RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
2 - Testo della trasmissione domenica
2 gennaio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETÀ:
Iraq in preda alla violenza. Attentato della guerriglia a Balad:
muoiono 21 persone
Presidenziali in Croazia. Favorito il presidente uscente Mesic.
2 gennaio 2005
ANCHE
NELLE PROVE PIU’ DIFFICILI, DIO NON CI ABBANDONA MAI:
ALL’ANGELUS,
NELLA PRIMA DOMENICA DEL 2005,
IL
PENSIERO DEL PAPA VA, ANCORA UNA VOLTA,
ALLE
POPOLAZIONI DEL SUD EST ASIATICO, COLPITE DAL MAREMOTO
- Servizio di Alessandro Gisotti -
La fede ci insegna che anche nelle prove più dolorose, come la tragedia
che ha colpito il sud est asiatico, “Dio non ci abbandona mai”. Così, Giovanni
Paolo II, all’Angelus in una piazza San Pietro gremita, nella prima domenica
del 2005, ha ribadito che il messaggio evangelico dà fondamento alla speranza e
ha invocato Maria a fare nostro questo “programma di vita”. Il servizio di Alessandro
Gisotti.
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Non abbandonare mai la speranza, giacché Dio non ci abbandona mai.
All’Angelus domenicale, il Papa ha rinnovato la sua vicinanza alle popolazioni
afflitte dal maremoto ed ha sottolineato come nel mistero del Natale, Dio è
“venuto a condividere la nostra esistenza”.
La fede poi ci insegna che anche nelle prove più difficili e dolorose, -
come nelle calamità che hanno colpito nei giorni scorsi il Sud-Est Asiatico -,
Dio non ci abbandona mai.
“Il Verbo di Dio – ha detto il
Santo Padre – è la Sapienza eterna, che opera nel cosmo e nella storia”.
Sapienza “che nel mistero dell’Incarnazione si è rivelata pienamente, per instaurare
un regno di vita, di amore e di pace”. Il Bambino di Betlemme, ha affermato, è
“Colui che, alla vigilia della sua morte redentrice, ci lascerà il comandamento
di amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amato”. Proprio “nell’attuazione
concreta di questo “suo” comandamento”, ha aggiunto il Papa, Egli “fa sentire
la sua presenza”. Parole corredate da una viva esortazione:
Questo messaggio evangelico dà
fondamento alla speranza di un mondo migliore a condizione che camminiamo nel
“suo” amore.
All’inizio del nuovo anno, ha così invocato la Madre del Signore
affinché ci aiuti “a fare nostro questo programma di vita”. Dopo l’Angelus, il
Santo Padre ha rivolto un saluto speciale ai partecipanti ai festosi cortei dei
Re Magi, radunatisi in Piazza San Pietro. Quindi, ha rinnovato a tutti i fedeli
gli auguri di pace e di bene per l’anno appena iniziato.
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VINCERE IL MALE CON LE ARMI DELL’AMORE PER
PROMUOVERE LA PACE,
“NOSTRA COMUNE MISSIONE”.
L’ESORTAZIONE DEL PAPA, NELLA GIORNATA MONDIALE
DELLA PACE, IERI PRIMO GENNAIO,
SUSCITA PROFONDE RIFLESSIONI
E UN VIVACE CONFRONTO DI IDEE
- Con noi, mons. Bruno
Forte, Adnan Mokrani e Lisa Palmieri -
“Vincere il male con le armi dell’amore diviene il modo con cui ciascuno
può contribuire alla pace di tutti”. Le parole di Giovanni Paolo II - nella
messa del 1.mo gennaio, 38.ma Giornata mondiale della pace - hanno avuto una
vasta eco non solo tra i cattolici. Il Papa ha esortato cristiani e credenti di
religioni diverse a camminare insieme per promuovere la pace, “nostra comune
missione”. Ieri, sono state numerose le iniziative, che hanno raccolto il messaggio
del Pontefice. Ad Assisi, come è tradizione, si è pregato per la pace nella
Basilica Inferiore di San Francesco. A Milano, la Comunità di Sant’Egidio ha
promosso un momento di preghiera in piazza Duomo. Ancora, una fiaccolata ha
attraversato il centro storico di Palermo per lanciare un messaggio di pace e
solidarietà. Pace, dunque, valore universale per antonomasia. Ma per una
riflessione sul significato particolare della pace nel Cristianesimo,
ascoltiamo il teologo mons. Bruno Forte, vescovo di Chieti Vasto, intervistato
da Paolo Ondarza:
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R. – Dunque, dico subito che
cosa la pace non è. La pace non è il semplice equilibrio delle forze, dunque la
pace imposta attraverso l’uso della violenza o il principio dell’incutere
paura; una simile pace non è capace di durare, produce violenza su violenza. La
vera pace è quella che si costruisce attraverso la giustizia, il dialogo e il
reciproco perdono.
D. – Le religioni insieme
possono contribuire all’edificazione di una pace comune?
