RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
3 - Testo della trasmissione lunedì
3 gennaio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Lezioni
di teologia in un pub di Roma
Altre violenze e attentati in Iraq, mentre si avvicina l’appuntamento
elettorale del prossimo 30 gennaio. Scampato ad un attentato oggi a Baghdad il
premier ad interim Allawi
Si andrà al ballottaggio tra due settimane in Croazia per le elezioni
presidenziali. A scontrarsi il capo di Stato uscente Mesic e la vice-premier
Kosor
Svolta in Sudan: si firmerà il prossimo 9 gennaio l’accordo di pace
definitivo tra governo e ribelli dopo oltre 20 anni di guerra
3
gennaio 2005
LA
SOLIDARIETA’ MONDIALE, EMERSA CON PREPOTENZA
IN QUESTI GIORNI DEL
CATACLISMA ASIATICO,
UN VALORE CHE PUO’ GENERARE
UNA NUOVA CULTURA
A DIFESA DELLA SACRALITA’
DELLA VITA UMANA
- Intervista con il vescovo
Elio Sgreccia -
“Il concetto di creazione deve essere rimesso al centro
del pensiero e della cultura di oggi”. E’ una delle affermazioni con le quali
il vescovo Elio Sgreccia - da oggi, per nomina pontificia, nuovo presidente
della Pontificia Accademia per la Vita – commenta le parole di Giovanni Paolo
II all’Angelus di ieri, dedicate in gran parte alla tragedia del Sud-Est
asiatico. Parole che, oltre ad esprimere un atto di fede piena e totale nella
vicinanza di Dio all’uomo, anche “nelle prove più difficili e dolorose
dell’esistenza”, aprono alla speranza per il futuro e ribadiscono che la vita
umana resta comunque il bene più sacro da difendere in qualsiasi circostanza.
Il commento di mons. Sgreccia al nell’intervista di Alessandro De Carolis:
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R. – A
prima vista quello che è successo appare come una sconfitta della vita, una
sconfitta della scienza, perché con tutto il nostro progresso non si è neppure
fatto in tempo ad avvertire dell’imminente tragedia; una sconfitta delle forze,
anche della natura. Ma letto in profondità si può dire che anche nel momento
del dolore, anche nel momento della morte, la sciagura lascia aperte le porte
alla speranza, che coloro che sono morti sono nelle mani di Dio e lascia la
speranza aperta per chi rimane, nell’esercizio della carità e della
collaborazione per la ricostruzione.
D. – Il cataclisma asiatico ha
visto i bambini tra i più colpiti. Al dramma si aggiunge adesso anche l’ultima
barbarie: il commercio delle vite umane…
R. – Questo commercio delle vite
umane, che esisteva anche malamente prima di questa sciagura e che potrebbe
continuare anche con modi di adozione illeciti è un fatto che deve terminare
nel mondo. La nostra civiltà deve cancellare questa vergogna: la vergogna di
sopprimere gli innocenti, prima o dopo la nascita.
D. – Le zone spazzate via dal
maremoto erano per lo più povere. Come si difende la vita in mezzo ai
condizionamenti della miseria?
R. – Facendo trionfare la solidarietà.
L’unico segno bello che si vede in questo momento è un insorgere del sentimento
della solidarietà, che fa giungere aiuti da tutte le parti del mondo. Questo
può certamente generare una nuova cultura. Può generare un nuovo modo di essere
e di aiutarsi.
D. – Lei è stato ufficialmente
nominato oggi da Giovanni Paolo II presidente della Pontificia Accademia per la
Vita. Quali saranno le priorità del suo lavoro?
R. – La piaga dell’aborto, sulla
quale la Chiesa non può fare né acquiescenza né silenzi né compromessi. Ma ce
ne sono anche nuove, come la procreazione artificiale, come la clonazione, come
l’abuso della vita umana e dei bambini, l’eutanasia. Noi speriamo sempre che le
coscienze non disarmino e che si possa riaffermare il diritto alla vita, il
riconoscimento della dignità, l’accoglienza del malato e del morente.
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Oltre alla
nomina di mons. Elio Sgreccia a presidente della Pontificia Accademia per la
Vita, Giovanni Paolo II ha nominato cancelliere della medesima Accademia il sacerdote
mons. Ignacio Carrasco de Paula,
della Prelatura Personale dell'Opus Dei, professore ordinario di Bioetica nella
Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di
Roma e membro della stessa Accademia.
Istituita da Giovanni Paolo II
con il Motu Proprio Vitae mysterium dell’11
febbraio 1994, la Pontificia Accademia per la Vita ha la funzione di studiare
le problematiche connesse alla promozione e alla difesa della vita e di
informarne i responsabili della Chiesa e le organizzazioni sociosanitarie sui
temi della bioetica, in rapporto alle scienze mediche e alla legislazione
civile e politica attinenti alla vita e alla sacralità della persona umana. I
membri ordinari, previsti in numero di 70, sono nominati dal Papa sulla base della
loro professionalità e competenza, senza discriminazioni di tipo religioso o
nazionale. All’Accademia appartengono anche membri corrispondenti, nominati dal
Consiglio Accademico, che operano in Istituti e Centri di studio sulla cultura
della vita. Tutti gli accademici firmano l’“Attestazione dei Servitori della
Vita” e si impegnano ad agire in conformità al Magistero ecclesiale.
