VERITA’ E PER LA GIUSTIZIA”
NEL PAESE
EL SALVADOR. = “Per la verità e
la giustizia in Salvador”: è il tema della campagna organizzata dall’Istituto
per i diritti umani dell’Università centroamericana “José Simeón Cañas”, per
raccogliere le testimonianze delle vittime della guerra civile in Salvador, dal
1980 al 1992, e portarle per la prima volta di fronte alla magistratura. Da
ieri fino al 27 giugno, l’Istituto “apre i suoi uffici per ricevere chiunque
intenda denunciare violazioni dei diritti umani subite personalmente o da suoi
familiari e conoscenti, con l’obiettivo di aprire un’inchiesta sui possibili
responsabili”. Dei 75 mila morti, 12 mila mutilati e 8 mila desaparecidos, vittime del conflitto
interno, “la maggior parte furono civili non combattenti, ma nessun autore
delle violenze è mai stato processato”, ricorda l’Istituto dell’ateneo, citando
le leggi di amnistia approvate dal Parlamento nel 1993. “Come in altri Paesi centroamericani,
in Salvador è stata sancita un’impunità legale per favorire tutti quelli che,
sia dell’esercito che della guerriglia, hanno commesso massacri e torture”.
Secondo l’Istituto, l’impunità per i crimini di guerra ha favorito il dilagare
della violenza nel Paese che, a 13 anni dalla fine delle ostilità, è uno dei
più violenti della regione con 1.051 omicidi perpetrati solo tra gennaio e
aprile di quest’anno, ovvero 9 al giorno. Il governo attribuisce la
responsabilità dell’insicurezza alle maras
o pandillas, bande criminali
giovanili diffuse in tutto il Centroamerica, ma la politica di ‘mano dura’
adottata dalle autorità non sembra essere la strada giusta per frenare la
violenza. (R.M.)
FORMARE IL PERSONALE SANITARIO AFRICANO E
STIMOLARE IL LAVORO DI RICERCA SCIENTIFICA NEL CONTINENTE: QUESTI, GLI
OBIETTIVI DEL “PROGETTO DI FORMAZIONE PER LA SALUTE DELL’AFRICA SUBSAHARIANA”, AVVIATO 2 ANNI FA DAL CAMPUS
BIO-MEDICO DI ROMA INSIEME A FARMINDUSTRIA E GIUNTO ORA ALLA SUA SECONDA FASE
ROMA.
= Verranno illustrati domani a Roma i risultati della prima fase del Progetto
di Formazione per la salute dell’Africa Subsahariana, avviato 2 anni fa
dall’Università Campus Bio-Medico e da Farmindustria. Il Progetto, che
coinvolge il Centre Hospitalier Monkole di Kinshasa, nella Repubblica
Democratica del Congo, e il St. Mary Lacor Hospital di Gulu, in Uganda, è
finalizzato a potenziare le competenze del personale sanitario africano e a
stimolare il lavoro di ricerca scientifica, attraverso diverse iniziative di
formazione. Finora, sono state effettuate più di 80 ore formative per i ricercatori
dei 2 ospedali africani e attivate diverse linee di ricerca, tra cui quella
sull’Anemia Falciforme, malattia ereditaria che colpisce il 2 per cento della
popolazione congolese, e sul diabete, che si sta diffondendo in Africa a causa
della progressiva occidentalizzazione dello stile di vita. Un team di medici
del Campus Bio Medico sta concludendo, inoltre, una ricerca sulla terapia
dell’AIDS su un campione di 125 pazienti, che potrà dare speranza di vita a
circa mille pazienti del Lacor Hospital. Durante questi due anni, poi, alcuni
professionisti del settore sanitario africani hanno effettuato degli stage
formativi presso il policlinico dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. La
seconda fase del progetto prevede, invece, il potenziamento della ricerca
scientifica africana, attraverso collaborazioni con diversi ospedali del Kenya,
della Nigeria e del Burkina Faso. Sarà indetto, inoltre, un premio per il
migliore progetto di ricerca medica e organizzato un Convegno sulla ricerca in
Africa che darà modo ai ricercatori del continente di avviare un dibattito
scientifico sulle principali patologie africane. (R.M.)
OLTRA 3 MILA RAGAZZI RIUNITI IERI A ENNA, IN
SICILIA, PER IL “MEETING GIOVANI 2005”, QUEST’ANNO SUL TEMA: “NUOVI
COSTRUTTORI DI UN’EUROPA GIOVANE”
ENNA.
