RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 363  - Testo della trasmissione di giovedì 29 dicembre 2005

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

“Artigiani di pace”: è l’espressione scelta dal Papa per salutare i giovani che da ieri partecipano al 28° Pellegrinaggio promosso dalla Comunità di Taizè, quest’anno a Milano

 

Domattina il Santo Padre visita il dispensario ‘Santa Marta’ in Vaticano: intervista con suor Chiara Pfister

 

Per la Chiesa, l’anno che si chiude è segnato dalla successione di Benedetto XVI a Giovanni Paolo II sulla cattedra di Pietro: ce ne parla Joaquín Navarro-Valls

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Apriamo una serie di approfondimenti sul 2005 con uno speciale dedicato all’area mediorientale. Intervista con Antonio Ferrari

 

Il Medioevo, epoca di crescita culturale e di incontro tra cristiani e musulmani: con noi, Franco Cardini

 

CHIESA E SOCIETA’:

Nella Giornata mondiale della pace, il cardinale Dionigi Tettamanzi celebrerà una santa Messa con la partecipazione dei responsabili delle altre Chiese cristiane

 

Severa denuncia dei vescovi polacchi in una lettera pastorale per la festa, domani, della Sacra Famiglia

 

Si aggrava la situazione di siccità e carestia in alcune regioni del Kenya

 

“I nostri bambini, la nostra Chiesa”: è il titolo del sussidio che detta le nuove direttive per la protezione dei minori, messo a punto dai vescovi irlandesi

 

Soddisfazione per la messa in orbita ieri di “Giove-A”, il primo satellite dei 30 del sistema europeo di navigazione “Galileo”

 

24 ORE NEL MONDO:

In Iraq, uccisi 10 presunti terroristi in un raid aereo americano su un villaggio nei pressi di Kirkuk - 4 morti all’attentato suicida all’altezza di un posto di blocco israeliano in Cisgiordania - Sequestrato nello Yemen l’ex sottosegretario agli Esteri dell’ultimo governo tedesco, Juergen Chrobog

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

29 dicembre 2005

 

“Artigiani di pace”: è l’espressione scelta dal Papa per salutare i giovani

che da ieri partecipano al 28° Pellegrinaggio promosso

dalla Comunità di Taizè, quest’anno a Milano

 

“Artigiani di pace”: è l’espressione scelta dal Papa per salutare i giovani che da ieri partecipano al 28° Pellegrinaggio di fiducia sulla terra promosso dalla Comunità di Taizè che ritorna nel capoluogo lombardo dopo sette anni. Ieri pomeriggio il suono delle 1200 campane di Milano ha accolto sotto la neve i 50 mila giovani che partecipano agli incontri di preghiera e di meditazione, ma anche a laboratori su pace, globalizzazione, ecumenismo, fino al 1 gennaio prossimo. Il servizio da Milano di Fabio Brenna:

 

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Il filo conduttore dell’incontro è dato da quella lettera incompiuta che Frère Roger stava scrivendo ai giovani  prima di essere assassinato il 16 agosto scorso. Il testo è stato distribuito ieri sera nel corso della prima meditazione guidata da Frère Alois, successore di Frère Roger alla guida della Comunità di Taizè. E’ un invito ad “allargare la speranza” nel segno di quella “confiance”, la fiducia predicata lungo tutta la sua vita da Frère Roger.

 

Il Papa, nel messaggio inviato per questo appuntamento, definisce questi giovani provenienti da 42 paesi del mondo “artigiani di pace” e indica loro come esempi da seguire le figure di Giovanni Paolo II e di Frère Roger. Benedetto XVI “si augura” - si legge poi nel messaggio - “che il dialogo tra voi, che siete convenuti da vari Paesi e provenite da confessioni cristiane diverse, così come l’incontro con i cristiani di Milano che vi accolgono, vi consentano di tessere dei nuovi legami che saranno altrettanti semi di pace fra gli uomini”.

 

L’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, che incontrerà i giovani domani sera, nel suo indirizzo di saluto si augura che questo incontro europeo definito “straordinario evento missionario” possa accendere una luce nella Città, mettendo al centro la preghiera. I giovani sono stati accolti per la gran parte da famiglie della Diocesi presso cui dormono e fanno colazione. Il resto della giornata viene speso in Fiera, nei gruppi linguistici e negli incontri sparsi in città. Ogni giorno alle 13:15 e alle 19:00, la preghiera comune. Un padiglione della Fiera è stato riservato al silenzio.

 

Da Milano, per Radio Vaticana, Fabio Brenna.

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Ascoltiamo con quali sensazioni e con quali attese ha scelto di non mancare il raduno Marcello Fidanzio uno dei partecipanti avvicinato da Isabelle Coustourié.

 

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R. – L’incontro di Taizé è sempre un’occasione per riscoprire le sorgenti della fiducia in Dio, fiducia che ci dà la spinta per aprirci agli altri e fiducia nelle persone cui apriamo le nostre case. Quindi, l’incontro di Milano è un’occasione per riannodare rapporti, per scoprirne di nuovi, per incontrare tante persone con cui condividere la propria fede … magari, abitano vicinissime a noi, non le conosciamo e la venuta dei giovani di Taizé diventa un’occasione per incontrarle. Con altre persone che sono molto lontane, una volta incontrate si scopre che, a migliaia di chilometri di distanza, viviamo le stesse cose. La presenza di frère Roger è stata un grande dono per tanti di noi, davvero un’autentica sorgente, perché con la sua vita di uomo semplice, come siamo tutti noi, ha saputo dare fiducia a tanti e dare lo slancio. Dunque, oggi viviamo anche di questa eredità.

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NOMINE

 

L’arcivescovo maggiore di Kyiv Halyč, il cardinale Lubomyr Husar, con il consenso del Sinodo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina e dopo aver informato la Sede Apostolica, ha trasferito, a norma del canone 85 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, mons. Ihor Vozniak, dei Padri Redentoristi, da vescovo titolare di Nisa di Licia ed ausiliare dell'Arcieparchia di Lviv degli Ucraini ad arcivescovo residenziale della medesima sede.