Collegata con vari Dicasteri
della Curia Romana, la Pontificia Accademia per la Vita è sostenuta
finanziariamente dalla Fondazione “Vitae mysterium”. E’ diretta dal presidente,
coadiuvato dal vicepresidente e da cinque accademici di nomina pontificia, che
compongono il Consiglio direttivo.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina il titolo "La pace è la nostra
missione": all'inizio del nuovo anno Giovanni Paolo II rinnova
dinanzi al mondo - ferito e sconvolto dalle molteplici manifestazioni del male
- l'impegno di tutta la Chiesa.
Nelle
vaticane, i Primi Vespri della Solennità di Maria SS. Madre di Dio e il
"Te Deum" presieduti dal Santo Padre nella Basilica Vaticana.
La
Santa Messa del primo gennaio 2005.
All'Angelus
del primo gennaio Giovanni Paolo II ha invocato l'intercessione della Regina della
pace affinché aiuti tutti a costruire insieme questo fondamentale bene della
convivenza umana.
All'Angelus
del 2 gennaio il Papa torna con il pensiero al dramma che ha colpito l'Asia e
ricorda che la fede ci insegna che anche nelle prove più difficili e dolorose
Dio non ci abbandona mai.
La
celebrazione della Giornata Mondiale della Pace nelle Diocesi italiane.
Nelle
estere, il consueto ragguaglio sulla tragedia consumatasi nel Sud-Est
dell'Asia. Le malattie incombono sui sopravvissuti. Il 5 gennaio Giornata di
lutto in Europa.
Nella
pagina culturale, d'apertura un articolo di Angelo Marchesi in ricordo di
Eugenio Garin.
L'intervista
di Maria Maggi al Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, Prof.
Nicola Cabibbo, in merito alle possibili misure per tentare di arginare gli
effetti di catastrofi naturali.
Nelle
pagine italiane, in primo piano la catastrofe in Asia; rintracciati novanta
degli italiani dati per dispersi.
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3
gennaio 2005
SUPERA LA SOGLIA DEI 144
MILA MORTI IL BILANCIO DEL MAREMOTO
NEL SUDEST ASIATICO. STENTA A DECOLLARE LA
MACCHINA DEGLI AIUTI
NONOSTANTE LA SOLIDARIETA’
INTERNAZIONALE.
PER KOFI ANNAN CI VORRANNO 10 ANNI PER LA
RICOSTRUZIONE
- A cura di Roberta
Gisotti -
“E’ il peggior disastro che
abbiamo mai affrontato”. Non nasconde le sue preoccupazioni il segretario generale
dell’ONU, Kofi Annan, in partenza oggi per Giakarta, dove parteciperà giovedì
al Vertice internazionale sugli aiuti alle vittime dei terremoti e maremoti,
che hanno colpito il 26 dicembre scorso 8 Stati del Sud e Sud Est asiatico e 3
dell’Africa orientale, tra cui la Somalia che da 2 morti oggi sale a 200.
Purtroppo non si arresta la drammatica conta delle vittime, che supera oggi la
cifra di 144 mila, e sono ancora decine di migliaia i dispersi e si stima 5
milioni gli sfollati. La cronaca degli ultimi avvenimenti nel servizio di
Roberta Gisotti:
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Lacrime e dolore attraversano il
mondo, mentre ogni Paese conta i suoi morti, e non abbandona la speranza di
trovare in vita i dispersi, ancora decine di migliaia, di cui si teme, ogni
giorno di più, la sorte. Lo Stato più colpito resta l’Indonesia con 94.081
vittime accertato, seguito dall’India salito a 15.160 morti e dallo Sri Lanka
con 30.196 persone uccise dal maremoto. Lo stesso Kofi Annan ammette: ancora
“non siamo in grado di valutare appieno le dimensioni” della catastrofe”. Annan
atteso oggi nella capitale dell’Indonesia, sosterà anche in Thailandia e Sri
Lanka e in altre località che saranno annunciate.
A Giakarta giovedì converranno i
leader dell’Asean, Associazione di dieci Paesi del Sud est asiatico, insieme a
Cina, India, Sri lanka, Giappone, Corea del Sud, Unione Europea, Stati Uniti, e
responsabili della Banca mondiale, della Banca dello sviluppo asiatico e
dell’organizzazione mondiale della sanità (OMS). “Per la ricostruzione – ha
detto il segretario generale dell’ONU – ci vorranno da 5 ai 10 anni”. L’ONU e i
Paesi donatori – ha aggiunto – devono agire con efficacia per assicurare che
ogni dollaro venga speso bene e che tutte le risorse vadano effettivamente a
coloro che ne hanno bisogno”. E c’è chi invoca un nuovo piano Marshall, messo
in atto dagli Stati Uniti per risollevare l’Europa dalle ceneri delle Seconda
guerra mondiale. Certo è che la macchina degli aiuti - ad 8 giorni dal nefasto
evento - fatica ad avviarsi. “Ora la necessità maggiore è salvare vite umane..
e poi distribuire i viveri”, ma la devastazione delle infrastrutture – ha
dichiarato Kofi Annan - rende ciò molto difficile. “Abbiamo bisogno – ha
aggiunto – di elicotteri, di camion e di controllori del traffico aereo in
grado di far partire e arrivare i cargo con le casse di aiuti”.
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Ed entriamo ora nel particolare
dei Paesi devastati dalla furia delle acque. Nello Sri Lanka questa mattina è
atterrato nell’aeroporto di Colombo un C-130 dell’Air Force. A bordo del cargo,
generi di prima necessità, medicinali ed anche un elicottero per la
distribuzione degli aiuti americani. Gli operatori umanitari sperano di
raggiungere, nei prossimi tre giorni, 700 mila persone ancora isolate.
