RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n.7  - Testo della trasmissione venerdì 7 gennaio 2005

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Non dimenticare i bambini vittime del maremoto e della violenza degli uomini: sull’appello del Papa, ieri all’Angelus, la riflessione del nunzio nello Sri Lanka, mons. Mario Zenari.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Dopo il vertice di Giakarta, l’Unione Europea pianifica gli interventi umanitari. Sì del G7 ad una moratoria sul debito estero dei Paesi colpiti dallo tsunami: con noi padre Ferdinando Severi, padre Carlo Velardo e Paolo Beccegato

 

In occasione dell’odierna festa del Natale ortodosso il patriarca Alessio II chiede ai fedeli di ogni religione di unirsi per la pace nel mondo: intervista con mons. Tadeusz Kondrusiewicz

 

Testimoniare il Vangelo in un Paese a maggioranza islamica: è la sfida della piccola comunità cristiana di Gibuti. L’impegno prioritario è sul fronte della povertà: ce ne parla mons. Giorgio Bertin

 

Insieme per il Darfur: i bambini aiutano i bambini. Concerto ieri sera a Roma nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme: ai nostri microfoni padre Luca Zecchetto

CHIESA E SOCIETA’:

“Dobbiamo dare nuove speranze di vita a quanti sono scampati al maremoto”: appello del vescovo di Mullaithivu, una regione dello Sri Lanka, prostrata dallo tsunami e da 20 anni di guerra civile

 

Preghiera interreligiosa ieri in Thailandia per le vittime dello tsunami

 

Nella provincia indonesiana di Aceh tante le difficoltà nel portare aiuti ai musulmani che rifiutano gli aiuti provenienti dalla comunità cattolica affidandosi solo alle Organizzazioni  islamiche

 

Gli immigrati hanno il diritto di essere rispettati. Così ieri il cardinale Tettamanzi, arcivescovo di Milano, durante la Messa per l’Epifania

 

Celebrata ieri a Roma dalla comunità ortodossa bulgara la festività dell’Epifania

 

Nell’Anno dell’Eucaristia, dedicare il mese di maggio alla preghiera per le vocazioni: è l’iniziativa lanciata a conclusione del Convegno annuale del Centro nazionale vocazioni, in questi giorni a Roma.

 

24 ORE NEL MONDO:

In Israele, firmata dal Likud e dai laburisti l’intesa per l’allestimento di una coalizione di governo di unità nazionale.

 

Salgono a 1500 i morti USA nella guerra in Iraq e Afghanistan

 

Annunciata la formazione di un nuovo governo somalo

 

Italia: incidente ferroviario sulla Verona-Bologna: almeno 10 i morti

 

 

   IL PAPA E LA SANTA SEDE

7 gennaio 2005

 

 

NON DIMENTICARE I BAMBINI VITTIME DEL MAREMOTO E DELLA VIOLENZA

DEGLI UOMINI: SULL’APPELLO DEL PAPA, ALL’ANGELUS NEL GIORNO DELL’EPIFANIA,

LA RIFLESSIONE DEL NUNZIO NELLO SRI LANKA, MONS. MARIO ZENARI

 

Il mondo si mobiliti “per le piccole vittime del maremoto in Asia”: questo l’accorato appello del Papa ieri all’Angelus nella solennità dell’Epifania del Signore. Il Santo Padre ha poi condannato con forza l’aberrante fenomeno dello sfruttamento e traffico dei minori. Una piaga terribile che porta nuova sofferenza ai più deboli tra le vittime dello tsunami. Sulle parole del Pontefice, ascoltiamo la riflessione del nunzio in Sri Lanka, mons. Mario Zenari, raggiunto telefonicamente a Colombo da Alessandro Gisotti:

 

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R. – Sto seguendo la cosa, ho visto anche i vari comunicati del governo che sta mettendo in guardia. Finora, non ho dati per poter affermare o negare, ma so che il governo qui ha già preso provvedimenti per evitare il traffico di bambini … purtroppo, le organizzazioni criminali non si arrestano nemmeno di fronte a questa tragedia. Nei vari campi che ho visitato, si sta cercando di iscrivere questi bambini rimasti separati dai genitori, che sono magari in altri campi d’accoglienza, oppure che sono purtroppo rimasti orfani. Si sta facendo un grosso lavoro per cercare di identificarli e, se possibile, di riunirli ai genitori o ai parenti prossimi.

 

D. – Qual è la testimonianza che ci può dare sui luoghi che ha visitato?

 

R. – M’ha colpito una chiesa completamente distrutta: per fortuna, proprio quella domenica, il parroco aveva dato appuntamento in una succursale, altrimenti probabilmente sarebbero perite diverse centinaia di persone. Mi hanno colpito anche altre storie, di un altro vice parroco che stava preparando i canti natalizi con 20 bambini: sono stati sorpresi da quest’onda, scaraventati lontano, il parroco si è ritrovato su un albero ed è rimasto appeso lì ad un ramo, si è salvato ma purtroppo i 20 bambini sono periti. Ho visitato i vari campi: c’è urgenza di sistemare questa gente in tende, perché le condizioni sanitarie di questi campi di accoglienza sono, dal punto di vista sanitario, insufficienti. Ho incontrato i volti di tante mamme che piangono i figli, ho incontrato gli occhi persi di bambini che hanno perso i genitori …

 

D. – Con il Vertice di Giakarta si tenta ora di mettere a punto la macchina degli aiuti umanitari. Quali sono le sue aspettative?

 

R. – Visitando queste popolazioni costiere, la comune riflessione era questa: molte di queste vittime sono pescatori, e gli stessi pescatori dicono: “Dateci i mezzi per lavorare, dateci una barca!”. Credo che si debba tenere in debita considerazione l’atteggiamento volonteroso di questa gente!