 

In Messico, Benedetto XVI ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Morelia mons. Octavio Villegas Aguilar, finora vescovo di Tula. Il neo vescovo di Morella, 65 anni, è stato ordinato sacerdote nel 1966, ed ha successivamente svolto, tra gli altri, gli incarichi di formatore del Seminario Minore, parroco, vicario episcopale. Il 27 aprile 1994 fu nominato vescovo di Tula e consacrato nel maggio dello stesso anno.

 

 

DOMATTINA IL SANTO PADRE VISITA IL DISPENSARIO ‘SANTA MARTA’ IN VATICANO

- Intervista con la responsabile, suor Chiara Pfister -

 

Domani mattina Benedetto XVI si recherà in visita al Dispensario Santa Marta in Vaticano. La struttura è sorta nel 1922, in seguito al progetto presentato al Papa Benedetto XV  da una volontaria americana impegnata da anni nella distribuzione di latte “Dryco” - ad alta concentrazione proteica - ai bambini poveri della capitale. Il Papa affidò il progetto alle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli e ne nacque una struttura poi destinata all’accoglienza gratuita dei pellegrini e all’assistenza dei poveri della zona di San Pietro e dei Borghi. Oltre 214.mila pellegrini trovarono accoglienza a Santa Marta tra il 1887 e il 1929, senza contare quanti vi furono ospitati in periodi di calamità e i soldati ricoverati al tempo della Grande Guerra. Durante il secondo conflitto mondiale la struttura accolse gli ambasciatori  presso la Santa Sede non allineati con le posizioni delle potenze belligeranti. Oggi il “Dispensario pediatrico Santa Marta” assiste nuclei familiari extracomunitari di qualsiasi Paese, etnia o religione, in prevalenza bambini: soprattutto fino ai 2 anni. Nel 2005 ne ha assistiti circa 700. Si avvale di un’équipe composta da 10 medici delle diverse specializzazioni, una psicologa e 40 volontari, con il coordinamento della Figlia della Carità suor Chiara Pfister, di origine svizzera. Giovanni Peduto l’ha intervistata:

 

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R. – A Roma non ce ne sono tante di strutture dello stesso tipo. Io personalmente non ne conosco. La specificità di questo dispensario è che è un centro, un consultorio, per le famiglie che hanno bisogno. Vogliamo aiutare queste famiglie a rimettersi in piedi, a camminare da sole. Vogliamo accompagnarle per due, forse tre anni, nel desiderio e nelle indicazioni dei Papi, come è stato sottolineato anche da Papa Giovanni Paolo II.  

 

D. – Ci vuole descrivere una giornata tipica di lavoro aldispensario? Quante persone aiutate ogni giorno?

 

R. – Di solito le giornate sono varie. Ad esempio, il giovedì, che siamo aperti anche la mattina, passano fra le 30 e le 40 famiglie, che corrispondono spesso a più persone. Se le famiglie vengono con due o tre figli, il dispensario funziona diversamente che se viene solo una mamma con un bambino. Le famiglie vengono e sono visitate o da me o dai medici. Se hanno problemi di salute, e per qualsiasi problema di salute, ci rivolgiamo al medico. Con il medico parliamo dell’alimentazione del bambino piccolo. Infatti, la condizione per essere ammessi al dispensario è avere un bambino piccolo, tra 0 e 6 anni. Poi diamo un aiuto fino a che la famiglia non è in grado di assumere tutte le sue responsabilità. Le famiglie vengono accolte da un gruppo di volontari che sono ogni giorno 5 o 6. Vogliamo essere nel seno della Chiesa accoglienza e quindi vogliamo dire a queste persone: “Siamo i vostri fratelli. Voi per il momento avete bisogno. Domani aiuterete gli altri”. Capita pure che ‘ex assistiti’ vengono, si presentano da noi, e vogliono dare una mano, facendo volontariato a turno.    

 

D. – Attualmente in quante persone siete impegnate in questo ‘dispensario’?

 

R. – A tempo fisso ci sono io. Ma ci sono poi 45 volontari. Tra questi ci sono dieci medici che si danno il turno e si mettono a disposizione della gente. Oltre alla distribuzione delle cure mediche e dei medicinali che facciamo in collaborazione con la farmacia vaticana, diamo viveri di prima necessità, soprattutto per i bambini piccoli, ma anche per i grandi. Non perché fuori non esistano questi centri, ma vogliamo evitare il peregrinare da un centro ad un altro. Siamo in grado di prenderci cura di tutte le famiglie e un po’ di tutti i bisogni, perché vogliamo evitare che la famiglia dica: “Qui vado a prendere la pasta. Lì vado per i pannolini. Là vado per altro…”. Vogliamo camminare con loro, con dignità ed evitare questa mendicità in tutti gli angoli. 

 

D. – Dove attingete i fondi  necessari per l’attività del ‘dispensario?

 

R. – Il dispensario vive solo di opere di beneficenza. Certo, una forte spinta ce la dà il Vaticano, la Santa Sede. Poi ci sono altri enti. Il dispensario è nato per iniziativa di una donna americana che assieme a Papa Benedetto XV dette inizio a questo dispensario. Poi il dispensario è stato aperto e benedetto da Papa Pio XI, perché durante la sua costruzione Papa Benedetto XV è morto. Questa organizzazione di donne americane ci aiuta tuttora per una piccola parte. Ci sono poi diverse istituzioni italiane ed anche straniere, svizzere, che aiutano e poi benefattori privati.

 

D. – Quale significato riveste la visita del Santo Padre domani e come vi siete preparati ad accoglierlo? Gli offrirete anche dei doni?  

 

R. – Per noi è una grandissima gioia, perché è come una piccola ricompensa per questi volontari che sono qui da 10, 15 anni. Abbiamo un grande gruppo di giovani, per tutto l’anno. Anche d’estate, quando fa caldo, invece di andare al mare, vengono uno o due pomeriggi - due giorni a settimana - secondo le loro possibilità, per questa opera. Penso che per noi sia una grande ricompensa e anche per questi volontari, ma desideriamo pure che il Papa venga a benedire quest’opera che è stata iniziata da Papa Benedetto XV. Per noi è un segno di continuità per l’opera e ci aiuta ad andare nel senso della Chiesa, che è molto importante. Abbiamo anche un ginecologo e conosciamo molti bambini prima della nascita. E alle mamme che vengono con tante difficoltà non diamo soltanto consigli o direttive della Chiesa, ma possiamo offrire anche un aiuto concreto. E’ molto importante per noi questo incontro. Siamo preparati. E i volontari assieme alle famiglie hanno stimolato i bambini a fare qualche disegno, per offrirlo al Papa. Certo, la maggioranza sono piccolini e non possono fare niente. Ma nel loro cuore, soprattutto i genitori, si sono preparati molto bene. Come dono offriamo al Papa una ceramica della Sacra Famiglia, che è il nostro stemma. Dappertutto, ovunque siamo state – abbiamo fatto diversi spostamenti nella Città del Vaticano – la prima cosa era mettere questo stemma della Sacra Famiglia sulla porta. E’ sempre stato fin dall’inizio all’entrata del dispensario. Questo sarà il nostro regalo al Santo Padre.

