RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX
n.7 - Testo della trasmissione venerdì
7 gennaio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Dopo il vertice di Giakarta,
l’Unione Europea pianifica gli interventi umanitari. Sì del G7 ad una moratoria
sul debito estero dei Paesi colpiti dallo tsunami: con noi padre Ferdinando Severi, padre Carlo Velardo e Paolo Beccegato
CHIESA E SOCIETA’:
Preghiera interreligiosa ieri
in Thailandia per le vittime dello tsunami
Celebrata ieri a Roma dalla comunità ortodossa bulgara
la festività dell’Epifania
In Israele, firmata dal Likud e dai laburisti l’intesa per
l’allestimento di una coalizione di governo di unità nazionale.
Salgono a 1500 i morti USA nella guerra in Iraq e Afghanistan
Annunciata la formazione di un nuovo governo somalo
Italia: incidente ferroviario sulla Verona-Bologna: almeno 10 i
morti
7 gennaio 2005
NON DIMENTICARE I BAMBINI VITTIME DEL MAREMOTO E DELLA VIOLENZA
DEGLI UOMINI: SULL’APPELLO
DEL PAPA, ALL’ANGELUS NEL GIORNO DELL’EPIFANIA,
LA RIFLESSIONE DEL
NUNZIO NELLO SRI LANKA, MONS. MARIO ZENARI
Il mondo si mobiliti “per le
piccole vittime del maremoto in Asia”: questo l’accorato appello del Papa ieri
all’Angelus nella solennità dell’Epifania del Signore. Il Santo Padre ha poi
condannato con forza l’aberrante fenomeno dello sfruttamento e traffico dei
minori. Una piaga terribile che porta nuova sofferenza ai più deboli tra le
vittime dello tsunami. Sulle parole del Pontefice, ascoltiamo la
riflessione del nunzio in Sri Lanka, mons. Mario Zenari, raggiunto
telefonicamente a Colombo da Alessandro Gisotti:
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R. –
Sto seguendo la cosa, ho visto anche i vari comunicati del governo che sta
mettendo in guardia. Finora, non ho dati per poter affermare o negare, ma so
che il governo qui ha già preso provvedimenti per evitare il traffico di
bambini … purtroppo, le organizzazioni criminali non si arrestano nemmeno di
fronte a questa tragedia. Nei vari campi che ho visitato, si sta cercando di
iscrivere questi bambini rimasti separati dai genitori, che sono magari in
altri campi d’accoglienza, oppure che sono purtroppo rimasti orfani. Si sta
facendo un grosso lavoro per cercare di identificarli e, se possibile, di
riunirli ai genitori o ai parenti prossimi.
D. – Qual è la testimonianza che
ci può dare sui luoghi che ha visitato?
R. – M’ha colpito una chiesa
completamente distrutta: per fortuna, proprio quella domenica, il parroco aveva
dato appuntamento in una succursale, altrimenti probabilmente sarebbero perite
diverse centinaia di persone. Mi hanno colpito anche altre storie, di un altro
vice parroco che stava preparando i canti natalizi con 20 bambini: sono stati sorpresi
da quest’onda, scaraventati lontano, il parroco si è ritrovato su un albero ed
è rimasto appeso lì ad un ramo, si è salvato ma purtroppo i 20 bambini sono
periti. Ho visitato i vari campi: c’è urgenza di sistemare questa gente in
tende, perché le condizioni sanitarie di questi campi di accoglienza sono, dal
punto di vista sanitario, insufficienti. Ho incontrato i volti di tante mamme
che piangono i figli, ho incontrato gli occhi persi di bambini che hanno perso
i genitori …
D. – Con il Vertice di Giakarta
si tenta ora di mettere a punto la macchina degli aiuti umanitari. Quali sono
le sue aspettative?
R. – Visitando queste
popolazioni costiere, la comune riflessione era questa: molte di queste vittime
sono pescatori, e gli stessi pescatori dicono: “Dateci i mezzi per lavorare,
dateci una barca!”. Credo che si debba tenere in debita considerazione
l’atteggiamento volonteroso di questa gente!
**********
UDIENZE
Giovanni Paolo II ha ricevuto
questa mattina, in successive udienze, il vescovo Javier Echevarría Rodríguez,
prelato della Prelatura personale dell’Opus Dei, il cardinale vicario Camillo
Ruini con l’arcivescovo Luigi Moretti, vicegerente di Roma e i membri della
redazione di Rai-Vaticano, la struttura della Rai che si occupa delle celebrazioni
e dei viaggi del Papa.
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OGGI
SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina il titolo “Dalla Giornata dei bambini missionari alla Giornata
mondiale della gioventù in cammino per scoprire in Cristo il volto di Dio”:
nella solennità dell’Epifania il pensiero di Giovanni Paolo II torna alle
piccole vittime del maremoto in Asia e a tutti coloro che soffrono a causa
della fame, delle malattie, della guerra e della malvagità degli adulti.
Nelle
vaticane, dichiarazione dei capi delle Chiese dell’Iraq in occasione del Natale
e del Nuovo Anno.
Una
pagina dedicata alla celebrazione della solennità dell’Epifania nelle diocesi
italiane.
Nelle
estere, in evidenza il maremoto in Asia con un articolo dal titolo “Speranza in
un’azione mondiale di solidarietà”. Al vertice di Jakarta, l’ONU chiede subito
lo stanziamento di 977 milioni di dollari nei prossimi sei mesi per le
popolazioni colpite.
Nella
pagina culturale, un articolo di Irene Iarocci dal titolo “Una ‘finestra sul
cielo’ per incontrare il Mistero”: la “lettura” di un’icona della nascita di
Cristo proposta su un quotidiano giapponese.
Nelle
pagine italiane, in primo piano il maremoto in Asia. Il governo definisce il
piano di aiuti; restano 338 i dispersi.