R. – Certamente sì. In questo
senso dobbiamo prendere le distanze in maniera convinta dalla tesi di Samuel
Huntington, nel suo libro sullo scontro tra le civiltà, che cioè il secolo XXI
dovrà essere inevitabilmente il secolo dello scontro delle civiltà dove, per
civiltà, Huntington intende soprattutto i mondi religiosi ad esse sottesi. E
qui ancora una volta è proprio Giovanni Paolo II che ha avuto un grande merito:
attraverso il suo impegno forte, coraggioso per la pace, ha mostrato
chiaramente al grande mondo dell’Islam che l’Occidente che muove guerra al
terrorismo usando però le armi e la violenza proprie della guerra, non si
identifica tout court con il cristianesimo. In questo modo rende, agli occhi
dell’Islam, possibile un incontro e favorisce nell’ambito del mondo dell’Islam
proprio quell’anima non fondamentalista che esiste e può essere potenziata
proprio da un atteggiamento di dialogo e di ricerca comune della giustizia.
D. – Tuttavia, resta difficile a
volte conciliare testimonianza e diffusione della propria religione con il
rispetto delle idee altrui. Quale il giusto equilibrio?
R. – Quello che esiste tra
dialogo e proclamazione. Il dialogo nasce dal rispetto dell’altro, dalla disponibilità
ad offrire con generosità il tesoro che abbiamo nel cuore e che ci viene donato
da Dio con la fede, ma anche a ricevere i valori positivi che nell’altro
possono esistere. La proclamazione è il coraggio di annunciare sempre, a tutti
– come dice l’Apostolo – a tempo e fuori tempo, il dono meraviglioso che ci è
stato fatto con la fede in Gesù Cristo.
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Come
sottolineato da mons. Bruno Forte, il valore della pace appartiene a tutti gli
uomini: sul suo significato nella religione musulmana Paolo Ondarza ha raccolto
la riflessione di Adnan Mokrani, teologo di religione islamica:
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R. – La
pace, nella religione musulmana, è Dio stesso. Ci sono 99 nomi divini di Dio, e
tra questi Dio è pace. Non è pacifico, ma è pace.
D. – La
pace è anche una condizione interiore, per la vostra religione?
R. –
Sì. Se uno vive in crisi, in difficoltà interiore non può fare la pace con gli
altri.
D. – La
diffusione e la testimonianza della propria fede come si concilia con il
rispetto delle idee altrui?
R. – Il
pluralismo religioso è voluto da Dio, che ci ha creati diversi: di colore, di
cultura, di religione ... questa è la natura stessa della Creazione. Dunque,
accettiamo il pluralismo, la diversità e questo significa accettare la volontà
di Dio. Queste guerre che si fanno nel nome di Dio, in verità non sono nel suo
nome, ma sono nel nome dell’ego!
D. –
Secondo lei, perché in tanti vengono attratti dall’appello alla “guerra santa”?
R. – E’
una facile giustificazione! Uno che vuole commettere crimini, cerca sempre di coprire
la sua vera intenzione con degli slogan ...
D. –
Quindi, potremmo dire che chi parla di “guerra santa” parla di una menzogna?
R. –
Sì. Perché ognuno di noi interpreta e capisce la propria religione secondo lo
stato del suo cuore. Se il cuore è pieno di egoismo, di peccati, cerca una interpretazione
che serva questo egoismo.
D. – In
che modo, secondo lei, oggi le religioni possono essere un valido strumento per
l’edificazione della pace nel mondo?
R. –
Con una vera conversione alla volontà di Dio: evitare tutte le strade che
creano conflitti tra gli uomini ...
D. – La
tutela della pace si accompagna anche al rispetto della dignità dell’essere umano?
R. –
Sì, certo. Credere in Dio significa anche credere nell’uomo che è stato creato
ad immagine di Dio. Uno che si dichiara credente e non crede nei diritti umani,
è una grande contraddizione interna alla fede!
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Il rispetto dell’uomo nella sua
interezza è quindi la stella polare di ogni sforzo teso alla pace. Sul significato
della pace nell’ebraismo, Paolo Ondarza ha intervistato la giornalista ebrea
Lisa Palmieri:
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R. –
“Shalom” significa completezza, complementarietà, pienezza. Nell’ebraismo, per
guarire il mondo ci vuole non soltanto Dio, ma anche l’uomo. Per noi, per
esempio, l’età messianica arriverà soltanto quando l’uomo ha già preparato la
pace in terra. C’è un detto ebraico: “Se vedi che arriva il Messia ma stai
piantando un albero, finisci prima di piantare l’albero e poi vai a salutare il
Messia”.
D. – Come conciliare
nell’ebraismo il sostenere una propria convinzione religiosa con l’accettazione
di idee diverse?
R. – C’è un salmo che dice che
alla fine dei tempi saliremo tutti sul monte Sion, ognuno con il suo Dio, e noi
con il nostro, cioè è tutto conciliabile.
D. – Oggi assistiamo a conflitti
portati avanti in nome di Dio ...
R. – Non dimentichiamo il
comandamento “Non nominare il nome di Dio invano”: in questo caso è giusto dire
che si usa il nome di Dio invano, perché è una blasfemia dire che è Dio che
vuole la guerra ...
D. – Parlando di pace per
l’ebraismo, non si può dimenticare il conflitto in Terra Santa ...
R. – Questo momento, forse, è un
momento molto favorevole perché c’è da ri-inventare tutto. C’è Israele che fa
un governo di unità nazionale, ci sono le elezioni in Palestina ... credo che
ci sia la volontà molto forte da tutte e due le parti di trovare una soluzione.
In Medio Oriente non c’è il bene contro il male, ci sono due popoli che hanno
tutti e due ragione e tutti e due torto. Bisogna scendere ad un compromesso,
per la pace. L’Europa può fare molto, in questo senso.