= Grande partecipazione, ieri in Sicilia, al Meeting dei giovani di Enna,
appuntamento annuale della diocesi di Piazza Armerina in preparazione alla
Giornata mondiale della Gioventù di Colonia. Scopo dell’iniziativa, quest’anno
sul tema “Nuovi costruttori di un’Europa giovane”, promuovere il confronto
sulle sfide politiche del continente: dalla mobilità al dialogo interculturale,
dalla partecipazione alla vita sociale all’impegno per uno sviluppo integrale,
passando per la cooperazione internazionale. Il dibattito si è sviluppato lungo
tre aree tematiche: la conoscenza del territorio e delle sue dinamiche,
l’appartenenza alla dimensione ecclesiale e la missione, come testimonianza
cristiana nella società. Ad animare la discussione, tra gli altri, l’intervento
di mons. Renato Boccardo, segretario generale del Governatorato vaticano e
organizzatore dei viaggi del Papa, e il messaggio del vescovo di Piazza
Armerina, mons. Michele Pennisi: “Sono contento del vostro entusiasmo e della
vostra voglia di diventare nella nuova Europa cristiani protagonisti – ha detto
il presule, rivolgendosi agli oltre 3 mila partecipanti – so benissimo quante
difficoltà oggi incontrate nel professare la vostra adesione a Cristo andando
incontro molto spesso a derisioni o indifferenza”. Un messaggio intenso,
culminato nell’esortazione: “Vi ripeto con forza: non scoraggiatevi! Dio
infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di
saggezza”. (R.M.)
LA CONFERENZA EPISCOPALE FILIPPINA LANCIA SUL SUO
SITO INTERNET
IL “BLOG CATTOLICO”, SPAZIO DI RIFLESSIONE SU TEMI DI ATTUALITA’, POLITICA, ETICA E MORALE,
CURATO PERSONALMENTE DA 3 VESCOVI
MANILA. = Sul sito internet ufficiale della
Conferenza episcopale delle Filippine (www.cbcponline.net)
è ora possibile visitare tre “blog cattolici”, a cura di tre vescovi del Paese:
il primo, di mons. Oscar V. Cruz, arcivescovo di Lingayen-Dagupan, si intitola
“Viewpoints”, ovvero, “Punti di vista”; il secondo, di mons. Leonardo Y.
Medroso, vescovo di Borongan, è “Tidbits”, cioè, “Leccornie”; il terzo, a cura
di mons. José R. Manguiran, vescovo di Dipolog, si chiama “The meaning”, “Il
significato”. L’iniziativa, unica nel suo genere per la Chiesa cattolica in
tutto il mondo, esprime la scelta di utilizzare i nuovi strumenti delle
comunicazioni sociali e le nuove tecnologie, mettendoli a servizio del Vangelo
e del messaggio di Cristo. Grande, il successo di pubblico, anche per gli argomenti
trattati dai presuli: temi sociali, di attualità, politica, etica e morale. Il
“weblog” o “blog” è una pagina html
dove, in maniera disinteressata, una persona pubblica notizie, informazioni,
link e riflessioni personali di vario tipo, proponendole al commento degli utenti
della rete. (R.M.)
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- A cura di Amedeo Lomonaco -
Campagna elettorale macchiata
dal sangue in Iran, a pochi giorni dalle presidenziali del 17 giugno. Almeno 10
persone sono morte per una serie di attentati
dinamitardi avvenuti nel sud-ovest del Paese e a Teheran. Quattro esplosioni
hanno fatto tremare Ahwaz ed un’altra ha insanguinato la capitale. Di queste violenze
le autorità della Repubblica islamica hanno accusato gli Stati Uniti: sono responsabili
secondo l’Iran di finanziare gruppi separatisti filo-arabi. Tali movimenti,
però, hanno già negato qualsiasi coinvolgimento negli attentati. Per un
commento, ascoltiamo Alberto Zanconato, corrispondente dell’Ansa da Teheran, intervistato
da Giada Aquilino:
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R. - L’Iran accusa gli Stati Uniti di essere dietro questi
attentati, con lo scopo di creare problemi per le elezioni presidenziali di
venerdì prossimo. L’obiettivo degli Stati Uniti, secondo il regime iraniano,
sarebbe quello di indurre la popolazione a non partecipare al voto.
D. – Era già accaduto che alla
vigilia delle elezioni ci fossero attentati così gravi?
R. – No. In effetti, attentati c’erano stati in
passato: ne ricordiamo due particolarmente gravi, al Mausoleo dell’imam Reza,
l’ottavo imam sciita, che si trova nell’est dell’Iran. Ma attentati così gravi
alla vigilia delle elezioni non erano mai avvenuti.
D. – Venerdì si terranno le
presidenziali. A questo punto, il clima qual è?
R. – Il clima che si respira è
di delusione per le poche riforme realizzate dal presidente uscente, Mohammed Khatami. Quindi, c’è la
prospettiva di una vasta astensione alle urne. Bisognerà vedere se invece
questi attentati spingeranno più gente ad andare a votare.