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7 gennaio 2005
DOPO IL
VERTICE DI GIAKARTA, L’UNIONE EUROPEA PIANIFICA
GLI INTERVENTI UMANITARI. SI’ DEL G7 AD UNA
MORATORIA
SUL DEBITO ESTERO DEI PAESI COLPITI DALLO TSUNAMI.
IL TRAGICO BILANCIO DELLE VITTIME SUPERA ORA I 153
MILA MORTI
- Interviste con padre Ferdinando Severi, padre
Carlo Velardo e Paolo Beccegato -
Nel Sud-Est asiatico sale ad oltre 153 mila morti il bilancio delle
vittime dello tsunami. Dall’Indonesia allo Sri Lanka, i sopravissuti
piangono i propri cari, mentre la comunità internazionale è impegnata in uno
sforzo senza precedenti per aiutare le popolazioni colpite. Dopo il vertice
internazionale di Giakarta, che ha fatto il punto sull’organizzazione degli
aiuti, oggi il G7 - il gruppo dei Paesi più industrializzati del mondo - ha
accettato di applicare una moratoria sul debito estero dei Paesi colpiti dal
maremoto. Intanto, l’Unione Europea pianifica gli aiuti con un vertice
straordinario a Bruxelles. In studio, Alessandro Gisotti.
**********
Fare il possibile per affrontare l’emergenza, ma
progettare anche la ricostruzione del dopo-tsunami: è questo l’obiettivo
dell’odierno vertice europeo di Bruxelles. Si tratta del primo confronto
diretto sull’emergenza maremoto da parte dei ministri degli Esteri, della
Sanità e della Cooperazione dei Venticinque Stati membri dell’Unione Europea.
Il consiglio straordinario si tiene 24 ore dopo il summit internazionale di
Giakarta in cui sono stati tracciati i primi orientamenti per mettere a punto
la gigantesca macchina degli aiuti.
Con un pacchetto complessivo di 1,5 miliardi di
euro, l’Unione Europea resta al primo posto per il contributo destinato ad
affrontare l’emergenza umanitaria immediata. Dal canto suo, il G7 ha accettato
una moratoria del debito estero dei Paesi del Sud-Est asiatico colpiti dal
disastro naturale, secondo quanto reso noto da fonti del Tesoro britannico. Il
12 gennaio, la moratoria sarà all’esame del Club di Parigi, che riunisce i
Paesi creditori. Se approvata, potrà essere effettiva. I Paesi asiatici colpiti
dallo tsunami hanno complessivamente - secondo le ultime stime della
Banca Mondiale - un debito estero di 400 miliardi di
dollari, di cui una gran parte a carico dell'Indonesia, che da sola è
indebitata per oltre 132 miliardi.
Intanto, mentre il governo indonesiano
ha corretto al ribasso il bilancio delle vittime da 113 mila morti a 101 mila
morti, il primo gruppo di marine americani è atterrato oggi ad Aceh per dare il
via alle operazioni umanitarie nella zona maggiormente devastata dall’onda
anomala del 26 dicembre. Prosegue, inoltre, il viaggio diplomatico del
segretario di Stato americano, Powell, giunto oggi nello Sri Lanka dopo aver
visitato Thailandia e Indonesia. In tutta la regione resta altissima la tensione: nel Sud delle
Filippine, migliaia di abitanti di Pagadian hanno abbandonato nel panico le
loro case dopo un rapido e inconsueto ritiro del mare, che ha fatto temere
l’arrivo di uno tsunami.
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“Non ho mai visto una devastazione del genere”.
Parole del segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, che stamattina ha visitato
la regione più colpita dal maremoto: la provincia indonesiana di Aceh,
all’estremità settentrionale dell’isola di Sumatra. Tra i sopravvissuti alla
tragedia, c’è un missionario italiano. È
il padre francescano Ferdinando Severi, che al microfono di Andrea Sarubbi
racconta come sia riuscito a salvarsi:
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R. – Il giorno di Natale ho detto Messa a Banda Aceh e poi a mezzogiorno
mi sono recato con un autobus a Meulaboh, a 247 km da qui, dove ho detto Messa
la sera di Natale. Il mattino seguente, il 26, è cominciato il terremoto e dopo
20-40 minuti l’inondazione. Dopo il terremoto, avremmo dovuto dire alla gente
di scappare dalla città bassa e di rifugiarsi nella città alta, ricordando gli
insegnamenti scolastici su queste onde che, nelle zone costiere, seguono il
terremoto. Invece siamo andati in giro a vedere quali case erano cadute, quali
no, e quindi le ondate ci hanno colti impreparati, quando eravamo ancora nella
città bassa. Ci siamo messi tutti a correre verso la città alta, ma le onde
erano più veloci… per cui, ad un certo punto, ci siamo dovuti fermare e siamo
saliti su un’alta moschea. Lì abbiamo atteso che l’acqua salisse fino a tre
metri, e poi discendesse fino ad un metro. A quel punto, siamo scesi dalla moschea
ed abbiamo cominciato a camminare a guado nell’acqua, verso la parte alta della
città.
D. –
Non so se lo sa, ma il Suo nome ad un certo punto era nella lista dei dispersi.
Poi, l’ambasciata del Belgio ha detto che Lei era vivo e che era custodito in
una caserma della polizia. Era vero?
R. –
No, non è andata così. Per quattro giorni ho dovuto girare di casa in casa a
Meulaboh, dormire dai locali o dagli immigrati cinesi. Ad un certo punto, siamo
dovuti uscire dalla città, perché dicevano che l’acqua sarebbe aumentata
ancora, e ci siamo sistemati in una scuola, insieme ad un gruppo di poliziotti.
Poi, a mezzanotte, ci hanno portato in una zona più sicura, in montagna, ma la
casa era talmente piena di gente che non c’era posto neppure per sdraiarsi. Allora
sono andato in una casa di contadini, insieme ad un mio collaboratore
parrocchiale, ed ho dormito nel pollaio, accanto alle galline. Quindi sono
sceso a Meulaboh, e da lì ho saputo che in un’altra cittadina, ad un centinaio
di chilometri, c’erano dei piccoli aerei che portavano a Medan. Ne ho preso
uno, sono arrivato in città e finalmente ho potuto dare la notizia che ero
vivo.
