RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 12  - Testo della trasmissione mercoledì 12 gennaio 2005

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il bene trionferà sul male, nonostante il flusso spesso sconcertante della storia. Lo ha detto il Papa all’udienza generale, dedicata all’Apocalisse di San Giovanni

 

Precisazione del direttore della Sala Stampa vaticana, Joaquín Navarro Valls: per quest’anno non è previsto un viaggio del Papa in Polonia

 

Convegno in Vaticano da oggi a sabato prossimo sul contributo delle religioni tradizionali alla pace:

con noi l’arcivescovo Michael Fitzgerald

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Cresce ancora il bilancio delle vittime dello tsunami. Gli ultimi dati parlano di 159 mila vittime. Si pensa, intanto, alla ricostruzione: ieri a Ginevra la Conferenza internazionale dei donatori, oggi la riunione del club di Parigi. Preoccupazione anche per la questione degli orfani: il commento dell’arcivescovo Silvano Maria Tomasi

 

Il “Gruppo di coordinamento per la Terra Santa dei vescovi europei ed americani” ha visitato ieri due scuole cattoliche a Betlemme ed è stato ricevuto nel pomeriggio dal presidente israeliano, Katsav: ai nostri microfoni il patriarca latino di Gerusalemme Michel Sabbah

 

Benedetto ieri a Roma da mons. Sandri, il tradizionale presepe dei netturbini, da 32 anni meta di oltre 1 milione e mezzo di persone: intervista con Giuseppe Ianni

 

CHIESA E SOCIETA’:

A Banda Aceh i fondamentalisti islamici minacciano un sacerdote australiano che porta soccorsi: è accusato di proselitismo

 

Il persistente clima di tensione nella Repubblica centrafricana, a due anni dal colpo di Stato, al centro dei lavori dell’Assemblea plenaria dei vescovi del Paese

 

Appello del presidente della Conferenza episcopale boliviana, il cardinale Julio Terrazas Sandoval, perché il governo del Paese riveda la recente decisione dell’aumento del prezzo del carburante

 

Secondo il 62 per cento degli americani fra quattro anni negli Stati Uniti ci saranno più poveri: oggi sono 36 milioni gli americani che vivono sotto la soglia della povertà

 

Celebrati stamani a Roma, presso la curia generalizia della Compagnia di Gesù, i funerali del padre Vittorio Marcozzi, studioso dell’evoluzionismo

 

“Persona e umanesimo relazionale: eredità e sfide di Emmanuel Mounier”: è il titolo del Convegno in corso alla Pontificia università salesiana di Roma

 

24 ORE NEL MONDO:

Continuano le speranze di dialogo tra israeliani e palestinesi ma nei Territori almeno tre persone sono rimaste uccise in seguito a nuovi scontri

 

In Iraq i guerriglieri hanno ucciso due donne per errore. Un nuovo rapporto di esperti americani conferma l’assenza di armi di sterminio di massa nel Paese arabo

 

Ancora stallo politico in Costa d’Avorio. I ribelli sono contrari all’idea di un referendum costituzionale.

 

 

                     IL PAPA E LA SANTA SEDE    

12 gennaio 2005

 

 

IL BENE TRIONFERA’ SUL MALE, NONOSTANTE IL FLUSSO

SPESSO SCONCERTANTE DELLA STORIA. LO HA DETTO IL PAPA ALL’UDIENZA GENERALE, DEDICATA ALL’APOCALISSE DI SAN GIOVANNI

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

Nello scorrere delle vicende umane, talvolta “sconcertante”, talvolta quasi apocalittico, c’è una certezza che non viene mai meno: il trionfo finale del bene sul male, testimoniato dalla Risurrezione di Gesù e dalla sconfitta di Satana. E’ il messaggio che Giovanni Paolo II ha consegnato oggi ai tremila fedeli presenti in Aula Paolo VI per l’udienza generale, dedicata ad un Cantico tratto dall’Apocalisse di San Giovanni. Ce ne parla Alessandro De Carolis.

 

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Il senso della storia spesso sfugge alla comprensione dell’uomo. Ma non a quella di Dio, che esercita la sua “signoria” sulle vicende umane, guidandole verso “un fine ultimo di salvezza e di gloria”. La catechesi del mercoledì di Giovanni Paolo II ha ripreso, dopo la sosta natalizia, il consueto andamento, soffermandosi sui Salmi e i Cantici della Liturgia dei Vespri. L’inno odierno, tratto dall’Apocalisse - che mostra la “corte divina” giudicare la storia “nel bene e nel male” – è un componimento simile, nella sua impostazione, a tutti gli altri canti che, ha affermato il Papa, costellano il testo di San Giovanni. Canti, ha spiegato, che “hanno proprio la funzione di illustrare il tema della signoria divina che regge il flusso, spesso sconcertante delle vicende umane”.

 

Nella seconda parte del Cantico, in particolare, si coglie una “voce misteriosa” che “intona un inno di ringraziamento e di gioia”, quando il confronto tra bene e male gioca la sua ultima sfida. La gioia, ha osservato Giovanni Paolo II, “proviene dal fatto che Satana, l’antico avversario” è stato “ormai ‘precipitato’ dal cielo e quindi non ha più un grande potere”. Mentre, “dall’altro lato si leva Cristo risorto, il cui sangue è principio di salvezza”. Al suo, ha proseguito il Pontefice, è associato il sangue dei “martiri cristiani che hanno scelto la via della croce, non cedendo al male e alla sua virulenza, ma consegnandosi al Padre e unendosi alla morte di Cristo attraverso una testimonianza di donazione e di coraggio”. E il loro sacrificio, ha concluso, ha il suo senso più profondo nella vittoria di Cristo che abbandona il sepolcro:

 

“Nella Risurrezione di Gesù, il Padre ci ha offerto la certezza che, alla fine del mondo, il bene trionferà”. (Applausi)

 

Durante i saluti nelle varie lingue, il Papa ha scherzato affettuosamente con i numerosi pellegrini polacchi presenti all’udienza, che gli hanno dedicato dei canti, quindi, in italiano, ha rivolto, tra gli altri, un saluto particolare all’arcivescovo di Genova, Tarcisio Bertone, alla guida di un gruppo di sacerdoti della diocesi, e alle suore Benedettine della Divina Provvidenza.

