RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
52 - Testo della trasmissione lunedì 21 febbraio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
IN PRIMO PIANO:
Il sì della Spagna nel referendum sulla
Costituzione europea di ieri: ce ne parla Gabriela Canas
CHIESA E SOCIETA’:
Bilancio dell’ONU sulle vittime nel Darfur: i morti
potrebbero oscillare tra i 100 e i 400 mila
Tragedia su un fiume del Bangladesh: decine le
vittime
In Spagna, il 79% degli alunni sceglie l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole
Nelle lezioni parlamentari di ieri in
Portogallo, netta affermazione del Partito socialista che conquista la
maggioranza assoluta
21
febbraio 2005
SOSTENERE UNA COMUNICAZIONE VERITIERA E LIBERA,
CHE CONTRIBUISCA
AL PROGRESSO INTEGRALE DELL’UMANITA’: E’
L’ESORTAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II CONTENUTA NELLA LETTERA APOSTOLICA “IL
RAPIDO SVILUPPO”,
RIVOLTA AI
RESPONSABILI DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI,
PRESENTATA
OGGI ALLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE
I
mass media sono un bene destinato all'intera umanità, per questo i cristiani
sono chiamati a sostenere una comunicazione veritiera e libera: così Giovanni
Paolo II nella Lettera Apostolica “Il Rapido Sviluppo”, rivolta ai responsabili
delle comunicazioni sociali. Il documento, presentato stamani alla Sala Stampa
vaticana, traccia le grandi sfide poste oggi dallo sviluppo tecnologico dei
mass media e sottolinea come, in questo campo, i credenti possano contare
sull’aiuto dello Spirito Santo. Anche i mezzi di comunicazione, avverte inoltre
il Pontefice, hanno bisogno della redenzione di Cristo. Sui punti chiave della
Lettera Apostolica, ascoltiamo il servizio di Alessandro Gisotti:
**********
“Per i credenti
e per le persone di buona volontà la grande sfida in questo nostro tempo è
sostenere una comunicazione veritiera e libera, che contribuisca a consolidare
il progresso integrale del mondo”: è la viva esortazione di Giovanni Paolo II
nella Lettera Apostolica ai responsabili delle comunicazioni sociali. Un
documento, che, come il Pontefice stesso sottolinea, si pone sulla scia del
decreto conciliare Inter mirifica sui mezzi di comunicazione, promulgato
da Paolo VI nel 1963. “Anche in questo campo – rassicura il Papa – i credenti
in Cristo sanno di poter contare sull'aiuto dello Spirito Santo”. Aiuto necessario
viste “le difficoltà intrinseche della comunicazione a causa delle ideologie,
del desiderio di guadagno e di potere”. Riconosce poi che si tratta di una
missione “non facile”. Per molti, constata con amarezza, “l’uomo dovrebbe
imparare a vivere in un orizzonte di totale assenza di senso, all’insegna del
provvisorio e del fuggevole”. Dunque, gli strumenti di comunicazione “possono
essere usati per proclamare il Vangelo o per ridurlo al silenzio nel cuore
degli uomini”.
Di fronte a
questa sfida e al rapido sviluppo tecnologico, la Chiesa non è chiamata ad
utilizzare i mass media solo “per diffondere il Vangelo, ma, oggi più che mai,
ad integrare il messaggio salvifico nella nuova cultura che i potenti
strumenti della comunicazione creano ed amplificano”. La Chiesa, prosegue, “avverte
che l'uso delle tecniche e delle tecnologie della comunicazione contemporanea
fa parte integrante della propria missione nel terzo millennio”. Si sofferma,
quindi, sul discernimento evangelico e l’impegno missionario. “Anche il mondo
dei media abbisogna della redenzione di Cristo”, è il richiamo del Pontefice.
“La comunicazione tra Dio e l’umanità” ha raggiunto la “sua perfezione nel
Verbo fatto carne”.
Per questo,
“ricondotti nell’orizzonte di tale comunicazione ultima e decisiva i media si
rivelano una provvidenziale opportunità per raggiungere gli uomini in ogni
latitudine, superando barriere di tempo, di spazio e di lingua, formulando
nelle modalità più diverse i contenuti della fede”. E sulla necessità di
offrire “formazione ed attenzione pastorale ai professionisti della comunicazione”,
il Papa scrive che molti giornalisti sono “sinceramente desiderosi di sapere e
di praticare ciò che è giusto in campo etico e morale, e attendono dalla Chiesa
orientamento e sostegno”.
D’altra parte,
la Lettera Apostolica evidenzia che “la comunicazione permea le dimensioni
essenziali della Chiesa, chiamata ad annunciare a tutti il lieto messaggio
della salvezza. Per questo – si legge ancora – essa assume le opportunità
offerte dagli strumenti della comunicazione sociale come percorsi dati provvidenzialmente
da Dio ai nostri giorni per accrescere la comunione e rendere più incisivo l'annuncio”.
E qui Giovanni Paolo II ringrazia Dio per la presenza di “questi potenti mezzi
che se usati dai credenti con il genio della fede e nella docilità alla luce
dello Spirito Santo, possono contribuire a facilitare la diffusione del Vangelo
e a rendere più efficaci i vincoli di comunione tra le comunità ecclesiali”.
Il Papa
evidenzia che la Chiesa “in forza del messaggio di salvezza” affidatole dal
Signore è “anche maestra di umanità”, e avverte perciò “il dovere di offrire il
proprio contributo per una migliore comprensione delle prospettive e delle
responsabilità connesse con gli attuali sviluppi delle comunicazioni sociali”.
Quindi, “occorre ribadire in modo forte e chiaro che gli strumenti della comunicazione
sociale costituiscono un patrimonio da tutelare e promuovere”. Proprio perché
nei mass media si trova un sostegno prezioso per diffondere il Vangelo,
Giovanni Paolo II afferma che il “fenomeno attuale delle comunicazioni sociali
spinge la Chiesa ad una sorta di revisione pastorale e culturale così da essere
in grado di affrontare in modo adeguato il passaggio epocale che stiamo
vivendo”. Impegno di cui devono farsi interpreti prima di tutti i Pastori. Ma
non solo, tutti “i cristiani – è l’esortazione del Pontefice – devono tenere
conto della cultura mediatica in cui vivono” dalla liturgia alla catechesi.
Da Internet ai
mezzi di comunicazione tradizionali, bisogna allora valorizzare i nuovi media
come quelli tradizionali “in un panorama completo della comunicazione
ecclesiale”. In tale contesto, s’impongono alcune scelte fondamentali: una
vasta opera formativa e una partecipazione corresponsabile alla gestione dei
mezzi di comunicazione. “Se le comunicazioni sociali sono un bene destinato
all'intera umanità – è il richiamo del documento - vanno trovate forme sempre
aggiornate per rendere possibile un'ampia partecipazione alla loro gestione, anche
attraverso opportuni provvedimenti legislativi”. Infine, i media devono favorire
il dialogo “divenendo veicoli di reciproca conoscenza, di solidarietà e di
pace”.
