RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 52 - Testo della trasmissione lunedì 21 febbraio 2005

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Sostenere una comunicazione veritiera e libera, che contribuisca al progresso integrale dell’umanità: l’esortazione di Giovanni Paolo II contenuta nella lettera apostolica sui mass media “Il rapido sviluppo”, presentata oggi. Con noi, mons. Renato Boccardo

 

Dopodomani, mercoledì 23 febbraio, il Papa si affaccerà dal suo studio per benedire i fedeli, giunti in Piazza San Pietro per l’udienza generale

 

L’uomo va rispettato in ogni momento della vita e in qualsiasi condizione di salute a prescindere dalla sua efficienza: lo scrive il Papa in una lettera a mons. Sgreccia in occasione di un Congresso a 10 anni dall’ enciclica Evangelium Vitae sul tema “Qualità di vita ed etica della salute”

 

IN PRIMO PIANO:

Nuove speranze di pace in Medio Oriente dopo l’approvazione, della legge sul ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza e della modifica del tracciato del muro tra lo Stato ebraico e la Cisgiordania. Nei Territori, formato il nuovo governo palestinese: interviste con Nemer Hammad e Jianiki Cingoli

 

Il sì della Spagna nel referendum sulla Costituzione europea di ieri: ce ne parla Gabriela Canas

 

Bush a Bruxelles parla di “nuova era di unità transatlantica”, nella prima visita di un presidente  statunitense alle istituzioni europee: il commento di Luigi Bonanate

 

Europa, valori e amore al centro dell’ultimo film del regista e produttore polacco Zanussi, che avrà per titolo “Persona non grata”: con noi il regista

 

CHIESA E SOCIETA’:

Credenti e non si impegnino per costruire un futuro di pace e di rispetto nel Sudan: è l’appello dei vescovi del Paese africano in una lettera pastorale

 

Bilancio dell’ONU sulle vittime nel Darfur: i morti potrebbero oscillare tra i 100 e i 400 mila

 

Tragedia su un fiume del Bangladesh: decine le vittime

 

Arrestato uno dei presunti killer di suor Dorothy Stang, la missionaria attivista per i diritti umani, in Brasile, uccisa il 12 febbraio scorso

 

In Spagna, il 79% degli alunni sceglie l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole

 

24 ORE NEL MONDO:

Nelle lezioni parlamentari di ieri in Portogallo, netta affermazione del Partito socialista che conquista la maggioranza assoluta

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

21 febbraio 2005

 

 

SOSTENERE UNA COMUNICAZIONE VERITIERA E LIBERA, CHE CONTRIBUISCA

AL PROGRESSO INTEGRALE DELL’UMANITA’: E’ L’ESORTAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II CONTENUTA NELLA LETTERA APOSTOLICA “IL RAPIDO SVILUPPO”,

 RIVOLTA AI RESPONSABILI DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI,

 PRESENTATA OGGI ALLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE

 

         I mass media sono un bene destinato all'intera umanità, per questo i cristiani sono chiamati a sostenere una comunicazione veritiera e libera: così Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica “Il Rapido Sviluppo”, rivolta ai responsabili delle comunicazioni sociali. Il documento, presentato stamani alla Sala Stampa vaticana, traccia le grandi sfide poste oggi dallo sviluppo tecnologico dei mass media e sottolinea come, in questo campo, i credenti possano contare sull’aiuto dello Spirito Santo. Anche i mezzi di comunicazione, avverte inoltre il Pontefice, hanno bisogno della redenzione di Cristo. Sui punti chiave della Lettera Apostolica, ascoltiamo il servizio di Alessandro Gisotti:

        

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“Per i credenti e per le persone di buona volontà la grande sfida in questo nostro tempo è sostenere una comunicazione veritiera e libera, che contribuisca a consolidare il progresso integrale del mondo”: è la viva esortazione di Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica ai responsabili delle comunicazioni sociali. Un documento, che, come il Pontefice stesso sottolinea, si pone sulla scia del decreto conciliare Inter mirifica sui mezzi di comunicazione, promulgato da Paolo VI nel 1963. “Anche in questo campo – rassicura il Papa – i credenti in Cristo sanno di poter contare sull'aiuto dello Spirito Santo”. Aiuto necessario viste “le difficoltà intrinseche della comunicazione a causa delle ideologie, del desiderio di guadagno e di potere”. Riconosce poi che si tratta di una missione “non facile”. Per molti, constata con amarezza, “l’uomo dovrebbe imparare a vivere in un orizzonte di totale assenza di senso, all’insegna del provvisorio e del fuggevole”. Dunque, gli strumenti di comunicazione “possono essere usati per proclamare il Vangelo o per ridurlo al silenzio nel cuore degli uomini”.

 

Di fronte a questa sfida e al rapido sviluppo tecnologico, la Chiesa non è chiamata ad utilizzare i mass media solo “per diffondere il Vangelo, ma, oggi più che mai, ad integrare il messaggio salvifico nella nuova cultura che i potenti strumenti della comunicazione creano ed amplificano”. La Chiesa, prosegue, “avverte che l'uso delle tecniche e delle tecnologie della comunicazione contemporanea fa parte integrante della propria missione nel terzo millennio”. Si sofferma, quindi, sul discernimento evangelico e l’impegno missionario. “Anche il mondo dei media abbisogna della redenzione di Cristo”, è il richiamo del Pontefice. “La comunicazione tra Dio e l’umanità” ha raggiunto la “sua perfezione nel Verbo fatto carne”.

 

Per questo, “ricondotti nell’orizzonte di tale comunicazione ultima e decisiva i media si rivelano una provvidenziale opportunità per raggiungere gli uomini in ogni latitudine, superando barriere di tempo, di spazio e di lingua, formulando nelle modalità più diverse i contenuti della fede”. E sulla necessità di offrire “formazione ed attenzione pastorale ai professionisti della comunicazione”, il Papa scrive che molti giornalisti sono “sinceramente desiderosi di sapere e di praticare ciò che è giusto in campo etico e morale, e attendono dalla Chiesa orientamento e sostegno”.

 

D’altra parte, la Lettera Apostolica evidenzia che “la comunicazione permea le dimensioni essenziali della Chiesa, chiamata ad annunciare a tutti il lieto messaggio della salvezza. Per questo – si legge ancora – essa assume le opportunità offerte dagli strumenti della comunicazione sociale come percorsi dati provvidenzialmente da Dio ai nostri giorni per accrescere la comunione e rendere più incisivo l'annuncio”. E qui Giovanni Paolo II ringrazia Dio per la presenza di “questi potenti mezzi che se usati dai credenti con il genio della fede e nella docilità alla luce dello Spirito Santo, possono contribuire a facilitare la diffusione del Vangelo e a rendere più efficaci i vincoli di comunione tra le comunità ecclesiali”.

