RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
12 - Testo della trasmissione mercoledì
12 gennaio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
con noi l’arcivescovo Michael Fitzgerald
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Continuano le speranze di dialogo tra israeliani e palestinesi ma nei Territori almeno tre persone sono rimaste uccise in seguito a nuovi scontri
In Iraq i guerriglieri
hanno ucciso due donne per errore. Un nuovo rapporto di esperti americani
conferma l’assenza di armi di sterminio di massa nel Paese arabo
Ancora stallo politico
in Costa d’Avorio. I ribelli sono contrari all’idea di un referendum
costituzionale.
12 gennaio 2005
IL BENE TRIONFERA’ SUL MALE, NONOSTANTE IL FLUSSO
SPESSO SCONCERTANTE DELLA STORIA. LO HA DETTO IL
PAPA ALL’UDIENZA GENERALE, DEDICATA ALL’APOCALISSE DI SAN GIOVANNI
- Servizio di Alessandro De Carolis -
Nello scorrere delle vicende
umane, talvolta “sconcertante”, talvolta quasi apocalittico, c’è una certezza
che non viene mai meno: il trionfo finale del bene sul male, testimoniato dalla
Risurrezione di Gesù e dalla sconfitta di Satana. E’ il messaggio che Giovanni
Paolo II ha consegnato oggi ai tremila fedeli presenti in Aula Paolo VI per
l’udienza generale, dedicata ad un Cantico tratto dall’Apocalisse di San
Giovanni. Ce ne parla Alessandro De Carolis.
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Il senso della storia spesso
sfugge alla comprensione dell’uomo. Ma non a quella di Dio, che esercita la sua
“signoria” sulle vicende umane, guidandole verso “un fine ultimo di salvezza e
di gloria”. La catechesi del mercoledì di Giovanni Paolo II ha ripreso, dopo la
sosta natalizia, il consueto andamento, soffermandosi sui Salmi e i Cantici
della Liturgia dei Vespri. L’inno odierno, tratto dall’Apocalisse - che mostra
la “corte divina” giudicare la storia “nel bene e nel male” – è un componimento
simile, nella sua impostazione, a tutti gli altri canti che, ha affermato il
Papa, costellano il testo di San Giovanni. Canti, ha spiegato, che “hanno
proprio la funzione di illustrare il tema della signoria divina che regge il
flusso, spesso sconcertante delle vicende umane”.
Nella seconda parte del Cantico,
in particolare, si coglie una “voce misteriosa” che “intona un inno di
ringraziamento e di gioia”, quando il confronto tra bene e male gioca la sua
ultima sfida. La gioia, ha osservato Giovanni Paolo II, “proviene
dal fatto che Satana, l’antico avversario” è stato “ormai ‘precipitato’ dal
cielo e quindi non ha più un grande potere”. Mentre, “dall’altro
lato si leva Cristo risorto, il cui sangue è principio di salvezza”. Al suo, ha
proseguito il Pontefice, è associato il sangue dei “martiri cristiani che hanno
scelto la via della croce, non cedendo al male e alla sua virulenza, ma
consegnandosi al Padre e unendosi alla morte di Cristo attraverso una
testimonianza di donazione e di coraggio”. E il loro sacrificio, ha concluso,
ha il suo senso più profondo nella vittoria di Cristo che abbandona il
sepolcro:
“Nella Risurrezione di Gesù, il Padre ci ha offerto la certezza che,
alla fine del mondo, il bene trionferà”. (Applausi)
Durante i saluti nelle varie
lingue, il Papa ha scherzato affettuosamente con i numerosi pellegrini polacchi
presenti all’udienza, che gli hanno dedicato dei canti, quindi, in italiano, ha
rivolto, tra gli altri, un saluto particolare all’arcivescovo di Genova,
Tarcisio Bertone, alla guida di un gruppo di sacerdoti della diocesi, e alle
suore Benedettine della Divina Provvidenza.
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PRECISAZIONE DEL
DIRETTORE DELLA SALA STAMPA VATICANA,
JOAQUÍN NAVARRO VALLS
“Per quest'anno non è previsto un viaggio
del Santo Padre in Polonia, Paese nel quale nel 2005 si svolgeranno delle
consultazioni elettorali”. Il direttore della Sala Stampa vaticana, Navarro
Valls, ha risposto così ad alcuni giornalisti che chiedevano informazioni su un
presunto ritorno di Giovanni Paolo II nel suo Paese, durante il giugno
prossimo. “Confermo comunque – ha precisato il portavoce vaticano - il viaggio
del Santo Padre a Colonia in occasione della Giornata Mondiale per la
Gioventù”.
NOMINE
Il Santo Padre ha nominato
ausiliari dell’arcidiocesi di São
Sebastião di Rio de Janeiro in Brasile: mons. Edney Gouvêa Mattoso, finora
vicario episcopale del vicariato ovest della medesima arcidiocesi, assegnandogli
la sede titolare vescovile di Tunnuna; e mons. Antônio Augusto Dias Duarte, del clero della prelatura
“Opus Dei”, finora vicario-segretario della delegazione della medesima a Rio de
Janeiro, assegnandogli la sede titolare vescovile di Tuscamia. Mons. Mattoso è nato il 2 febbraio
1957 a Rio de Janeiro ed è stato ordinato sacerdote il 29 agosto 1987. Mons. Dias Duarte è nato a Santo
André, nell’omonima diocesi dello Stato di San Paolo, il 7 novembre 1948. Ha
ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 15 agosto 1978.
Sempre in Brasile il Santo Padre
ha nominato ausiliari dell’arcidiocesi di São Salvador da Bahia: mons. Josafá Menezes da
Silva, del clero dell’arcidiocesi di São Salvador da Bahia, finora Rettore del
Seminario propedeutico, assegnandogli la sede titolare vescovile di Gummi di
Bizacena; e mons. João Carlos Petrini, del clero dell’arcidiocesi di
Fermo in Italia, fidei donum nell’arcidiocesi di São Salvador da
Bahia, direttore del Pontificio Istituto “João Paulo II” per gli studi su
Matrimonio e Famiglia, assegnandogli la sede titolare vescovile di Auguro. Mons. Menezes da Silva è nato il 2
gennaio 1959, nella città di Salinas da Margarida, nell’arcidiocesi di São
Salvador da Bahia, ed è stato
ordinato sacerdote il 14 maggio 1989. Mons.