D. – E
com’è la situazione adesso da voi ad Aceh? Stanno arrivando i soccorsi? Di cosa
avete bisogno?
R. – I
soccorsi sono moltissimi e sono una bella dimostrazione di solidarietà da parte
di tutta l’Indonesia e di tutto il mondo. Però gli aiuti sono sempre quelli:
vestiario, biscotti, riso … Altri generi alimentari - verdura e frutta, per
esempio - sono difficili da trovare. Ma soprattutto scarseggiano i macchinari
pesanti, le scavatrici: parti della città sono ancora sommerse dai detriti, e
sotto i detriti ci sono ancora molti corpi. Nel chiostro della nostra scuola
c’è una montagna di due metri di detriti, e scavando un pochino abbiamo già
trovato quattro cadaveri: ve ne saranno almeno una quindicina. E così in tutti
gli altri edifici. È difficile, quindi, stimare quanti siano i morti a Banda
Aceh.
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In
Thailandia, l’ultimo bilancio delle vittime è salito a quasi 5300 morti. La
metà sono turisti stranieri. Intanto, dopo la visita di Colin Powell, il
premier canadese Paul Martin ha annunciato che si recherà nel Paese asiatico
nei prossimi giorni. Sulla
situazione nella regione tailandese devastata dallo tsunami, la testimonianza
del missionario salesiano, padre Carlo Velardo, raggiunto telefonicamente in
Thailandia da Alessandro Gisotti:
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R. –
Innanzitutto, purtroppo, di superstiti non si parla più. La distruzione in
alcune zone, per esempio nella zona di Nanké, è totale. Abbiamo visitato una
zona in cui c’era una specie di baraccopoli di pescatori: non è rimasto niente.
La faccenda da seguire adesso è quella degli orfani: anche questo richiederà
tempo, perché ci sono tantissimi volontari, da ogni parte della Thailandia, tra
cui molti giovani, e anche dall’estero.
D. –
C’è anche un impegno interreligioso di fronte alla tragedia?
R. –
Sì, c’è un aspetto positivo molto interessante, che è questo: le nostre forze
religiose si sono messe in contatto con i monaci buddisti della zona, con gli
imam delle comunità musulmane della zona, e tutti hanno concordato un’azione
comune, non solo per alleviare le sofferenze immediate, quali cibo, tetto e
medicine, ma anche per alleviare la sofferenza morale che purtroppo ancora c’è
e che bisogna debellare!
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Tra le organizzazioni umanitarie più attive nel
portare aiuti alle popolazioni colpite dallo tsunami c’è la Caritas
Internationalis che attraverso la sua rete mondiale ha raccolto quasi 40
milioni di dollari in favore delle vittime del maremoto. Per un primo bilancio degli
interventi nelle zone colpite, Alessandro Gisotti ha intervistato Paolo
Beccegato, responsabile per l’area internazionale di Caritas Italia:
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R. – Se in India già i primi campi stanno
smobilitando e stiamo consegnando le prime strutture temporanee, che sono delle
tende molto robuste che permettono già ad alcune famiglie di riavvicinarsi ai
propri luoghi di provenienza, in Sri Lanka invece il numero degli sfollati è
ancora molto alto e anzi tende ad aumentare. Per cui è una situazione un
pochino più problematica, dove appunto le forniture di cibo, viveri, acqua
potabile per queste persone è ancora un problema molto grosso. Diversa ancora è
la situazione per esempio in Indonesia, dove i traumi subiti durante il
maremoto stanno innalzando ancora il numero delle vittime.
D. – A
quasi due settimane dal maremoto, quali sono le maggiori difficoltà che voi
riscontrate nelle operazioni umanitarie sul terreno?
R. –
Ci sono ancora delle grosse difficoltà logistiche a raggiungere tutte le zone
colpite con facilità, in particolare le zone controllate dei Tamil, sia le
strade, sia alcuni villaggi remoti. Le difficoltà sono ancora grosse. In
Indonesia, in particolare, la cosa resta molto problematica. La possibilità poi
di pensare ad uno sviluppo nel lungo periodo, con l’impegno da parte nostra di
restare, se serve, con del personale per anni, questo penso possa dare un
minimo di speranza a queste popolazioni.
D. –
Quali sono le priorità di intervento in questa fase?
R. –
Prima di tutto non bisogna dimenticare le fasce più vulnerabili: i bambini in
particolare, le persone ferite con le loro varie tipologie di difficoltà, sul
versante sanitario, ma anche su quello che da noi è molto importante, il versante
psicologico, relazionale, il lato umano. Poi c’è tutto il discorso del ridare
il lavoro ai papà e alle famiglie, del riavviare gli esercizi commerciali.
Quindi, in seguito il riavviare la scolarizzazione dei figli e tutto quanto è
necessario.
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IN OCCASIONE DELL’ODIERNA FESTA DEL NATALE
ORTODOSSO
IL
PATRIARCA ALESSIO II RICORDA LA STRAGE DI BESLAN
E
CHIEDE AI FEDELI DI OGNI RELIGIONE DI UNIRSI PER LA PACE NEL MONDO
- Intervista con mons.
Tadeusz Kondrusiewicz -
Oggi
festeggiano la nascita del Bambino Gesù le Chiese ortodosse di Russia, Serbia,
Georgia, Repubblica Ceca e Polonia che osservano il calendario giuliano. Le
Chiese ortodosse di Grecia, Romania e Bulgaria, con il patriarcato ecumenico di
Costantinopoli, celebrano invece il Natale il 25 dicembre. Durante l’Angelus,
Giovanni Paolo II ha rivolto ieri il suo “cordiale augurio di pace e letizia
nel Signore” ai fratelli e alle sorelle delle Chiese orientali che celebrano
oggi il Santo Natale. Il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Alessio II,
ha diffuso il suo messaggio natalizio invitando i fedeli ortodossi e quelli di
altre confessioni alla fratellanza e all’amore verso il prossimo. Ricordando la
strage di Beslan, il Patriarca ha anche sottolineato come “davanti alla morte
la maggior parte della gente abbia dato esempio di grande amore gratuito verso
il prossimo”. Ma quali sono le caratteristiche del Natale ortodosso? Risponde
l’arcivescovo della Madre di Dio a Mosca, mons. Tadeusz Kondrusiewicz,
intervistato da Amedeo Lomonaco:
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R. – Gli ortodossi hanno il
tempo di Avvento, il tempo di preparazione, del digiuno e della preghiera.