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PRECISAZIONE DEL DIRETTORE DELLA SALA STAMPA VATICANA,

JOAQUÍN NAVARRO VALLS

 

“Per quest'anno non è previsto un viaggio del Santo Padre in Polonia, Paese nel quale nel 2005 si svolgeranno delle consultazioni elettorali”. Il direttore della Sala Stampa vaticana, Navarro Valls, ha risposto così ad alcuni giornalisti che chiedevano informazioni su un presunto ritorno di Giovanni Paolo II nel suo Paese, durante il giugno prossimo. “Confermo comunque – ha precisato il portavoce vaticano - il viaggio del Santo Padre a Colonia in occasione della Giornata Mondiale per la Gioventù”.

 

 

NOMINE

 

Il Santo Padre ha nominato ausiliari dell’arcidiocesi di São Sebastião di Rio de Janeiro in Brasile: mons. Edney Gouvêa Mattoso, finora vicario episcopale del vicariato ovest della medesima arcidiocesi, assegnandogli la sede titolare vescovile di Tunnuna; e mons. Antônio Augusto Dias Duarte, del clero della prelatura “Opus Dei”, finora vicario-segretario della delegazione della medesima a Rio de Janeiro, assegnandogli la sede titolare vescovile di Tuscamia. Mons. Mattoso è nato il 2 febbraio 1957 a Rio de Janeiro ed è stato ordinato sacerdote il 29 agosto 1987. Mons. Dias Duarte è nato a Santo André, nell’omonima diocesi dello Stato di San Paolo, il 7 novembre 1948. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 15 agosto 1978.

 

Sempre in Brasile il Santo Padre ha nominato ausiliari dell’arcidiocesi di São Salvador da Bahia: mons. Josafá Menezes da Silva, del clero dell’arcidiocesi di São Salvador da Bahia, finora Rettore del Seminario propedeutico, assegnandogli la sede titolare vescovile di Gummi di Bizacena; e mons. João Carlos Petrini, del clero dell’arcidiocesi di Fermo in Italia, fidei donum nell’arcidiocesi di São Salvador da Bahia, direttore del Pontificio Istituto “João Paulo II” per gli studi su Matrimonio e Famiglia, assegnandogli la sede titolare vescovile di Auguro. Mons. Menezes da Silva è nato il 2 gennaio 1959, nella città di Salinas da Margarida, nell’arcidiocesi di São Salvador da Bahia, ed è stato ordinato sacerdote il 14 maggio 1989. Mons. Petrini è nato il 18 novembre 1945 a Fermo, in Italia, ed è stato ordinato sacerdote il 28 giugno 1975. Appartiene al Movimento di Comunione e Liberazione.

        

 

CONVEGNO IN VATICANO DA OGGI A SABATO PROSSIMO

SUL CONTRIBUTO DELLE RELIGIONI TRADIZIONALI ALLA PACE

- Intervista con l’arcivescovo Michael Fitzgerald -

 

Inizia oggi pomeriggio in Vaticano un convegno mondiale di quattro giorni promosso dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso, sul tema “Le risorse per la pace nelle religioni tradizionali”. Durante i lavori si prenderà in esame il contributo che possono dare alla pace i seguaci dei culti tribali, diffusi in tutti i continenti ma soprattutto in Africa, dove si calcola siano circa 60 milioni. Ma come caratterizzare le religioni tradizionali, definite talvolta in modo inesatto “animiste”? Giovanni Peduto lo ha chiesto all’arcivescovo Michael Fitzgerald, presidente del dicastero vaticano promotore del convegno:

 

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R. – Quando noi parliamo delle religioni tradizionali, pensiamo alle religioni etniche o tribali, a quelle cioè che si sono sviluppate in un gruppo etnico  specifico, e quindi sono diverse dalle religioni mondiali, che superano i confini nazionali. Spesso pensiamo sostanzialmente all’Africa, quando parliamo di religione tradizionale. Ma non solo l’Africa è coinvolta: c’è tutta la spiritualità degli indios dell’America Latina! C’è anche la religione africana che è passata per l’America Latina; poi in Asia: in India si chiamano “tribali” e hanno una loro spiritualità particolare, mentre nelle Filippine i seguaci delle religioni tradizionali vivono in collina o sulle montagne. D’altra parte noi evitiamo la parola “animista” perché questa idea di animismo è un po’ come considerare il vento, l’acqua, gli animali come abitati da spiriti che richiedono un culto: in realtà non è questo.  Normalmente in queste religioni è presente la credenza in un Dio Creatore, in un Dio supremo, ma ci sono anche altre entità mediatrici tra Dio e l’umanità: ci sono gli antenati ed anche altri spiriti, ma non si tratta di un culto in cui si veneri una foresta, un albero ecc…: non è lì, la divinità. La divinità è altrove!

 

D. – Che rapporto c’è, oggi come oggi, tra la Chiesa cattolica e queste religioni tradizionali?

 

R. –  Il dialogo è difficile, perché queste religioni non sono organizzate in una gerarchia: molte volte il “capo” è il capofamiglia, che offre le preghiere, i sacrifici ... Ci sono dei segreti che loro custodiscono e di cui non vogliono parlare ... Quindi il dialogo diretto con persone delle  religioni tradizionali è un po’ difficile. Però, molte persone sono diventate cristiane partendo dal background di questa religione tradizionale, e questo è il nostro dialogo. E’ il dialogo con i valori di queste religioni:  lo Spirito Santo suscita il bene dovunque e possiamo vedere in queste religioni tradizionali cose buone che possono aiutare anche la nostra società. E questo è lo scopo dello studio che faremo: vedere quali sono i valori di queste religioni per la società di oggi, per la pace. I partecipanti a questo convegno sono tutti cattolici, esperti nelle religioni tradizionali. Dunque, non sono adepti di queste religioni perché – come ho detto – è un po’ difficile condurre con loro un dialogo diretto.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina la situazione in Medio Oriente: concreti segnali di distensione tra Israele e Autorità Palestinese; in una telefonata Sharon e Abu Mazen decidono di incontrarsi.