La
Lettera Apostolica si conclude con una vibrante esortazione ai responsabili
delle comunicazioni sociali a non avere paura nel comunicare il messaggio di
“speranza, di grazia, e di amore di Cristo”. “Non abbiate paura delle nuove
tecnologie - scrive il Papa - esse sono “tra le cose meravigliose” - inter
mirifica - che Dio ci ha messo a disposizione per scoprire, usare, far
conoscere la verità, anche la verità sulla nostra dignità e sul nostro destino
di figli suoi, eredi del suo Regno eterno”.
**********
Il
documento pontificio è stato presentato stamani nella Sala Stampa della Santa
Sede. Alla conferenza hanno preso parte l’arcivescovo John Patrick Foley, presidente del Pontificio
Consiglio delle Comunicazioni Sociali; mons. Renato Boccardo e il dottor Angelo
Scelzo, segretario e sottosegretario del dicastero vaticano. Nel suo
intervento, mons. Boccardo ha messo un accento particolare sui rischi insiti
oggi nei mezzi di comunicazione:
**********
Senza voler apparire apocalittici ma neppure
cedendo ad ingenue visioni fin troppo ottimistiche, non possiamo tacere come la
rappresentazione del senso della vita che essi oggi gettano nell’arena del
pubblico dibattito sia quasi del tutto al di fuori di ogni comprensione
cristiana della vita stessa. L’industria culturale ha avviato infatti quel
processo di messa in mora di una prospettiva cristiana circa la vita e la
dignità della persona umana di cui il cinema, i talk show o alcune fiction
sono drammatica testimonianza. Basti ricordare, inoltre, come troppo spesso
la televisione diviene strumento potente di aggressioni personali, occasione di
denigrazione e agorà di battaglie spesso volgari e senza gusto. A questo
processo degenerativo non è esente la pubblicità, così come non manca la
responsabilità di coloro che presiedono le strutture produttive e commerciali i
cui criteri guida difficilmente si comprendono.
**********
Mons. Boccardo si è poi soffermato su un altro tema
all’attenzione dalla Lettera “Il Rapido Sviluppo”: quello dell’opinione pubblica.
“Il sistema dei media, complesso e composito, è oggi un grande potentato di
costruzione e di eterodirezione dell’opinione pubblica”, ha rilevato il
presule. “La Chiesa - ha aggiunto - guarda con favore e simpatia ai mezzi di
comunicazione, ma sarebbe ingenuo, oltre che gravemente lesivo al bene comune,
non interrogarsi sul rapporto tra media e costruzione dell’opinione pubblica”.
A margine della conferenza stampa, il dottor Scelzo ha annunciato la prossima
pubblicazione di un Dvd, realizzato in sinergia con il Centro Televisivo
Vaticano, per celebrare il 40.mo anniversario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni
Sociali. Proprio oggi, inizia a Palazzo San Carlo a Roma, l’assemblea plenaria
del dicastero vaticano delle Comunicazioni Sociali.
UDIENZE
Il Papa ha ricevuto oggi alcuni presuli della
Conferenza Episcopale della Spagna, in visita "ad Limina": mons. Lluís Martínez Sistach,
arcivescovo di Barcellona, con l'ausiliare mons. Joan Carrera Planas; mons. Josep Ángel Saiz Meneses, vescovo di Terrassa; mons. Agustín Cortés Soriano, vescovo
di Sant Feliu de Llobregat; mons.
Jaume Pujol Balcells, arcivescovo di Tarragona.
DOPODOMANI IL PAPA SI AFFACCERA’ DAL SUO STUDIO
PER BENEDIRE I FEDELI,
GIUNTI IN VATICANO PER L’UDIENZA GENERALE DEL
MERCOLEDI’.
LO AFFERMA UNA NOTA DELLA SALA STAMPA VATICANA
Sarà
un mercoledì diverso dal consueto, quello di dopodomani. Giovanni Paolo II
rivolgerà dalla finestra del suo studio privato un saluto ai fedeli convenuti
per l’udienza generale. Ad annunciarlo, una nota del direttore della Sala stampa
vaticana, Joaquin Navarro Valls, nella quale si spiega che, mercoledì mattina,
il Papa si affaccerà alle 10.30 “per salutare e benedire i fedeli convenuti in
Piazza San Pietro” per l’udienza.
L’ultima
udienza generale si è svolta il 26 gennaio scorso, seguita dalla degenza del
Pontefice al Policlinico Gemelli e dalla settimana di esercizi spirituali della
Quaresima.
L’UOMO VA RISPETTATO IN OGNI MOMENTO DELLA VITA E IN QUALSIASI CONDIZIONE
DI SALUTE A PRESCINDERE DALLA SUA EFFICIENZA:
LO SCRIVE IL PAPA IN UNA LETTERA A MONS. SGRECCIA
IN
OCCASIONE DI UN CONGRESSO A 10 ANNI DALL’ ENCICLICA EVANGELUM VITAE
Ogni
uomo, in quanto creato a immagine e somiglianza di Dio, va riconosciuto e
rispettato in ogni momento della vita e in qualsiasi condizione di salute,
infermità o disabilità a prescindere dalla sua efficienza o dalla sua capacità
di intendere e di volere. E’ quanto scrive Giovanni Paolo II in una lettera
inviata a mons. Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la
Vita che, a 10 anni dalla enciclica Evangelium Vitae, ha aperto oggi la sua 11a
Assemblea generale sul tema: “Qualità di vita ed etica della salute”. Il
servizio di Sergio Centofanti.
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Il Papa
rileva che ai giorni nostri l’espressione “qualità di vita” viene sempre più
interpretata “come efficienza economica, consumismo disordinato, bellezza e
godibilità della vita fisica, trascurando le dimensioni più profonde
relazionali, spirituali e religiose dell’esistenza”. Infatti, “sotto la spinta della
società del benessere, si sta favorendo una nozione di qualità di vita che
è, al tempo stesso, riduttiva e selettiva: essa consisterebbe
nella capacità di godere e di sperimentare piacere, o anche nella capacità di
autocoscienza e di partecipazione alla vita sociale. In conseguenza, è negata
ogni qualità di vita agli esseri umani non
ancora o non più capaci di
intendere e di volere, oppure a coloro che non sono più in grado di godere la
vita come sensazione e relazione”. “Si deve – invece, osserva Giovanni Paolo II
- innanzitutto riconoscere la qualità
essenziale che distingue ogni creatura umana per il fatto di essere creata a immagine e somiglianza del Creatore
stesso... Questo livello di dignità e
di qualità … è costitutivo
dell’essere umano, permane in ogni momento della vita, dal primo istante del
concepimento fino alla morte naturale, e si attua in pienezza nella dimensione
della vita eterna. L’uomo va dunque riconosciuto e rispettato in qualsiasi
condizione di salute, di infermità o di disabilità”.
