RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 341 - Testo della trasmissione di mercoledì 7 dicembre 2005

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Chi guida le Nazioni si schieri in difesa dei poveri e dei deboli: l’esortazione di Benedetto XVI all’udienza generale in Piazza San Pietro. Il Papa ha ribadito ancora l’importanza dello sport nell’educazione dei giovani

 

Domani mattina, nella Solennità dell'Immacolata Concezione, Benedetto XVI presiederà nella Basilica Vaticana la Santa Messa in occasione del 40º anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II. Ne parliamo con il cardinale Roberto Tucci

 

Per domani il Papa ha concesso il dono dell’Indulgenza plenaria: ai nostri microfoni, padre  Ermanno Toniolo

 

In corso a Roma un Simposio a 40 anni dalla promulgazione del decreto conciliare “Presbyterorum Ordinis”: intervista con mons. Rino Fisichella

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Oggi, nella memoria liturgica di Sant’Ambrogio, il cardinale Dionigi Tettamanzi ha presieduto la Messa solenne nel Duomo di Milano

 

I presepi artigianali italiani in mostra per la prima volta a Mosca: ce ne parla Larissa Anisimova

 

CHIESA E SOCIETA’:

Si è svolta ad Amman, in Giordania, la  15.ma Assemblea dei sette patriarchi cattolici orientali  

 

Ordinati a Bassora, in Iraq, 10 nuovi diaconi

 

Visita pastorale del nunzio apostolico, mons. Salvatore Pennacchio, in Cambogia, nel 450.mo anniversario della presenza della Chiesa nel piccolo Paese asiatico

 

Al via, domani ad Ariccia, il Convegno missionario internazionale della famiglia orionina

 

La Chiesa del Laos in festa: per la prima volta, dopo 30 anni, domani verrà ordinato un nuovo sacerdote

 

Pubblicata, nello Stato indiano del Kerala, la nuova rivista cattolica “La voce della vita”: sarà la voce dei senza voce

 

24 ORE NEL MONDO:

In Iraq, Saddam Hussein non si presenta in aula per la quinta udienza del processo. Nuovo video di Al Qaeda: Osama Bin Laden è vivo

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

7 dicembre 2005

 

CHI GUIDA LE NAZIONI SI SCHIERI IN DIFESA DEI POVERI E DEI DEBOLI:

L’ESORTAZIONE DI BENEDETTO XVI ALL’UDIENZA GENERALE IN PIAZZA SAN PIETRO.

IL PAPA HA RIBADITO ANCORA L’IMPORTANZA DELLO SPORT

NELL’EDUCAZIONE DEI GIOVANI

 

L’opzione dei poveri, oggi come ieri, è un dovere per chi governa uno Stato. E’ questo uno dei passaggi-chiave della catechesi di Benedetto XVI all’udienza generale di oggi. Circa 20 mila persone vi hanno assistito in Piazza San Pietro, sotto un sole luminoso che ha finalmente concesso una tregua al maltempo dei giorni scorsi. Al momento dei saluti, il Papa ha parlato anche della vocazione al sacerdozio e dei valori dello sport. La cronaca dell’udienza nel servizio di Alessandro De Carolis. 

 

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Dio sceglie di schierarsi con i poveri e gli ultimi della terra, chi governa le nazioni faccia altrettanto.  Dalle strofe del Salmo 137, Benedetto XVI ricava un monito che rivolge ai responsabili della cosa pubblica di oggi, così come secoli fa il Salmista aveva fatto con i re e i potenti del suo tempo. E di questo componimento sacro,che fa parte della Liturgia dei Vespri,il Papa mette in risalto anche la misericordia e la bontà che ispirano i sentimenti del Creatore verso l’uomo. Concetti comuni ad altri Salmi di “lode e di ringraziamento” come il 137, sui quali però Benedetto XVI ritorna con insistenza. Dio, afferma, “spazza via le esitazioni e le paure” dell’umanità, “fa fiorire fortezza e fiducia”. Ma soprattutto ravviva lo spirito degli umili e rianima il cuore degli oppressi:

 

“Dio fa, dunque, la scelta di schierarsi in difesa dei deboli, delle vittime, degli ultimi: questo è reso noto a tutti i re, perché sappiano quale debba essere la loro opzione nel governo delle nazioni”

 

Il Papa definisce quella del Salmista “una chiamata in causa a raggio mondiale dei responsabili delle nazioni”, specificando a braccio: “Non solo di quel tempo, ma di tutti i tempi”. In Benedetto XVI, è continua l’esigenza di mostrare ai cristiani di oggi l’estrema attualità di parole scritte prima ancora della venuta di Cristo. Parlando della fiducia professata e riposta dal Salmista in Dio, il Pontefice esorta ancora spontaneamente: “In questa certezza della bontà di Dio viviamo anche noi”:

 

“Dobbiamo essere certi che, per quanto siano pesanti e tempestose le prove che ci attendono, noi non saremo mai abbandonati a noi stessi, non cadremo mai fuori delle mani del Signore, quelle mani che ci hanno creato e che ora ci seguono nell’itinerario della vita. Come confesserà san Paolo, 'Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento'”.

 

E al termine del discorso ufficiale, Benedetto XVI ha ribadito una volta di più che l’onnipotenza di Dio è una forza esclusivamente di amore:

 

“Questo è l’ultimo motivo della nostra fiducia: che Dio ha la potenza della misericordia e usa la sua potenza per la misericordia”.

 

Alla vigilia della Solennità dell’Immacolata Concezione, giorno in cui il Papa celebrerà anche i 40 anni dalla fine del Vaticano II, Benedetto XVI ha preso spunto da uno dei decreti conciliari, in questo caso la Presbyterorum ordinis, per parlare del sacerdozio. Ai convegnisti che partecipano in questi giorni ad un simposio sul decreto conciliare, il Pontefice ha detto di ritenere la Presbyterorum ordinis una “tappa di fondamentale importanza nella vita della Chiesa per quanto concerne la riflessione sulla natura e sulle caratteristiche del sacerdozio ministeriale”. A immagine di Cristo “e al suo servizio - ha aggiunto -  i sacerdoti devono donare la loro vita per la gloria di Dio e la salvezza delle anime”.

        

Tra gli altri, da rilevare anche il saluto alle rappresentanti dell’Accademia dei Merletti di Cantù, che ha permesso al Papa di rivolgere un pensiero di particolare sensibilità alle detenute che, ha osservato, “hanno confezionato manufatti liturgici”. Guardando poi ai giovani, il Pontefice ha espresso un pubblico apprezzamento al gruppo dei Cavalieri di Sobieski: un segno, ha commentato, dello “zelo apostolico che il compianto mons. Luigi Giussani ha trasmesso nell’educazione della gioventù”. Ma anche lo sport - ha proseguito il Papa salutando gli arbitri di calcio delle sezioni di Bolzano e Firenze - assolve a questa funzione:

 

 Carissimi, la vostra presenza mi offre l’opportunità per porre in luce, ancora una volta, il valore dello sport, che se ben praticato può diventare veicolo privilegiato di un impareggiabile messaggio di speranza, promuovendo la cultura del rispetto, della lealtà e della serena convivenza”.

