RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
347 - Testo della trasmissione di martedì 13 dicembre 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Iraq: ucciso
un candidato sunnita alle elezioni del 15 dicembre: con noi mons. Shlemon
Warduni
CHIESA E SOCIETA’:
Messo a morte nel carcere di San Quintino il
detenuto afroamericano Stanley Williams
Da oggi al 15 dicembre a Strasburgo, promosso dal
Consiglio d’Europa, il Forum europeo dei Rom
Nuovi scontri tra israeliani e palestinesi
13 dicembre 2005
E’ UN
APPELLO A LASCIARSI ILLUMINARE DALLA VERITA’, IL PRIMO MESSAGGIO
DI
BENEDETTO XVI PER LA GIORNATA MONDIALE
DELLA PACE: IL PAPA DENUNCIA
LE
MENZOGNE CHE IMPEDISCONO LA PACE: IL TERRORISMO, IL FANATISMO RELIGIOSO, IL
NICHILISMO CHE NEGA L’ESISTENZA DELLA
VERITA’, MA ANCHE L’AUMENTO
PREOCCUPANTE DELLE SPESE MILITARI, LE ARMI ATOMICHE,
LA
VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI E LA POVERTA’ NEL MONDO
“Nella verità, la pace”: questo il titolo del primo
Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace che si celebrerà
il prossimo 1° gennaio. Il documento è stato presentato questa mattina nella
Sala Stampa vaticana. Il Papa ribadisce “la ferma volontà della Santa Sede di
continuare a servire la causa della pace” e
sottolinea che il nome stesso di Benedetto che ha scelto il giorno
dell’elezione alla Cattedra di Pietro
indica il suo “convinto impegno in favore della pace”: si riferisce
infatti sia a San Benedetto, Patrono d’Europa, “ispiratore di una civilizzazione
pacificatrice nell’intero Continente, sia al Papa Benedetto XV, che condannò la
Prima Guerra Mondiale come ‘inutile strage’ e si adoperò perché da tutti
venissero riconosciute le superiori ragioni della pace”. Ma veniamo ai punti
principali del documento. Ce ne parla Sergio Centofanti.
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La verità porta alla pace, la menzogna la impedisce. Il
pensiero del Papa si articola lungo questi due concetti. All’inizio della
storia – afferma - c’è “il padre della
menzogna”, cui è legato il dramma del peccato con i suoi “effetti devastanti
nella vita degli individui e delle nazioni. Basti pensare – scrive Benedetto
XVI – a quanto è successo nel secolo scorso, quando aberranti sistemi
ideologici e politici hanno mistificato in modo programmatico la verità ed
hanno condotto allo sfruttamento ed alla soppressione di un numero impressionante
di uomini e di donne, sterminando addirittura intere famiglie e comunità”. Ci
sono poi le “menzogne del nostro tempo, che fanno da cornice a minacciosi
scenari di morte in non poche regioni del mondo”.
“Al giorno d’oggi – afferma il Pontefice – la verità della
pace continua ad essere compromessa e negata, in modo drammatico, dal
terrorismo”, i cui disegni insensati
sono “ispirati da un nichilismo tragico e sconvolgente”. Ma c’è anche un altro nichilismo: quello di
quanti “negano l’esistenza di qualsiasi verità”. C’è quindi un’altra menzogna
del nostro tempo: il fanatismo religioso, il fondamentalismo che vuole imporre
con la violenza la propria convinzione circa la verità. Questo – leggiamo nel
documento – “significa violare la dignità dell’essere umano e, in definitiva,
fare oltraggio a Dio, di cui egli è immagine”. Il Papa accomuna nichilismo e fondamentalismo perché stravolgono la verità e sono legati “da un
pericoloso disprezzo per l’uomo e per
la sua vita” e quindi “per Dio stesso”. Infatti “il nichilismo ne nega
l’esistenza e la provvidente presenza nella storia; il fondamentalismo ne
sfigura il volto amorevole e misericordioso”.
Ma ci sono altre menzogne: quella “dei governi che contano sulle armi nucleari
per garantire la sicurezza dei loro Paesi”: una “prospettiva – sottolinea il
Papa – che oltre ad essere funesta, è del tutto fallace. In una guerra nucleare
– afferma – non vi sarebbero, infatti, dei vincitori, ma solo delle vittime”.
Bendetto XVI denuncia con forza “un aumento preoccupante delle spese militari”
e un commercio delle armi “sempre prospero”, mentre “ristagna nella palude di
una quasi generale indifferenza” il processo relativo al disarmo. Le risorse
destinate alle armi potrebbero invece essere impiegate “in progetti di
sviluppo” in favore dei Paesi più poveri.
Il Papa parla poi di un’altra menzogna: quella che riduce
la pace “a semplice assenza di conflitti armati”. La pace è invece il risultato
di un ordine voluto da Dio in cui regnano la verità, la giustizia, la libertà e
l’amore. Non si può parlare di pace “quando viene a mancare l'adesione
all'ordine trascendente delle cose, come pure il rispetto di quella “grammatica”
del dialogo che è la legge morale universale, scritta nel cuore dell'uomo,
quando viene ostacolato e impedito lo sviluppo integrale della persona e la
tutela dei suoi diritti fondamentali, quando tanti popoli sono costretti a
subire ingiustizie e disuguaglianze intollerabili”.
Di fronte a tali questioni – scrive il Papa – siamo tutti
coinvolti: “il problema della verità e della menzogna riguarda ogni uomo e ogni
donna, e risulta essere decisivo per un futuro pacifico del nostro pianeta”.
Ognuno di noi “deve sentirsi impegnato” a lavorare “perché non si insinui
nessuna forma di falsità ad inquinare i rapporti. Tutti gli uomini appartengono
ad un'unica e medesima famiglia. L'esaltazione esasperata delle proprie differenze
contrasta con questa verità di fondo. Occorre ricuperare la consapevolezza di
essere accomunati da uno stesso destino, in ultima istanza trascendente, per
poter valorizzare al meglio le proprie differenze storiche e culturali, senza
contrapporsi ma coordinandosi con gli appartenenti alle altre culture. Sono
queste semplici verità a rendere possibile la pace”. “La verità della pace –
scrive ancora Benedetto XVI – chiama tutti a coltivare relazioni feconde e
sincere, stimola a ricercare ed a percorrere le strade del perdono e della riconciliazione,
ad essere trasparenti nelle trattative e fedeli alla parola data”.