Esiste
poi – scrive il Papa – “un secondo livello di qualità della vita” che la
società deve promuovere e riguarda “tutte le dimensioni della persona - la
dimensione corporea, quella psicologica, quella spirituale e quella morale”:
queste dimensioni vanno promosse in armonia e devono essere riconosciute “a
tutti gli uomini anche a quelli che
vivono in Paesi in via di sviluppo. Uguale è infatti la dignità degli
esseri umani, a qualunque società appartengano”. Così anche il concetto di
salute – prosegue il Pontefice – è oggi spesso distorto. La salute infatti va
certamente considerata come “uno dei beni più importanti”, ma “non è un bene
assoluto: non lo è – sostiene il Papa – soprattutto quando
viene intesa come semplice benessere fisico, mitizzato fino a … trascurare beni
superiori, accampando ragioni di salute persino nel rifiuto della vita
nascente”.
Il Papa
sottolinea poi che ogni persona ha una grave responsabilità “sulla salute
propria e su quella di chi non ha raggiunto la maturità o non ha più la capacità
di gestire se stesso”. “Di quante malattie - esclama Giovanni Paolo II - i singoli sono spesso responsabili per sé e
per gli altri! Pensiamo alla diffusione dell’alcolismo, della
tossico-dipendenza e dell’AIDS. Quanta energia di vita e quante vite di giovani
potrebbero essere risparmiate e mantenute in salute se la responsabilità morale
di ciascuno sapesse promuovere di più la prevenzione e la conservazione di quel
prezioso bene che è la salute!”. D’altra parte – rileva il Pontefice “l’umanità
di oggi si presenta, in vaste zone del mondo, vittima del benessere che essa
stessa ha creato e, in altre parti molto più vaste, vittima di malattie diffuse
e devastanti, la cui virulenza deriva dalla miseria e dal degrado ambientale”.
Curare e prevenire le malattie – conclude Giovanni Paolo II – “è un dovere di
solidarietà che non esclude nessuno” proprio “in omaggio alla dignità della
persona e all’importanza del bene della salute”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina la Lettera apostolica di Giovanni Paolo II ai responsabili delle
comunicazioni sociali.
Sempre
in prima, in evidenza il vibrante Angelus del Santo Padre nel clima spirituale
della festa della Cattedra di San Pietro dell’Anno dell’Eucaristia: “Il ministero
petrino è servizio all’unità della Chiesa”.
Nelle
vaticane, il servizio sui funerali di mons. Aldo Del Monte: con commosse parole
il vescovo di Novara, mons. Renato Corti, ha ricordato il compianto pastore
nell’omelia della Santa Messa esequiale presieduta dal cardinale Severino Poletto,
arcivescovo di Torino.
Nelle
estere, per la rubrica dell’“Atlante geopolitico” un articolo di Giuseppe M.
Petrone dal titolo “Vertice Usa-Russia: le sfide del XXI secolo”.
Medio
Oriente: il governo israeliano approva il piano di ritiro dalla Striscia di Gaza;
comincerà il 20 luglio lo sgombero di circa 8.000 coloni da ventuno insediamenti.
Nella
pagina culturale, un articolo di Paolo Liverani in merito alla mostra - ai Musei
Vaticani - sul tema “L’Augusteum di Narona. Roma al di là dell’Adriatico”.
Nelle
pagine italiane, in primo piano la vicenda della giornalista rapita in Iraq:
l’incontro dei familiari con il sottosegretario Letta. “Tutti i canali aperti”;
c'è un clima di ottimismo ma i tempi per il rilascio si prospettano lunghi.
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21
febbraio 2005
NUOVE SPERANZE DI PACE IN MEDIO ORIENTE DOPO
L’APPROVAZIONE, DA PARTE
DEL GOVERNO DI TEL AVIV, DELLA LEGGE SUL RITIRO
ISRAELIANO DALLA STRISCIA
DI GAZA E
DELLA MODIFICA DEL TRACCIATO DEL MURO TRA LO STATO EBRAICO
E LA CISGIORDANIA. NEI TERRITORI, FORMATO IL NUOVO
GOVERNO PALESTINESE
- Interviste con Nemer Hammad e Jianiki Cingoli -
L’approvazione
della legge israeliana sul ritiro dalla Striscia di Gaza, la modifica del
tracciato del muro tra lo Stato ebraico e la Cisgiordania e la formazione del
nuovo governo palestinese. Sono gli ultimi incoraggianti tasselli del complesso
mosaico israelo-palestinese segnato da nuove speranze di pace. Il servizio di
Amedeo Lomonaco:
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Storica
decisione in Medio Oriente: il governo israeliano ha approvato, a grande
maggioranza, la legge sul ritiro dalla Striscia di Gaza e sull’evacuazione dei
coloni dalla regione. Lo sgombero degli insediamenti coinvolge circa 8000
coloni e sarà completato entro cinque mesi. “Questo – ha detto il premier Ariel
Sharon – è un processo fondamentale per il futuro di Israele”. Per il movimento
estremista ‘Hamas’ il ritiro “è il risultato dell’eroica resistenza
palestinese”. Il governo di Tel Aviv ha anche approvato il nuovo tracciato
della barriera di sicurezza tra Israele e la Cisgiordania, dove stamani sono
scoppiati duri scontri fra dimostranti arabi e reparti
dell’esercito israeliano presso il villaggio di Tillin. In virtù del
provvedimento deciso dall’esecutivo di Tel Aviv il muro, dichiarato illegittimo
dalla Corte internazionale di giustizia, sarà più vicino ai confini
internazionalmente riconosciuti con i Territori palestinesi. Dopo questa
duplice mossa volta a rinvigorire le relazioni con l’Autorità nazionale
palestinese, Israele ha anche liberato 500 detenuti palestinesi. Nelle prossime
ore è previsto, inoltre, il rilascio di altri 400 prigionieri. Nei Territori,
intanto, i parlamentari di Al Fatah hanno approvato la composizione del nuovo
governo palestinese. Nel suo discorso all’assemblea
parlamentare, il premier Abu Ala ha ribadito l'impegno dell’esecutivo per le
riforme amministrative e per il rafforzamento del potere giudiziario,
fortemente penalizzato da Yasser Arafat. Abu Ala ha anche detto che il governo
proverà a restaurare la legge e l’ordine in Cisgiordania e nella Striscia di
Gaza.
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E’ dunque un
momento storico per le relazioni tra israeliani e palestinesi. Ma come viene
giudicata nel mondo arabo l’approvazione della legge sul ritiro israeliano dai
Territori? Roberto Piermarini lo ha chiesto al delegato palestinese in Italia,
Nemer Hammad:
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R. – Il ritiro israeliano è
benvenuto da parte nostra, sicuramente. Sappiamo che ci sono tanti problemi,
tante complicazioni di dove debbano andare questi coloni. Comunque, questo è un
primo passo, importante, nella direzione giusta.
