RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 335 - Testo della trasmissione di giovedì 1 dicembre 2005

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Benedetto XVI lancia un vibrante appello per la pace nel mondo nell’udienza a 11 nuovi ambasciatori di 4 continenti, ricevuti stamani in Vaticano

 

Il Papa incontra la Commissione Teologica Internazionale e rilancia il dialogo con il mondo laico  sui valori universali dell’umanità. Presto un documento sulla sorte dei bambini morti senza Battesimo: il commento di padre Luís Ladaria

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Si celebra oggi la Giornata mondiale dell’Aids: interviste con Paola Germano e Gianfranco Morino

 

Quindici anni fa nasceva il Comitato nazionale di bioetica italiano: con noi Francesco D’Agostino

 

Anche una campagna di sminamento in Bosnia Erzegovina nelle iniziative per la tregua olimpica 2006: ce ne parla Giuseppe Schiavello

 

CHIESA E SOCIETA’:

Dopo le promesse, ora fermate la guerra: così l’arcivescovo di Gulu, John Baptist Odama, rivolgendosi ai ribelli dell’Esercito di resistenza del signore

 

Bisogna combattere la povertà e le malattie per garantire lo sviluppo di Timor Est: lo ha affermato mons. Carlos Ximenes Belo, vescovo emerito di Dili

 

In Indonesia le proteste dei fedeli evitano la distruzione di 5 chiese protestanti da parte delle autorità

 

Il Sudafrica si avvia a diventare il primo Paese in Africa a consentire il matrimonio fra persone dello stesso sesso

 

In Albania migliorano le condizioni della missionaria aggredita mercoledì nel suo convento

 

24 ORE NEL MONDO:

In Iraq, Ramadi in stato d’assedio. Dietro l’attacco dei ribelli contro la città, la mano di Al Qaeda

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

1 dicembre 2005

 

BENEDETTO XVI LANCIA UN VIBRANTE APPELLO PER LA PACE NEL MONDO NELL’UDIENZA A 11 NUOVI AMBASCIATORI DI 4 CONTINENTI,

RICEVUTI STAMANI IN VATICANO.

LIBERTA’ RELIGIOSA, PROMOZIONE DEI DIRITTI UMANI, DIALOGO TRA FEDI E CULTURE, E ANCORA, DEMOCRAZIA E RELATIVISMO,

LOTTA ALLA POVERTA’ E ALLE MALATTIE

 GLI ALTRI TEMI SOTTOLINEATI DAL PAPA NEI DISCORSI AI SINGOLI AMBASCIATORI

- A cura di Roberta Gisotti, Alessandro Gisotti, Andrea Cocco e Ludwig Waldmüller -

 

Tutti siamo chiamati ad impegnarci fattivamente per la pace: è la vibrante esortazione di Benedetto XVI nell’udienza ad 11 nuovi ambasciatori presso la Santa Sede - provenienti da Africa, Asia, Europa e Continente americano - ricevuti stamani in Sala Clementina per la presentazione delle Lettere Credenziali. Un’udienza di particolare significato sulla quale ci riferisce Alessandro Gisotti:

 

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JE VOUDRAIS CE MATIN LANCER UN NOUVEL APPEL…

“Pace, pace per il mondo afflitto dalle guerre”. Di fronte agli ambasciatori di 11 nazioni di 4 continenti, Benedetto XVI ha lanciato un nuovo appello affinché i responsabili delle nazioni e con loro gli uomini di buona volontà, “si diano la mano per fare cessare la violenza che sfigura l’umanità”. Una piaga, ha detto ancora, che “mortifica la crescita e le speranze di numerosi popoli”:

        

SANS L’ENGAGEMENT DE TOUS…

“Senza l’impegno di tutti a lavorare per la pace e a creare un clima di pacificazione” a partire dalle famiglie, è stato l’avvertimento del Pontefice, “non sarà possibile avanzare sulla via di una società pacificata”. Ha esortato gli ambasciatori a favorire il dialogo tra i popoli. Quindi, ha espresso l’auspicio che “tutti gli uomini del nostro tempo si impegnino in favore della pace e della riconciliazione”, perché non basta volere la pace per ottenerla. E’ infatti necessario, ha avvertito, adoperarsi sul piano concreto a tutti i livelli. Non ha poi mancato di segnalare l’importanza dell’educazione delle giovani generazioni per promuovere la cultura della pace. Benedetto XVI ha indicato la necessità “di dare alle famiglie e alle strutture educative il modo di formarli, di trasmettere loro i valori spirituali, morali e sociali essenziali, preparandoli così ad un futuro migliore, ad una vera consapevolezza del proprio ruolo nella società e dei comportamenti che devono seguire per servire il bene comune”.

 

Da parte sua, ha proseguito, la Chiesa cattolica non cessa di offrire il suo contributo “formando il senso religioso negli individui, che non può non accrescere  in ciascuno il senso della fraternità e della solidarietà”. Assieme al discorso comune, il Papa si è soffermato sulle realtà degli 11 Paesi rappresentati dai nuovi ambasciatori, 5 dei quali provenienti dal Continente africano.

 

Tutto incentrato sulla libertà religiosa e sul dialogo tra cristiani e musulmani per la pace, il discorso di Benedetto XVI al nuovo ambasciatore di Algeria, Idriss Jazairy. “Solo una vera riconciliazione – ha avvertito – il Santo Padre può permettere agli uomini di vivere in pace”. Bisogna rinunciare alla vendetta, è stato il suo richiamo, e rafforzare i legami di fraternità e solidarietà. Ha così ricordato la grande figura del Beato Charles de Foucauld, che proprio in Algeria ha vissuto come “fratello universale”. Per difendere la sacralità della persona umana e il rispetto della libertà religiosa, ha ribadito il Pontefice, “è necessario che lo spirito di riconciliazione e di giustizia sia instillato nelle giovani generazioni, attraverso la famiglia e l’educazione”. Il Papa si è soffermato sull’importanza del perdono quale via che “conduce la persona verso un’umanità più profonda”. Tuttavia, ha proseguito, un tale comportamento deve essere “necessariamente associato all’esigenza di giustizia”. Il perdono, ha precisato, “non è mai un segno di debolezza, ma non può ignorare le rivendicazioni legittime di chi ha subito un’ingiustizia”. Il Pontefice ha anche rivolto il pensiero ai rapporti tra la comunità cattolica e quella musulmana in Algeria. “Per superare l’ignoranza reciproca – ha evidenziato – è importante creare dei legami di fiducia attraverso le persone”, in modo che “la libertà di espressione delle differenze confessionali non sia un motivo di esclusione reciproca ma piuttosto un’occasione per imparare a vivere nel rispetto ciascuno dell’identità dell’altro”. Infine, ha voluto esprimere il proprio affetto per i cattolici algerini, che negli anni difficili della guerra civile hanno offerto una testimonianza significativa di fratellanza universale.