 

Il Papa evidenzia che la Chiesa “in forza del messaggio di salvezza” affidatole dal Signore è “anche maestra di umanità”, e avverte perciò “il dovere di offrire il proprio contributo per una migliore comprensione delle prospettive e delle responsabilità connesse con gli attuali sviluppi delle comunicazioni sociali”. Quindi, “occorre ribadire in modo forte e chiaro che gli strumenti della comunicazione sociale costituiscono un patrimonio da tutelare e promuovere”. Proprio perché nei mass media si trova un sostegno prezioso per diffondere il Vangelo, Giovanni Paolo II afferma che il “fenomeno attuale delle comunicazioni sociali spinge la Chiesa ad una sorta di revisione pastorale e culturale così da essere in grado di affrontare in modo adeguato il passaggio epocale che stiamo vivendo”. Impegno di cui devono farsi interpreti prima di tutti i Pastori. Ma non solo, tutti “i cristiani – è l’esortazione del Pontefice – devono tenere conto della cultura mediatica in cui vivono” dalla liturgia alla catechesi.

 

Da Internet ai mezzi di comunicazione tradizionali, bisogna allora valorizzare i nuovi media come quelli tradizionali “in un panorama completo della comunicazione ecclesiale”. In tale contesto, s’impongono alcune scelte fondamentali: una vasta opera formativa e una partecipazione corresponsabile alla gestione dei mezzi di comunicazione. “Se le comunicazioni sociali sono un bene destinato all'intera umanità – è il richiamo del documento - vanno trovate forme sempre aggiornate per rendere possibile un'ampia partecipazione alla loro gestione, anche attraverso opportuni provvedimenti legislativi”. Infine, i media devono favorire il dialogo “divenendo veicoli di reciproca conoscenza, di solidarietà e di pace”. 

 

La Lettera Apostolica si conclude con una vibrante esortazione ai responsabili delle comunicazioni sociali a non avere paura nel comunicare il messaggio di “speranza, di grazia, e di amore di Cristo”. “Non abbiate paura delle nuove tecnologie - scrive il Papa - esse sono “tra le cose meravigliose” - inter mirifica - che Dio ci ha messo a disposizione per scoprire, usare, far conoscere la verità, anche la verità sulla nostra dignità e sul nostro destino di figli suoi, eredi del suo Regno eterno”.

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Il documento pontificio è stato presentato stamani nella Sala Stampa della Santa Sede. Alla conferenza hanno preso parte l’arcivescovo John Patrick Foley, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali; mons. Renato Boccardo e il dottor Angelo Scelzo, segretario e sottosegretario del dicastero vaticano. Nel suo intervento, mons. Boccardo ha messo un accento particolare sui rischi insiti oggi nei mezzi di comunicazione:

 

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Senza voler apparire apocalittici ma neppure cedendo ad ingenue visioni fin troppo ottimistiche, non possiamo tacere come la rappresentazione del senso della vita che essi oggi gettano nell’arena del pubblico dibattito sia quasi del tutto al di fuori di ogni comprensione cristiana della vita stessa. L’industria culturale ha avviato infatti quel processo di messa in mora di una prospettiva cristiana circa la vita e la dignità della persona umana di cui il cinema, i talk show o alcune fiction sono drammatica testimonianza. Basti ricordare, inoltre, come troppo spesso la televisione diviene strumento potente di aggressioni personali, occasione di denigrazione e agorà di battaglie spesso volgari e senza gusto. A questo processo degenerativo non è esente la pubblicità, così come non manca la responsabilità di coloro che presiedono le strutture produttive e commerciali i cui criteri guida difficilmente si comprendono.

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Mons. Boccardo si è poi soffermato su un altro tema all’attenzione dalla Lettera “Il Rapido Sviluppo”: quello dell’opinione pubblica. “Il sistema dei media, complesso e composito, è oggi un grande potentato di costruzione e di eterodirezione dell’opinione pubblica”, ha rilevato il presule. “La Chiesa - ha aggiunto - guarda con favore e simpatia ai mezzi di comunicazione, ma sarebbe ingenuo, oltre che gravemente lesivo al bene comune, non interrogarsi sul rapporto tra media e costruzione dell’opinione pubblica”. A margine della conferenza stampa, il dottor Scelzo ha annunciato la prossima pubblicazione di un Dvd, realizzato in sinergia con il Centro Televisivo Vaticano, per celebrare il 40.mo anniversario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Proprio oggi, inizia a Palazzo San Carlo a Roma, l’assemblea plenaria del dicastero vaticano delle Comunicazioni Sociali.

 

 

 

 

 

UDIENZE

 

Il Papa ha ricevuto oggi alcuni presuli della Conferenza Episcopale della Spagna, in visita "ad Limina":  mons. Lluís Martínez Sistach, arcivescovo di Barcellona, con l'ausiliare mons. Joan Carrera Planas; mons. Josep Ángel Saiz Meneses, vescovo di Terrassa; mons. Agustín Cortés Soriano, vescovo di Sant Feliu de Llobregat; mons. Jaume Pujol Balcells, arcivescovo di Tarragona.

 

 

 

DOPODOMANI IL PAPA SI AFFACCERA’ DAL SUO STUDIO PER BENEDIRE I FEDELI,

GIUNTI IN VATICANO PER L’UDIENZA GENERALE DEL MERCOLEDI’.

LO AFFERMA UNA NOTA DELLA SALA STAMPA VATICANA

 

Sarà un mercoledì diverso dal consueto, quello di dopodomani. Giovanni Paolo II rivolgerà dalla finestra del suo studio privato un saluto ai fedeli convenuti per l’udienza generale. Ad annunciarlo, una nota del direttore della Sala stampa vaticana, Joaquin Navarro Valls, nella quale si spiega che, mercoledì mattina, il Papa si affaccerà alle 10.30 “per salutare e benedire i fedeli convenuti in Piazza San Pietro” per l’udienza.

 

L’ultima udienza generale si è svolta il 26 gennaio scorso, seguita dalla degenza del Pontefice al Policlinico Gemelli e dalla settimana di esercizi spirituali della Quaresima.

 

 

L’UOMO VA RISPETTATO IN  OGNI MOMENTO DELLA VITA E IN QUALSIASI CONDIZIONE

DI SALUTE A PRESCINDERE DALLA SUA EFFICIENZA:

LO SCRIVE IL PAPA IN UNA LETTERA A MONS. SGRECCIA

 IN OCCASIONE DI UN CONGRESSO A 10 ANNI DALL’ ENCICLICA EVANGELUM VITAE

 

Ogni uomo, in quanto creato a immagine e somiglianza di Dio, va riconosciuto e rispettato in ogni momento della vita e in qualsiasi condizione di salute, infermità o disabilità a prescindere dalla sua efficienza o dalla sua capacità di intendere e di volere. E’ quanto scrive Giovanni Paolo II in una lettera inviata a mons. Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita che, a 10 anni dalla enciclica Evangelium Vitae, ha aperto oggi la sua 11a Assemblea generale sul tema: “Qualità di vita ed etica della salute”. Il servizio di Sergio Centofanti.