D. – Quali sono gli ostacoli che si frappongono al proseguimento della
pace con Israele?
R. – Il rilascio di quasi otto mila prigionieri palestinesi, il ritiro
dei coloni in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, la fine di centinaia di
check-point nei territori palestinesi. Abbiamo ancora tanti tanti problemi da
risolvere. L’importante oggi è cominciare ad applicare interamente la road
map, che prevede il ritiro israeliano, la nascita di uno Stato palestinese
indipendente, a fianco di Israele. Auguriamo - hanno dichiarato più di una
volta il presidente Bush, il quartetto, i rappresentanti dell’Unione Europea,
la Russia, le Nazioni Unite - una partecipazione della comunità internazionale
nella trattativa.
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Ma come è stato
accolto il ritiro israeliano dall’opinione pubblica dello Stato ebraico?
Risponde da Gerusalemme il direttore del centro italiano per la pace in Medio
Oriente, Jianiki Cingoli:
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R. – Per l’opinione pubblica
israeliana significa innanzitutto la speranza che questa infernale spirale di
violenza, di terrorismo e di scontri abbia fine. Certo c’è una forte resistenza
da parte dei coloni israeliani, che però rappresentano il 3 per cento della
popolazione. I sondaggi danno il 70 per cento di consensi alla proposta di
ritiro unilaterale di Sharon. Certo ora il più è da fare: occorre superare
quattro anni di odio, di violenza, di scontri e recuperare la fiducia
reciproca. L’importante è cha tra i due leader, Sharon e Abu Mazen, ci sia una certa
intesa.
D. – Può frenare veramente il terrorismo, questa decisione del
Parlamento israeliano?
R. – C’è un
impegno da parte del presidente palestinese Abu Mazen di proseguire in questa
direzione. Questo impegno si basa su una valutazione politica di Abu Mazen, che
è sempre stato contro la martirizzazione dell’Intifada e a favore di una
ripresa del processo diplomatico. E’ in atto un processo in Palestina che tocca
anche le finanze, i servizi di sicurezza. Quindi, questo pone le basi per
ripristinare una base di consenso tra le parti.
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IL “SI”DELLA SPAGNA
NEL REFERENDUM SULLA COSTITUZIONE EUROPEA
- Intervista con Gabriela Canas -
Concluso
lo scrutinio delle schede in Spagna, emerge il quadro preciso del voto sulla
Costituzione europea. Il ‘sì’ ha avuto Il 76,73% dei voti contro il 17,24% dei
‘no’. Le schede bianche sono state il 6,03%. La partecipazione è stata del
42,32%. A Madrid si è tirato un sospiro di sollievo, considerato che alla vigilia
il governo aveva fatto sapere che si sarebbe accontentato se un terzo degli
elettori avesse espresso il voto. Da parte sua, il premier socialista Jose Luis
Rodriguez Zapatero, invita gli altri Paesi europei a seguire l'esempio della
Spagna e a ratificare il Trattato.
Zapatero ricorda che “pur essendosi uniti tardi al processo di unione, gli
Spagnoli hanno ora dimostrato di essere all'avanguardia nella nuova visione di
una “Europa della pace, della solidarietà e della tolleranza” cui hanno voluto
dire “grazie” per il benessere e la libertà che in questi decenni ha garantito
al Paese. Ma ascoltiamo quanto ci riferisce, nell’intervista di Fausta Speranza,
la corrispondente di El Pais, Gabriela Canas:
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R. – AQUI
EN BRUXELLAS SE HA RECIBIDO…
Qui a Bruxelles, l’Unione
Europea in generale ha accolto i risultati del referendum in Spagna con molta
soddisfazione, perché senza dubbio c’era una grande incertezza, soprattutto per
quanto riguardava il livello di partecipazione, che, finalmente, è stato
abbastanza accettabile, molto vicino al livello di partecipazione delle
elezioni europee del passato mese di giugno e soprattutto per la maggior parte
a favore del ‘sì’. Questo è stato accolto a Bruxelles con sollievo, perché era
il primo referendum che si teneva in Europa. Quindi è stato vissuto come un
forte segnale per il resto dei Paesi che terranno a loro volta referendum per
l’approvazione della Costituzione europea.
D. – Secondo lei, gli spagnoli sono orgogliosi di essere i primi a
dire ‘sì’ all’Europa?
R. – CREO QUE UNA PARTE IMPORTANTE…
Credo
che una parte importante della società sia stata effettivamente orgogliosa di
essere la prima in Europa. Però, c’è stata anche una parte importante della
società che è stata molto critica, soprattutto la destra in generale: hanno
parlato di referendum fatto precipitosamente, con poco tempo per discuterne e
con poco tempo per conoscere il testo costituzionale. In questo senso, le
opinioni sono diverse.
D. – Comunque, ora ci sarà
anche il voto parlamentare…
R. – SI’, SIN DUDA…
Sì,
senza dubbio, ora bisogna ottenere la ratifica del Parlamento spagnolo, che
però non è di nessun ostacolo, al contrario. Il 90 per cento dei voti del
Parlamento spagnolo sono a favore della Costituzione europea: non ci sarà
nessun problema.
D. – Ma questa procedura è stata una scelta politica o una procedura obbligata dalla legislazione
in Spagna?
R. – NO, HA SIDO UNA…
No, il modo di ratificare la
Costituzione era tutto da scegliere e tanto il Partito popolare quanto il
Partito socialista hanno detto che volevano fare un referendum. In Spagna tutto
questo si considera storico perché abbiamo avuto poche opportunità di votare.
Abbiamo alle spalle solo 25 anni di democrazia. Questa veniva considerata come
una buona opportunità, molto importante per la Spagna e per l’Europa, per
chiedere alla gente il suo voto e così è stato fatto. La partecipazione è stata
del 42 per cento e va considerato che in altri Paesi, nel mese di giugno, il
voto per le elezioni europee ha visto una partecipazione del 20 per cento. La
verità è che milioni di persone qui hanno votato ‘sì’, e sono tantissime.