 

Libertà religiosa e promozione della pace sono stati i temi chiave del discorso di Benedetto XVI all’ambasciatore dell’Eritrea, Petros Tseggai Asghedom. “La Santa Sede – ha assicurato il Papa – farà tutto ciò che è in suo potere per sostenere la comunità internazionale nei suoi sforzi per evitare un’ulteriore escalation militare” nel Corno d’Africa. La Chiesa, ha aggiunto, è vicina a rifugiati e sfollati, vittime della guerra. In Eritrea, ha constatato, “gli effetti della guerra si sommano ai danni provocati dalla carestia, dalla siccità e della povertà”. Per questo, la Chiesa ribadisce il suo impegno nella lotta contro “la fame, la miseria e le malattie”. La seconda parte del discorso di Benedetto XVI è stata dedicata al rispetto della libertà religiosa. Il Papa ha esortato il governo eritreo ad attuare passi concreti su questo fronte. “La Chiesa cattolica – ha ribadito con forza – si preoccupa che tutti i cittadini possano praticare la propria fede, senza alcuna minaccia o coercizione”. Quindi, rivolgendo l’attenzione ai sacerdoti e religiosi dell’Eritrea, ha chiesto che il loro diritto ad essere esentati dal servizio militare sia rispettato. In tal modo, potranno servire meglio il loro Paese nel rispetto delle proprie vocazioni.

        

L’impegno della Chiesa per la riconciliazione è stato al centro del discorso del Pontefice al signor Felix Kodjo Sagbo, ambasciatore del Togo, Paese africano sconvolto nei mesi scorsi da violenti disordini, dopo le elezioni politiche. “La violenza – ha detto il Papa – non può mai essere il mezzo adeguato per costruire una società giusta e solidale”. E’ il dialogo, ha avvertito, lo strumento essenziale per “conseguire un’esistenza riconciliata dove ognuno potrà vivere nella pace e nella sicurezza, dove le persone sfollate potranno finalmente tornare a casa senza paura”. Lo sviluppo armonioso della società, ha aggiunto, deve essere fondato sul diritto e la giustizia. In tale contesto, ha sottolineato, “la Chiesa cattolica è pienamente impegnata in questa lotta per lo sviluppo integrale dell’uomo, per la promozione di un avvenire di pace e giustizia” e ciò “per il bene della popolazione senza distinzioni, in collaborazione con tutte le persone di buona volontà”.

 

Nel discorso all’ambasciatore della Tanzania, Ali Abeid Amani Karume, Benedetto XVI ha lodato la generosità mostrata dal Paese africano nell’accogliere quasi un milione di rifugiati fuggiti dai Paesi vicini, sconvolti dalla guerra. “La vostra nazione – ha detto il Papa – può essere orgogliosa” per questo impegno che la rende un esempio per l’Africa e per il mondo intero. Ha così incoraggiato la comunità internazionale a sostenere gli sforzi della Tanzania nell’assistere le persone emarginate e gli sfollati, garantendo l’impegno della Chiesa locale per sradicare la povertà e promuovere lo sviluppo. D’altro canto, ha riconosciuto l’importanza dell’adozione di una moneta unica, progetto a cui stanno lavorando la Tanzania e altri Paesi africani riuniti nella Comunità dell’Africa Orientale. Il Papa non ha mancato di mettere l’accento sui valori che dovrebbero sempre sostenere una democrazia, che deve resistere agli interessi personali. D’altra parte, ogni cittadino “deve godere del diritto di scegliere i propri leader attraverso libere elezioni multipartitiche”.

 

 Incentrato sulle nuove sfide dopo la fine dell’apartheid, il discorso del Papa all’ambasciatore del Sud Africa, la signora Konji Sebati. Benedetto XVI ha espresso ammirazione per i risultati raggiunti nel dar vita ad una società “integrata, stabile e pluralista”. Quindi, sottolineando il prestigio raggiunto dal Paese a livello internazionale, si è augurato che il Sud Africa mantenga forte la propria voce per l’eliminazione del debito dei Paesi poveri, la promozione della pace e l’assistenza economica agli Stati africani in difficoltà. Un passaggio forte del discorso è stato dedicato alla pandemia dell’AIDS, particolarmente diffusa tra la popolazione sudafricana. Benedetto XVI ha ribadito l’impegno della Chiesa a sostegno delle politiche basate sulla “continenza e la fedeltà coniugale”, così come sull’importanza della vita famigliare, quali strumenti efficaci per sconfiggere il virus. Ha infine incoraggiato il governo sudafricano “a promuovere una sempre maggiore consapevolezza della dignità della vita umana dal concepimento alla morte naturale”.

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I rapporti tra Chiesa e Stato, la secolarizzazione delle società, l’obiettivo del bene comune, la lotta alla povertà, le tensioni sociali e l’integrazione degli immigrati, la giustizia e la pace dei popoli, il dialogo ecumenico e interreligioso: questi i temi forti che Benedetto XVI ha affrontato nei discorsi rivolti agli ambasciatori di altri sei Paesi, Danimarca, Finlandia, Nepal, El Salvador, Santa Lucia e Andorra. Il servizio di Roberta Gisotti.

 

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Parole quelle di Benedetto XVI che hanno volato alto oltre i confini dei singoli Paesi. Chiesa e Stato – ha sottolineato rivolto all’ambasciatore Antoni Morell Mora del Principato di Andorra, piccolo Stato dei Pireni tra Francia e Spagna - debbono “trovare un linguaggio comune” “pur nella reciproca indipendenza e sovranità” per favorire “il benessere spirituale e materiale delle persone”. Da parte sua la Chiesa, - ha chiarito il Santo Padre - “non avendo privilegi da difendere o vantaggi da chiedere” cerca “attraverso un dialogo strutturato con le Autorità civili, di contribuire al progresso di ogni popolo e di tutta l'umanità nella giustizia e nella pace”. “Universale per sua natura”, “al di sopra degli interessi particolaristici o regionali”, la Chiesa vuole “promuovere uno Stato umano”, “che riconosca come suo primario dovere la difesa dei diritti fondamentali della persona umana, specialmente di quella più debole”. Infatti “una democrazia senza valori, - ha dichiarato il Papa - “si trasforma in tirannia del relativismo, in una perdita della propria identità e, a lungo andare, può degenerare in totalitarismo aperto o insidioso, come la storia ha più volte mostrato”.

 

Parlando all’ambasciatore, Erik Malmborg Lilholt, della Danimarca, Benedetto XVI ha affrontato due temi cruciali per l’Europa, l’integrazione dei popoli in particolare degli immigrati, che “richiede ad ogni gruppo di raggiungere un giusto bilancio tra l’affermazione della propria identità e l’accettazione di quella degli altri” e il dialogo  ecumenico e interreligioso che trae importante profitto da questa cooperazione.

        

In questo ambito, il Papa rivolto all’ambasciatore Pekka Ojanen della Finlandia ha lodato la nuova legge sulla libertà religiosa in questo Paese, “che dà alle religioni una autonomia più grande e una equiparazione legale soprattutto in campo educativo”, promuovendo “il contributo che ogni religione può portare al bene comune di tutto il popolo”.

 

L’urgenza della pace nel discorso rivolto invece all’ambasciatore Madan Kumar Bhattarai del Nepal, afflitto come altri Paesi della regione dalla violenza, auspicando che “tutte le parti in conflitto pongano fine allo spargimento di sangue che causa così tanta sofferenza” e “imbocchino il cammino del dialogo e del negoziato, che solo può garantire a tutto il popolo nepalese” “giustizia, tranquillità e armonia”.