 

Nelle vaticane, la catechesi e la cronaca dell'udienza generale.

Due pagine dedicate, rispettivamente, al tema dell'Eucaristia e alla spiritualità mariana.

 

Nelle estere, in evidenza il maremoto nel Sud-Est dell'Asia: un primo convoglio di aiuti è giunto a Meulaboh, la città indonesiana rasa al suolo il 26 dicembre; secondo le Nazioni Unite sembra scongiurata la seconda ondata di decessi per le epidemie.  

 

Nella pagina culturale, d'apertura un articolo di Agnese Pellegrini dal titolo "Una novità culturale: le 'Novelle bizantine'"; tradotte dal siriaco al greco nell'XI secolo.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano il tema della competitività: il governo disposto ad aumentare le risorse.

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

12 gennaio 2005

 

 

 

CRESCE ANCORA IL BILANCIO DELLE VITTIME DELLO TSUNAMI.

GLI ULTIMI DATI PARLANO DI 159 MILA VITTIME E UN NUMERO IMPRECISATO

DI DISPERSI. SI PENSA, INTANTO, ALLA RICOSTRUZIONE: IERI A GINEVRA LA

CONFERENZA INTERNAZIONALE DEI DONATORI,

OGGI LA RIUNIONE DEL CLUB DI PARIGI.

PREOCCUPAZIONE ANCHE PER LA QUESTIONE DEGLI ORFANI

- Intervista con l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi -

 

Continua tristemente a crescere il bilancio delle vittime del maremoto che il 26 dicembre scorso ha investito con violenza il Sudest asiatico. Le ultime cifre ufficiali riferiscono di 159 mila vittime, due terzi delle quali nella sola Indonesia, ed un numero ancora imprecisato di dispersi. La Comunità Internazionale, intanto, pensa alla ricostruzione. Si è svolta ieri a Ginevra la Conferenza internazionale dei donatori sugli aiuti alle vittime dello tsunami nell’Oceano Indiano, convocata dalle Nazioni Unite cui è stato affidato, nel vertice di Giakarta, il compito di coordinare la risposta globale alla catastrofe. Per conoscere i dettagli dell’incontro, presieduto da Jan Egeland, coordinatore delle operazioni di emergenza dell’ONU, sentiamo il servizio di Andrea Sarubbi:

 

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717 milioni di dollari all’Onu, per coprire le necessità dei prossimi sei mesi. Non è ancora la cifra indicata da Kofi Annan – che aveva chiesto poco meno di un miliardo – ma è comunque un segnale importante. Soprattutto, è una prima risposta alle preoccupazioni del Palazzo di Vetro, che temeva il ripetersi di quanto avvenuto, 7 anni fa, con l’uragano Mitch: dei 9 miliardi di dollari promessi dalla comunità internazionale, ne giunsero in Honduras meno di 3. Così anche in Afghanistan, l’anno scorso: i fondi versati non raggiunsero la metà di quelli inizialmente stabiliti. Se stavolta andrà meglio, molto si deve al Giappone: ha già erogato, da solo, 250 milioni di dollari, e – dopo qualche resistenza iniziale – ha anche approvato la moratoria sul debito a Indonesia e Sri Lanka, dei quali è il principale creditore.

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Intanto, si sono ritrovati oggi i membri del “Club di Parigi”, gruppo informale che riunisce 19 dei principali Paesi creditori, dedicata alla questione della moratoria sul debito dei Paesi asiatici vittime dello tsunami. “La moratoria sul debito riguarderà Indonesia, Sri Lanka e Seychelles”: ha dichiarato il ministro delle Finanze francese, Hervé Gaymard, in un’intervista rilasciata a Radio France in occasione dell’incontro. Sull’annullamento in blocco del debito dei Paesi sottosviluppati chiesto dalle Organizzazioni non governative, Gaymard ha spiegato che “trattare la questione del debito in blocco è impossibile, perché ogni Stato ha una situazione diversa”. I 717 milioni di dollari promessi ieri a Ginevra dai Paesi donatori serviranno a far fronte alle emergenze dei prossimi 6 mesi. Per quanto concerne, invece, le questioni di medio-lungo periodo, quali saranno i passi successivi? Barbara Castelli lo ha chiesto all’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni Specializzate a Ginevra.

 

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R. – Il contributo va al di là delle aspettative e l’emergenza trova una risposta immediata, che rappresenta certamente un dato molto confortante. Il problema grande della ricostruzione, tuttavia, deve essere legato ad un progetto a lunga scadenza di sviluppo di questi Paesi. Di fondamentale importanza sarà il coinvolgimento nel programma di sviluppo delle comunità locali e dei governi locali, in modo che l’agenda per lo sviluppo, e per una risposta a lungo termine, sia dettata con la partecipazione e la definizione delle priorità che le comunità locali vedono e vogliono. Il sostegno alla continuità dell’aiuto dovrà venire da una coscienza che va al di là del momento mediatico e cioè dalla consapevolezza che tutti siamo responsabili di tutti e che la famiglia umana non è un’entità astratta.

 

D. – Esiste il pericolo che le promesse non vengano onorate dai Paesi donatori fino in fondo, come è successo per l’uragano Mitch o per l’Afghanistan?

 

R. – Certo, il rischio c’è. Le promesse che vengono fatte dai governi non hanno un carattere giuridico, non hanno cioè una forza legale. Hanno una sola forza morale e, quindi, ci possono essere delle circostanze nuove che fanno cambiare gli impegni presi. Questo è avvenuto per il terremoto in Iran ed in altri casi. La difficoltà, quindi, che deve essere superata è quella di andare al di là delle immagini tragiche che vengono proiettate per qualche giorno sulle televisioni e costruire una volontà di aiuto e di solidarietà che veramente si protrae nel tempo.

 

D. – Cosa ne pensa dei negoziati in corso su un’eventuale moratoria o dilazione o congelamento a tempo determinato del debito estero dei Paesi asiatici colpiti dal maremoto?