Ascoltiamo la testimonianza del nunzio apostolico, mons. Mario Zenari, al
microfono di Francesca Sabatinelli:
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R. – Molti viaggiano con la
mascherina che copre la bocca e il naso, con il fazzoletto per coprirsi e
difendersi da questo odore che ormai sa di marcio, anche a causa degli animali
che imputridiscono. Vedo, però, anche tanta dignità. Credo che questa gente
abbia anche molta capacità di superare queste prove, essendo stata anche
provata in altre forme diverse maniere. Parlando poi con qualche sacerdote mi
ha detto che quando hanno dovuto mettere nelle fosse comune persone anche di
differenti religioni, qualche sacerdote cattolico ha invitato altri colleghi
appartenenti a differenti religioni – buddisti ed induisti – dicendo, madre
Natura ci ha accomunato tutti. Di fronte a madre Natura siamo tutti uguali e
dobbiamo quindi cominciare ad imparare a trattarci anche da fratelli, con
un’uguale dignità.
D. – Mons. Zenari, come si sta
intervenendo? Arrivano gli aiuti internazionali?
R. – La prima assistenza la
gente l’ha trovata nelle scuole, presso delle parrocchie, presso dei templi.
Gli aiuti internazionali sono ancora un po’ lenti ad arrivare, per tutta una
serie di situazioni tra cui i trasporti, l’arrivo della merce ed il controllo.
Speriamo che nei prossimi giorni la comunità internazionale possa dare un
valido contributo.
D. – In tutto il mondo è
scattata immediata una rete di fortissima solidarietà. Queste persone che hanno
perso tutto od anche chi non è stato colpito, ma vive in questi Paesi, si
stanno rendendo conto di come il mondo si stia riunendo intorno a loro?
R. – Sì, si stanno rendendo
conto e ne sono molto riconoscenti. Anche io lo ricordo a tutte le comunità che
visito e dico loro che c’è stata questa onda distruttrice, ma adesso c’è
un’altra onda, altrettanto forte o più forte ancora di solidarietà. E’ un’onda
che si spera possa continuare; un’onda lunga.
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Spostiamoci ora nel Paese con
maggior numero di vittime l’Indonesia, dove al dramma dei morti e di milioni di
senzatetto si aggiunge lo spaccato inquietante di un ventilato traffico di
bambini, che verrebbero rapiti per essere adottati illegalmente, o essere anche
venduti per attività di prostituzione, o perfino per l’espianto di organi; tra
questi vi sarebbe anche un piccolo svedese di 12 anni,
scomparso da un ospedale di Khao
Lak. La Polizia indonesiana ha comunque annunciato l’apertura di un’indagine.
Ma come sta reagendo la popolazione a questa catastrofe immane? Proprio ieri
dalla provincia di Aceh, nell’Isola di Sumatra, dove è concentrata la maggior
parte delle vittime, è rientrata una delegazione ecclesiale, composta – fra gli altri – dal nunzio
apostolico, mons. Albert Malcom Ranjith Patabendige, intervistato da Andrea
Sarubbi:
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R. – Abbiamo visto una scena sul
genere di “Armageddon”: tante case totalmente distrutte; edifici pieni di
immondizia e fango; edifici, anche di grandi dimensioni, abbattuti dal
terremoto, che ha fatto molti vittime, ancor prima dell’arrivo delle onde del
maremoto. Si continuano a trovare corpi: in queste montagne di immondizia e
detriti, ci sono altri corpi. Non è certo possibile cercare di rintracciare
tutti i corpi. Il governo sta quindi portando via queste montagne di detriti
per liberare le strade e portare tutto in zone fuori città.
D. – In queste province C’è un
po’ il feudo dei separatisti islamici. Questo rappresenta un problema per
l’opera di soccorso della Chiesa?
R. – Ci sono molti islamici, ed
organizzazioni governative e non governative stanno cercando di fare quello che
si può. La Chiesa cattolica sta cercando di integrarsi con questi gruppi e fare
ciò che è possibile fare attraverso gli aiuti che riceve sia da organizzazioni
della Caritas, sia dalle diocesi. Anche la Santa Sede ci ha mandato aiuti
attraverso Cor Unum e Propaganda Fides. In questo momento la gente ha bisogno
di acqua, di medicinali, di vestiti, di tende. Ci si è spostati nelle zone più
in alto della città, perché ancora si verificano delle scosse di assestamento.
C’è quindi anche la paura di ritornare.
**********
Si continua intanto a discutere
sulle responsabilità di un mancato intervento preventivo, che avrebbe potuto
ridimensionare una catastrofe che si è invece rivelata epocale. La Thailandia
in particolare sollecita oggi – per voce del suo ministro degli Esteri - la
creazione di un sistema di allerta sull’arrivo di Tsunami anche per riportare
la fiducia dei turisti in una regione che vive in gran parte di questa
attività. Più della metà delle oltre 5 mila vittime in Thailandia sono stati
proprio cittadini stranieri in vacanza. Il maremoto ha duramente colpito anche
villaggi di pescatori delle coste meridionali, nella baia di Pang-nga, come ci
riferisce Paolo Montaldi, responsabile di un progetto di Terre des Hommes,
raggiunto al telefono da Andrea Sarubbi
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R. – Diciamo che la parte più
toccata è stata la parte dei villaggi lungo la costa dell’Oceano Indiano. E’ lì
che ci sono state le distruzioni più grandi. E’ gente che ha subito anche un
trauma psicologico notevole, perché a memoria d’uomo non si erano verificati
eventi di questo tipo. Il mare adesso è diventato “una presenza sospetta” e non
più un alleato. Avremo, quindi, dei problemi nel momento in cui si tratterà di
affrontare, oltre a questo primo momento di emergenza, il problema della rilocazione:
molta gente, infatti, si domanda se e come i villaggi verranno in un futuro
ricostruito laddove si trovavano.