Il Papa nota “alcuni promettenti segnali”, come il “calo
numerico dei conflitti armati”. Si tratta tuttavia di passi “ancora assai
timidi … ma già in grado di prospettare un futuro di maggiore serenità … per le
popolazioni martoriate della Palestina, la terra di Gesù … dell’Africa e
dell’Asia”. Senza tuttavia cadere in “un ingenuo ottimismo” perché “purtroppo
proseguono ancora sanguinosi conflitti fratricidi e guerre devastanti che
seminano in vaste zone della terra lacrime e morte”. In queste situazioni –
ribadisce poi il Pontefice – è “dovere” di tutti rispettare “il diritto
internazionale umanitario per limitare al massimo, soprattutto per le
popolazioni civili, le conseguenze devastanti delle guerre”. Il Papa non dimentica “i tanti soldati
impegnati in delicate operazioni di composizione dei conflitti e di ripristino
delle condizioni necessarie alla realizzazione della pace”: “se adempiono rettamente”
al loro dovere “concorrono anch’essi veramente a stabilire la pace”. In questo
senso Benedetto XVI guarda con fiducia all’ONU, di cui auspica “un rinnovamento
istituzionale ed operativo” che lo metta in grado “di rispondere alle mutate
esigenze dell’epoca odierna”.
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La Sala
Stampa della Santa Sede presentava oggi il colpo d’occhio delle grandi occasioni.
Moltissimi i giornalisti delle principali testate internazionali che hanno rivolto
domande al cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio
Consiglio Giustizia e Pace, intervenuto in conferenza stampa insieme al
segretario, il vescovo Giampaolo Crepaldi, e al sottosegretario del dicastero vaticano, mons.
Frank J. Dewane. Il servizio di Alessandro De
Carolis.
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“La
Santa Sede, tramite il Magistero e il ministero di Benedetto XVI, si conferma
come cattedra che insegna la pace”. E’ una delle affermazioni principali del
cardinale Martino in conferenza stampa, nel suo intervento di presentazione del
Messaggio del Papa per la Giornata mondiale del prossimo primo gennaio. Le
domande dei cronisti hanno spaziato sui vari aspetti presi in considerazione
dal Papa nel suo documento. In particolare, l’opposizione al terrorismo ha
spinto a chiedere se sia lecito estorcere confessioni con il ricorso alla
tortura. Ribadendo come in nessun modo Benedetto XVI abbia voluto riferirsi
esplicitamente con il suo Messaggio al caso specifico della prigione USA di
Guantanamo – come ipotizzava una giornalista americana – il presidente di
Giustizia e Pace ha risposto con queste parole:
“La tortura è un’umiliazione della persona umana,
qualunque essa sia. Quindi, la Chiesa non ammette questo mezzo per strappare la
verità”.
Il
binomio guerra-terrorismo ha riproposto in Sala Stampa anche il tema della
“guerra preventiva”. Il cardinale Martino ha obiettato che talvolta questo
mezzo rischia di trasformarsi in una “guerra alle intenzioni”, piuttosto che ai
“fatti”. Al contrario, ha detto il porporato, le iniziative che la comunità
internazionale può adottare sono quelle già sperimentate in sede ONU:
“Sono
aumentate le operazioni dell’ONU per la prevenzione dei conflitti, per il
mantenimento della pace ed anche il sistema delle sanzioni verso Stati che non
si adeguano alle esigenze della pace internazionale, o regionale. Dunque,
vediamo che questi metodi sono riusciti anche a far diminuire il numero dei conflitti
in atto di cui parla Benedetto XVI”.
Altro
tema molto sentito è stato quello della proliferazione delle armi. “C’è una situazione
di stallo nel controllo degli armamenti, sia convenzionali che nucleari”, ha
osservato con schiettezza il cardinale Martino, che si è quindi soffermato sul
ritardo internazionale accusato nell’offerta di aiuto ai Paesi poveri. E’ vero,
ha constatato, che si è passati da un gettito di 50 miliardi di dollari a 80.
Ma la miseria che attanaglia molte aree del mondo chiede di fare ancora di più:
“Se
tutti i Paesi ricchi dessero lo 0,7 per cento ci sarebbero ancora oltre 100 miliardi
di dollari che si aggiungerebbero a quegli 80 che ho citato. Quindi, molti
problemi sarebbero risolti. E’ questo che i Paesi ricchi devono comprendere. Il
servizio, l’aiuto, non deve essere solo a parole, ma fattivo”.
Ai
cronisti che chiedevano della Terra Santa, il cardinale Martino ha assicurato
che la questione della pace in Medio Oriente sta molto a cuore a Benedetto XVI,
notando pure come forse non vi sia, in termini
generali, sufficiente sensibilità al problema nell’opinione pubblica. E
a chi gli chiedeva, infine, come sia possibile il dialogo sulla pace con i non
credenti, che non si riconoscono nella “verità” sottolineata dal Papa nel suo
Messaggio, il porporato ha risposto:
“I non
credenti possono almeno accettare la verità dell’uomo, e cioè che l’uomo ha una
innata dignità che bisogna rispettare”.
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NOMINE
Negli Stati Uniti, il Santo Padre ha accettato la rinuncia
al governo pastorale della diocesi di Marquette presentata da mons. James Henry
Garland, in conformità al canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.
Gli succede il rev. Alexander King Sample, del clero della
medesima diocesi, finora cancelliere vescovile. Il rev. Alexander K. Sample è
nato il 7 novembre 1960 a Kalispell nella diocesi di Helena (Montana). Nel 1996
ha conseguito la Licenza in Diritto Canonico presso la Pontificia Università
San Tommaso d’Aquino (Angelicum) a Roma. È stato ordinato sacerdote il 1°
giugno 1990.