 

R. – Penso che l’idea sia molta buona ed è parte della campagna che da anni viene portata avanti da organismi cattolici ed organismi umanitari. L’obiettivo è fare in modo che i Paesi indebitati possano beneficiare di un condono, con l’impegno che i soldi equivalenti – i soldi che dovrebbero cioè pagare ai loro debitori - vengano usati per ricostruire le scuole, le strade, le infrastrutture che sono state distrutte e, soprattutto, per creare una qualità di vita migliore, attraverso un impegno per la sanità pubblica in queste regioni. Penso che davanti a questa tragedia, si possano tirare delle lezioni nuove e che da questo male qualche bene possa anche emergere.

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La Comunità Internazionale poi guarda con particolare attenzione anche alla condizione dei bambini nei Paesi colpiti dal maremoto. Questa mattina a Roma Gianfranco Rotigliano, responsabile dell’UNICEF in Indonesia, ha illustrato la situazione nel Paese più colpito dal dramma dello scorso 26 dicembre. Ha seguito per noi l’incontro Roberta Gisotti:

 

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“E’ una corsa contro il tempo per salvare i bambini superstiti del maremoto in Indonesia. Gli aiuti internazionali ci sono, gli operatori umanitari sono all’opera, ma l’intervento di assistenza è davvero arduo, quando non impossibile, tra montagne di detriti e devastazioni, infrastrutture distrutte e mancanza di strade”. E’ un racconto di desolazione quello di Gianfranco Rotigliano giunto stamani a Roma dal Paese asiatico. Giusto il tempo di una conferenza stampa per poi ripartire alla volta di Banda Aceh, la regione più colpita dal disastro. Non ci sono ancora cifre attendibili, ha chiarito subito Rotigliano. Si estraggono ancora corpi e si stima che siano 800 mila le persone sfollate, tra queste 350 mila bambini e ragazzi sotto i 15 anni, di cui 35 mila – forse – orfani, secondo il governo. “Ma quasi tutti i bambini che abbiamo finora incontrato – ha assicurato Rotigliano – erano con i genitori o con i parenti e, comunque, stiamo cercando di registrare tutti i bambini non accompagnati, per evitare che possa espandersi il traffico di minori, che purtroppo in queste regioni del Sudest asiatico rappresenta un male endemico”. E per questo il governo indonesiano ha bloccato tutte le pratiche di adozione e vietato di far uscire i bambini dalle regioni di provenienza. “Siamo ancora nella fase di emergenza acuta – ha spiegato ancora Rotigliano – in cui dobbiamo preoccuparci di ripristinare condizioni igieniche e sanitarie minime, distribuire cibo e vaccinare i bambini, soprattutto contro il morbillo, a fronte di tre casi segnalati negli ultimi giorni. Poi passeremo alla fase di emergenza protratta, per un ritorno alle attività di vita ordinaria, che per i bambini significa anzitutto tornare a scuola, tenendo conto che solo a Banda Aceh sono morti 1.200 insegnanti”.

 

Dalla sede UNICEF a Roma, Roberta Gisotti.

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I VESCOVI EUROPEI ED AMERICANI IN TERRA SANTA

- Intervista con il patriarca Michel Sabbah -

 

Il “Gruppo di Coordinamento” per la Terra Santa dei vescovi europei ed americani, che in questi giorni sta incontrando la Chiesa locale a Betlemme e Gerusalemme, ieri ha visitato a Betlemme due scuole cattoliche che accolgono 600 bambini, un ospedale pediatrico ed un orfanotrofio. La delegazione è stata poi ricevuta nel pomeriggio a Gerusalemme dal presidente israeliano Katsav. Ma quale sarà il ruolo dei presuli una volta tornati nei loro Paesi? Roberto Piermarini lo ha chiesto al Patriarca latino di Gerusalemme mons. Michel Sabbah, che accompagna la delegazione

 

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R. – Si tratta di far capire, di far prendere coscienza a tutti i cristiani che hanno un legame con la Terra Santa, che la loro nazione potrebbe aiutare a mettere fine a questo conflitto perché quello che è richiesto oggi dalla Chiesa, è un’opera di riconciliazione, dove non si prendono le parti né per l’uno né per l’altro. Siamo, quindi, molto grati a tutte le Chiese che sono qui presenti, attraverso la loro generosità o quella dei pellegrini. Ma quello che vorremmo è che le Chiese facessero un intervento nell’azione di pace. L’avvenire dei cristiani in Terra Santa dipende fondamentalmente da questo conflitto, che continua. I cristiani continueranno ad emigrare, ma se avranno la pace i cristiani rimarranno e forse alcuni ritorneranno e ci sarà sempre una presenza cristiana.

 

D. – Mons. Sabbah, con la nuova presidenza palestinese di Abu Mazen ed il nuovo governo di unità nazionale israeliano, crescono le speranze di pace per il Medio Oriente?

 

R. – Ci sono speranze, ma la questione rimane complessa. Da parte palestinese, c’è un gruppo che va verso la violenza. Rimane, dunque, la richiesta da parte israeliana che non si possa fare la pace finché esisterà questa violenza. La maggioranza dei palestinesi, e formalmente l’Autorità ed i nuovi capi, sono per la pace e per le trattative. La questione, da parte israeliana, è su cosa saranno capaci di offrire ai palestinesi, che chiedono proprio uno Stato indipendente. Quanto, gli israeliani, saranno disposti a ridare ai palestinesi i Territori occupati nel ’67? Questo è il grande problema.