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PER LA CHIESA, L’ANNO CHE SI CHIUDE E’ SEGNATO DALLA SUCCESSIONE DI

Benedetto XVI a Giovanni Paolo II sulla cattedra di Pietro. NE PARLIAMO

CON IL direttore della Sala stampa vaticana, Joaquin Navarro-Valls

 

L’anno che si sta chiudendo è caratterizzato dalla successione di Benedetto XVI a Giovanni Paolo II sulla cattedra di Pietro. Un evento che ha riguardato in particolare la Chiesa cattolica, ma che ha avuto un’eco eccezionale in tutto il mondo. La morte di Papa Wojtyla ha coinvolto un numero inestimabile di persone. Tiziana Campisi ha chiesto al direttore della Sala stampa vaticana, il dott.  Joaquín Navarro-Valls quali ricordi conserva di quei giorni:

 

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R. – Ricordo con enorme intensità quei giorni, quelle circostanze che hanno avuto una dimensione straordinaria nell’opinione pubblica in tutto il mondo. Soprattutto li ricordo come uno di quei momenti in cui si vede quasi fisicamente agire lo Spirito di Dio. Non erano soltanto le masse, la quantità di persone in quei giorni che si concentravano qui in Vaticano, in Piazza San Pietro, ma l’intensità che si vedeva in quelle persone per quanto riguarda la percezione di vivere un momento veramente religioso. Da questo punto di vista è stata una cosa straordinaria.

 

D. - Lei ha potuto osservare da vicino il passaggio dal 264 al 265.mo pontefice della Chiesa cattolica. Alla luce di questi mesi come può descriverlo e come l’ha vissuto personalmente?

 

R. – Per me in concreto avere vissuto e seguito ogni momento di quei giorni ultimi di Giovanni Paolo II è stato qualcosa, come può immaginare, che mi ha colpito in profondità. E anche nei giorni successivi i contatti con il decano del Collegio dei cardinali, l’allora cardinale Ratzinger, e poi, come tutti, la sorpresa di ascoltare quel nome come il Papa che era stato eletto. Naturalmente ho vissuto tutti quegli eventi con grande commozione personale, che doveva in qualche modo essere diluita di fronte al lavoro informativo che si doveva fare da parte di questo ufficio. Forse da un punto di vista personale è stato solo dopo questi avvenimenti che ho potuto riflettere un po’. In quei giorni l’intensità del lavoro era tale che non c’era molto spazio e molto tempo per riflettere su quello che si stava vivendo e che dovevo comunicare.

  

D. – Che cosa è cambiato con questo nuovo Pontificato?

 

R. – Mi facevo anch’io questa domanda. Inevitabilmente me la sono posta diverse volte e me la sono posta particolarmente l’estate scorsa durante il primo viaggio di Benedetto XVI all’estero, a Colonia. Nella reazione della gente lì a Colonia, in maggior parte ragazzi e ragazze, avevo la percezione che si vedeva la teologia del Pontificato, vale a dire che c’era la percezione della paternità universale di un Papa, c’era la percezione dell’unità della dottrina cattolica nel tempo, nel passaggio da una persona all’altra. C’erano molti elementi che parlavano di continuità. Naturalmente quando si parla di continuità a proposito di Pontificato è una continuità che dura da 20 secoli, non soltanto con il Papa precedente, ma da venti secoli. Qualche cosa è cambiato, qualche cosa rimane. Naturalmente ci sono delle differenze di stile, differenze personali tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, forse ci sono e ci saranno anche cambiamenti nelle priorità pastorali. Ogni Pontefice dipende anche un po’ dal suo tempo, dalle richieste, dai bisogno spirituali del suo tempo.

 

D. – Un suo commento sul legame oggi tra il Papa e i fedeli?

 

R. – E’ che bisogna riflettere su queste enormi masse di gente. Deve tener conto che le udienze generali in altri momenti, in altri anni, in quest’epoca dell’anno si tenevano nell’Aula Paolo VI. Adesso non si possono fare lì per il numero di persone che vengono all’udienza del mercoledì. Se poi vediamo il numero delle persone che vengono alla domenica per la recita dell’Angelus è davvero sorprendente. Quindi riflettere su questo: è aumentata la sensibilità religiosa? Questa è una domanda che rimane lì.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

 

Apre la prima pagina l’Iraq, ancora segnato da sanguinose violenze. L’ONU respinge l’idea di ripetere, a motivo di presunti brogli, le elezioni legislative del 15 dicembre.

 

Servizio vaticano - Una pagina dedicata alla celebrazione del Natale nelle diocesi italiane.

Una pagina sul cammino della Chiesa in Asia.

 

Servizio estero - Ciad-Sudan: nonostante gli sforzi diplomatici l’incubo della violenza si perpetua sulle sventurate popolazioni del tormentato confine.  

 

Servizio culturale - Un articolo di Carmine Di Biase dal titolo “L’‘apartheid’ di uno scrittore cristiano”: ricordo di Mario Pomilio a quindici anni dalla morte.

