RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
43 - Testo della trasmissione sabato 12 febbraio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
IN PRIMO PIANO:
Il Vangelo di domani: il commento di padre Marko Ivan
Rupnik
CHIESA E SOCIETA’:
Il mondo della cultura in lutto per la morte del drammaturgo Arthur Miller
Presentato ieri fuori concorso al Festival di Berlino, il film di Terry George “Hotel Rwanda”
La Radio Vaticana
compie 74 anni
Ancora morti e attentati in Iraq: almeno 18 persone uccise a sud di
Baghdad: un magistrato è stato assassinato a Bassora
12
febbraio 2005
CHIESA
E STATO FRANCESE COLLABORINO NEL RISPETTO DELLE PROPRIE AUTONOMIE,
E IL CLERO E I FEDELI DIANO TESTIMONIANZA DEI
VALORI DEL VANGELO,
SUI QUALI LA FRANCIA E L’EUROPA SONO STATI
COSTRUITI.
LO AFFERMA IL PAPA IN UNA LETTERA PER IL CENTESIMO
ANNIVERSARIO
DELLA LEGGE SUL PRINCIPIO DELLA LAICITA’ DELLO
STATO
- Servizio di Alessandro De Carolis -
I cattolici francesi, pur
rispettando la laicità dello Stato, siano presenti e attivi su tutti i fronti
della società, e ovunque testimonino i valori del Vangelo, che da lunghi secoli
hanno contribuito a scrivere la storia e a modellare la mentalità del loro
Paese e dell’Europa. Lo Stato, a sua volta, rispetti il credo religioso dei
cittadini, in un clima di mutua collaborazione. E’ questo il senso della lunga
lettera indirizzata da Giovanni Paolo II ai vescovi francesi, nel centesimo
anniversario dell’approvazione della Legge sulla laicità, che sancì la
separazione tra Stato e Chiesa in Francia. Il servizio di Alessandro De Carolis.
**********
Fu un “avvenimento doloroso e
traumatizzante” per la Chiesa francese dei primi del Novecento accettare
l’imposizione per legge del “principio della laicità”. Cento anni più tardi –
ma già a metà del secolo scorso, grazie al Vaticano II – il rapporto tra Stato
e Chiesa in Francia ha progressivamente conosciuto sviluppi positivi giacché,
“se ben compreso”, il principio della laicità “appartiene anche alla Dottrina
sociale della Chiesa”. Giunge a questa considerazione la riflessione storica
che il Papa mette in apertura della sua lettera: la separazione dei poteri tra
istituzioni civili e politiche e quelle ecclesiastiche, scrive, riecheggia,
l’insegnamento di Cristo del “dare a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che è
di Cesare”. Ma da questa distinzione, prosegue, discende il dovere per i
pastori francesi e per i credenti di “servire i propri fratelli e le proprie
sorelle attraverso una partecipazione sempre più attiva alla vita pubblica”. Così
come ne furono protagonisti, nell’arco del ventesimo secolo, numerose
personalità francesi: teologi, filosofi, artisti, letterati, citati dal Papa in
un lungo elenco e prestigioso elenco. Costoro, “insieme ad altri cattolici -
osserva Giovanni Paolo II – hanno avuto un’influenza decisiva sulla vita
sociale” francese, “e, per certi versi, nella costruzione” del Vecchio
continente. Non è possibile dimenticare, soggiunge, “il posto importante dei
valori cristiani nella costruzione dell’Europa e nella vita dei popoli” che ne
fanno parte.
Di qui, il Pontefice –
ricordando l’Anno dell’Eucaristia e la “cultura” di impegno che deriva dal
Sacramento - esorta a più riprese l’episcopato francese e i cristiani ad
essere, con la loro fede, “fonte di dinamismo e di promozione dell’uomo” -
dall’economia alla politica, all’arte, nel campo educativo e sanitario -
puntando sul dialogo e sul rispetto. “La crisi dei valori e la mancanza di
speranza”, riscontrabili in Francia come in generale in tutto l’Occidente,
prosegue il Papa, “fanno parte della crisi di identità delle società moderne
attuali”. In esse, la proposta di vita
si fonda sovente sui beni materiali più che sui valori fondamentali e questo
impedisce alle persone, ai giovani soprattutto, di fare “scelte libere e responsabili, fonte di gioia e di
benessere”. Il Pontefice esorta dunque i vescovi francesi a sviluppare nei
fedeli la conoscenza della Dottrina sociale della Chiesa e a “intervenire
regolarmente nei grandi dibattiti pubblici sulle grandi questioni sociali”. In
particolare, sottolinea, prendendo posizione per ciò che riguarda i diritti
fondamentali della persona umana, il rispetto della sua dignità, il progresso
dell’umanità, la protezione del pianeta.
Ma Giovanni Paolo II invita
anche lo Stato a essere, per parte sua, altrettanto rispettoso verso
l’appartenenza religiosa dei suoi cittadini. Viceversa, chiosa, una religione
relegata ai margini della società rischia la deriva di un settarismo,
pericoloso proprio per quell’autonomia cui lo Stato francese tiene particolarmente.
Sta in questo, asserisce il Papa, il “prezzo” della laicità che, “lungi
dall’essere un luogo di scontro, diventa davvero lo spazio per un dialogo
costruttivo nello spirito dei valori di libertà, uguaglianza e fraternità, ai
quali il popolo francese è giustamente molto legato”.
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CONCLUSE IERI POMERIGGIO IN
CAMERUN LE CELEBRAZIONI
PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MALATO: IL PAPA IN UN
MESSAGGIO
INVOCA LA SOLIDARIETA’ DEL MONDO PER I MALATI
DELL’AFRICA
Con una
solenne Messa presso il Santuario di Maria Regina degli Apostoli a Mvolye, in
Camerun, si sono concluse ieri pomeriggio le celebrazioni per la XIII Giornata
Mondiale del Malato, che quest’anno si sono svolte sul tema: “Gesù Cristo,
Speranza per l’Africa. Gioventù, Salute e Aids”. La Messa è stata presieduta dall’inviato speciale del Papa,
il cardinale Javier Lozano Barragán, presidente del Pontificio Consiglio per la
Pastorale della Salute. Nell’occasione il Pontefice ha inviato un messaggio letto durante la celebrazione.
Ce ne parla Sergio Centofanti.