Petrini è nato il 18 novembre 1945 a Fermo, in Italia, ed è stato
ordinato sacerdote il 28 giugno 1975. Appartiene al Movimento di Comunione e Liberazione.
CONVEGNO IN VATICANO DA OGGI A SABATO PROSSIMO
SUL CONTRIBUTO DELLE RELIGIONI TRADIZIONALI ALLA
PACE
- Intervista con l’arcivescovo Michael Fitzgerald
-
Inizia
oggi pomeriggio in Vaticano un convegno mondiale di quattro giorni promosso dal
Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso, sul tema “Le risorse
per la pace nelle religioni tradizionali”. Durante i lavori si prenderà in
esame il contributo che possono dare alla pace i seguaci dei culti tribali,
diffusi in tutti i continenti ma soprattutto in Africa, dove si calcola siano
circa 60 milioni. Ma come caratterizzare le religioni tradizionali, definite talvolta
in modo inesatto “animiste”? Giovanni Peduto lo ha chiesto all’arcivescovo
Michael Fitzgerald, presidente del dicastero vaticano promotore del convegno:
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R. – Quando noi parliamo delle
religioni tradizionali, pensiamo alle religioni etniche o tribali, a quelle
cioè che si sono sviluppate in un gruppo etnico specifico, e quindi sono diverse dalle religioni mondiali, che
superano i confini nazionali. Spesso pensiamo sostanzialmente all’Africa,
quando parliamo di religione tradizionale. Ma non solo l’Africa è coinvolta:
c’è tutta la spiritualità degli indios dell’America Latina! C’è anche la
religione africana che è passata per l’America Latina; poi in Asia: in India si
chiamano “tribali” e hanno una loro spiritualità particolare, mentre nelle Filippine
i seguaci delle religioni tradizionali vivono in collina o sulle montagne.
D’altra parte noi evitiamo la parola “animista” perché questa idea di animismo
è un po’ come considerare il vento, l’acqua, gli animali come abitati da
spiriti che richiedono un culto: in realtà non è questo. Normalmente in queste religioni è presente
la credenza in un Dio Creatore, in un Dio supremo, ma ci sono anche altre entità
mediatrici tra Dio e l’umanità: ci sono gli antenati ed anche altri spiriti, ma
non si tratta di un culto in cui si veneri una foresta, un albero ecc…: non è
lì, la divinità. La divinità è altrove!
D. – Che rapporto c’è, oggi come
oggi, tra la Chiesa cattolica e queste religioni tradizionali?
R. – Il dialogo è difficile, perché queste religioni non sono
organizzate in una gerarchia: molte volte il “capo” è il capofamiglia, che
offre le preghiere, i sacrifici ... Ci sono dei segreti che loro custodiscono e
di cui non vogliono parlare ... Quindi il dialogo diretto con persone
delle religioni tradizionali è un po’
difficile. Però, molte persone sono diventate cristiane partendo dal background
di questa religione tradizionale, e questo è il nostro dialogo. E’ il dialogo
con i valori di queste religioni: lo
Spirito Santo suscita il bene dovunque e possiamo vedere in queste religioni
tradizionali cose buone che possono aiutare anche la nostra società. E questo è
lo scopo dello studio che faremo: vedere quali sono i valori di queste
religioni per la società di oggi, per la pace. I partecipanti a questo convegno
sono tutti cattolici, esperti nelle religioni tradizionali. Dunque, non sono
adepti di queste religioni perché – come ho detto – è un po’ difficile condurre
con loro un dialogo diretto.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la
prima pagina la situazione in Medio Oriente: concreti segnali di distensione
tra Israele e Autorità Palestinese; in una telefonata Sharon e Abu Mazen
decidono di incontrarsi.
Nelle
vaticane, la catechesi e la cronaca dell'udienza generale.
Due
pagine dedicate, rispettivamente, al tema dell'Eucaristia e alla spiritualità
mariana.
Nelle
estere, in evidenza il maremoto nel Sud-Est dell'Asia: un primo convoglio di
aiuti è giunto a Meulaboh, la città indonesiana rasa al suolo il 26 dicembre; secondo
le Nazioni Unite sembra scongiurata la seconda ondata di decessi per
le epidemie.
Nella
pagina culturale, d'apertura un articolo di Agnese Pellegrini dal titolo
"Una novità culturale: le 'Novelle bizantine'"; tradotte dal siriaco
al greco nell'XI secolo.
Nelle
pagine italiane, in primo piano il tema della competitività: il governo disposto
ad aumentare le risorse.
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12 gennaio 2005
CRESCE ANCORA IL BILANCIO DELLE VITTIME DELLO
TSUNAMI.
GLI ULTIMI DATI PARLANO DI 159 MILA VITTIME E UN
NUMERO IMPRECISATO
DI DISPERSI. SI PENSA, INTANTO, ALLA
RICOSTRUZIONE: IERI A GINEVRA LA
CONFERENZA INTERNAZIONALE DEI DONATORI,
OGGI LA RIUNIONE DEL CLUB DI PARIGI.