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DOMANI, SOLENNITA’ DELL’IMMACOLATA, IL PAPA PRESIEDE

NELLA BASILICA VATICANA LA MESSA NEL 40° DELLA CONCLUSIONE

DEL CONCILIO VATICANO II

- Intervista con il cardinale Roberto Tucci -

 

Domani 8 dicembre, nella Solennità dell'Immacolata Concezione della Vergine Maria,  Benedetto XVI presiederà nella Basilica Vaticana a partire dalle 9.30 la Santa Messa  in occasione del 40º anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II. La nostra emittente trasmetterà la cronaca dell’evento con commenti in italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo e portoghese. Dunque 40 anni fa Paolo VI celebrava la Messa di chiusura dell’assise ecumenica, la 21° della storia della Chiesa cattolica, inaugurata da Giovanni XXIII l’11 ottobre del 1962.  Ha partecipato ai lavori del Concilio in qualità di teologo il cardinale Roberto Tucci. Giovanni Peduto lo ha intervistato chiedendogli anzitutto quale immagine gli rimane più impressa di quell’evento:

 

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R. – Anzitutto mi rimane impressa la forza del discorso di Papa Giovanni, all’inizio del Concilio: Gaudet Mater Ecclesia, “La Madre Chiesa che si rallegra”, sono queste le prime parole del discorso del Papa perché in questo discorso anzitutto, il Papa diceva chiaramente che non si aspettava un Concilio di condanne e preferiva il discorso della misericordia piuttosto che quello della condanna. E poi soprattutto perché proponeva un carattere pastorale alle decisioni del Concilio con quella frase famosa “altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata”. E poi, veniva la frase importante: “Bisogna attribuire molta importanza a questa forma e se sarà necessario bisognerà insistere con pazienza nella sua elaborazione e si dovrà ricorrere ad un modo di presentare le cose che più corrisponde al Magistero il cui carattere è preminentemente pastorale”.

 

D. - I Padri conciliari erano coscienti di vivere un momento davvero storico?

 

R. – Non credo. Se uno esamina, come feci io con l’aiuto di padre Caprile, i vota cioè i desideri manifestati dai vescovi che erano stati interrogati per ordine di Papa Giovanni XXIII, perché dicessero quali erano le loro aspettative per quanto riguardava il Concilio, non si aveva un quadro, diciamo, di rinnovamento così spinto come poi è risultato invece nel Concilio. C’è voluto un po’ di tempo. Tutta la prima sessione, il primo periodo conciliare è servito, per così dire, al formarsi, piano piano, di una maggioranza favorevole ad un forte rinnovamento nella fedeltà, ma nella continuità, una continuità che fosse sviluppo.

 

D. – A distanza di 40 anni, eminenza, secondo il suo parere, cosa è stato il Concilio per la Chiesa e per il mondo?

 

R. – E’ stato un avvenimento talmente capitale che anche un uomo come De Gaulle, quando Jean Guitton gli chiese quale fosse stato l’avvenimento più importante del secolo, ha detto: “Il Concilio Vaticano II”. Cioè è stato molto importante per la Chiesa Cattolica, per così dire, rivedere il volto della Chiesa alla luce, del movimento biblico, quello ecumenico, quello in favore della libertà religiosa, che già esistevano ed erano fortemente affermati nella vita della Chiesa cattolica e portare il frutto di questi movimenti a livello del Magistero della Chiesa per un rinnovamento dell’autocoscienza della Chiesa di fronte ai grandi problemi del mondo moderno, ai grandi problemi della proclamazione del messaggio evangelico al mondo di oggi. A me piace molto quella frase che Papa Giovanni XXIII, quando fu accusato per la pubblicazione della “Pacem in Terris” di aver tradito il Vangelo, disse nelle ultime settimane della sua vita e che Capovilla ha registrato: “Non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che cominciamo a conoscerlo meglio”. Quindi il Concilio Vaticano II è stato un enorme sforzo del Magistero della Chiesa nella sua forma più solenne, quella del Concilio Ecumenico, di operare un aggiornamento, come si soleva dire, un rinnovamento della presentazione della Chiesa in modo pastorale e più corrispondente alla maturazione teologica che c’era stata nei decenni precedenti e più corrispondente alle attese del mondo stesso.

 

D. – Aggiornamento, quindi, dialogo con il mondo, laicato, collegialità, riforma liturgica, impegno per la giustizia, dialogo interreligioso. Quali di queste parole conciliari è per lei quella più evocativa?

 

R. – E’ difficile fare scelte. Il documento conciliare che mi è più caro è il documento sulla Parola di Dio, Dei Verbum. Credo che questo primato della Parola, primato della Sacra Scrittura, ma soprattutto primato di Cristo come la vera Parola di Dio, credo che sia molto importante. Però naturalmente non posso dimenticare quali sono stati i documenti più innovativi. Certamente la “Lumen Gentium” è stata in molte cose innovativa e soprattutto per quello che riguarda la collegialità e per tanti altri aspetti. L’altro giorno parlavo della salvezza dei bambini non battezzati e sono andato a rivedere il testo della “Lumen Gentium”, che non ne parla, ma ho visto quanto innovativo è il testo sulla salvezza di coloro che non sono cristiani, la salvezza anche dei non credenti. E lì si insiste molto su questa salvezza rivolta dal Signore a tutti, sul principio che il Cristo ha salvato tutti. Quindi sembrava che si dovesse trovare una via anche per aprire, diciamo così, la porta della salvezza o la possibilità della salvezza non solo ai non cristiani, ai non cattolici, ma anche ai non credenti. E poi il documento  sull’ecumenismo e quello sulla libertà religiosa, documenti molto importanti e quello sul dialogo con le altre religioni, in modo particolare sul dialogo con gli ebrei. Tutto questo ha creato grandi difficoltà a chi aveva una vecchia mentalità. Pertanto non si può dire che il Concilio è stato solo ripetitivo. Il Concilio ha sviluppato molto, nella continuità, la dottrina della Chiesa per quanto riguarda alcuni problemi, che ancora oggi creano difficoltà ad alcuni cristiani cattolici, che non si riconoscono in questi documenti. E quindi è molto importante sottolineare anche questi documenti oltre quelli che ho menzionato prima. E poi la “Gaudium et Spes”, che mi sta più a cuore perché è quella per la quale ho lavorato di più durante il Concilio.

 

D. – Benedetto XVI fin dai primi giorni del suo Pontificato, ha affermato che bisogna proseguire nell’impegno di attuazione del Concilio Vaticano II. Tuttavia, in questi anni c’è stata qualche voce che invocava un nuovo Concilio. Lei cosa pensa?

 

R. – Credo che siamo ancora lungi dall’aver realizzato pienamente l’applicazione del Concilio. Forse ancora non ne abbiamo ricavato tutte le potenzialità. Nella storia della Chiesa la ricezione, cioè l’accoglimento nella vita concreta della Chiesa, dei risultati di un Concilio, è sempre durata decenni e decenni. Quindi io credo che sarebbe prematuro pensare ad un nuovo Concilio quando ancora c’è tanto da fare per l’assimilazione e la concretizzazione della dottrina conciliare del Vaticano II.