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UDIENZE

 

Giovanni Paolo II ha ricevuto questa mattina, in successive udienze, il vescovo Javier Echevarría Rodríguez, prelato della Prelatura personale dell’Opus Dei, il cardinale vicario Camillo Ruini con l’arcivescovo Luigi Moretti, vicegerente di Roma e i membri della redazione di Rai-Vaticano, la struttura della Rai che si occupa delle celebrazioni e dei viaggi del Papa.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina il titolo “Dalla Giornata dei bambini missionari alla Giornata mondiale della gioventù in cammino per scoprire in Cristo il volto di Dio”: nella solennità dell’Epifania il pensiero di Giovanni Paolo II torna alle piccole vittime del maremoto in Asia e a tutti coloro che soffrono a causa della fame, delle malattie, della guerra e della malvagità degli adulti.

 

Nelle vaticane, dichiarazione dei capi delle Chiese dell’Iraq in occasione del Natale e del Nuovo Anno.

Una pagina dedicata alla celebrazione della solennità dell’Epifania nelle diocesi italiane.

 

Nelle estere, in evidenza il maremoto in Asia con un articolo dal titolo “Speranza in un’azione mondiale di solidarietà”. Al vertice di Jakarta, l’ONU chiede subito lo stanziamento di 977 milioni di dollari nei prossimi sei mesi per le popolazioni colpite.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Irene Iarocci dal titolo “Una ‘finestra sul cielo’ per incontrare il Mistero”: la “lettura” di un’icona della nascita di Cristo proposta su un quotidiano giapponese.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano il maremoto in Asia. Il governo definisce il piano di aiuti; restano 338 i dispersi.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

7 gennaio 2005

 

 

DOPO IL VERTICE DI GIAKARTA, L’UNIONE EUROPEA PIANIFICA

GLI INTERVENTI UMANITARI. SI’ DEL G7 AD UNA MORATORIA

SUL DEBITO ESTERO DEI PAESI COLPITI DALLO TSUNAMI.

IL TRAGICO BILANCIO DELLE VITTIME SUPERA ORA I 153 MILA MORTI

- Interviste con padre Ferdinando Severi, padre Carlo Velardo e Paolo Beccegato -

 

Nel Sud-Est asiatico sale ad oltre 153 mila morti il bilancio delle vittime dello tsunami. Dall’Indonesia allo Sri Lanka, i sopravissuti piangono i propri cari, mentre la comunità internazionale è impegnata in uno sforzo senza precedenti per aiutare le popolazioni colpite. Dopo il vertice internazionale di Giakarta, che ha fatto il punto sull’organizzazione degli aiuti, oggi il G7 - il gruppo dei Paesi più industrializzati del mondo - ha accettato di applicare una moratoria sul debito estero dei Paesi colpiti dal maremoto. Intanto, l’Unione Europea pianifica gli aiuti con un vertice straordinario a Bruxelles. In studio, Alessandro Gisotti.

 

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Fare il possibile per affrontare l’emergenza, ma progettare anche la ricostruzione del dopo-tsunami: è questo l’obiettivo dell’odierno vertice europeo di Bruxelles. Si tratta del primo confronto diretto sull’emergenza maremoto da parte dei ministri degli Esteri, della Sanità e della Cooperazione dei Venticinque Stati membri dell’Unione Europea. Il consiglio straordinario si tiene 24 ore dopo il summit internazionale di Giakarta in cui sono stati tracciati i primi orientamenti per mettere a punto la gigantesca macchina degli aiuti.

 

Con un pacchetto complessivo di 1,5 miliardi di euro, l’Unione Europea resta al primo posto per il contributo destinato ad affrontare l’emergenza umanitaria immediata. Dal canto suo, il G7 ha accettato una moratoria del debito estero dei Paesi del Sud-Est asiatico colpiti dal disastro naturale, secondo quanto reso noto da fonti del Tesoro britannico. Il 12 gennaio, la moratoria sarà all’esame del Club di Parigi, che riunisce i Paesi creditori. Se approvata, potrà essere effettiva. I Paesi asiatici colpiti dallo tsunami hanno complessivamente - secondo le ultime stime della Banca Mondiale - un debito estero di 400 miliardi di dollari, di cui una gran parte a carico dell'Indonesia, che da sola è indebitata per oltre 132 miliardi.

 

Intanto, mentre il governo indonesiano ha corretto al ribasso il bilancio delle vittime da 113 mila morti a 101 mila morti, il primo gruppo di marine americani è atterrato oggi ad Aceh per dare il via alle operazioni umanitarie nella zona maggiormente devastata dall’onda anomala del 26 dicembre. Prosegue, inoltre, il viaggio diplomatico del segretario di Stato americano, Powell, giunto oggi nello Sri Lanka dopo aver visitato Thailandia e Indonesia. In tutta la regione resta altissima la tensione: nel Sud delle Filippine, migliaia di abitanti di Pagadian hanno abbandonato nel panico le loro case dopo un rapido e inconsueto ritiro del mare, che ha fatto temere l’arrivo di uno tsunami.

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“Non ho mai visto una devastazione del genere”. Parole del segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, che stamattina ha visitato la regione più colpita dal maremoto: la provincia indonesiana di Aceh, all’estremità settentrionale dell’isola di Sumatra. Tra i sopravvissuti alla tragedia, c’è un missionario italiano. È il padre francescano Ferdinando Severi, che al microfono di Andrea Sarubbi racconta come sia riuscito a salvarsi:

 

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R. – Il giorno di Natale ho detto Messa a Banda Aceh e poi a mezzogiorno mi sono recato con un autobus a Meulaboh, a 247 km da qui, dove ho detto Messa la sera di Natale. Il mattino seguente, il 26, è cominciato il terremoto e dopo 20-40 minuti l’inondazione. Dopo il terremoto, avremmo dovuto dire alla gente di scappare dalla città bassa e di rifugiarsi nella città alta, ricordando gli insegnamenti scolastici su queste onde che, nelle zone costiere, seguono il terremoto. Invece siamo andati in giro a vedere quali case erano cadute, quali no, e quindi le ondate ci hanno colti impreparati, quando eravamo ancora nella città bassa. Ci siamo messi tutti a correre verso la città alta, ma le onde erano più veloci… per cui, ad un certo punto, ci siamo dovuti fermare e siamo saliti su un’alta moschea. Lì abbiamo atteso che l’acqua salisse fino a tre metri, e poi discendesse fino ad un metro. A quel punto, siamo scesi dalla moschea ed abbiamo cominciato a camminare a guado nell’acqua, verso la parte alta della città.