 

Riferendosi infine all’ambasciatore Francisco A. Soler del Salvador, Benedetto XVI ha osservato - che “i miglioramenti nella sfera del sociale non si raggiungono solo attraverso l’adozione di misure tecniche, ma anche promuovendo riforme con una base umana e morale, che rispettino la sfera etica della persona, della famiglia e della società.” Del resto - ha aggiunto rivolto all’ambasciatore Gilbert Ramez Chagoury di Santa Lucia - il diritto a un lavoro dignitoso, a livelli di vita accettabili e l’uso responsabile delle risorse naturali” dipendono da “un’idea di sviluppo non limitata alla mera soddisfazione di necessità materiali”.

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LA SORTE DEI BAMBINI MORTI SENZA BATTESIMO, IL DIALOGO COL MONDO LAICO

SUI VALORI UNIVERSALI DELL’UMANITA’, IL METODO DELLA TEOLOGIA CATTOLICA:

QUESTI I TEMI TOCCATI DAL PAPA RICEVENDO I PARTECIPANTI ALLA PLENARIA

DELLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

- Intervista con padre Luís Ladaria -

 

La sorte dei bambini morti senza Battesimo, la legge morale naturale e il metodo della teologia cattolica sono stati al centro stamane del discorso del Papa ai membri della Commissione Teologica Internazionale, che sta trattando questi tre temi nella sua plenaria in corso in Vaticano. Un incontro definito familiare dallo stesso Benedetto XVI che, prima della sua elezione al Soglio Pontificio, ha presieduto per quasi ventiquattro anni la Commissione Teologica Internazionale in qualità di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il servizio di Sergio Centofanti.

 

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Benedetto XVI considera il tema della legge morale naturale “di speciale  rilevanza per comprendere il fondamento dei diritti radicati nella natura della persona e, come tali, derivanti dalla volontà stessa di Dio creatore”:

 

“Anteriori a qualsiasi legge positiva degli Stati, essi sono universali, inviolabili e inalienabili, e da tutti quindi devono essere riconosciuti come tali, specialmente dalle autorità civili, chiamate a promuoverne e garantirne il rispetto. Sebbene nella cultura odierna il concetto di "natura umana" sembri essersi smarrito, rimane il fatto che i diritti umani non sono comprensibili senza presupporre che l’uomo, nel suo stesso essere, sia portatore di valori e di norme da riscoprire e riaffermare, e non da inventare o imporre in modo soggettivo e arbitrario”. 

 

“In questo punto – ha proseguito il Pontefice -  il dialogo col mondo laico è di grande importanza: deve apparire con evidenza, che la negazione di un fondamento ontologico dei valori essenziali della vita umana finisce inevitabilmente nel positivismo e fa dipendere il diritto dalle correnti di pensiero dominanti in una società, pervertendo così il diritto in uno strumento del potere invece di subordinare il potere al diritto”.

 

Passando al tema del metodo della teologia cattolica, il Papa ha affermato che “la teologia non può nascere se non dall’obbedienza all’impulso della verità e dell’amore che desidera conoscere sempre meglio colui che ama”, cioè  Dio stesso che “nella sua infinita bontà, si è fatto conoscere, soprattutto nel suo Figlio Unigenito”. “La rivelazione di Cristo – ha aggiunto - è di conseguenza il principio normativo fondamentale per la teologia. Essa si esercita sempre nella Chiesa e per la Chiesa, nella fedeltà alla Tradizione apostolica. Il lavoro del teologo deve, pertanto, svolgersi in comunione con il Magistero vivo della Chiesa e sotto la sua autorità”:

 

“Considerare la teologia un affare privato del teologo significa misconoscerne la stessa natura. Soltanto all’interno della comunità ecclesiale, nella comunione con i legittimi Pastori della Chiesa, ha senso il lavoro teologico che richiede certamente la competenza scientifica, ma anche e soprattutto lo spirito di fede e l’umiltà di chi sa che il Dio vivo e vero, oggetto della sua riflessione, oltrepassa infinitamente le capacità umane. Soltanto con la preghiera e la contemplazione si può acquisire il senso di Dio e la docilità all’azione dello Spirito Santo, che renderanno la ricerca teologica feconda per il bene di tutta la Chiesa”.

 

“Qui – ha detto il Papa - si potrebbe obiettare: ma una teologia così definita è ancora scienza, e in conformità con la nostra ragione? Sì – ha proseguito -  razionalità, scientificità è pensare nella comunione della Chiesa non solo non si escludono, ma vanno insieme. Lo Spirito Santo introduce la Chiesa nella pienezza della verità, la Chiesa è in servizio della verità e la sua guida è educazione alla verità”. Benedetto XVI  ha quindi ha accennato anche ad un altro importante tema al centro della plenaria della Commissione Teologica Internazionale: quello della sorte dei bambini morti senza Battesimo nel contesto della volontà salvifica universale di Dio, della mediazione unica di Gesù Cristo e della sacramentalità della Chiesa.

 

Su questo argomento ha parlato nel suo indirizzo di saluto il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’arcivescovo William Joseph Levada, che partecipa per la prima volta in qualità di presidente ad una sessione della Commissione Teologica Internazionale.  Nell’odierna stagione di relativismo culturale e di pluralismo religioso – ha detto il presule -  il numero dei bambini non battezzati aumenta considerevolmente. In questa situazione, i percorsi per raggiungere la via della salvezza appaiono sempre più complessi e problematici”. La Chiesa – ha aggiunto - è consapevole che la salvezza  “è unicamente raggiungibile in Cristo per mezzo dello Spirito. Ma essa non può rinunciare a riflettere, in quanto madre e maestra, sulla sorte di tutti gli uomini creati ad immagine di Dio, e in modo particolare dei più deboli e di coloro che non sono ancora in possesso dell’uso della ragione e della libertà. La discussione in questo ambito  - ha sottolineato mons. Levada - è stata molto proficua e si può ben sperare che in tempi ragionevolmente brevi lo studio intrapreso dalla Commissione Teologica avrà esito positivo anche in vista della eventuale pubblicazione di un Documento al riguardo.”   

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Ma qual è la Dottrina cattolica sui bambini morti senza Battesimo? Giovanni Peduto lo ha chiesto al padre gesuita Luís Ladaria, segretario generale della Commissione Teologica Internazionale:

 

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R. – Prima di tutto dobbiamo dire che su questo punto non c’è una definizione dogmatica, non c’è una dottrina cattolica che sia vincolante. Noi sappiamo che per molti secoli si è pensato che questi bambini andavano al Limbo, dove godevano di una felicità naturale, ma non avevano la visione di Dio. Questa credenza, oggi, dai recenti sviluppi non soltanto teologici, ma anche magisteriali, è in crisi. Noi, dunque, stiamo adesso studiando questo problema sapendo che è un punto sul quale un pronunciamento definitivo non c’è stato.

 

D. – In questo contesto vanno considerati la volontà di Dio di salvare tutti gli esseri umani e l’unicità della mediazione di Cristo, nonché la sacramentalità della Chiesa in ordine alla salvezza…

 

R. – Questi sono dei parametri fondamentali, a partire dai quali questo problema deve essere affrontato. Evidentemente noi dobbiamo partire dal fatto che Dio vuole la salvezza di tutti e non vuole escludere nessuno. E dobbiamo partire dal fatto che Cristo è morto per tutti gli uomini e che la Chiesa è un Sacramento universale di salvezza, come insegna il Concilio Vaticano II. Se noi, dunque, partiamo da questi presupposti, il problema della necessità del Battesimo si colloca in una cornice più ampia.