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NELLA FESTA DELL’IMMACOLATA, A 40 ANNI DALLA FINE DEL CONCILIO,

BENEDETTO XVI CONCEDE IL DONO DELL’INDULGENZA PLENARIA

- Intervista con padre Ermanno Toniolo -

 

Domani in occasione del 40º anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II i fedeli possono ottenere l’indulgenza plenaria concessa alla Chiesa universale da Benedetto XVI in coincidenza con la Solennità dell’Immacolata. Domani pomeriggio il Papa si recherà in Piazza di Spagna per il tradizionale omaggio all’Immacolata. Una Festa che ricorda a tutti i fedeli la perfezione di Maria, Madre di Dio, come spiega il padre servita  Ermanno Toniolo al microfono di Emanuela Campanile:

 

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R. – La perfezione ha due aspetti: il primo, che è unico della Vergine Maria, perciò è un singolare privilegio, è cioè che è esente da quella macchia di colpa che deriva dal peccato originale. Ora da questa colpa, per singolare privilegio, per grazia pura di Dio, ma in vista dei meriti di Gesù, non senza di Lui, unico Redentore, è stata preservata, perciò salvata in modo più sublime quasi, per così dire, anticipando la sua caduta, Dio l’ha salvata prima. Il secondo aspetto è un altro: è la Santità. Questo è il percorso che Lei ha dovuto responsabilmente compiere. Maria è rimasta la sempre fedele. Neanche un’imperfezione in Lei. Io non so come abbia fatto! Certamente deve aver messo tutto lo sforzo del suo amore o meglio, deve essere stata rapita così profondamente, mediante lo Spirito che abitava in Lei nell’amore di Dio, da non poter neanche sopportare qualcosa che dispiacesse al Signore, perché il peccato, prima di tutto, è un dispiacere a Dio.

 

D. – Ai fedeli, che cosa aggiunge, che tipo di differenza fa l’essere Immacolata?

 

R. – Io non vorrei mai far differenze perché anche il Concilio, quando ha parlato di Lei, l’ha messa in linea con noi, tutti  bisognosi di essere salvati. E Lei fa parte di questa famiglia umana anzi, ne è la Madre. Di conseguenza, ha una tenerezza per tutti che soltanto la sua Immacolata Concezione può rendere veramente attiva perché ha dato spazio a Dio, senza nessuna riserva. Perciò possiamo dire che se abbiamo una creatura a cui rivolgerci per ottenere misericordia, è Lei che ci capisce; Lei che è senza macchia, Lei che è senza peccato, capisce noi peccatori, è il rifugio dei peccatori. E’ la misericordiosa Madre di tutti. Questo ci dà speranza. Ha camminato responsabilmente,  nell’oscurità della fede, e ha conosciuto tutte le prove più di tutti noi e molto di più. Ha camminato quasi una notte oscura e ha sentito sopra di sé gravare la spada predetta da Simeone. Si è preparata per 30 anni al Calvario, a quella tragedia dove ha vissuto da sola, credendo contro tutto e contro tutti, contro ogni evidenza umana. Più giù non si può arrivare. Dio l’ha provata in tutto, perché? Le grazie di Dio non sono privilegi da mettere su un altare. Sono doni da fruttificare per una missione, e nessuno come Maria, appunto perché Immacolata è più provata, e appunto perché Immacolata precede tutti e dice a noi che siamo più deboli, “fatevi coraggio”, ci sono passata io, prima di voi e più di voi.

 

D. – Ma oggi, si crede davvero a Maria, Madre di Cristo, Immacolata?

 

R. – Manchiamo di conoscenza. E la mancanza di conoscenza incide sulla mancanza di amore e di conseguenza sulla mancanza di rapporto. Chi conosce Maria, chi la conosce a fondo, non solo la ama, ma si unisce a Lei per compartecipare nella Chiesa, a questa misteriosa sacramentalità d’amore che passa attraverso tutti per diventare dono di grazie per ogni creatura fino all’ultimo giorno della storia.

 

D. – A rendere eccezionale la solennità, contribuisce il quarantesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II. E per celebrare questa ricorrenza, il Papa ha deciso di concedere l’Indulgenza plenaria …

 

R. – L’Indulgenza plenaria è una cosa bella e grande. Ma non più grande di quella che è la Riconciliazione sacramentale, là dove vengono assolti i peccati, anche i più gravi. Là dove riceviamo la misericordia di Dio, in sovrabbondanza, e ridiventiamo, quando ci siamo allontanati, amici di Dio e partecipi della sua vita nello Spirito Santo. Quindi nulla di più grande di quello. L’Indulgenza plenaria riguarda i retaggi, i residui di una malattia; sarebbe come uno quando è uscito dalla malattia che porta con sé tutti i postumi. Ecco, sono i postumi dei peccati che vengono tolti e soprattutto soprattutto questo riguarda le anime del Purgatorio che porto tanto in cuore ogni giorno. Vorrei che andassero tutte a far corona alla Vergine Maria nel giorno della Immacolata, per diventare  veramente la sua corona di stelle, loro, non le stelline che facciamo noi, per essere lì a cantare le misericordie di Dio con Lei.

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UDIENZE E NOMINE

 

Nel corso della mattinata, in successive udienze, Benedetto XVI ha ricevuto il nunzio apostolico in Turchia e in Turkmenistan, l’arcivescovo Antonio Lucibello, e il  nunzio apostolico in Papua Nuova Guinea e nelle Isole Salomone, l’ar-civescovo Adolfo Tito Yllana.

 

In Madagascar, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Antananariv, presentata per raggiunti limiti di età dal cardinale Armand Gaétan Razafindratandra. Al suo posto, il Pontefice ha nominato arcivescovo metropolita di Antananarivo mons. Odon Marie Arséne Razanakolona, finora vescovo di Ambanja.

 

In Brasile, Benedetto XVI ha nominato vescovo di São José do Rio Preto il sacerdote Paulo Mendes Peixoto, del clero della diocesi di Caratinga, finora direttore spirituale del Seminario della diocesi. Il neo presule, 54 anni ha ottenuto Licenza in Storia ed in Diritto Canonico. Dopo l’ordinazione ha ricoperto, tra gli altri, gli incarichi di parroco a Carangola e di cappellano dell'Ospedale Nossa Senhora Auxiliadora. È docente di Diritto canonico in Seminario e Giudice nel Tribunale Ecclesiastico diocesano.

 

 

EREZIONE DI DUE NUOVE DIOCESI IN INDIA

 

In India il Santo Padre ha eretto la diocesi di Itanagar, con territorio dismembrato dalla diocesi di Tezpur, rendendola suffraganea della sede metropolitana di Guwahati. Il Papa ha nominato primo vescovo di Itanagar, mons. John Thomas Kattrukudiyil, trasferendolo dall’ufficio di vescovo della diocesi di Diphu.

 

La nuova diocesi di Itanagar, che è la capitale dello Stato dell’Arunachal Pradesh, comprende 10 distretti civili: ha una superficie di  52.288 kmq; i cattolici sono circa 101 mila su una popolazione di oltre 660 mila persone. Conta 11 parrocchie, 25 sacerdoti, di cui solo 3 diocesani, 10 fratelli religiosi e 40 religiose. L’attuale chiesa parrocchiale di "St. Joseph" di Itanagar, sarà la Cattedrale della nuova diocesi e lo stesso Santo sarà il Patrono della diocesi.

 

Sempre in India, il Santo Padre ha eretto la diocesi di Miao, con territorio dismembrato dalla diocesi di Dibrugarh, rendendola suffraganea della Sede Metropolitana di Guwahati. Il Papa ha nominato primo vescovo di Miao il padre salesiano George Palliparambil, rettore della “Don Bosco School” a Dibrugarh.