PREOCCUPAZIONE ANCHE PER LA QUESTIONE DEGLI ORFANI
- Intervista con l’arcivescovo Silvano Maria
Tomasi -
Continua tristemente a crescere
il bilancio delle vittime del maremoto che il 26 dicembre scorso ha investito
con violenza il Sudest asiatico. Le ultime cifre ufficiali riferiscono di 159
mila vittime, due terzi delle quali nella sola Indonesia, ed un numero ancora
imprecisato di dispersi. La Comunità Internazionale, intanto, pensa alla
ricostruzione. Si è svolta ieri a Ginevra la Conferenza internazionale dei
donatori sugli aiuti alle vittime dello tsunami nell’Oceano Indiano, convocata
dalle Nazioni Unite cui è stato affidato, nel vertice di Giakarta, il compito
di coordinare la risposta globale alla catastrofe. Per conoscere i dettagli
dell’incontro, presieduto da Jan Egeland, coordinatore delle operazioni di emergenza
dell’ONU, sentiamo il servizio di Andrea Sarubbi:
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717 milioni di dollari all’Onu,
per coprire le necessità dei prossimi sei mesi. Non è ancora la cifra indicata
da Kofi Annan – che aveva chiesto poco meno di un miliardo – ma è comunque un
segnale importante. Soprattutto, è una prima risposta alle preoccupazioni del
Palazzo di Vetro, che temeva il ripetersi di quanto avvenuto, 7 anni fa, con
l’uragano Mitch: dei 9 miliardi di dollari promessi dalla comunità
internazionale, ne giunsero in Honduras meno di 3. Così anche in Afghanistan,
l’anno scorso: i fondi versati non raggiunsero la metà di quelli inizialmente
stabiliti. Se stavolta andrà meglio, molto si deve al Giappone: ha già erogato,
da solo, 250 milioni di dollari, e – dopo qualche resistenza iniziale – ha anche
approvato la moratoria sul debito a Indonesia e Sri Lanka, dei quali è il principale
creditore.
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Intanto, si sono ritrovati oggi
i membri del “Club di Parigi”, gruppo informale che riunisce 19 dei principali
Paesi creditori, dedicata alla questione della moratoria sul debito dei Paesi
asiatici vittime dello tsunami. “La moratoria sul debito riguarderà Indonesia,
Sri Lanka e Seychelles”: ha dichiarato il ministro delle Finanze francese,
Hervé Gaymard, in un’intervista rilasciata a Radio France in occasione
dell’incontro. Sull’annullamento in blocco del debito dei Paesi sottosviluppati
chiesto dalle Organizzazioni non governative, Gaymard ha spiegato che “trattare
la questione del debito in blocco è impossibile, perché ogni Stato ha una
situazione diversa”. I 717 milioni di dollari promessi ieri a Ginevra dai Paesi
donatori serviranno a far fronte alle emergenze dei prossimi 6 mesi. Per quanto
concerne, invece, le questioni di medio-lungo periodo, quali saranno i passi successivi?
Barbara Castelli lo ha chiesto all’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore
permanente della Santa Sede presso l’ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni
Specializzate a Ginevra.
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R. – Il contributo va al di là delle aspettative e
l’emergenza trova una risposta immediata, che rappresenta certamente un dato
molto confortante. Il problema grande della ricostruzione, tuttavia, deve
essere legato ad un progetto a lunga scadenza di sviluppo di questi Paesi. Di
fondamentale importanza sarà il coinvolgimento nel programma di sviluppo delle
comunità locali e dei governi locali, in modo che l’agenda per lo sviluppo, e
per una risposta a lungo termine, sia dettata con la partecipazione e la
definizione delle priorità che le comunità locali vedono e vogliono. Il
sostegno alla continuità dell’aiuto dovrà venire da una coscienza che va al di
là del momento mediatico e cioè dalla consapevolezza che tutti siamo responsabili
di tutti e che la famiglia umana non è un’entità astratta.
D. – Esiste il pericolo che le
promesse non vengano onorate dai Paesi donatori fino in fondo, come è successo
per l’uragano Mitch o per l’Afghanistan?
R. – Certo, il rischio c’è. Le
promesse che vengono fatte dai governi non hanno un carattere giuridico, non hanno
cioè una forza legale. Hanno una sola forza morale e, quindi, ci possono essere
delle circostanze nuove che fanno cambiare gli impegni presi. Questo è avvenuto
per il terremoto in Iran ed in altri casi. La difficoltà, quindi, che deve
essere superata è quella di andare al di là delle immagini tragiche che vengono
proiettate per qualche giorno sulle televisioni e costruire una volontà di
aiuto e di solidarietà che veramente si protrae nel tempo.
D. – Cosa ne pensa dei negoziati
in corso su un’eventuale moratoria o dilazione o congelamento a tempo
determinato del debito estero dei Paesi asiatici colpiti dal maremoto?
R. – Penso che l’idea sia molta
buona ed è parte della campagna che da anni viene portata avanti da organismi
cattolici ed organismi umanitari. L’obiettivo è fare in modo che i Paesi
indebitati possano beneficiare di un condono, con l’impegno che i soldi
equivalenti – i soldi che dovrebbero cioè pagare ai loro debitori - vengano
usati per ricostruire le scuole, le strade, le infrastrutture che sono state distrutte
e, soprattutto, per creare una qualità di vita migliore, attraverso un impegno
per la sanità pubblica in queste regioni. Penso che davanti a questa tragedia,
si possano tirare delle lezioni nuove e che da questo male qualche bene possa
anche emergere.
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La Comunità Internazionale poi guarda con particolare
attenzione anche alla condizione dei bambini nei Paesi colpiti dal maremoto.
Questa mattina a Roma Gianfranco Rotigliano, responsabile dell’UNICEF in
Indonesia, ha illustrato la situazione nel Paese più colpito dal dramma dello
scorso 26 dicembre. Ha seguito per noi l’incontro Roberta Gisotti:
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“E’ una corsa contro il tempo per salvare i bambini
superstiti del maremoto in Indonesia. Gli aiuti internazionali ci sono, gli
operatori umanitari sono all’opera, ma l’intervento di assistenza è davvero
arduo, quando non impossibile, tra montagne di detriti e devastazioni,
infrastrutture distrutte e mancanza di strade”. E’ un racconto di desolazione
quello di Gianfranco Rotigliano giunto stamani a Roma dal Paese asiatico.