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“Il mio
pensiero – scrive Giovanni Paolo II -
in modo tutto speciale, va a voi, cari fratelli e sorelle ammalati, che
portate nel corpo i segni del dolore e della fragilità, e a voi familiari, che
più direttamente siete coinvolti nella loro vita: tutti vi stringo al mio cuore
con affetto”. Quest’anno la celebrazione della Giornata Mondiale del Malato –
sottolinea il Papa – si è svolta nuovamente in Africa, “continente segnato da
non pochi né lievi problemi, ma ricco anche di straordinarie risorse umane e
spirituali e animato da un intenso desiderio di pace e di autentico progresso.
L’Africa soffre per la presenza di tanti malati che silenziosamente invocano la
solidarietà del mondo intero”. “Carissimi Fratelli e Sorelle d’Africa - scrive
ancora il Pontefice - Gesù è l’Uomo che conosce il soffrire. In quest’anno
dedicato all’Eucaristia, unitevi con la mente e con il cuore al sacrificio
della Messa, inesauribile sorgente di speranza in ogni prova della vita”. “Maria,
Regina degli Apostoli e Salute degli Infermi, che sul Calvario partecipò al
doloroso martirio del Figlio – conclude il messaggio - accolga le lacrime di
quanti sono visitati dalla sofferenza in Africa e in ogni angolo della terra”.
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Ma sulla
celebrazione presieduta ieri pomeriggio dall’inviato del Papa, il cardinale
Javier Lozano Barragán ascoltiamo il servizio del nostro inviato padre Joseph
Ballong:
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Nella sua omelia
il cardinale Javier Lozano Barragan, ha sottolineato che con la sua
presenza da inviato pontificio,
Giovanni Paolo II voleva manifestare la sua comunione e la sua
particolare solidarietà verso i malati e verso quanti li assistono, e ha
ugualmente sottolineato che la scelta dell’Africa per la celebrazione della
XIII Giornata Mondiale del Malato manifesta non solo l’attenzione particolare
che la Chiesa porta ai problemi di questo continente, ma anche la volontà di
dare il suo contributo materiale, spirituale e morale di fronte alle grandi
sfide che conosce il continente africano, in modo particolare nel campo della
sanità. “Celebrando l’Eucaristia, apice della Giornata del Malato, noi rendiamo
presente in Africa e per tutta l’Africa, la realtà della guarigione e della
malattia con la potenza di Cristo salvatore” ha ancora affermato il cardinale
Lozano Barragán. Dopo aver ribadito che gli operatori sanitari sono chiamati
con il loro impegno a servire, promuovere
e tutelare la vita, l’inviato pontificio ha lanciato un accorato appello
a tutti i responsabili del mondo affinché cessi il rumore delle armi che sono
all’origine di grandi sofferenze e di malattie per le popolazioni dell’Africa.
“Lavoriamo, dunque, insieme per costruire la pace e facilitare lo sviluppo
sociale, politico ed economico di cui l’Africa ha urgentemente bisogno” ha così
concluso l’inviato speciale del Papa. Alla fine della Messa, concludendo gli
incontri di questa XIII Giornata Mondiale del Malato, l’arcivescovo di Yaoundé,
mons. Victor Tonyé Bakot, presidente della Conferenza episcopale del Camerun,
ha sottolineato che durante questi giorni è stata l’Africa della povertà,
l’Africa della malaria, l’Africa della tubercolosi e l’Africa dell’Aids che si
è data appuntamento a Yaoundé dove è venuta incontro a Cristo. Questa Africa di
Gesù crocifisso è anche divenuta l’Africa di Gesù resuscitato, perché è stata
per il continente una eccellente opportunità di ritrovare il sorriso e la
speranza di un futuro migliore.
Da Yaoundé, in Camerun, Joseph
Ballong, Radio Vaticana.
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IL MESSAGGIO DEL PAPA PER LA MESSA PRESIEDUTA DAL
CARDINALE RUINI
NELLA BASILICA VATICANA PER L’OPERA ROMANA
PELLEGRINAGGI E L’UNITALSI
- Intervista con Salvatore Pagliuca -
“Non è mai inutile la sofferenza dei malati, anzi, essa è preziosa perché
è condivisione misteriosa ma reale della stessa missione salvifica del Figlio
di Dio”. E’ questo il messaggio che Giovanni Paolo II ha rivolto ai malati e ai
pellegrini che hanno preso parte ieri pomeriggio, nella Basilica Vaticana, alla
tradizionale Messa che commemora la Madonna di Lourdes. Le parole del Papa sono
state lette dal cardinale Camillo Ruini che ha celebrato la solenne Liturgia.
Il servizio di Tiziana Campisi.
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Nella
ricorrenza della memoria Liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes,
centinaia di fedeli e malati hanno partecipato alla solenne celebrazione che il
cardinale Camillo Ruini ha presieduto nella Basilica di San Pietro. Quest’anno,
alla Messa celebrata ogni anno per l’Opera Romana Pellegrinaggi e l’UNITALSI
nella giornata del malato, non ha preso parte, come di consueto, il Santo
Padre, che ha inviato un messaggio letto, durante l’omelia, dal suo vicario.
Giovanni Paolo II ha voluto ricordare l’invito alla preghiera, alla penitenza e
alla conversione che l’Immacolata rivolse all’umanità manifestandosi alla
giovane Bernadette Soubirou. E, con queste parole, ha sottolineato:
“E’ lo
stesso messaggio di Cristo: convertitevi e credete al Vangelo che ci offre la
Liturgia della Quaresima appena iniziata. Accogliamolo con umile e docile adesione”.
E non
ha dimenticato, il Pontefice, nel suo messaggio, una riflessione sul dolore
ricordando lo stretto legame che sussiste tra il Cristo crocifisso e i sofferenti:
“Morendo
in Croce, Cristo, l’uomo dei dolori, ha portato a compimento il disegno di
amore del Padre e ha redento il mondo. Cari malati, se alle sue sofferenze
unite le vostre pene, potete essere suoi privilegiati cooperatori nella
salvezza delle anime. E’ questo il vostro compito nella Chiesa”.
E
durante la preghiera dei fedeli non è mancato il pensiero per il Papa:
“Per il
Santo Padre, Giovanni Paolo II, unito, come non mai, alla sofferenza degli
uomini di questo popolo, perché il Signore gli doni la forza necessaria per
compiere la sua missione di amore”.
La
celebrazione, dedicata alla Beata Vergine Maria di Lourdes, si è conclusa con
la tradizionale recita del canto alla Madonna e l’accensione delle fiaccole.
Per
Radio Vaticana, Tiziana Campisi.