D. – Il favorito rimane l’ex
presidente Rafsanjani: perché?
R. – Molti pensano che Rafsanjani sia la
soluzione migliore, essendo sì un conservatore, ma anche un pragmatico, molto
attento agli affari concreti del Paese. Rafsanjani potrebbe, secondo molti, iniziare un processo
di distensione con gli Stati Uniti sia nella complicata crisi di tutta la
regione, sia nelle difficili trattative sul nucleare, che l’Iran sta portando
avanti con l’Europa e alle quali gli Stati Uniti guardano con attenzione.
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L’Iraq continua ad essere
sconvolto dal dramma degli attentati kamikaze: a Samarra un attacco suicida ha
causato la morte di cinque agenti e a Tikrit sono rimasti uccisi due poliziotti
in seguito all’esplosione di un’autobomba. Poco dopo questa seconda deflagrazione,
un soldato americano ha ucciso l’autista di un’autoambulanza: il militare ha
aperto il fuoco contro il mezzo temendo un nuovo attacco kamikaze. A Baghdad
due civili sono poi rimasti uccisi per un agguato teso dai ribelli contro un
convoglio militare americano. La polizia irachena ha annunciato, inoltre, il ritrovamento
di sei cadaveri nella capitale.
L’esercito americano ha smentito
la notizia della morte di cinque soldati americani a Kandahar, nel sud
dell'Afghanistan. Secondo le fonti statunitensi l’esplosione di una mina avrebbe
provocato il ferimento di cinque militari in missione esplorativa.
Terza
tornata delle elezioni legislative ieri in Libano. Nella conta dei voti per la
circoscrizione del Monte Libano, affermazione netta dell’ex generale cristiano
Michel Aoun. Il leader druso anti-siriano, Walid Jumbatt, ha già riconosciuto la
sconfitta, anche se la sua lista ha vinto in altre zone della stessa circoscrizione.
Domenica prossima si voterà per gli ultimi 28 seggi dei 128 di cui si compone
il parlamento di Beirut. Ma quanto sta influendo sul voto in Libano, cominciato
a fine maggio e in corso fino a domenica prossima, la conclusione del controllo
siriano sul Paese dei cedri? Giancarlo La Vella lo ha chiesto al collega libanese
Camille Eid, del quotidiano Avvenire:
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R. - Il
parlamento si presenterà con vari schieramenti e molte facce nuove. La corrente
nazionale del generale Aoun conterà almeno 15 deputati. Avremo due tipi di
opposizione: una che fa capo ad Aoun ed ai suoi alleati ed un’altra che raccoglierà
tutti gli altri gruppi. Prima, l’elemento che univa i due gruppi era
l’opposizione alla tutela siriana in Libano. Adesso si vedrà se Aoun continuerà
a fare opposizione.
D. – Sinora, ne esce fuori un quadro istituzionale di
governabilità, secondo te?
R. – Certamente sì, perché da soli i blocchi di Hariri e Jumblatt,
appoggiati da Hezbollah, fanno la maggioranza.
D. – La
fine del controllo siriano, secondo te, finora ha condizionato in generale trasversalmente
il voto in Libano?
R. – Se
ci fossero ancora i siriani, ovviamente avremmo visto Jumblatt, Aoun, Hariri e gli
altri partiti cristiani fare un blocco unico contro le liste del governo filosiriano.
Con l’uscita dei siriani, invece, abbiamo visto l’opposizione giocare la
partita tra due liste diverse. Ovviamente anche questo ha giovato alla democrazia.
Una cosa essenziale era anche quantificare il peso di Aoun, degli altri partiti
cristiani o drusi.
D. – Quindi questa divisione del fronte antisiriano, al contrario
di quanto si pensava, ha rinforzato i vari schieramenti?
R. – Ha definito il peso degli schieramenti. Poi, ovviamente, sono
tutti uniti contro la tutela siriana. Questo li unisce. La spaccatura non è su
questo tema.
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Almeno
12 persone sono morte nel Kashmir indiano per un attentato perpetrato nella città
di Pulwama. L’esplosione, provocata da un ordigno nascosto in un carro, è avvenuta
in una zona commerciale vicino ad una scuola e ad un ufficio postale. Molte
delle vittime sono studenti. Il nostro servizio:
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L’attentato
non è stato rivendicato ma gli inquirenti ritengono che l’azione sia stata programmata
da gruppi estremisti islamici che si oppongono al dialogo tra India e Pakistan.