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GEORGE W. BUSH A BRUXELLES PARLA DI “NUOVA ERA DI
UNITA’ TRANSATLANTICA”, NELLA PRIMA VISITA DI UN PRESIDENTE STATUNITENSE ALLE
ISTITUZIONI EUROPEE
- Intervista con Luigi Bonanate -
Proprio
in questi minuti comincia al Concert Noble, piccola sala congressi di
Bruxelles, il discorso del presidente Bush che ha iniziato stamane la sua
missione europea con la visita di cortesia ai reali del Belgio, Alberto e
Paola; ha poi incontrato il premier belga Guy Verhofstadt e il segretario
generale della NATO Jaap de Hoop Scheffer. Il tutto in una città blindata, con
agenti di polizia, camionette e cavalli di Frisia presenti ovunque. Ma sul
contenuto del suo discorso, ascoltiamo Fausta Speranza:
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“Una
nuova era di unità transatlantica”: questo il messaggio. Come anticipato dalla
Casa Bianca, George W. Bush indica la pace in Medio Oriente quale obiettivo
immediato che America e Europa devono perseguire insieme. E di “Alleanza” parla
affermando che rappresenta “il maggiore pilastro della sicurezza nel nuovo
secolo”. E dopo la sicurezza cita l’economia: “Il nostro robusto commercio è
uno dei motori dell'economia mondiale”. E qui si può ricordare che anche al
momento del gelo tra Francia e Stati Uniti non si è fermata la macchina degli investimenti:
mentre europei (almeno alcuni di essi) e americani si
scontravano al Consiglio di Sicurezza
dell'ONU, le società americane lo scorso anno "portavano " in Europa
87 miliardi di dollari d'investimenti diretti (Fdi), con un aumento del 30,5%
sul 2002, specie nei due Paesi, Francia e Germania, che maggiormente si erano
opposti al conflitto iracheno: una cifra pari al 65% di tutti gli investimenti
diretti degli Usa nel mondo. Nel contempo, Parigi investiva negli Usa il
quadruplo dei capitali investiti dagli Usa in Francia. E gli altri europei non
sono stati da meno: nel 2003 i loro investimenti oltre Atlantico sono saliti a
36,9 miliardi di dollari rispetto ai
26 dell’anno precedente.
Ben comprensibile che Bush parli di “robusto
commercio”. Poi il suo discorso si sposta decisamente sul piano politico con
un’affermazione forte: “Il nostro esempio di libertà economica e politica –
sottolinea il presidente Usa – dà speranza a milioni che sono poveri e
oppressi.” E aggiunge proprio in questi minuti: “Per tutto ciò, la nostra
amicizia è essenziale per la pace e la prosperità nel mondo e nessun dibattito temporaneo, nessun disaccordo
provvisorio fra governi, nessun potere sulla Terra ci dividerà mai”.
In attesa di ascoltare altri passi
dell’intervento di Bush, ricordiamo che la sua visita è la prima di un capo di
Stato americano alle istituzioni europee e che, d’altra parte, i 25 Paesi
dell’Unione si presentano sostanzialmente uniti e convinti sulle mosse da fare
per rilanciare le relazioni tra le due sponde dell’oceano. Di questo abbiamo
parlato con Luigi Bonanate, docente di relazioni internazionali all’Università
di Torino:
R. – La prima volta, ovvero è molto tardi. Il cammino dell’Unione
Europea è ormai pluri-decennale; è la prima volta che sembra che gli Stati
Uniti se ne accorgano, e non è un caso che se ne accorgano oggi, cioè al
termine di un biennio – più o meno – di grande tensione transatlantica.
Insomma, bisognerebbe dire, per impostare bene il discorso, che gli Stati Uniti
non hanno mai visto con particolare favore – e questo fin dalle origini, dal
’57 in poi – il cammino dell’unificazione europea, anche se formalmente
dovevano sempre applaudirlo. I più vecchi, come me, ricorderanno che ai tempi
di Kissinger, lo stesso Kissinger fu più volte piuttosto polemico, quando era
segretario di Stato, nei confronti dell’Europa unita. Addirittura, era
un’alleanza difficile – così la definì lui – l’alleanza tra Stati Uniti e Paesi
dell’allora Comunità europea.
D. – Diciamo una cosa, professor Bonanate: anche gli Stati dell’Unione
Europea non si sono mai presentati così uniti; è anche la fase della svolta
politica con la Costituzione, non è così?
R. – Anche qui direi sì e no. I Paesi dell’Unione sono uniti oggi:
come nascondersi che sotto sotto delle tensioni ancora permangono? D’altra
parte, con l’entrata dei nuovi membri abbiamo avuto la Polonia che spingeva di
nuovo un pochino a destra, insieme a molti governi già di centro-destra.
Adesso, la scorsa primavera, abbiamo avuto Zapatero in Spagna, adesso il
governo portoghese ... insomma, sembra che inizi un’altra onda di segno
contrario ... questo, inevitabilmente, si sposa con le posizioni di politica
estera. I Paesi di centro-sinistra sono quelli che hanno cercato di dissociarsi
dall’iniziativa irachena e quelli di centro-destra sono stati a favore ...
Allora, quella spaccatura oggi tende a riproporsi in modo più evidente. D’altra
parte, la Costituzione e il cammino della Costituzione è invece un momento
unitario, un momento consensuale, un momento di crescita comune che,
naturalmente, è la parte che – io penso – sia più importante.
D. – Professor Bonanate, proprio in questi minuti il presidente Bush
sta parlando di una nuova era dell’unità transatlantica. Un commento a caldo?
R. – Molto a caldo le dirò che mi sembra difficilissimo proporre oggi
una nuova alleanza transatlantica nel momento in cui gli Stati Uniti, francamente,
non mi sembrano disposti a fare concessioni, cioè ad imbarcarsi in un’avventura
di consensualità con gli alleati occidentali. Naturalmente, con questo non
voglio dire che sia finita la storia dell’amicizia transatlantica: ci mancherebbe!
Ma gli Stati Uniti si stanno muovendo ad un raggio molto, molto ampio in quella
parte di mondo che va dal Medio Oriente all’Asia centrale, che sembra essere
diventata un po’ l’ombelico del mondo in questi ultimi anni. E su tutto ciò non
mi pare che ci sia una oggettiva unità di intenti con l’Unione Europea.
D. – In questa nuova era, secondo lei che posto avrà l’ONU? Che posto
si prevede?
R. – Temo non un posto di prima fila. Io personalmente sarei invece
molto molto favorevole a che l’ONU vedesse crescere il suo ruolo e il
significato anche popolare della sua esistenza. Questa è una delle cose,
appunto, che andrebbero rimesse in discussione.
Resta da ricordare altri momenti chiave della visita:
stasera la cena con il presidente francese Chirac; domani Vertici alla Nato e
con l'UE, ma anche numerosi bilaterali. Mercoledì, Bush sarà a Magonza in
Germania, dove vedrà il cancelliere tedesco Schroeder, e giovedì a Bratislava
in Slovacchia, dove incontrerà il presidente russo Putin.