Vivono il Natale quasi come noi. Siamo molto, molto vicini. Si celebra con
grande affetto e la gente in Russia vive questa festa e questo giorno con
grande felicità e con grande speranza.
D. –
Come vivono gli ortodossi ed i russi, in particolare, questo Natale dopo un
anno segnato, purtroppo, da eventi drammatici quali la tragedia di Beslan e il
catastrofico maremoto che lo scorso 26 dicembre ha colpito il Sud-Est asiatico?
R. –
La Chiesa ortodossa, la Chiesa cattolica e le altre Chiese, stanno pregando e
continuano a pregare per le vittime sia di Beslan sia di altri attentati
avvenuti a Mosca e in altre città russe. Una preghiera particolare è rivolta,
in questi giorni,anche per le vittime della tragedia avvenuta nel Sud-Est
asiatico. La nascita di Gesù è un segno della misericordia di Dio. Anche la
Chiesa ortodossa, come le altre Chiese, vuole mostrare questo segno della
Misericordia.
D. –
La natività nella tradizione ortodossa viene rappresentata attraverso la luce e
la luminosità. Quali oggi le speranze e gli spiragli di luce per l’uomo?
R. –
C’è un grande bisogno di speranza. La speranza è quella di portare il Vangelo,
la verità di Gesù, che ha aperto nuove speranze per tutti gli uomini, anche per
i russi.
D. –
Nell’iconografia ortodossa non esiste la rappresentazione del Presepe. La
nascita di Gesù viene infatti considerata un evento talmente sacro da non poter
essere rappresentato attraverso una mediazione umana. Negli ultimi tempi, però,
in molte case non è comunque insolito trovare un piccolo presepe sotto l’albero
…
R. –
Il mondo cambia. E’ vero che nella tradizione ortodossa non esiste la
rappresentazione del Presepe, ma è anche vero che gli ortodossi venerano
l’icona, dove si presenta la nascita di Gesù. Il senso teologico rimane lo
stesso. Ci sono certo alcune persone che hanno nelle loro case un piccolo
presepe. Accanto alla cattedrale cattolica di Mosca c’è un grandissimo Presepio
e ci sono sempre tantissimi bambini. Molti di loro non sono solo cattolici, ma
anche ortodossi, non credenti. I bambini amano il Presepe.
D. –
Dovendo descrivere una tipica famiglia russa in questo periodo di Natale, quale
caratteristiche emergerebbero?
R. –
Prima di tutto c’è da dire che il 25 per cento della popolazione russa vive in
grande povertà. Nonostante queste difficoltà economiche, il popolo russo è
sempre aperto al Vangelo. Le nostre Chiese non sono numerose, ma ci sono e
durante il Natale erano pienissime. La stessa cosa accade durante le feste
ortodosse. Questo è il segno che il popolo russo è alla ricerca di qualcosa di
spirituale e non soltanto di cose materiali. Questo è certamente un nuovo
segno, che arriva a circa 70 anni dalle persecuzioni. Il popolo russo ha
bisogno di speranza.
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TESTIMONIARE IL VANGELO IN UN PAESE A MAGGIORANZA
ISLAMICA:
E’ LA SFIDA DELLA
PICCOLA COMUNITA’ CRISTIANA DI GIBUTI.
L’IMPEGNO PRIORITARIO E’
SUL FRONTE DELLA POVERTA’
- Intervista con mons.
Giorgio Bertin -
Testimoniare
il Vangelo in un piccolo Paese africano a stragrande maggioranza musulmana. E’
la sfida della minoranza cristiana di Gibuti, Paese posto all’estremità
meridionale del Mar Rosso, stretto tra Etiopia, Eritrea e Somalia. A forte
influenza francese, indipendente dal 1977, Gibuti ha una posizione geografica
che lo rende luogo d’osservazione privilegiato per l’evoluzione socio-politica
e religiosa in questa parte del continente africano. A Gibuti, la piccola
comunità cattolica è guidata dal 2001, per la prima volta, da un vescovo non
francese: mons. Giorgio Bertin, italiano, che è anche amministratore apostolico
a Mogadiscio. Lucas Dùran lo ha intervistato:
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D. –
Mons. Bertin, Gibuti con i suoi poco più di 700 mila abitanti rappresenta un
piccolo Paese a stragrande maggioranza musulmana, anche se per quasi un secolo
– dal 1884 al 1977 – la Francia vi ha imposto un Protettorato. Qual è il
significato della presenza cattolica in questo Paese?
R. –
Fin dall’inizio – fin dal 1885, data dell’arrivo dei primi missionari
Cappuccini – la Chiesa ha capito che la sua testimonianza passava soprattutto
attraverso due servizi: l’educazione e la sanità. Il rapporto con la gente, fin
dall’inizio, è stato relativamente buono, nel senso che hanno visto e
continuano a vedere che noi non esercitiamo una pressione, non facciamo quello
che viene chiamato “proselitismo”. Siamo infatti convinti della nostra
testimonianza cristiana, ma lo facciamo nel totale rispetto della popolazione.
D. –
E’ cambiato qualcosa nelle relazioni tra cattolici e musulmani, negli ultimi
anni?
R. –
In questi ultimi anni, forse negli ultimi 7-8, c’è stata qualche infiltrazione
di elementi fondamentalisti e a questo livello si trova certamente qualche
difficoltà: qualche volta riceviamo degli insulti; altre volte ci guardano
male. Ma l’atteggiamento più normale della popolazione di Gibuti è improntato –
direi – a stima e all’accettazione della nostra presenza.