 

La nuova diocesi di Miao ha una superficie di 31.445 kmq; i cattolici sono circa 59 mila su una popolazione di oltre 426 mila persone. Conta 60 sacerdoti, di cui sei diocesani, un fratello religioso e 21 religiose. La Cattedrale sarà la chiesa costruita e benedetta nel 2001 nel centro di Miao, e il Patrono della diocesi sarà “Christ the Light”.

 

 

IN CORSO A ROMA UN SIMPOSIO A 40 ANNI DALLA PROMULGAZIONE

DEL DECRETO CONCILIARE “PRESBYTERORUM ORDINIS”

- Intervista con mons. Rino Fisichella -

 

Si sta tenendo a Roma un Simposio organizzato dalla Congregazione per il Clero, unitamente alla Pontificia Università Lateranense, nel 40.mo anniversario della promulgazione della Presbyterorum Ordinis, il Decreto conciliare sui ministri ordinati. Cosa sta emergendo? Giovanni Peduto lo ha chiesto al rettore della Lateranense, il vescovo Rino Fisichella:

 

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R. – E’ emersa la grande attenzione, ancora una volta, nei confronti dei nostri sacerdoti, dovunque essi siano, la loro grande generosità nel servire la Chiesa e la loro comunione di vita con il Signore. Uno degli aspetti emergenti è stato quello di collocare il sacerdote dinanzi alle nuove sfide che sono determinate dalla cultura.

 

D. – Non mancano, Eccellenza, le difficoltà per il clero, oggi, in un contesto molto diverso da quello di un passato prossimo. I problemi, ad esempio, del celibato, emersi anche al Sinodo dei vescovi. Cosa può dirci in proposito?

 

R. – Direi che alle difficoltà si deve sempre rispondere in duplice modo. Da una parte, dando fiducia a tantissimi giovani che oggi vivono con entusiasmo, e con una grande carica di significato, la loro consacrazione al Signore, e dall’altra cercando di sostenerli, perché nelle difficoltà bisogna essere sostenuti. C’è una comunità, c’è la presenza dei vescovi, c’è direi l’unità del presbiterio, che sono elementi fondamentali, quando ci sono delle difficoltà che sono di ordine generale, culturale e a volte anche di ordine personale.    

 

D. – In questo Convegno avete toccato anche il tema della crisi delle vocazioni?

 

R. – Non è stato direttamente toccato il tema della crisi delle vocazioni, perché la crisi delle vocazioni si fa sentire in alcuni Paesi, mentre in tanti altri Paesi abbiamo invece non una crisi, ma abbiamo un accrescimento consistente delle vocazioni. Quando si parla del sacerdote dobbiamo parlare del sacerdote nella Chiesa. La Chiesa è universale, la Chiesa è sparsa in tutto il mondo. Deve crescere, come emerge anche dal nostro convegno. Emerge l’esigenza di una solidarietà profonda tra le diverse Chiese, perché laddove i sacerdoti sono molti possono adesso diventare loro stessi strumento di servizio per quelle Chiese che un tempo hanno loro offerto grandi numeri di sacerdoti e anche di santi sacerdoti.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Prima pagina - Un riconoscente “Magnificat” all’Immacolata per il dono del Concilio Vaticano II: durante l’udienza generale alla vigilia della solennità mariana la Chiesa intera si stringe intorno a Benedetto XVI in un corale rendimento di grazie nella memoria della straordinaria Assise ecumenica conclusasi quarant’anni fa.

 

Servizio vaticano – L’omelia del cardinale Angelo Sodano nella concelebrazione eucaristica in occasione del centenario della nascita del compianto cardinale Antonio Samorè.

 

Servizio estero - Iraq: tre morti nell’attacco all’ospedale di Kirkuk.

 

Servizio culturale - Un articolo di Mario Spinelli dal titolo “Maria nelle radici dell’arte europea”: il volume di Timothy Verdon tradotto in inglese, francese e spagnolo.

 

Servizio italiano - In primo piano sempre la questione del TAV: ancora proteste in Val di Susa; il Ministro dell’interno alle Camere il 15 dicembre.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

7 dicembre 2005

 

 

LA CHIESA DI MILANO CELEBRA LA FESTA DI SANT’AMBROGIO,

PATRONO DELLA CITTA’

 

Oggi nella memoria liturgica di Sant’Ambrogio il cardinale Tettamanzi ha presieduto la Messa solenne nel Duomo di Milano con un forte richiamo all’ecumenismo. Ieri sera  il porporato ha celebrato la Messa nella Basilica intitolata al Santo. Da Milano Fabio Brenna.

 

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E' una città dalle molte insicurezze, dalla casa al lavoro passando per una paura generalizzata di ciò che può capitarci, da cui si esce soltanto riscoprendo reti di solidarietà ed una decisa azione di governo.E' questa la Milano passata ai raggi X nel consueto appuntamento della vigilia del patrono S. Ambrogio, il "Discorso alla città" dell'Arcivescovo. Il card. Dionigi Tettamanzi ha messo al centro il delicato rapporto tra persona e comunità che riesce a vincere le paure dominanti soltanto attraverso l'esercizio di una nuova responsabilità:

 

“Vorrei solo proporre, come già detto lo scorso anno e come sostengono da più parti molte voci, proporre una riflessione sul significativo progetto per questa città. Un progetto che le consente di essere comunità aperta al mondo, osservando però tutte le caratteristiche buone della comunità originaria. Tento solo un piccolissimo suggerimento da vescovo: può questa nostra amatissima città, tornare alla pazienza, tornare all’ascolto, alla capacità di rallentare la vita? Può consentire delle relazioni autentiche veramente umane? La capacità di fermarsi e guardare in se stessi, è un valore civile? Così come la stessa contemplazione può essere anche un valore civile? Il desiderio di andare al fondo delle cose, la nostalgia dell’interiorità, delle relazioni durature e profonde, fanno parte della nostra civiltà. Sono appunto valori civili, non solo cristiani”.

 

Centrale diventa il ruolo della comunità, un concetto che dovrebbe essere particolarmente caro ai cristiani: è un richiamo alla partecipazione ed ancora alla solidarietà con gli anziani e con gli stranieri:

 

“Milano rischia di essere la città dalla rete spezzata che non riesce a dare protezione. La città dove i cittadini vivono la paura e l’insicurezza di sé e degli altri della vita nel suo insieme. Dove avvertono il bisogno e l’ansia drammatica di avere protezione e l’incapacità di darla a propria volta. Dove sperimentano l’incertezza della quotidianità, persino della sopravvivenza, e il terrore dell’ignoto. Ma perché si sono spezzate le reti solidali della città? Forse per le tante paure che ci prendono: la paura dell’altro, la paura di perdere la nostra libertà, la paura della responsabilità, la paura di farci carico degli altri, la paura del colloquio fraterno. Ma anche la paura di non bastare a noi stessi nell’aspetto concreto della quotidianità. Viviamo costantemente in angoscia, chiedendoci se avremo ancora una casa, il nostro lavoro; se avremo abbastanza per mangiare e se riusciremo a mantenere la nostra dignità. Se la pensione sarà sufficiente o lo stipendio ci basterà per arrivare a fine mese. Se potremo formare una famiglia, se vivremo giorni sereni e se qualcuno provvederà alla nostra vecchiaia”.