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ALTRE UDIENZE

 

In mattinata il Santo Padre ha ricevuto  anche alcuni presuli della Conferenza Episcopale della Polonia, in visita "ad Limina". Il Papa questo pomeriggio riceverà il cardinale Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e del Pontificio Consiglio "Cor Unum".

 

 

IL PAPA NOMINA TEOLOGO DELLA CASA PONTIFICIA

IL PADRE DOMENICANO WOJCIECH GIERTYCH

 

Il Papa ha nominato Teologo della Casa Pontificia il padre domenicano Wojciech Giertych, membro del Consiglio generale dell'Ordine dei Frati Predicatori, professore di Teologia morale presso la Pontificia Università San Tommaso d'Aquino in Roma e nello Studium della Provincia domenicana di Polonia in Cracovia. Padre Giertych è nato a Londra  il 27 settembre 1951 da famiglia polacca. Ha emesso la professione nell'Ordine dei Frati Predicatori il 15 agosto 1976 ed è stato ordinato Sacerdote il 20 giugno 1981. Ha conseguito il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino in Roma; è anche Magister in Storia. E' stato Maestro dei Frati studenti della Provincia domenicana di Polonia, alla quale appartiene. E' stato Socio del Maestro Generale dell'Ordine per l'Europa Centrale e Orientale (1998‑2002) e, attualmente, per la Vita Intellettuale. Parla 6 lingue: polacco, inglese, francese, italiano, spagnolo, tedesco, russo.

 

 

 

ALTRE NOMINE

 

Il Santo Padre ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Chicago il rev. George J. Rassas, del clero della medesima arcidiocesi, vicario generale, assegnandogli la sede titolare vescovile di Reperi. Il rev. George J. Rassas è nato il 26 maggio 1942 ed è stato ordinato sacerdote  il 2 maggio 1968. 

 

Il Santo Padre ha poi accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Guarda, in Portogallo, presentata da mons. António dos Santos, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Gli succede mons. Manuel da Rocha Felício, finora vescovo coadiutore della medesima diocesi.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Prima pagina – “I responsabili delle Nazioni e tutti gli uomini di buona volontà si diano la mano per far cessare la violenza che sfigura l’umanità”: Benedetto XVI ricevendo gli ambasciatori di undici Paesi per la presentazione delle Credenziali lancia un rinnovato appello all’impegno per la pace ad ogni livello della vita sociale, cominciando dalla famiglia.

 

Servizio vaticano - Un articolo dal titolo “La preghiera per la Chiesa missionaria al Santuario della Madonna di La Vang”: la visita pastorale in Vietnam del cardinale Crescenzio Sepe.

 

Servizio estero - Iraq: Bush afferma che gli Stati Uniti resteranno finché sarà necessario.  

 

Servizio culturale - Un articolo di Franco Patruno dal titolo “La figura di Papa Wojtyla è emersa con dignità e con autorevolezza”: considerazioni sul film “Giovanni Paolo II” di John Kent Harrison.

 

Servizio italiano - In primo piano il tema dell’aborto: iniziative per dare vera attuazione alla 194; da CDL e Unione diverse proposte.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

1 dicembre 2005

 

 

“FERMIAMO L’AIDS. MANTENIAMO LA PROMESSA”: È L’APPELLO DELLE NAZIONI UNITE

PER L’ODIERNA GIORNATA MONDIALE CONTRO L’AIDS

- Con noi, la dott.ssa Paola Germano e il dott. Gianfranco Morino -

 

Le cifre diffuse dall’Agenzia delle Nazioni Unite contro l’AIDS (UNAIDS) sono allarmanti! E’ quanto ha affermato ieri Benedetto XVI al termine dell’udienza generale, in vista dell’odierna Giornata mondiale contro l’AIDS, sottolineando come la cura degli infermi sia parte integrante della missione della Chiesa. Tema di quest’anno: “Fermiamo l’AIDS. Manteniamo la promessa”. Una promessa sancita nel giugno del 2001, quando i governi di tutto il mondo, riuniti nel Palazzo di Vetro dell’ONU, firmarono la Dichiarazione d’Impegno contro l’HIV/AIDS, disponendo sforzi per la prevenzione, la cura e il sostegno di tutti i malati, che hanno raggiunto quest’anno la cifra record di 40,3 milioni. Il servizio di Roberta Moretti:

 

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Le ultime stime parlano di un’epidemia in espansione, con 5 milioni di nuovi contagiati e più di 3 milioni di morti solo nel 2005, tra cui 570 mila bambini con meno di 15 anni. Con 25,8 milioni di sieropositivi o malati, il 64 per cento del numero totale nel mondo, resta l’Africa subsahariana la regione più colpita, mentre si registra un picco di contagi in Europa dell’Est, Asia centrale e Federazione Russa. Nella regione, le infezioni dovute a trasmissione sessuale e all’uso di droga sono incrementate di un quarto, con 1,6 milioni di contagiati, e i decessi sono addirittura duplicati, con 62 mila morti nell’ultimo anno. Per la lotta all’AIDS nei Paesi in via di sviluppo, la comunità internazionale destina attualmente 8 miliardi di dollari l’anno, rispetto ai 300 milioni di 10 anni fa, come sottolinea, nel messaggio per la Giornata, il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan. Ed oggi i riflettori sono puntati soprattutto sulle terapie di contenimento: con i nuovi farmaci antiretrovirali è possibile, infatti, condurre una vita quasi normale. C’è da dire, inoltre, che circa il 27 per cento dei centri per la prevenzione e la cura del virus nel mondo sono cattolici. Tra questi, ricordiamo il Programma DREAM della Comunità di Sant’Egidio, con oltre 25 mila pazienti in tutta l’Africa. La dott.ssa Paola Germano, coordinatrice del Programma:

 

R. – L’Obiettivo del nostro programma è soprattutto curare le donne in gravidanza, prevenire che i bambini nascano con l’AIDS, con la treat terapia. Allo stesso tempo, curare le madri per non creare una generazione di orfani. La donna africana ha un ruolo molto importante nella famiglia e nella società. Una donna africana incinta non ha soltanto quel bambino che deve nascere, ma ne ha molti altri. E quando viene a mancare, non solo genera orfani, ma crolla tutta la famiglia. 

 

Ed è proprio sulla solidità famigliare che punta il presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, cardinale Javier Lozano Barragán. Nel  messaggio per la Giornata, il porporato indica la necessità di combattere l’AIDS attraverso l’educazione dei figli “alla retta comprensione dell’attività sessuale, quale dono di Dio per la donazione amorevole piena e feconda”. Un appello alla speranza e all’ottimismo viene, infine, dal SECAM, il Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar, che così richiama la comunità internazionale: “Il continente africano non ha bisogno di pietà, ma di amore genuino, solidarietà e giustizia”.