In Spagna, il Pontefice ha nominato ausiliare della
diocesi di Getafe il rev. Rafael Zornoza Boy, del clero della diocesi di
Getafe, rettore del Seminario della medesima circoscrizione, assegnandogli la
sede titolare vescovile di Mentesa. Mons. Rafael Zornoza Boy è nato a Madrid il
31 luglio 1949 ed è stato ordinato sacerdote il 19 marzo 1975 per la diocesi di
Madrid-Alcalá.
SI
SONO APERTI QUESTA MATTINA A ROMA
I
LAVORI DEL SECONDO CONGRESSO MONDIALE
DI
PASTORALE PER GLI STUDENTI ESTERI
- A
cura di Giovanni Peduto -
Con il saluto del presidente del Pontificio Consiglio
della pastorale per i migranti e gli itineranti, il cardinale Stephen Fumio
Hamao, e la prolusione del segretario del Dicastero, l’arcivescovo Agostino
Marchetto, hanno preso il via a Roma questa mattina, presso la Casa
dell’Immacolata, i lavori del II Congresso mondiale di pastorale per gli
studenti esteri, che vedono la partecipazione di una sessantina di
rappresentanti di Conferenze episcopali, istituti religiosi, movimenti e
associazioni di trenta paesi di tutti i continenti. Il fenomeno della mobilità
studentesca si mostra intensificato negli ultimi decenni e a ciò corrisponde il
crescente interesse della Chiesa per
questo specifico settore, ha rilevato il cardinale Fumio Hamao, aggiungendo che
il Magistero ha sottolineato costantemente la funzione che gli studenti
stranieri svolgono per lo sviluppo tecnico e culturale del Terzo Mondo.
Preparare specialisti, e aiutarli a ritornare nei loro Paesi d’origine per
inserirsi in progetti e programmi di sviluppo, rappresenta un grande e moderno segno di solidarietà, ha
affermato il porporato.
L’arcivescovo Marchetto dal canto suo ha quantificato il
fenomeno, rilevando che la mobilità studentesca ha raggiunto i due milioni di
soggetti interessati e tale numero è destinato a quintuplicarsi nei prossimi
venti anni. Nasce da qui l’esigenza di coordinare gli sforzi e fissare le linee
direttrici per una pastorale d’insieme specifica a favore di tale categoria, ed
è questo l’obiettivo dei lavori di questi giorni che si concluderanno con
l’udienza del Santo Padre giovedì pomeriggio.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina – “Nella
verità, la pace”: Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della
Pace che sarà celebrata il primo gennaio 2006.
Servizio vaticano - Una
pagina con le Lettere di Avvento dei Vescovi italiani.
Servizio estero –
L’intervento della Santa Sede, a Zagabria, dal titolo “Assistere le vittime
delle mine antiuomo e porre attenzione al legame tra la lotta a questi subdoli
ordigni ed il più ampio processo di promozione di uno sviluppo umano integrale”.
Un articolo di P.
Antoine Abi Ghanem dal titolo “La Santa Sede e la lotta contro le mine
antiuomo”.
Servizio culturale - Un
articolo di Angelo Mundula dal titolo “Personaggi e temi dell’800 letterario
italiano”: una raccolta di saggi di Giorgio Barberi Squarotti.
Per l’“Osservatore
libri” un articolo di Danilo Veneruso dal titolo “L’aneddotica prevale sulla
documentazione storica”: “La Grande Guerra e la memoria moderna” di Paul
Fussell, edito da Il Mulino.
Servizio italiano - In
primo piano il tema della finanziaria.
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13 dicembre 2005
IRAQ: UCCISO UN CANDIDATO SUNNITA ALLE
ELEZIONI DEL 15 DICEMBRE
- Intervista con mons. Shlemon Warduni -
In Iraq è stato ucciso un candidato sunnita di spicco alle
elezioni legislative di giovedì prossimo, l’economista Mizhir Naji Affat Al
Dulaimi. Mentre resta l’eco del discorso di Bush di ieri. Il servizio di Fausta
Speranza:
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E’ stato colpito a morte il fondatore del Partito Progressista
Iracheno, che era tornato in Iraq
dall’esilio a Parigi dopo la deposizione di Saddam Hussein. Gli hanno sparato
tre persone nel centro di Ramadi.
Dunque, non si ferma il conteggio delle vittime. Ieri, a mille giorni di
guerra, il presidente Bush per la prima volta ha tracciato un bilancio: circa
30 mila morti iracheni, militari, ribelli, terroristi, ma anche civili, uomini,
donne, bambini. E poi ci sono i circa 2.140 morti tra i militari USA. Le cifre
hanno spiccato nel discorso di Bush a
Filadelfia, che peraltro era centrato sui progressi verso la democrazia in Iraq
e sull’equazione libertà = sicurezza. A questo proposito il presidente ha
sottolineato che, anche dopo le elezioni di giovedì, resterà in Iraq quello che ha definito “un certo livello di
violenza”. Il Pentagono fa trapelare barlumi d’ottimismo: l’intensità di
attacchi e attentati potrebbe calare, sia pure di poco. E si lascia intendere
che dopo le elezioni, i generali sul terreno e i vertici dello stato maggiore
potrebbero raccomandare una riduzione del contingente USA superiore a quanto finora previsto, scendendo sotto il
livello standard di 138 mila uomini. Secondo il ‘Times’ di Londra, USA e Regno
Unito potrebbero iniziare il ritiro fin dal marzo prossimo. Con le operazioni
di voto di circa 300 mila militari, detenuti, ammalati negli ospedali, si è
aperta ieri la prima fase delle elezioni per il parlamento. Oggi e domani
votano i residenti all’estero. E giovedì 15 il resto del Paese, circa 15
milioni. Si tratta di scegliere 275 parlamentari, su oltre 7 mila candidati
raccolti in 231 liste. E, secondo un sondaggio commissionato dalla BBC e altri media internazionali tra i quali ABC
News, a guidare la scelta di tanti sarà l’idea di un Iraq unito, retto da un
uomo forte. Questo è quello che emerge
dalle interviste fatte a 1.700 persone.