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2 gennaio 2005
E’ SALITO A QUASI 130 MILA MORTI IL BILANCIO DELLE
VITTIME DEL MAREMOTO
CHE UNA SETTIMANA FA HA INVESTITO DIVERSI PAESI
DELL’OCEANO INDIANO.
CONTINUA LA GARA DI SOLIDARIETA’ INTERNAZIONALE
PER LE AREE DISASTRATE.
ATTESI IN THAILANDIA E INDONESIA IL SEGRETARIO DI
STATO AMERICANO, POWELL,
E IL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU, ANNAN
- Con noi padre Silvano Laurenzi, Maurizio Blondet
e padre Giandomenico Mucci -
Continua ad aggravarsi, nei Paesi colpiti domenica scorsa dalla furia
dello tsunami - dal sud-est asiatico all’Africa orientale - il bilancio
globale delle vittime. Secondo i dati forniti dalle diverse autorità
governative e sanitarie, si sfiora ormai un totale di 130 mila morti. Si
tratta, in sostanza, di un dato sempre più vicino alle tragiche previsioni
avanzate dalle Nazioni Unite, secondo cui nel complesso si giungerà a non meno
di 150 mila persone uccise. Al devastante maremoto è seguita, tuttavia, un’onda
di solidarietà da tutto il mondo. Il segretario di Stato americano, Colin
Powell, è partito alla volta della Thailandia e dell’Indonesia, dove giovedì,
invece, giungerà il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. Il servizio di
Barbara Castelli:
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Ad una settimana dal devastante
maremoto che ha travolto diversi Paesi che si affacciano sull’Oceano Indiano,
prosegue la terribile contabilità delle vittime. L’India oggi ha rivisto
fortemente al rialzo il proprio bilancio, annunciando che i morti, o presunti
tali, sono 14.488, e che l’aumento è da attribuirsi al numero di dispersi nelle
isole Andamane e Nicobar. Anche Colombo ha dovuto rivedere le cifre e ora si
parla di 29.729 morti accertati. Proprio nello Sri Lanka, dove secondo il
ministero della Difesa i ribelli Tamil hanno dato alle fiamme un campo profughi
dove si sono rifugiate 60 famiglie scampate al maremoto, forti piogge e nuove
inondazioni stanno ostacolando drammaticamente le operazioni di soccorso e le
consegne di aiuti in molte zone. Colpita dalle piogge tropicali anche la provincia
di Aceh, in Indonesia. In Thailandia, dove è in corso da stamani una riunione
tra il primo ministro, Taksin Shinawatra, e le autorità locali per coordinare
le azioni di soccorso, migliaia di persone sono state date per disperse in un
grosso villaggio di pescatori del sud del Paese. La solidarietà internazionale,
intanto, continua a lenire il dolore di quanti sono stati colpiti dalla
sciagura. Gli svedesi hanno donato quasi 400 milioni di corone, pari a 44,3
milioni di euro, una cifra record per il Paese scandinavo, duramente colpito
dalla catastrofe con 59 morti e 3.500 dispersi.
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Elicotteri americani, intanto,
hanno iniziato oggi ad evacuare profughi indonesiani dalla costa occidentale
del nord di Sumatra, inaccessibile ai soccorsi via strada dal maremoto di
domenica scorsa. La portaerei statunitense Abraham Lincoln partecipa
all’opera di assistenza alla regione, che comprende in particolare la provincia
di Aceh, devastata dal maremoto e dove la città di Meulaboh resterà
inaccessibile per almeno tre settimane. Sulla situazione nel Paese, Barbara
Castelli ha sentito il missionario saveriano, padre
Silvano Laurenzi, parroco a Giakarta:
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R. – La situazione in Indonesia
è ancora di lutto, di pianto. Stanno però arrivando tanti aiuti dall’estero.
Intanto, sono finalmente riusciti ad arrivare a Meulaboh, la città sulla costa
occidentale di Sumatra del Nord, che è rimasta isolata per quasi una settimana.
Adesso, da lì si stanno muovendo verso le zone interne: qui trovano morti
dappertutto. Non si contano più i morti! L’Indonesia si sta organizzando: non
era pronta, non era preparata ad una disgrazia di tali proporzioni.
Addirittura, molte famiglie stanno chiedendo di adottare gli orfani, i bambini
abbandonati, come segno di solidarietà.
D. – La Chiesa come si sta
muovendo, cosa sta facendo in queste ore?
R. – I cattolici in tutta
l’Indonesia stanno raccogliendo aiuti, vestiario e cibo: deve essere tutto
pronto entro questa settimana, perché poi consegneremo quanto raccolto alla Caritas.
D. – Qual è la speranza per
queste popolazioni già colpite dalla povertà?
R. – E’ tutto un mistero del
Signore. Certo è che Aceh, che era una provincia così chiusa, isolata e anche
controllata dai soldati, in questo momento, invece, è aperta. Questa disgrazia
farà riflettere e offrirà l’occasione per un incontro tra le varie province,
tra le varie isole, questo accettarsi vicendevolmente senza stare a discutere.
Nel pericolo, si accetta l’aiuto da qualsiasi parte venga!
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L’emergenza in Thailandia,
invece, sembra parzialmente rientrata, come conferma, al microfono di Barbara
Castelli, Maurizio Blondet, inviato di Avvenire a Pukhet:
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R. – L’emergenza sembra finita.