D. – I mass media non stanno
dando grande spazio all’emergenza in Thailandia, se non per quanto riguarda il
turismo. Pare quasi che l’unica preoccupazione del governo di Bangkok sia
quella di ricostruire gli alberghi…
R. –
Purtroppo tra quelli che sono stati colpiti, la Thailandia è considerato un
Paese non sottosviluppato e quindi è un po’ come dire “affari loro”. La realtà
dei fatti è che tutto l’impatto, il lavoro di prima assistenza e la ricerca dei
dispersi si è concentrato chiaramente sulle spiagge di Pukhet e Phi Phi, che
avrete ormai sentito fino alla nausea, mentre invece non si è visto nessuno
fuori da queste zone e nei villaggi. Quando quindi tra un 10-20 giorni sarà
finita la conta dei turisti dispersi e sarà ripresa l’opera di pulizia e
ricostruzione di questi villaggi non se ne dirà più niente, perché tutto
l’interesse sarà concentrato sull’Indonesia. Noi sappiamo già che ci troveremo
davanti una situazione di ‘dimenticatoio’.
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Anche l’Europa piange i suoi
morti e partecipa al dolore diffuso in tutto il Pianeta. Per questo ha deciso
di proclamare per il 5 gennaio prossimo una Giornata di lutto in tutto il
Continente, mentre si moltiplicano le iniziative di solidarietà per raccogliere
fondi. Supera di 240 milioni di euro la cifra finora messa a disposizione dai
25 Stati dell’Unione europea. In Italia forte emozione per il ritrovamento ieri
di 90 dispersi, per lo più in Thailandia e Sri Lanka. Intanto il dramma dei
familiari che non hanno avuto risposta dai loro cari continua. Il Paese europeo
più colpito dal maremoto, la Svezia, ha deciso di non fornire ulteriori
informazioni sul numero dei propri concittadini tuttora dispersi, per evitare
speranze o traumi ai familiari ed amici in Svezia. A tutt’oggi sono 2915 le
persone ritenute disperse e 52 quelle morte di cui è certa l’identità. Il
servizio di Vincenzo Lanza.
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L’Organizzazione svedese, “Redda
Barnen” Salva i bambini, denuncia oggi probabili casi di rapimenti di minori
svedesi ricoverati in ospedali in Sri Lanka o sbandati nelle foreste e nelle
zone disastrate. In queste zone starebbero agendo bande di criminali che
rapirebbero bambini per poi venderli a scopo di adozioni illegali o ancor
peggio per sottoporli a trapianto forzato di organi in ospedali dei Paesi
colpiti o addirittura dei Paesi occidentali.
La polizia svedese mette in
guardia anche su richieste di offerte di denaro e di aiuti da parte di
sciacalli che cercano con vari mezzi, primo fra tutti con messaggi internet, di
approfittare della generosità di tanti svedesi. Critiche vengono mosse
dall’opinione pubblica alla lentezza con la quale sono state prese azioni di
soccorso da parte delle varie autorità ed in particolare del governo svedese e
simili critiche vengono anche mosse ai rispettivi governi negli altri Paesi
nordici.
La gara di solidarietà degli
svedesi sta comunque superando qualsiasi record ed è stata raccolta fino ad
oggi una somma pari ad oltre 40 milioni di euro, e gli aerei che ritornano con
cittadini svedesi ripartono stracarichi di prodotti alimentari, medicinali,
tende ed ospedali da campo. Nelle scuole e nelle industrie si stanno
approntando unità di crisi con psicologi, psichiatri e religiosi per assistere
le persone che ritornano a scuola e al lavoro dopo la tragedia del sud est
asiatico.
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A CENTO ANNI DALLA
FORMULAZIONE DELLA TEORIA DELLA “RELATIVITA”’
DI ALBERT EINSTEIN, L’UNESCO PROCLAMA IL 2005 ANNO
MONDIALE DELLA FISICA
- Intervista con il prof. Antonino Zichichi -
Nel
centenario del 1905, annus mirabilis della fisica, che vide la
formulazione da parte di Albert Einstein della teoria della “Relatività ristretta”, dell’ipotesi
del “Quanto di luce” e del “Moto browniano”, l’UNESCO ha
proclamato il 2005 Anno mondiale della fisica. Molte le iniziative in programma
in tutto il mondo per offrire alla gente la possibilità di
familiarizzare con questa scienza, cogliendo la varietà dei fenomeni che essa
riesce a interpretare. Ma com’è cambiata la fisica nel corso degli ultimi 100
anni? Roberta Moretti lo ha chiesto al prof. Antonino Zichichi, presidente
della Federazione internazionale degli scienziati:
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R. – La fisica di questo secolo
è cambiata non tanto per la “Relatività”, quanto per la scoperta di Planck “il
continuo è pura illusione”, tutto ciò che esiste è fatto di pezzettini. Le
leggi fondamentali della natura sono quattro. Mentre Einstein si preoccupò
solamente di forze gravitazionali e di elettromagnetismo, in questo XX secolo
noi siamo passati dalle due leggi fondamentali note ad Einstein alla scoperta
di altre leggi fondamentali: le forze deboli, scoperte da Fermi, che sono la
valvola di sicurezza che fa funzionare il sole e le stelle, poi la forza di
natura subnucleare. Quindi, le grandi scoperte del XX secolo ci hanno portato
alle soglie del “supermondo”.