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Le cifre delle migliaia di vittime del conflitto iracheno rivelate
ieri dal presidente Bush, sono confermate al microfono di Roberto Piermarini,
dal vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni:
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R. – Sono tantissimi i morti, sia nel conflitto, sia per
le autobomba, sia per i kamikaze, sia per le persone sequestrate che poi
vengono uccise. I morti sono stati, purtroppo, tantissimi e nella maggioranza
assoluta, tutti innocenti!
D. – Perché, secondo un sondaggio, solo il 28 per cento
degli iracheni invoca la democrazia, e più del 50 per cento la presenza di un
uomo forte,in Iraq?
R. – Perché prima di tutto la situazione irachena, da
tantissimi anni, è sempre stata guidata da uomini forti. Per questo, la
maggioranza non è abituata a questa libertà. Poi è venuta la libertà, ma come
caos, non come libertà vera, e bisogna educare alla libertà, come abbiamo detto
tante volte! E a causa di questo caos, non c’è sicurezza. Speriamo che venga in
questi giorni, in cui ci sono le elezioni. Noi preghiamo per il successo di queste
elezioni, sperando che si possa veramente arrivare ad un certo tipo di
soluzione per la pace e la sicurezza nel Paese.
D. – Mons. Warduni, la Chiesa che cosa si aspetta da
questo voto di giovedì?
R. – Prima di tutto preghiamo perché il Signore metta la
pace nei cuori e vengano elette persone che guidino il Paese verso l’unità,
verso la pace, verso la concordia e tutti potranno cooperare insieme per costruire
questo Paese che da tanto tempo è sotto il peso della guerra e del terrorismo.
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APERTO A HONG KONG IL VERTICE
DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO: SI CERCA L’ACCORDO SULL’AGRICOLTURA
- Intervista con Sergio Marelli -
Al via questa mattina a Hong Kong il vertice dell’OMC,
l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Il raggiungimento di un accordo
sull’agricoltura tra i 149 membri dell’organizzazione rimane il principale
obiettivo del summit che si chiude domenica. Dopo il fallimento della
conferenza di Cancun nel 2003, si teme tuttavia una nuova rottura tra Unione
Europea, Stati Uniti e Paesi emergenti. A rischio il raggiungimento degli obiettivi
del programma lanciato a Doha nel 2001 per le liberalizzazioni in agricoltura,
industria e servizi. Il servizio di Riccardo Cascioli:
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Il clima generale – diciamolo subito – non induce
all’ottimismo, dopo il fallimento del Vertice di Cancun, due anni fa, e dopo
che i negoziati che hanno preceduto l’appuntamento di Hong Kong non hanno dato
grandi frutti. Il problema centrale è quello della liberalizzazione dei
commerci con l’abbattimento delle tariffe doganali, soprattutto per quel che riguarda
i prodotti agricoli. La vulgata ufficiale vuole che la divisione sia tra Paesi
ricchi e Paesi poveri, con i primi che non vogliono tagliare le loro tariffe doganali
se non faranno altrettanto i secondi, e questi che non vogliono fare
concessioni per paura di essere spazzati via dai Paesi sviluppati. In realtà,
le cose non sono così semplici: intanto, Stati Uniti ed Europa non stanno
affatto dalla stessa parte. Washington, infatti, è molto più disponibile ad
abbassare le proprie tariffe che, peraltro, sono già le più basse al mondo, in
media del 9 per cento, mentre l’Unione Europea sotto la spinta di una crescente
perdita di competitività, non intende assolutamente far calare il muro del 20
per cento. Ma anche tra i Paesi in via di sviluppo la situazione è più
complicata, soprattutto perché le altissime barriere doganali, con cui pensano
di proteggersi, impediscono di far decollare le loro stesse economie. Per dare
un’idea, in India le tariffe doganali raggiungono il 101 per cento, in
Venezuela il 67 per cento, nelle Filippine il 47 per cento. E un ulteriore
fallimento di un Vertice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio sarebbe
soprattutto ai danni proprio dei Paesi in via di sviluppo, perché senza accordo
e senza regole – si sa – vige la legge del più forte.
Per la Radio Vaticana, Riccardo Cascioli.
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Hong
Kong si è riunito anche il movimento no-global. Questa mattina un migliaio di
attivisti, con in testa l’organizzazione di contadini sud coreani, hanno sfilato in una città blindata,
chiedendo la sospensione delle misure di liberalizzazione promosse dall’OMC. Un
corteo apparentemente pacifico, nonostante i timori della vigilia e segnato
solo da alcune scontri tra un gruppo di militanti e le forze di
polizia. Ma quali sono i principali motivi delle contestazioni? Andrea Cocco lo
ha chiesto a Sergio Marelli, presidente delle organizzazioni non governative
italiane e della FOCSIV, Federazione di organismi cristiani per il volontariato:
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R. – Penso che il punto più in questione sia quello di
ricondurre le regole e le norme del commercio internazionale dentro la grande
finalità della giustizia. Il commercio è uno strumento, è una politica che ha
un’influenza decisiva sulla possibilità di sviluppo dei Paesi del Sud del
mondo, e quindi anche sulle possibilità delle loro popolazioni di avere una
vita più dignitosa. Ora, ricondurre le regole commerciali all’instaurare una
maggiore giustizia sociale, è il punto fondamentale condiviso da cattolici,
cristiani, credenti e non credenti e penso sia il grande slogan che ha uniformato
e unito tutti i manifestanti, anche in occasione di questo Vertice di Hong
Kong.
D. – Quali vantaggi possono derivare, per i Paesi meno
sviluppati, da un accordo sull’agricoltura a livello dell’Organizzazione
Mondiale del Commercio?
