RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
335 - Testo della trasmissione di giovedì 1 dicembre 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Si
celebra oggi la Giornata mondiale dell’Aids: interviste con Paola Germano e Gianfranco Morino
Quindici anni fa nasceva il
Comitato nazionale di bioetica italiano: con noi Francesco D’Agostino
CHIESA E SOCIETA’:
In Albania migliorano le condizioni della
missionaria aggredita mercoledì nel suo convento
In Iraq, Ramadi in stato d’assedio. Dietro
l’attacco dei ribelli contro la città, la mano di Al
Qaeda
1 dicembre 2005
BENEDETTO XVI LANCIA UN VIBRANTE APPELLO PER LA PACE NEL MONDO
NELL’UDIENZA A 11 NUOVI AMBASCIATORI DI 4 CONTINENTI,
RICEVUTI
STAMANI IN VATICANO.
LIBERTA’
RELIGIOSA, PROMOZIONE DEI DIRITTI UMANI, DIALOGO TRA FEDI E
CULTURE, E ANCORA, DEMOCRAZIA E RELATIVISMO,
LOTTA
ALLA POVERTA’ E ALLE MALATTIE
GLI ALTRI TEMI SOTTOLINEATI DAL PAPA NEI
DISCORSI AI SINGOLI AMBASCIATORI
- A
cura di Roberta Gisotti, Alessandro Gisotti, Andrea Cocco e Ludwig
Waldmüller -
Tutti siamo chiamati ad
impegnarci fattivamente per la pace: è la vibrante esortazione di Benedetto XVI
nell’udienza ad 11 nuovi ambasciatori presso la Santa Sede - provenienti da
Africa, Asia, Europa e Continente americano - ricevuti stamani in Sala Clementina
per la presentazione delle Lettere Credenziali. Un’udienza di particolare
significato sulla quale ci riferisce Alessandro Gisotti:
**********
JE VOUDRAIS CE MATIN LANCER UN
NOUVEL APPEL…
“Pace, pace per il mondo afflitto dalle guerre”. Di fronte
agli ambasciatori di 11 nazioni di 4 continenti,
Benedetto XVI ha lanciato un nuovo appello affinché i responsabili delle nazioni
e con loro gli uomini di buona volontà, “si diano la mano per fare cessare la
violenza che sfigura l’umanità”. Una piaga, ha detto ancora, che “mortifica la
crescita e le speranze di numerosi popoli”:
SANS L’ENGAGEMENT DE TOUS…
“Senza l’impegno di tutti a lavorare per la pace e a
creare un clima di pacificazione” a partire dalle
famiglie, è stato l’avvertimento del Pontefice, “non sarà possibile avanzare
sulla via di una società pacificata”. Ha esortato gli ambasciatori a favorire
il dialogo tra i popoli. Quindi, ha espresso l’auspicio che “tutti gli uomini
del nostro tempo si impegnino in favore della pace e
della riconciliazione”, perché non basta volere la pace per ottenerla. E’ infatti necessario, ha avvertito, adoperarsi sul piano
concreto a tutti i livelli. Non ha poi mancato di segnalare l’importanza
dell’educazione delle giovani generazioni per promuovere
la cultura della pace. Benedetto XVI ha indicato la necessità “di dare alle famiglie
e alle strutture educative il modo di formarli, di trasmettere loro i valori
spirituali, morali e sociali essenziali, preparandoli così ad un futuro
migliore, ad una vera consapevolezza del proprio ruolo nella società e dei
comportamenti che devono seguire per servire il bene comune”.
Da parte sua, ha proseguito, la Chiesa cattolica non cessa
di offrire il suo contributo “formando il senso religioso negli individui, che
non può non accrescere
in ciascuno il senso della fraternità e della solidarietà”.
Assieme al discorso comune, il Papa si è soffermato sulle realtà degli 11 Paesi
rappresentati dai nuovi ambasciatori, 5 dei quali provenienti dal Continente
africano.