 

D. – Non so se lo sa, ma il Suo nome ad un certo punto era nella lista dei dispersi. Poi, l’ambasciata del Belgio ha detto che Lei era vivo e che era custodito in una caserma della polizia. Era vero?

 

R. – No, non è andata così. Per quattro giorni ho dovuto girare di casa in casa a Meulaboh, dormire dai locali o dagli immigrati cinesi. Ad un certo punto, siamo dovuti uscire dalla città, perché dicevano che l’acqua sarebbe aumentata ancora, e ci siamo sistemati in una scuola, insieme ad un gruppo di poliziotti. Poi, a mezzanotte, ci hanno portato in una zona più sicura, in montagna, ma la casa era talmente piena di gente che non c’era posto neppure per sdraiarsi. Allora sono andato in una casa di contadini, insieme ad un mio collaboratore parrocchiale, ed ho dormito nel pollaio, accanto alle galline. Quindi sono sceso a Meulaboh, e da lì ho saputo che in un’altra cittadina, ad un centinaio di chilometri, c’erano dei piccoli aerei che portavano a Medan. Ne ho preso uno, sono arrivato in città e finalmente ho potuto dare la notizia che ero vivo.

 

D. – E com’è la situazione adesso da voi ad Aceh? Stanno arrivando i soccorsi? Di cosa avete bisogno?

 

R. – I soccorsi sono moltissimi e sono una bella dimostrazione di solidarietà da parte di tutta l’Indonesia e di tutto il mondo. Però gli aiuti sono sempre quelli: vestiario, biscotti, riso … Altri generi alimentari - verdura e frutta, per esempio - sono difficili da trovare. Ma soprattutto scarseggiano i macchinari pesanti, le scavatrici: parti della città sono ancora sommerse dai detriti, e sotto i detriti ci sono ancora molti corpi. Nel chiostro della nostra scuola c’è una montagna di due metri di detriti, e scavando un pochino abbiamo già trovato quattro cadaveri: ve ne saranno almeno una quindicina. E così in tutti gli altri edifici. È difficile, quindi, stimare quanti siano i morti a Banda Aceh.

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In Thailandia, l’ultimo bilancio delle vittime è salito a quasi 5300 morti. La metà sono turisti stranieri. Intanto, dopo la visita di Colin Powell, il premier canadese Paul Martin ha annunciato che si recherà nel Paese asiatico nei prossimi giorni. Sulla situazione nella regione tailandese devastata dallo tsunami, la testimonianza del missionario salesiano, padre Carlo Velardo, raggiunto telefonicamente in Thailandia da Alessandro Gisotti:

 

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R. – Innanzitutto, purtroppo, di superstiti non si parla più. La distruzione in alcune zone, per esempio nella zona di Nanké, è totale. Abbiamo visitato una zona in cui c’era una specie di baraccopoli di pescatori: non è rimasto niente. La faccenda da seguire adesso è quella degli orfani: anche questo richiederà tempo, perché ci sono tantissimi volontari, da ogni parte della Thailandia, tra cui molti giovani, e anche dall’estero.

 

D. – C’è anche un impegno interreligioso di fronte alla tragedia?

 

R. – Sì, c’è un aspetto positivo molto interessante, che è questo: le nostre forze religiose si sono messe in contatto con i monaci buddisti della zona, con gli imam delle comunità musulmane della zona, e tutti hanno concordato un’azione comune, non solo per alleviare le sofferenze immediate, quali cibo, tetto e medicine, ma anche per alleviare la sofferenza morale che purtroppo ancora c’è e che bisogna debellare!

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Tra le organizzazioni umanitarie più attive nel portare aiuti alle popolazioni colpite dallo tsunami c’è la Caritas Internationalis che attraverso la sua rete mondiale ha raccolto quasi 40 milioni di dollari in favore delle vittime del maremoto. Per un primo bilancio degli interventi nelle zone colpite, Alessandro Gisotti ha intervistato Paolo Beccegato, responsabile per l’area internazionale di Caritas Italia:

 

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R. – Se in India già i primi campi stanno smobilitando e stiamo consegnando le prime strutture temporanee, che sono delle tende molto robuste che permettono già ad alcune famiglie di riavvicinarsi ai propri luoghi di provenienza, in Sri Lanka invece il numero degli sfollati è ancora molto alto e anzi tende ad aumentare. Per cui è una situazione un pochino più problematica, dove appunto le forniture di cibo, viveri, acqua potabile per queste persone è ancora un problema molto grosso. Diversa ancora è la situazione per esempio in Indonesia, dove i traumi subiti durante il maremoto stanno innalzando ancora il numero delle vittime.

 

D. – A quasi due settimane dal maremoto, quali sono le maggiori difficoltà che voi riscontrate nelle operazioni umanitarie sul terreno?

 

R. – Ci sono ancora delle grosse difficoltà logistiche a raggiungere tutte le zone colpite con facilità, in particolare le zone controllate dei Tamil, sia le strade, sia alcuni villaggi remoti. Le difficoltà sono ancora grosse. In Indonesia, in particolare, la cosa resta molto problematica. La possibilità poi di pensare ad uno sviluppo nel lungo periodo, con l’impegno da parte nostra di restare, se serve, con del personale per anni, questo penso possa dare un minimo di speranza a queste popolazioni.

 

D. – Quali sono le priorità di intervento in questa fase?

 

R. – Prima di tutto non bisogna dimenticare le fasce più vulnerabili: i bambini in particolare, le persone ferite con le loro varie tipologie di difficoltà, sul versante sanitario, ma anche su quello che da noi è molto importante, il versante psicologico, relazionale, il lato umano. Poi c’è tutto il discorso del ridare il lavoro ai papà e alle famiglie, del riavviare gli esercizi commerciali. Quindi, in seguito il riavviare la scolarizzazione dei figli e tutto quanto è necessario.