Quasi tutti gli stranieri che erano qui in vacanza sono rientrati; altri,
invece, restano perché in molti luoghi non è successo niente e, quindi, molti
prolungano la vacanza. Se n’è andata la Protezione civile, mentre sono rimasti
i carabinieri, che continuano il loro tristissimo lavoro di campionare il dna
delle centinaia di cadaveri stranieri, sperando di trovare qualche italiano...
Sarà, comunque, un’operazione abbastanza lunga.
D. – Qual è la situazione della
popolazione civile?
R. – Questo Paese, che vive del
turismo balneare invernale, ha avuto tre anni o quattro di disgrazie continue.
L’11 settembre ha fatto crollare il turismo in tutto il mondo, e anche qui. Poi
hanno avuto la SARS, la paura della SARS che qui non c’è mai stata, ma che
comunque ha portato via i turisti. Poi hanno avuto l’influenza dei polli ...
Quest’anno hanno avuto questa tragedia. Insomma, se c’è un modo di aiutare questo
popolo, in fondo, è venire qui in vacanza, perché per molti di loro è la vita.
D. – In quell’area non ci sono
le alluvioni che, invece, in queste ore stanno colpendo lo Sri Lanka e
l’Indonesia?
R. – No, non ci sono per
fortuna, e non dovrebbero esserci. In realtà, nemmeno in quelle zone dovrebbero
esserci, perché la stagione dei monsoni dovrebbe arrivare tra due-tre mesi.
Speriamo che il tempo folle non anticipi tutto, aggiungendo disastri a disastri.
D. – L’Organizzazione mondiale
della sanità ha lanciato nuovamente l’allarme per il pericolo di epidemie?
R. – Sì, questo era inevitabile
ed è giusto farlo, non tanto o non soltanto per il colera, quanto per malattie
come la salmonellosi, l’epatite virale ... Ieri, comunque, il vice ministro
della Sanità ci ha detto che secondo le statistiche la morbilità, per esempio,
rispetto all’anno scorso in questa zona non è aumentata; la morbilità c’è sempre,
ovviamente: in un Paese tropicale c’è sempre qualche micro-focolario di colera,
che è endemico. Ma una cosa è il focolaio, una cosa è l’epidemia.
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Tragici disastri naturali come quello
avvenuto nel Sudest asiatico con la morte di oltre cento mila esseri umani, di
cui oltre un terzo i bambini, e più in generale l’attuale scenario mondiale
segnato da guerre, violenza e povertà, mettono spesso in crisi la coscienza
dell’uomo e del credente stesso che può essere tentato di dubitare
dell’interesse di Dio per l’umanità. Che cosa dire a quanti si trovano in
questa condizione? Adriana Masotti lo ha chiesto a padre Giandomenico Mucci,
autore sulla rivista dei gesuiti “La Civiltà Cattolica” di un articolo intitolato
“Una spiritualità per tempi difficili”:
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R. – La prima cosa che mi viene
da dire è richiamare alla memoria un testo di San Tommaso il quale si è detto
perfino lui scandalizzato dalla sofferenza che sopportano ingiustamente
soprattutto gli innocenti. Il credente però sa non perché peccato, dolore, male
si producano nel mondo, ma che sulla storia si esercita la signoria di Cristo e
di questo peccato, di questo male è stato vittima Cristo stesso con il dolore e
la sua morte. Egli ha fatto della morte e del dolore il passaggio, per quanto
obbligato e tragico, verso la sua signoria finale, di cui ogni cristiano ha il
pegno nella Risurrezione del Signore. Non esiste una risposta di carattere
logico razionale all’esistenza del male, ma la risposta di fede dice che
l’ultima parola della storia non è né il male, né il dolore, né la morte.
D. – Nel suo articolo lei scrive
che la Sacra Scrittura e la storia entrambe esprimono la volontà di Dio e
entrambe sono piene di mistero. Ci può spiegare meglio?
R. – La storia ha per così dire
una struttura sacramentale. Come ogni credente sa, il sacramento è quella
realtà in cui una cosa si vede e un’altra si crede e non si vede.
Nell’Eucaristia si vede il pane e il vino, si crede il Corpo e il Sangue di
Cristo. I singoli momenti ed eventi della storia sono realtà in cui si vedono
le cose drammatiche, tragiche determinate dal peccato umano, ma
contemporaneamente il cristiano vede in esse la realizzazione di un piano
divino che agisce usando e volgendo al bene i peccati degli uomini. Come dice
la buona gente, con un detto popolare: “Dio scrive su righe storte”.
D. – Lei non crede che la Chiesa
in questo momento possa trovarsi nella necessità di spiegare di più, di
accompagnare anche i cristiani, gli uomini di oggi ad avere questo sguardo di
fede sulla storia che stiamo vivendo?
R. –
Certamente, non è un caso che nel nostro tempo sia stata riscoperta la
centralità della Scrittura nella vita cristiana e non è un caso che esattamente
nel nostro tempo il magistero della Chiesa insista nell’interpretazione dei fatti
storici esortando da un lato alla fede e alla speranza e dall’altro rilevando
la cattiveria e la malizia umana che molto spesso creano le situazioni di
drammaticità della vita degli uomini.