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Alla Messa di ieri pomeriggio in San Pietro hanno partecipato numerosi aderenti
dell’UNITALSI, che è l’Associazione italiana che si occupa di portare gli
ammalati a Lourdes e in altri santuari. Ma qual è l’esperienza di questi
pellegrinaggi? Giovanni Peduto lo ha chiesto a Salvatore Pagliuca,
vice-presidente nazionale dell’UNITALSI:
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R. –
Chi partecipa ai nostri pellegrinaggi vive una grande esperienza di
condivisione, caratterizzata da quella speranza e da quella gioia che sempre
deve contraddistinguere la vita di ogni cristiano. L’esperienza concreta del
pellegrinaggio è quella di far comprendere a tutti, sia malati che sani, che la
fede è forza sanante e fa trovare la serenità necessaria per superare il
dolore. Per cui spesso, al ritorno da Lourdes, assistiamo ad una trasformazione
dei nostri malati, per cui la disperazione diventa speranza, la tristezza si
trasforma in sorriso. L’esperienza del pellegrinaggio inoltre è capace di
raggiungere in modo comprensibile e affascinante anche, e soprattutto, quel
nuovo desiderio di raggiungere Dio, che sta nascendo in molti, soprattutto in
chi non è stato mai vicino o si è allontanato dalla comunità cristiana.
D. –
Come viene vissuto nei vostri pellegrinaggi il mistero della malattia e della
sofferenza?
R. –
Oserei dire con gioia, perché convinti che Dio non vuole la malattia e il
dolore. Dio vuole la felicità dell’uomo e dalle ceneri della sofferenza riesce
a far risorgere la serenità e la fede, soprattutto quando, come nel
pellegrinaggio, il malato si sente davvero trattato ed accudito come una persona
e si vede messo al primo posto. Ecco perché l’Unitalsi vuole essere presente
nel cuore della vita della Chiesa, appassionandosi a quel popolo di Dio che
conserva un rapporto quotidiano con le strutture ecclesiali locali ed operando
affinché il disabile, il malato, il povero, l’emarginato diventino l’orizzonte
normale della vita di tutte le comunità cristiane e la comunità sia in grado di
guardare loro come a delle persone.
D. – A
vostro avviso quale messaggio viene dall’immagine del Papa che non teme di mostrarsi
nella sua debolezza?
R. –
Spesso attraverso la fragilità umana Dio ha voluto mostrare la sua forza.
Malato tra i malati il Santo Padre regala a tutti noi una nuova speranza,
dimostrando che oltre la malattia riesce ancora ad essere uno straordinario
esempio di come si possa voler fare a tutti i costi la volontà del Signore.
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NOMINE
Nelle Filippine, Giovanni Paolo
II ha nominato vescovo di San Jose il sacerdote Mylo Hubert Claudio Vergara,
del clero della diocesi di Cubao, parroco della Parrocchia “Holy Sacrifice”
nella “University of the Philippines” in Diliman, Quezon City. Il nuovo
presule, 43 anni, ha ottenuto compiuti studi in Filosofia e Teologia. Ha svolto
compiti di docenza e il ministero parrocchiale, divenendo tra l’altro rettore
di seminario e presidente di Radio
Veritas Global Broadcasting System.
Sempre nelle Filippine, il Papa
ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Nueva
Segovia, presentata per raggiunti limiti di età dall’arcivescovo Edmundo M.
Abaya. Al suo posto, il Pontefice ha nominato mons. Ernesto Antolin Salgado,
finora vescovo di Laoag. Mons. Salgano, 68 anni, ha compiuti gli studi in
patria, perfezionandoli a Roma, dove ha conseguito la laurea in Teologia Morale
all’Università Gregoriana. E’ stato rettore di seminario, parroco e docente. E’
stato ordinato vescovo nel 1987.
A
Panamá, Giovanni Paolo II ha nominato vicario apostolico di Darién padre Pedro
Hernández Cantarero, dei Missionari Claretiani, finora responsabile a Kinshasa
(RDC) del Centro di formazione per seminaristi del suo Istituto. Il nuovo
presule, 51 anni, ha studiato in Costa Rica,
in Colombia e in Spagna, ottenendo la licenza in Teologia della vita
consacrata. Si è occupato, tra l’altro, di formazione dei filosofi
Claretiani e dei teologi.
Il
Vicariato Apostolico di Darién (1925) affidato ai missionari Claretiani,
coincide con il territorio della regione civile di Darién ed ha una superficie
di circa 17 mila kmq., con 60.mila abitanti, 48.mila cattolici, 9 sacerdoti e
19 religiose.
“SRADICARE LA POVERTA’ NEL
MONDO E’ UN IMPERATIVO MORALE”.
COSI’ IERI MONS. CREPALDI, SEGRETARIO DEL
PONTIFICIO CONSIGLIO
DELLA
GIUSTIZIA E DELLA PACE, INTERVENENDO ALLA COMMISSIONE
DELLE NAZIONI UNITE SULLO SVILUPPO SOCIALE
- A cura di Barbara Castelli -
La Comunità Internazionale deve moltiplicare gli sforzi per promuovere
uno “sviluppo sociale che sia politico, economico, etico e spirituale”, poiché
la lotta alla povertà è “un imperativo morale”. Intervenendo alla 43.esima
sessione della Commissione delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sociale, mons.
Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della
Pace, ha sottolineato l’importanza di non perseguire unicamente “risultati
quantitativi di breve periodo”.
Dinanzi alle condizioni di
estrema miseria in cui vivono le popolazioni di diverse regioni del pianeta, ha
riconosciuto ieri il presule, occorre accelerare i processi di crescita,
soprattutto negli “investimenti pubblici”. Discreti passi avanti sono stati
compiuti in tema di “debito internazionale dei Paesi poveri”, ma si è ancora
lontani da “una soluzione equa e definitiva”. Dinanzi a questa sfida, che non
può essere vinta senza la promozione di una vera “giustizia sociale”, ha
aggiunto ancora il segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della
Pace, occorre anche “affinare gli strumenti e i metodi di studio delle
dinamiche che generano la povertà”. “Sradicare la povertà nel mondo è un
imperativo morale – ha concluso mons. Crepaldi – e potremo realizzarlo solo
considerandolo effettivamente come un bene pubblico globale di primaria
importanza”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina, con forte evidenza, il titolo "Cari malati, offrite le
vostre sofferenze anche per me e per la mia missione di Pastore universale del
popolo cristiano": il Messaggio di Giovanni Paolo II in occasione della
Concelebrazione Eucaristica nella Basilica Vaticana per la memoria liturgica
della Beata Maria Vergine di Lourdes.
All'interno,
l'omelia del cardinale Javier Lozano Barragan, Inviato Speciale del Santo
Padre, durante la Messa celebrata nel santuario di Yaoundè per la XIII Giornata
mondiale del Malato.