D. – Ecco, a proposito: quali
sono i grandi temi della fisica, ancora aperti?
R. – Sono di grande fascino,
perché noi abbiamo l’impressione di vivere in uno spazio a tre dimensioni. Poi
c’è il tempo, quindi in totale sono quattro dimensioni. In verità, in questo XX
secolo, a furia di seguire l’insegnamento galileiano, noi pensiamo che le
dimensioni non siano quattro: sono 43! Nasce così il “superspazio” e il
“supermondo”. Il “supermondo”, oggi, è una teoria formulata in modo
rigorosamente matematico alla quale manca però la prova sperimentale. Galilei
insegna che se una teoria non è corroborata dalla prova sperimentale, questa
non può entrare nel grande libro della scienza.
D. – Attraverso la fisica si può
scoprire Dio?
R. – No, perché l’infinito non
esiste nella realtà fisica; tutto ciò che esiste è “finito”. Quanto spazio c’è
nel mondo? 10 elevato a 29 centimetri, non è infinito! Quanti protoni ci sono?
10 elevato a 80: non è infinito! L’infinito non esiste nella realtà fisica, ma
esiste nell’immaginazione matematica. Ecco per quale motivo la scienza non
potrà mai “scoprire” Dio né mai la matematica potrà scoprire il teorema di Dio.
Perché se scoprisse il teorema di Dio, Dio sarebbe matematica. Ma Dio non è
matematica, è tutto!
D. – La scienza può aiutare
l’uomo a credere in Dio?
R. – Come insegna questo grande
Papa, la scienza nasce nell’immanente ma porta l’uomo verso il Trascendente.
Certo, noi scopriamo, grazie alla scienza, che non siamo figli del caos: noi
siamo figli di leggi fondamentali. Tutto ciò che esiste obbedisce ad una logica
rigorosa. Chi è l’autore di questa logica? Noi scienziati credenti diciamo:
“Dio”, coloro che sono atei dicono: “Nessuno”. Però, l’ateismo non è un atto di
ragione, come pretendono gli atei; è un atto di fede nel nulla mentre Dio è un
atto di ragione. La fede in Dio vince sulla fede nel nulla: questo insegna la
scienza.
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3
gennaio 2005
PER LA RICOSTRUZIONE NEL SUD-EST
ASIATICO IL DIALOGO INTERRELIGIOSO,
IN
PARTICOLARE CON LA COMUNITA’ MUSULMANA, È BASILARE.
E’ QUANTO EMERGE DALLA TESTIMONIANZA DI MOLTI MISSIONARI,
IN PRIMA
LINEA NEI PAESI COLPITI DAL MAREMOTO
PADANG/SIBOLGA.
= Il dialogo interreligioso, in particolare con l’Islam, è fondamentale per la
ricostruzione nel Sud-Est asiatico. E’ quanto emerge dalla testimonianza di
molti missionari, in questi giorni in prima linea per portare i soccorsi e
coordinare gli aiuti nei Paesi colpiti dal maremoto. “Ci vuole molta
delicatezza”, ha detto padre Vincenzo Baravalle, superiore regionale dei
missionari Saveriani in Indonesia, contattato dalla MISNA nella città costiera
di Padang. “La provincia di Aceh, nel nord di Sumatra – ha aggiunto – è una
zona musulmana molto osservante e alcune frange più radicali potrebbero
fraintendere la nostra opera. Non vogliamo assolutamente correre il rischio che
qualcuno pensi che la Chiesa voglia approfittare della situazione per allargare
la propria presenza”. La comunità cristiana sta lavorando a Sumatra a stretto
contatto con quella musulmana di Padang e di Sibolga, come ha detto alla MISNA
padre Barnabas, missionario cappuccino e amministratore apostolico della
diocesi di Sibolga: “Grazie a questa collaborazione riusciremo a operare ad
Aceh. Insieme alla comunità musulmana stiamo scrivendo una lettera, che
diffonderemo nei prossimi giorni, a tutta la popolazione di Sumatra, di
qualunque credo, nella quale chiediamo alla gente di lavorare insieme per
ricostruire e per aiutare gli altri”. Il missionario sottolinea che molti
aiuti, sia in denaro sia in beni di prima necessità, sono già arrivati dalle
varie diocesi indonesiane e dall’estero. A Sumatra, i problemi principali sono
pratici e logistici: “Fatta eccezione per le strade principali, la maggior
parte delle vie di comunicazione dell'isola è fuori uso”. “Capite dunque che
quella di coordinarci è una necessità primaria – ha aggiunto padre Barnabas -
anche per evitare che gli aiuti si concentrino solo su alcune zone, mentre
altre vengono abbandonate”. “E comunque - conclude il missionario - è
fondamentale programmare bene tutto, perché qui ci sarà bisogno di aiutare la
gente per molto, molto tempo”. (R.M.)
CINQUE
BAMBINI BRITANNICI DEVOLVONO IL RICAVATO DELLA VENDITA
DEI
LORO REGALI DI NATALE IN FAVORE DELLE POPOLAZIONI DEL SUD-EST ASIATICO.
È SOLO
UNA DELLE TANTE STORIE DI SOLIDARIETA’ IN TUTTO IL MONDO
LONDRA.