R. – Bisogna innanzitutto ricordare che per la maggior
parte di questi Paesi, l’agricoltura è l’80-90 per cento del loro prodotto
interno lordo, quindi è una questione di vitale importanza per miliardi di
persone. Ora, consentire ai Paesi del Sud del mondo di esportare verso i Paesi
ricchi senza essere sottoposti a clausole, a dazi, a barriere non doganali i loro
prodotti, diventa una questione – appunto – di giustizia. Non si può, da un
lato, predicare il libero commercio e il libero scambio, e dall’altra parte
adottare – pur di preservare i privilegi di pochi Paesi ricchi – un regime che
si può definire assolutamente protezionistico.
D. – Le organizzazioni contadine del Sud del mondo parlano
sempre di più di sovranità alimentare …
R. – E’ un diritto sancito anche dall’ultimo vertice
mondiale della FAO, quello sull’alimentazione, un diritto che oltre a dover
garantire un cibo in quantità e qualità sufficiente, deve anche dare la
possibilità ad ogni Paese, quindi ad ogni popolazione, di produrlo secondo i
loro costumi, confacente alla loro cultura, senza imposizioni di tipo soprattutto
economico da parte delle grandi multinazionali, che costringono molti di questi
produttori a convertire le loro produzioni per prodotti che poi servono
all’esportazione verso i Paesi ricchi. La sovranità alimentare è un diritto
fondamentale al quale quindi devono essere indirizzati i negoziati di Hong
Kong.
D. – Alla vigilia del Vertice si è parlato della
possibilità di un nuovo scacco, dopo il fallimento di Cancun. Soprattutto per i
Paesi in via di sviluppo, quali potrebbero essere le conseguenze di un
ulteriore fallimento dell’OMC?
R. – La preoccupazione è molto alta, perché in gioco c’è
ben di più che le regole commerciali. Io penso a quello che c’è in gioco a Hong
Kong e la possibilità di trovare degli accordi in un ambito multilaterale.
Detto in parole più semplici, la possibilità di regolare le grandi
problematiche dell’ingiustizia a livello mondiale dentro un ambito dove tutti i
Paesi possano dire la loro dentro decisioni che seguono un percorso democratico
e dove il denaro conta, ma conta alla pari o forse un po’ meno del diritto
degli uomini ad avere una vita dignitosa.
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SI
CHIUDE OGGI A BILBAO, IN SPAGNA,
IL
CONGRESSO SUL DIALOGO TRA CULTURE E RELIGIONI
-
Intervista con Gaspar Martinez -
Si
chiude questa sera a Bilbao, in Spagna, il Congresso internazionale sul dialogo
tra culture e religioni. Promosso dal movimento internazionale Pax Romana
l’incontro ha visto la partecipazione di rappresentanti del mondo cristiano,
delle religioni ebraica, islamica, induista, buddista e di altre confessioni.
Tra i temi trattati la globalizzazione, le migrazioni e le nuove sfide poste
dalle società multiculturali. Andrea Cocco ha
parlato con Gaspar Martinez, segretario generale della diocesi di Bilbao
e membro del comitato di esperti della Conferenza.
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R. – CONCEPTUALMENTE, LO QUE SE QUIERE DECIR …
Non possiamo avere una società fatta semplicemente di una
molteplicità di culture o religioni, ciascuna delle quali rinchiusa nel proprio
ghetto. E’ quella che viene definita una società multi-culturale o multi-religiosa. Ma è necessario passare dal
ghetto ad una società di relazioni, passare dalla multi-culturalità alla
inter-culturalità e dalla multi alla inter-religiosità. Ciò non vuol dire che
si debba abbandonare la propria cultura o la propria confessione religiosa. Al
contrario i valori trascendenti della religione sono fondamentali, perché ci
aprono all’Assoluto. Questo Assoluto trascendente ci aiuta a superare i nostri
egoismi, le nostre limitazioni, perché solo quelli che conoscono l’Assoluto,
che è Dio, hanno la capacità di tendere la mano per cercare di conoscere
l’altro, il prossimo, lo sconosciuto.
D. -
Quali sono oggi le principali difficoltà alla costruzione di un dialogo tra
culture e tra religioni?
R. –
UNO DE LOS RASGOS …
Uno
degli aspetti che più rischiano di far fallire il dialogo è che tutti dicano di
essere pronti al dialogo. Spesso il dialogo è puramente formale, mentre il
dialogo autentico tra religioni e culture comincia solo quando ognuno si mette
in discussione nel bene e nel male. Identificare e discutere le caratteristiche
di ognuno, le carenze, i limiti e i pregiudizi. Quando cominciamo un dialogo
serio si riaprono le fratture. E quali sono le cose che ci separano?
Innumerevoli.
D. -
Quali sfide apre, per il futuro, il congresso di Bilbao?
R. – NOSOTROS, LOS QUE …
Noi, le
persone presenti alla conferenza di Bilbao, siamo solo una goccia, ma grazie a Dio oggi c’è un mare di dialogo. Ce
ne siamo resi conto anche quando Giovanni Paolo II, disse che nel dialogo oggi
dobbiamo riconoscere un segno dell’evangelizzazione. Credo che sempre di più il
dialogo stia diventando un valore per tutta l’umanità.