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EUROPA,
VALORI E AMORE AL CENTRO DELL’ULTIMO FILM DEL REGISTA E PRODUTTORE POLACCO
ZANUSSI, CHE AVRA’ PER TITOLO “PERSONA NON GRATA”
-
Intervista con Krzystof Zanussi -
Parla dell’Europa di oggi, dei valori e dell’amore,
l’ultimo film del regista e produttore polacco di origine italiana Krzystof
Zanussi. Giunto quasi a fine lavorazione, avrà per titolo: “Persona non grata”
e uscirà contemporaneamente in Italia, Russia e Polonia. Da sempre impegnato su
temi difficili quali la morte, il dolore, la vocazione dell’uomo, Zanussi con
le sue opere suscita in chi lo segue domande profonde e scomode. Ma oggi quanto
siamo disposti ad interrogarci e ad ascoltare? Adriana Masotti lo ha chiesto
allo stesso Zanussi:
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R. – Io non mi pongo questa
domanda, se l’uomo sia disposto o non disposto, perché le domande sono
sostanziali. L’uomo deve fare lo sforzo di affrontare anche i problemi
difficili e spiacevoli, non può sfuggire alla realtà. Se non siamo preparati,
se non abbiamo una struttura spirituale per accogliere questi colpi, siamo
disarmati. Se tramite l’arte possiamo avere la fantasia per capire che cosa può
accadere, può aiutarci ad essere un po’ più preparati. Questo credo sia il
compito dell’artista.
D. – Per lei il Vangelo, quindi fede e cultura, sono inseparabili.
Oggi, per la maggioranza in Europa, non è più così. Separare la nostra cultura
europea dalle radici cristiane a che cosa può portare, secondo lei?
R. – Se l’Europa vuole vivere un ateismo non trascendente, credo si
condanni alla decomposizione, alla degradazione. Abbiamo ideali, nell’Europa di
oggi, come i diritti dell’uomo, che derivano dal concetto cristiano: rispetto
per l’uomo, rispetto per la vita. Tutto questo deriva dal Vangelo. Senza il
Vangelo non c’è modo di giustificarli. Ci sono correnti, anche nel pensiero
americano, molto pericolose che cercano di provare l’uguaglianza tra l’essere
umano e l’animale. Credo che questi concetti possano veramente distruggere la
nostra civiltà. Solo la civiltà europea, euro-atlantica, basata sul
cristianesimo, ha creato questa straordinaria accelerazione dello sviluppo, e
non a caso. Perché il cristianesimo, il Vangelo, offriva una visione della
libertà unica. Nessun’altra religione è stata altrettanto liberatrice dell’uomo
come la nostra. Qui, allora, rischiamo tutto. Dobbiamo, credo, essere molto
cauti per non fare uno sbaglio storico che può costare molto alle generazioni
future.
D. – Serbare la propria identità, ma cogliere il diverso. Oggi è di
grande attualità parlare del rapporto con l’islam. Il cinema può contribuire a
questi incontri?
R. – Sicuramente, perché il cinema è un linguaggio audiovisivo, è un
linguaggio più accessibile, più comune. Fra pochi giorni andrò a Teheran per
incontrare gli islamici. Parleremo di cinema ed anche dell’incontro tra il
misticismo islamico e quello cristiano, per constatare che sul livello più alto
la spiritualità è vicina. Non si può immaginare che un monaco buddista sia
ostile ad un cristiano, profondo credente. Non si può pensare che un poeta
sufi, cioè uno dei grandi poeti del Medioevo islamico in Persia, potrebbe
essere ostile al suo omologo cristiano. Solamente gli uomini di poca fede
possono essere fanatici. Il fanatismo è mancanza di una grande fede, non
eccesso di fede. La fede profonda è sempre più equilibrata e non provoca odio.
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21
febbraio 2005
CREDENTI E NON SI IMPEGNINO PER COSTRUIRE UN
FUTURO DI PACE E DI RISPETTO
NEL SUDAN, DOPO I LUNGHI ANNI DEL CONFLITTO
ARMATO.
E’ L’APPELLO DEI VESCOVI DEL PAESE AFRICANO IN UNA
LETTERA PASTORALE
KHARTOUM. = “La vera pace è
molto di più che l'assenza di guerra. Quello che occorre adesso sono le nostre
continue preghiere insieme agli sforzi individuali e collettivi per far sì che
gli sforzi di pace siano efficaci”. I vescovi del Sudan si appellano a tutti i
connazionali in una lettera pastorale che segue la recente firma degli accordi
di pace tra il governo di Khartoum e l'Esercito di Liberazione del Popolo
Sudanese (SPLA), che ha posto fine al sanguinoso conflitto interno. “La pace
che cerchiamo di costruire - si legge nella lettera, resa nota dalla Fides - è
un ordine e un'armonia nella comunità, in modo che le singole persone e le
comunità possano svilupparsi in pienezza e liberamente. Questa operazione di
costruzione della pace ha aspetti sociali, economici, politici, culturali e
religiosi. Chiediamo a tutti di contribuire come cittadini responsabili per
costruire la pace secondo le capacità e i talenti che Dio ci ha dato”. I
presuli sudanesi invitano tutti al rispetto reciproco del sentimento religioso
e al rispetto della libertà di coscienza di ciascuno. “Le nostre comunità sono
multietniche e multireligiose. Come cattolici incoraggiamo tutti a seguire la
loro coscienza e rispettiamo le pratiche e le credenze religiose di tutti.
Esortiamo i nostri fedeli a collaborare con altri gruppi religiosi in
iniziative comuni a beneficio del nostro popolo”, sentendoci chiamati, affermano
i vescovi, “a vivere la nostra fede con orgoglio e senza paura o vergogna come
il più grande regalo da sviluppare nel tempo di pace''. Dopo aver ricordato ai
fedeli di mettere la preghiera e l'Eucaristia al centro della loro vita, i vescovi
invitano i cattolici a essere parte attiva del processo di ricostruzione della
società civile, promuovendo, scrivono, “i diritti fondamentali degli altri,
pensando specialmente agli infermi, agli anziani e tutti gli altri gruppi più
deboli”. (A.D.C.)
NUOVO BILANCIO DELL’ONU SULLE VITTIME NEL DARFUR:
IL NUMERO DEI MORTI POTREBBE OSCILLARE TRA I 100 E
I 400 MILA.