Nelle
vaticane, la Lettera del Papa a mons. Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di
Bordeaux, presidente della Conferenza dei vescovi di Francia, e a tutti
i presuli del Paese.
Nelle
estere, Iraq: diciassette morti per un attentato dinamitardo compiuto vicino a
Baghdad.
Repubblica
Democratica del Congo: nell'Ituri oltre ottantamila civili in fuga per il
riaccendersi degli scontri armati.
Nella
pagina culturale, d'apertura un articolo di Mario Gabriele Giordano dal titolo
"Molto rumore per nulla": un tentativo di riabilitare Macbeth.
Nelle
pagine italiane, sempre in primo piano la vicenda della giornalista Giuliana
Sgrena ancora in mano ai rapitori in Iraq.
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12
febbraio 2005
NELLA
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO:
DIETRO
GLI SCONTRI, GLI INTERESSI ECONOMICI
- Con
noi, padre Valerio Shango -
Ancora
migliaia di persone in fuga dalla Repubblica democratica del Congo. Altri 35
mila abitanti dell’ex Zaire hanno infatti lasciato le zone orientali del Paese,
dov’è in corso un sanguinoso conflitto interetnico tra le comunità Hema e
Lendu. Secondo l'Unicef, negli ultimi tre giorni il numero degli sfollati
congolesi è salito a 80 mila. Ma le ragioni delle violenze sono molteplici. Ce
ne parla padre Valerio Shango, portavoce dei vescovi congolesi in Italia,
intervistato da Giada Aquilino:
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R. – Nel
Nord-Est del Paese, nella regione dell’Ituri, sono ricominciati gli scontri,
con le popolazioni civili che stanno pagando il prezzo più alto. Ci sono tanti
sfollati che vanno verso l’Uganda. La guerra è ricominciata, con la scusa della
presenza di Hutu, nascosti in Congo.
D. – Chi è che combatte?
R. – Ci sono sicuramente dei
militari rwandesi presenti sul territorio dell’ex Zaire. La situazione è
questa: i miliziani congolesi Mai Mai vogliono difendere il Paese dai militari
dell’Rcd, il partito politico filo-rwandese (Rassemblement congolais
pour la démocratie). E nello scontro vengono coinvolti anche gli Hema e i
Lendu. Ma in fin dei conti sono i rwandesi stessi che si sono infiltrati nel
partito Rcd.
D. – Si parla di orrori inauditi
con esecuzioni sommarie, stupri, sequestri, abitazioni date alle fiamme. Che
notizie ci sono?
R. – Queste violenze vanno
avanti da tempo, non è un fatto recente. E’ da molto che le popolazioni
congolesi sono vittime delle barbarie degli eserciti rwandesi e anche ugandesi.
Questi militari non hanno mai abbandonato il territorio congolese.
D. – Perché i rwandesi e gli
ugandesi hanno tanto interesse a rimanere nella Repubblica democratica del
Congo?
R. – Ci sono immensi giacimenti.
C’è un commercio illecito di uranio nella zona dell’Ituri. I capitali che
provengono dal Pakistan, ma anche dall’Iran, sono in mano ai rwandesi. Questi
ultimi cercano di sterminare le popolazioni congolesi per fare tabula rasa, per
accaparrarsi l’uranio, il legno, il caffè, ma anche per il petrolio, che è presente
tra il Congo e il Rwanda.
D. – Padre Shango, dal ’99 il
conflitto inter-etnico ha provocato almeno 50 mila morti. C’è stato anche un
accordo di pace nel 2002: perché non viene rispettato?
R. – Gli interessi stranieri
sono fortissimi. Le multinazionali - ma anche le Nazioni che sono dietro queste
operazioni - non appoggiano gli accordi di Sun City, in Sudafrica. Ma si sa che
la pace nell’Africa centrale sorgerà solo se il Congo ritroverà la sua
stabilità. Non c’è altro da fare. Questa situazione non favorisce nessuno,
manterrà soltanto le popolazioni di tutta quella zona in condizioni di miseria
e povertà.
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25
ANNI FA LE BRIGATE ROSSE ASSASSINAVANO
IL
GIURISTA CATTOLICO VITTORIO BACHELET
-
Intervista con Rosy Bindi e Giovanni Bachelet -
Il 12
febbraio 1980 veniva trucidato dalle Brigate Rosse il professor Vittorio
Bachelet, vice presidente del Consiglio superiore della magistratura e affermato
giurista cattolico. Numerose le cerimonie di commemorazione per il 25° della
sua morte, organizzate dall’Azione Cattolica di cui fu presidente tra il 1964 e
il 1973 e dal Consiglio Superiore della Magistratura di cui fu vice presidente
dal 1976. Il servizio di Stefano Leszczynski:
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Il sacrificio di Vittorio Bachelet, avvenuto venticinque anni fa, sulle
scale di Scienze politiche dell’Università La Sapienza di Roma, fu il sacrificio
di un “martire laico”, come ebbe a definirlo il cardinale Martini in quegli
anni bui del terrorismo; ucciso mentre serviva la democrazia, la giustizia e la
pace nel Paese. Il ricordo commosso dell’on. Rosy Bindi, all’epoca assistente
del professore e testimone diretta del suo assassinio da parte di un commando
delle Brigate Rosse:
“Era una mattina di sole
e come al solito aveva fatto lezione, perché nonostante i suoi impegni
istituzionali non lasciava mai una lezione universitaria e fu raggiunto alle
spalle, mentre salivamo le scale per tornare in Istituto. Ricordo il volto
della brigatista, Anna Laura Braghetti, che me lo allontanò e insieme all’altro
sparò e cadde definitivamente con il colpo alla nuca. La morte di Bachelet,
anche dopo 25 anni, come quella di tutte le vittime del terrorismo, ci ricorda
che un popolo non conquista mai una volta per tutte la libertà, la giustizia,
la pace e la democrazia e che quindi c’è sempre bisogno di tenere alta
l’attenzione”.
Bachelet, vice presidente del
Consiglio Superiore della Magistratura, giurista al servizio della società, fu
presidente dell’Azione Cattolica dal 1964 al 1973. La sua brutale esecuzione
colpì profondamente il mondo cattolico e suscitò la forte reazione della
società civile e della Chiesa. Il giorno successivo alla morte del professor
Bachelet risuonò in Aula Paolo VI in Vaticano un drammatico appello di Giovanni
Paolo II:
“Egli è stato vittima dell’azione
distruttrice del terrorismo. Ne sono consapevole. Per il sangue di questa nuova
vittima la Chiesa eleva la sua voce: che gli uomini ritrovino se stessi e con
rinnovato impegno operino per la salvezza della patria”.