D. –
In modo più specifico, quanti sono i religiosi presenti a Gibuti e in quali
attività sono maggiormente impegnati?
R. –
Siamo circa una quarantina di persone. Siamo impegnati soprattutto nel campo
educativo, e dunque la scuola, nel campo sanitario e nel campo dello sviluppo e
del soccorso, attraverso la Caritas Gibuti. Abbiamo anche cinque centri di
alfabetizzazione, perché più della metà della popolazione è analfabeta e quindi
se vogliamo combattere la povertà, dobbiamo combattere le radici della povertà
che sono anzitutto rappresentate dall’ignoranza. Abbiamo diversi progetti: uno
di essi riguarda la lotta contro le mutilazioni genitali femminili; ce ne è poi
uno rivolto ai bambini della strada e un altro a favore dei bambini denutriti.
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INSIEME PER IL DARFUR: I BAMBINI
AIUTANO I BAMBINI.
CONCERTO IERI SERA A ROMA NELLA BASILICA DI SANTA
CROCE IN GERUSALEMME
- Intervista con padre Luca Zecchetto -
“Insieme per il Darfur” è il titolo del progetto di
aiuto umanitario all’infanzia che l’Associazione Eleniana ed InterSos hanno
elaborato per la martoriata regione africana. Il tradizionale concerto
dell’Epifania che si è tenuto ieri sera a Roma nella Basilica di Santa Croce in
Gerusalemme è stato dedicato dal coro “Le matite colorate” ai bambini del
Darfur in favore dei quali verrà versato il ricavato della vendita di un CD.
Sull’iniziativa sentiamo padre Luca Zecchetto nell’intervista di Stefano
Leszczynski.
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R. – Il progetto ha una durata di
sei mesi e noi cercheremo di impegnarci al meglio, affinché questa raccolta di
fondi possa portare buoni frutti in una situazione – come quella in Darfur –
drammatica. Certo, adesso l’attenzione è dedicata soprattutto alla grave
situazione del Sud-Est asiatico, tuttavia anche quella del Sudan, un punto
nevralgico dell’Africa, resta una crisi gravissima. Il Papa stesso continua a
rammentarlo in numerosi appelli.
D. –
L’Associazione di cui fate parte si richiama proprio ai contenuti di un appello
del Papa: “Vietato chiudere gli occhi”…
R. –
Sì, proprio le parole del Santo Padre nella Quaresima hanno dato impulso al
Coro “Le matite colorate” per far nascere “Vietato chiudere gli occhi”, un
forum permanente a sostegno dell’infanzia e che ha tra i suoi obiettivi proprio
quello di elaborare progetti umanitari da attuare in collaborazione diretta con
le ONG.
D. –
Una dimensione importante: quella dell’iniziativa di bambini che operano in
favore di altri bambini…
R. –
E’ importante riuscire a recuperare l’energia, la forza e il cuore che hanno i
bambini e soprattutto a coinvolgerli. I bambini sono i primi, di fronte alle
grandi tragedie, a sentirsi chiamarti in causa, a chiedersi cosa possono fare.
Il Coro “Le Matite Colorate” ha quindi deciso di chiedere proprio a loro di
prestare la voce per quei bambini che non hanno più la voce, se non per gridare
“Aiuto” all’umanità e a Dio. Questo canto che era proprio il canto degli
schiavi neri che venivano deportati dall’Africa in America, “Khumba ya, my
Lord” significa “Passa di qua, Signore”, perché c’è qualcuno che soffre,
qualcuno che piange. E noi lo abbiamo ricantato…
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7 gennaio 2005
LE PERSONE
SEMBRANO AVER PERSO LA SPERANZA.
E’ NOSTRO COMPITO CONFORTARLE E RESTITUIRE LORO LA
GIOIA PER LA VITA.
QUESTO, IN SINTESI, L’APPELLO DEL VESCOVO DI
MULLAITHIVU,
UNA REGIONE PROSTRATA DALLO TSUNAMI E DA 20 ANNI
DI GUERRA CIVILE
COLOMBO. = “Dobbiamo dare una nuova speranza di
vita a quanti sono scampati al maremoto”. Così mons. Joseph Rayappu, vescovo
della diocesi di Mannar, nello Sri Lanka del nord, una delle zone più colpite
dal disastro e non nuovo alle sofferenze. In 20 anni di guerre civili tra i
ribelli Tamil e il governo di Colombo per il controllo della zona
settentrionale del Paese, infatti, la popolazione civile ha subito il fuoco incrociato
dei due schieramenti, il sequestro delle abitazioni e vive in uno stato di
estrema povertà. Lo sforzo della Chiesa locale, riferisce l’agenzia Asianews, è
immenso in una situazione di estrema crisi: a Mullaithivu lo tsunami ha
spazzato via 25 villaggi e il 98 per cento delle case è andato distrutto. Circa
30 mila famiglie sono senza casa. La popolazione di Mullaithivu ha “perso ogni
speranza”, spiega il presule, e i più disperati tentano addirittura di
suicidarsi, perché hanno “perso tutto ciò che possedevano”. Ogni famiglia “ha
una storia da raccontare” e ogni casa “piange uno o due morti”. Per questo la
Chiesa locale si muove in due direzioni: distribuire scorte di cibo, medicinali
e vestiti per far fronte ai bisogni materiali e inviare membri delle
congregazioni religiose fra i sopravvissuti per confortarli. L’opera di
assistenza e di aiuto è monitorata in prima persona dal vescovo di Mannar. La
gente ha trovato rifugio nelle scuole costruite all’esterno dei villaggi, ma il
10 gennaio ricominceranno le lezioni e sarà necessario costruire alloggi di
emergenza. Il presule sottolinea così che “la gente ha bisogno di aiuto per
ricominciare a vivere e la casa è un’esigenza fondamentale da soddisfare, unita
alla necessità di un lavoro, che è legato in gran parte alla pesca”.