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Come abbiamo ascoltato, resta l’Africa la regione più colpita dal virus HIV. Tuttavia, le stime parlano anche di un declino dei casi d’infezione in alcuni Paesi, tra cui il Kenya. Per una riflessione su questo dato, ascoltiamo, al microfono di Roberta Moretti, il dott. Gianfranco Morino, medico nelle baraccopoli di Nairobi e fondatore del programma per la lotta all’AIDS, World Friends:

 

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R. – Nella mia esperienza ho visto che i dati che riguardano soprattutto la sieroposività e poi l’Aids conclamato sono spesso ospedalieri. La stragrande maggioranza dei pazienti viene dalle baraccopoli e spesso non accede agli ospedali per motivi finanziari. Per cui, o rimangono malati in baracca, oppure, comunque, sono sieropositivi senza saperlo, perché non accedono ai test. Allora la mia domanda è: può davvero la UNAIDS essere così sicura di dati riferiti alla popolazione in generale, quando è davvero difficile il monitoraggio?

 

D. – Qual è la situazione concreta che vivono i malati di AIDS in queste baraccopoli?

 

R. – E’ una situazione di ultimi tra gli ultimi. Quello che succede in città non succederebbe nelle campagne, perché nell’Africa rurale, nonostante le povertà presenti, c’è ancora la famiglia e la comunità. Nelle baraccopoli i bambini si vedono scomparire la famiglia intorno: prima il padre, che magari non è mai esistito, o che si ammala e poi muore; poi, la mamma ed infine i fratellini più piccoli, che hanno preso il virus dalla madre. Rimangono questi bambini di 9, 10 anni, che non fanno che ingrossare le fila dei ragazzi di strada.

 

D. – Cos’è davvero possibile fare, dal suo punto di vista, per vincere l’AIDS?

 

R. – Investire sull’educazione e la prevenzione, avendo come obiettivo principale un’età che va dagli 8 ai 15 anni e poi giovani tra i 15 e i 18 anni. Perché purtroppo ci siamo già persi una generazione, che è quella che va dai 20 ai 40 anni, dove c’è la grande maggioranza di malati di AIDS. Per cui, il nostro programma nelle scuole, che tra l’altro è l’unico riconosciuto a Nairobi dal ministero dell’Educazione, sta avendo, dopo alcuni anni, i primi successi. Ad esempio, nella riduzione degli abusi sessuali da parte degli insegnanti, nella riduzione delle gravidanze nelle adolescenti, tutto con la formazione degli insegnanti, dei genitori per chi ce l’ha e soprattutto dei ragazzi.

 

D. – Abbiamo parlato di prevenzione. Per quanto riguarda invece la terapia, a che punto siamo e quali risultati sono stati ottenuti?

 

R. – Meglio che in passato, perché solo alcuni anni fa la terapia anti-retrovirale costava mille dollari al mese. Un abitante delle baraccopoli che lavora, anche se l’80 per cento sono disoccupati, guadagna sui 20-25 dollari al mese. Adesso, naturalmente, con le campagne, principalmente quelle del Sudafrica, si è raggiunta sicuramente una diminuzione dei prezzi. E qui attualmente costa sui 30-35 euro al mese. Saranno circa 300 mila pazienti con l’AIDS che necessitano di terapia antiretrovirale: attualmente, solo il 5 per cento è sotto terapia.

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QUINDICI ANNI A TUTELA DEI DIRITTI UMANI E DELLA DIGNITÀ DELLA PERSONA

 IN AMBITO BIOMEDICO: NEL 1990 NASCEVA

IL COMITATO NAZIONALE DI BIOETICA ITALIANO

- Intervista con Francesco D’Agostino -

 

Quindici anni d’impegno per il Comitato Nazionale di Bioetica italiano. Dal 1990 il Comitato opera a tutela dei diritti umani e della dignità della persona in ambito biomedico. Con un convegno che si è aperto ieri alla Camera e proseguirà fino al 3 dicembre presso il CNR il mondo istituzionale e scientifico s’interroga sulle future sfide bioetiche che la società si trova ad affrontare. Per un bilancio di questa lunga attività Stefano Leszczynski ha intervistato il professor Francesco D’Agostino, presidente del Comitato Nazionale di Bioetica:

 

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R. - Il Comitato ha seguito con attenzione l’evolversi vorticoso della biomedicina in questi ultimi anni, affrontando esplicitamente tematiche complesse come la clonazione, la manipolazione genetica, le forme più recenti di sperimentazione dei farmaci, il problema delle nanotecnologie e della biometria. Non c’è tema della biomedicina contemporanea che il Comitato nazionale non abbia consapevolmente affrontato.

 

D. – Il Comitato nazionale, in questo senso, si è posto anche come punto di riferimento non solo per la comunità scientifica, ma anche per il mondo politico…

 

R. – Molto spesso l’opinione pubblica può cadere in inganno quando vede che su alcune questioni di massimo interesse, una tra tutte la fecondazione assistita, la classe politica mantiene una assoluta capacità di iniziativa e una relativa poca attenzione verso il Comitato nazionale. Ma quando prendiamo in considerazione il 90 per cento delle questioni bioetiche rilevanti, che hanno bisogno di regolamentazione normativa e che magari non arrivano sulla prime pagine dei quotidiani, su questo tipo di problemi noi veramente possiamo dire che il Parlamento ci ha sempre dedicato la massima attenzione ed ha sempre considerato con il massimo interesse i nostri pronunciamenti.

 

D. – Qual è la questione che in questo momento impegna maggiormente il Comitato?

 

R. – Abbiamo appena approvato documenti che hanno per oggetto l’alimentazione dei pazienti in coma persistente e l’eventualità di introdurre dei tagli alla cosiddetta adozione prenatale degli embrioni congelati, prodotti per finalità di procreazione assistita e poi abbandonati nei centri e nelle banche degli embrioni. I temi che andremo ad affrontare nelle prossime settimane sono diversi, i più importanti sicuramente sono quelli che riguardano gli anziani e subito dopo abbiamo il problema, che è diventato comunque urgente, dell’aiuto alle donne in gravidanza.

 

D. – Le materie che voi trattate spesso vi trovano vicini alle posizioni che sono poi le posizioni espresse dalla Chiesa, posizioni di tipo etico e religioso. Come riuscite a dirimere la questione di fronte alla società e di fronte al mondo laico?

 

R. – Io sono convinto che la bioetica riguardi il bene umano fondamentale e il bene umano fondamentale è preconfessionale. Non può, cioè, essere oggetto di riflessione semplicemente o strettamente religiosa. Da questo punto di vista, è vero che noi ci confrontiamo con moltissime tematiche cui la Chiesa dedica il proprio interesse, ma ricordiamoci che, quando la Chiesa entra nell’ambito morale, lo fa in quanto ritiene di essere maestra di umanità, prima ancora di ritenere di avere il dovere di propagare il Vangelo di Cristo. In altre parole, la dottrina bioetica della Chiesa riguarda tutti gli uomini, di qualunque confessione religiosa o addirittura senza alcuna confessione religiosa. E’ in discussione il bene umano, prima ancora che un bene religioso. Ecco perché il Comitato di bioetica, giustamente, può considerare se stesso laico nel suo principio ma di una laicità che non esclude il dialogo con la Chiesa, con qualunque altra confessione religiosa. Una laicità che attira continuamente questo dialogo nel segno comune di riferimento del bene dell’uomo.