 

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Il Papa rileva che ai giorni nostri l’espressione “qualità di vita” viene sempre più interpretata “come efficienza economica, consumismo disordinato, bellezza e godibilità della vita fisica, trascurando le dimensioni più profonde relazionali, spirituali e religiose dell’esistenza”.  Infatti, “sotto la spinta della società del benessere, si sta favorendo una nozione di qualità di vita che è, al tempo stesso, riduttiva e selettiva: essa consisterebbe nella capacità di godere e di sperimentare piacere, o anche nella capacità di autocoscienza e di partecipazione alla vita sociale. In conseguenza, è negata ogni qualità di vita agli esseri umani non ancora o non più capaci di intendere e di volere, oppure a coloro che non sono più in grado di godere la vita come sensazione e relazione”. “Si deve – invece, osserva Giovanni Paolo II - innanzitutto riconoscere la qualità essenziale che distingue ogni creatura umana per il fatto di essere creata a immagine e somiglianza del Creatore stesso... Questo livello di dignità e di qualità … è costitutivo dell’essere umano, permane in ogni momento della vita, dal primo istante del concepimento fino alla morte naturale, e si attua in pienezza nella dimensione della vita eterna. L’uomo va dunque riconosciuto e rispettato in qualsiasi condizione di salute, di infermità o di disabilità”.

 

Esiste poi – scrive il Papa – “un secondo livello di qualità della vita” che la società deve promuovere e riguarda “tutte le dimensioni della persona - la dimensione corporea, quella psicologica, quella spirituale e quella morale”: queste dimensioni vanno promosse in armonia e devono essere riconosciute “a tutti gli uomini anche a quelli che vivono in Paesi in via di sviluppo. Uguale è infatti la dignità degli esseri umani, a qualunque società appartengano”. Così anche il concetto di salute – prosegue il Pontefice – è oggi spesso distorto. La salute infatti va certamente considerata come “uno dei beni più importanti”, ma “non è un bene assoluto: non lo è – sostiene il Papa – soprattutto quando viene intesa come semplice benessere fisico, mitizzato fino a … trascurare beni superiori, accampando ragioni di salute persino nel rifiuto della vita nascente”.

 

Il Papa sottolinea poi che ogni persona ha una grave responsabilità “sulla salute propria e su quella di chi non ha raggiunto la maturità o non ha più la capacità di gestire se stesso”. “Di quante malattie - esclama Giovanni Paolo II -  i singoli sono spesso responsabili per sé e per gli altri! Pensiamo alla diffusione dell’alcolismo, della tossico-dipendenza e dell’AIDS. Quanta energia di vita e quante vite di giovani potrebbero essere risparmiate e mantenute in salute se la responsabilità morale di ciascuno sapesse promuovere di più la prevenzione e la conservazione di quel prezioso bene che è la salute!”. D’altra parte – rileva il Pontefice “l’umanità di oggi si presenta, in vaste zone del mondo, vittima del benessere che essa stessa ha creato e, in altre parti molto più vaste, vittima di malattie diffuse e devastanti, la cui virulenza deriva dalla miseria e dal degrado ambientale”. Curare e prevenire le malattie – conclude Giovanni Paolo II – “è un dovere di solidarietà che non esclude nessuno” proprio “in omaggio alla dignità della persona e all’importanza del bene della salute”.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina la Lettera apostolica di Giovanni Paolo II ai responsabili delle comunicazioni sociali.

Sempre in prima, in evidenza il vibrante Angelus del Santo Padre nel clima spirituale della festa della Cattedra di San Pietro dell’Anno dell’Eucaristia: “Il ministero petrino è servizio all’unità della Chiesa”.

 

Nelle vaticane, il servizio sui funerali di mons. Aldo Del Monte: con commosse parole il vescovo di Novara, mons. Renato Corti, ha ricordato il compianto pastore nell’omelia della Santa Messa esequiale presieduta dal cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino.

 

Nelle estere, per la rubrica dell’“Atlante geopolitico” un articolo di Giuseppe M. Petrone dal titolo “Vertice Usa-Russia: le sfide del XXI secolo”.

Medio Oriente: il governo israeliano approva il piano di ritiro dalla Striscia di Gaza; comincerà il 20 luglio lo sgombero di circa 8.000 coloni da ventuno insediamenti.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Paolo Liverani in merito alla mostra - ai Musei Vaticani - sul tema “L’Augusteum di Narona. Roma al di là dell’Adriatico”.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la vicenda della giornalista rapita in Iraq: l’incontro dei familiari con il sottosegretario Letta. “Tutti i canali aperti”; c'è un clima di ottimismo ma i tempi per il rilascio si prospettano lunghi.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

21 febbraio 2005

 

 

 

NUOVE SPERANZE DI PACE IN MEDIO ORIENTE DOPO L’APPROVAZIONE, DA PARTE

DEL GOVERNO DI TEL AVIV, DELLA LEGGE SUL RITIRO ISRAELIANO DALLA STRISCIA

 DI GAZA E DELLA MODIFICA DEL TRACCIATO DEL MURO TRA LO STATO EBRAICO

E LA CISGIORDANIA. NEI TERRITORI, FORMATO IL NUOVO GOVERNO PALESTINESE

- Interviste con Nemer Hammad e Jianiki Cingoli -

 

L’approvazione della legge israeliana sul ritiro dalla Striscia di Gaza, la modifica del tracciato del muro tra lo Stato ebraico e la Cisgiordania e la formazione del nuovo governo palestinese. Sono gli ultimi incoraggianti tasselli del complesso mosaico israelo-palestinese segnato da nuove speranze di pace. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Storica decisione in Medio Oriente: il governo israeliano ha approvato, a grande maggioranza, la legge sul ritiro dalla Striscia di Gaza e sull’evacuazione dei coloni dalla regione. Lo sgombero degli insediamenti coinvolge circa 8000 coloni e sarà completato entro cinque mesi. “Questo – ha detto il premier Ariel Sharon – è un processo fondamentale per il futuro di Israele”. Per il movimento estremista ‘Hamas’ il ritiro “è il risultato dell’eroica resistenza palestinese”. Il governo di Tel Aviv ha anche approvato il nuovo tracciato della barriera di sicurezza tra Israele e la Cisgiordania, dove stamani sono scoppiati duri scontri fra dimostranti arabi e reparti dell’esercito israeliano presso il villaggio di Tillin. In virtù del provvedimento deciso dall’esecutivo di Tel Aviv il muro, dichiarato illegittimo dalla Corte internazionale di giustizia, sarà più vicino ai confini internazionalmente riconosciuti con i Territori palestinesi. Dopo questa duplice mossa volta a rinvigorire le relazioni con l’Autorità nazionale palestinese, Israele ha anche liberato 500 detenuti palestinesi. Nelle prossime ore è previsto, inoltre, il rilascio di altri 400 prigionieri. Nei Territori, intanto, i parlamentari di Al Fatah hanno approvato la composizione del nuovo governo palestinese. Nel suo discorso all’assemblea parlamentare, il premier Abu Ala ha ribadito l'impegno dell’esecutivo per le riforme amministrative e per il rafforzamento del potere giudiziario, fortemente penalizzato da Yasser Arafat. Abu Ala ha anche detto che il governo proverà a restaurare la legge e l’ordine in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