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IN OCCASIONE DELL’ODIERNA FESTA DEL NATALE ORTODOSSO

IL PATRIARCA ALESSIO II RICORDA LA STRAGE DI BESLAN

E CHIEDE AI FEDELI DI OGNI RELIGIONE DI UNIRSI PER LA PACE NEL MONDO

- Intervista con mons. Tadeusz Kondrusiewicz -

 

Oggi festeggiano la nascita del Bambino Gesù le Chiese ortodosse di Russia, Serbia, Georgia, Repubblica Ceca e Polonia che osservano il calendario giuliano. Le Chiese ortodosse di Grecia, Romania e Bulgaria, con il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, celebrano invece il Natale il 25 dicembre. Durante l’Angelus, Giovanni Paolo II ha rivolto ieri il suo “cordiale augurio di pace e letizia nel Signore” ai fratelli e alle sorelle delle Chiese orientali che celebrano oggi il Santo Natale. Il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Alessio II, ha diffuso il suo messaggio natalizio invitando i fedeli ortodossi e quelli di altre confessioni alla fratellanza e all’amore verso il prossimo. Ricordando la strage di Beslan, il Patriarca ha anche sottolineato come “davanti alla morte la maggior parte della gente abbia dato esempio di grande amore gratuito verso il prossimo”. Ma quali sono le caratteristiche del Natale ortodosso? Risponde l’arcivescovo della Madre di Dio a Mosca, mons. Tadeusz Kondrusiewicz, intervistato da Amedeo Lomonaco:

 

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R. – Gli ortodossi hanno il tempo di Avvento, il tempo di preparazione, del digiuno e della preghiera. Vivono il Natale quasi come noi. Siamo molto, molto vicini. Si celebra con grande affetto e la gente in Russia vive questa festa e questo giorno con grande felicità e con grande speranza.

 

D. – Come vivono gli ortodossi ed i russi, in particolare, questo Natale dopo un anno segnato, purtroppo, da eventi drammatici quali la tragedia di Beslan e il catastrofico maremoto che lo scorso 26 dicembre ha colpito il Sud-Est asiatico?

 

R. – La Chiesa ortodossa, la Chiesa cattolica e le altre Chiese, stanno pregando e continuano a pregare per le vittime sia di Beslan sia di altri attentati avvenuti a Mosca e in altre città russe. Una preghiera particolare è rivolta, in questi giorni,anche per le vittime della tragedia avvenuta nel Sud-Est asiatico. La nascita di Gesù è un segno della misericordia di Dio. Anche la Chiesa ortodossa, come le altre Chiese, vuole mostrare questo segno della Misericordia.

 

D. – La natività nella tradizione ortodossa viene rappresentata attraverso la luce e la luminosità. Quali oggi le speranze e gli spiragli di luce per l’uomo?

 

R. – C’è un grande bisogno di speranza. La speranza è quella di portare il Vangelo, la verità di Gesù, che ha aperto nuove speranze per tutti gli uomini, anche per i russi.

 

D. – Nell’iconografia ortodossa non esiste la rappresentazione del Presepe. La nascita di Gesù viene infatti considerata un evento talmente sacro da non poter essere rappresentato attraverso una mediazione umana. Negli ultimi tempi, però, in molte case non è comunque insolito trovare un piccolo presepe sotto l’albero …

 

R. – Il mondo cambia. E’ vero che nella tradizione ortodossa non esiste la rappresentazione del Presepe, ma è anche vero che gli ortodossi venerano l’icona, dove si presenta la nascita di Gesù. Il senso teologico rimane lo stesso. Ci sono certo alcune persone che hanno nelle loro case un piccolo presepe. Accanto alla cattedrale cattolica di Mosca c’è un grandissimo Presepio e ci sono sempre tantissimi bambini. Molti di loro non sono solo cattolici, ma anche ortodossi, non credenti. I bambini amano il Presepe.

 

D. – Dovendo descrivere una tipica famiglia russa in questo periodo di Natale, quale caratteristiche emergerebbero?

 

R. – Prima di tutto c’è da dire che il 25 per cento della popolazione russa vive in grande povertà. Nonostante queste difficoltà economiche, il popolo russo è sempre aperto al Vangelo. Le nostre Chiese non sono numerose, ma ci sono e durante il Natale erano pienissime. La stessa cosa accade durante le feste ortodosse. Questo è il segno che il popolo russo è alla ricerca di qualcosa di spirituale e non soltanto di cose materiali. Questo è certamente un nuovo segno, che arriva a circa 70 anni dalle persecuzioni. Il popolo russo ha bisogno di speranza.

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TESTIMONIARE IL VANGELO IN UN PAESE A MAGGIORANZA ISLAMICA:

E’ LA SFIDA DELLA PICCOLA COMUNITA’ CRISTIANA DI GIBUTI.

L’IMPEGNO PRIORITARIO E’ SUL FRONTE DELLA POVERTA’

- Intervista con mons. Giorgio Bertin -

 

Testimoniare il Vangelo in un piccolo Paese africano a stragrande maggioranza musulmana. E’ la sfida della minoranza cristiana di Gibuti, Paese posto all’estremità meridionale del Mar Rosso, stretto tra Etiopia, Eritrea e Somalia. A forte influenza francese, indipendente dal 1977, Gibuti ha una posizione geografica che lo rende luogo d’osservazione privilegiato per l’evoluzione socio-politica e religiosa in questa parte del continente africano. A Gibuti, la piccola comunità cattolica è guidata dal 2001, per la prima volta, da un vescovo non francese: mons. Giorgio Bertin, italiano, che è anche amministratore apostolico a Mogadiscio. Lucas Dùran lo ha intervistato:

 

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D. – Mons. Bertin, Gibuti con i suoi poco più di 700 mila abitanti rappresenta un piccolo Paese a stragrande maggioranza musulmana, anche se per quasi un secolo – dal 1884 al 1977 – la Francia vi ha imposto un Protettorato. Qual è il significato della presenza cattolica in questo Paese?