GRAVISSIME LE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI ED
ECONOMIA LOCALE AL TRACOLLO,
PER UNA CRISI CHE LE NAZIONI UNITE DEFINISCONO UN
“DISASTRO UMANITARIO”
KHARTOUM. = Si era parlato
finora di 70 mila morti. Ma ora le Nazioni Unite rettificano il tiro, purtroppo
in peggio: nella martoriata regione sudanese del Darfur, i morti causati dal
conflitto potrebbero essere contenuti in una “forbice”
che va dai 100 mila ai 400 mila morti. Un bilancio spaventoso, ancorché non
ufficiale, emerso ieri durante l’incontro avvenuto a Karthoum tra agenzie
dell'ONU e gli esponenti delle organizzazioni non governative presenti in Sudan
con la delegazione del Partito democratico europeo. La riunione di un'ora ha
permesso di fare il quadro della crisi iniziata nel 2003. Oltre ai due
presidenti del partito, Francesco Rutelli e Francoise Bayrou, hanno preso parte
all’incontro Mike Mc Donagh, membro dell'Ufficio affari umanitari dell'ONU,
Carlos Alberto Lopes Veloso del PAM, Kurt Degerfelt, ambasciatore e capo della
delegazione dell'Unione europea in Sudan, rappresentanti dell'UNICEF e del
UNHCR. Veloso ha sostenuto che, a oggi, le persone danneggiate a vario titolo
dal conflitto sarebbero almeno 2 milioni e 800 mila. Ed ingenti sarebbero anche
i danni all'economia locale, dall'agricoltura, endemicamente in sofferenza, al
commercio e all'allevamento. Mc Donagh, che ha parlato di “disastro
umanitario”, ha denunciato la gravità della situazione specialmente nel campo
dei diritti umani, dove si registrano continue segnalazioni di sequestri e
aggressioni, anche a danno degli operatori umanitari. Nel corso della riunione,
è stata sollecitata nuovamente la comunità internazionale. Il PAM, che per il
2005 ha preventivato un impegno di spesa per 10 milioni di dollari, ha sostenuto
che sarebbero necessari almeno 50 milioni. (A.D.C.)
TRAGEDIA SU UN FIUME DEL BANGLADESH.
UN TRAGHETTO, INVESTITO DA UNA TEMPESTA TROPICALE,
AFFONDA E UCCIDE
OLTRE
CENTO PERSONE, CHE TORNAVANO
DALLA PRINCIPALE FESTA RELIGIOSA SCIITA
DACCA. = Un violento temporale
tropicale ha trasformato in tragedia il viaggio di un traghetto sul fiume
Buriganga, non lontano da Dacca, capitale del Bangladesh. Almeno 116 persone,
sulle 200 imbarcate, sono morte nella tarda serata di ieri in seguito
all’affondamento dell’imbarcazione “Mv Magaraj”, mentre 80 risultano tuttora
disperse. Il traghetto, diretto a Chandpur, è stato travolto da una tempesta e
si è ribaltato, permettendo solo a pochissime persone di trarsi in salvo. I
soccorsi sono proseguiti per tutta la notte e le rive del fiume, in prossimità
del disastro, si sono via via trasformate in un ricovero a cielo aperto di
cadaveri, mentre la polizia è intervenuta con gli sfollagente per disperdere le
centinaia di parenti, che lanciavano accuse per il ritardo nei soccorsi. I
sopravvissuti hanno riferito che il traghetto era carico di persone dirette a
casa per l'Ashura, la principale festa religiosa sciita, e di aver sentito un
violento urto nell’oscurità contro un’altra imbarcazione. A quel punto, il
traghetto si è inclinato su un lato e ha cominciato ad affondare, ma non ci
sono conferme ufficiali di una collisione. Nella
storia del Bangladesh, i naufragi sui corsi d’acqua sono frequenti, soprattutto
a causa delle pessime condizioni di manutenzione in cui versa la flotta
fluviale. Almeno 200 persone erano morte lo scorso anno, dopo
l’affondamento di due traghetti, scontratisi sul fiume Meghna, vicino a
Chandpur. (A.D.C.)
ARRESTATO UNO DEI PRESUNTI KILLER DI SUOR DOROTHY
STANG, LA MISSIONARIA ATTIVISTA PER I DIRITTI UMANI, IN BRASILE, UCCISA IL 12
FEBBRAIO SCORSO
ANAPU. = E’ finito in manette
uno dei due presunti assassini della missionaria americana, Dorothy Stang,
uccisa il 12 febbraio ad Anapu, in Amazzonia. L’uomo è stato arrestato ieri
sera, a venti chilometri da Anapu. Lo ha reso noto il sovrintendente regionale
della polizia civile di Altamira, Pedro Monteiro, precisando che la persona
arrestata è Rayfran das Neves Sales e che la sua cattura è stata resa possibile
grazie alle indicazioni fornite dagli abitanti locali, dopo che sue foto erano
state diffuse in tutta la regione. Rayfran si trovava su un'arteria della transamazzonica,
conosciuta con il nome di Pau Furado, quando è stato arrestato in un’operazione
congiunta della polizia civile, di quella militare e dell'esercito. Rayfran
avrebbe agito insieme con un'altra persona, conosciuta con il nome di Eduardo,
tuttora in fuga. La sera di sabato scorso era stato rinchiuso in prigione, ad
Altamira, Amair Feijoli da Cunha, accusato di essere il mandante dell'omicidio e
di essersi servito del fazendeiro
Vitalmiro Bastos de Moura per ingaggiare i due sicari. Per la polizia, anche
quest’ultimo sarebbe sul punto di costituirsi. Dorothy Stang, 76 anni, da oltre
25 in Brasile, impegnata nella difesa dei contadini e dei senza terra dello
Stato di Parà, è stata assassinata il 12 febbraio scorso. Per anni la Stang
aveva ricevuto minacce di morte per la sua instancabile lotta a difesa della
conservazione dell'Amazzonia e per l'affermazione dei diritti dei Sem Terra. Moura Bastos e Eduardo sono
ricercati dalla polizia e anche dai 2000 soldati che il presidente Lula ha
inviato per arginare l'emergenza-violenza in Amazzonia. (A.D.C.)
IN SPAGNA, IL 79% DEGLI ALUNNI SCEGLIE L’INSEGNAMENTO DELLA
RELIGIONE CATTOLICA NELLE SCUOLE. LA PERCENTUALE E’ IN AUMENTO
MADRID.
= La Commissione episcopale per l’insegnamento e la catechesi ha reso noto che
in Spagna il 79,3% degli alunni, nell’anno scolastico 2004/2005, ha scelto
l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, sia pubbliche che private.
Secondo la Commissione episcopale “la sensibilità dei genitori e degli alunni
al valore trascendente dell’ora di religione, sta diventando sempre più
evidente in ogni tipo di scuola”. Rispetto all’anno passato la percentuale è
aumentata di quasi due punti (77,5% nell’anno scolastico 2003/ 2004) e
questo per la Commissione è molto importante
“tenendo presente delle difficoltà che sta attraversando la religione cattolica
nella scuola”. Inoltre, sempre secondo i dati, pubblicati ogni anno in un
rapporto specifico, nelle scuole pubbliche la percentuale è la stessa dello
scorso anno (72,2%) mentre solo nella scuola secondaria obbligatoria perde otto
punti percentuali. Anche nelle scuole pubbliche normali la percentuale è in
aumento di un punto. (M.V.S.)