 

Servizio italiano - In primo piano la nomina di Mario Draghi a nuovo Governatore della Banca d’Italia.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

29 dicembre 2005

 

 

APRIAMO UNA SERIE DI APPROFONDIMENTI SUL 2005

CON UNO SPECIALE DEDICATO ALL’AREA MEDIORIENTALE

- Con noi, Antonio Ferrari -

 

In questi giorni cerchiamo di tracciare un bilancio di ciò che è avvenuto nel 2005 nel mondo. Cominciamo da un’analisi della regione mediorientale. L’anno  appena trascorso è stato molto importante per l’intera regione, dove lentamente gli equilibri geopolitici si stanno modificando. Ad iniziare dal fronte israelo-palestinese, dove il disimpegno dalla Striscia di Gaza, deciso da Sharon, ha certamente segnato un nuovo percorso. Lo conferma, al microfono di Salvatore Sabatino, Antonio Ferrari inviato speciale del Corriere della Sera:

 

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R. – Ha segnato un nuovo percorso con uno sviluppo e una complicazione. Lo sviluppo è il terremoto politico che c’è stato in Israele con l’uscita di Sharon dal partito di destra Likud, la creazione di una formazione di centro, la possibilità di rivincere per la terza volta consecutiva le elezioni. E poi la rivoluzione all’interno del partito laburista, con consecutivo pensionamento dei vecchi e l’arrivo al potere di un personaggio assolutamente nuovo, di sinistra, per un partito di sinistra. Dall’altra parte, invece, c’è un’incognita legata ad una malattia, legata al leggero ictus che ha colpito Sharon, alla necessità per Sharon di sottoporsi ad un intervento e quindi alla possibilità che tutto questo possa avere un impatto sulla società israeliana: “Sharon l’invincibile, Sharon il duro”, l’uomo della sicurezza, che dimostra la sua fragilità umana.

 

D. – C’è da segnalare inoltre un processo di democratizzazione politica sul fronte palestinese. Tra un po’ ci saranno le elezioni …

 

R. – Sì, con il rischio che però la situazione sfugga al controllo dell’Autorità nazionale palestinese. Mi riferisco all’avanzata veramente considerevole degli integralisti di Hamas e alla perdita, in fondo, di nerbo da parte dell’Autorità palestinese con il rischio per Mahmud Abbas di non poter e non sapere controllare la situazione.

 

D. – Se da una parte c’è stato un primo passo verso la distensione, nel vicino Libano, però, la tensione resta alta, nonostante il ritiro delle truppe siriane: prima l’uccisione di Hariri, poi altri omicidi eccellenti. Gli sguardi della comunità internazionale sono tutti puntati a questo punto su Damasco …

 

R. – Assolutamente sì. Bisognerà capire, e forse le prossime settimane ci potranno dire qualcosa di più concreto dei timidi segnali che abbiamo colto sinora, se ci sia la possibilità davvero di un riassestamento del regime siriano. Bisognerà capire se il presidente Bashar el Assad compirà un passo decisivo verso le riforme, quindi verso la pulizia non soltanto all’interno delle istituzioni, ma forse all’interno della sua stessa famiglia alawita, la minoranza di cui Bashar fa parte, che guida il Paese. Sino a quando non si arriverà a questo chiarimento, credo che vi saranno degli effetti a cascata. Ed il Libano, che la Siria considera quasi un protettorato, è chiaro che può continuare ad essere il terreno dove queste tensioni sfociano, magari in fatti di sangue terribili come quelli recenti.

 

D. – La situazione resta complessa anche in Iran, dove è andato al potere – lo ricordiamo – l’ultraconservatore Ahmadinejad. Le sue minacce su Israele e la questione nucleare certamente stanno continuando ad attirare l’attenzione dei media internazionali su questo Paese…

 

R. – Assolutamente sì, e questa è un’altra grandissima incognita. E’ chiaro che gli Stati Uniti non è che possano fare più di tanto, cioè alzare la voce o anche minacciare. L’Iran non è l’Iraq e questo scatenerebbe tutta una serie di reazioni che forse neanche la grande potenza sarebbe in grado di poter controllare e gestire. Quello che è successo in Iran purtroppo è anche colpa, è anche responsabilità, dell’Occidente. Se si fosse capito alla vigilia delle ultime elezioni che il rischio maggiore era appunto che questo conservatore, anche, a quanto pare, a quanto si dice, abbastanza ignorante, e se si vuole addirittura naif, che usa un linguaggio del passato oggi assolutamente insopportabile, stava per vincere le elezioni con una minoranza – perché è una minoranza che lo ha votato – allora, forse la comunità occidentale      avrebbe dovuto fare di più per sostenere l’alternativa Ahmadinejad, cioè quel vecchio volpone di Rasfanjani che sicuramente non sarà un moderato come lo è stato il presidente Katami, ma comunque sarebbe stato sicuramente meglio del presidente attuale.

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ALLA SCOPERTA DELLE RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA

 

 

IL MEDIO EVO, EPOCA DI CRESCITA CULTURALE E DI INCONTRO TRA CRISTIANI

E MUSULMANI: CON NOI, LO STORICO MEDIEVALISTA, FRANCO CARDINI

- Intervista con il prof. Franco Cardini -

        

Terzo appuntamento con la rubrica dedicata alla scoperta delle radici cristiane dell’Europa. Ci chiediamo come si possa credere che un’epoca contrassegnata dall’ignoranza abbia dato frutti come le cattedrali e le università, opere letterarie come la Divina Commedia e teologiche come la Summa di San Tommaso. Eppure troppo spesso ancora si sente ripetere che i secoli del Medio Evo siano stati aridi sotto il profilo culturale. In realtà, l’epoca medievale presenta una straordinaria vitalità in ogni ambito del sapere e fu testimone di un proficuo incontro tra popoli e culture diverse. Tra Cristianesimo e Islam, per esempio, non fu solo scontro nel Medio Evo: le due civiltà dialogarono sempre, anche quando, come durante le Crociate, si affrontarono militarmente. Sulla cultura e il dialogo interreligioso nel Medioevo, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Franco Cardini, medievalista dell’Università di Firenze:

 

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R. – Noi siamo abituati a pensare all’analfabetismo come ad una categoria dell’ignoranza. Nel mondo medievale non è così. Da una parte, la cultura della scrittura è legata ad un ceto preciso di persone, che tecnicamente si sanno servire di questo strumento. Però, dall’altra, e non solo ai livelli più bassi, più popolari, c’è un analfabetismo che non è affatto sinonimo di ignoranza, perché è corretto da una grande capacità di usare la cultura orale. E’ corretto da una grande capacità di far parte cosciente, consapevole dico, di una sorta di memoria collettiva.