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ANCHE UNA CAMPAGNA DI SMINAMENTO IN BOSNA ERZEGOVINA

NELLE INIZIATIVE PER LA TREGUA OLIMPICA 2006

- Intervista con Giuseppe Schiavello -

 

Presentata ieri a Bruxelles la risoluzione del Parlamento europeo sulla Tregua olimpica per i XX Giochi olimpici invernali, in programma a Torino a febbraio 2006. Un’iniziativa voluta dal Comitato internazionale olimpico (CIO) con chiaro riferimento all’antica Grecia, dove, per permettere lo svolgimento dei giochi, veniva garantita l'inviolabilità della città di Olimpia e l'incolumità di coloro che vi si recavano. Oggi la tregua è anche un’occasione per saldare indissolubilmente gli ideali dello sport ai valori della pace, del dialogo e del rispetto tra i popoli. Tra le iniziative collegate alla Tregua olimpica 2006, anche il progetto di bonifica dalle mine antiuomo della zona di Sarajevo, in Bosnia-Erzegovina. Al microfono di Giada Aquilino, ce ne parla Giuseppe Schiavello della Campagna italiana contro le mine, organizzazione che promuove il progetto:

 

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R. - La Campagna italiana contro le mine ha voluto aggiungere un altro significato alla Tregua olimpica, proponendo il sostegno a un progetto di bonifica per il Monte Trebevic, che domina la città di Sarajevo. È un simbolo della convivenza pacifica in Bosnia-Erzegovina: rappresentava la meta domenicale per tutti i cittadini della municipalità ma, durante la guerra civile del ’92 – ‘95, l’altura è stata utilizzata come punto da dove sparare con i mortai su Sarajevo. I vari eserciti avanzavano e indietreggiavano, minando di volta in volta alcuni tratti di quel territorio. Il Monte Trebevic, inoltre, nel 1984 ha ospitato i Giochi olimpici invernali. Quindi, ora l’iniziativa può avere anche il significato di voler ricostruire qualcosa oltre la devastazione di quel periodo.

 

D. - Oggi, in Bosnia-Erzegovina, qual è l’entità del pericolo mine?

 

R. – La Bosnia-Erzegovina ha il 4 per cento dei suoi territori minati. Bisogna anche pensare che essendo dei territori boschivi sono particolarmente insidiosi sia per gli sminatori, sia per la popolazione.

 

D. – Nello specifico, cosa prevede il progetto?

 

R. – Prevede di bonificare parte dei 600 mila mq del Monte Trebevic, dove sono installate strutture turistiche sportive: negli anni addietro c’era una pista di bob in questo tratto di montagna. Ma dalla stessa zona poi i cecchini hanno sparato con mortai e fucili di precisione. A Sarajevo, camminando per le strade, ancora si possono vedere quelle che in Bosnia vengono chiamate “rose di Sarajevo”, buche scavate da colpi di mortaio caduti in mezzo alla città e che poi sono state riempite di resina rosa, un po’ a monito, un po’ a ricordo simbolico di quei giorni terrificanti della guerra.

 

D. – Negli anni Novanta, dalle divisioni tra serbi, croati e musulmani scaturirono le violenze balcaniche che tutti ricordiamo. Com’è oggi la situazione sul terreno?

 

R. - La cosa significativa è proprio che i gruppi di bonifica sono composti da appartenenti alle tre etnie. La situazione sembra normalizzarsi, ma sappiamo che i brutti ricordi sono duri a morire. La speranza è che, attraverso la ricostruzione ed i progetti umanitari, queste persone imparino a stare insieme di nuovo e a ricostruire un territorio comune su cui vivere.

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CHIESA E SOCIETA’

1 dicembre 2005

 

Dopo le promesse, ora fermate la guerra: Così l’arcivescovo di Gulu,

John Baptist Odama, rivolgendosi ai ribelli dell’eservito di resistenza

del signore, che da circa 20 anni insanguinano il nord dell’Uganda

 

KAMPALA. = “Venite allo scoperto e trasformate in azioni concrete le vostre promesse di pace”. Lo ha affermato l’arcivescovo di Gulu, John Baptist Odama, dopo che un comandante dell’Esercito di resistenza del signore (Lord’s resistance army, LRA) si è detto “pronto alle trattative”. “Anche il governo ugandese – ha dichiarato il presule - dovrebbe cogliere questa offerta per costruire un clima di fiducia reciproca”, sottolineando l’importanza di uno sforzo da parte di tutti per promuovere la pace. Poche settimane fa la Corte penale internazionale (CPI) ha emesso 5 mandati di cattura contro il fondatore dello LRA, Joseph Kony, e altri 4 comandanti, tra cui Vincent Otti, che stamani avrebbe avanzato l’offerta di dialogo parlando a un giornalista della ‘Bbc’. Per l’arcivescovo Odama se i ricercati si faranno avanti, la Corte potrebbe sospendere il provvedimento contro di loro. Secondo informazioni di stampa, invece, la procura della CPI – che indaga su reati di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità – avrebbe già fissato una data per l’inizio del processo, nell’estate del 2006.  “La gente chiede giustizia – prosegue il presule – e la proposta dei ribelli dimostra che sono pronti anche a difendersi davanti alla CPI”. La gente vuole giustizia, tuttavia l’arcivescovo di Gulu, sottolinea la necessità di porre fine alla guerra, prima di tutto. La riconciliazione, precisa Odama, “per ora può iniziare solo su piccola scala: tra le famiglie, i villaggi e all’interno dei campi profughi”, dove secondo stime recenti si trovano non meno di un milione e mezzo di civili fuggiti negli anni alle feroci scorribande dei ribelli. “Poi – secondo il presule - è necessario anche pensare ad iniziative di riconciliazione più ampie, per risolvere i contrasti tra le tribù dei distretti settentrionali del Paese”. Per questo, conclude l’arcivescovo di Gulu, “è necessaria un’iniziativa per la verità e la riconciliazione sul modello del Sudafrica, nella quale anche la Chiesa è pronta a svolgere un ruolo concreto”. (E. B.)

 

 

Bisogna combattere la povertà e le malattie per garantire lo sviluppo

di timor est. Lo ha affermato mons. Carlos Ximenes Belo, vescovo emerito

di Dili, in occasione del 30 esimo anniversario dell’indipendenza dell’isola

 

DILI. = “Abbiamo già raggiunto l’indipendenza, ma ora abbiamo bisogno di un vero sviluppo”. È quanto ribadito da mons. Carlos Ximenes Belo, vescovo emerito di Dili e premio Nobel per la Pace, in occasione del 30° anniversario dell’indipendenza di Timor Est dalla città portoghese di Pamela, dove si è ritirato. “Dobbiamo soprattutto combattere contro la povertà – ha continuato mons. Belo – la malaria, la tubercolosi e altre malattie; ma anche contro il pessimismo e l’impazienza”. Colonia portoghese per 450 anni, la parte orientale dell’isola di Timor ottenne l’autonomia il 28 novembre 1975, ma il giorno successivo venne occupata dall’Indonesia che sancì il suo governo con un controverso referendum. Belo ottenne nel 1996 l’onorificenza dell’Accademia di Oslo insieme a José Ramos-Horta, ex dissidente e attuale ministro degli Esteri di Timor Est, entrambi premiati per il loro impegno ad una soluzione pacifica del conflitto est timorose. Più di 1500 persone furono uccise nel corso della repressione indonesiana alla dichiarazione d'indipendenza di Timor Est nel 1999 e furono distrutti il 70% delle infrastrutture dell’Isola. Timor Est, dopo un interregno dell’ONU, è di nuovo ufficialmente indipendente dal 20 maggio 2002, tuttavia, la sua economia stenta a decollare. (E. B.)