Un’attenzione particolare è dedicata ai bambini: mons. Joseph Rayappu ha
chiesto ad ogni parrocchia di ospitarne almeno 20 e ha avviato la costruzione
di una casa che ne possa accogliere altri. (B.C.)
IN THAILANDIA PER LE VITTIME DELLO TSUNAMI.
PRESENTI DIVERSI ESPONENTI CATTOLICI, MUSULMANI E
BUDDISTI
PHUKET. = Ieri a Phuket, in Thailandia, le litanie
di migliaia di monaci buddisti e il tenue bagliore di oltre 10 mila candele
hanno onorato la memoria delle vittime del maremoto, ringraziando quanti hanno
dimostrato viva generosità per il lento cammino della ricostruzione. Alla
cerimonia hanno partecipato cattolici, musulmani, buddisti, stranieri e thai,
uniti in una preghiera comune per ricordare le anime di quanti sono morti nella
tragedia che ha sconvolto il mondo intero. Durante la cerimonia sono state
liberate più di 100 lanterne di carta illuminate, che simboleggiavano le anime
dei defunti che salgono al cielo per trovare la pace. Tra i partecipanti c’erano
diversi parenti delle vittime in lacrime per la perdita dei loro cari. Un
monaco ha consolato i presenti, ricordando che la tragedia può essere il punto
di partenza per un lento processo di guarigione dai mali e dalle ferite che segnano
la terra. Padre Peter Pakpoom, della chiesa dell’Assunzione a Phuket, ha
pregato perché le anime dei morti possano trovare la pace e i sopravvissuti
abbiano la forza di ricominciare una nuova vita. L’imam Naren Rodnakrat ha
sottolineato che i musulmani thailandesi e indonesiani sono stati duramente
colpiti dallo tsunami, ma le sue preghiere erano rivolte a tutte le vittime di
ogni religione, perché “sebbene il credo religioso sia diverso, la radice è
comune per tutti”. Il venerabile Phra Dhammakittiwong, capo della comunità
monastica buddista di Phuket, ha tenuto la preghiera finale della funzione: ha
benedetto le anime dei morti e ha augurato forza di volontà e coraggio ai
sopravvissuti per cominciare una nuova vita. (B.C.)
IL DISASTRO NEL
SUD-EST ASIATICO
SEMBRA NON AVER ABBATTUTO L’INTOLLERANZA RELIGIOSA
NELLA PROVINCIA INDONESIANA DI ACEH. L’ARCIVESCOVO
AUSILIARE DI MEDAN
SOTTOLINEA CHE I MUSULMANI DELLA REGIONE RIFIUTANO
L’AIUTO DEI CATTOLICI
MEDAN. =
Nella provincia indonesiana di Aceh, una tra le più colpite dal maremoto, ci
sono difficoltà nel portare aiuti ai musulmani, perché “rifiutano gli aiuti
provenienti dalla comunità cattolica e si affidano solo alle organizzazioni
umanitarie musulmane”. La questione è stata illustrata all’agenzia missionaria
Misna da mons. Anicetus Bongsu Antonius Sinaga, arcivescovo ausiliare di Medan,
principale città dell’isola di Sumatra. “La guerriglia è sempre presente ad
Aceh, ma in questi giorni è diminuita, vista la grave emergenza verificatasi
nella zona”, ha spiegato il presule, aggiungendo che “per sicurezza è stato
chiesto ai militari di fornire protezione alle persone inviate a Banda Aceh e
in un’altra località della provincia in soccorso delle vittime”. L’arcivescovo
non ha notizie di eventuali scontri tra governativi e guerriglieri, ma ha
segnalato che i musulmani di Aceh, provincia di stretta osservanza islamica,
“stanno rifiutando gli aiuti provenienti dalla comunità cattolica”. “Noi – ha
proseguito mons. Sinaga – collaboriamo con le minoranze cinesi, buddiste e
indù, mentre sussistono difficoltà con i musulmani, che però, così facendo,
finiscono per non ricevere parte degli aiuti loro destinati”. Alla guerriglia
del Movimento per Aceh libera (GAM), intanto, è stato rivolto un appello
affinché la catastrofe causata dal maremoto diventi un’occasione per cessare
del tutto la quasi trentennale attività antigovernativa. L’appello è stato
rivolto in questi giorni alla ribellione, attraverso la stampa locale, da Alex
Smasoebrata, dirigente dell’Organizzazione giovanile democratica indonesiana
(GMD), movimento attivo nella regione. (B.C.)
GLI
IMMIGRATI HANNO IL DIRITTO DI ESSERE RISPETTATI. COSI’ IERI
L’ARCIVESCOVO DI MILANO, IL CARDINALE TETTAMANZI,
DURANTE LA MESSA
PER LA FESTA DEI POPOLI. ALL'INIZIO DELLA
CELEBRAZIONE SONO STATE RICORDATE
LE VITTIME
DEL MAREMOTO CHE HA SCONVOLTO IL SUD-EST ASIATICO
MILANO. = “Soprattutto nei
momenti di grande sfiducia, segnati talvolta da umiliazione profonda e carichi
di insopprimibile indignazione, non dimentichiamo che gli occhi e il cuore del
Signore sono sempre su di noi”. Lo ha sottolineato ieri l’arcivescovo di
Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, durante la celebrazione dell’Epifania
in Duomo, intervenendo, ancora una volta, sulla questione dell’immigrazione.
Tutti hanno il diritto di essere rispettati, onorati, difesi, e amati, ha
proseguito il porporato nel corso dell’omelia. “Lo dobbiamo dire con forza,
ancora una volta – ha aggiunto – di fronte alle forme di discriminazione, e
comunque di inadeguata considerazione, presenti nella nostra società, ed anche
nella nostra città, nei riguardi degli immigrati”. “Sto pensando in questo
momento – ha detto il cardinale Tettamanzi ai presenti – alle difficoltà che
incontrate nella vostra vita quotidiana: quelle legate alle vostre condizioni
economiche e sociali, non poche volte alla lontananza dei familiari, alla
fatica di educare i figli, soprattutto i giovani, spesso messi a dura prova da
un contesto culturale diverso da quello dei vostri Paesi, al vostro lavoro e al
vostro cammino di integrazione in una città non sempre amica e solidale”.