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E’ dunque un momento storico per le relazioni tra israeliani e palestinesi. Ma come viene giudicata nel mondo arabo l’approvazione della legge sul ritiro israeliano dai Territori? Roberto Piermarini lo ha chiesto al delegato palestinese in Italia, Nemer Hammad:

 

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R. – Il ritiro israeliano è benvenuto da parte nostra, sicuramente. Sappiamo che ci sono tanti problemi, tante complicazioni di dove debbano andare questi coloni. Comunque, questo è un primo passo, importante, nella direzione giusta.

 

D. – Quali sono gli ostacoli che si frappongono al proseguimento della pace con Israele?

 

R. – Il rilascio di quasi otto mila prigionieri palestinesi, il ritiro dei coloni in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, la fine di centinaia di check-point nei territori palestinesi. Abbiamo ancora tanti tanti problemi da risolvere. L’importante oggi è cominciare ad applicare interamente la road map, che prevede il ritiro israeliano, la nascita di uno Stato palestinese indipendente, a fianco di Israele. Auguriamo - hanno dichiarato più di una volta il presidente Bush, il quartetto, i rappresentanti dell’Unione Europea, la Russia, le Nazioni Unite - una partecipazione della comunità internazionale nella trattativa.

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Ma come è stato accolto il ritiro israeliano dall’opinione pubblica dello Stato ebraico? Risponde da Gerusalemme il direttore del centro italiano per la pace in Medio Oriente, Jianiki Cingoli:

 

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R. – Per l’opinione pubblica israeliana significa innanzitutto la speranza che questa infernale spirale di violenza, di terrorismo e di scontri abbia fine. Certo c’è una forte resistenza da parte dei coloni israeliani, che però rappresentano il 3 per cento della popolazione. I sondaggi danno il 70 per cento di consensi alla proposta di ritiro unilaterale di Sharon. Certo ora il più è da fare: occorre superare quattro anni di odio, di violenza, di scontri e recuperare la fiducia reciproca. L’importante è cha tra i due leader, Sharon e Abu Mazen, ci sia una certa intesa.

 

D. – Può frenare veramente il terrorismo, questa decisione del Parlamento israeliano?

 

R. – C’è un impegno da parte del presidente palestinese Abu Mazen di proseguire in questa direzione. Questo impegno si basa su una valutazione politica di Abu Mazen, che è sempre stato contro la martirizzazione dell’Intifada e a favore di una ripresa del processo diplomatico. E’ in atto un processo in Palestina che tocca anche le finanze, i servizi di sicurezza. Quindi, questo pone le basi per ripristinare una base di consenso tra le parti.

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IL “SI”DELLA SPAGNA

NEL REFERENDUM SULLA COSTITUZIONE EUROPEA

- Intervista con Gabriela Canas -

 

Concluso lo scrutinio delle schede in Spagna, emerge il quadro preciso del voto sulla Costituzione europea. Il ‘sì’ ha avuto Il 76,73% dei voti contro il 17,24% dei ‘no’. Le schede bianche sono state il 6,03%. La partecipazione è stata del 42,32%. A Madrid si è tirato un sospiro di sollievo, considerato che alla vigilia il governo aveva fatto sapere che si sarebbe accontentato se un terzo degli elettori avesse espresso il voto. Da parte sua, il premier socialista Jose Luis Rodriguez Zapatero, invita gli altri Paesi europei a seguire l'esempio della Spagna e a  ratificare il Trattato. Zapatero ricorda che “pur essendosi uniti tardi al processo di unione, gli Spagnoli hanno ora dimostrato di essere all'avanguardia nella nuova visione di una “Europa della pace, della solidarietà e della tolleranza” cui hanno voluto dire “grazie” per il benessere e la libertà che in questi decenni ha garantito al Paese. Ma ascoltiamo quanto ci riferisce, nell’intervista di Fausta Speranza, la corrispondente di El Pais, Gabriela Canas:

 

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R. – AQUI EN BRUXELLAS SE HA RECIBIDO…

Qui a Bruxelles, l’Unione Europea in generale ha accolto i risultati del referendum in Spagna con molta soddisfazione, perché senza dubbio c’era una grande incertezza, soprattutto per quanto riguardava il livello di partecipazione, che, finalmente, è stato abbastanza accettabile, molto vicino al livello di partecipazione delle elezioni europee del passato mese di giugno e soprattutto per la maggior parte a favore del ‘sì’. Questo è stato accolto a Bruxelles con sollievo, perché era il primo referendum che si teneva in Europa. Quindi è stato vissuto come un forte segnale per il resto dei Paesi che terranno a loro volta referendum per l’approvazione della Costituzione europea.

 

D. – Secondo lei, gli spagnoli sono orgogliosi di essere i primi a dire ‘sì’ all’Europa?    

 

R. – CREO QUE UNA PARTE IMPORTANTE…

Credo che una parte importante della società sia stata effettivamente orgogliosa di essere la prima in Europa. Però, c’è stata anche una parte importante della società che è stata molto critica, soprattutto la destra in generale: hanno parlato di referendum fatto precipitosamente, con poco tempo per discuterne e con poco tempo per conoscere il testo costituzionale. In questo senso, le opinioni sono diverse.

 

D. – Comunque, ora  ci sarà anche il voto parlamentare…

 

R. – SI’, SIN DUDA…

Sì, senza dubbio, ora bisogna ottenere la ratifica del Parlamento spagnolo, che però non è di nessun ostacolo, al contrario. Il 90 per cento dei voti del Parlamento spagnolo sono a favore della Costituzione europea: non ci sarà nessun problema.

 

D. – Ma questa procedura è stata una scelta politica  o una procedura obbligata dalla legislazione in Spagna?

 

R. – NO, HA SIDO UNA…

No, il modo di ratificare la Costituzione era tutto da scegliere e tanto il Partito popolare quanto il Partito socialista hanno detto che volevano fare un referendum. In Spagna tutto questo si considera storico perché abbiamo avuto poche opportunità di votare. Abbiamo alle spalle solo 25 anni di democrazia. Questa veniva considerata come una buona opportunità, molto importante per la Spagna e per l’Europa, per chiedere alla gente il suo voto e così è stato fatto. La partecipazione è stata del 42 per cento e va considerato che in altri Paesi, nel mese di giugno, il voto per le elezioni europee ha visto una partecipazione del 20 per cento. La verità è che milioni di persone qui hanno votato ‘sì’, e sono tantissime.