 

 

In Indonesia le proteste dei fedeli evitano la distruzione

di CINQUE chiese protestanti da parte delle autorità

 

JAKARTA. = Le proteste di gruppi di abitanti del Tangerang regency, nella provincia di Banteng, hanno evitato ieri la distruzione di cinque chiese protestanti da parte delle autorità, che sono ora incerte se portare a termine o meno la ‘demolione’. Il governo del Tangerang aveva reso noto che le chiese, situate in una zona 50 km a ovest di Jakarta, sono state costruite senza alcun tipo di permesso e su terreni pubblici. Le Forze dell’ordine, conosciute come “Satuan Polisi Pamong praja (Satpol PP)” avrebbero dovuto portare avanti le operazioni di demolizione. Hendri Manalu, portavoce della chiesa protestante indonesiana, ha chiesto alle autorità di non abbatterle affermando che le chiese sono state costruite 5 anni fa senza violare nessun regolamento. Manalu ha poi aggiunto che il piano di demolizione sembra essere collegato a un programma economico di aziende locali. Già a settembre dell'anno scorso, infatti, un’azienda statale aveva cercato di concordare con gli abitanti un piano per costruire un complesso commerciale su questo terreno. “Queste persone - continua Manalu - si definivano come rappresentanti dello Stato". Generalmente la costruzione abusiva di edifici sacri viene, tuttavia, spiegata con l’estrema difficoltà nell’ottenere dalle autorità pubbliche i permessi per costruire legalmente. Capita così che dopo aver lungamente atteso, gruppi di fedeli decidano di costruirsi la propria chiesa. Le cinque chiese a rischio demolizione sono: la chiesa pentecostale protestante, la chiesa pentecostale indonesiana, la chiesa cristiana Batak, la chiesa pentecostale alleluia e la chiesa Bethel. Oltre alle chiese il Satpol PP avrebbe dovuto demolire anche una piccola moschea nota come mushola. (E. B.)

 

 

il Sudafrica si avvia a diventare il primo Paese in Africa a consentire il matrimonio fra persone dello stesso sesso. una controversa sentenza

della corte costituzionale rinvia al parlamento la decisione finale

 

PRETORIA. = La Corte costituzionale sudafricana si è pronunciata oggi a favore del matrimonio omosessuale dando al Parlamento un anno per modificare la legge. L’attuale definizione legale – afferma la controversa sentenza della Corte costituzionale - del matrimonio “è dichiarata incompatibile con la Costituzione e non valida nella misura in cui non permette alle coppie dello stesso sesso di beneficiare dello status, dei vantaggi, delle responsabilità, concessi alle coppie eterosessuali”. La legge del 1961 sulla quale si è pronunciata la Corte costituzionale definisce il matrimonio come “un’unione di un uomo e una donna a esclusione di chiunque altro”. Il governo aveva chiesto alla Corte di pronunciarsi in seguito ad una sentenza del 2004 della Corte suprema che aveva ritenuto incostituzionale la definizione del matrimonio in quanto “unione tra un uomo e una donna”. Il procedimento legale era stato avviato da una coppia di donne, che vive insieme dal 1994 e che voleva sposarsi. Sulla scia della sentenza della Corte il Sudafrica si avvia a diventare il primo Paese a consentire il matrimonio fra persone dello stesso sesso in Africa. (E. B.)

 

 

In albania Migliorano le condizioni della missionaria aggredita mercoledì da due uomini nel suo convento

 

TIRANA. = Due uomini armati e a volto coperto hanno fatto irruzione nella notte di martedì scorso nella casa delle suore della Carità di S. Giovanna Antida Thuret a Klos Fane, nel centro nord dell’Albania, ferendo in maniera grave una suora di origine svizzera e in maniera più lieve due sue consorelle italiane. L’agenzia MISNA, citando fonti della congregazione contattate in Italia, ha precisato che suor Marilyse Berra, raggiunta da un proiettile al braccio e con alcune ferite da arma da taglio all’addome, ha riportato le conseguenze più gravi. La religiosa è stata operata ieri mattina e adesso le sue condizioni sono state definite buone. Dopo l’operazione, infatti, è stata suor Marilyse stessa che ha rassicurato alcune consorelle sul suo stato. È stata dimessa ieri, invece, suor Gennarina Neri. Sta bene, infine, suor Franca Calabrese che è l’unica ad essere rimasta nella casa di Klos Fane. Nessun nuovo elemento è emerso riguardo alle motivazioni  dell’aggres-sione. Le tre suore sono impegnate da anni in attività sociali e sanitarie rivolte prevalentemente agli abitanti dei piccoli villaggi che sorgono sulle pendici del monte sulla cui cima sorge Klos Fane. (E. B.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

1 dicembre 2005

 

- A cura di Amedeo Lomonaco e Fausta Speranza -

 

In Iraq, è in corso una vasta offensiva dei ribelli a Ramadi, città della turbolenta provincia di Al Anbar, nel centro del cosiddetto ‘triangolo sunnita’. Il nostro servizio:

 

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Ramadi, roccaforte della guerriglia sunnita, è una città in stato d’assedio. Centinaia di ribelli hanno preso d’assalto una base militare americana e un edificio governativo. Gli insorti hanno istituito posti di blocco in vari punti della città e presidiano le principali strade di Ramadi. Secondo testimoni oculari, partecipano all’offensiva oltre 400 miliziani integralisti organizzati in pattuglie. Fonti locali sostengono che sono ribelli appartenenti al gruppo del terrorista giordano Al Zarqawi. L’azione degli insorti non è condotta solo con le armi. I ribelli, infatti, hanno distribuito volantini nei quali si afferma che il controllo di Ramadi è stato assunto da ‘al Qaeda’. Fonti giornalistiche presenti a Ramadi dichiarano che, al momento, le truppe americane e le forze irachene sembrano assenti. Intanto, illustrando il documento diffuso dalla Casa Bianca intitolato “Strategia per la vittoria in Iraq”, il presidente americano, George Bush, ha detto ieri che fin quando sarà lui al comando, “l’America non scapperà” dallo Stato arabo. Sulla missione delle truppe americane in Iraq, Bush ha ribadito che non sarà fissato un calendario. Gli Stati Uniti - ha spiegato - resteranno nel  Paese arabo per tutto il tempo necessario. Il capo della Casa Bianca ha quindi definito un “compito enorme” l’addestramento delle forze di sicurezza irachene per garantire la stabilità in Iraq. Riconoscendo alcuni errori fatti in passato, Bush ha poi affermato che le elezioni irachene del prossimo 15 dicembre costituiscono un appuntamento cruciale. “Il nostro obiettivo – ha aggiunto – è una vittoria completa”. Il nemico – ha concluso il presidente americano – deve essere sconfitto su tutti i versanti di battaglia e l’Iraq costituisce il fronte centrale della lotta contro il terrorismo”. Il piano messo a punto dagli Stati Uniti prevede in Iraqscacco matto’ agli insorti con le seguenti 8 mosse: sconfitta dei ribelli, transizione del Paese alla piena autonomia, formazione di un governo democratico, realizzazione dei servizi essenziali per la popolazione, sviluppo economico, promozione dei diritti civili, aiuti internazionali e consenso da parte dell’opinione pubblica alle forze della coalizione.