Tutto incentrato sulla libertà religiosa e sul dialogo tra
cristiani e musulmani per la pace, il discorso di Benedetto XVI al nuovo
ambasciatore di Algeria, Idriss Jazairy. “Solo una vera
riconciliazione – ha avvertito – il Santo Padre può permettere agli uomini di vivere
in pace”. Bisogna rinunciare alla vendetta, è stato il
suo richiamo, e rafforzare i legami di fraternità e solidarietà. Ha così ricordato
la grande figura del Beato Charles
de Foucauld, che proprio in Algeria ha vissuto come “fratello universale”. Per
difendere la sacralità della persona umana e il rispetto della libertà
religiosa, ha ribadito il Pontefice, “è necessario che
lo spirito di riconciliazione e di giustizia sia instillato nelle giovani generazioni,
attraverso la famiglia e l’educazione”. Il Papa si è soffermato sull’importanza
del perdono quale via che “conduce la persona verso un’umanità più profonda”. Tuttavia, ha proseguito, un tale comportamento deve essere
“necessariamente associato all’esigenza di giustizia”. Il perdono, ha
precisato, “non è mai un segno di debolezza, ma non può ignorare le rivendicazioni
legittime di chi ha subito un’ingiustizia”. Il Pontefice ha anche rivolto il pensiero
ai rapporti tra la comunità cattolica e quella musulmana in Algeria. “Per
superare l’ignoranza reciproca – ha evidenziato – è importante creare dei legami
di fiducia attraverso le persone”, in modo che “la libertà di
espressione delle differenze confessionali non sia un motivo di
esclusione reciproca ma piuttosto un’occasione per imparare a vivere nel rispetto
ciascuno dell’identità dell’altro”. Infine, ha voluto esprimere il proprio affetto
per i cattolici algerini, che negli anni difficili della guerra civile hanno
offerto una testimonianza significativa di fratellanza
universale.
Libertà religiosa e promozione della
pace sono stati i temi chiave del discorso di Benedetto XVI all’ambasciatore
dell’Eritrea, Petros
Tseggai Asghedom. “La Santa Sede – ha assicurato
il Papa – farà tutto ciò che è in suo potere per sostenere la comunità internazionale
nei suoi sforzi per evitare un’ulteriore escalation
militare” nel Corno d’Africa. La Chiesa, ha aggiunto, è vicina a rifugiati e
sfollati, vittime della guerra. In Eritrea, ha constatato, “gli effetti della
guerra si sommano ai danni provocati dalla carestia, dalla siccità e della
povertà”. Per questo, la Chiesa ribadisce il suo
impegno nella lotta contro “la fame, la miseria e le malattie”. La seconda
parte del discorso di Benedetto XVI è stata dedicata al rispetto della libertà
religiosa. Il Papa ha esortato il governo eritreo ad attuare passi concreti su
questo fronte. “La Chiesa cattolica – ha ribadito con
forza – si preoccupa che tutti i cittadini possano praticare la propria fede,
senza alcuna minaccia o coercizione”. Quindi,
rivolgendo l’attenzione ai sacerdoti e religiosi dell’Eritrea, ha chiesto che
il loro diritto ad essere esentati dal servizio militare sia rispettato. In tal
modo, potranno servire meglio il loro Paese nel rispetto delle proprie
vocazioni.
L’impegno della Chiesa per la riconciliazione è stato al
centro del discorso del Pontefice al signor Felix Kodjo Sagbo,
ambasciatore del Togo, Paese africano sconvolto nei
mesi scorsi da violenti disordini, dopo le elezioni politiche. “La violenza –
ha detto il Papa – non può mai essere il mezzo adeguato per costruire una
società giusta e solidale”. E’ il dialogo, ha
avvertito, lo strumento essenziale per “conseguire un’esistenza riconciliata
dove ognuno potrà vivere nella pace e nella sicurezza, dove le persone sfollate
potranno finalmente tornare a casa senza paura”. Lo sviluppo armonioso della
società, ha aggiunto, deve essere fondato sul diritto e la giustizia. In tale contesto, ha sottolineato, “la Chiesa cattolica è pienamente
impegnata in questa lotta per lo sviluppo integrale dell’uomo, per la
promozione di un avvenire di pace e giustizia” e ciò “per il bene della
popolazione senza distinzioni, in collaborazione con tutte le persone di buona
volontà”.