 

La chiamata ad una nuova responsabilità è ripetuta anche ai politici, alla vigilia delle elezioni amministrative che si terranno nel 2006. Gli amministratori devono avere - ha sottolineato l’arcivescovo – un’idea forte di bene comune, non inteso come la somma di piccoli beni comuni da scambiare e negoziare fra di loro.

 

Da Milano, per la Radio Vaticana, Fabio Brenna.

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I PRESEPI ITALIANI ESPOSTI PER LA PRIMA VOLTA A MOSCA,

NELLA CATTEDRALE ORTODOSSA DEL CRISTO SALVATORE

- Intervista con Larissa Anisimova -

 

“Il Presepe. La tradizione natalizia italiana”: si intitola così la mostra sul presepe ospitata per la prima volta a Mosca, dal 9 dicembre al primo febbraio 2006, all’interno della Cattedrale ortodossa del Cristo Salvatore. La rassegna è promossa dalla Fondazione internazionale Arco, in collaborazione con i Musei storici riuniti di Mosca. Il servizio di Isabella Piro.

 

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“Partorì il suo Figlio primogenito, lo avvolse con panni e lo pose nella mangiatoia”. Così, con grande semplicità e solennità, il Vangelo di Luca tratteggia la prima immagine del presepe. Ed ora, per la prima volta, 18 presepi artigianali italiani vengono esposti a Mosca, in una mostra intitolata “Il Presepe. La tradizione natalizia italiana”. Ascoltiamo Larissa Anisimova, presidente della Fondazione internazionale Arco, curatrice della rassegna:

 

R. – La mostra racconta dell’Italia. Tutte le sue caratteristiche regionali: geografia, storia, etnografia, tutto ciò che è la vita è rappresentato.

 

Emblematico il luogo che accoglie l’esposizione: la Cattedrale ortodossa del Cristo Salvatore di Mosca. Un gesto significativo, nel contesto dei rapporti tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa…

 

R. – La nostra fondazione ha proprio come scopo di unire tutti i cristiani del mondo tramite queste manifestazioni culturali, tramite il linguaggio dell’arte che unisce tutti i confini.

 

In Russia, il presepe è poco conosciuto. Dopo la Rivoluzione del 1917, infatti, vennero censurate tutte le tradizioni culturali e religiose, come conferma ancora Larissa Anisimova:

 

R. – Tanti chiedono che cos’è il presepe. Ugualmente anche la parola in russo  per dire ‘presepe’ alcuni non sanno che cosa sia. La traduzione dall’antico russo è  “grotta”, la grotta dove è avvenuta la nascita di Cristo. Però nessuno lo fa perché per 70 anni non è stato permesso di praticare la religione e per tante persone questa è una parola nuova.

 

E c’è la speranza che l’appuntamento con i presepi italiani in Russia diventi una piacevole tradizione annuale …

 

R. – Abbiamo le richieste innanzitutto da San Pietroburgo, che l’anno prossimo vorrebbero avere loro questa mostra. Poi l’hanno chiesta anche il Giappone e la Cina.

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CHIESA E SOCIETA’

7 dicembre 2005

 

 

CONTINUANDO A FARE PROMESSE CHE NON MANTENGONO, ALCUNI GOVERNI

MEDIORIENTALI SPINGONO FASCE DELLA POPOLAZIONE VERSO L'ESTREMISMO

RELIGIOSO: È QUANTO SI LEGGE NEL MESSAGGIO CONCLUSIVO DELLA 15.MA ASSEMBLEA DEI SETTE PATRIARCHI CATTOLICI ORIENTALI, SVOLTASI IN QUESTI GIORNI

AD AMMAN, IN GIORDANIA

 

AMMAN. = Condanna del terrorismo; appello alla comunità internazionale per la “scia di sangue” che continua a ferire Iraq e Terrasanta; critiche a quei governi mediorientali che, continuando a fare promesse che non mantengono, spingono fasce della popolazione verso l’estremismo; ma anche speranza nei giovani, “futuro della regione e della Chiesa”. E’ quanto si legge nel messaggio conclusivo della 15.ma Assemblea dei sette Patriarchi cattolici orientali, tenutasi nel convento della Visitazione, vicino ad Amman, in Giordania, sotto la presidenza del Patriarca di Gerusalemme dei Latini, mons. Michel Sabbah, sul tema: “Giustizia e pace in Medio-Oriente”. Ne da notizia Asia News. La ripetuta condanna del terrorismo, che recentemente ha causato morti e gravi danni anche in Giordania, è accompagnata, nel documento, dall’affermazione della necessità di una “campagna” per combatterlo, rimuovendone le cause, da ricercare nella povertà, nel “promettere senza adempiere” da parte dei governi e nello spadroneggiare dei Paesi ricchi su quelli poveri. I Patriarchi chiedono dunque la remissione del debito estero e lamentano la mancanza della vera democrazia in molti Paesi, richiamando l’attenzione sul grave spargimento di sangue che continua in Terra Santa e in Iraq. Forte anche l’appello ai mezzi di comunicazione, perché cessino di trasmettere programmi che seminano odio e fanatismo e che criticano le convinzioni delle altre religioni. I Patriarchi osservano inoltre con tristezza la condizione della donna in molti Paesi, dove si calpesta il diritto fondamentale di ogni essere umano ad essere rispettato e protetto e ribadiscono la necessità di rivedere la situazione delle prigioni, che non sono centri di rieducazione, ma campi di concentramento e di tortura. Il messaggio esprime anche il desiderio di poter assicurare a ogni bambino l’educazione necessaria e indispensabile per poter eliminare il lavoro minorile. I sette Patriarchi orientali ribadiscono allora la loro convinzione nella necessità di proseguire il cammino ecumenico, che è “una via sicura di testimonianza”, e invitano anche i battezzati nelle Chiese ortodosse a vivere la loro fede in maniera capace di illuminare le strade di tutti, senza dimenticare di essere fedeli al patrimonio e alle tradizioni di ogni comunità religiosa. Ciò favorirà la costruzione di un mondo arabo riconciliato, da realizzare mediante l’accoglienza dell’altro, soprattutto nei riguardi dei musulmani che formano la maggioranza in questa regione. A chiudere il messaggio, l’apprezzamento dell’istituto Giovanni Paolo II di studi su “Matrimonio e Famiglia” nel seno dell’università maronita “La Sapesse” e della fondazione di un segretariato regionale della gioventù cattolica in Medio-Oriente. Auspicata, infine, la formazione di una Commissione episcopale per la Giustizia e la Pace in ogni diocesi della regione, collegata con la Commissione centrale dell’Assemblea dei Patriarchi cattolici d’Oriente. (R.M.)