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BENEDETTO IERI A ROMA DA MONS. SANDRI,

IL TRADIZIONALE PRESEPE DEI NETTURBINI, DA 32 ANNI

META DI OLTRE 1 MILIONE E MEZZO DI PERSONE

- Intervista con Giuseppe Ianni -

 

“Che Gesù nel Presepe porti a tutti noi vita, pane, pace e libertà”. Ricordando le 4 sfide per l’umanità tracciate lunedì dal Santo Padre, mons. Leonardo Sandri, sostituto della Segreteria di Stato, ha portato ieri la benedizione papale al Presepe dei netturbini, allestito nella sede dell’AMA, l’Azienda municipale dell’ambiente, in via dei Cavalleggeri a Roma. Il Presepe, creato nel 1972 dall’allora giovane operaio, Giuseppe Ianni, oggi in pensione, ha visto sin dal 1974 la presenza dei Papi: una tradizione avviata da Paolo VI e proseguita per 24 anni da Giovanni Paolo II. Il servizio di Roberta Moretti:

 

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La Betlemme di 2000 anni fa a due passi dal Vaticano. La città in miniatura è ricostruita con una cura e una ricchezza di particolari che solo la pazienza e il tempo possono donare. Popolato da oltre 200 personaggi e 100 animali, il Presepe conta 95 case in pietra di tufo, 54 metri di strade, 24 grotte scavate nella roccia, 650 gradini, 3 fiumi e 4 acquedotti. Sostenuta da un basamento di 300 pietre provenienti da tutto il mondo, l’opera rappresenta, insieme alla Natività del Signore, anche la comunione tra i popoli. L’autore, Giuseppe Ianni:

 

“E’ una grotta adibita a stalla, e si può entrare dentro calpestando il fieno e la paglia. Sembra di partecipare alla nascita di Cristo!”.

 

Forte, l’impatto simbolico del Presepe, dove ogni elemento richiama passi dell’Antico e del Nuovo Testamento, come ad esempio le diverse merci vendute nelle piccole botteghe che costeggiano le strade della città:

 

“La lenticchia ricorda quando Esaù ha venduto la primogenitura per un piatto di lenticchie; il sale, l’amicizia: Dio ha detto ad Abramo: ‘Sarà un’amicizia di sale eterno’; poi, anche Gesù dice: ‘Voi siete il sale della terra’. C’è il forno con il pane, che rappresenta l’Eucaristia …”.

 

Sono tanti i doni che hanno arricchito quest’opera nel tempo, come racconta Ianni:

 

“L’acquedotto è fatto con i frammenti della facciata di San Pietro; nella grotta della Natività, la porticina è del legno di ulivo di Betlemme che riportò padre Ibrahim, custode della Basilica della Natività a Betlemme”.

 

Anche Madre Teresa di Calcutta ha fatto visita al Presepe, che in 32 anni è stato ammirato da oltre 1 milione e mezzo di persone. Ma qual è, in genere, la reazione del pubblico davanti alla grotta? Ancora Ianni:

 

“Emozione. Sembra che partecipino a questa nascita di Gesù. Infatti, appena si entra si trova scritto: ‘Gesù, scendi anche nel mio cuore’. Già è una preghiera, questa!”.

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CHIESA E SOCIETA’

12 gennaio 2005

 

 

TENSIONI RELIGIOSE NELLA PROVINCIA INDONESIANA DI BANDA ACEH,

DOVE FONDAMENTALISTI ISLAMICI HANNO MINACCIATO UN SACERDOTE AUSTRALIANO, ACCUSATO DI FARE PROSELITISMO CRISTIANO

 VERSO I BAMBINI MUSULMANI COLPITI DAL MAREMOTO

 

BANDA ACEH.= Padre Chris Riley, sacerdote cattolico australiano giunto nella provincia indonesiana di Banda Aceh il 7 gennaio scorso per costruire un orfanotrofio, ha ricevuto minacce dai fondamentalisti islamici del gruppo radicale “Islamic Defenders Front”, che gli hanno intimato di non convertire al cristianesimo bambini musulmani. Lo rivela l’agenzia vaticana “Fides”, che riporta il commento della Caritas australiana, secondo cui le reazioni di gruppi integralisti islamici possono costituire un reale ostacolo alle operazioni di soccorso umanitario messe in opera nella provincia. Padre Chris è responsabile dell’organizzazione non confessionale “Youth Off the Streets”, “Via i ragazzi dalla strada”, con sede a Sydney, che si occupa dell’assistenza e dell’educazione dell’infanzia abbandonata. “La componente religiosa è del tutto estranea a ogni programma di assistenza ai rifugiati o ai bambini orfani”, ha spiegato il sacerdote, dichiarando di “voler svolgere lavoro umanitario”, senza alcuna intenzione di fare “catechismo”.
Il sacerdote ha ribadito che ogni intervento di organizzazioni cristiane verso i bambini sarà molto delicato e dovrà essere improntato alla cautela e alla trasparenza, per i sospetti che i cristiani cerchino di convertire i piccoli musulmani. Da ora in poi, per non scatenare ulteriori tensioni religiose nella regione, i volontari di “Youth Off the Streets” porteranno assistenza agli oltre 35 mila bambini orfani di Aceh con molta attenzione e con l’ausilio di personale locale, anche musulmano. In questa prima fase di emergenza, l’organizzazione intende realizzare un “orfanotrofio sotto le tende”, costruendo un campo dove accogliere bambini di strada provenienti anche dalle aree più remote della provincia di Aceh. (R.M.)

 

 

IL PERSISTENTE CLIMA DI TENSIONE NELLA REPUBBLICA CENTRAFRICANA,

A DUE ANNI DAL COLPO DI STATO DELL’EX CAPO DI STATO MAGGIORE, BOZIZE’,

AL CENTRO DEI LAVORI DELL’ASSEMBLEA PLENARIA DEI VESCOVI DEL PAESE,

SVOLTASI NEI GIORNI SCORSI NELLA CAPITALE, BANGUI

 

BANGUI.= Mons. François Xavier Yongbandje, vescovo di Bossangoa e mons. Edouard Mathos, vescovo di Bambari, sono rispettivamente il nuovo presidente e vice-presidente della Conferenza episcopale centrafricana (CECA). Sono stati eletti nel corso della plenaria svoltasi nei giorni scorsi nella capitale Bangui, come ha confermato padre Tonino Falaguesta, segretario generale della Conferenza. La sessione è stata dedicata, come ogni anno, a fare il punto della situazione della Chiesa locale nei suoi vari ambiti: pastorale, catechesi, missione e apostolato sociale. Ma all’attenzione dei vescovi è stato, in particolare, il preoccupante clima di tensione in cui continua a vivere il Paese a più di due anni dal colpo di Stato dell’ex capo di stato maggiore, François Bozizé. Una situazione già denunciata nella dichiarazione finale della plenaria del gennaio 2004. Nell’omelia della messa conclusiva dell’assemblea, mons. Yongbandje ha invitato i fedeli a pregare per lo svolgimento pacifico delle elezioni politiche che dovrebbero porre fine al periodo di transizione iniziato nel marzo 2003. Al termine della riunione i presuli hanno rivolto un nuovo appello ai loro concittadini alla pace e all’amore per il loro Paese. (L.Z)