 

R. – Fin dall’inizio – fin dal 1885, data dell’arrivo dei primi missionari Cappuccini – la Chiesa ha capito che la sua testimonianza passava soprattutto attraverso due servizi: l’educazione e la sanità. Il rapporto con la gente, fin dall’inizio, è stato relativamente buono, nel senso che hanno visto e continuano a vedere che noi non esercitiamo una pressione, non facciamo quello che viene chiamato “proselitismo”. Siamo infatti convinti della nostra testimonianza cristiana, ma lo facciamo nel totale rispetto della popolazione.

 

D. – E’ cambiato qualcosa nelle relazioni tra cattolici e musulmani, negli ultimi anni?

 

R. – In questi ultimi anni, forse negli ultimi 7-8, c’è stata qualche infiltrazione di elementi fondamentalisti e a questo livello si trova certamente qualche difficoltà: qualche volta riceviamo degli insulti; altre volte ci guardano male. Ma l’atteggiamento più normale della popolazione di Gibuti è improntato – direi – a stima e all’accettazione della nostra presenza.

 

D. – In modo più specifico, quanti sono i religiosi presenti a Gibuti e in quali attività sono maggiormente impegnati?

 

R. – Siamo circa una quarantina di persone. Siamo impegnati soprattutto nel campo educativo, e dunque la scuola, nel campo sanitario e nel campo dello sviluppo e del soccorso, attraverso la Caritas Gibuti. Abbiamo anche cinque centri di alfabetizzazione, perché più della metà della popolazione è analfabeta e quindi se vogliamo combattere la povertà, dobbiamo combattere le radici della povertà che sono anzitutto rappresentate dall’ignoranza. Abbiamo diversi progetti: uno di essi riguarda la lotta contro le mutilazioni genitali femminili; ce ne è poi uno rivolto ai bambini della strada e un altro a favore dei bambini denutriti.

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INSIEME PER IL DARFUR: I BAMBINI AIUTANO I BAMBINI.

CONCERTO IERI SERA A ROMA NELLA BASILICA DI SANTA CROCE IN GERUSALEMME

- Intervista con padre Luca Zecchetto -

 

“Insieme per il Darfur” è il titolo del progetto di aiuto umanitario all’infanzia che l’Associazione Eleniana ed InterSos hanno elaborato per la martoriata regione africana. Il tradizionale concerto dell’Epifania che si è tenuto ieri sera a Roma nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme è stato dedicato dal coro “Le matite colorate” ai bambini del Darfur in favore dei quali verrà versato il ricavato della vendita di un CD. Sull’iniziativa sentiamo padre Luca Zecchetto nell’intervista di Stefano Leszczynski.

 

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R. – Il progetto ha una durata di sei mesi e noi cercheremo di impegnarci al meglio, affinché questa raccolta di fondi possa portare buoni frutti in una situazione – come quella in Darfur – drammatica. Certo, adesso l’attenzione è dedicata soprattutto alla grave situazione del Sud-Est asiatico, tuttavia anche quella del Sudan, un punto nevralgico dell’Africa, resta una crisi gravissima. Il Papa stesso continua a rammentarlo in numerosi appelli.

 

D. – L’Associazione di cui fate parte si richiama proprio ai contenuti di un appello del Papa: “Vietato chiudere gli occhi”…

 

R. – Sì, proprio le parole del Santo Padre nella Quaresima hanno dato impulso al Coro “Le matite colorate” per far nascere “Vietato chiudere gli occhi”, un forum permanente a sostegno dell’infanzia e che ha tra i suoi obiettivi proprio quello di elaborare progetti umanitari da attuare in collaborazione diretta con le ONG.

 

D. – Una dimensione importante: quella dell’iniziativa di bambini che operano in favore di altri bambini…

 

R. – E’ importante riuscire a recuperare l’energia, la forza e il cuore che hanno i bambini e soprattutto a coinvolgerli. I bambini sono i primi, di fronte alle grandi tragedie, a sentirsi chiamarti in causa, a chiedersi cosa possono fare. Il Coro “Le Matite Colorate” ha quindi deciso di chiedere proprio a loro di prestare la voce per quei bambini che non hanno più la voce, se non per gridare “Aiuto” all’umanità e a Dio. Questo canto che era proprio il canto degli schiavi neri che venivano deportati dall’Africa in America, “Khumba ya, my Lord” significa “Passa di qua, Signore”, perché c’è qualcuno che soffre, qualcuno che piange. E noi lo abbiamo ricantato…

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CHIESA E SOCIETA’

7 gennaio 2005

 

 

LE PERSONE SEMBRANO AVER PERSO LA SPERANZA.

E’ NOSTRO COMPITO CONFORTARLE E RESTITUIRE LORO LA GIOIA PER LA VITA.

QUESTO, IN SINTESI, L’APPELLO DEL VESCOVO DI MULLAITHIVU,

UNA REGIONE PROSTRATA DALLO TSUNAMI E DA 20 ANNI DI GUERRA CIVILE

 

COLOMBO. = “Dobbiamo dare una nuova speranza di vita a quanti sono scampati al maremoto”. Così mons. Joseph Rayappu, vescovo della diocesi di Mannar, nello Sri Lanka del nord, una delle zone più colpite dal disastro e non nuovo alle sofferenze. In 20 anni di guerre civili tra i ribelli Tamil e il governo di Colombo per il controllo della zona settentrionale del Paese, infatti, la popolazione civile ha subito il fuoco incrociato dei due schieramenti, il sequestro delle abitazioni e vive in uno stato di estrema povertà. Lo sforzo della Chiesa locale, riferisce l’agenzia Asianews, è immenso in una situazione di estrema crisi: a Mullaithivu lo tsunami ha spazzato via 25 villaggi e il 98 per cento delle case è andato distrutto. Circa 30 mila famiglie sono senza casa. La popolazione di Mullaithivu ha “perso ogni speranza”, spiega il presule, e i più disperati tentano addirittura di suicidarsi, perché hanno “perso tutto ciò che possedevano”. Ogni famiglia “ha una storia da raccontare” e ogni casa “piange uno o due morti”. Per questo la Chiesa locale si muove in due direzioni: distribuire scorte di cibo, medicinali e vestiti per far fronte ai bisogni materiali e inviare membri delle congregazioni religiose fra i sopravvissuti per confortarli. L’opera di assistenza e di aiuto è monitorata in prima persona dal vescovo di Mannar. La gente ha trovato rifugio nelle scuole costruite all’esterno dei villaggi, ma il 10 gennaio ricominceranno le lezioni e sarà necessario costruire alloggi di emergenza. Il presule sottolinea così che “la gente ha bisogno di aiuto per ricominciare a vivere e la casa è un’esigenza fondamentale da soddisfare, unita alla necessità di un lavoro, che è legato in gran parte alla pesca”. Un’attenzione particolare è dedicata ai bambini: mons. Joseph Rayappu ha chiesto ad ogni parrocchia di ospitarne almeno 20 e ha avviato la costruzione di una casa che ne possa accogliere altri. (B.C.)