= La tragedia dell’onda devastatrice nel Sud-Est asiatico ha toccato il cuore
di tanta gente che ha voluto contribuire con piccoli gesti di solidarietà in
favore delle popolazioni colpite. Significativa è la storia dei cinque bambini
britannici che, decisi a fornire il loro piccolo aiuto, hanno venduto i regali
che avevano ricevuto a Natale, devolvendo il ricavato di 275 sterline al
Comitato per l’emergenza catastrofi che gestisce la raccolta delle donazioni.
Molti gli esempi di solidarietà anche in Italia, dove ieri sera, nella Cattedrale
di Lamezia Terme, il Coro polifonico di Comunione e Liberazione si è esibito
per raccogliere fondi a sostegno delle iniziative che l’AVSI, Associazione dei
volontari per il servizio internazionale, impegnato nel Sud-Est asiatico in
stretta collaborazione con le Nunziature locali di Sri Lanka e Thailandia. Ma
anche in America Latina la Chiesa cilena, accogliendo l’appello lanciato da
Giovanni Paolo II, ha indetto una colletta in tutte le parrocchie della
Nazione. La raccolta, in corso fino al 30 gennaio, avrà come giornata centrale
domenica 9 gennaio. Il ricavato sarà trasmesso alla Caritas Internationalis. Nello Sri Lanka la macchina degli
aiuti organizzata dai Salesiani ha già un primo concreto obiettivo: impastare
350 mila mattoni per la costruzione di case a ‘basso costo’ destinate a chi
nella zona di Negombo, lungo la costa occidentale, ha perso tutto. (R.M.)
“ISLAM ED EBRAISMO COME STRUMENTI DI PACE, DI
RICONOSCIMENTO E DI RISPETTO DEGLI ALTRI”. E’ IL TITOLO DEL PRIMO CONGRESSO
MONDIALE DEI RABBINI
E DEGLI IMAM PER LA PACE, IN CORSO A BRUXELLES
FINO AL 6 GENNAIO
BRUXELLES. = Creare programmi di
dialogo e di partenariato durevole tra Islam ed Ebraismo, sostenendo il
contributo dei leader religiosi nella ricerca e nell’attuazione di soluzioni pacifiche
ai conflitti. E’ questo lo scopo del primo Congresso mondiale dei rabbini e
degli imam per la pace, in corso a Bruxelles fino al 6 gennaio. L’iniziativa,
organizzata dall’Associazione internazionale per il dialogo interreligioso
«Hommes de parole» e sotto il patronato dei re del Belgio, Alberto II, e del
Marocco, Mohammed VI, si intitola: “Islam ed Ebraismo come strumenti di pace,
di riconoscimento e di rispetto degli altri”. Al convegno prendono parte oltre
duecento invitati, in massima parte responsabili ebraici e musulmani, docenti
universitari ed esponenti di associazioni per il dialogo interreligioso. Tra
gli esponenti cattolici, Jean Vanier, fondatore del movimento “Fede e Luce”,
Alberto Quattrucci della Comunità di Sant’Egidio, e il padre Christian Delorme,
autore del volume “Abbiamo tante cose da dirci. Cristiani e musulmani in
dialogo.” (R.M.)
LEZIONI DI TEOLOGIA IN
UN PUB DI ROMA. È L’INIZIATIVA IMPORTATA
DALL’AMERICA PER
OFFRIRE ALLA GENTE UN LUOGO ALTERNATIVO
DOVE CONFRONTARSI SU
TEMI DI FEDE E SPIRITUALITÀ
ROMA. =
Al via nei giorni scorsi nel pub romano “Bulldog Inn Rome” l’iniziativa
“Theology on Tap”, lezioni di teologia per offrire alla gente un ambiente
alternativo dove poter entrare in contatto con aspetti della fede a volte poco
conosciuti. “Theology on Tap" è nata a Chicago più di vent’anni fa,
diffondendosi con successo negli Stati Uniti. “Per questo ho pensato che fosse
un peccato che la comunità anglofona di Roma non ne potesse raccogliere i
benefici”, ha affermato Jennifer Cole, coordinatrice volontaria del progetto in
Italia. Nei due incontri tenuti fino a questo momento la partecipazione è stata
sorprendente: gente di tutti i tipi ha dimostrato di essere molto attratta da
argomenti riguardanti la fede e la spiritualità. Nel primo incontro è stato
affrontato il tema “Was there a Mrs. Jesus: cracking the Da Vinci Code”, in cui
padre John Wauck, dell’Opus Dei, ha analizzato attentamente il bestseller di
Dan Brown in cui si parla di una presunta relazione fra Gesù e Maria Maddalena.
La settimana successiva, il tema del dibattito si è incentrato sulle elezioni
papali. Ad affrontare l’argomento è stato lo scrittore e giornalista del
“National Catholic Reporter”, John Allen, autore fra le altre cose di
“Conclave” and “All the Pope’s Men”. (R.M.)
GRANDE
AFFLUENZA DI PUBBLICO IN GIAPPONE AGLI SPETTACOLI DEL GEN VERDE,
ESPRESSIONE
ARTISTICA DEL MOVIMENTO DEI FOCOLARI, IN TOURNÉE NELLA TERRA DEL SOL LEVANTE SU
INVITO DEL MOVIMENTO BUDDISTA RISSHO KOSEI-KAI
TOKYO.