 

 

APPELLO DEL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE BOLIVIANA,

IL CARDINALE JULIO TERRAZAS SANDOVAL, PERCHE’ IL GOVERNO DEL PAESE

RIVEDA LA RECENTE DECISIONE DELL’AUMENTO DEL PREZZO DEL CARBURANTE,

CHE HA PROVOCATO DISORDINI E MANIFESTAZIONI DI PIAZZA IN TUTTA LA BOLIVIA

 

LA PAZ. = “La superbia e la violenza non risolvono la grave crisi che investe il nostro Paese”. Preoccupato delle ripetute proteste e delle manifestazioni di piazza dei boliviani contro l’aumento del prezzo del carburante deciso alla fine dell’anno dal governo presieduto da Carlos Mesa, l’arcivescovo di Santa Cruz de la Sierra e presidente della Conferenza episcopale della Bolivia, il cardinale Julio Terrazas Sandoval, ha chiesto all’esecutivo di rivedere la decisione e alla popolazione di cessare ogni forma di manifestazione. Proprio a Santa Cruz, infatti, alla vigilia dell’Epifania un gruppo di dimostranti ha cercato di occupare la prefettura chiedendo a gran voce le dimissioni del presidente. L’intervento delle forze dell’ordine e i successivi scontri hanno provocato diversi feriti. Durante l’omelia di domenica scorsa il porporato è stato critico nei confronti dell’esecutivo reo, a suo avviso, di “aver causato disagio tra i cittadini” con una decisione così impopolare. Ma al tempo stesso il cardinale Terrazas Sandoval ha preso le distanze dai facinorosi che continuano ad esasperare gli animi alimentando la violenza nel Paese. “La Bolivia è un Paese malato che ha bisogno di cure” ha detto il numero uno dei vescovi boliviani, aggiungendo che “ogni volta che da noi sorge un problema, escono fuori ben otto milioni di esperti che fanno e dicono di tutto, fuorché trovare un accordo o una soluzione. E’ facile creare conflitti, ma dovrebbe essere altrettanto facile superarli, piuttosto che ignorarli e, con ciò, aumentarne la portata”. Per tutta la settimana sono previste manifestazioni in tutto il Paese che coinvolgeranno diversi settori. Il ministro dell’Interno, José Galindo, ha fatto sapere che il governo è “aperto al confronto”, anche se si esclude la diminuzione del prezzo del combustibile. Lo stesso Carlos Mesa ha minacciato di dimettersi se la settimana di scioperi degenererà in ulteriore violenza. (D.D.)

 

 

SECONDO IL 62% DEGLI AMERICANI FRA QUATTRO ANNI NEGLI USA CI SARANNO

PIÙ POVERI DI OGGI. E’ IL RISULTATO DI UN SONDAGGIO PUBBLICATO A LOS ANGELES

- A cura di Paolo Mastrolilli -

 

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LOS ANGELES. = Il 62 per cento degli americani pensa che fra quattro anni negli Stati Uniti ci saranno più poveri di oggi e il 90 per cento è preoccupato dai problemi che l’indigenza pone già adesso alla società. E’ il risultato del Poverty Polls, uno studio annuale condotto dalla Catholic campaign for human development, pubblicato ieri a Los Angeles. La Campagna cattolica per lo sviluppo umano è un’organizzazione creata dalla Conferenza episcopale americana allo scopo di promuovere programmi gestiti dalle stesse persone povere, per eliminare l’indigenza negli Stati Uniti. Oggi, secondo i rilevamenti del Census Bureau, cioè l’Istituto di statistica del Governo federale di Washington, nel Paese quasi 36 milioni di cittadini vivono sotto la soglia della povertà. Il 20 per cento delle persone, sentite nello studio della campagna cattolica per lo sviluppo umano, teme che una conseguenza sarà l’aumento della criminalità. Nonostante la questione dell’indigenza non abbia figurato ai primi posti nei temi delle elezioni presidenziali di novembre, il 97 per cento degli intervistati ha detto che è un problema pressante, e il 54 per cento ha aggiunto che il governo ha la responsabilità di risolverlo. Tra i rimedi suggeriti dalla maggioranza degli americani, primeggia l’accesso ad un’istruzione migliore e i programmi per creare opportunità di impiego. I cittadini degli Stati Uniti, però, danno anche un contributo personale diretto per aiutare i poveri. Infatti, l’84 per cento ha donato soldi, cibo, vestiti o altri beni, durante lo scorso anno. La Campagna cattolica per lo sviluppo umano ha offerto 270 milioni di dollari per finanziare 4 mila programmi di assistenza a livello nazionale.

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CELEBRATI STAMANI A ROMA, PRESSO LA CURIA GENERALIZIA

DELLA COMPAGNIA DI GESÙ, I FUNERALI DEL PADRE VITTORIO MARCOZZI,

STUDIOSO DELL’EVOLUZIONISMO

- A cura di p. Federico Lombardi -

 