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GEORGE W. BUSH A BRUXELLES PARLA DI “NUOVA ERA DI UNITA’ TRANSATLANTICA”, NELLA PRIMA VISITA DI UN PRESIDENTE STATUNITENSE ALLE ISTITUZIONI EUROPEE

- Intervista con Luigi Bonanate -

 

Proprio in questi minuti comincia al Concert Noble, piccola sala congressi di Bruxelles, il discorso del presidente Bush che ha iniziato stamane la sua missione europea con la visita di cortesia ai reali del Belgio, Alberto e Paola; ha poi incontrato il premier belga Guy Verhofstadt e il segretario generale della NATO Jaap de Hoop Scheffer. Il tutto in una città blindata, con agenti di polizia, camionette e cavalli di Frisia presenti ovunque. Ma sul contenuto del suo discorso, ascoltiamo Fausta Speranza:

 

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“Una nuova era di unità transatlantica”: questo il messaggio. Come anticipato dalla Casa Bianca, George W. Bush indica la pace in Medio Oriente quale obiettivo immediato che America e Europa devono perseguire insieme. E di “Alleanza” parla affermando che rappresenta “il maggiore pilastro della sicurezza nel nuovo secolo”. E dopo la sicurezza cita l’economia: “Il nostro robusto commercio è uno dei motori dell'economia mondiale”. E qui si può ricordare che anche al momento del gelo tra Francia e Stati Uniti non si è fermata la macchina degli investimenti: mentre europei (almeno alcuni di essi) e americani si scontravano al   Consiglio di Sicurezza dell'ONU, le società americane lo scorso anno "portavano " in Europa 87 miliardi di dollari d'investimenti diretti (Fdi), con un aumento del 30,5% sul 2002, specie nei due Paesi, Francia e Germania, che maggiormente si erano opposti al conflitto iracheno: una cifra pari al 65% di tutti gli investimenti diretti degli Usa nel mondo. Nel contempo, Parigi investiva negli Usa il quadruplo dei capitali investiti dagli Usa in Francia. E gli altri europei non sono stati da meno: nel 2003 i loro investimenti oltre Atlantico sono saliti a 36,9    miliardi di dollari rispetto ai 26 dell’anno precedente.

 

 Ben comprensibile che Bush parli di “robusto commercio”. Poi il suo discorso si sposta decisamente sul piano politico con un’affermazione forte: “Il nostro esempio di libertà economica e politica – sottolinea il presidente Usa – dà speranza a milioni che sono poveri e oppressi.” E aggiunge proprio in questi minuti: “Per tutto ciò, la nostra amicizia è essenziale per la pace e la prosperità  nel mondo e nessun dibattito temporaneo, nessun disaccordo provvisorio fra governi, nessun potere sulla Terra ci dividerà mai”.

 

         In attesa di ascoltare altri passi dell’intervento di Bush, ricordiamo che la sua visita è la prima di un capo di Stato americano alle istituzioni europee e che, d’altra parte, i 25 Paesi dell’Unione si presentano sostanzialmente uniti e convinti sulle mosse da fare per rilanciare le relazioni tra le due sponde dell’oceano. Di questo abbiamo parlato con Luigi Bonanate, docente di relazioni internazionali all’Università di Torino:

 

R. – La prima volta, ovvero è molto tardi. Il cammino dell’Unione Europea è ormai pluri-decennale; è la prima volta che sembra che gli Stati Uniti se ne accorgano, e non è un caso che se ne accorgano oggi, cioè al termine di un biennio – più o meno – di grande tensione transatlantica. Insomma, bisognerebbe dire, per impostare bene il discorso, che gli Stati Uniti non hanno mai visto con particolare favore – e questo fin dalle origini, dal ’57 in poi – il cammino dell’unificazione europea, anche se formalmente dovevano sempre applaudirlo. I più vecchi, come me, ricorderanno che ai tempi di Kissinger, lo stesso Kissinger fu più volte piuttosto polemico, quando era segretario di Stato, nei confronti dell’Europa unita. Addirittura, era un’alleanza difficile – così la definì lui – l’alleanza tra Stati Uniti e Paesi dell’allora Comunità europea.

 

D. – Diciamo una cosa, professor Bonanate: anche gli Stati dell’Unione Europea non si sono mai presentati così uniti; è anche la fase della svolta politica con la Costituzione, non è così?

 

R. – Anche qui direi sì e no. I Paesi dell’Unione sono uniti oggi: come nascondersi che sotto sotto delle tensioni ancora permangono? D’altra parte, con l’entrata dei nuovi membri abbiamo avuto la Polonia che spingeva di nuovo un pochino a destra, insieme a molti governi già di centro-destra. Adesso, la scorsa primavera, abbiamo avuto Zapatero in Spagna, adesso il governo portoghese ... insomma, sembra che inizi un’altra onda di segno contrario ... questo, inevitabilmente, si sposa con le posizioni di politica estera. I Paesi di centro-sinistra sono quelli che hanno cercato di dissociarsi dall’iniziativa irachena e quelli di centro-destra sono stati a favore ... Allora, quella spaccatura oggi tende a riproporsi in modo più evidente. D’altra parte, la Costituzione e il cammino della Costituzione è invece un momento unitario, un momento consensuale, un momento di crescita comune che, naturalmente, è la parte che – io penso – sia più importante.

 

D. – Professor Bonanate, proprio in questi minuti il presidente Bush sta parlando di una nuova era dell’unità transatlantica. Un commento a caldo?

 

R. – Molto a caldo le dirò che mi sembra difficilissimo proporre oggi una nuova alleanza transatlantica nel momento in cui gli Stati Uniti, francamente, non mi sembrano disposti a fare concessioni, cioè ad imbarcarsi in un’avventura di consensualità con gli alleati occidentali. Naturalmente, con questo non voglio dire che sia finita la storia dell’amicizia transatlantica: ci mancherebbe! Ma gli Stati Uniti si stanno muovendo ad un raggio molto, molto ampio in quella parte di mondo che va dal Medio Oriente all’Asia centrale, che sembra essere diventata un po’ l’ombelico del mondo in questi ultimi anni. E su tutto ciò non mi pare che ci sia una oggettiva unità di intenti con l’Unione Europea.

 

D. – In questa nuova era, secondo lei che posto avrà l’ONU? Che posto si prevede?

 

R. – Temo non un posto di prima fila. Io personalmente sarei invece molto molto favorevole a che l’ONU vedesse crescere il suo ruolo e il significato anche popolare della sua esistenza. Questa è una delle cose, appunto, che andrebbero rimesse in discussione.