Davanti ad una situazione di precarietà, in una città spesso poco ospitale e
dove l’integrazione è difficile, l’arcivescovo di Milano è andato oltre: “Sto
pensando anche alle difficoltà morali e spirituali, e, dunque, a quelle che
rendono più arduo il vostro sì al disegno di Dio e più faticosa la fedeltà alla
legge di Dio e la coerenza con la fede, che costituisce la più bella eredità
che vi è stata donata dalla Chiesa dei vostri padri”. Nel sottolineare il ruolo
di importante testimonianza nella città e nella Chiesa degli immigrati, il
cardinale ha concluso: “Amo pensare alla gioia della Chiesa milanese che viene
raggiunta e arricchita dal bene di una fede semplice, viva e lietamente
testimoniata dai popoli che vengono da lontano”. (B.C.)
CELEBRATA IERI A ROMA DALLA COMUNITA’ ORTODOSSA
BULGARA
LA FESTIVITA’
DELL’EPIFANIA. IL RITO DELLA BENEDIZIONE DELL’ACQUA
SI E’ SVOLTO PRESSO LA
FONTANA DI TREVI
- A cura del Programma
Bulgaro -
ROMA. = Nella festività
dell’Epifania, per la prima volta nella sua storia, la celebre Fontana di Trevi
ha visto una celebrazione di rito greco-ortodosso: il getto della Croce
nell’acqua secondo una antica tradizione ortodossa. Il gesto simbolico è stato
compiuto da mons. Tihon, vescovo di Tiberiopol, vicario del Metropolita
Simeone, responsabile della Chiesa ortodossa dell’Europa Centrale ed
Occidentale, retta dal Patriarca Maxim. Il rito della benedizione dell’acqua ha
avuto luogo dopo la divina liturgia, concelebrata con l’archimandita Viktor,
nella chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio, donata dal Santo Padre alla
comunità ortodossa bulgara di Roma per uso liturgico, durante il suo viaggio
apostolico a Sofia nel 2002. Davanti a centinaia di turisti incuriositi ed un
folto gruppo di fedeli bulgari, il vescovo ha pregato per la pace nel mondo,
per la città di Roma, per la nazione italiana e per quella bulgara e per tutti
i cristiani. Il vescovo Tihon ha anche ringraziato il Santo Padre per il dono
della chiesa agli ortodossi “per poter celebrare nel nome dell’avvicinamento e
dell’unione delle due Chiese”. Pregando anche per Giovanni Paolo II, il vescovo
ha, infine, esortato i fedeli ad amarsi a vicenda e a mettere in pratica nella
loro vita quotidiana lo spirito di questa festività. Il rito si è concluso con
la benedizione dell’acqua in tre lingue – bulgaro, italiano e latino –
ricordando che questo gesto simbolico, che viene compiuto contemporaneamente in
tante altre comunità ortodosse, è un ponte che unisce i cristiani dell’Europa.
NELL’ANNO
DELL’EUCARISTIA, DEDICARE IL MESE DI MAGGIO
ALLA PREGHIERA PER LE VOCAZIONI. E’ L’INIZIATIVA
LANCIATA A CONCLUSIONE
DEL CONVEGNO ANNUALE DEL CENTRO NAZIONALE
VOCAZIONI,
IN QUESTI GIORNI A ROMA
ROMA. = “Vivere il mese di
maggio animando tutta l’Italia con l’adorazione eucaristica vocazionale”.
Questa, in sintesi, l’iniziativa lanciata da mons. Benvenuto Italo Castellani,
arcivescovo coadiutore di Lucca e presidente della Commissione episcopale per
il Clero e la Vita consacrata, a conclusione del convegno annuale del Centro
nazionale vocazioni. L’incontro, sul tema: “Il dinamismo vocazionale
dell’Eucaristia nel giorno del Signore. Come?”, si è svolto in questi giorni a
Roma. Mons. Castellani ha invitato gli oltre 700 tra direttori dei centri
regionali e diocesani per le vocazioni, animatori, rettori, educatori e
seminaristi, provenienti da tutta Italia, ad “inventare nuovi itinerari
vocazionali specifici da offrire alle giovani generazioni” e ad “imboccare con
decisione la strada dell’accompagnamento spirituale della comunità cristiana,
in tutte le sue componenti”. Alla tre giorni dell’Urbe ha partecipato anche
l’arcivescovo di Bari-Bitonto, mons. Francesco Cacucci. “La domenica – ha detto
nell’occasione – è uno scrigno prezioso che protegge ciò che il cristiano ha di
più caro e che ogni settimana il Risorto spalanca, perché il Mistero in esso
custodito sia annunciato, celebrato e testimoniato”. “Non ha dimenticato – ha
concluso il presule – soprattutto da voi operatori vocazionali, che la domenica
è il centro della comunità cristiana perché costituisce un pressante invito
settimanale ad innalzare l’esistenza cristiana al livello del Risorto”. (B.C.)
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7 gennaio 2005
- A cura
di Amedeo Lomonaco e Rita Anaclerio -
L’Iraq continua ad essere sconvolto dalla violenza: un
nuovo agguato compiuto dalla guerriglia nel centro di Samarra ha causato la
morte di due soldati iracheni e di un civile. A questo attacco bisogna anche
aggiungere l’attentato costato ieri la vita, ad ovest di Baghdad, a sette
soldati americani. Dopo questo ennesimo attacco contro le forze statunitensi,
sale ad oltre 1500 il numero delle perdite americane nella guerra in Iraq e in
Afghanistan. Cresce, intanto, l’ansia per la scomparsa della giornalista
francese di Libération, Florence Aubenas, e del suo autista iracheno. In
Iraq il governo ribadisce che le elezioni si terranno il prossimo 30 gennaio.