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13
dicembre 2005
A NULLA È VALSO ANCHE L’ULTIMO
APPELLO IN EXTREMIS DEI SUOI AVVOCATI:
È STATO MESSO A MORTE COME PREVISTO SUBITO DOPO LA
MEZZANOTTE,
ORA DELLA CALIFORNIA, STANLEY WILLIAMS, CONDANNATO
NEL 1981
ALLA PENA CAPITALE PER L’UCCISIONE
NEL 1979 A LOS ANGELES DI QUATTRO PERSONE, DURANTE
DUE RAPINE
- Servizio di Roberta Gisotti -
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LOS ANGELES. = L’ultimo ‘no’ è arrivato nella notte
dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, subito dopo il parere negativo del
Governatore della California, Arnold Schwarzenegger, che è stato incerto fino a
poche ore prima dall’appuntamento con il boia per il detenuto afroamericano
Stanley Williams, 51 anni, da 25 nel braccio della morte nel carcere di San
Quentin. Ex leader della banda criminale dei Crips, Williams, era divenuto un
‘simbolo’ della possibile rinascita dietro le sbarre ad una vita migliore,
dedicandosi alla letteratura per i ragazzi, divenuto un noto scrittore, candidato
perfino più di una volta al Premio Nobel per la pace. E la sua storia di
redenzione era stata anche raccontata in uno sceneggiato televisivo. Innumerevoli
gli appelli per la sua grazia, negli Stati Uniti e nel mondo, firmati da
autorità e persone comuni. Tra i rilievi del governatore Schwarzenegger,
l’assenza di scuse da parte di Williams per i crimini commessi. Williams si è
sempre rifiutato di chiedere perdono alla famiglie delle vittime proclamandosi
innocente. E ci sono voluti 22 minuti, perché il siero dell'iniezione letale,
spegnesse per sempre la vita di Williams. “Un omicidio a sangue freddo” di un uomo che aveva “ripudiato completamente
il suo passato violento”, ha commentato “Amnesty International”, sottolineando
che l’esecuzione di Williams appare “uno schiaffo al principio della
riabilitazione dei detenuti, un atto inumano e inclemente verso una persona
che, con il suo comportamento esemplare e la sua attività in favore dei ragazzi
di strada, era diventata una figura … di speranza per moltissimi giovani”. “E'
finita ma non finisce qui'', ha detto il reverendo Jesse Jackson, sostenitore
della causa di Williams, riferendosi alla sua lotta contro la violenza
giovanile. Alla notizia della morte di Williams, l’organizzazione “Nessuno
tocchi Caino” ha dichiarato: “è una giustizia elementare, primordiale, banale;
è una giustizia senza pietà, senza grazia e senza speranza. Una giustizia che
non abbia in sé il dono della grazia non è una giustizia forte, è una giustizia
debole, monca, incompleta”. La grazia per Williams era stata fortemente
perorata anche dai vescovi della California e stamane il cardinale Renato
Martino, presidente del Pontificio Consiglio per la giustizia e la pace, ha
ribadito che la vita umana deve essere
sempre difesa anche se la persona ha ucciso a sua volta.
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DA OGGI AL 15 DICEMBRE A STRASBURGO, PROMOSSO DAL
CONSIGLIO D’EUROPA,
FORUM EUROPEO DEI ROM, CIRCA 12 MILIONI NEL
CONTINENTE.
SCOPO DELL’INIZIATIVA E’ DI DIBATTERE SUI DIVERSI
OSTACOLI
PER UNA PIENA INTEGRAZIONE DEI NOMADI
STRASBURGO. = Promosso dal
Consiglio d’Europa, si aprirà oggi pomeriggio a Strasburgo, in Francia, il
Forum europeo dei Rom, circa 12 milioni residenti nei diversi Paesi nel
continente. Si tratta di un’importante tappa nel processo d’integrazione dei
Rom, molti dei quali vivono in condizioni di estrema povertà, con
un’aspettativa di vita 15 anni inferiore alla media europea e con il più alto
tasso di mortalità infantile d’Europa. Ad aprire l’assise saranno il segretario
generale del Consiglio d’Europa, Terry Davis, e l’ambasciatore romeno Gheorghe
Magheru. Scopo sotteso del Forum è di dibattere sui “diversi ostacoli”, che si
frappongono ad una piena integrazione dei nomadi nel vecchio continente. La
riunione durerà fino a giovedì prossimo 15 dicembre e prevede la partecipazione
di rappresentanti Rom che sono giunti nei giorni scorsi nella città alsaziana
da 42 Stati membri del Consiglio d’Europa. L’iniziativa è organizzata di
concerto con Ertf, “la più vasta organizzazione europea e l’unica istituzione
internazionale Rom che riunisce organizzazioni dei nomadi di livello
internazionale e nazionale, leader delle comunità, rappresentanti di
organizzazioni non governative e organi consultivi”. Alla tre giorni di
dibattiti hanno assicurato la presenza anche Josep Borrell, presidente del
Parlamento europeo, e José Manuel Barroso, presidente della Commissione Ue.
Sulle discriminazioni di cui sono oggetto le popolazioni nomadi nei diversi
Paesi si è pronunciata a fine novembre anche l’Agenzia europea per la lotta
contro la xenofobia e il razzismo. (R.G.)
TRA LE MAGGIORI PREOCCUPAZIONI DELLA CHIESA IN
SUDAN C’E’ L’ASSISTENZA
AL GRAN NUMERO DI BAMBINI ORFANI, A CAUSA
DELL’ANNOSA GUERRA
CHE HA SCONVOLTO IL PAESE AFRICANO, DISTRUGGENDO
L’UNITA’
DELLE FAMIGLIE E MINANDO LA MORALITA’ DELLE
PERSONE
KHARTOUM. = Una delle
preoccupazioni più grandi della Chiesa sudanese è il gran numero di bambini orfani
a causa della guerra”, costretti a vivere "una situazione molto
precaria". Lo afferma il cardinale Gabriel Zubeir Wako, arcivescovo di
Khartoum e presidente della Conferenza episcopale del Sudan. Secondo l'agenzia vaticana Fides, per l'arcivescovo,
anche i bambini che avendo perduto solo il padre "vivono con la madre, si
trovano in difficoltà perché purtroppo le donne sono una delle categorie più
svantaggiate nella società sudanese”. “Per questo motivo - sottolinea il
porporato - stiamo incrementando i programmi di aiuto all’infanzia, soprattutto
nel campo sanitario e dell’istruzione. Nella sola Khartoum la Chiesa gestisce
scuole per 40 mila bambini". “Durante i lunghi anni di guerra - ricorda il
cardinale Wako - la Chiesa cattolica è stata l’unica fonte di speranza per milioni
di persone. Queste persone sono state sottoposte a forti pressioni per
convertirsi all’Islam, ma a parte alcuni casi la maggior parte dei cristiani
continua a perseverare nella fede". Un'ulteriore emergenza per la Chiesa è
rappresentata dalla famiglia: tra i rifugiati nelle città del Nord "si
sono diffuse la poligamia, l’adulterio e il divorzio"; conseguenze -
precisa l’arcivescovo di Khartoum - "della guerra che distrugge le persone
anche moralmente". Per aiutare "chi vive ancora nell’animo le ferite
della guerra - conclude - abbiamo chiamato degli esperti", che hanno anche
il compito di "formare i nostri educatori, sacerdoti, religiosi, religiose
e laici" (R.G.)