Nel
discorso all’ambasciatore della Tanzania, Ali Abeid Amani Karume, Benedetto XVI ha lodato la generosità mostrata dal Paese africano
nell’accogliere quasi un milione di rifugiati fuggiti dai Paesi vicini,
sconvolti dalla guerra. “La vostra nazione – ha detto il Papa – può essere
orgogliosa” per questo impegno che la rende un esempio
per l’Africa e per il mondo intero. Ha così incoraggiato la comunità
internazionale a sostenere gli sforzi della Tanzania nell’assistere le persone
emarginate e gli sfollati, garantendo l’impegno della Chiesa locale per sradicare
la povertà e promuovere lo sviluppo. D’altro canto, ha riconosciuto
l’importanza dell’adozione di una moneta unica, progetto a cui stanno lavorando la Tanzania e altri Paesi africani riuniti
nella Comunità dell’Africa Orientale. Il Papa non ha mancato di mettere
l’accento sui valori che dovrebbero sempre sostenere una democrazia, che deve resistere agli interessi personali. D’altra parte, ogni
cittadino “deve godere del diritto di scegliere i
propri leader attraverso libere elezioni multipartitiche”.
Incentrato sulle nuove sfide dopo la fine
dell’apartheid, il discorso del Papa all’ambasciatore del Sud Africa, la signora Konji Sebati. Benedetto
XVI ha espresso ammirazione per i risultati raggiunti nel dar vita ad una
società “integrata, stabile e pluralista”. Quindi, sottolineando
il prestigio raggiunto dal Paese a livello internazionale, si è augurato che il
Sud Africa mantenga forte la propria voce per l’eliminazione del debito dei
Paesi poveri, la promozione della pace e l’assistenza economica agli Stati
africani in difficoltà. Un passaggio forte del discorso è stato dedicato alla
pandemia dell’AIDS, particolarmente diffusa tra la popolazione sudafricana.
Benedetto XVI ha ribadito l’impegno della Chiesa a sostegno
delle politiche basate sulla “continenza e la fedeltà coniugale”, così come
sull’importanza della vita famigliare, quali strumenti efficaci per sconfiggere
il virus. Ha infine incoraggiato il governo sudafricano “a promuovere una sempre
maggiore consapevolezza della dignità della vita umana dal concepimento alla
morte naturale”.
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I rapporti tra Chiesa e Stato, la secolarizzazione delle
società, l’obiettivo del bene comune, la lotta alla povertà, le tensioni
sociali e l’integrazione degli immigrati, la giustizia e la pace dei popoli, il
dialogo ecumenico e interreligioso: questi i temi forti che Benedetto XVI ha affrontato nei discorsi rivolti agli ambasciatori di
altri sei Paesi, Danimarca, Finlandia, Nepal, El
Salvador, Santa Lucia e Andorra. Il servizio di Roberta Gisotti.
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Parole quelle di Benedetto XVI che
hanno volato alto oltre i confini dei singoli Paesi. Chiesa e Stato – ha sottolineato rivolto all’ambasciatore Antoni
Morell Mora del Principato di Andorra, piccolo Stato
dei Pireni tra Francia e Spagna - debbono “trovare un
linguaggio comune” “pur nella reciproca indipendenza e sovranità” per favorire
“il benessere spirituale e materiale delle persone”. Da parte sua la Chiesa, -
ha chiarito il Santo Padre - “non avendo privilegi da difendere o vantaggi da
chiedere” cerca “attraverso un dialogo strutturato con le Autorità civili, di
contribuire al progresso di ogni popolo e di tutta l'umanità
nella giustizia e nella pace”. “Universale per sua natura”, “al
di sopra degli interessi particolaristici o regionali”, la Chiesa vuole
“promuovere uno Stato umano”, “che riconosca come suo primario dovere la difesa
dei diritti fondamentali della persona umana, specialmente di quella più
debole”. Infatti “una democrazia senza valori, - ha dichiarato il Papa - “si
trasforma in tirannia del relativismo, in una perdita della propria identità e,
a lungo andare, può degenerare in totalitarismo aperto
o insidioso, come la storia ha più volte mostrato”.
Parlando all’ambasciatore, Erik Malmborg Lilholt, della
Danimarca, Benedetto XVI ha affrontato due temi cruciali per l’Europa,
l’integrazione dei popoli in particolare degli immigrati, che “richiede ad ogni
gruppo di raggiungere un giusto bilancio tra l’affermazione della propria
identità e l’accettazione di quella degli altri” e il dialogo ecumenico e interreligioso che trae
importante profitto da questa cooperazione.