 

 

ORDINATI A BASSORA, IN IRAQ, 10 NUOVI DIACONI: “UN SEGNO DI SPERANZA

PER IL FUTURO”, SECONDO L’ARCIVESCOVO DELLA CITTÀ, MONS. DJIBRAIL KASSAB

 

BASSORA. = L’ordinazione diaconale di dieci cattolici caldei avvenuta domenica scorsa a Bassora, in Iraq, ha contribuito a infondere tra i fedeli speranza per il futuro. A raccontarlo, all’agenzia AsiaNews, è mons. Djibrail Kassab, arcivescovo della città, che spiega come anche il Natale e le imminenti elezioni politiche nel Paese siano accompagnati da grandi aspettative della comunità locale. “La chiesa – racconta l’arcivescovo – era gremita, eravamo circa 350 persone”. Secondo il presule, “si poteva leggere la felicità sia sul volto dei fedeli che dei nuovi diaconi. Questi sono sempre momenti che infondono grande gioia”. Attualmente, la situazione a Bassora è calma, ma la popolazione è preoccupata per il futuro: “Anche in questo Natale – spiega mons. Kassab – pregheremo per la pace e la sicurezza. Viviamo nella speranza e non la abbandoniamo. La gente – continua – attende le elezioni del 15 dicembre come l’occasione per cominciare a guardare con fiducia al futuro”. Per il Natale, le parrocchie nell’arcidiocesi stanno preparando cerimonie e canti: “Prevediamo che le celebrazioni si svolgeranno in modo regolare”. “Lo stato d’animo della comunità cattolica e di tutta Bassora – conclude il presule – è comunque positivo: si ha la sensazione che le cose stiano migliorando”. (R.M.)

 

 

VISITA PASTORALE DEL NUNZIO APOSTOLICO, MONS. SALVATORE PENNACCHIO,

 IN CAMBOGIA, NEL 450.MO ANNIVERSARIO DELLA PRESENZA DELLA CHIESA

NEL PICCOLO PAESE DELL’INDOCINA

 

PHNOM PENH. = Era il 1555, quando il primo missionario Domenicano, padre Gaspar De Cruz, mise piede in Cambogia e cominciò l’evangelizzazione del Paese. Per celebrare il 450.mo anniversario della presenza della Chiesa nel piccolo Stato dell’Indocina, mons. Salvatore Pennacchio, nunzio apostolico in Thailandia, Cambogia e Singapore e delegato apostolico per Malaysia, Brunei Darussalam, Myanmar e Laos, si è recato in Cambogia per una visita pastorale dal 2 al 4 dicembre. Il 2 dicembre, accompagnato dal vicario apostolico di Phnom Penh, mons. Emile Destombes, mons Pennacchio si è fermato al villaggio di Thank Kok, nella prefettura di Battambang, dove esiste un monumento dedicato ai martiri della Chiesa in Cambogia, uccisi durante il regime dei Khmer Rossi dal 1975 al 1979. Accolto dal prefetto apostolico di Battambang, mons. Enrique Figaredo Alvargonzales, il gruppo ha pregato insieme per le vittime davanti a una grande croce eretta in memoria dei martiri, in un campo di germe di riso, simbolo della rinascita della Chiesa. A Kompong-Cham, poi, il nunzio ha visitato diverse comunità e istituzioni cattoliche, dove è stato ricevuto con gioia e cordialità. Mons. Pennacchio ha assicurato la vicinanza del Santo Padre al popolo cambogiano e, in serata, ha presieduto una solenne celebrazione eucaristica. Il 3 dicembre, mons. Pennacchio ha benedetto una nuova cappella a Ko Andak, a circa 120 chilometri da Kompong-Cham. Durante la Messa, 24 catecumeni hanno compiuto il “rito del primo passaggio”, che li introduce a un cammino di preparazione al battesimo che durerà tre anni. Il nunzio ha poi visitato la parrocchia di Neak Leoung, della comunità vietnamita, dove è stato accolto da una folla di fedeli. Il 4 dicembre, il nunzio ha celebrato un Santa Messa nella parrocchia di San Giuseppe a Phnom Penh, cui hanno partecipato oltre 400 persone. Durante l’omelia, mons. Pennacchio ha ricordato il 450.mo anniversario dell’arrivo dei missionari in Cambogia, citando l’esempio e la dedizione di padre Gaspar De Cruz: “Non possiamo smettere di pensare ai primi i missionari per il loro coraggio, l’altruismo e la generosità. Lo stesso dicasi per i missionari giunti dopo e per il clero locale, che hanno tramandato il patrimonio di fede fino a oggi”. La Chiesa cattolica in Cambogia è un comunità di 30 mila fedeli su 12 milioni di abitanti. (R.M.)

 

 

AL VIA, DOMANI AD ARICCIA, FINO ALL’11 DICEMBRE, IL CONVEGNO MISSIONARIO

INTERNAZIONALE DELLA FAMIGLIA ORIONINA, SUL TEMA: “FINO AGLI ESTREMI

CONFINI DELLA TERRA. LA PICCOLA OPERA IN MISSIONE TRA CURA PASTORALE

E FRONTIERE MISSIONARIE”

 

ARICCIA. = Prende il via domani, fino all’11 dicembre, presso la Casa “Divin Maestro” di Ariccia, in provincia di Roma, il Convegno missionario internazionale “Fino agli estremi confini della terra. La Piccola Opera in missione tra cura pastorale e frontiere missionarie”, promosso dalle Famiglie religiose fondate da San Luigi Orione: la Piccola Opera della Divina Provvidenza e le Piccole Suore Missionarie della Carità, in collaborazione con l’Istituto Secolare Orionino e il Movimento Laicale Orionino. Sono oltre 90 i delegati provenienti da America Latina, Africa, Asia ed Europa che si confronteranno sulle n sfide missionarie che attendono i Figli e le Figlie di Don Orione nei prossimi anni. “Con questo Convegno – spiega Don Enemesio Lazzaris, vicario generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza con delega per le Missioni – vogliamo realizzare con maggiore efficacia l’insegnamento di Giovanni Paolo II, che ci ha sempre spronati a farci tutti missionari”. “Oggi – prosegue – siamo chiamati ad essere missionari ed evangelizzatori in un tempo caratterizzato dalla frammentazione dei valori, dal pluralismo teologico e dal conseguente relativismo della verità. Ma questo è anche un tempo che manifesta una rinnovata domanda di senso, che si apre alle esigenze della speranza e della solidarietà”. La Famiglia religiosa di Don Orione oggi è presente in 32 nazioni nel mondo, con religiosi, religiose e laici impegnati in situazioni di frontiera. (R.M.)

 

 

LA CHIESA DEL LAOS IN FESTA: PER LA PRIMA VOLTA, DOPO 30 ANNI,

DOMANI VERRÀ ORDINATO UN NUOVO SACERDOTE

 

VIENTIANE. = Missionari espulsi ormai dal 1975; un solo seminario approvato, ma ben controllato, con educatori e docenti laotiani, a Paksé; corsi di teologia intensissimi, della durata massima di 8 giorni l’anno. E’ la dura realtà della Chiesa nel Laos, che domani, però, sarà in festa: nel giorno dell’Immacolata, riuscirà, dopo 30 anni, ad ordinare un sacerdote: lo riferisce AsiaNews. Ordinazione consentita dal governo, ma cerimonia che non potrà essere pubblica. A essere ordinato, nella piccola cattedrale del Sacro Cuore di Vientiane, sarà Sophone Vilavongsy, 32 anni, laotiano e missionario Oblato di Maria Immacolata. Gli Oblati hanno un particolare legame con il Laos: più di 100 di loro, soprattutto francesi e italiani, sono stati missionari nel Paese tra il 1935 e il 1975, anno in cui presero il potere i comunisti del Pathet Lao. Una piccola ma viva comunità si era sviluppata e alcuni villaggi erano quasi interamente cattolici. Durante la guerra, 7 Oblati furono uccisi e, dopo la vittoria dei comunisti, tutti gli altri espulsi. Uno è però rimasto: è mons. Jean Khamsé Vithavong, vicario apostolico di Vientiane. In questi 30 anni, ha duramente lavorato in una situazione molto difficile. Oggi lo aiuta un solo anziano sacerdote, padre Khamphan. Per il vescovo, i voti perpetui e il diaconato di Somphone “sono segni di speranza per l’avvenire. Dio non ha dimenticato la povera, piccola e attiva Chiesa del Laos”. (R.M.)