 

D. – C’è un pregiudizio anticristiano in questa etichetta di ignoranza affibbiata al Medioevo?

 

R. – Noi colleghiamo il concetto di ignoranza medievale molto spesso alla devozione, alla cultura religiosa. Facendo questo noi tributiamo un’indebita fiducia ad una critica molto superficiale dei soliti illuministi, i quali concepivano sempre e comunque la fede come una funzione dell’ignoranza. L’ignoranza genera la credulità, la credulità genera evidentemente la superstizione e il fanatismo, ma non è affatto così. In realtà, dietro quella che nel mondo illuministico si definiva la superstizione, c’è una somma di valori, di conoscenze radicate nelle tradizioni popolari, radicate nella conoscenza della liturgia, un grande e profondo ed estensivo uso della memoria, che rende abbastanza ridicolo parlare dell’età medievale come di un tempo di mancanza di cultura. Chiunque si affacci, dico la prima cosa che mi viene in mente, alla Chanson de Roland, a queste migliaia e migliaia di versi, chiunque si affacci davanti a questo panorama, scopre una cultura diffusa di un grandissimo valore.

 

D. – Le Crociate sono nell’immaginario collettivo il fenomeno più forte, più significativo del Medioevo. Anche qui gli stereotipi non mancano…

 

R. – Le Crociate, nel loro vivo contesto storico, sono state episodi senza dubbio di guerra, ma sempre molto limitata, nel tempo e negli effetti propriamente militari. Guerre anche sanguinose, sì, ma nelle quali in fondo gli episodi di violenza scatenata sono pochi. Noi viviamo le Crociate come se fossero state guerre missionarie. Bisogna tener presente che la Crociata non è mai stata vissuta come una guerra di religione da chi accettava di fare il voto di Crociata. Non si facevano le Crociate per convertire i musulmani. Si facevano semmai per rivendicare alla cristianità la sovranità su certe aree, come appunto la Terra Santa. Ma l’elemento missionario che si è, in certi momenti storici, accompagnato e collegato con la Crociata non è estrinseco alla Crociata. La Crociata non è una guerra di religione. Noi europei ci siamo scannati fra cristiani, non bisogna mai dimenticarlo, per un lungo periodo: dall’inizio della Riforma fino alla pace di Westfalia. Mai nulla di questo è successo nei confronti del mondo islamico!

 

D. – Le Crociate, dunque, non impedirono i contatti fra cristiani e musulmani?

 

R. – Fortissimo era il rapporto economico fra il mondo europeo ed il mondo islamico, uno scambio continuo che poi ha fatto sì che l’Europa si arricchisse proprio nei secoli stessi delle Crociate. Sono stati anche i grandi secoli della prosperità mediterranea. Si deve desumere che, evidentemente, la Crociata è stata soltanto l’epifenomeno militare di un rapporto economico, ma anche diplomatico, anche culturale strettissimo, in cui cristiani e musulmani ed ebrei hanno interagito fra loro. Ebrei, cristiani e musulmani vivono insieme, lavorano insieme. L’Islam ci passa la geografia, la matematica, ci passa la musica, ci passa la chimica, quelle scienze nuove che poi hanno dato vita alla stessa modernità. Sono tutti prodotti del contatto diretto fra Cristianesimo e Islam in tempi in cui cristiani e musulmani periodicamente si davano anche a conflitti di una certa entità fra loro.

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CHIESA E SOCIETA’

29 dicembre 2005

 

 

AL DUOMO DI MILANO SARA’ UN PRIMO GENNAIO ALL’INSEGNA DELL’ECUMENISMO:

NELLA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE, IL CARDINALE DIONIGI TETTAMANZI

CELEBRERA’ UNA SANTA MESSA CON LA PARTECIPAZIONE

 DEI RESPONSABILI DELLE ALTRE CHIESE CRISTIANE

 

MILANO.= Nell’arcidiocesi di Milano, il primo gennaio verrà festeggiato all’insegna dell’ecumenismo: in occasione della 39.ma Giornata Mondiale per la Pace, infatti, l’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, celebrerà una Santa Messa in Duomo alle 17.30 con la partecipazione dei responsabili delle altre Chiese cristiane di Milano. Dopo la celebrazione, il porporato li incontrerà nella sua abitazione in arcivescovado. L’invito, informa l’agenzia SIR, è esteso ai ministri delle diverse confessioni e alle delegazioni che compongono il Consiglio delle Chiese cristiane di Milano. Nato nel 1998, il Consiglio abbraccia oggi 17 chiese cristiane e alla sua presidenza si sono avvicendati esponenti delle diverse aree confessionali. Gli auguri rivolti dal cardinale Dionigi Tettamanzi ai responsabili delle altre Chiese cristiane di Milano sono espressi, come di consueto, il primo dell’anno, data significativa per dare inizio – spiegano i promotori - “nel segno della fraternità e dell’amicizia, a un anno di pace e al mese caratterizzato dagli importanti appuntamenti della settimana ecumenica in programma dal 18 al 25 gennaio 2006”. La Settimana avrà, quest’anno, per tema il testo di Matteo 18,20: “Se due o tre si riuniscono per invocare il mio nome, io sono in mezzo a loro”. Per la città, il Consiglio delle Chiese cristiane di Milano ha predisposto un programma che prevede, tra le varie iniziative, una celebrazione di apertura nella Basilica di Sant’Ambrogio (il 18 gennaio) una veglia ecumenica dei giovani nella chiesa metodista (il 20 gennaio) e, infine, (il 21 gennaio) una tavola rotonda all’Istituto Leone XIII. (A.G.)