In questo ambito, il Papa rivolto
all’ambasciatore Pekka Ojanen
della Finlandia ha lodato la nuova legge sulla libertà religiosa in questo
Paese, “che dà alle religioni una autonomia più grande e una equiparazione
legale soprattutto in campo educativo”, promuovendo “il contributo che ogni
religione può portare al bene comune di tutto il popolo”.
L’urgenza della pace nel discorso rivolto
invece all’ambasciatore Madan Kumar
Bhattarai del Nepal, afflitto come altri Paesi della
regione dalla violenza, auspicando che “tutte le parti in conflitto pongano
fine allo spargimento di sangue che causa così tanta sofferenza” e “imbocchino
il cammino del dialogo e del negoziato, che solo può garantire a tutto il
popolo nepalese” “giustizia, tranquillità e armonia”.
Riferendosi
infine all’ambasciatore Francisco A. Soler del
Salvador, Benedetto XVI ha osservato - che “i
miglioramenti nella sfera del sociale non si raggiungono solo attraverso
l’adozione di misure tecniche, ma anche promuovendo riforme con una base umana e
morale, che rispettino la sfera etica della persona,
della famiglia e della società.” Del resto - ha aggiunto rivolto
all’ambasciatore Gilbert Ramez
Chagoury di Santa Lucia - “il
diritto a un lavoro dignitoso, a livelli di vita
accettabili e l’uso responsabile delle risorse naturali” dipendono da “un’idea
di sviluppo non limitata alla mera soddisfazione di necessità materiali”.
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LA SORTE DEI BAMBINI MORTI
SENZA BATTESIMO, IL DIALOGO COL MONDO LAICO
SUI
VALORI UNIVERSALI DELL’UMANITA’, IL METODO DELLA TEOLOGIA CATTOLICA:
QUESTI
I TEMI TOCCATI DAL PAPA RICEVENDO I PARTECIPANTI ALLA PLENARIA
DELLA
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE
- Intervista con padre Luís Ladaria
-
La sorte dei bambini morti senza
Battesimo, la legge morale naturale e il metodo della teologia cattolica sono
stati al centro stamane del discorso del Papa ai
membri della Commissione Teologica Internazionale, che sta trattando questi tre
temi nella sua plenaria in corso in Vaticano. Un incontro definito familiare
dallo stesso Benedetto XVI che, prima della sua elezione al Soglio Pontificio,
ha presieduto per quasi ventiquattro anni la Commissione Teologica
Internazionale in qualità di prefetto della
Congregazione per la Dottrina della Fede. Il servizio di Sergio Centofanti.
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Benedetto XVI considera il tema della legge morale
naturale “di speciale rilevanza
per comprendere il fondamento dei diritti radicati nella natura della persona
e, come tali, derivanti dalla volontà stessa di Dio creatore”:
“Anteriori a
qualsiasi legge positiva degli Stati, essi sono
universali, inviolabili e inalienabili, e da tutti quindi devono essere
riconosciuti come tali, specialmente dalle autorità civili, chiamate a
promuoverne e garantirne il rispetto. Sebbene nella cultura odierna il concetto
di "natura umana" sembri essersi smarrito, rimane
il fatto che i diritti umani non sono comprensibili senza presupporre
che l’uomo, nel suo stesso essere, sia portatore di valori e di norme da
riscoprire e riaffermare, e non da inventare o imporre in modo soggettivo e
arbitrario”.
“In questo punto – ha proseguito il Pontefice - il dialogo col mondo
laico è di grande importanza: deve apparire con evidenza, che la negazione di
un fondamento ontologico dei valori essenziali della vita umana finisce inevitabilmente
nel positivismo e fa dipendere il diritto dalle correnti di pensiero dominanti
in una società, pervertendo così il diritto in uno strumento del potere invece
di subordinare il potere al diritto”.