La violenza irrazionale del
terrorismo colpiva, ieri come oggi, le persone che con la loro dirittura etica
e la loro intelligenza danno un contributo per realizzare la causa della
giustizia e dell’eguaglianza tra gli uomini. Una scelta coraggiosa che, come
Vittorio Bachelet, fecero in molti pagando con la vita. Ma con quali sentimenti
venivano vissuti quei drammatici anni? Ce lo racconta il figlio del giurista
scomparso, professor Giovanni Bachelet, che incarnò gli insegnamenti di suo
padre perdonando cristianamente nel giorno delle esequie i responsabili del suo
omicidio:
“Quanto
alla paura, ricordo questo di mio padre. In quegli anni – era l’epoca in cui
egli era al Consiglio Superiore della Magistratura – ci fu uno dei primi
processi alle Brigate Rosse. Ricordo che guardavamo alla televisione
un’intervista ad uno dei giurati popolari di questo primo processo. Era stato
molto difficile trovare dei giurati popolari, quasi tutti quelli che venivano
sorteggiati mandavano un certificato medico perché le Brigate Rosse avevano
detto che avrebbero ucciso chiunque si fosse prestato a fare da giurato. Un
giornalista domandò a quel giurato: lei che ha accettato non ha paura? E lui
rispose: sì, ho paura ma me la tengo! Mio padre si fece una risata e disse:
‘Questo è un uomo vero! Non è un trombone. E’ una risposta da vero uomo’. Io
direi che forse questo era vero anche per mio padre e per noi. E’ chiaro che si
potesse essere in una situazione di pericolo, che mio padre potesse essere un
bersaglio, però uno aveva paura e se la teneva”.
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Domani 13 febbraio, 1a Domenica di Quaresima, la liturgia ci presenta il
Vangelo in cui Gesù, dopo aver digiunato 40 giorni e 40 notti nel deserto,
viene tentato dal diavolo. Satana gli
propone tre tentazioni: alla fine, conducendolo su un alto monte, gli mostra
tutti i regni del mondo e gli dice: «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti,
mi adorerai». Ma Gesù gli rispose:
«Vattene, satana! Sta scritto: "Adora il Signore Dio tuo e a lui
solo rendi culto"».
Allora il diavolo lo lasciò ed
ecco angeli si accostarono a Gesù e lo servirono. Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del teologo gesuita
padre Marko Ivan Rupnik:
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Dice il Siracide: “Figlio, se ti presenti per servire il
Signore, preparati alla tentazione”. Le tentazioni grossolane sono tipiche dei
principianti nella vita spirituale, ma, a quelli più decisamente incamminati
dietro il Signore, le tentazioni si presentano in modo più raffinato. Le prime
inducono l’uomo ad un egoismo esplicito, a servirsi di tutto per la
soddisfazione dei propri desideri, le altre, invece, si nascondono e si camuffano,
presentandosi sotto l’apparenza del bene, suggerendo pensieri conformi
all’anima: ai coraggiosi, pensieri coraggiosi, ai generosi, pensieri generosi e
alle persone devote, pensieri devoti. In Cristo tentato, i maestri spirituali
trovavano l’arte di difesa davanti alle tentazioni. Cristo risponde con la
parola di Dio: “Non accettare il dialogo con la tentazione, ma opporle l’arma
di fuoco che è la Parola”. La memoria della Parola ci unisce al Signore e, come
dicevano i padri del deserto, anche se noi non capiamo la Parola, il diavolo,
invece, la capisce e fugge.
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12
febbraio 2005
AL CONVEGNO DELL’OPERA ROMANA PELLEGRINAGGI, IL
CARDINALE RUINI SOTTOLINEA IL RUOLO DEI CRISTIANI NELL’EUROPA DEL FUTURO. DENUNCIATO
ANCHE IL RISCHIO DI UNA EMARGINAZIONE PRATICA DEL CRISTIANESIMO
- A cura di Salvatore Sabatino -
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ROMA.
= “ll risveglio di un’identità cristiana nella gente e in una parte assai significativa della cultura
laica” è un fenomeno che presenta “dei rischi” ma “è anche un'opportunità”. Tale opportunità ha proprio
a che fare con la “valenza pubblica che il cristianesimo ha sempre avuto fin
dalla sua origine”. Così si è espresso il presidente della Conferenza
episcopale italiana, il cardinale Camillo Ruini, nel corso del 13.mo convegno
nazionale dell'Opera romana pellegrinaggi, intitolato ''Quale spazio per il
cristianesimo nella nuova Europa?''.
Proprio a questo tema il porporato ha dedicato una lunga relazione,
incentrata sulla storia, ma anche sull’attualità. In particolare, ha osservato che da alcune “sfide esterne, come
il terrorismo e il confronto con gli
immigrati, è nata una spinta positiva: il risveglio dell'identità cristiana
nella gente e in una parte assai
significativa della cultura laica”. Ruini si è, inoltre, chiesto “come porsi di
fronte a questo fenomeno”. ''Ci sono dei rischi - ha osservato - e non voglio
affatto negarli: sono rischi di strumentalizzazione o di riduzione della fede a
ideologia. Però - ha proseguito - questo fenomeno è anche un'opportunità, visto
che la fede cristiana ha sempre avuto
dalle sue origini una valenza pubblica”. Il cardinale, nel contempo, ha voluto sottolineare che “il
contributo della fede non può che andare in un senso autenticamente cristiano
ed evangelico e deve andare nel senso
della pace e della riconciliazione”.
“Ogni influsso - ha poi chiarito- è possibile solo sulla base di una fede
vissuta oggi e non solo sulla base di una eredità culturale che è certo importante,
ma da sola rischia di estinguersi”. Ruini, nel corso del suo intervento, ha poi
denunciato il rischio di un'emarginazione pratica del cristianesimo nel nostro
Continente, affermando che “molta parte dei conflitti che sorgono tra mondo
laico e mondo cattolico derivano dalla questione preliminare sulla possibilità
o meno della Chiesa di parlare in materia morale”. Di fronte a questa tendenza,
per il cardinale è “fondamentale mostrare che quella cristiana è un'alternativa
credibile e vivibile, gratificante e liberante”, anche attraverso la libertà di
intervenire nelle questioni di “etica pubblica”, in cui esiste “un ampio spazio
di collaborazione e azione tra cattolici e laici”. (S.S.)