 

 

PREGHIERA INTERRELIGIOSA

IN THAILANDIA PER LE VITTIME DELLO TSUNAMI.

PRESENTI DIVERSI ESPONENTI CATTOLICI, MUSULMANI E BUDDISTI

 

PHUKET. = Ieri a Phuket, in Thailandia, le litanie di migliaia di monaci buddisti e il tenue bagliore di oltre 10 mila candele hanno onorato la memoria delle vittime del maremoto, ringraziando quanti hanno dimostrato viva generosità per il lento cammino della ricostruzione. Alla cerimonia hanno partecipato cattolici, musulmani, buddisti, stranieri e thai, uniti in una preghiera comune per ricordare le anime di quanti sono morti nella tragedia che ha sconvolto il mondo intero. Durante la cerimonia sono state liberate più di 100 lanterne di carta illuminate, che simboleggiavano le anime dei defunti che salgono al cielo per trovare la pace. Tra i partecipanti c’erano diversi parenti delle vittime in lacrime per la perdita dei loro cari. Un monaco ha consolato i presenti, ricordando che la tragedia può essere il punto di partenza per un lento processo di guarigione dai mali e dalle ferite che segnano la terra. Padre Peter Pakpoom, della chiesa dell’Assunzione a Phuket, ha pregato perché le anime dei morti possano trovare la pace e i sopravvissuti abbiano la forza di ricominciare una nuova vita. L’imam Naren Rodnakrat ha sottolineato che i musulmani thailandesi e indonesiani sono stati duramente colpiti dallo tsunami, ma le sue preghiere erano rivolte a tutte le vittime di ogni religione, perché “sebbene il credo religioso sia diverso, la radice è comune per tutti”. Il venerabile Phra Dhammakittiwong, capo della comunità monastica buddista di Phuket, ha tenuto la preghiera finale della funzione: ha benedetto le anime dei morti e ha augurato forza di volontà e coraggio ai sopravvissuti per cominciare una nuova vita. (B.C.)

 

 

IL DISASTRO NEL SUD-EST ASIATICO

SEMBRA NON AVER ABBATTUTO L’INTOLLERANZA RELIGIOSA

NELLA PROVINCIA INDONESIANA DI ACEH. L’ARCIVESCOVO AUSILIARE DI MEDAN

SOTTOLINEA CHE I MUSULMANI DELLA REGIONE RIFIUTANO L’AIUTO DEI CATTOLICI

 

MEDAN. = Nella provincia indonesiana di Aceh, una tra le più colpite dal maremoto, ci sono difficoltà nel portare aiuti ai musulmani, perché “rifiutano gli aiuti provenienti dalla comunità cattolica e si affidano solo alle organizzazioni umanitarie musulmane”. La questione è stata illustrata all’agenzia missionaria Misna da mons. Anicetus Bongsu Antonius Sinaga, arcivescovo ausiliare di Medan, principale città dell’isola di Sumatra. “La guerriglia è sempre presente ad Aceh, ma in questi giorni è diminuita, vista la grave emergenza verificatasi nella zona”, ha spiegato il presule, aggiungendo che “per sicurezza è stato chiesto ai militari di fornire protezione alle persone inviate a Banda Aceh e in un’altra località della provincia in soccorso delle vittime”. L’arcivescovo non ha notizie di eventuali scontri tra governativi e guerriglieri, ma ha segnalato che i musulmani di Aceh, provincia di stretta osservanza islamica, “stanno rifiutando gli aiuti provenienti dalla comunità cattolica”. “Noi – ha proseguito mons. Sinaga – collaboriamo con le minoranze cinesi, buddiste e indù, mentre sussistono difficoltà con i musulmani, che però, così facendo, finiscono per non ricevere parte degli aiuti loro destinati”. Alla guerriglia del Movimento per Aceh libera (GAM), intanto, è stato rivolto un appello affinché la catastrofe causata dal maremoto diventi un’occasione per cessare del tutto la quasi trentennale attività antigovernativa. L’appello è stato rivolto in questi giorni alla ribellione, attraverso la stampa locale, da Alex Smasoebrata, dirigente dell’Organizzazione giovanile democratica indonesiana (GMD), movimento attivo nella regione. (B.C.)

 

 

GLI IMMIGRATI HANNO IL DIRITTO DI ESSERE RISPETTATI. COSI’ IERI

L’ARCIVESCOVO DI MILANO, IL CARDINALE TETTAMANZI, DURANTE LA MESSA

PER LA FESTA DEI POPOLI. ALL'INIZIO DELLA CELEBRAZIONE SONO STATE RICORDATE

 LE VITTIME DEL MAREMOTO CHE HA SCONVOLTO IL SUD-EST ASIATICO

 