Giusto il tempo di una conferenza stampa per poi ripartire alla volta di Banda
Aceh, la regione più colpita dal disastro. Non ci sono ancora cifre
attendibili, ha chiarito subito Rotigliano. Si estraggono ancora corpi e si
stima che siano 800 mila le persone sfollate, tra queste 350 mila bambini e
ragazzi sotto i 15 anni, di cui 35 mila – forse – orfani, secondo il governo.
“Ma quasi tutti i bambini che abbiamo finora incontrato – ha assicurato
Rotigliano – erano con i genitori o con i parenti e, comunque, stiamo cercando
di registrare tutti i bambini non accompagnati, per evitare che possa
espandersi il traffico di minori, che purtroppo in queste regioni del Sudest
asiatico rappresenta un male endemico”. E per questo il governo indonesiano ha
bloccato tutte le pratiche di adozione e vietato di far uscire i bambini dalle
regioni di provenienza. “Siamo ancora nella fase di emergenza acuta – ha
spiegato ancora Rotigliano – in cui dobbiamo preoccuparci di ripristinare
condizioni igieniche e sanitarie minime, distribuire cibo e vaccinare i
bambini, soprattutto contro il morbillo, a fronte di tre casi segnalati negli
ultimi giorni. Poi passeremo alla fase di emergenza protratta, per un ritorno
alle attività di vita ordinaria, che per i bambini significa anzitutto tornare
a scuola, tenendo conto che solo a Banda Aceh sono morti 1.200 insegnanti”.
Dalla sede UNICEF a Roma, Roberta Gisotti.
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I VESCOVI EUROPEI ED
AMERICANI IN TERRA SANTA
- Intervista con il patriarca Michel Sabbah -
Il “Gruppo di
Coordinamento” per la Terra Santa dei vescovi europei ed americani, che in
questi giorni sta incontrando la Chiesa locale a Betlemme e Gerusalemme, ieri
ha visitato a Betlemme due scuole cattoliche che accolgono 600 bambini, un
ospedale pediatrico ed un orfanotrofio. La delegazione è stata poi ricevuta nel
pomeriggio a Gerusalemme dal presidente israeliano Katsav. Ma quale sarà il
ruolo dei presuli una volta tornati nei loro Paesi? Roberto Piermarini lo ha
chiesto al Patriarca latino di Gerusalemme mons. Michel Sabbah, che accompagna
la delegazione
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R. – Si tratta di far capire, di
far prendere coscienza a tutti i cristiani che hanno un legame con la Terra
Santa, che la loro nazione potrebbe aiutare a mettere fine a questo conflitto
perché quello che è richiesto oggi dalla Chiesa, è un’opera di riconciliazione,
dove non si prendono le parti né per l’uno né per l’altro. Siamo, quindi, molto
grati a tutte le Chiese che sono qui presenti, attraverso la loro generosità o
quella dei pellegrini. Ma quello che vorremmo è che le Chiese facessero un
intervento nell’azione di pace. L’avvenire dei cristiani in Terra Santa dipende
fondamentalmente da questo conflitto, che continua. I cristiani continueranno
ad emigrare, ma se avranno la pace i cristiani rimarranno e forse alcuni ritorneranno
e ci sarà sempre una presenza cristiana.
D. – Mons. Sabbah, con la nuova presidenza palestinese
di Abu Mazen ed il nuovo governo di unità nazionale israeliano, crescono le
speranze di pace per il Medio Oriente?
R. – Ci sono speranze, ma la questione rimane
complessa. Da parte palestinese, c’è un gruppo che va verso la violenza.
Rimane, dunque, la richiesta da parte israeliana che non si possa fare la pace
finché esisterà questa violenza. La maggioranza dei palestinesi, e formalmente
l’Autorità ed i nuovi capi, sono per la pace e per le trattative. La questione,
da parte israeliana, è su cosa saranno capaci di offrire ai palestinesi, che
chiedono proprio uno Stato indipendente. Quanto, gli israeliani, saranno
disposti a ridare ai palestinesi i Territori occupati nel ’67? Questo è il
grande problema.
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BENEDETTO IERI A ROMA DA MONS. SANDRI,
IL
TRADIZIONALE PRESEPE DEI NETTURBINI, DA 32 ANNI
META
DI OLTRE 1 MILIONE E MEZZO DI PERSONE
-
Intervista con Giuseppe Ianni -
“Che
Gesù nel Presepe porti a tutti noi vita, pane, pace e libertà”. Ricordando le 4
sfide per l’umanità tracciate lunedì dal Santo Padre, mons. Leonardo Sandri,
sostituto della Segreteria di Stato, ha portato ieri la benedizione papale al
Presepe dei netturbini, allestito nella sede dell’AMA, l’Azienda municipale
dell’ambiente, in via dei Cavalleggeri a Roma. Il Presepe, creato nel 1972
dall’allora giovane operaio, Giuseppe Ianni, oggi in pensione, ha visto sin dal
1974 la presenza dei Papi: una tradizione avviata da Paolo VI e proseguita per
24 anni da Giovanni Paolo II. Il servizio di Roberta Moretti:
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La
Betlemme di 2000 anni fa a due passi dal Vaticano. La città in miniatura è ricostruita
con una cura e una ricchezza di particolari che solo la pazienza e il tempo
possono donare. Popolato da oltre 200 personaggi e 100 animali, il Presepe
conta 95 case in pietra di tufo, 54 metri di strade, 24 grotte scavate nella roccia,
650 gradini, 3 fiumi e 4 acquedotti. Sostenuta da un basamento di 300 pietre
provenienti da tutto il mondo, l’opera rappresenta, insieme alla Natività del Signore,
anche la comunione tra i popoli. L’autore, Giuseppe Ianni:
“E’ una
grotta adibita a stalla, e si può entrare dentro calpestando il fieno e la
paglia. Sembra di partecipare alla nascita di Cristo!”.