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IRRUZIONE
ANTI-TERRORISMO DELLA POLIZIA IN DUE CONVENTI IN SPAGNA
E FRANCIA. INTERROGATI DUE MONACI PER
PRESUNTI VINCOLI
CON
L’ORGANIZZAZIONE INDIPENDENTISTA DELL’ETA.
SDEGNO DEL DEPUTATO DELLA PROVINCIA BASCA DELLA
GUIPUZCOA PER L’ACCADUTO
MADRID. = Su ordine del giudice antiterrorista francese,
Laurence Levert, la polizia ha fermato ieri due monaci benedettini, per
presunti vincoli con l’organizzazione terroristica del separatismo basco ETA. A
Lazkao, nella provincia basca della Guipuzcoa, agenti della Guardia Civile
hanno fatto irruzione nel convento per interrogare il monaco, Juan José Agirre
Begiristain. Il 75.enne, direttore della biblioteca del monastero di Lazkao,
uno degli archivi più importanti dei Paesi Baschi, era sospettato di aver avuto
contatti con membri dell’ETA, in particolare con Mikel Albisu Iriarte, alias
“Mikel Antza”, durante la sua latitanza. Mikel Antza è in stato di arresto in
Francia dallo scorso 3 ottobre, insieme con la sua compagna, Soledad Iparagirre
Genetxea, alias “Annoto”. Il monaco è stato rimesso in libertà, ma a
disposizione della magistratura, dopo essere stato interrogato per quattro ore.
Quasi contemporaneamente è stata condotta una seconda operazione in Francia,
nel monastero benedettino di Notre Dame du Belloc, a Urt, nella regione dei
Pirenei atlantici. La polizia giudiziaria ha interrogato alcune persone, tra
cui il monaco Marcel Etxeandi, 70 anni, su eventuali rapporti con
l’organizzazione terroristica basca. Il convento di Notre Dame du Belloc è
specializzato in liturgia dei canti baschi ed era già stato oggetto di un’altra
operazione di polizia nel 1987, senza, tuttavia, che vi fossero sviluppi. Il
deputato generale della provincia della Guipuzcoa, Joxe Joan Gonzalez de
Txabarri, ha sottolineato con sdegno che devono cessare nel Paese “gli attacchi
contro persone dal riconosciuto prestigio sociale”. (B.C.)
OLTRE 1700 SACERDOTI E VESCOVI SI DARANNO
APPUNTAMENTO DAL 25 AL 29 LUGLIO PROSSIMI A MONTERREY, IN MESSICO,
PER IL QUINTO RITIRO INTERNAZIONALE DEI SACERDOTI,
SUL TEMA: “MARIA, I TUOI SACERDOTI VOGLIONO VEDERE GESU’”
MONTERREY (MESSICO). = “Maria, i
tuoi sacerdoti vogliono vedere Gesù”. Questo il tema del quinto Ritiro
internazionale di Sacerdoti, che si svolgerà a Monterrey, in Messico, dal 25 al
29 luglio prossimi. Sede dell’incontro sarà Cintermex, uno dei centri congressi
più grandi del Paese latino-americamo. Il ritiro è organizzato dall’Arcidiocesi
di Monterrey, in coordinamento con il Rinnovamento carismatico cattolico. Come
afferma in una nota don Roberto Rodríguez Puente, membro di comitato
organizzatore e responsabile delle comunicazioni del Ritiro, si prevede la
presenza di oltre 1.700 sacerdoti e vescovi. Il predicatore principale del
Ritiro sarà mons. Angelo Comastri, arcivescovo delegato pontificio del
Santuario di Loreto, il quale diresse gli esercizi spirituali della Curia
Romana nella Quaresima del 2003 e che di recente è stato nominato coadiutore
del vicario per lo Stato della Città del Vaticano. Al centro dell’evento, la
necessità di una Nuova Evangelizzazione, cioè, la necessità che il sacerdote
sia non solo un evangelizzatore ma anche un evangelizzato. Questo anno si
mediterà in primo luogo sulla presenza di Cristo nell’Eucaristica. Durante i
giorni del ritiro, il 98% dei partecipanti, saranno ospitati da famiglie
locali. Questo contatto con le famiglie, come afferma l'arcivescovo di
Monterrey, potrà avere un impatto molto positivo sulle future vocazioni
sacerdotali. Il Ritiro sacerdotale coinciderà nella Messa di chiusura con un
altro avvenimento, il XX Incontro nazionale dei giovani, dal 29 al 31 di
luglio, al quale parteciperanno circa 16.000 giovani, la maggior parte dei
quali provenienti dal Messico, e con rappresentazioni molto folte di giovani
latinoamericani.
IL MONDO DELLA CULTURA IN LUTTO PER LA MORTE
DEL DRAMMATURGO ARTHUR MILLER. VINSE DUE PREMI
PULITZER CON:
“MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE” ED “UNO SGUARDO
DAL PONTE”
NEW YORK. = Se n’è andato senza
fare rumore, così come voleva. Un messaggio sobrio di poche righe che ne
comunica la morte, poi nulla più. Arthur Miller, uno dei più grandi
drammaturghi del ‘900 lascia il mondo attonito e con un senso di vuoto che
colpisce attori, sceneggiatori, addetti ai lavori e più in generale i milioni
di spettatori che in tutto il mondo lo hanno amato. E’ morto, in seguito ad una
malattia, nella sua fattoria di Roxbury, in Connecticut ad 89 anni. Le sue commedie
sono state e continuano ad essere rappresentate in tutti i teatri, apprezzate
dal pubblico e dalla critica. Un percorso drammaturgico cominciato nel 1947 con
“Erano tutti miei figli”, che gli permise di rivelarsi perentoriamente e di
vincere il premio della critica della sua New York. Fu l'inizio di una carriera
sfolgorante che è andata avanti fino negli ultimi anni, al recente “Il mondo di
Mr.Peters”, un testo pieno di memorie e allucinazioni esistenziali. Forse l'ultimissimo copione è stato “Alla fine del
film”, dedicato al ricordo di Marilyn Monroe, sua moglie per tre anni. Come non ricordare “Erano tutti miei figli”,
così come la commedia successiva, rappresentata nel 1949, “Morte di un commesso
viaggiatore”, che segnò addirittura il trionfo del giovane drammaturgo. Gli
valse il Pulitzer e un successo immediato anche fuori dagli Stati Uniti. Quindi
la conferma della grande tempra di drammaturgo di Miller con “Il crogiuolo”,
nel 1953, seguito da “Uno sguardo dal ponte”, che gli valse un altro Pulitzer.