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ROMA. = Sono state celebrate questa mattina, le esequie del Padre Vittorio Marcozzi, mancato lunedì scorso all’età di 96 anni. Nato nel 1908 ed entrato nella Compagnia di Gesù a 20 anni, si specializzò nella psicologia sperimentale e nelle scienze biologiche e antropologiche, materie di cui divenne professore prima all’Istituto filosofico Aloisianum di Gallarate e alla Cattolica di Milano e poi, dal 1943, all’Università Gregoriana. Professore emerito dal 1965, aveva continuato a coltivare i suoi interessi scientifici e i suoi molti rapporti apostolici per lunghi anni, finché la debolezza dell’età avanzatissima non lo aveva infine costretto in infermeria. Padre Marcozzi, con la sua profonda competenza scientifica e la sua grande onestà e rigorosità intellettuale è stato a lungo una delle figure più significative in Italia e nella Chiesa nel campo del dialogo fra la scienza e la fede. In particolare i suoi studi sull’origine dell’uomo, sul Synanthropus Pekinensis, sulle australopitecine e l’homo habilis, e più in generale sui fatti e le teorie dell’evoluzione furono oggetto di grande attenzione nell’ambiente specialistico e furono il campo principale della delicata riflessione interdisciplinare del Padre Marcozzi alla ricerca di un’armonica convergenza fra scienze umane e fede. In tempi che ormai ci appaiono lontani perché risalgono a una cinquantina d’anni fa, nel mondo ecclesiastico non mancarono diffidenze da parte di studiosi verso questo impegno di frontiera che la Chiesa deve ricordare con grande gratitudine. Fra le molte opere del Padre Marcozzi – almeno 55 opere in varie lingue e oltre 120 articoli – vogliamo ricordare almeno “Il problema di Dio e le scienze”, un capolavoro divulgativo che raggiunse un grande numero di edizioni. Professore brillante e piacevole, amatissimo dagli studenti verso cui teneva un atteggiamento di grande disponibilità, è ricordato con affetto anche da moltissime persone che lo hanno avuto attento consigliere e amico sincero, come sacerdote e religioso di fede semplice e trasparente. 

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“PERSONA E UMANESIMO RELAZIONALE: EREDITÀ E SFIDE DI EMMANUEL MOUNIER”.

E’ IL TITOLO DEL CONVEGNO IN CORSO ALLA PONTIFICIA UNIVERSITA’ SALESIANA

DI ROMA, A CENTO ANNI DALLA NASCITA DEL FILOSOFO CRISTIANO FRANCESE,

PADRE DEL “PERSONALISMO”

 

ROMA. = Combattere l’individualismo astratto e il collettivismo assolutista ponendo la persona umana come fine della vita associata. Si basa su una concezione cristiana dell’uomo la ‘rivoluzione personalista’ del filosofo francese Emmanuel Mounier, padre della prestigiosa e battagliera rivista Esprit. Per ripercorrerne il pensiero, a cento anni dalla nascita, parte oggi a Roma, presso la Pontificia Università Salesiana, il Convegno internazionale sul tema: “Persona e umanesimo relazionale: eredità e sfide di Emmanuel Mounier”. Vocazione, comunione e incarnazione. Sono queste le tre tensioni che innervano la vita della persona, secondo il filosofo, che concilia filosofia e spiritualità. Piuttosto riservato e lento nell’apprendere, Mounier percorre con decisione la strada della maturazione umana e cristiana, ponendo al centro del suo pensiero il valore evangelico della solidarietà tra gli uomini. “Come non essere in continua rivolta contro le tirannie del nostro tempo?”, scrive nel 1932, spiegando: “In ogni parte si impongono all’uomo sistemi e istituzioni che lo ignorano: l’uomo si distrugge sottomettendosi ad essi”. L’unica salvezza esistenziale dell’uomo, secondo Mounier, è quindi nella reciprocità: “Il primo movimento di una vita personale non è un gesto di ripiegamento, ma un movimento verso gli altri”, in quanto “la comprensione altrui è il fatto decisivo della coscienza personale”. E proprio questo “mettersi in questione”, superando l’io individuale e aprendosi agli altri, in una prospettiva di unità vitale, diventa l’impegno cristiano di Mounier. (R.M.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

12 gennaio 2005

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

Il colloquio di ieri tra il premier israeliano Sharon e Abu Mazen aveva fatto ben sperare. Il dialogo tra israeliani e palestinesi sembrava riannodato. Ma nei Territori palestinesi almeno tre persone sono rimaste uccise in due distinti episodi avvenuti stamani in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. In Israele, intanto, il parlamento ha approvato la finanziaria in prima lettura. Ascoltiamo il nostro servizio:

 

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L’elezione di Abu Mazen alla presidenza palestinese non ha fermato la violenza nei Territori: due palestinesi, presunti militanti di Hamas, sono rimasti uccisi in una sparatoria con soldati israeliani alle porte di Ramallah, dove ha sede il quartier generale dell’ANP in Cisgiordania. Nella Striscia di Gaza un civile israeliano è morto e tre soldati sono rimasti feriti in un attacco rivendicato dalla Jihad islamica contro un insediamento ebraico. Il consiglio legislativo palestinese ha reso noto, inoltre, che la cerimonia di insediamento di Abu Mazen si svolgerà sabato prossimo. Ieri il neo presidente palestinese ha ricevuto anche le congratulazioni del segretario di Stato americano, Collin Powell. In un’intervista rilasciata all’emittente Fox, Powell ha affermato che per ricevere l’appoggio degli Stati Uniti, Abu Mazen deve agire “in maniera risoluta contro i movimenti estremisti”. In Israele, intanto, il nuovo esecutivo di Ariel Sharon ha superato con successo il suo primo test: il Parlamento ha approvato la finanziaria in prima lettura. Il disegno di legge ha ricevuto 64 voti a favore e 53 contrari. Un gruppo di 13 deputati della destra del Likud, che minacciava di votare contro per ostacolare il futuro ritiro da Gaza, ha invece garantito il proprio sostegno. Per l’approvazione definitiva del disegno di legge sono necessarie altre due votazioni. Prima della consultazione, Sharon aveva avvertito che se si fosse trovato in minoranza, avrebbe chiesto elezioni anticipate. L’esercito e la polizia hanno annunciato, infine, di aver terminato i piani operativi per lo sgombero degli insediamenti a Gaza e in Cisgiordania, nell’ambito del piano di disimpegno.