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IL 2005, ANNO INTERNAZIONALE DEL MICROCREDITO,
PER
MIGLIORARE L’ACCESSO DEI POVERI AI SERVIZI FINANZIARI DI BASE
- Con
noi Filippo Ciuffi e Vincenzo Porcasi -
“Un
accesso sostenibile alla microfinanza permette di alleviare la povertà e di creare
posti di lavoro, consentendo a singoli individui, famiglie e gruppi di persone
di usufruire dei servizi sociali di base”. Così, il segretario generale
dell’ONU, Kofi Annan, lo scorso 18 novembre, in occasione della presentazione
del 2005 come Anno internazionale del microcredito. Forte l’impegno dei governi
e della società civile nel mondo per favorire la creazione di istituzioni di
microfinanza sul modello della Grameen Bank del Bangladesh. Avviato nel 1976
dall’economista Muhamad Yunus, l’istituto di credito è in grado di assicurare
piccoli prestiti e servizi finanziari di base ai poveri e a persone con basso
reddito, in genere esclusi dai circuiti tradizionali. Il servizio di Roberta
Moretti:
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Che sia
servito ad acquistare un nuovo utensile, un macchinario, o un negozio in un mercato,
negli ultimi trent’anni milioni di persone con un reddito medio-basso hanno
migliorato la propria vita attraverso un piccolo prestito e, creando imprese e
lavoro, hanno contribuito allo sviluppo dell’economia mondiale. Tramite
l’accesso al microcredito e ai servizi di microfinanza, come assicurazioni,
conti corrente e trasferimenti di valuta, le famiglie hanno modo di investire secondo
le loro priorità, pianificando il proprio futuro. Su invito dell’ONU, l’Italia
ha recentemente costituito un Comitato Nazionale per sensibilizzare l’opinione
pubblica alle potenzialità del microcredito e promuovere formule innovative di
partenariato tra governi, ONG, settore privato e microimprenditori. Tra i
membri del Comitato, presieduto dal ministro per la Funzione Pubblica, Mario
Baccini, c’è anche l’ing. Filippo Ciuffi, rappresentante dell’UCID, Unione
cristiana imprenditori e dirigenti:
“Se chi
fa finanza etica si limita ad indirizzare i flussi finanziari verso le positività
e poi, però, per quanto attiene alle modalità di accesso, ha gli stessi
comportamenti della grandi banche commerciali, su quel fronte non esprime
assolutamente nulla di nuovo. Per questo noi parliamo di finanza condivisa,
cioè di fare in modo che si sviluppino tutte quelle istituzioni, private e
pubbliche, che operino nel senso della condivisione del rischio, quindi che
siano complementari al sistema bancario classico”.
Studi
condotti in India, Kenya e nelle Filippine hanno rilevato che la media annuale
di redditività degli investimenti effettuati da piccoli imprenditori che hanno
usufruito di un microcredito varia tra il 117 e l’847 per cento. Nessun problema,
quindi, nella restituzione dei prestiti alle istituzioni di microfinanza. Ma
tali istituzioni ottengono dei guadagni dai servizi finanziari che forniscono
ai poveri? La parola al prof. Vincenzo Porcasi, economista e consulente
dell’IPALMO, Istituto per le relazioni tra l’Italia e i Paesi dell’Africa,
America Latina e Medio Oriente:
“L’intervento
riservato all’Italia è nel Mediterraneo, in un’area ampiamente ideologizzata
dal modello islamico di produzione e di attivazione dei servizi finanziari.
Questo presuppone l’assenza di interessi, ma la partecipazione agli utili da
parte dell’impresa finanziante nel progetto che viene realizzato
dall’‘operatore famiglia’ che diventa ‘operatore economico’. Si tratta di costruire
un sistema ‘filiera’ che consenta all’‘operatore famiglia’, divenuto ‘operatore
economico’, di vendere l’esubero della sua produzione sul mercato regionale e
mondiale, producendo, in questo modo, quegli utili che possono consentire di
creare nuova accumulazione capitalistica”.
La
microfinanza favorisce, in particolare, l’imprenditoria femminile. Le donne,
infatti, costituiscono il 70 per cento dei poveri del mondo e, nonostante
svolgano i due terzi del lavoro, i loro guadagni rappresentano appena il 5 per
cento del reddito globale. Ancora Porcasi:
“Usando
questo strumento è possibile coinvolgere le donne in un processo di rispetto dei
diritti dell’essere umano, maschile e femminile che sia, di educazione
all’auto-impiego della persona, creando i presupposti per l’esercizio di un
ruolo pieno della donna nelle sue diverse funzioni, anche di produzione economica”.
Tra le
iniziative internazionali di microcredito, quella messa in atto in Tunisia dal
comune sardo di Guspini, nel Sulcis Iglesiente, in collaborazione con mons.
Angelo Pittau, della diocesi di Ales-Terralba, come racconta il prof. Porcasi:
“Dietro
invito delle Nazioni Unite, abbiamo trasferito il modello di trasformazione
delle miniere esistenti nel Sulcis Iglesiente nelle miniere esistenti nella provincia
di Gafsa, in Tunisia. Le miniere, che non sono più sfruttate dal punto di vista
economico, sono diventate quindi, anche nella provincia di Gafsa, un luogo
turistico e così quella società dei villaggi tunisini di montagna ha potuto
avviare un processo di produzione economica, fondata sulla trasformazione del
latte di capra e sulla coltivazione dell’olivo di montagna, di cui prima non
c’era alcuna prospettiva”.
“La
microfinanza non è carità – ha detto Kofi Annan, presentando l’Anno internazionale
del microcredito – è un modo per estendere a tutti gli stessi diritti, nella
convinzione che i poveri rappresentano la soluzione, non il problema”.