 

Resta da ricordare altri momenti chiave della visita: stasera la cena con il presidente francese Chirac; domani Vertici alla Nato e con l'UE, ma anche numerosi bilaterali. Mercoledì, Bush sarà a Magonza in Germania, dove vedrà il cancelliere tedesco Schroeder, e giovedì a Bratislava in Slovacchia, dove incontrerà il presidente russo Putin.

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EUROPA, VALORI E AMORE AL CENTRO DELL’ULTIMO FILM DEL REGISTA E PRODUTTORE POLACCO ZANUSSI, CHE AVRA’ PER TITOLO “PERSONA NON GRATA”

- Intervista con Krzystof Zanussi -

 

Parla dell’Europa di oggi, dei valori e dell’amore, l’ultimo film del regista e produttore polacco di origine italiana Krzystof Zanussi. Giunto quasi a fine lavorazione, avrà per titolo: “Persona non grata” e uscirà contemporaneamente in Italia, Russia e Polonia. Da sempre impegnato su temi difficili quali la morte, il dolore, la vocazione dell’uomo, Zanussi con le sue opere suscita in chi lo segue domande profonde e scomode. Ma oggi quanto siamo disposti ad interrogarci e ad ascoltare? Adriana Masotti lo ha chiesto allo stesso Zanussi:

 

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R. – Io non mi pongo questa domanda, se l’uomo sia disposto o non disposto, perché le domande sono sostanziali. L’uomo deve fare lo sforzo di affrontare anche i problemi difficili e spiacevoli, non può sfuggire alla realtà. Se non siamo preparati, se non abbiamo una struttura spirituale per accogliere questi colpi, siamo disarmati. Se tramite l’arte possiamo avere la fantasia per capire che cosa può accadere, può aiutarci ad essere un po’ più preparati. Questo credo sia il compito dell’artista.

 

D. – Per lei il Vangelo, quindi fede e cultura, sono inseparabili. Oggi, per la maggioranza in Europa, non è più così. Separare la nostra cultura europea dalle radici cristiane a che cosa può portare, secondo lei?

 

R. – Se l’Europa vuole vivere un ateismo non trascendente, credo si condanni alla decomposizione, alla degradazione. Abbiamo ideali, nell’Europa di oggi, come i diritti dell’uomo, che derivano dal concetto cristiano: rispetto per l’uomo, rispetto per la vita. Tutto questo deriva dal Vangelo. Senza il Vangelo non c’è modo di giustificarli. Ci sono correnti, anche nel pensiero americano, molto pericolose che cercano di provare l’uguaglianza tra l’essere umano e l’animale. Credo che questi concetti possano veramente distruggere la nostra civiltà. Solo la civiltà europea, euro-atlantica, basata sul cristianesimo, ha creato questa straordinaria accelerazione dello sviluppo, e non a caso. Perché il cristianesimo, il Vangelo, offriva una visione della libertà unica. Nessun’altra religione è stata altrettanto liberatrice dell’uomo come la nostra. Qui, allora, rischiamo tutto. Dobbiamo, credo, essere molto cauti per non fare uno sbaglio storico che può costare molto alle generazioni future. 

 

D. – Serbare la propria identità, ma cogliere il diverso. Oggi è di grande attualità parlare del rapporto con l’islam. Il cinema può contribuire a questi incontri?

 

R. – Sicuramente, perché il cinema è un linguaggio audiovisivo, è un linguaggio più accessibile, più comune. Fra pochi giorni andrò a Teheran per incontrare gli islamici. Parleremo di cinema ed anche dell’incontro tra il misticismo islamico e quello cristiano, per constatare che sul livello più alto la spiritualità è vicina. Non si può immaginare che un monaco buddista sia ostile ad un cristiano, profondo credente. Non si può pensare che un poeta sufi, cioè uno dei grandi poeti del Medioevo islamico in Persia, potrebbe essere ostile al suo omologo cristiano. Solamente gli uomini di poca fede possono essere fanatici. Il fanatismo è mancanza di una grande fede, non eccesso di fede. La fede profonda è sempre più equilibrata e non provoca odio.

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CHIESA E SOCIETA’

21 febbraio 2005

 

 

CREDENTI E NON SI IMPEGNINO PER COSTRUIRE UN FUTURO DI PACE E DI RISPETTO

NEL SUDAN, DOPO I LUNGHI ANNI DEL CONFLITTO ARMATO.

E’ L’APPELLO DEI VESCOVI DEL PAESE AFRICANO IN UNA LETTERA PASTORALE

 

KHARTOUM. = “La vera pace è molto di più che l'assenza di guerra. Quello che occorre adesso sono le nostre continue preghiere insieme agli sforzi individuali e collettivi per far sì che gli sforzi di pace siano efficaci”. I vescovi del Sudan si appellano a tutti i connazionali in una lettera pastorale che segue la recente firma degli accordi di pace tra il governo di Khartoum e l'Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese (SPLA), che ha posto fine al sanguinoso conflitto interno. “La pace che cerchiamo di costruire - si legge nella lettera, resa nota dalla Fides - è un ordine e un'armonia nella comunità, in modo che le singole persone e le comunità possano svilupparsi in pienezza e liberamente. Questa operazione di costruzione della pace ha aspetti sociali, economici, politici, culturali e religiosi. Chiediamo a tutti di contribuire come cittadini responsabili per costruire la pace secondo le capacità e i talenti che Dio ci ha dato”. I presuli sudanesi invitano tutti al rispetto reciproco del sentimento religioso e al rispetto della libertà di coscienza di ciascuno. “Le nostre comunità sono multietniche e multireligiose. Come cattolici incoraggiamo tutti a seguire la loro coscienza e rispettiamo le pratiche e le credenze religiose di tutti. Esortiamo i nostri fedeli a collaborare con altri gruppi religiosi in iniziative comuni a beneficio del nostro popolo”, sentendoci chiamati, affermano i vescovi, “a vivere la nostra fede con orgoglio e senza paura o vergogna come il più grande regalo da sviluppare nel tempo di pace''. Dopo aver ricordato ai fedeli di mettere la preghiera e l'Eucaristia al centro della loro vita, i vescovi invitano i cattolici a essere parte attiva del processo di ricostruzione della società civile, promuovendo, scrivono, “i diritti fondamentali degli altri, pensando specialmente agli infermi, agli anziani e tutti gli altri gruppi più deboli”. (A.D.C.)

 

 

NUOVO BILANCIO DELL’ONU SULLE VITTIME NEL DARFUR:

IL NUMERO DEI MORTI POTREBBE OSCILLARE TRA I 100 E I 400 MILA.