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In Iraq un razzo lanciato dalla guerriglia contro il famigerato carcere di Abu Ghraib, ad una trentina di chilometri da Baghdad, ha mancato il bersaglio e ha causato la morte di due donne. Un soldato americano è rimasto ucciso in un agguato teso dalla guerriglia nella provincia occidentale di Al Anbar. Sulle motivazioni che hanno portato gli Stati Uniti ad attaccare l’Iraq è prevista, intanto, la pubblicazione di un nuovo, importante documento. Il nostro servizio:

 

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In Iraq non c’è traccia di armi di sterminio. E’ la conclusione della squadra di esperti inviata dall’amministrazione americana nel Paese arabo per trovare l’arsenale proibito di Saddam Hussein. Secondo indiscrezioni pubblicate dal quotidiano ‘Washington Post’, il team ha concluso la ricerca prima di Natale e si appresta a consegnare al Congresso le conclusioni del proprio lavoro. “Saddam – si legge nel rapporto - voleva produrre armi di sterminio, ma non ne aveva la capacità”. Oltre alle rinnovate polemiche sulla decisione degli Stati Uniti di attaccare l’Iraq, si deve anche registrare una nuova critica nei confronti dell’ONU: il segretario di Stato americano, Colin Powell, ha dichiarato di ritenere Kofi Annan responsabile per lo scandalo del programma “petrolio in cambio di cibo” in seguito a presunti casi di corruzione. Il capo della diplomazia statunitense ha anche aggiunto che la responsabilità non ricade solo sul segretario generale delle Nazioni Unite ma anche sugli Stati membri dell’ONU. Sempre a proposito di petrolio, il primo ministro iracheno, Iyad Allawi, ha reso noto che gli attentati della guerriglia contro le infrastrutture petrolifere ed elettriche in Iraq sono costati al Paese 10 miliardi di dollari. E stato confermato, inoltre, che il vertice dei Paesi OPEC si terrà come previsto il prossimo 30 gennaio, nonostante la richiesta del governo di Baghdad di rinviare il summit per la coincidenza con le elezioni irachene. Su questo appuntamento elettorale il segretario alla Difesa statunitense, Donald  Rumsfeld, ha sottolineato come il solo fatto di tenere le elezioni in Iraq sia “un enorme successo e una vittoria”.

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Il Parlamento europeo con 500 sì, 137 no e 40 astensioni ha dato il via libera alla risoluzione con la quale si approva la Costituzione europea e ne sostiene “vivamente” la ratifica da parte di tutti i Paesi membri. Nei prossimi sei mesi l’agenda dell’Unione Europea, presentata stamani a Strasburgo durante la sessione plenaria dell’Europarlamento, prevede inoltre la riforma del Patto di stabilità. In merito all’argomento si è espresso il presidente di turno del Consiglio europeo, il premier lussemburghese Jean Claude Juncker, il quale ha sottolineato la necessità “di un dibattito sereno” senza dogmi, ma che preservi la stabilità della moneta unica e non produca una flessibilità illimitata. Il presidente ha aggiunto, inoltre, che gli Stati membri dovranno poter disporre di più margine di manovra ma solo se avranno diminuito il debito e il deficit durante le fasi di espansione economica.

 

Il presidente basco, Juan Jose Ibarretxe, sta incontrando separatamente tutti i portavoce dei partiti presenti nel parlamento regionale, ad eccezione del rappresentante del partito popolare. I colloqui sono stati organizzati per analizzare la situazione dopo l’approvazione del progetto del nuovo statuto politico da parte del parlamento basco. Lo scopo dell’iniziativa è quello di pianificare “un’azione congiunta su come condurre in maniera aperta e intelligente” il processo negoziale tra il governo basco e quello di Madrid. Intanto, domani è previsto l’incontro tra Ibarretxe ed il primo ministro spagnolo Zapatero. Il presidente basco ha dichiarato che andrà all’incontro “con una mano tesa” e con l’obiettivo “di promuovere il dialogo”.

 

In Ucraina i collaboratori di Viktor Yanukovych, l’ex premier filorusso sconfitto alle elezioni presidenziali, hanno annunciato che sarà rinviato a martedì prossimo il ricorso in appello alla Corte Suprema per contestare la vittoria di Yushchenko.

 

Ancora stallo politico in Costa d’Avorio. A nulla è servita la visita ieri a Yamoussoukro del mediatore dell’Unione Africana, il presidente sudafricano Mbeki. I ribelli delle Forze Nuove, che controllano il nord del Paese, hanno continuato a criticare l’idea di un referendum costituzionale in Costa d’Avorio, così come proposto dalla stessa Unione Africana, riunitasi lunedì in Gabon. Sentiamo Giulio Albanese:

 

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In Costa d’Avorio la crisi sembra essere giunta in un vicolo cieco: infatti, l’idea di un referendum che possa emendare la Costituzione non piace ai ribelli delle Forze Nuove. In apparenza, potrebbe sembrare un paradosso, perché l’articolo 35 della Costituzione ivoriana – così com’è – impedirebbe a Alessane Ouattara, uno dei principali rivali politici dell’attuale capo di Stato, Laurent Gbagbo, di correre per le presidenziali, in virtù proprio del controverso principio della “pura ivorianità”. Ma i ribelli delle Forze Nuove hanno fatto sapere ieri, attraverso un loro portavoce a Bouaké, che la consultazione referendaria per loro è solo una trappola di Gbagbo, che ha posto come condizione il disarmo preventivo dei ribelli. Secondo il portavoce delle Forze Nuove, accettare un disarmo preventivo significherebbe concedere il tempo necessario a Gbagbo per manipolare l’esito della consultazione. Dunque, il braccio di ferro tra ribelli e governo continua nonostante gli sforzi della diplomazia africana che lunedì scorso aveva suggerito la possibilità di indire un referendum. Nel frattempo, la Costa d’Avorio continua ad andare a rotoli, con una economia disastrata dalla crisi militare che ha spaccato in due il Paese.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Almeno 25 persone sono morte e nove sono rimaste ferite per l’esplosione di una fabbrica di fuochi d’artificio nella regione dello Shanxi. Le cause dell’incidente avvenuto ieri pomeriggio, nel nord del Paese, non sono state ancora accertate. La maggior parte delle vittime erano giovani donne.

 

Il maltempo che si accanisce da giorni sulla California ha causato almeno 19 morti nelle ultime 72 ore, in gran parte vittime di incidenti stradali. Intanto, le squadre di soccorso continuano a scavare nella montagna di fango che lunedì scorso ha sommerso un quartiere di una cittadina a nord-ovest di Los Angeles. 

 

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