Tutte opere che figureranno nei cartelloni non solo dei maggiori teatri
americani, ma anche di quelli europei. Secondo un sondaggio fatto in Gran
Bretagna poco tempo fa tra 800 attori,
registi e critici era stato proclamato il maggior drammaturgo della seconda
parte del Novecento, addirittura prima di Beckett e Pinter. Un risultato che
dimostra come il suo teatro sia riuscito ad imporsi con forza, riscuotendo
consensi pressoché unanimi. (S.S.)
presentato ieri fuori
concorso al Festival di Berlino, il film
di Terry George “Hotel
Rwanda”. Narra la storia, realmente accaduta,
di Paul Rusesabagina, che
riuscì coraggiosamente a salvare
oltre mille connazionali
dal massacro scatenatosi in RWanda
nella primavera del 1994
- Il servizio di Luca Pellegrini -
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BERLINO. = Cento, un milione,
1.268. Non sono numeri scelti a caso. Sono i numeri di un incubo, di un’immane
tragedia, di un genocidio, di sopravvissuti. Sono i numeri della vergogna e del
coraggio. Sono i numeri di Hotel Rwanda. Sottitolo: Una storia vera.
Perché la nostra corta memoria non sia tentata di rendere soltanto verosimili,
come troppo spesso è accaduto, i fatti della storia. Cento sono i giorni dello
scorrere del sangue. Un milione, e forse oltre, sono i corpi fatti a pezzi a
colpi di machete. Milleduecentosessantotto sono le vite di Tutsi e Hutu salvate
da Paul Rusesabagina, piccolo eroe dei nostri tempi, del quale finalmente e con
orgoglio il cinema – esemplare, insostituibile questa sua funzione – ne racconta
la storia. I mesi di questa storia sono tutti inseriti in un anno, il 1994.
L’odio tra etnie esplode in Rwanda, frutto di colpe non troppo ancestrali lasciate
in triste eredità. Paul, di etnia hutu, è direttore di un albergo in Kigali, il
“Milles Collines”. E’ stimato da tutti, è efficiente, è felice. Ma è molto
preoccupato. Intuisce la totale instabilità del Paese, l’odio che serpeggia, la
corruzione che dilaga, la finzione dei politici, l’inefficienza dell’ONU
diventato mero spettatore. Non intuisce, ancora, l’indifferenza del mondo.
Infine, si scatena, per lui e per il suo popolo, la fine del mondo. E diventa
un eroe – allora ancora anonimo – dando rifugio nel “suo” albergo a bambini,
donne, vecchi, adulti, tanti quanti ne può ospitare. Intorno, è la follia,
seminata da una radio e dalla corsa al massacro. Lui è la luce che brilla nel
male: non fa differenze di persone e di etnie, mette soltanto in pratica pietà
e carità, a rischio della sua stessa vita. Scritto e diretto da Terry George,
che si è avvalso del contributo del documentarista Keir Person e dello stesso
Rusesabagina, testimone oculare, Hotel Rwanda – che ha anche ottenuto tre candidature agli Oscar – ha
il pregio della semplicità e dell’immediatezza, evitando la visibilità di ogni
tipo di eccesso per concentrarsi sulla dolorosa angoscia prodotta dall’eco dei
fatti, quelli che dilagano al di fuori delle mura di cinta dell’hotel.
Interpretato dai bravissimi Don Cheadle e Sophie Okenodo (la moglie di Paul),
non aspira ad essere – scelta formalmente corretta – il kolossal su un
genocidio, ma il “documento” di un trauma umano e generazionale che non ha
ancora superato barriere culturali e, forse, non si è ancora ben inciso sulla
nostra coscienza moderna.
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L’EMITTENTE NASCEVA 74 ANNI FA, INAUGURATA DA PAPA
PIO XI.
DA
SEMPRE LA RADIO VATICANA SI PROPONE DI ANNUNCIARE CON LIBERTA’,
FEDELTA’
ED EFFICACIA IL MESSAGGIO CRISTIANO E DI COLLEGARE IL CENTRO
DELLA
CATTOLICITA’ CON I DIVERSI PAESI DEL MONDO
- A
cura di Barbara Castelli -
CITTA’
DEL VATICANO. = La Radio Vaticana compie oggi 74 anni. La sua storia ha inizio
il 12 febbraio 1931, quando Papa Pio XI inaugurò l’impianto, costruito da
Guglielmo Marconi, con un discorso in latino, che suscitò vivissima emozione in
tutto il mondo. Sin dai primi anni, giocò un ruolo importante. Allo scoppio
della guerra, nel settembre 1939, la Radio costituì un mezzo prezioso di libera
informazione, nonostante le censure ed i disturbi. Dal 1940 al 1946, lanciava
appelli per rintracciare civili e militari dispersi o trasmetteva messaggi
delle famiglie ai prigionieri: messaggi che si contano in oltre 1 milione e 400
mila. La Radio Vaticana, in oltre 40 lingue, diffonde informazione di attualità
ecclesiale e religiosa. In primo luogo fa conoscere gli interventi e l’attività
del Papa e della Santa Sede; occupandosi altresì dell’attualità politica,
sociale, economica. Particolare attenzione è rivolta all’ecumenismo e al
dialogo con le grandi religioni, specialmente nelle trasmissioni rivolte ad
aree del mondo con esigua presenza cristiana.
12
febbraio 2005
- A cura
di Amedeo Lomonaco e Rita Anaclerio -
Nuova giornata di
sangue in Iraq mentre si attendono, nei prossimi giorni, i risultati finali
delle elezioni dello scorso 30 gennaio: questa mattina un’autobomba è esplosa a
sud di Baghdad e un giudice è stato assassinato a Bassora, nel sud del Paese. Il
servizio di Amedeo Lomonaco:
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Almeno diciotto persone sono
rimaste uccise per la deflagrazione di un’autobomba esplosa a Mousayyib,
località situata a pochi chilometri a sud di Baghdad ed abitata in prevalenza
da sciiti. “La maggior parte delle vittime – ha precisato un ufficiale di
polizia - erano persone che si stavano recando all’ospedale o agli uffici del
Consiglio municipale”. A Mossul sono stati ritrovati,
inoltre, i cadaveri di sei militari
iracheni e a nord di Baghdad un altro soldato è rimasto ucciso per
furiosi scontri scoppiati tra guerriglieri e forze della coalizione. Il dramma
della violenza ha scosso anche Bassora, dove miliziani hanno ucciso un
magistrato: il giudice - hanno spiegato fonti locali - è stato assassinato da uomini armati che hanno aperto il fuoco
contro l’auto sulla quale viaggiava. Continuano, intanto, le indagini su
presunte irregolarità nell’ambito di “Oil for food”, il programma dell’ONU creato
per assicurare cibo e medicinali alla popolazione irachena durante il regime di
Saddam Hussein: dai documenti trasmessi dalle Nazioni Unite, emergono gravi
indizi di pagamenti a funzionari iracheni fino al mese di dicembre del 2003.