21
febbraio 2005
- A cura
di Amedeo Lomonaco -
● Previsioni rispettate
alle elezioni legislative di ieri in Portogallo: in base ai dati forniti dagli
exit poll, vittoria schiacciante dei socialisti che dispongono della
maggioranza assoluta in Parlamento. E’ la prima volta che ciò avviene dalla instaurazione
della democrazia in Portogallo nel 1974. Il voto spiana la strada verso la
poltrona di premier al leader socialista Socrates. Grande sconfitto è il partito
del premier uscente Pedro Santana Lopes mentre in nottata il ministro della
Difesa Paolo Portas si è dimesso dalla presidenza del Partito Popolare. Ma come
si può interpretare il voto di ieri? Ci risponde da Lisbona il giornalista
Riccardo Carucci al microfono di Roberto Piermarini:
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R. – Il risultato della votazione
conferma la mancanza di fiducia verso l’attuale primo ministro, Pedro Santana
Lopez. Ma il leader socialista, José Socrates,
futuro primo ministro, ritiene che non sia solo questo. Ritiene che ci sia
stata anche l’approvazione di un nuovo progetto, che è quello presentato da
lui.
D. – Per il leader Socrates è spianata quindi la strada verso la
poltrona di premier…
R. – Certamente è spianata. Non c’è nessun dubbio che sarà primo
ministro. Sarà premier senza bisogno di fare alleanze con altri partiti, avendo
conseguito la maggioranza assoluta. Oltre al partito socialista che ha già
superato il limite di 116 per ottenere la maggioranza assoluta, bisogna anche
registrare il progresso, modesto ma significativo dei comunisti. Dopo anni di
calo sono ritornati la terza forza politica, aumentando i deputati da 12 a 14.
C’è poi da rimarcare il progresso della formazione radicale di sinistra non
comunista, che addirittura da tre deputati è passata ad otto. Tuttavia, la
grande soddisfazione di questi due partiti è temperata dal fatto che, avendo i
socialisti la maggioranza assoluta, non potranno esercitare nessuna influenza
sul futuro governo.
D. – Quali saranno i compiti del nuovo governo?
R. – Socrates, il futuro primo ministro, ha parlato di rinnovamento,
modernizzazione, shock tecnologico. Tutto questo, naturalmente, accompagnato da
provvedimenti sociali che vanno dal rilancio dell’occupazione, alla lotta contro
le disuguaglianze, contro la povertà estrema, in attesa di un programma di
governo con scadenze e con obiettivi ben definiti. In questo momento non
sappiamo esattamente cosa farà questo partito socialista che, del resto, si
muove su posizioni molto moderate. E al di là del richiamo della mitica socialdemocrazia
scandinava, in effetti, Socrates ammira di più il modello britannico di Tony
Blair.
D. – C’è stata anche un’alta affluenza alle urne in Portogallo…
R. – C’è stata una leggera diminuzione dell’astensione dal 37 per
cento al 34 per cento. Non è stata una sconfitta dell’astensione, è stata
semplicemente una riduzione. C’è stato un maggior interesse. Probabilmente il
governo di centro-destra degli ultimi tre anni aveva creato insoddisfazione per
la politica di austerità e per gli sbandamenti degli ultimi mesi. Quindi, gli
elettori lo hanno respinto dando alla sinistra una rappresentanza probabilmente
superiore a quella reale dal punto di vista sociologico.
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● In Iraq il drammatico capitolo dei sequestri si arricchisce di nuovi
sviluppi: a Ramadi sono stati rilasciati due reporter indonesiani e a Mossul è
stata rapita una giornalista irachena. La donna è stata sequestrata da uomini
armati insieme con il figlio di 10 anni. Il nostro servizio:
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I due
giornalisti indonesiani, rapiti in Iraq la scorsa settimana, sono stati rilasciati.
Lo ha riferito l’emittente ‘Al Arabiya’ precisando che i due ostaggi sono stati
liberati a Ramadi dal sedicente “Esercito islamico”, gruppo che in passato ha rivendicato
diversi sequestri. La notizia è stata confermata dal ministero degli Esteri di
Giakarta e il rilascio è stato anche documentato da un video trasmesso da
diverse emittenti. Il filmato mostra i due reporter mentre
stringono la mano ad un militante con il volto coperto che legge un testo.
“Dopo aver preso i due giornalisti - dice l’estremista - abbiamo deciso di
liberarli senza condizioni perché rispettiamo i sentimenti di fratellanza
islamica tra i due Paesi. L’Indonesia, lo Stato musulmano più popoloso del
mondo, si è sempre opposta con fermezza alla presenza militare straniera in
Iraq. Il dramma del sequestro, che nell’ultimo anno ha colpito in Iraq 120
stranieri, si è ripetuto anche con una giornalista irachena rapita ieri
a Mossul insieme con il figlio di dieci anni. La sede di
‘Iraqia’, l’emittente pubblica filo-governativa per la quale lavora la donna,
è già stata teatro di numerosi attacchi da parte della guerriglia. Sul caso
dell’inviata italiana del ‘Manifesto’, Giuliana Sgrena, il sottosegretario alla
presidenza del Consiglio italiano, Gianni Letta ha dichiarato che ci sono buoni
motivi per essere ottimisti, anche se i tempi sono indefiniti. Sul terreno,
infine, si registrano violenze a Mossul, teatro dell’assassinio di un ufficiale
di polizia, e a Baquba dove l’autista di un camion che trasportava materiale
militare per l’esercito iracheno è rimasto ucciso in un’imboscata tesa da
ribelli.
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● In Libano, almeno quarantamila persone hanno osservato un minuto di
silenzio sul luogo del devastante attentato dove una settimana fa sono state uccise
a Beirut 14 persone e l’ex premier libanese Rafic Hariri.
● Dopo 10 mesi di crisi di
governo e di manifestazioni popolari, potrebbe sbloccarsi l’instabilità
politica della Repubblica turca del nord di Cipro, abitata da 200 mila persone
e riconosciuta solo da Ankara. Il partito repubblicano turco, guidato
dall’attuale premier Ali Talat, ha vinto infatti le elezioni di ieri con il 44
per cento dei voti. La formazione di centro-sinistra del primo ministro è favorevole
alla riunificazione con la Repubblica dei greco-ciprioti.
● Netta sconfitta per il cancelliere
tedesco Schroeder. Alle elezioni di ieri nello Schleswig-Holstein, le prime
dell’anno in Germania, il partito social-democratico è stato sconfitto
dall’opposizione dell’Unione cristiano democratica. Secondo i risultati provvisori,
i socialdemocratici dovrebbero comunque continuare a governare il Land del nord
della Germania grazie all’appoggio del piccolo partito della minoranza danese.
● Più di
150 persone potrebbero essere morte sepolte da una frana che si è abbattuta su
una bidonville sorta su un deposito di spazzatura vicino a Bandung, in
Indonesia. Lo ha reso noto stamani la polizia. La frana provocata da piogge
torrenziali ha investito le baracche in cui vivevano una quarantina di famiglie.
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