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 Israele si prepara già alle elezioni anticipate del 28 marzo prossimo. Ariel Sharon e Shimon Peres hanno deciso di unire le forze e di appoggiare insieme il progetto del nuovo partito centrista Kadìma, fondato del premier israeliano. Peres ha infatti annunciato ieri la sua decisione di uscire dal Labour, dopo oltre mezzo secolo di militanza.

 

 Il protocollo di Kyoto, entrato in vigore nel febbraio scorso, da ieri è pienamente operativo. La Conferenza mondiale sul clima, in corso a Montreal, ha infatti adottato gli ultimi regolamenti per rendere funzionante l’accordo che limita le emissioni dei gas che provocano il cosiddetto effetto serra. Il servizio di Elena Molinari:

 

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L’intesa prevede che i 34 Paesi firmatari limitino l’emissione di CO2 fino al 2012, in base ad un complesso sistema di quote. Ora, dunque, la conferenza può dedicarsi al punto più scottante all’ordine del giorno: discutere cioè cosa fare dopo quella data e stendere un patto per il dopo Kyoto. La speranza, questa volta, è di ottenere anche l’adesione degli Stati Uniti, il Paese maggiore inquinatore del mondo, e dell’Australia, che nel 2001 ritirarono la firma al protocollo di Kyoto. E nel nuovo patto potrebbero rientrare in qualche modo anche i giganti emergenti come Cina ed India, finora esclusi dai vincoli di Kyoto, perché considerati Paesi in via di sviluppo. Ed è proprio questa distinzione ad aver suscitato il “no” di Washington. Gli USA lamentano infatti di essere penalizzati economicamente fra Paesi emergenti come Cina ed India, che consumano molte risorse e non vengono sottoposti ai doveri internazionali.

 

Elena Molinari, per la Radio Vaticana.

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 Vertice italo-spagnolo oggi a Roma, con immigrazione e prospettive finanziarie dell'Unione europea al centro dei colloqui tra il premier italiano Berlusconi e il collega spagnolo Zapatero, riuniti a Villa Madama. Sul fronte immigrazione, Roma e Madrid chiedono di convocare una conferenza euromediterranea e una riunione dei ministri degli Interni dei 25 entro la fine dell'anno.

 

 E mentre Zapatero arrivava a Ciampino, giungeva notizia dell’incidente, fortunatamente senza vittime, all’elicottero dove viaggiava il leader del Partito Popolare Mariano Rajoy. E’ precipitato poco dopo il decollo da Mostoles e mentre si apprestava a sorvolare il comune della provincia di Madrid. Con Rajoy viaggiava anche la presidente della Comunità di Madrid, Esperanza Aguirre, anche essa del Partito Popolare (PP): entrambi sono risultati illesi anche se l'elicottero è andato parzialmente distrutto.

 L’Unione ha riconosciuto a Kiev lo status di economia di mercato che consentirà alla Repubblica ex sovietica di ottenere una serie di importanti facilitazioni nell’esportazione dei propri prodotti. Il servizio è di Antonella Ratti:

 

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Si è aperto oggi a Kiev il primo vertice tra Unione Europea e Ucraina, dopo la cosiddetta “Rivoluzione arancione” della fine del 2004 che ha portato al potere, nell’ex Stato sovietico, il presidente Viktor Yushenko. All’Ucraina è stato riconosciuto lo status di economia di mercato. Il riconoscimento consentirà a Kiev di usufruire di misure protezionistiche per le esportazioni, evitando le eventuali iniziative antidumping dell’Unione. Durante il summit, sono stati anche valutati i progressi effettuati da Kiev nell’applicazione del “piano di azione” siglato nel febbraio a Bruxelles, nel quadro della “politica europea di vicinato” (European Neighbourhood Policy), istituita dalla Commissione europea nel 2003. Kiev e Bruxelles hanno siglato inoltre un memorandum di intesa nel campo dell’energia, allo scopo di consentire “nel lungo termine – secondo quanto riferisce la Commissione – un’integrazione dei rispettivi mercati energetici”. Sono stati firmati poi altrio due accordi: di partecipazione dello Stato ucraino al progetto europeo di radionavigazione via satellite (progetto Galileo) e uno di cooperazione nel campo aereo. L’ex granaio sovietico ha ormai un notevole interesse a collocare, nei ricchi mercati europei, i propri prodotti competitivi. Nei rapporti con Mosca, l’Ucraina subisce, invece, l’impasse di un’inevitabile concorrenza.

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 È arrivata ieri, al Tribunale penale internazionale dell’Aja, la prima condanna per crimini di guerra commessi in Kosovo. E’ stato condannato a 13 anni di reclusione, per l’uccisione di otto prigionieri rinchiusi in un carcere illegale, Haradin Bala, ex leader dell’UCK, l’esercito di liberazione del Kosovo. Il Tribunale internazionale ha assolto invece due ex comandanti della guerriglia albanese (UCK) accusati di crimini di guerra. E per questo oggi cittadini serbi del Kosovo hanno protestato, scendendo in strada a Gracanica, la più grande enclave serba nel Kosovo centrale. Il portavoce della polizia, Shefki Morina, ha detto che sei civili albanesi sono rimasti contusi e sei autovetture danneggiate. I soldati della KFOR, forza di pace a guida Nato, sono intervenuti bloccando il traffico lungo la strada che da Pristina conduce a Gracanica, così da evitare ulteriori incidenti.  La notizia dell'assoluzione dei due ex comandanti dell’UCK è stata accolta nel resto del Kosovo albanese con manifestazioni di gioia.  Nel pomeriggio è previsto il rientro a Pristina di Fatmir Limaj, uno dei due assolti, recluso all’Aja dal 2002 e considerato dalla popolazione albanese alla stregua di un eroe.

 

Continua la spirale di attentati contro palazzi di giustizia in Bangladesh. Un’esplosione avvenuta nei pressi di un tribunale a Gazipur, situata 30 Km a nord della capitale Dacca, ha causato stamani la morte di un uomo e il ferimento di circa 25 persone. È la seconda volta nell’arco di tre giorni che la città viene colpita da questi attacchi suicidi. Nello stesso complesso giudiziario, martedì scorso sei persone sono morte in seguito ad un agguato. La polizia attribuisce la responsabilità di questi recenti atti terroristici all’organizzazione integralista islamica ‘Jamiatul Mujahedin. 

 

 Il ministro australiano degli Affari Esteri, Alexander Downer, ha annunciato al Parlamento nazionale di aver siglato un importante accordo con Timor Est per la risoluzione della controversia sul confine marittimo tra i due Paesi. All’origine della disputa, vi è lo sfruttamento dei ricchi giacimenti di idrocarburi, che vennero scoperti nel mare di Timor all’inizio degli anni ’70. I dettagli di questo accordo, che dovrebbe garantire al piccolo Stato dell’Oceano indiano la metà dei proventi del campo petrolifero “Greater Sunrise”, saranno resi noti nel corso di una cerimonia ufficiale che si terrà a metà gennaio.

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