 

 

TROPPO SPESSO I DIRITTI FONDAMENTALI DEI LAVORATORI SONO CALPESTATI

IN NOME DEL PROFITTO E A SOFFRIRNE SONO SOPRATTUTTO LE FAMIGLIE:

SEVERA DENUNCIA DEI VESCOVI POLACCHI IN UNA LETTERA PASTORALE

PER LA FESTA, DOMANI, DELLA SACRA FAMIGLIA

 

VARSAVIA. = In Polonia i diritti fondamentali dei lavoratori sono troppo spesso calpestati in nome del profitto e la principale vittima di questa situazione è la famiglia. E’ la forte denuncia contenuta in una lettera pastorale pubblicata dai vescovi polacchi per la Festa della Sacra Famiglia, il 30 dicembre. “La politica statale – affermano i presuli nella lettera - non ha sostenuto e difeso i diritti della famiglia come avrebbe dovuto e ha invece favorito il loro sfruttamento da parte dei datori di lavoro. I lavoratori – aggiungono – non possono essere trattati come mera forza lavoro”. Essi sono infatti “madri e padri, mogli e mariti cui va garantito il fondamentale diritto alla famiglia e ad una vita coniugale”. Troppo spesso invece i “datori di lavoro chiedono a giovani donne sposate di rinunciare ad avere bambini e impongono una discrezionalità che nega di fatto ai dipendenti qualsiasi vita privata”. “L’insegnamento sociale della Chiesa –  ricordano quindi i vescovi – ha sempre evidenziato che, mettendo al mondo ed educando i figli in un clima di amore, la famiglia aiuta la società a costruire il suo futuro. Questo – rimarcano – non può essere dimenticato proprio qui in Polonia, dove per generazioni la famiglia ha dovuto fare le veci dello Stato e assumersi la responsabilità della sopravvivenza e del futuro della Nazione”. La denuncia dell’episcopato polacco non è nuova. A più riprese in questi ultimi anni diversi esponenti ecclesiastici hanno denunciato il deterioramento delle condizioni dei lavoratori del Paese, condizioni che non sono migliorate con il suo ingresso nell’Unione Europea. Non poche aziende occidentali hanno infatti delocalizzato le loro strutture in Polonia proprio per aggirare le più severe normative dei propri Paesi. (L.Z.)

 

 

SI AGGRAVA LA SITUAZIONE DI SICCITA’ E CARESTIA IN ALCUNE REGIONI DEL KENYA,

TANTO CHE ALCUNI PARLAMENTARI HANNO CHIESTO AL PRESIDENTE

DEL PAESE AFRICANO DI DICHIARARE LO STATO DI ‘DISASTRO NAZIONALE’

E DI RIAPRIRE IL PARLAMENTO PER FRONTEGGIARE LA SITUAZIONE

 

NAIROBI. = Un gruppo di parlamentari kenyoti, di diversi schieramenti politici, ha chiesto al presidente Mwai Kibaki di dichiarare lo stato di “disastro nazionale”, a seguito della siccità e carestia, che hanno colpito soprattutto le zone nord orientali del Paese, dove almeno 30 persone sarebbero già morte per denutrizione e disidratazione. Lo riferisce oggi l’agenzia MISNA, riportando la notizia apparsa sul principale quotidiano del Paese, il “Daily Nation”. L’iniziativa dei deputati è volta a liberare una serie di aiuti internazionali assolutamente necessari per fare fronte all’emergenza. Alcuni deputati hanno chiesto al governo anche la riapertura straordinaria del Parlamento (che secondo l’agenda dovrebbe riaprire i lavori non prima di marzo) per discutere dell’utilizzo eccezionale di fondi destinati ad altre finalità e vagliare leggi apposite con cui facilitare il compito di chi è impegnato in operazioni di soccorso. Nei giorni scorsi il presidente kenyota ha lanciato un appello alla comunità internazionale per la raccolta urgente di 100 milioni di dollari necessari per finanziare l’acquisto di aiuti destinati alle quasi 2 milioni e 500.000 persone interessate dall’emergenza siccità. La gravità della situazione è confermata dalle poche organizzazioni umanitarie e sanitarie presenti nella zona, secondo cui i problemi di denutrizione e disidratazione interesserebbero ormai ben 22 distretti del nord del Paese alle frontiere con Etiopia e Somalia. (R.G.)

 

 

 “I NOSTRI BAMBINI, LA NOSTRA CHIESA”: E’  IL TITOLO DEL SUSSIDIO CHE DETTA

 LE NUOVE DIRETTIVE PER LA PROTEZIONE DEI MINORI, MESSO A PUNTO DAI VESCOVI IRLANDESI PER “EVITARE CHE I DOLOROSI ERRORI DEL PASSATO SI RIPETANO”,

 HA SPIEGATO IL PRIMATE, MONS. SEAN BRADY, RIFERENDOSI AI CASI

DI ABUSI SESSUALI IMPUTATI AD ESPONENTI DEL CLERO

 

DUBLINO. = Fare in modo che la Chiesa in Irlanda sia un luogo “veramente sicuro per i bambini” ed “evitare che i dolorosi errori del passato si ripetano”. Con queste parole mons. Sean Brady, arcivescovo di Armagh e Primate d'Irlanda, ha presentato nei giorni scorsi a Dublino le nuove direttive dei vescovi irlandesi per la protezione dei minori. Il documento Our Children, Our Church (“I nostri bambini, la nostra Chiesa”) è stato preparato dalla Conferenza episcopale in collaborazione con la Conferenza dei religiosi d’Irlanda e con l’Unione Missionaria irlandese. Il sussidio esce a poche settimane dalle nuovi vivaci polemiche scatenate dalla pubblicazione del rapporto governativo sugli abusi commessi da esponenti del clero nella diocesi di Ferns. Le nuove direttive, ha spiegato mons. Brady, si propongono appunto di sopperire alle carenze delle precedenti misure in materia adottate dall’episcopato nel 1996 e rivelatesi inadeguate, come purtroppo confermato anche dal caso della diocesi di Ferns. Il documento prevede, tra l’altro, un codice di condotta per gli  esponenti del clero che lavorano con minori e procedure più severe per l’accertamento di casi sospetti di pedofilia in seno alla Chiesa. E’ inoltre prevista l’istituzione di un Ufficio nazionale per la protezione dei bambini, composto da genitori ed esperti di infanzia, psicologi, giuristi ed educatori. Le direttive sono state accolte positivamente dal ministro irlandese per l’Infanzia, Brian Lenihan, e dalla Società irlandese per la prevenzione della crudeltà verso i bambini (ISPCC). Critiche restano invece le associazioni delle vittime di abusi, che non registrano sostanziali modifiche rispetto alle precedenti misure adottate dai vescovi. (L.Z.)