 

 

PUBBLICATA, NELLO STATO INDIANO DEL KERALA, LA NUOVA RIVISTA CATTOLICA

“LA VOCE DELLA VITA”: “SARÀ LA VOCE DEI SENZA VOCE”

 

KOCHI. = I vescovi di rito latino dello Stato indiano del Kerala hanno lanciato un nuovo settimanale cattolico nella lingua locale malayalam. Si chiama “Jeevanaadam”, che significa “La voce della vita”, e il primo numero è stato presentato domenica a Kochi, alla presenza di vescovi e autorità civili. Alla presentazione è intervenuto anche il ministro federale, padre Oscar Fernandez, che ha sottolineato l’importanza dei media nella promozione dello sviluppo del Paese, soprattutto nelle aree rurali, esprimendo parole di elogio per l’opera svolta in questo senso dalla Chiesa cattolica locale. Come ha infatti spiegato il presidente del Coordinamento del Consiglio regionale dei vescovi latini del Kerala, mons. Daniel Acharuparambil, la nuova rivista intende promuovere i diritti degli emarginati e della fasce più povere della popolazione: “Sarà – ha detto – la voce dei senza voce”. Alla cerimonia è intervenuto anche l’arcivescovo maggiore di Ernakulam-Angamaly dei Siro-Malabaresi, il cardinale Varkey Vithayathil, che ha espresso l’auspicio che “Jeevanaadam” possa aiutare in particolare la causa dei dalit, gli ex fuori casta del sistema castale indiano formalmente abolito, e di tutte le comunità emarginate, ricordando la funzione centrale attribuita dalla Chiesa ai media per la sua missione evangelizzatrice. La nuova iniziativa editoriale, infatti, s’inserisce nel quadro delle linee programmatiche dei vescovi indiani, che alle loro ultime assemblee hanno dedicato un’ampia riflessione alla presenza della Chiesa nei mass media e hanno esortato tutte le componenti della comunità ad impegnarsi nel campo della comunicazione sociale. (L.Z.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

7 dicembre 2005

 

- A cura di  Amedeo Lomonaco -

 

In Iraq, nuovo capitolo del processo contro Saddam Hussein: l’ex dittatore si è rifiutato di comparire davanti ai giudici e la quinta udienza è ripresa senza di lui. Sul terreno, tre persone sono morte per un attacco della guerriglia contro l’ospedale di Kirkuk. Intanto, in un nuovo video diffuso su un sito estremista, il numero due di Al Qaeda, il medico egiziano Al Zawahiri, afferma che Osama Bin Laden, capo dell’organizzazione terroristica, è ancora vivo. Il nostro servizio:

 

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Il processo contro l’ex rais è ripreso senza Saddam Hussein. L’ex presidente iracheno non si è presentato in aula per partecipare all’udienza e ha minacciato di boicottare il processo anche nei prossimi giorni. Saddam si è lamentato delle condizioni di detenzione ed ha accusato Stati Uniti e Israele di volerlo morto. Io e i miei compagni non temiamo la morte, ha aggiunto l’ex rais indicando gli altri sette coimputati per l’uccisione di 148 sciiti a Dujail nel 1982. Sul terreno, intanto, un commando di guerriglieri ha attaccato l’ospedale di Kirkuk, a nord di Baghdad, per liberare un detenuto, presunto membro di una cellula islamista. L’azione ha provocato la morte di almeno tre poliziotti iracheni. Uomini armati hanno rapito, poi, un bambino di 8 anni, figlio di una guardia in servizio al processo contro  Saddam. Sempre sul fronte dei sequestri, è stato diffuso dalla BBC, nella notte, un nuovo video nel quale il britannico Norman Kember, uno dei quattro operatori umanitari di una Organizzazione non governativa cristiana rapiti a Baghdad lo scorso 26 novembre, chiede al premier Tony Blair di ritirare le truppe dall’Iraq. E’ salito inoltre a 40 morti il bilancio del duplice attentato kamikaze compiuto ieri da due donne nell’accademia di polizia della capitale e rivendicato da Al Qaeda. Proprio l’organizzazione terroristica ha pubblicato, su un sito fondamentalista, un nuovo filmato. Nel video, il numero due di Al Qaeda, Ayman Al Zawahri, dichiara che il capo della rete terroristica, Osama Bin Laden, è vivo. In Iraq e in Afghanistan – aggiunge il medico egiziano – “gli Stati Uniti e i suoi alleati non hanno ottenuto niente, combattono ogni giorno subendo continue perdite”. Al Zawahiri invita anche tutti i mujaheddin a “concentrare i loro attacchi contro i pozzi di petrolio sottratti ai musulmani”. Negli Stati Uniti è atteso infine un nuovo discorso del presidente George Bush sul conflitto iracheno, nel 64.mo anniversario dell’attacco a Pearl Harbor, che segnò l’ingresso americano nella Seconda Guerra Mondiale.

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Il segretario di Stato americano Condoleezza Rice, in visita in Ucraina, ha illustrato il nuovo approccio sulla convenzione internazionale sulla tortura introducendo per il personale americano un divieto, valido in tutto il mondo, di compiere trattamenti crudeli sui prigionieri. La Rice ha detto che gli obblighi per gli Stati Uniti previsti dai trattati internazionali sui trattamenti crudeli, disumani o degradanti “si estendono al personale americano dovunque si trovi”. Incontrando a Berlino il cancelliere tedesco Angela Merkel, il segretario di Stato americano aveva già affermato, ieri, che l’amministrazione statunitense “non tollera la tortura”, contraria alla legge americana e agli impegni internazionali. Sulla missione di Condoleeza Rice in Europa, ascoltiamo il servizio di Salvatore Sabatino:

 

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Un tour diplomatico nel vecchio Continente non certo facile per Condoleeza Rice, inseguita dalle polemiche sulle prigioni segrete della CIA in Europa. In Germania ha parlato della trasparenza della politica americana in fatto di torture. A Bucarest ha concluso un accordo per nuove base militari permanenti. Ora la terza tappa, in Ucraina. Si tratta del più alto funzionario statunitense a recarsi in visita di Stato nell’ex Repubblica sovietica dopo la cosiddetta “rivoluzione arancione”, avvenuta nel novembre del 2004. E la prima mossa concreta della Rice è stata quella di offrire aiuti economici a Kiev per favorire lo sviluppo economico del Paese. Ma l’annuncio più importante riguarda ancora una volta le torture: gli Stati Uniti – ha affermato -  hanno cambiato oggi la loro politica riguardo agli interrogatori di prigionieri, introducendo  per il loro personale un divieto, valido in tutto il mondo, di compiere trattamenti crudeli sui prigionieri. Un nuovo tassello alla distenzione, a cui si aggiungono le parole tranquillizzanti del presidente polacco Kwasniewski, che da Varsavia ha negato che la Polonia abbia ospitato strutture di detenzioni segrete della Cia. “Esiste una cooperazione tra i servizi segreti di Polonia e Stati Uniti – ha affermato in un’intervista- ma sono convinto che tutto è stato fatto rispettando la legge”.