Forte,
l’impatto simbolico del Presepe, dove ogni elemento richiama passi dell’Antico
e del Nuovo Testamento, come ad esempio le diverse merci vendute nelle piccole
botteghe che costeggiano le strade della città:
“La
lenticchia ricorda quando Esaù ha venduto la primogenitura per un piatto di
lenticchie; il sale, l’amicizia: Dio ha detto ad Abramo: ‘Sarà un’amicizia di
sale eterno’; poi, anche Gesù dice: ‘Voi siete il sale della terra’. C’è il
forno con il pane, che rappresenta l’Eucaristia …”.
Sono
tanti i doni che hanno arricchito quest’opera nel tempo, come racconta Ianni:
“L’acquedotto
è fatto con i frammenti della facciata di San Pietro; nella grotta della Natività,
la porticina è del legno di ulivo di Betlemme che riportò padre Ibrahim,
custode della Basilica della Natività a Betlemme”.
Anche
Madre Teresa di Calcutta ha fatto visita al Presepe, che in 32 anni è stato
ammirato da oltre 1 milione e mezzo di persone. Ma qual è, in genere, la
reazione del pubblico davanti alla grotta? Ancora Ianni:
“Emozione.
Sembra che partecipino a questa nascita di Gesù. Infatti, appena si entra si
trova scritto: ‘Gesù, scendi anche nel mio cuore’. Già è una preghiera,
questa!”.
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12
gennaio 2005
TENSIONI RELIGIOSE NELLA PROVINCIA INDONESIANA DI
BANDA ACEH,
DOVE FONDAMENTALISTI ISLAMICI
HANNO MINACCIATO UN SACERDOTE AUSTRALIANO, ACCUSATO DI FARE PROSELITISMO
CRISTIANO
VERSO I
BAMBINI MUSULMANI COLPITI DAL MAREMOTO
BANDA ACEH.= Padre Chris Riley,
sacerdote cattolico australiano giunto nella provincia indonesiana di Banda
Aceh il 7 gennaio scorso per costruire un orfanotrofio, ha ricevuto minacce dai
fondamentalisti islamici del gruppo radicale “Islamic Defenders Front”, che gli
hanno intimato di non convertire al cristianesimo bambini musulmani. Lo rivela
l’agenzia vaticana “Fides”, che riporta il commento della Caritas australiana,
secondo cui le reazioni di gruppi integralisti islamici possono costituire un
reale ostacolo alle operazioni di soccorso umanitario messe in opera nella
provincia. Padre Chris è responsabile dell’organizzazione non confessionale
“Youth Off the Streets”, “Via i ragazzi dalla strada”, con sede a Sydney, che si
occupa dell’assistenza e dell’educazione dell’infanzia abbandonata. “La
componente religiosa è del tutto estranea a ogni programma di assistenza ai rifugiati
o ai bambini orfani”, ha spiegato il sacerdote, dichiarando di “voler svolgere
lavoro umanitario”, senza alcuna intenzione di fare “catechismo”.
Il sacerdote ha ribadito che ogni intervento di organizzazioni cristiane verso
i bambini sarà molto delicato e dovrà essere improntato alla cautela e alla
trasparenza, per i sospetti che i cristiani cerchino di convertire i piccoli
musulmani. Da ora in poi, per non scatenare ulteriori tensioni religiose nella
regione, i volontari di “Youth Off the Streets” porteranno assistenza agli
oltre 35 mila bambini orfani di Aceh con molta attenzione e con l’ausilio di
personale locale, anche musulmano. In questa prima fase di emergenza,
l’organizzazione intende realizzare un “orfanotrofio sotto le tende”,
costruendo un campo dove accogliere bambini di strada provenienti anche dalle
aree più remote della provincia di Aceh. (R.M.)
IL PERSISTENTE CLIMA DI TENSIONE NELLA REPUBBLICA CENTRAFRICANA,
A DUE ANNI DAL COLPO DI STATO DELL’EX CAPO DI
STATO MAGGIORE, BOZIZE’,
AL CENTRO DEI LAVORI DELL’ASSEMBLEA PLENARIA DEI
VESCOVI DEL PAESE,
SVOLTASI NEI GIORNI SCORSI NELLA CAPITALE, BANGUI
BANGUI.= Mons. François Xavier
Yongbandje, vescovo di Bossangoa e mons. Edouard Mathos, vescovo di Bambari,
sono rispettivamente il nuovo presidente e vice-presidente della Conferenza
episcopale centrafricana (CECA). Sono stati eletti nel corso della plenaria
svoltasi nei giorni scorsi nella capitale Bangui, come ha confermato padre
Tonino Falaguesta, segretario generale della Conferenza. La sessione è stata
dedicata, come ogni anno, a fare il punto della situazione della Chiesa locale
nei suoi vari ambiti: pastorale, catechesi, missione e apostolato sociale. Ma
all’attenzione dei vescovi è stato, in particolare, il preoccupante clima di
tensione in cui continua a vivere il Paese a più di due anni dal colpo di Stato
dell’ex capo di stato maggiore, François
Bozizé. Una situazione già denunciata nella dichiarazione finale della plenaria
del gennaio 2004. Nell’omelia della messa conclusiva dell’assemblea, mons. Yongbandje ha invitato i fedeli a pregare per lo svolgimento
pacifico delle elezioni politiche che dovrebbero porre fine al periodo
di transizione iniziato nel marzo 2003. Al termine della riunione i presuli
hanno rivolto un nuovo appello ai loro concittadini alla pace e all’amore per
il loro Paese. (L.Z)
APPELLO DEL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE
BOLIVIANA,
IL CARDINALE JULIO TERRAZAS SANDOVAL, PERCHE’ IL
GOVERNO DEL PAESE
RIVEDA LA RECENTE DECISIONE DELL’AUMENTO
DEL PREZZO DEL CARBURANTE,
CHE HA PROVOCATO DISORDINI E MANIFESTAZIONI DI
PIAZZA IN TUTTA LA BOLIVIA
LA PAZ. = “La superbia e la
violenza non risolvono la grave crisi che investe il nostro Paese”. Preoccupato
delle ripetute proteste e delle manifestazioni di piazza dei boliviani contro
l’aumento del prezzo del carburante deciso alla fine dell’anno dal governo
presieduto da Carlos Mesa, l’arcivescovo di Santa Cruz de la Sierra e
presidente della Conferenza episcopale della Bolivia, il cardinale Julio
Terrazas Sandoval, ha chiesto all’esecutivo di rivedere la decisione e alla
popolazione di cessare ogni forma di manifestazione. Proprio a Santa Cruz,
infatti, alla vigilia dell’Epifania un gruppo di dimostranti ha cercato di
occupare la prefettura chiedendo a gran voce le dimissioni del presidente.