GRAVISSIME LE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI ED ECONOMIA LOCALE AL TRACOLLO,

PER UNA CRISI CHE LE NAZIONI UNITE DEFINISCONO UN “DISASTRO UMANITARIO”

 

KHARTOUM. = Si era parlato finora di 70 mila morti. Ma ora le Nazioni Unite rettificano il tiro, purtroppo in peggio: nella martoriata regione sudanese del Darfur, i morti causati dal conflitto potrebbero essere contenuti in una “forbice” che va dai 100 mila ai 400 mila morti. Un bilancio spaventoso, ancorché non ufficiale, emerso ieri durante l’incontro avvenuto a Karthoum tra agenzie dell'ONU e gli esponenti delle organizzazioni non governative presenti in Sudan con la delegazione del Partito democratico europeo. La riunione di un'ora ha permesso di fare il quadro della crisi iniziata nel 2003. Oltre ai due presidenti del partito, Francesco Rutelli e Francoise Bayrou, hanno preso parte all’incontro Mike Mc Donagh, membro dell'Ufficio affari umanitari dell'ONU, Carlos Alberto Lopes Veloso del PAM, Kurt Degerfelt, ambasciatore e capo della delegazione dell'Unione europea in Sudan, rappresentanti dell'UNICEF e del UNHCR. Veloso ha sostenuto che, a oggi, le persone danneggiate a vario titolo dal conflitto sarebbero almeno 2 milioni e 800 mila. Ed ingenti sarebbero anche i danni all'economia locale, dall'agricoltura, endemicamente in sofferenza, al commercio e all'allevamento. Mc Donagh, che ha parlato di “disastro umanitario”, ha denunciato la gravità della situazione specialmente nel campo dei diritti umani, dove si registrano continue segnalazioni di sequestri e aggressioni, anche a danno degli operatori umanitari. Nel corso della riunione, è stata sollecitata nuovamente la comunità internazionale. Il PAM, che per il 2005 ha preventivato un impegno di spesa per 10 milioni di dollari, ha sostenuto che sarebbero necessari almeno 50 milioni. (A.D.C.)

 

 

TRAGEDIA SU UN FIUME DEL BANGLADESH.

UN TRAGHETTO, INVESTITO DA UNA TEMPESTA TROPICALE, AFFONDA E UCCIDE

 OLTRE CENTO PERSONE, CHE TORNAVANO

DALLA PRINCIPALE FESTA RELIGIOSA SCIITA

 

DACCA. = Un violento temporale tropicale ha trasformato in tragedia il viaggio di un traghetto sul fiume Buriganga, non lontano da Dacca, capitale del Bangladesh. Almeno 116 persone, sulle 200 imbarcate, sono morte nella tarda serata di ieri in seguito all’affondamento dell’imbarcazione “Mv Magaraj”, mentre 80 risultano tuttora disperse. Il traghetto, diretto a Chandpur, è stato travolto da una tempesta e si è ribaltato, permettendo solo a pochissime persone di trarsi in salvo. I soccorsi sono proseguiti per tutta la notte e le rive del fiume, in prossimità del disastro, si sono via via trasformate in un ricovero a cielo aperto di cadaveri, mentre la polizia è intervenuta con gli sfollagente per disperdere le centinaia di parenti, che lanciavano accuse per il ritardo nei soccorsi. I sopravvissuti hanno riferito che il traghetto era carico di persone dirette a casa per l'Ashura, la principale festa religiosa sciita, e di aver sentito un violento urto nell’oscurità contro un’altra imbarcazione. A quel punto, il traghetto si è inclinato su un lato e ha cominciato ad affondare, ma non ci sono conferme ufficiali di una collisione. Nella storia del Bangladesh, i naufragi sui corsi d’acqua sono frequenti, soprattutto a causa delle pessime condizioni di manutenzione in cui versa la flotta fluviale. Almeno 200 persone erano morte lo scorso anno, dopo l’affondamento di due traghetti, scontratisi sul fiume Meghna, vicino a Chandpur. (A.D.C.) 

 

 

ARRESTATO UNO DEI PRESUNTI KILLER DI SUOR DOROTHY STANG, LA MISSIONARIA ATTIVISTA PER I DIRITTI UMANI, IN BRASILE, UCCISA IL 12 FEBBRAIO SCORSO

 

ANAPU. = E’ finito in manette uno dei due presunti assassini della missionaria americana, Dorothy Stang, uccisa il 12 febbraio ad Anapu, in Amazzonia. L’uomo è stato arrestato ieri sera, a venti chilometri da Anapu. Lo ha reso noto il sovrintendente regionale della polizia civile di Altamira, Pedro Monteiro, precisando che la persona arrestata è Rayfran das Neves Sales e che la sua cattura è stata resa possibile grazie alle indicazioni fornite dagli abitanti locali, dopo che sue foto erano state diffuse in tutta la regione. Rayfran si trovava su un'arteria della transamazzonica, conosciuta con il nome di Pau Furado, quando è stato arrestato in un’operazione congiunta della polizia civile, di quella militare e dell'esercito. Rayfran avrebbe agito insieme con un'altra persona, conosciuta con il nome di Eduardo, tuttora in fuga. La sera di sabato scorso era stato rinchiuso in prigione, ad Altamira, Amair Feijoli da Cunha, accusato di essere il mandante dell'omicidio e di essersi servito del fazendeiro Vitalmiro Bastos de Moura per ingaggiare i due sicari. Per la polizia, anche quest’ultimo sarebbe sul punto di costituirsi. Dorothy Stang, 76 anni, da oltre 25 in Brasile, impegnata nella difesa dei contadini e dei senza terra dello Stato di Parà, è stata assassinata il 12 febbraio scorso. Per anni la Stang aveva ricevuto minacce di morte per la sua instancabile lotta a difesa della conservazione dell'Amazzonia e per l'affermazione dei diritti dei Sem Terra. Moura Bastos e Eduardo sono ricercati dalla polizia e anche dai 2000 soldati che il presidente Lula ha inviato per arginare l'emergenza-violenza in Amazzonia. (A.D.C.)

 

 

IN SPAGNA, IL 79% DEGLI ALUNNI SCEGLIE L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA NELLE SCUOLE. LA PERCENTUALE E’ IN AUMENTO

 RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE

 

MADRID. = La Commissione episcopale per l’insegnamento e la catechesi ha reso noto che in Spagna il 79,3% degli alunni, nell’anno scolastico 2004/2005, ha scelto l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, sia pubbliche che private. Secondo la Commissione episcopale “la sensibilità dei genitori e degli alunni al valore trascendente dell’ora di religione, sta diventando sempre più evidente in ogni tipo di scuola”. Rispetto all’anno passato la percentuale è aumentata di quasi due punti (77,5% nell’anno scolastico 2003/ 2004) e questo  per la Commissione è molto importante “tenendo presente delle difficoltà che sta attraversando la religione cattolica nella scuola”. Inoltre, sempre secondo i dati, pubblicati ogni anno in un rapporto specifico, nelle scuole pubbliche la percentuale è la stessa dello scorso anno (72,2%) mentre solo nella scuola secondaria obbligatoria perde otto punti percentuali. Anche nelle scuole pubbliche normali la percentuale è in aumento di un punto. (M.V.S.)