 

 

SODDISFAZIONE PER LA MESSA IN ORBITA IERI DI “GIOVE-A”,

IL PRIMO SATELLITE DEI 30 DEL SISTEMA EUROPEO DI NAVIGAZIONE “GALILEO”,

REALIZZATO E GESTITO IN AMBITO CIVILE, CHE PERMETTERA’ IL CONTROLLO COSTANTE DEI TRASPORTI AEREI, FERROVIARI, SU STRADA E VIA MARE,

OLTRE CHE LA SORVEGLIANZA AMBIENTALE

 

BRUXELLES - Da ieri in orbita con successo “Giove-A”, il primo satellite del sistema di navigazione “Galileo”, lanciato dalla base kazaka di Baikonur, a bordo del vettore russo Soyuz. Si tratta del primo passo importante nella messa in opera del sistema di navigazione satellitare “Galileo”, in grado di assicurare un controllo preciso e costante per la sicurezza dei trasporti ferroviari, aerei e via mare e su strada, oltre che per la sorveglianza ambientale. Si stimano 850 milioni di potenziali utenti ed un mercato di centinaia di miliardi di euro entro il 2020. “Galileo” è anche il primo sistema di navigazione satellitare al mondo realizzato e gestito in ambito civile, congiuntamente dall’Agenzia spaziale europea (ESA) e dall'Unione Europea. I due sistemi di navigazione satellitare oggi attivi, lo statunitense GPS e il russo GLONASS, sono stati infatti realizzati e gestiti entrambi in ambito militare. Tutto è andato come previsto e il satellite è stato posto nell'orbita definitiva, a 22.250 chilometri dalla Terra. Con i 30 satelliti di “Galileo”, il cui completamento è previsto nel 2008, l’Europa avrà dunque un proprio sistema di satelliti sempre operativo (R.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

29 dicembre 2005

 

- A cura di Roberta Moretti e Antonella Ratti -

        

Situazione ad alta tensione in Iraq, dove proseguono le violenze. L’esercito americano ha colpito alcuni sospetti, nel nord curdo del Paese, mentre a Baghdad un kamikaze ha fatto numerose vittime. Il nostro servizio: 

 

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E’ di almeno 10 morti il bilancio dell’attacco aereo americano sferrato questa mattina su un villaggio 50 chilometri a sudovest di Kirkuk. Le vittime sono state colpite mentre piazzavano bombe lungo una strada. A Baghdad, intanto, un kamikaze, che indossava una divisa della polizia, si è fatto saltare in aria davanti a una pattuglia delle forze dell’ordine, uccidendo quattro agenti e ferendone altri cinque, tra cui un ufficiale. L’attentato è avvenuto vicino a un ingresso del ministero dell’Interno iracheno. E mentre è ancora forte l’impatto del video trasmesso ieri dall’emittente araba al Arabiya, che mostra l’ingegnere francese, Bernard Planche, sequestrato lo scorso 5 dicembre a Baghdad, giunge l’appello del ministro degli Esteri francese, Philippe Douste-Blazy, a un rilascio incondizionato. “Non vi è nulla che giustifichi il fatto di tenere prigioniero Bernard Planche”, ha sottolineato, rispondendo alle minacce dei sequestratori di uccidere l’ostaggio se la Francia non metterà fine alla sua “presenza illegittima” in Iraq. Intanto, non si arrestano le tensioni politiche e sociali nel Paese. L’aumento del prezzo del petrolio ha fatto scendere in piazza migliaia di persone. E a preoccupare maggiormente è la protesta sunnita contro i risultati elettorali a favore del gruppo sciita del 15 dicembre scorso, che ieri, dopo Baghdad e Tikrit ha toccato anche la città di Samarra. E proprio in questo momento, nella capitale, le forze USA e la polizia irachena stanno cercando di porre fine all’ennesima insurrezione.

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In Medio Oriente, un attentato suicida è stato sferrato stamani da uno o due kamikaze all’altezza di un posto di blocco dell’esercito israeliano vicino a Tulkarem, in Cisgiordania. Un soldato israeliano e 3 palestinesi sono rimasti uccisi nell’esplosione. Ce ne parla, nel servizio, Antonella Ratti:

 

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L’episodio appare fortemente legato al rialzarsi della tensione tra palestinesi e Israele, a seguito della creazione, da parte del governo del premier israeliano, Ariel Sharon, di una zona di sicurezza all’estremo nord della striscia di Gaza, interdetta alla popolazione palestinese. Nella notte sono continuati i bombardamenti dell’artiglieria e dell’aviazione israeliane nell’area, per impedire gli attacchi dei militanti palestinesi con missili Qassam. Proprio ieri, il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, aveva lanciato un appello a evitare una escalation di violenza nel territorio. Al governo libanese Annan aveva chiesto invece di garantire il controllo del proprio territorio, condannando il lancio di missili sul nord di Israele avvenuto martedì scorso. Cresce, intanto, l’apprensione per la sorte dei tre operatori umanitari britannici rapiti ieri a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. Secondo quanto riferito dalle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), i rapitori apparterrebbero a un gruppo armato vicino ad al-Fatah. Finora non c’è stata alcuna rivendicazione, ma la polizia dell’ANP fa sapere che sono in corso trattative per la liberazione degli ostaggi.

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Attentato suicida anche in Afghanistan, dove 2 kamikaze si sono fatte esplodere nella città di Spin Boldak, al confine con il Pakistan. La deflagrazione, avvenuta nei pressi del più grande supermercato locale, non ha provocato vittime, né feriti.

 

Grande paura stamani in Russia. Un uomo si è fatto saltare in aria nel centro di Makhackalà, capitale della regione musulmana del Daghestan, al confine con la Cecenia, fortunatamente senza causare vittime. Non è ancora chiaro se l’attentato suicida sia legato alla cerimonia di commemorazione per il figlio del viceministro degli Interni e capitano dei servizi segreti, Gazim Agomedov, ucciso nella notte di mercoledì scorso. Il Daghestan, nel Caucaso settentrionale, sconta ancora oggi la violenza seguita al conflitto che ha opposto per circa 11 anni la vicina Cecenia al governo centrale di Mosca.

 

È ormai vicina la scadenza dell’ultimatum lanciato dal gigante economico russo, Gazprom, all’Ucraina. Kiev, entro le 10 ora locale di domenica prossima, dovrebbe accettare di pagare il gas russo ad una tariffa quattro volte più alta di quella attuale. Il primo ministro ucraino, Yuriy Yekhanurov, ha denunciato ieri la proposta della controparte russa come “inaccettabile”. Proseguono intanto i negoziati tra la compagnia monopolista russa e il ministro dell’Energia ucraino, Ivan Plachkov. 