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2 gennaio 2005
DAL 18
AL 25 DI GENNAIO, ANCORA UNA VOLTA I CRISTIANI DI OGNI CHIESA
E
DENOMINAZIONE SONO CHIAMATI A PREGARE INSIEME PER L’UNITA’
- A cura di Giovanni Peduto -
ROMA. = Sono ormai vari decenni
che i cristiani di ogni Chiesa e denominazione sono chiamati a pregare insieme
per l’unità, dal 18 al 25 gennaio. Così, anche quest’anno si rinnoverà la
preghiera al Signore che dia creatività e coraggio ai fedeli per edificare assieme
la Chiesa nell’unità e nell’amore. Ogni anno viene scelto un tema. Per la
prossima Settimana di preghiera è: “Cristo, unico fondamento della Chiesa”,
tratto dalla prima Lettera ai Corinzi di San Paolo Apostolo. Il tema viene
scelto ogni anno per conto del Pontificio Consiglio per la promozione
dell’Unità dei cristiani e della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico
delle Chiese, da una Commissione ecumenica di una Chiesa locale, per questa
occasione in Slovacchia, dove le varie Chiese stanno sperimentando da oltre una
decade un rinnovamento e un progresso dopo quattro decenni in cui hanno vissuto
una situazione politica che, pur permettendo loro di esistere, tentava nondimeno
di impedirne il loro sviluppo e di ostacolare la loro testimonianza verso la
società. La data tradizionale per la celebrazione della Settimana di preghiera
per l’unità dei cristiani venne proposta per la prima volta dal reverendo Paul
Wattson; ma nell’emisfero sud in cui gennaio è periodo di vacanze le Chiese
locali la celebrano nel periodo di Pentecoste. Per la verità già Papa Leone
XIII nel 1894 aveva incoraggiato un ottavario di preghiere per l’unità dei
cristiani. Ma chi diede impulso decisivo all’iniziativa fu il sacerdote
francese Paul Couturier, che dal 1935 si fece apostolo instancabile della
Settimana di preghiera. Nel 1958 iniziava la collaborazione tra il Centro
“Unità cristiana” di Lione, in Francia, e la Commissione Fede e Costituzione
del Consiglio ecumenico delle Chiese per la preparazione dei testo occorrenti
alla celebrazione. Dopo l’incontro storico a Gerusalemme tra Paolo VI e il
Patriarca di Costantinopoli Athenagoras I (gennaio 1964), si giunse pochi mesi
dopo alla promulgazione del decreto conciliare sull’ecumenismo “Unitatis
Redintegratio”, di cui a novembre si è celebrato il quarantesimo: esso
sottolinea che la preghiera è l’anima del movimento ecumenico ed incoraggia
l’osservanza della Settimana di preghiera, i cui testi, a partire dal 1968,
vengono preparati congiuntamente dal Pontificio Consiglio per l’Unità e la
Commissione Fede e Costituzione e, a partire dal 1975, da un gruppo ecumenico
locale, questa volta della Slovacchia, e approvati poi dagli organismi
centrali.
appello del superiore
generale
della Piccola Opera della
divina provvidenza,
don Flavio Peloso, per
inviare aiuti alle vittime dello tsunami in india:
“come ha fatto don orione
per il terremoto di messina del 1908,
così anche noi adesso
vogliamo dare il nostro contributo”
ROMA. = Ricordando la pronta
azione di don Orione in occasione del terremoto che devastò Reggio e Messina,
nel 1908, don Flavio Peloso, superiore generale della Piccola Opera della
Divina Provvidenza, ha rivolto oggi un appello per inviare aiuti in India, per
le popolazioni colpite dallo tsunami, attraverso le missioni degli
Orionini. Il terremoto di Messina causò 80.000 morti, ed anche in quel caso al
sisma si legò un devastante maremoto che distrusse la città. “Don Orione – ha
spiegato don Flavio Peloso – partì subito in aiuto. E noi cosa facciamo per
l’Asia? Questo interrogativo, continua il superiore generale, è passato di voce
in voce; alcuni mi hanno contattato con suggerimenti. Abbiamo deciso di
concentrarci su un progetto di solidarietà per l’India, da realizzare tramite i
nostri confratelli di Bangalore. Don Lorenzo Tosatto e fratel Francisco Porto
dos Reis sono partiti per visitare, assieme a due nostri seminaristi, le zone
disastrate delle coste. Andhra Pradesh e Tamil Nadu, Stati sud-orientali della
penisola indiana, hanno avuto molte vittime e danni. Don Oreste Ferrari,
superiore, coordinerà un intervento di solidarietà da realizzare con alcuni
giovani seminaristi. A lui invieremo il nostro aiuto in denaro, perché possa portarlo
tempestivamente e direttamente alle popolazioni disastrate”. Nelle intenzioni
di padre Flavio Peloso, la possibilità che gli aiuti arrivino presto, per un
primissimo intervento, e che possano continuare con efficacia ed intensità:
“Sappiamo - ha concluso il religioso - che il nostro aiuto è una ‘goccia nel
mare’, ma nel suo piccolo contribuirà ad alleviare le pene di quella gente e ad
esprimere loro una solidarietà che viene da lontano”. (S.C.)