MILANO. = “Soprattutto nei momenti di grande sfiducia, segnati talvolta da umiliazione profonda e carichi di insopprimibile indignazione, non dimentichiamo che gli occhi e il cuore del Signore sono sempre su di noi”. Lo ha sottolineato ieri l’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, durante la celebrazione dell’Epifania in Duomo, intervenendo, ancora una volta, sulla questione dell’immigrazione. Tutti hanno il diritto di essere rispettati, onorati, difesi, e amati, ha proseguito il porporato nel corso dell’omelia. “Lo dobbiamo dire con forza, ancora una volta – ha aggiunto – di fronte alle forme di discriminazione, e comunque di inadeguata considerazione, presenti nella nostra società, ed anche nella nostra città, nei riguardi degli immigrati”. “Sto pensando in questo momento – ha detto il cardinale Tettamanzi ai presenti – alle difficoltà che incontrate nella vostra vita quotidiana: quelle legate alle vostre condizioni economiche e sociali, non poche volte alla lontananza dei familiari, alla fatica di educare i figli, soprattutto i giovani, spesso messi a dura prova da un contesto culturale diverso da quello dei vostri Paesi, al vostro lavoro e al vostro cammino di integrazione in una città non sempre amica e solidale”. Davanti ad una situazione di precarietà, in una città spesso poco ospitale e dove l’integrazione è difficile, l’arcivescovo di Milano è andato oltre: “Sto pensando anche alle difficoltà morali e spirituali, e, dunque, a quelle che rendono più arduo il vostro sì al disegno di Dio e più faticosa la fedeltà alla legge di Dio e la coerenza con la fede, che costituisce la più bella eredità che vi è stata donata dalla Chiesa dei vostri padri”. Nel sottolineare il ruolo di importante testimonianza nella città e nella Chiesa degli immigrati, il cardinale ha concluso: “Amo pensare alla gioia della Chiesa milanese che viene raggiunta e arricchita dal bene di una fede semplice, viva e lietamente testimoniata dai popoli che vengono da lontano”. (B.C.)

 

 

CELEBRATA IERI A ROMA DALLA COMUNITA’ ORTODOSSA BULGARA

LA FESTIVITA’ DELL’EPIFANIA. IL RITO DELLA BENEDIZIONE DELL’ACQUA

SI E’ SVOLTO PRESSO LA FONTANA DI TREVI

- A cura del Programma Bulgaro -

 

ROMA. = Nella festività dell’Epifania, per la prima volta nella sua storia, la celebre Fontana di Trevi ha visto una celebrazione di rito greco-ortodosso: il getto della Croce nell’acqua secondo una antica tradizione ortodossa. Il gesto simbolico è stato compiuto da mons. Tihon, vescovo di Tiberiopol, vicario del Metropolita Simeone, responsabile della Chiesa ortodossa dell’Europa Centrale ed Occidentale, retta dal Patriarca Maxim. Il rito della benedizione dell’acqua ha avuto luogo dopo la divina liturgia, concelebrata con l’archimandita Viktor, nella chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio, donata dal Santo Padre alla comunità ortodossa bulgara di Roma per uso liturgico, durante il suo viaggio apostolico a Sofia nel 2002. Davanti a centinaia di turisti incuriositi ed un folto gruppo di fedeli bulgari, il vescovo ha pregato per la pace nel mondo, per la città di Roma, per la nazione italiana e per quella bulgara e per tutti i cristiani. Il vescovo Tihon ha anche ringraziato il Santo Padre per il dono della chiesa agli ortodossi “per poter celebrare nel nome dell’avvicinamento e dell’unione delle due Chiese”. Pregando anche per Giovanni Paolo II, il vescovo ha, infine, esortato i fedeli ad amarsi a vicenda e a mettere in pratica nella loro vita quotidiana lo spirito di questa festività. Il rito si è concluso con la benedizione dell’acqua in tre lingue – bulgaro, italiano e latino – ricordando che questo gesto simbolico, che viene compiuto contemporaneamente in tante altre comunità ortodosse, è un ponte che unisce i cristiani dell’Europa.

 

 

NELL’ANNO DELL’EUCARISTIA, DEDICARE IL MESE DI MAGGIO

ALLA PREGHIERA PER LE VOCAZIONI. E’ L’INIZIATIVA LANCIATA A CONCLUSIONE

DEL CONVEGNO ANNUALE DEL CENTRO NAZIONALE VOCAZIONI,

IN QUESTI GIORNI A ROMA

 

ROMA. = “Vivere il mese di maggio animando tutta l’Italia con l’adorazione eucaristica vocazionale”. Questa, in sintesi, l’iniziativa lanciata da mons. Benvenuto Italo Castellani, arcivescovo coadiutore di Lucca e presidente della Commissione episcopale per il Clero e la Vita consacrata, a conclusione del convegno annuale del Centro nazionale vocazioni. L’incontro, sul tema: “Il dinamismo vocazionale dell’Eucaristia nel giorno del Signore. Come?”, si è svolto in questi giorni a Roma. Mons. Castellani ha invitato gli oltre 700 tra direttori dei centri regionali e diocesani per le vocazioni, animatori, rettori, educatori e seminaristi, provenienti da tutta Italia, ad “inventare nuovi itinerari vocazionali specifici da offrire alle giovani generazioni” e ad “imboccare con decisione la strada dell’accompagnamento spirituale della comunità cristiana, in tutte le sue componenti”. Alla tre giorni dell’Urbe ha partecipato anche l’arcivescovo di Bari-Bitonto, mons. Francesco Cacucci. “La domenica – ha detto nell’occasione – è uno scrigno prezioso che protegge ciò che il cristiano ha di più caro e che ogni settimana il Risorto spalanca, perché il Mistero in esso custodito sia annunciato, celebrato e testimoniato”. “Non ha dimenticato – ha concluso il presule – soprattutto da voi operatori vocazionali, che la domenica è il centro della comunità cristiana perché costituisce un pressante invito settimanale ad innalzare l’esistenza cristiana al livello del Risorto”. (B.C.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

7 gennaio 2005

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco e Rita Anaclerio -

 

L’Iraq continua ad essere sconvolto dalla violenza: un nuovo agguato compiuto dalla guerriglia nel centro di Samarra ha causato la morte di due soldati iracheni e di un civile. A questo attacco bisogna anche aggiungere l’attentato costato ieri la vita, ad ovest di Baghdad, a sette soldati americani. Dopo questo ennesimo attacco contro le forze statunitensi, sale ad oltre 1500 il numero delle perdite americane nella guerra in Iraq e in Afghanistan. Cresce, intanto, l’ansia per la scomparsa della giornalista francese di Libération, Florence Aubenas, e del suo autista iracheno. In Iraq il governo ribadisce che le elezioni si terranno il prossimo 30 gennaio. Ma in Iraq c’è davvero il pericolo di uno slittamento delle elezioni? Giada Aquilino lo ha chiesto a Fuad Allam, editorialista del quotidiano La Repubblica:

 

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R. – Credo che le condizioni siano estremamente difficili, come è difficile avere un’immagine di elezioni che si svolgano in un quadro assolutamente pacifico: assistiamo all’esatto contrario. Ovviamente, in questa situazione ci si chiede fino a che punto il voto del 30 gennaio possa essere considerato valido, se non si ottengono nemmeno le condizioni minime di sicurezza.