= Tokyo, Nagasaki, Hiroshima, Osaka, Fukuoka, Nagoya e Nagano. Queste, le tappe
della tournée giapponese dal Gen Verde, espressione artistica del movimento dei
Focolari, conclusasi nei giorni scorsi. L’invito è partito dal movimento
buddista giapponese Rissho Kosei-Kai (RKK), sulla base del profondo dialogo
intessuto dal 1979 con Chiara Lubich e i Focolari nel Paese. Il Gen Verde ha
allestito in giapponese “Prime Pagine”, un ‘teatro musicale’ che ripercorre la
storia del movimento dei Focolari, alla scoperta del Vangelo, per realizzare il
testamento di Gesù: “Padre, che tutti siano uno”. Ai 9 spettacoli del Gen Verde
nella terra del Sol Levante hanno assistito circa 17 mila persone, mentre sono
stati oltre 2 mila i partecipanti ai “Koriukai”, gli incontri di dialogo
fissati tra uno spettacolo e l’altro. Tra le iniziative, anche un
incontro-spettacolo per 215 universitari su invito delle suore salesiane, e
incontri con l’arcivescovo di Nagasaki e con il vescovo di Hiroshima. Il tour è
stato un’occasione per entrare in contato diretto con la cultura giapponese e
conoscere da vicino i bisogni del Paese, come ha detto Paola Stradi del Gen
Verde: “Cerchiamo di fare nostre le sofferenze passate, la tragedia della bomba
atomica e le sue conseguenze a Nagasaki e Hiroshima, dove abbiamo invitato il
pubblico a cominciare con un momento di silenzio per la pace”. “Tra le
sofferenze presenti – ha concluso la Stradi – un tifone particolarmente
violento e il terremoto a Niigata ci hanno spinto a fare degli spettacoli un
gesto di solidarietà concreta per questa gente così provata”. (R.M.)
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3
gennaio 2005
- A cura
di Barbara Castelli -
Il premier iracheno Iyad Allawi è scampato questa
mattina ad un attentato nei pressi del quartier generale del suo partito,
l’Intesa Nazionale Irachena. Lo ha riferito un alto funzionario, precisando che
il primo ministro ad interim non era presente al momento della deflagrazione. E
mentre nel resto del Paese la ribellione semina il terrore, su un sito Internet
l’Armata islamica in Iraq ha promesso di portare la battaglia anche sul suolo
americano. Il servizio di Barbara Castelli:
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In Iraq è partito il conto alla rovescia per le
elezioni generali del prossimo 30 gennaio, ma la violenza resta una sanguinosa realtà.
Un kamikaze ha fatto esplodere questa mattina un’autobomba a Baghdad, nei
pressi della sede centrale del partito del premier Iyad Allawi, provocando la
morte di tre persone e il ferimento di altre 25, in gran parte poliziotti. Il
primo ministro sciita ad interim sta bene: al momento dell’attentato, infatti,
non era nella sede dell’Intesa Nazionale Irachena. Una seconda autobomba,
esplosa nella parte ovest della capitale, vicino alla Zona Verde, ha ucciso
quattro guardie nazionali irachene e ferito altre 14. Altri sei agenti hanno
perso la vita a Tikrit, città natale dell’ex dittatore Saddam Hussein,
nell’esplosione di due ordigni. Un agente è stato ucciso poi a Tallafar, città
sunnita a ovest di Mossul, mentre altri due hanno perso la vita per mano di
ignoti miliziani sunniti a Baiji, che è sede, tra l’altro, della principale
raffineria nazionale per la lavorazione del greggio destinato all’esportazione.
Anche la giornata di ieri nel Paese del Golfo è stata contrassegnata dal lutto.
Scontri a fuoco e attentati hanno lasciato sul terreno almeno quaranta morti.
Tra questi, diciotto membri della guardia nazionale sono stati uccisi vicino a
Balad, 70 km a nord della capitale, in un attentato rivendicato dal gruppo di
Abu Mussad Zarqawi, considerato il capo di al Qaida in Iraq. L’Armata islamica
in Iraq, intanto, ha minacciato di allargare lo spettro degli attentati sul
suolo americano con il nuovo anno. La formazione armata, una delle più
agguerrite e sanguinarie della resistenza attiva nel Paese arabo, è responsabile,
tra l’altro, della barbara eliminazione di numerosi ostaggi, tra i quali anche
il giornalista italiano Enzo Baldoni. Difficoltà anche sul fronte politico. Il
principale partito sunnita iracheno, dopo aver proclamato il boicottaggio delle
elezioni generali del 30 gennaio, ha minacciato di rigettare la nuova
costituzione, che sarà redatta dall’assemblea che uscirà dalla tornata
elettorale. Si tratta, dunque, di un nuovo colpo per le speranze di coinvolgere
tutte le componenti dell’Iraq nella vita politica democratica del Paese.
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La violenza ha seminato vittime anche in
Afghanistan. Un soldato americano è stato ucciso e altri tre suoi commilitoni
sono rimasti feriti in una imboscata nella provincia centrale di Kunar. Lo ha
riferito oggi il comando statunitense. L’attacco è scattato con l’esplosione di
ordigni al passaggio di una pattuglia, cui sono seguiti colpi d’arma leggera.
Ieri un altro soldato americano e un civile afghano sono stati uccisi nella
provincia di Herat, nell’ovest del Paese.