L’intervento delle forze dell’ordine e i successivi scontri hanno provocato diversi
feriti. Durante l’omelia di domenica scorsa il porporato è stato critico nei
confronti dell’esecutivo reo, a suo avviso, di “aver causato disagio tra i
cittadini” con una decisione così impopolare. Ma al tempo stesso il cardinale
Terrazas Sandoval ha preso le distanze dai facinorosi che continuano ad
esasperare gli animi alimentando la violenza nel Paese. “La Bolivia è un Paese
malato che ha bisogno di cure” ha detto il numero uno dei vescovi boliviani,
aggiungendo che “ogni volta che da noi sorge un problema, escono fuori ben otto
milioni di esperti che fanno e dicono di tutto, fuorché trovare un accordo o
una soluzione. E’ facile creare conflitti, ma dovrebbe essere altrettanto
facile superarli, piuttosto che ignorarli e, con ciò, aumentarne la portata”.
Per tutta la settimana sono previste manifestazioni in tutto il Paese che
coinvolgeranno diversi settori. Il ministro dell’Interno, José Galindo, ha
fatto sapere che il governo è “aperto al confronto”, anche se si esclude la
diminuzione del prezzo del combustibile. Lo stesso Carlos Mesa ha minacciato di
dimettersi se la settimana di scioperi degenererà in ulteriore violenza. (D.D.)
SECONDO IL 62% DEGLI AMERICANI FRA QUATTRO ANNI
NEGLI USA CI SARANNO
PIÙ POVERI DI OGGI. E’ IL RISULTATO
DI UN SONDAGGIO PUBBLICATO A LOS ANGELES
- A cura di Paolo Mastrolilli -
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LOS ANGELES. = Il 62 per cento
degli americani pensa che fra quattro anni negli Stati Uniti ci saranno più
poveri di oggi e il 90 per cento è preoccupato dai problemi che l’indigenza pone
già adesso alla società. E’ il risultato del Poverty Polls, uno studio
annuale condotto dalla Catholic campaign for human development,
pubblicato ieri a Los Angeles. La Campagna cattolica per lo sviluppo umano è
un’organizzazione creata dalla Conferenza episcopale americana allo scopo di
promuovere programmi gestiti dalle stesse persone povere, per eliminare
l’indigenza negli Stati Uniti. Oggi, secondo i rilevamenti del Census Bureau,
cioè l’Istituto di statistica del Governo federale di Washington, nel Paese
quasi 36 milioni di cittadini vivono sotto la soglia della povertà. Il 20 per
cento delle persone, sentite nello studio della campagna cattolica per lo
sviluppo umano, teme che una conseguenza sarà l’aumento della criminalità.
Nonostante la questione dell’indigenza non abbia figurato ai primi posti nei
temi delle elezioni presidenziali di novembre, il 97 per cento degli
intervistati ha detto che è un problema pressante, e il 54 per cento ha aggiunto
che il governo ha la responsabilità di risolverlo. Tra i rimedi suggeriti dalla
maggioranza degli americani, primeggia l’accesso ad un’istruzione migliore e i
programmi per creare opportunità di impiego. I cittadini degli Stati Uniti,
però, danno anche un contributo personale diretto per aiutare i poveri.
Infatti, l’84 per cento ha donato soldi, cibo, vestiti o altri beni, durante lo
scorso anno. La Campagna cattolica per lo sviluppo umano ha offerto 270 milioni
di dollari per finanziare 4 mila programmi di assistenza a livello nazionale.
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CELEBRATI STAMANI A ROMA, PRESSO
LA CURIA GENERALIZIA
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ, I FUNERALI DEL PADRE
VITTORIO MARCOZZI,
STUDIOSO DELL’EVOLUZIONISMO
- A cura di p. Federico Lombardi -
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ROMA. = Sono state celebrate
questa mattina, le esequie del Padre Vittorio Marcozzi, mancato lunedì scorso
all’età di 96 anni. Nato nel 1908 ed entrato nella Compagnia di Gesù a 20 anni,
si specializzò nella psicologia sperimentale e nelle scienze biologiche e
antropologiche, materie di cui divenne professore prima all’Istituto filosofico
Aloisianum di Gallarate e alla Cattolica di Milano e poi, dal 1943,
all’Università Gregoriana. Professore emerito dal 1965, aveva continuato a
coltivare i suoi interessi scientifici e i suoi molti rapporti apostolici per
lunghi anni, finché la debolezza dell’età avanzatissima non lo aveva infine
costretto in infermeria. Padre Marcozzi, con la sua profonda competenza scientifica
e la sua grande onestà e rigorosità intellettuale è stato a lungo una delle
figure più significative in Italia e nella Chiesa nel campo del dialogo fra la
scienza e la fede. In particolare i suoi studi sull’origine dell’uomo, sul
Synanthropus Pekinensis, sulle australopitecine e l’homo habilis, e più in
generale sui fatti e le teorie dell’evoluzione furono oggetto di grande
attenzione nell’ambiente specialistico e furono il campo principale della delicata
riflessione interdisciplinare del Padre Marcozzi alla ricerca di un’armonica
convergenza fra scienze umane e fede. In tempi che ormai ci appaiono lontani
perché risalgono a una cinquantina d’anni fa, nel mondo ecclesiastico non
mancarono diffidenze da parte di studiosi verso questo impegno di frontiera che
la Chiesa deve ricordare con grande gratitudine. Fra le molte opere del Padre
Marcozzi – almeno 55 opere in varie lingue e oltre 120 articoli – vogliamo
ricordare almeno “Il problema di Dio e le scienze”, un capolavoro divulgativo
che raggiunse un grande numero di edizioni. Professore brillante e piacevole,
amatissimo dagli studenti verso cui teneva un atteggiamento di grande
disponibilità, è ricordato con affetto anche da moltissime persone che lo hanno
avuto attento consigliere e amico sincero, come sacerdote e religioso di fede
semplice e trasparente.