Poco prima della strage, il presidente pakistano Musharraf, in missione in
Malaysia, aveva confermato la sua volontà a trovare una soluzione pacifica alla
questione del Kashmir, regione al centro di un’annosa contesa tra New Delhi e Islamabad. Da circa 15 anni, il Kashmir è
teatro di continui scontri tra gruppi integralisti, che sono appoggiati secondo
l’India dal governo di Islamabad, e le truppe indiane. La comunità
internazionale non nasconde i propri timori: la rivolta del Kashmir, scoppiata
nel 1989 e ancora in atto nonostante recenti e incoraggianti iniziative di
pace, coinvolge infatti due Paesi, India e Pakistan, che dispongono anche di
testate atomiche. In Kashmir le forze di Nuova Delhi
mantengono il controllo di due terzi della regione e la guerriglia anti indiana
si divide in due filoni: uno nazionalista, che aspira ad uno Stato indipendente
ed un altro islamico fondamentalista che vuole invece unirsi al Pakistan. Per
cercare di porre fine alle violenze fazioni moderate hanno intavolato, a
partire dal 1992, trattative con l’India. Gli scontri in kashmir hanno provocato
la morte, dal 1989, di almeno 30 mila persone. Secondo i gruppi secessionisti
le vittime sono, invece, più di ottantamila.
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Doppia esplosione nel sud della
Thailandia dove due ordigni sono scoppiati a distanza di poche ore l’uno
dall’altro, uccidendo una persona e ferendone altre tre. La notizia è stata
resa nota dalla polizia locale. Il governo ha imposto la legge marziale nelle
tre province più meridionali del Paese per porre un freno alle violenze che
negli ultimi mesi stanno insanguinando la regione.
Nelle Filippine l’esercito
nazionale ha dato avvio, stamani, ad una intensa operazione contro la
guerriglia dell’Esercito Rivoluzionario del Popolo (ERP). Ieri quattordici militanti
dell’ERP sono morti in una serie di scontri con le forze dell’ordine nella
provincia di Pampanga, sessanta chilometri a nord di Manila. La polizia accusa la guerriglia di essere responsabile
di una serie di omicidi perpetrati. Il gruppo ribelle si è costituito negli
anni settanta per combattere contro le forze governative.
Si aggrava ulteriormente il
bilancio dell’inondazione che il 10 giugno scorso ha travolto una scuola nel
nordest della Cina. Secondo la stampa locale sarebbero almeno 200 le vittime,
per la maggior parte bambini. Intanto, per tutto il fine settimana, gli abitanti
del villaggio hanno protestato contro l’inefficienza delle operazioni di
soccorso chiedendo un’inchiesta.
La Corea del Nord abbandoni i
propri programmi nucleari militari e riprenda i negoziati multilaterali. E’
l’appello rivolto dal presidente sudcoreano, Roh Moo Hyun, al governo di Pyongyang in vista del
quinto anniversario dello storico vertice intercoreano che il 15 giugno del
2000 aveva rilanciato il processo di ravvicinamento tra i due Paesi. Rinunciando
al programma nucleare e riavviando i colloqui – ha aggiunto Roh Moo – la Corea
del Nord può porre le fondamenta per un vero sviluppo economico.
È
morto questa mattina all’età di novantuno anni il leader del partito comunista
portoghese Alvaro Cunhal. A darne l’annuncio sono stati gli esponenti del
partito. Cunhal è stato alla guida del Partito comunista dal 1961 al 1992, facendone
uno dei centri della resistenza alla dittatura di Antonio Salazar. Dopo undici
anni di prigione e quattordici di esilio Cunhal è rientrato definitivamente in
Portogallo dopo la caduta del regime nel 1974. Da qualche anno si era ritirato
dalla vita politica.
In
Kosovo, 250 serbi hanno impedito l’accesso al ponte di Mitrovica, città teatro
di profonde tensioni tra la maggioranza albanese e la minoranza serba. Le Nazioni
Unite avevano programmato, per questa mattina, una riapertura parziale del
ponte, il cui controllo è stato trasferito, la scorsa settimana, dalla NATO
all’ONU. Il ponte era stato chiuso nel mese di marzo 2004 in seguito a
sanguinosi scontri tra serbi e albanesi costati la vita a 19 persone. Il Kosovo
rimane ufficialmente sotto il controllo della Serbia-Montenegro ed è
formalmente amministrato dall’ONU e dalla NATO dalla metà del 1999.
In Grecia sono state
rinvenute, stamani, due bombe nel centro di Atene. Uno degli ordigni era stato
piazzato di fronte al tribunale. Gli ordigni sono stati disinnescati dagli artificieri.
È Elie Doté il nuovo premier
della Repubblica Centrafricana. Lo ha nominato il presidente François Bozizé.
La nomina di Doté, funzionario della Banca Africana di Sviluppo, giunge a sorpresa. Da diversi giorni,
infatti, si alternavano i nomi di due politici, Jean-Paul Ngoupandé e Theodore
Dabanga, alla guida del nuovo governo del Paese.
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