 

E’ dunque Mario Draghi il nuovo Governatore della Banca d’Italia. In mattinata era giunto il parere favorevole del Consiglio Superiore dell’istituto di Palazzo Koch. Poco fa la designazione da parte del Consiglio dei ministri. L’ultimo atto sarà il decreto di nomina da parte del Capo dello Stato. Servizio di Giampiero Guadagni.

 

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58 anni, romano, per dieci anni direttore generale del Tesoro, attualmente vicepresidente di un’importante banca d’affari internazionale, Mario Draghi è dunque il nuovo Governatore della Banca d’Italia. Considerato il regista delle grandi privatizzazioni italiane degli anni ’90, Draghi, nome gradito ad entrambi i poli, ha vinto la concorrenza di Vincenzo Desario, attuale reggente dell’istituto di Palazzo Koch; e di Tommaso Padoa Schioppa, ex dirigente della Banca centrale europea. Nei giorni scorsi era emersa anche la candidatura dell’ex commissario europeo Mario Monti, che però si era autoescluso con una lettera al premier Berlusconi. Draghi viene nominato con le nuove regole introdotte dalla legge di tutela del risparmio appena approvata e pubblicata oggi sulla Gazzetta Ufficiale. Le nuove regole cambiano la procedura di nomina del governatore: che è perfezionata con decreto del presidente della repubblica, dopo la designazione del Governo su parere del Consiglio superiore di Bankitalia. Draghi sarà il primo governatore con un mandato a termine di 6 anni rinnovabile una sola volta. La riforma di Bankitalia è completata con l’attribuzione all’autorità Antitrust di gran parte delle competenze sulla vigilanza della concorrenza bancaria. Mario Draghi prende il posto di Antonio Fazio, governatore per 13 anni, dimessosi perché indagato nell’ambito dell’inchiesta milanese sulla scalata alla banca Antonveneta. Tra gli indagati anche il presidente del gruppo assicurativo Unipol Giovanni Consorte, che ieri a sua volta ha annunciato le proprie dimissioni.

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Dopo una lunga serie di dinieghi e di irrigidimenti sul proprio controverso programma nucleare, l’Iran ha manifestato ieri una prima apertura, annunciando la disponibilità a valutare un’offerta di compromesso formulata dalla Russia, con l’appoggio degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. La proposta di Mosca prevede che le attività iraniane di arricchimento dell’uranio, invece di essere espletate in patria, siano svolte appunto sul territorio russo e, quindi, inevitabilmente sottoposte a un certo grado di controllo esterno.

 

E’ di almeno 30 morti e decine di dispersi il grave bilancio delle frane che si sono abbattute ieri sera sul villaggio yemenita di al Dhofair, nei pressi della capitale, Sana’a. Lo hanno riferito oggi funzionari locali. La polizia ha circondato la zona e sta cercando sopravvissuti.

 

Sequestrato nello Yemen l’ex sottosegretario agli Esteri dell’ultimo governo tedesco, Juergen Chrobog. Con lui sono stati rapiti anche la moglie e i tre figli. L’uomo, in pensione da qualche settimana dopo una lunga carriera diplomatica, era in vacanza con la famiglia nel Paese asiatico. Secondo l’Agenzia di stampa tedesca, DPA, i cinque sarebbero stati rapiti insieme all’autista yemenita con cui viaggiavano. Il rapimento sarebbe stato messo in atto da esponenti di un clan tribale per ottenere la liberazione di cinque congiunti imprigionati nel carcere di Aden.

 

Nella Repubblica Democratica del Congo, violenti scontri nella regione orientale del Nord Kivu hanno provocato lo sfollamento di circa 11 mila persone. Nella zona è in atto da giorni una vasta offensiva dell’esercito congolese, affiancato da 600 caschi blu dell’ONU, contro i ribelli dell’Alleanza delle Forze Democratiche, che controllano l’area. L’operazione ha causato finora una quarantina di morti, tra i quali alcuni soldati ed un casco blu. Una azione analoga è in corso anche nella vicina regione dell’Ituri.

 

Con una cerimonia ufficiale, oggi è stato celebrato il completamento del ritiro delle truppe indonesiane da Aceh, nel nord dell’isola di Sumatra. Si tratta dell’ultimo tassello dello storico accordo di pace siglato tra il governo indonesiano e i guerriglieri separatisti lo scorso agosto a Helsinki, per porre fine a quasi 30 anni di guerra civile, costata la vita a più di 15 mila civili. I ribelli, che hanno deposto le armi nei giorni scorsi, hanno rinunciato all’indipendenza in cambio dell’istituzione di un governo locale ad Aceh.

 

Rinvio a giudizio e concessione della libertà provvisoria su cauzione: sono i provvedimenti presi ieri dal giudice di Santiago del Cile, Victor Montiglio, nei confronti dell’ex dittatore, Augusto Pinochet, che deve rispondere dei crimini perpetrati con l’Operazione Colombo, durante la dittatura militare. Il magistrato, la cui decisione deve essere confermata dalla Corte d'Appello, ha fissato la cauzione in 24 milioni di pesos, pari a circa 40 milioni di euro.

   

Almeno 5 persone sono morte e oltre un centinaio di abitazioni sono state danneggiate da una serie di incendi che sono divampati in questi giorni in una vasta area negli stati USA di Oklahoma e Texas. Lo riferiscono fonti ospedaliere. I roghi, alimentati dal vento e dalle alte temperature, inconsuete per la stagione, probabilmente si sono sviluppati per l’incendio di depositi della spazzatura, anche se non si esclude l’origine dolosa. Il governatore del Texas, Rick Perry, ha dichiarato lo stato di calamità.

 

Sono false le ricerche dello scienziato sudcoreano, Hwang Woo-suk, sull’estrazione di cellule staminali a partire da un embrione umano ottenuto con la clonazione, presentate quest’anno su “Science”. Lo ha confermato oggi il verdetto definitivo di una commissione d’inchiesta ufficiale. “Hwang e la sua équipe – ha detto la Commissione dell’Università Nazionale di Seul incaricata – non hanno alcun dato scientifico per provare che essi hanno davvero prodotto cellule staminali che corrispondono specificamente al DNA di una persona”.

 

 

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