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“PERSONA E UMANESIMO RELAZIONALE: EREDITÀ E SFIDE
DI EMMANUEL MOUNIER”.
E’ IL TITOLO DEL CONVEGNO IN CORSO ALLA PONTIFICIA UNIVERSITA’ SALESIANA
DI ROMA, A CENTO ANNI DALLA NASCITA DEL FILOSOFO
CRISTIANO FRANCESE,
PADRE DEL “PERSONALISMO”
ROMA. = Combattere
l’individualismo astratto e il collettivismo assolutista ponendo la persona
umana come fine della vita associata. Si basa su una concezione cristiana
dell’uomo la ‘rivoluzione personalista’ del filosofo francese Emmanuel Mounier,
padre della prestigiosa e battagliera rivista Esprit. Per ripercorrerne il pensiero, a cento anni dalla nascita,
parte oggi a Roma, presso la Pontificia Università Salesiana, il Convegno
internazionale sul tema: “Persona e umanesimo relazionale: eredità e sfide di
Emmanuel Mounier”. Vocazione, comunione e incarnazione. Sono queste le tre
tensioni che innervano la vita della persona, secondo il filosofo, che concilia
filosofia e spiritualità. Piuttosto riservato e lento nell’apprendere, Mounier
percorre con decisione la strada della maturazione umana e cristiana, ponendo al
centro del suo pensiero il valore evangelico della solidarietà tra gli uomini.
“Come non essere in continua rivolta contro le tirannie del nostro tempo?”,
scrive nel 1932, spiegando: “In ogni parte si impongono all’uomo sistemi e
istituzioni che lo ignorano: l’uomo si distrugge sottomettendosi ad essi”.
L’unica salvezza esistenziale dell’uomo, secondo Mounier, è quindi nella
reciprocità: “Il primo movimento di una vita personale non è un gesto di ripiegamento,
ma un movimento verso gli altri”, in quanto “la comprensione altrui è il fatto
decisivo della coscienza personale”. E proprio questo “mettersi in questione”,
superando l’io individuale e aprendosi agli altri, in una prospettiva di unità
vitale, diventa l’impegno cristiano di Mounier. (R.M.)
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12
gennaio 2005
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Il colloquio di ieri tra il
premier israeliano Sharon e Abu Mazen aveva fatto ben sperare. Il dialogo tra
israeliani e palestinesi sembrava riannodato. Ma nei Territori palestinesi almeno
tre persone sono rimaste uccise in due distinti episodi avvenuti stamani in
Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. In Israele, intanto, il parlamento ha
approvato la finanziaria in prima lettura. Ascoltiamo il nostro servizio:
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L’elezione di Abu Mazen alla
presidenza palestinese non ha fermato la violenza nei Territori: due
palestinesi, presunti militanti di Hamas, sono rimasti uccisi in una sparatoria
con soldati israeliani alle porte di Ramallah, dove ha sede il quartier
generale dell’ANP in Cisgiordania. Nella Striscia di Gaza un civile israeliano
è morto e tre soldati sono rimasti feriti in un attacco rivendicato dalla Jihad
islamica contro un insediamento ebraico. Il consiglio legislativo palestinese
ha reso noto, inoltre, che la cerimonia di insediamento di Abu Mazen si
svolgerà sabato prossimo. Ieri il neo presidente palestinese ha ricevuto anche
le congratulazioni del segretario di Stato americano, Collin Powell. In
un’intervista rilasciata all’emittente Fox, Powell ha affermato che per
ricevere l’appoggio degli Stati Uniti, Abu Mazen deve agire “in maniera
risoluta contro i movimenti estremisti”. In Israele, intanto, il nuovo
esecutivo di Ariel Sharon ha superato con successo il suo primo test: il Parlamento
ha approvato la finanziaria in prima lettura. Il disegno di legge ha ricevuto
64 voti a favore e 53 contrari. Un gruppo di 13 deputati della destra del
Likud, che minacciava di votare contro per ostacolare il futuro ritiro da Gaza,
ha invece garantito il proprio sostegno. Per l’approvazione definitiva del
disegno di legge sono necessarie altre due votazioni. Prima della
consultazione, Sharon aveva avvertito che se si fosse trovato in minoranza,
avrebbe chiesto elezioni anticipate. L’esercito e la polizia hanno annunciato,
infine, di aver terminato i piani operativi per lo sgombero degli insediamenti
a Gaza e in Cisgiordania, nell’ambito del piano di disimpegno.