Ma in Iraq c’è davvero il pericolo di uno slittamento delle elezioni? Giada
Aquilino lo ha chiesto a Fuad Allam, editorialista del quotidiano La
Repubblica:
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R. – Credo che le condizioni
siano estremamente difficili, come è difficile avere un’immagine di elezioni
che si svolgano in un quadro assolutamente pacifico: assistiamo all’esatto
contrario. Ovviamente, in questa situazione ci si chiede fino a che punto il
voto del 30 gennaio possa essere considerato valido, se non si ottengono
nemmeno le condizioni minime di sicurezza.
D. – Il proseguimento delle
violenze nelle zone a maggioranza sunnita che segnale rappresenta?
R. – Il messaggio è che comunque
gli sciiti andranno al potere, rappresentando una maggioranza numerica, oltre
il 65-67 per cento. Ciò rappresenta uno sconvolgimento totale del quadro
politico iracheno e mediorientale e non dipende assolutamente dalla dittatura
di Saddam Hussein. Per quattro secoli, durante l’impero Ottomano, gli sciiti
non hanno mai avuto accesso al potere politico. Ecco perché è necessario fare
di tutto per evitare che queste elezioni generino una società irachena di tipo
etnico. Il rischio è di vedere ancora i sunniti contro gli sciiti. Bisogna
quindi risolvere la questione sunnita, ma attraverso un equilibrio politico,
un’ingegneria costituzionale: serve un metodo che permetta non soltanto al
mondo sunnita di partecipare alla vita politica del Paese – ad esempio con
incarichi ministeriali - ma soprattutto trasmetta l’idea che quella in costruzione
non è una società che si divide in funzione di etnie e di confessioni
religiose, ma è l’inizio di una nuova realtà irachena.
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La
formazione di un governo di coalizione nello Stato ebraico e il provvedimento
di fermo, poi revocato, nei confronti di un candidato alle prossime elezioni
palestinesi. Sono i recenti sviluppi della situazione in Medio Oriente sui
quali ci riferisce Amedeo Lomonaco:
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In Israele è
stata firmata dai partiti del Likud e dei laburisti l’intesa per l’allestimento
di una coalizione di governo di unità nazionale. In precedenza, il primo
ministro dello Stato ebraico Ariel Sharon aveva siglato un accordo separato di
coalizione con un partito religioso ortodosso e dispone ora di una maggioranza
forte in Parlamento per realizzare il piano di disimpegno dalla Striscia di
Gaza. Il nuovo esecutivo potrebbe ricevere già lunedì prossimo la fiducia dalla
Knesset. Sharon ha anche ordinato al ministro della Difesa, Shaul Mofaz, di non
incontrare più i dirigenti del movimento dei coloni che stanno organizzando una
vasta protesta extraparlamentare per impedire il ritiro da Gaza previsto per
giugno. Nei Territori, intanto,
è stato prima arrestato e poi rilasciato da agenti israeliani uno dei sette
candidati alle presidenziali palestinesi del prossimo 9 gennaio, Mustafa Barghuti.
Il fermo era scattato perché secondo la polizia l’uomo ha violato le condizioni
del permesso di ingresso nella città vecchia. In Medio Oriente è arrivato, inoltre, anche l’ex presidente
americano Jimmy Carter alla testa di una missione di centinaia di osservatori
incaricati di monitorare il risultato della consultazione. L’attuale
presidente dell’OLP Abu Mazen, probabile successore di Yasser Arafat, ha
dichiarato infine di essere pronto, in caso di vittoria, ad adoperarsi per la
piena applicazione del processo di pace della road map.
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Negli Stati
Uniti il Congresso ha completato il conteggio formale dei Grandi Elettori degli
Stati dell’Unione e ha certificato l’avvenuta rielezione come presidente di
Gorge Bush. Si è trattato di una normalità ma c’è stata anche una sorpresa. Il
candidato democratico Kerry ha ottenuto 251 voti dai Grandi elettori, uno in
meno del previsto perché una preferenza è stata data, a sorpresa, all’altro
candidato democratico John Edwars.
Il primo ministro somalo, Ali Mohamed Gedi, ha annunciato
a Nairobi la composizione del nuovo governo di transizione, formato da 47
ministri. Quello di oggi è il secondo passo per una ricostruzione di un Paese
che dal 1991 è in mano ai “signori della guerra”. Il tentativo di formare un
nuovo governo era già stato compiuto da Gedi lo scorso primo dicembre ma, dieci
giorni dopo, la proposta è stata bocciata da una mozione di censura da parte
del Parlamento. Secondo i parlamentari la formazione del governo era illegale
perché non rispettava “il principio di una equa ripartizione del potere” tra i
cinque clan principali della Somalia.
“Mio figlio
è morto di Aids”. Così l’ex presidente sudafricano Nelson Mandela ha confermato
la notizia del decesso di suo figlio Makgatho. Attivissimo nella lotta
dell’Aids, Mandela ha detto che “non nascondere il virus è l’unico modo per
farlo apparire come una malattia normale”.
Almeno otto
persone sono morte e circa 200 sono rimaste ferite nello scontro tra due treni,
avvenuto giovedì scorso negli Stati Uniti quando un treno merci e uno
passeggeri, fermo nella stazione di Graniteville, si sono scontrati nel Sud
Carolina.
In
Bangladesh un incendio in un’azienda tessile, nei pressi di Dacca, ha causato
la morte di almeno 21 persone. Non si conoscono le cause del rogo che si è
sviluppato nella fabbrica mentre al meno 400 persone, in gran parte donne,
erano sul loro posto di lavoro.
Incidente ferroviario in Italia
sulla linea Bologna - Verona: due treni si sono scontrati poco fa nei pressi
della stazione di Crevalcore provocando la morte di almeno 10 persone e diversi
feriti. Lo hanno reso noto poco fa fonti della protezione civile precisando che
si è trattato di una collisione fra un treno interregionale ed uno merci.
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