SI DICE PENTITO UNO DEI DUE
ASSASSINI DI SUOR DOROTHY STANG,
LA MISSIONARIA CHE LAVORAVA A FIANCO DELLE POPOLAZIONI DELL’AMAZZONIA
BELÉM. = “Sono molto pentito. Ho fatto una cosa che non
avrei mai dovuto fare. Mi assumo le responsabilità per il mio errore e spero di
pagare per quello che ho commesso”: così Rayfran das Neves ha cercato di
scusarsi per l’uccisione di suor Dorothy Stang dopo essere stato condannato,
sabato scorso, a 27 anni di prigione per l’omicidio della religiosa 74enne,
assassinata il 12 febbraio scorso ad Anapu, località a circa 700 chilometri da Belem,
capitale dello stato amazzonico del Parà, nel nord del Paese. Lo riferisce
l’Agenzia MISNA. Alle dichiarazioni di das Neves, trovato colpevole dal
tribunale come il suo complice Clodoaldo Batista, condannato a 17 anni di
reclusione, hanno fatto eco quelle del fratello della suora, David Stang, che
ha voluto essere presente alla lettura del verdetto: “Mia sorella ha ottenuto
giustizia. Ora mancano all’appello i mandanti” ha dichiarato l’uomo, facendo
riferimento ai tre ‘fazendeiros’ Vitalmiro Bastos de Moura, Amair Feijoli da
Cunha e Regivaldo Pereira, destinati a essere giudicati l’anno prossimo. Suor
Dorothy, nordamericana naturalizzata brasiliana, aveva ricevuto minacce di morte
da parte dei latifondisti della
regione da quando, nel 1997, aveva iniziato
un’opera di sostegno ai lavoratori rurali che includeva progetti mirati alla
preservazione dell’Amazzonia, chiamati Progetti di sviluppo sostenibile. Le
terre in cui la missionaria lavorava sono oggetto di disputa da parte dei lavoratori
del legno e dei latifondisti del Parà.
MESSAGGIO DEI VESCOVI DEL MADAGASCAR ALLA NAZIONE, AFFLITTA DA GRAVI
PROBLEMI
SOCIALI: CRISI ECONOMICA, CORRUZIONE, DELINQUENZA. L’INVITO
DEI VESCOVI
AI CRISTIANI A TESTIMONIARE IL VANGELO E AI GOVERNANTI
DI SERVIRE
IL BENE COMUNE
ANTANANARIVO. = Con un “Messaggio alla Nazione”
si è conclusa la recente Assemblea plenaria dei vescovi del Madagascar. Il
documento, oltre a toccare le attuali necessità della Chiesa nell’isola
dell’Oceano indiano, si sofferma sui problemi sociali del Paese, al largo della
costa sudorientale dell’Africa. In particolare i presuli malgasci riassumono
quelli che essi chiamano i sette ‘peccati capitali’, che incancreniscono la
vita nazionale. In particolare indicano la caduta del potere d’acquisto della
moneta malgascia, la fame, la corruzione, il nepotismo, il banditismo e la
violenza, la mancanza di assistenza, incendi e vandalismi. In questo panorama
il cristiano è chiamato a “vivere la fede secondo la Parola di Dio”, scrivono i
vescovi del Madagascar. Le autorità, dal loro canto, “debbono ascoltare la voce
della propria coscienza, favorire l’interesse comune nel rispetto della giustizia
e del diritto”. (R.G.)
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13 dicembre 2005
- A cura
di Fausta Speranza -
Un palestinese è stato ucciso
dal fuoco di militari israeliani ad Abbassan, a sud di Gaza, a breve distanza
dalla linea di demarcazione fra la Striscia ed il territorio israeliano. E un
altro palestinese giovane è morto a Nablus (Cisgiordania) negli scontri armati
fra un reparto dell'esercito israeliano impegnato nella cattura di ricercati e
miliziani della intifada. Due soldati israeliani e due palestinesi erano stati
feriti all'alba nella stessa operazione. C'è poi l'annuncio che non sarà
attivato per il momento il corridoio terrestre fra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania.
A dirlo è il capo di stato maggiore di Israele, generale Dan Halutz, alla
commissione parlamentare per gli Affari esteri e la Difesa. Il mese scorso,
durante una spola diplomatica del segretario di Stato Condoleeza Rice, erano
state concordate la riapertura del valico di Rafah fra Gaza ed Egitto (che è
avvenuta, grazie alla dislocazione di osservatori europei) e la organizzazione
di regolari convogli di autobus fra Gaza e la Cisgiordania a partire dalla metà
di dicembre.
La Siria finisce sotto accusa dopo l’assassinio di Gibran
Tueni, il parlamentare e giornalista libanese, ucciso ieri dopo aver a lungo
denunciato l’ingerenza di Damasco in Libano. “L’uccisione di Tueni è opera dei
servizi segreti siriani” titolava questa mattina il quotidiano locale Al Mustaqbal.