 

D. – Il proseguimento delle violenze nelle zone a maggioranza sunnita che segnale rappresenta?

 

R. – Il messaggio è che comunque gli sciiti andranno al potere, rappresentando una maggioranza numerica, oltre il 65-67 per cento. Ciò rappresenta uno sconvolgimento totale del quadro politico iracheno e mediorientale e non dipende assolutamente dalla dittatura di Saddam Hussein. Per quattro secoli, durante l’impero Ottomano, gli sciiti non hanno mai avuto accesso al potere politico. Ecco perché è necessario fare di tutto per evitare che queste elezioni generino una società irachena di tipo etnico. Il rischio è di vedere ancora i sunniti contro gli sciiti. Bisogna quindi risolvere la questione sunnita, ma attraverso un equilibrio politico, un’ingegneria costituzionale: serve un metodo che permetta non soltanto al mondo sunnita di partecipare alla vita politica del Paese – ad esempio con incarichi ministeriali - ma soprattutto trasmetta l’idea che quella in costruzione non è una società che si divide in funzione di etnie e di confessioni religiose, ma è l’inizio di una nuova realtà irachena.

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La formazione di un governo di coalizione nello Stato ebraico e il provvedimento di fermo, poi revocato, nei confronti di un candidato alle prossime elezioni palestinesi. Sono i recenti sviluppi della situazione in Medio Oriente sui quali ci riferisce Amedeo Lomonaco:

 

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In Israele è stata firmata dai partiti del Likud e dei laburisti l’intesa per l’allestimento di una coalizione di governo di unità nazionale. In precedenza, il primo ministro dello Stato ebraico Ariel Sharon aveva siglato un accordo separato di coalizione con un partito religioso ortodosso e dispone ora di una maggioranza forte in Parlamento per realizzare il piano di disimpegno dalla Striscia di Gaza. Il nuovo esecutivo potrebbe ricevere già lunedì prossimo la fiducia dalla Knesset. Sharon ha anche ordinato al ministro della Difesa, Shaul Mofaz, di non incontrare più i dirigenti del movimento dei coloni che stanno organizzando una vasta protesta extraparlamentare per impedire il ritiro da Gaza previsto per giugno. Nei Territori, intanto, è stato prima arrestato e poi rilasciato da agenti israeliani uno dei sette candidati alle presidenziali palestinesi del prossimo 9 gennaio, Mustafa Barghuti. Il fermo era scattato perché secondo la polizia l’uomo ha violato le condizioni del permesso di ingresso nella città vecchia. In Medio Oriente è arrivato, inoltre, anche l’ex presidente americano Jimmy Carter alla testa di una missione di centinaia di osservatori incaricati di monitorare il risultato della consultazione. L’attuale presidente dell’OLP Abu Mazen, probabile successore di Yasser Arafat, ha dichiarato infine di essere pronto, in caso di vittoria, ad adoperarsi per la piena applicazione del processo di pace della road map.

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Negli Stati Uniti il Congresso ha completato il conteggio formale dei Grandi Elettori degli Stati dell’Unione e ha certificato l’avvenuta rielezione come presidente di Gorge Bush. Si è trattato di una normalità ma c’è stata anche una sorpresa. Il candidato democratico Kerry ha ottenuto 251 voti dai Grandi elettori, uno in meno del previsto perché una preferenza è stata data, a sorpresa, all’altro candidato democratico John Edwars.

 

Il primo ministro somalo, Ali Mohamed Gedi, ha annunciato a Nairobi la composizione del nuovo governo di transizione, formato da 47 ministri. Quello di oggi è il secondo passo per una ricostruzione di un Paese che dal 1991 è in mano ai “signori della guerra”. Il tentativo di formare un nuovo governo era già stato compiuto da Gedi lo scorso primo dicembre ma, dieci giorni dopo, la proposta è stata bocciata da una mozione di censura da parte del Parlamento. Secondo i parlamentari la formazione del governo era illegale perché non rispettava “il principio di una equa ripartizione del potere” tra i cinque clan principali della Somalia.

 

“Mio figlio è morto di Aids”. Così l’ex presidente sudafricano Nelson Mandela ha confermato la notizia del decesso di suo figlio Makgatho. Attivissimo nella lotta dell’Aids, Mandela ha detto che “non nascondere il virus è l’unico modo per farlo apparire come una malattia normale”.

 

Almeno otto persone sono morte e circa 200 sono rimaste ferite nello scontro tra due treni, avvenuto giovedì scorso negli Stati Uniti quando un treno merci e uno passeggeri, fermo nella stazione di Graniteville, si sono scontrati nel Sud Carolina.

 

In Bangladesh un incendio in un’azienda tessile, nei pressi di Dacca, ha causato la morte di almeno 21 persone. Non si conoscono le cause del rogo che si è sviluppato nella fabbrica mentre al meno 400 persone, in gran parte donne, erano sul loro posto di lavoro.

 

Incidente ferroviario in Italia sulla linea Bologna - Verona: due treni si sono scontrati poco fa nei pressi della stazione di Crevalcore provocando la morte di almeno 10 persone e diversi feriti. Lo hanno reso noto poco fa fonti della protezione civile precisando che si è trattato di una collisione fra un treno interregionale ed uno merci.

 

 

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