al via, domani a roma, il
convegno del centro nazionale vocazioni:
fino al 5 gennaio prossimo, interventi e
dibattiti
sulla tematica del
“giorno del signore”
Roma. =
Prende il via domani a Roma, presso la Domus Mariae, l’annuale Convegno del
Centro nazionale vocazioni, dedicato quest’anno al tema “Dinamismo vocazionale
dell'Eucaristia nel giorno del Signore. Come?”. Dopo l’appuntamento dello
scorso anno, incentrato sul tema della Parrocchia, l’edizione 2005 dell’annuale
incontro è dedicata al “Giorno del Signore”, altro obiettivo pastorale compreso
nel quadro del decennio degli “Orientamenti pastorali” della CEI. La riflessione
sul Giorno del Signore e sull’Eucaristia domenicale, come elementi essenziali
dell’annuncio e della proposta vocazionale, permetterà inoltre agli operatori
vocazionali di essere in sintonia con la Chiesa italiana, in cammino verso il
XXIV Congresso eucaristico nazionale, e con la Chiesa universale che celebra
l’Anno dell’Eucaristia indetto dal Santo Padre (ottobre 2004 – ottobre 2005). Dopo
l’introduzione da parte del direttore del Centro nazionale vocazioni, don Luca
Bonari, il Convegno si aprirà con la relazione del segretario generale della
Conferenza episcopale italiana, mons. Giuseppe Betori, sulla “Domenica dei
discepoli di Emmaus”; prospettiva di fondo dell’intero convegno è l’icona
evangelica, scelta dal Papa per l’anno eucaristico. Tra gli altri interventi in
programma, suor Marcella Farina, sul tema: “La domenica provoca il giorno
dell’uomo”, che approfondirà il rapporto esistente tra giorno del Signore e
giorno dell’uomo. La riflessione dell’arcivescovo di Bari, Francesco Cacucci,
“La centralità del Giorno del Signore nella vita della comunità cristiana”,
affronterà i grandi temi teologici e pastorali che stanno accompagnando la
Chiesa italiana nell'iter verso il Congresso eucaristico nazionale.
L’appuntamento prevede inoltre una tavola rotonda sulla valorizzazione del
dinamismo vocazionale della domenica e dell'Eucaristia da parte della
parrocchia e una veglia eucaristica di preghiera, presieduta da mons. Gaetano
Bonicelli, membro della Commissione episcopale per i problemi
sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. (S.C.)
il
direttore nazionale per la cooperazione missionaria,
mons. giuseppe andreozzi,
ai missionari:
“Occorre continuare a
raccontare
le sofferenze della
povera gente” Del sud-est asiatico
ROMA.=
“C’è bisogno di continuare a raccontare le sofferenze della povera gente!”,
così si esprime mons. Giuseppe Andreozzi, direttore dell’Ufficio nazionale per
la Cooperazione missionaria tra le Chiese della Conferenza episcopale italiana
(Cei), scrivendo ai missionari ed alle missionarie presenti nei paesi colpiti
dal cataclisma nell’Oceano Indiano. “Anche perché – continua mons. Andreozzi –
sapete bene come ‘girano’ certe notizie da noi: il fatto che in questo periodo
natalizio fossero in vacanza in quelle zone circa 5000 italiani rischia di
prendere il sopravvento su tutto”. “Alcune diocesi – prosegue la lettera – già
si sono fatte vive e sono disponibili a rilanciare qualcosa di più vero, che
permetta alle nostre comunità di rendersi conto di quello che è veramente
successo, delle condizioni delle persone, delle tante necessità di questo
momento. Ma sarebbe significativo – conclude - raccontare quello che i grandi
mass media non ci diranno mai e che il cuore del missionario invece sa
cogliere”. (S.C.)
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2 gennaio 2005
- A cura di Salvatore Sabatino -
Interminabile spirale di
violenza in Iraq. Questa mattina ennesimo attacco della guerriglia contro la
Guardia nazionale irachena: il bilancio è davvero pesante. Il nostro servizio:
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Meno di un mese dalle prime elezioni democratiche
in Iraq. E la violenza aumenta, così come minacciosamente promesso dalla
guerriglia. Questa mattina l’ennesima autobomba ha seminato morte e distruzione
a Balad, a nord di Baghdad. Ad essere presa di mira ancora una volta la Guardia
nazionale. Pesante il bilancio: 21 morti, tra cui 18 guardie, un civile e i 2
kamikaze. Fonti militari statunitensi hanno precisato che la vittima civile è
una donna che si trovava sul ciglio della strada al momento dell'attentato,
avvenuto vicino a una base della Forza multinazionale. Intanto un altro
terrorista suicida si è fatto saltare in aria in un attacco ad un convoglio
americano a sud di Kirkuk. Fonti militari fanno sapere che non ci sono state
vittime, tranne lo stesso attentatore. Sempre a Kirkuk, un poliziotto è stato
ucciso da ignoti aggressori nella parte araba della città. Intanto si è appreso
oggi che ieri è stato ucciso, a Baquba, Nufel Abdel Hussein al Shammari, capo
del consiglio di governo della provincia di Diyala. Nell'attacco ha perso la
vita anche il fratello. Nelle stesse ore un altro membro del consiglio
provinciale di governo è stato ucciso nella vicina città di Khalis. E neppure
Baghdad è stata risparmiata dalle violenze. Questa volta a perdere la vita, a
causa di un ordigno, è stato un soldato statunitense. Un suo commilitone è
rimasto, invece, ferito.