Ma il Paese rimane diviso. Cinque ministri filo siriani del governo di Beirut
si sono sospesi dal loro incarico dopo che il premier del Fuad Siniora ha richiesto
all’ONU la creazione di un Tribunale internazionale sugli attentati che hanno
scosso il Paese. Intanto continuano le indagini sull’assassinio dell’ex premier
Rafik Hariri avvenuto lo scorso 14 febbraio. La commissione d’inchiesta ONU ha
consegnato ieri il rapporto conclusivo al Consiglio di sicurezza, sottolineando
la mancanza di collaborazione della Siria alle indagini. Lo ha dichiarato
all'Ansa a Damasco il capo della radio-televisione di stato siriana, Fayez
Saeigh. Saeigh, le cui opinioni riflettono solitamente quelle del governo
siriano, ha affermato che Damasco “si aspettava” che il nuovo rapporto,
presentato ieri al Consiglio di sicurezza, “avrebbe parlato di una mancata
cooperazione siriana sin dai primi giorni successivi all'approvazione della
risoluzione 1636”, con cui l'ONU ha ingiunto in ottobre alla Siria di
collaborare “pienamente” alle indagini condotte da Mehlis, pena “ulteriori azioni”.
Il Collegio dei commissari
europei ha approvato oggi la procedura di infrazione contro l'Italia sulla
vicenda delle Opa bancarie. E l'Italia avrà due mesi per rispondere alle
richieste di chiarimenti di Bruxelles. La Commissione europea intende far luce
così sulle procedure di applicazione delle istruzioni di vigilanza della Banca
d'Italia, cioè quei criteri fissati dall'Istituto centrale per valutare la
stabilità del sistema finanziario. Si tratta di capire se le procedure di
applicazione sono in linea con i principi del Trattato, che nel campo della
libera circolazione dei capitali (articolo 56 del Trattato) riguardano la trasparenza,
la certezza giuridica, la proporzionalità e la non discriminazione.
Il cancelliere tedesco Angela
Merkel (Cdu) si recherà in visita a Washington nel prossimo gennaio.
Confermando notizie già trapelate nei giorni scorsi, l'ufficio stampa della Cancelleria
afferma che "il viaggio comincerà probabilmente il 12 e si concluderà il
14 gennaio". Nel corso della visita la Merkel sarà ricevuta per la prima
volta alla Casa Bianca dal presidente americano George Bush, anche se nella
nota dell'ufficio stampa della Cancelleria non si fa stranamente alcun cenno a
tale incontro né alla sua data precisa. Con ogni probabilità l'incontro tra
Merkel e Bush avverrà il 13 gennaio.
Domani elezioni generali in
Tanzania: presidenziali, politiche e locali. Il Chama Cha Mapinduzi (Partito
della Rivoluzione in swahili, che è la lingua ufficiale) sembra proprio avviato
ad una tranquilla vittoria: del resto è al potere da sempre, oltre 40 anni.
L'opposizione dovrebbe compiere qualche deciso passo in avanti, almeno rispetto
ai 37 seggi sui 324 in palio che raggranellò nel voto del 2000. Alcuni
osservatori ritengono anche che possa imporsi in qualche municipalità locale, e
non delle minori. Iscritti alle liste elettorali circa 16 dei 34 milioni di
abitanti. Presidente, tranne colpi di scena, sarà il candidato del Chama Cha,
Jekaya Kikwete, 55 anni, attuale ministro degli Esteri, ex militare di
carriera: ha diretto anche i Servizi segreti. E' musulmano, ma ha ricevuto
parte della sua educazione in una scuola di missionari cattolici. Succede a
Benjamin Mpaka, che lascia dopo due mandati presidenziali quinquennali, così
come prevede la Costituzione. In diversi casi in Africa i presidenti in
scadenza hanno cambiato le regole per restare al potere: è appena avvenuto, ad
esempio, in Uganda. Mpaka non lo ha fatto, creando una piacevole sorpresa, ma
forse anche perché ha seri problemi cardiaci.
Il prezzo del petrolio si
mantiene sopra i 61 dollari nelle contrattazioni after hours sul mercato di New
York. Il greggio era salito sopra la soglia dei 61 dollari al barile nella
serata di ieri dopo l'annuncio dell'Opec di un possibile taglio della
produzione all'inizio del prossimo anno. Pur avendo mantenuto le quote di
output per il momento invariate, il cartello non ha infatti nascosto nel vertice
di ieri a Kuwait City che, se nel secondo trimestre del 2006 la domanda di
petrolio dovesse diminuire, Paesi produttori non esiterebbero a ridurre
l'estrazione di greggio.
Sydney è esplosa in una seconda
notte di scontri razziali lungo la cintura delle celebri spiagge del surf, a
sud-est della metropoli, con altri 7 feriti e 11 arresti, e decine di auto
colpite da spranghe di ferro e mazze da baseball. Sui due fronti opposti, da
una parte surfisti e bagnanti decisi a difendere il loro 'territorio', e
dall'altra, gruppi di giovani di origine mediorientale che ogni weekend
arrivano dai sobborghi ovest causando spesso problemi ai locali. La battaglia
per il lungo tratto di spiaggia, culla delle tribù del surf, era cominciata
domenica mattina quando circa 5000 giovani locali si erano raccolti sulla
spiaggia di Cronulla per 'proteggerla' dal numero crescente di visitatori, dopo
un attacco a due bagnini volontari la domenica prima. Poi gli scontri nella
notte con 20 feriti. Ieri sera di nuovo bande di giovani provenienti dai
quartieri ovest sono discese a est attaccando a caso passanti e negozi, e
danneggiando decine di auto. La polizie oggi ha stabilito un'unità di comando
operante 24 ore.
L’Organizzazione mondiale della
Sanità (OMS) ha confermato il nono decesso in Indonesia causato dall’influenza
aviaria. La vittima è un uomo di 35 anni ricoverato in un ospedale di Giakarta
lo scordo 9 novembre. Fino ad oggi, ha confermato l’Oms, l’influenza dei
volatili ha fatto 71 vittime, tutte in Asia. Intanto il virus continua a
colpire i polli alle porte d’Europa. Nelle regioni della Crimea, in Ucraina, è
stata ordinata l’uccisione di tutti i volatili da cortile dopo che il virus era
stato rilevato per la prima volta a inizi dicembre. Le autorità ucraine hanno
però confermato che nessun caso di contagio è stato rilevato tra gli esseri
umani.
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