 

 

 

 

24 ORE NEL MONDO

21 febbraio 2005

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

● Previsioni rispettate alle elezioni legislative di ieri in Portogallo: in base ai dati forniti dagli exit poll, vittoria schiacciante dei socialisti che dispongono della maggioranza assoluta in Parlamento. E’ la prima volta che ciò avviene dalla instaurazione della democrazia in Portogallo nel 1974. Il voto spiana la strada verso la poltrona di premier al leader socialista Socrates. Grande sconfitto è il partito del premier uscente Pedro Santana Lopes mentre in nottata il ministro della Difesa Paolo Portas si è dimesso dalla presidenza del Partito Popolare. Ma come si può interpretare il voto di ieri? Ci risponde da Lisbona il giornalista Riccardo Carucci al microfono di Roberto Piermarini:

 

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R. – Il risultato della votazione conferma la mancanza di fiducia verso l’attuale primo ministro, Pedro Santana Lopez. Ma il leader socialista, José Socrates, futuro primo ministro, ritiene che non sia solo questo. Ritiene che ci sia stata anche l’approvazione di un nuovo progetto, che è quello presentato da lui.

 

D. – Per il leader Socrates è spianata quindi la strada verso la poltrona di premier…

 

R. – Certamente è spianata. Non c’è nessun dubbio che sarà primo ministro. Sarà premier senza bisogno di fare alleanze con altri partiti, avendo conseguito la maggioranza assoluta. Oltre al partito socialista che ha già superato il limite di 116 per ottenere la maggioranza assoluta, bisogna anche registrare il progresso, modesto ma significativo dei comunisti. Dopo anni di calo sono ritornati la terza forza politica, aumentando i deputati da 12 a 14. C’è poi da rimarcare il progresso della formazione radicale di sinistra non comunista, che addirittura da tre deputati è passata ad otto. Tuttavia, la grande soddisfazione di questi due partiti è temperata dal fatto che, avendo i socialisti la maggioranza assoluta, non potranno esercitare nessuna influenza sul futuro governo.

 

D. – Quali saranno i compiti del nuovo governo?

 

R. – Socrates, il futuro primo ministro, ha parlato di rinnovamento, modernizzazione, shock tecnologico. Tutto questo, naturalmente, accompagnato da provvedimenti sociali che vanno dal rilancio dell’occupazione, alla lotta contro le disuguaglianze, contro la povertà estrema, in attesa di un programma di governo con scadenze e con obiettivi ben definiti. In questo momento non sappiamo esattamente cosa farà questo partito socialista che, del resto, si muove su posizioni molto moderate. E al di là del richiamo della mitica socialdemocrazia scandinava, in effetti, Socrates ammira di più il modello britannico di Tony Blair.

 

D. – C’è stata anche un’alta affluenza alle urne in Portogallo…

 

R. – C’è stata una leggera diminuzione dell’astensione dal 37 per cento al 34 per cento. Non è stata una sconfitta dell’astensione, è stata semplicemente una riduzione. C’è stato un maggior interesse. Probabilmente il governo di centro-destra degli ultimi tre anni aveva creato insoddisfazione per la politica di austerità e per gli sbandamenti degli ultimi mesi. Quindi, gli elettori lo hanno respinto dando alla sinistra una rappresentanza probabilmente superiore a quella reale dal punto di vista sociologico.

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In Iraq il drammatico capitolo dei sequestri si arricchisce di nuovi sviluppi: a Ramadi sono stati rilasciati due reporter indonesiani e a Mossul è stata rapita una giornalista irachena. La donna è stata sequestrata da uomini armati insieme con il figlio di 10 anni. Il nostro servizio:

 

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I due giornalisti indonesiani, rapiti in Iraq la scorsa settimana, sono stati rilasciati. Lo ha riferito l’emittente ‘Al Arabiya’ precisando che i due ostaggi sono stati liberati a Ramadi dal sedicente “Esercito islamico”, gruppo che in passato ha rivendicato diversi sequestri. La notizia è stata confermata dal ministero degli Esteri di Giakarta e il rilascio è stato anche documentato da un video trasmesso da diverse emittenti. Il filmato mostra i due reporter mentre stringono la mano ad un militante con il volto coperto che legge un testo. “Dopo aver preso i due giornalisti - dice l’estremista - abbiamo deciso di liberarli senza condizioni perché rispettiamo i sentimenti di fratellanza islamica tra i due Paesi. L’Indonesia, lo Stato musulmano più popoloso del mondo, si è sempre opposta con fermezza alla presenza militare straniera in Iraq. Il dramma del sequestro, che nell’ultimo anno ha colpito in Iraq 120 stranieri, si è ripetuto anche con una giornalista irachena rapita ieri a Mossul insieme con il figlio di dieci anni. La sede di ‘Iraqia’, l’emittente pubblica filo-governativa per la quale lavora la donna, è già stata teatro di numerosi attacchi da parte della guerriglia. Sul caso dell’inviata italiana del ‘Manifesto’, Giuliana Sgrena, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio italiano, Gianni Letta ha dichiarato che ci sono buoni motivi per essere ottimisti, anche se i tempi sono indefiniti. Sul terreno, infine, si registrano violenze a Mossul, teatro dell’assassinio di un ufficiale di polizia, e a Baquba dove l’autista di un camion che trasportava materiale militare per l’esercito iracheno è rimasto ucciso in un’imboscata tesa da ribelli.

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In Libano, almeno quarantamila persone hanno osservato un minuto di silenzio sul luogo del devastante attentato dove una settimana fa sono state uccise a Beirut 14 persone e l’ex premier libanese Rafic Hariri.

 

● Dopo 10 mesi di crisi di governo e di manifestazioni popolari, potrebbe sbloccarsi l’instabilità politica della Repubblica turca del nord di Cipro, abitata da 200 mila persone e riconosciuta solo da Ankara. Il partito repubblicano turco, guidato dall’attuale premier Ali Talat, ha vinto infatti le elezioni di ieri con il 44 per cento dei voti. La formazione di centro-sinistra del primo ministro è favorevole alla riunificazione con la Repubblica dei greco-ciprioti.

 

● Netta sconfitta per il cancelliere tedesco Schroeder. Alle elezioni di ieri nello Schleswig-Holstein, le prime dell’anno in Germania, il partito social-democratico è stato sconfitto dall’opposizione dell’Unione cristiano democratica. Secondo i risultati provvisori, i socialdemocratici dovrebbero comunque continuare a governare il Land del nord della Germania grazie all’appoggio del piccolo partito della minoranza danese.

 

Più di 150 persone potrebbero essere morte sepolte da una frana che si è abbattuta su una bidonville sorta su un deposito di spazzatura vicino a Bandung, in Indonesia. Lo ha reso noto stamani la polizia. La frana provocata da piogge torrenziali ha investito le baracche in cui vivevano una quarantina di famiglie.

 

 

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