Scontri fra militari e coloni
israeliani sono avvenuti stamani nella zona di Yitzhar, presso Nablus, in
Cisgiordania, dove l’esercito cerca di impedire la costituzione di un avamposto
illegale. Intanto, è iniziata davanti alla Knesset a Gerusalemme una
manifestazione di massa ad oltranza organizzata dai coloni, nel tentativo di
sventare il ritiro da Gaza, il cui voto del governo – ha reso noto il premier
israeliano, Ariel Sharon - sarà anticipato a gennaio. Un militante di Hamas è
stato ucciso dal fuoco di militari nella cittadina di Beit Hanun, a nord di
Gaza, mentre tentava di sparare un razzo anticarro contro di loro. Sul fronte
politico, il ministro degli Esteri della Turchia, Abdulah Gul, sarà impegnato
domani in una visita ufficiale in Israele per incontrare, tra gli altri, il
presidente Moshé Katzav e il primo ministro, Ariel Sharon.
La Croazia ieri alle urne per
eleggere il nuovo presidente, per la scelta del quale si profila un ballottaggio
tra il capo di Stato uscente, Stipe Mesic, e la vice premier, Jandranka Kosor.
Ormai dimenticati gli anni bui della guerra civile in ex Jugoslavia negli anni
’90, dal confronto uscirà il nome di chi guiderà il Paese per i prossimi cinque
anni nel processo di adesione all’Unione Europea e alla Nato. Ce ne parla
Emiliano Bos:
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Stando
alle percentuali che gli attribuisce la Commissione elettorale, il presidente
Mesic ha solo sfiorato la maggioranza assoluta e tra due settimane dovrà andare
al ballottaggio contro Jandranka Kosor, la candidata della comunità democratica
croata, il partito conservatore del primo ministro, Yvor Sanader, che ha
ottenuto il 20 per cento dei consensi. Bassa l’affluenza alle urne: ha votato
poco più della metà dei quattro milioni e mezzo di elettori. I primi exit-poll
di ieri sera assegnavano la vittoria al presidente Mesic, attribuendo, invece,
il secondo posto al candidato indipendente Mixic, un imprenditore che fece
fortuna negli Stati Uniti, mentre in Croazia si combatteva la sanguinosa guerra
che incendiò i Balcani tra il ’91 e il ’95. Tutti gli aspiranti alla massima
carica dello Stato hanno, comunque, confermato il proprio impegno a collaborare
con il Tribunale Penale per l’ex Jugoslavia. A dimostrazione che gli anni bui
del passato sono ormai alle spalle, ieri i croati, per la prima volta sono
andati alle urne senza la supervisione di osservatori elettorali dall’estero.
Per la
Radio Vaticana, Emiliano Bos.
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Settimana
cruciale per il Sudan, dove governo e ribelli del sud hanno appena sottoscritto
i protocolli d’intesa per la pace. L’accordo definitivo – che dovrebbe essere
firmato domenica prossima – porrà fine ad una guerra in corso da 21 anni. Ce ne
parla Giulio Albanese:
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Migliaia di sudanesi hanno accolto come eroi i
membri della delegazione sudanese al loro ritorno nella capitale Khartoum. I
sostenitori del governo – radunati nel quartier generale del Congresso
Nazionale – hanno inscenato danze e balli al suono dei tamburi per festeggiare
la fine di una guerra che ha provocato oltre due milioni e mezzo di morti e
quattro milioni tra sfollati e rifugiati. In base all’intesa, le popolazioni
del Sudan meridionale voteranno fra sei anni in un referendum
sull’autodeterminazione. Nell’immediato è prevista la formazione di un governo
di coalizione, un processo di decentralizzazione del potere, un sistema di
spartizione dei proventi del petrolio, che rappresentava la vessata e
tormentata questione nel negoziato, e l’integrazione della struttura militare
del Paese tra ribelli e governativi. Intanto, sabato, in un discorso al
Parlamento, in occasione del 49.mo anniversario dell’indipendenza del Sudan
dalla dominazione britannica, il presidente Omar al-Beshir si è impegnato a
rispettare lo storico accordo con la guerriglia del sud e di procedere alla
ricostruzione di tutte le zone di guerre. Quanto al referendum che si terrà fra
sei anni, al-Bashir ha sottolineato che non è detto che verrà scelta la via
della secessione. Gli accordi in via di definizione non interessano la regione
occidentale del Darfur, ma Garang, leader dei ribelli del Movimento Popolare di
Liberazione del Sudan (SPLA), ha promesso che si impegnerà personalmente nel
trovare una soluzione negoziale anche nella tormentata regione del Sudan
occidentale.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Ancora
alta la tensione in Burundi. 46 ribelli e tre soldati sono rimasti uccisi ieri
nel corso di furibondi combattimenti scoppiati a Nyabiraba, 25 chilometri a Sud-Est
della capitale Bujumbura, dopo una vasta operazione delle truppe governative
contro postazioni dei guerriglieri delle Forze di Liberazione Nazionale. L’FNL
sono l’ultima formazione insurrezionale armata ancora operante nel piccolo
Stato africano, reduce da una guerra civile che in undici anni ha mietuto oltre
trecentomila morti.
In
Perù, dopo 48 ore di forte tensione, l’ex maggiore Antauro Humala ha presentato
un piano che prevede la consegna oggi a mezzogiorno – le 18 ora italiana –
delle armi da parte dei riservisti che hanno occupato il commissariato di
Andahuaylas, nel sud del Paese, tenendo in ostaggio 10 agenti. Gli assalitori,
che hanno anche ucciso 5 agenti, reclamano le dimissioni del presidente
peruviano, Alejandro Toledo, e dei membri del suo governo, accusati di
“corruzione generalizzata”.
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