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In Iraq un razzo lanciato dalla guerriglia contro il
famigerato carcere di Abu Ghraib, ad una trentina di chilometri da Baghdad, ha
mancato il bersaglio e ha causato la morte di due donne. Un soldato americano è
rimasto ucciso in un agguato teso dalla guerriglia nella provincia occidentale
di Al Anbar. Sulle motivazioni che hanno portato gli Stati
Uniti ad attaccare l’Iraq è prevista, intanto, la pubblicazione di un nuovo,
importante documento. Il nostro servizio:
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In Iraq non c’è traccia di armi di sterminio. E’ la
conclusione della squadra di esperti inviata dall’amministrazione americana nel
Paese arabo per trovare l’arsenale proibito di Saddam Hussein. Secondo
indiscrezioni pubblicate dal quotidiano ‘Washington Post’, il team ha concluso
la ricerca prima di Natale e si appresta a consegnare al Congresso le
conclusioni del proprio lavoro. “Saddam – si legge nel rapporto - voleva
produrre armi di sterminio, ma non ne aveva la capacità”. Oltre alle rinnovate
polemiche sulla decisione degli Stati Uniti di attaccare l’Iraq, si deve anche
registrare una nuova critica nei confronti dell’ONU: il segretario di Stato
americano, Colin Powell, ha dichiarato di ritenere Kofi Annan responsabile per
lo scandalo del programma “petrolio in cambio di cibo” in seguito a presunti
casi di corruzione. Il capo della diplomazia statunitense ha anche aggiunto che
la responsabilità non ricade solo sul segretario generale delle Nazioni Unite
ma anche sugli Stati membri dell’ONU. Sempre a proposito di petrolio, il primo
ministro iracheno, Iyad Allawi, ha reso noto che gli attentati della guerriglia
contro le infrastrutture petrolifere ed elettriche in Iraq sono costati al
Paese 10 miliardi di dollari. E stato confermato, inoltre, che il vertice dei
Paesi OPEC si terrà come previsto il prossimo 30 gennaio, nonostante la
richiesta del governo di Baghdad di rinviare il summit per la coincidenza con
le elezioni irachene. Su questo appuntamento elettorale il segretario alla
Difesa statunitense, Donald Rumsfeld,
ha sottolineato come il solo fatto di tenere le elezioni in Iraq sia “un enorme
successo e una vittoria”.
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Il Parlamento europeo con 500
sì, 137 no e 40 astensioni ha dato il via libera alla risoluzione con la quale
si approva la Costituzione europea e ne sostiene “vivamente” la ratifica da
parte di tutti i Paesi membri. Nei prossimi sei mesi l’agenda dell’Unione Europea,
presentata stamani a Strasburgo durante la sessione plenaria
dell’Europarlamento, prevede inoltre la riforma del Patto di stabilità. In
merito all’argomento si è espresso il presidente di turno del Consiglio europeo,
il premier lussemburghese Jean Claude Juncker, il quale ha sottolineato la
necessità “di un dibattito sereno” senza dogmi, ma che preservi la stabilità
della moneta unica e non produca una flessibilità illimitata. Il presidente ha
aggiunto, inoltre, che gli Stati membri dovranno poter disporre di più margine
di manovra ma solo se avranno diminuito il debito e il deficit durante le fasi
di espansione economica.
Il
presidente basco, Juan Jose Ibarretxe, sta incontrando separatamente tutti i
portavoce dei partiti presenti nel parlamento regionale, ad eccezione del
rappresentante del partito popolare. I colloqui sono stati organizzati per
analizzare la situazione dopo l’approvazione del progetto del nuovo statuto
politico da parte del parlamento basco. Lo scopo dell’iniziativa è quello di pianificare
“un’azione congiunta su come condurre in maniera aperta e intelligente” il
processo negoziale tra il governo basco e quello di Madrid. Intanto, domani è
previsto l’incontro tra Ibarretxe ed il primo ministro spagnolo Zapatero. Il
presidente basco ha dichiarato che andrà all’incontro “con una mano tesa” e con
l’obiettivo “di promuovere il dialogo”.
In
Ucraina i collaboratori di Viktor Yanukovych, l’ex premier filorusso sconfitto
alle elezioni presidenziali, hanno annunciato che sarà rinviato a martedì
prossimo il ricorso in appello alla Corte Suprema per contestare la vittoria di
Yushchenko.
Ancora stallo politico in Costa
d’Avorio. A nulla è servita la visita ieri a Yamoussoukro del mediatore
dell’Unione Africana, il presidente sudafricano Mbeki. I ribelli delle Forze Nuove,
che controllano il nord del Paese, hanno continuato a criticare l’idea di un
referendum costituzionale in Costa d’Avorio, così come proposto dalla stessa
Unione Africana, riunitasi lunedì in Gabon. Sentiamo Giulio Albanese:
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In Costa d’Avorio la crisi
sembra essere giunta in un vicolo cieco: infatti, l’idea di un referendum che
possa emendare la Costituzione non piace ai ribelli delle Forze Nuove. In apparenza,
potrebbe sembrare un paradosso, perché l’articolo 35 della Costituzione
ivoriana – così com’è – impedirebbe a Alessane Ouattara, uno dei principali
rivali politici dell’attuale capo di Stato, Laurent Gbagbo, di correre per le
presidenziali, in virtù proprio del controverso principio della “pura
ivorianità”. Ma i ribelli delle Forze Nuove hanno fatto sapere ieri, attraverso
un loro portavoce a Bouaké, che la consultazione referendaria per loro è solo
una trappola di Gbagbo, che ha posto come condizione il disarmo preventivo dei
ribelli. Secondo il portavoce delle Forze Nuove, accettare un disarmo
preventivo significherebbe concedere il tempo necessario a Gbagbo per
manipolare l’esito della consultazione. Dunque, il braccio di ferro tra ribelli
e governo continua nonostante gli sforzi della diplomazia africana che lunedì
scorso aveva suggerito la possibilità di indire un referendum. Nel frattempo,
la Costa d’Avorio continua ad andare a rotoli, con una economia disastrata
dalla crisi militare che ha spaccato in due il Paese.
Per la Radio Vaticana, Giulio
Albanese.
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Almeno 25 persone sono morte e
nove sono rimaste ferite per l’esplosione di una fabbrica di fuochi d’artificio
nella regione dello Shanxi. Le cause dell’incidente avvenuto ieri pomeriggio,
nel nord del Paese, non sono state ancora accertate. La maggior parte delle
vittime erano giovani donne.
Il
maltempo che si accanisce da giorni sulla California ha causato almeno 19 morti
nelle ultime 72 ore, in gran parte vittime di incidenti stradali. Intanto, le
squadre di soccorso continuano a scavare nella montagna di fango che lunedì
scorso ha sommerso un quartiere di una cittadina a nord-ovest di Los
Angeles.
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