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E mentre sul terreno infuriano
le violenze, la diplomazia internazionale continua il suo lavoro per giungere
nel più breve tempo possibile alla normalizzazione dell’Iraq. Il vice segretario
di Stato americano, Richard Armitage, in visita a Damasco, ha affermato che “la
Siria ha realizzato qualche reale progresso” nella sicurezza alla frontiera con
l’Iraq, anche se deve fare di più per fermare l’infiltrazione di terroristi in
territorio iracheno.
Gli Stati Uniti aggiungono
un’altra perdita al già lungo elenco dei militari uccisi in Afghanistan. Si
tratta di un marine morto nel corso di violenti combattimenti scoppiati
nei pressi di Herat, nella parte occidentale del Paese asiatico. Con lui a
perdere la vita è stato anche un soldato afgano. La notizia è stata confermata
da fonti militari di Washington.
L’esercito israeliano ha
lanciato questa mattina una nuova operazione militare nel nord della Striscia
di Gaza, poche ore dopo averne conclusa un'altra nell'area di Khan Yunes. Si
tratta della reazione ad un nuovo lancio di razzi Qassam due dei quali, sparati
da Gaza, sono caduti nelle prime ore di oggi nella città israeliana di Sderot.
A quanto si è appreso la zona interessata dall’operazione è quella tra Jabaliya
e Bet Hanun.
Croazia
alle urne per scegliere il nuovo presidente. Le operazioni di voto, iniziate
questa mattina alle 7.00, si stanno svolgendo nella piena regolarità. Sono 13 i
candidati in lizza, anche se super-favorito è l’attuale presidente Stipe Mesic.
A metà mattinata l’affluenza alle urne era stata del 14,7%. Il nostro servizio:
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Sono
poco meno di quattro milioni e mezzo gli aventi diritto al voto in Croazia, che
dovranno scegliere il presidente che guiderà il Paese nei prossimi 5 anni.
Tredici i candidati in lizza, anche se il risultato sembra essere scontato, con
una vittoria schiacciante del presidente uscente Stipe Mesic. Per gli
osservatori internazionali si tratta di una tornata “conclusa ancor prima di
iniziare”. In seconda posizione nella corsa elettorale, la sfidante Jadranka
Kosor, vice-premier e candidato della Comunità democratica croata, il partito
di centro destra del primo ministro Ivo Sanader. L’unico dubbio sembra, a
questo punto essere la vittoria di Mesic già al primo turno. In tal caso il
presidente confermerebbe la grande popolarità conquistata e mantenuta grazie
alla fedeltà alle promesse fatte cinque anni fa: seppellire il nazionalismo
negli anni Novanta e condurre dopo un difficile decennio di guerre e deviazioni
antidemocratiche la Croazia alle porte dell’Unione europea. Ma sulle elezioni
odierne si allunga l’ombra delle irregolarità. L’associazione non-governativa
“Gong” ha affermato che il numero delle persone iscritte alle liste elettorali
è del 10% superiore al numero degli elettori. Dal canto loro, le autorità hanno
respinto la possibilità di brogli, ma gli esperti insistono sulla necessità di
un aggiornamento delle liste. Se nessun candidato riuscirà ad ottenere il 50%
più un voto, i primi due arrivati andranno al ballottaggio, previsto per il 16
gennaio.
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Il
progetto di statuto di libera associazione con la Spagna adottato giovedì dal
parlamento regionale basco “non ha posto nella Costituzione spagnola”. A
riferirlo il capo del governo socialista, Josè Luís Rodríguez Zapatero. Il
piano del capo del governo autonomo basco, il nazionalista moderato Juan José
Ibarretxe, prevede la libera associazione della regione autonoma basca con la
Spagna.
Ci
trasferiamo in Perú, dove un gruppo di riservisti, agli ordini dell’ex maggiore
Antauro Humala hanno occupato ieri il commissariato di Andahuaylas, nella
regione sud-orientale di Apurimac. Gli insorti sono usciti dallo stabile ed
hanno attaccato gli agenti di polizia appostati nelle vicinanze, uccidendone
tre. Lo riferisce la radio RPP di Lima. Il presidente Alejandro Toledo ha
decretato lo stato di emergenza nella regione. Humala ha posto come condizione
per porre fine al suo gesto le dimissioni dello stesso presidente Toledo e del
ministro della difesa, l’ex generale Roberto Chiara.
E la tensione resta alta anche
in Colombia, dove i guerriglieri delle Farc, le Forze armate rivoluzionarie
Colombiane hanno massacrato 17 civili, fra cui quattro bambini e sei donne, nel
villaggio colombiano di Tame, al confine con il Venezuela. L’attacco è avvenuto
la sera del 31 dicembre, ma la notizia è stata diffusa solo questa mattina.
Secondo testimoni sul posto, i guerriglieri del gruppo marxista hanno aperto il
fuoco sulla gente che stava festeggiando Capodanno, accusando gli abitanti del
villaggio di sostenere le forze paramilitari di estrema destra.
Argentina in lutto per i 175
giovani che hanno trovato la morte, giovedì notte, nel rogo di una grande
discoteca di Buenos Aires. Per motivi di sicurezza tutti i locali da ballo
della capitale argentina resteranno chiusi per i prossimi 15 giorni. A comunicarlo
il governatore della città, Anibal Ibarra, il quale ha aggiunto che d'ora in
avanti a Buenos Aires sarà proibito realizzare spettacoli musicali all'interno
delle discoteche. Il governatore ha anche assicurato che sono state avviate indagini
“per accertare le responsabilità” della tragedia e che “saranno presi tutti i
provvedimenti in proposito”.
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