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In Iran, all’indomani del tragico schianto di un aereo militare contro un palazzo di Teheran, sono ancora contrastanti le notizie sul numero di persone rimaste uccise. Il portavoce del ministero dell’Interno ha dichiarato, ieri sera, che le vittime sono 116. Secondo il quotidiano iraniano,Aftab’, i morti sono invece 135. Molte delle vittime erano giornalisti diretti verso una base militare, nel Sud del Paese, per assistere ad una esercitazione. L’Associazione dei giornalisti ha annunciato di voler costituire una commissione d’inchiesta indipendente sulle cause del disastro. Secondo il quotidiano iraniano ‘Keyhan’, il decollo dell’aereo è stato ritardato di diverse ore per problemi tecnici.

 

In Medio Oriente il movimento estremista islamico ‘Hamas’ ha duramente attaccato, con un comunicato diffuso ieri, l’accordo raggiunto a Ginevra fra la Mezzaluna Rossa palestinese e la controparte israeliana, la Stella Rossa di Davide. In una dichiarazione scritta diffusa ai giornalisti, Hamas afferma che l’intesa rappresenta “un pericoloso passo sulla via della normalizzazione”, al quale “si oppongono tutti i palestinesi”.

 

 

Si è aperto stamani alla Mecca, in Arabia Saudita, il vertice islamico straordinario. I leader dei 57 Paesi membri dell’Organizzazione della Conferenza islamica (OCI) si riuniscono oggi e domani per affrontare la questione della difesa dell’Islam, che sarebbe oggetto, secondo le autorità saudite, di una “offensiva feroce”. Nel discorso inaugurale, il re dell’Arabia Saudita, Abdullah, ha condannato l’estremismo integralista, ammonendo che “l’unità islamica non può farsi con lo spargimento di  sangue, ma con la moderazione”.

 

In Eritrea, il governo ha deciso l’espulsione del personale ONU della Missione di pace per l’Etiopia e l’Eritrea di nazionalità statunitense, europea e russa. L’esecutivo di Asmara ha anche intimato alle truppe del contingente delle Nazioni Unite, dispiegate al confine con l’Etiopia, di lasciare l’Eritrea. Sono stati concessi 10 giorni di tempo. Il provvedimento, secondo gli osservatori, segna un ulteriore aggravamento della crisi tra i due Paesi africani, in guerra tra il ’98 e il 2000, con un bilancio di circa 70.000 morti. Per il governo di Asmara, la posizione dell’ONU sarebbe eccessivamente filoetiopica. Nella risoluzione adottata lo scorso 23 novembre dal Consiglio di sicurezza dell’ONU, le Nazioni Unite hanno imposto all’Eritrea, pena l’imposizione di pesanti sanzioni, di non ostacolare il lavoro svolto dalla missione di pace per un miglioramento delle relazioni con la vicina Etiopia. Lungo la frontiera dei due Paesi dell’Africa orientale, teatro del sanguinoso conflitto scoppiato nel 1998, sono stanziati dal 2001 oltre 3000 uomini delle Nazioni Unite.

 

Ancora una sciagura in una miniera cinese. Un’esplosione si è verificata in un giacimento della provincia settentrionale di Hebei. Più di 120 minatori sono dati per dispersi. Lo ha riferito l’agenzia Xinhua, precisando che “27 minatori sono riusciti a mettersi in salvo”.

 

In Romania, è stato individuato, stamani, un altro focolaio di influenza aviaria. L’allarme giunge da Crisan, in prossimità del delta del Danubio. L’Istituto nazionale di diagnosi veterinaria ha riferito che la località è stata messa già in quarantena. In Vietnam, intanto, le autorità di Hanoi hanno deciso di vietare la vendita nelle farmacie locali del “Tamiflu”, l’antivirale al momento più efficace contro il morbo aviario. Fonti ufficiali specificano che il provvedimento, emesso già dal mese di novembre, è stato adottato per consentire l’organizzazione di una scorta a livello nazionale del farmaco, che non guarisce dall’influenza, ma ne attenua gli effetti.

 

Andiamo in Italia. “Gruppi dell’estrema sinistra, dell’area antagonista e dall’anarco-insurrezionalismo stanno tentando di estendere i disordini dalla Val di Susa a Torino, Roma, a Milano e altre diverse città. Il governo è fermamente deciso a contrastare questo disegno che non ha nulla a che spartire con la protesta pacifica della valle”. E’ quanto si legge in una nota diffusa da Palazzo Chigi al termine di un vertice tra Silvio Berlusconi, Beppe Pisanu e il sottosegretario Gianni Letta. Intanto in Val di Susa proseguono le proteste contro la realizzazione della TAV, la Tratta ferroviaria ad alta velocità. Oltre all’autostrada A32 Torino-Frejus i manifestanti hanno bloccato stamani le statali 24 e 25. E non cessano le polemiche sul blitz delle forze dell’ordine che nella notte tra lunedì e martedì ha provocato una decina di feriti. Sulle motivazioni della protesta Paolo Ondarza ha intervistato Nilo Durbiano, sindaco di Vernaus:

 

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R. – Le popolazioni, i sindaci, le amministrazioni chiedono semplicemente di essere ascoltati e chiedono un confronto su questo tema. Non siamo contrari al trasporto su rotaia e neanche al progresso. Basti pensare che in Val di Susa, sulla linea ferroviaria storica Torino-Modan, e sull’autostrada del Frejus, viene trasportato già il 30 per cento delle merci che valicano l’intero arco alpino. Alle nostre richieste di ascolto da anni ha da sempre fatto seguito solo l’imposizione.

 

D. – Nella protesta si intrecciano preoccupazioni di carattere ambientale e salutistico, ma anche preoccupazioni di carattere politico ed economico …

 

R. – Sicuramente. Nelle nostre montagne è certa la presenza di uranio e amianto. Dal momento che la TAV prevede lo scavo di quasi 100 km di gallerie, noi chiediamo da tempo che ci vengano date delle risposte autorevoli e scientifiche sulla non pericolosità del progetto.

 

D. – Ma perché, secondo voi, queste risposte tardano ad arrivare?

 

R. – Una volta accertata la presenza di materiali pericolosi, come amianto e uranio, i costi di realizzazione del progetto lieviterebbero in modo enorme. Abbiamo l’impressione che si tenda a nascondere il problema.

 

D. – In questi giorni la manifestazione ha assunto caratteri violenti …

 

R. – E’ ovvio che all’interno di una grande massa di persone ci sono degli indesiderati che si infiltrano. Condanniamo ogni violenza, ma dopo il blitz violento che è stato compiuto dalle forze dell’ordine, credo che ci debbano delle scuse.

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Il Tribunale penale internazionale per i crimini nell’ex-Jugoslavia (TPI), ha condannato Miroslav Bralo, un ex militare croato-bosniaco reo confesso di gravi crimini commessi durante la guerra in Bosnia del 1992-1995, a 20 anni di reclusione. L’uomo faceva parte di un’unità speciale delle forze croato-bosniache che hanno combattuto contro le truppe governative, composte in maggioranza da soldati musulmani. Nel novembre 2004 si è volontariamente consegnato alla giustizia, ammettendo di aver ucciso, torturato e violentato nel 1993 numerose donne musulmane.

 

 

 

 

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