Gli ispettori della Commissione investigativa stanno proseguendo i loro
accertamenti anche sui versanti italiani dello scandalo internazionale.
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“E’
necessaria l’azione di molti Paesi per aiutare gli iracheni e gli afghani a costruire
con successo la democrazia”. E’ un’affermazione dell’odierno intervento di
Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa americano, durante la Conferenza sulla
Sicurezza che si chiude domani a Monaco di Baviera. Il cancelliere tedesco,
Gerhard Schroeder, si è poi detto a favore di una ridefinizione dei rapporti
transatlantici tra Europa e Stati Uniti, auspicando anche una riforma della
NATO. Altro tema in agenda, il ruolo dell’ONU e gli sforzi per prevenire nuovi
attacchi terroristici. Ma come si è evoluto il concetto di sicurezza
internazionale dopo l’11 settembre? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Stefano
Silvestri, presidente dell’Istituto affari internazionali:
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R. – Siamo passati da una posizione piuttosto difensiva del proprio
territorio ad una posizione più interventista.
D. – Dopo l’11 settembre, gli Stati Uniti si sono fatti carico della sicurezza
attaccando direttamente le basi del terrorismo prima in Afghanistan e poi in
Iraq. Oggi è possibile coinvolgere l’intera comunità internazionale, l’ONU in
particolare?
R. – E’ auspicabile, perché gli Stati Uniti hanno delle possibilità che
altri non hanno. Ma non sono chiaramente in grado di passare dalla fase dello
scontro, dalla distruzione di eventuali nemici, ad una fase assolutamente
necessaria di ricostruzione e di stabilità di lungo periodo. Per questo, è
necessaria una maggiore governabilità internazionale e quindi un apporto degli
alleati, delle organizzazioni multilaterali, delle organizzazioni internazionali.
Mi pare che ci si stia avviando in questa direzione.
D. – Le elezioni in Iraq e la tregua per il Medio Oriente avranno un
effetto positivo sul controllo della sicurezza nel mondo?
R. –
Penso proprio di sì. Naturalmente, le elezioni in Iraq non hanno chiuso la
crisi irachena e questa tregua in Medio Oriente non è ancora una pace. Tutto
questo va ancora costruito. Però sono due indicazioni certamente positive che
vanno nella giusta direzione e che dovrebbero aiutare.
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Si sono chiusi ieri a Ginevra gli accordi bilaterali tra
Unione Europea e Iran sul programma nucleare di Teheran. Le trattative,
condotte da Francia, Germania e Regno Unito, proseguiranno a metà marzo sempre
in Svizzera. E il nucleare è anche al centro di nuove tensioni: gli Stati Uniti hanno rifiutato, infatti, la
proposta della Corea del nord per un incontro a due sui programmi atomici di
Pyongyang.
Trovare un accordo per il
cessate-il-fuoco e rispettare la tregua fra israeliani e palestinesi. E’ questo
lo scopo dell’incontro, previsto questa sera a Gaza, tra il neo presidente
palestinese, Abu Mazen, e i capi di Hamas e della Jihad Islamica. E sempre
questa sera, il ministro della Difesa israeliano, Shaul Mofaz, incontrerà a Tel
Aviv l’ex responsabile della sicurezza palestinese, Mohammed Dahlan. Lo hanno
reso noto fonti dell’ANP precisando che i colloqui saranno incentrati sul piano
per il rilascio dei detenuti palestinesi e sul ritiro israeliano da cinque
città della Cisgiordania.
L’ondata di maltempo continua a sconvolgere il Pakistan.
Una valanga ha spazzato via due piccoli villaggi del Kashmir, uccidendo almeno
40 persone. I soccorritori stanno ancora cercando di raggiungere la zona del
disastro, coperta da una coltre di neve di oltre due metri. Anche la parte
sud-occidentale del Paese è in ginocchio per le piogge torrenziali e per il
crollo, ieri, della diga di Shadi Kor, che ha causato circa 100 vittime e centinaia
i dispersi.
A
Lome’, capitale del Togo, due persone sono rimaste uccise in seguito a scontri
scoppiati stamani tra le forze della polizia e migliaia di dimostranti scesi in
strada per protestare contro la recente investitura a presidente di Faure
Gnassingbé. Nonostante le pressioni internazionali, Gnassingbé è stato nominato
capo di Stato grazie all’appoggio dell’esercito e dopo una rapida riforma della
Costituzione. Il suo insediamento è avvenuto lo scorso 7 febbraio, subito dopo
il decesso del padre, Eyadema Gnassingbé, rimasto al potere per 38 anni.
Circa
2000 persone, riunite sotto la bandiera del Partito comunista e nazionalista,
stanno manifestando nella piazza di Mosca per chiedere le dimissioni del
governo e del presidente Vladimir Putin. Il motivo della loro protesta è la
riforma sociale che ha comportato uno sfaldamento della fiducia popolare verso
il presidente russo.
Il direttore di CNN
News, Eason Jordan, si è dimesso dal suo incarico sulla scia delle polemiche scatenate da
presunte dichiarazioni pronunciate in occasione del recente Forum Economico
Mondiale a Davos, in Svizzera. In quell’occasione, Jordan avrebbe accusato le
truppe statunitensi in Iraq di prendere più o meno deliberatamente di mira i
giornalisti che seguono la campagna militare nel Paese arabo. Jordan ha sempre
negato questa affermazione, ma in una lettera inviata alla redazione riconosce
che le sue parole “non sono state chiare quanto invece sarebbero dovute essere”.
Si è conclusa la
rivolta scoppiata ieri nel carcere San Martin di Cordoba, nella parte centrale
dell’Argentina. Il bilancio dell’ammutinamento è di otto morti e di 23 feriti.
I detenuti sono insorti per chiedere un migliore regime carcerario.
Dopo lo tsunami che lo scorso 26 dicembre ha
devastato il sud-est asiatico, il mare ha restituito anche alcune antiche
statue. Nel Tamil Nadu, uno degli Stati del sud dell’India maggiormente colpiti
dalla furia dell’acqua, gli archeologi hanno trovato semisepolti dalla sabbia
due leoni di granito dei primi secoli d.C.
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