Passando al tema del metodo della teologia cattolica, il
Papa ha affermato che “la teologia non può nascere se non dall’obbedienza
all’impulso della verità e dell’amore che desidera conoscere sempre meglio colui che ama”, cioè
Dio stesso che “nella sua infinita bontà, si è fatto conoscere, soprattutto
nel suo Figlio Unigenito”. “La rivelazione di Cristo – ha
aggiunto - è di conseguenza il principio normativo fondamentale per la
teologia. Essa si esercita sempre nella Chiesa e per la Chiesa,
nella fedeltà alla Tradizione apostolica. Il lavoro del teologo deve, pertanto,
svolgersi in comunione con il Magistero vivo della Chiesa e sotto la sua
autorità”:
“Considerare la
teologia un affare privato del teologo significa misconoscerne la stessa
natura. Soltanto all’interno della comunità ecclesiale, nella comunione con i
legittimi Pastori della Chiesa, ha senso il lavoro teologico che richiede
certamente la competenza scientifica, ma anche e soprattutto lo spirito di fede
e l’umiltà di chi sa che il Dio vivo e vero, oggetto della sua riflessione,
oltrepassa infinitamente le capacità umane. Soltanto con la preghiera e la
contemplazione si può acquisire il senso di Dio e la docilità all’azione dello
Spirito Santo, che renderanno la ricerca teologica
feconda per il bene di tutta la Chiesa”.
“Qui – ha detto il Papa - si potrebbe obiettare: ma una
teologia così definita è ancora scienza, e in conformità con la nostra ragione?
Sì – ha proseguito - razionalità,
scientificità è pensare nella comunione della Chiesa non solo non si escludono,
ma vanno insieme. Lo Spirito Santo introduce la Chiesa nella pienezza della
verità, la Chiesa è in servizio della verità e la sua
guida è educazione alla verità”. Benedetto XVI ha quindi ha accennato anche ad un
altro importante tema al centro della plenaria della Commissione Teologica
Internazionale: quello della sorte dei bambini morti senza Battesimo nel contesto
della volontà salvifica universale di Dio, della mediazione unica di Gesù
Cristo e della sacramentalità della Chiesa.
Su questo argomento ha parlato
nel suo indirizzo di saluto il prefetto della Congregazione per la Dottrina
della Fede, l’arcivescovo William Joseph Levada, che partecipa per la prima volta in qualità di presidente
ad una sessione della Commissione Teologica Internazionale. “Nell’odierna
stagione di relativismo culturale e di pluralismo religioso – ha detto il
presule - il
numero dei bambini non battezzati aumenta considerevolmente. In questa situazione,
i percorsi per raggiungere la via della salvezza appaiono sempre più complessi
e problematici”. La Chiesa – ha aggiunto - è
consapevole che la salvezza “è unicamente raggiungibile in
Cristo per mezzo dello Spirito. Ma essa non può rinunciare a riflettere, in quanto
madre e maestra, sulla sorte di tutti gli uomini creati ad immagine di Dio, e
in modo particolare dei più deboli e di coloro che non sono
ancora in possesso dell’uso della ragione e della libertà. La discussione in questo ambito - ha
sottolineato mons. Levada - è stata molto proficua e
si può ben sperare che in tempi ragionevolmente brevi lo studio intrapreso dalla
Commissione Teologica avrà esito positivo anche in vista della eventuale
pubblicazione di un Documento al riguardo.”
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Ma qual è la
Dottrina cattolica sui bambini morti senza Battesimo? Giovanni Peduto lo ha
chiesto al padre gesuita Luís Ladaria,
segretario generale della Commissione Teologica Internazionale:
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R. –
Prima di tutto dobbiamo dire che su questo punto non
c’è una definizione dogmatica, non c’è una dottrina cattolica che sia
vincolante. Noi sappiamo che per molti secoli si è pensato che questi bambini
andavano al Limbo, dove godevano di una felicità naturale,
ma non avevano la visione di Dio. Questa credenza, oggi, dai recenti sviluppi
non soltanto teologici, ma anche magisteriali, è in
crisi. Noi, dunque, stiamo adesso studiando questo problema sapendo che è un
punto sul quale un pronunciamento definitivo non c’è stato.
D. – In questo contesto vanno
considerati la volontà di Dio di salvare tutti gli esseri umani e l’unicità
della mediazione di Cristo, nonché la sacramentalità
della Chiesa in ordine alla salvezza…
R. – Questi sono dei parametri fondamentali, a partire dai quali questo problema deve essere affrontato.
Evidentemente noi dobbiamo partire dal fatto che Dio vuole la salvezza di tutti
e non vuole escludere nessuno. E dobbiamo partire dal
fatto che Cristo è morto per tutti gli uomini e che la Chiesa è un Sacramento
universale di salvezza, come insegna il Concilio Vaticano II. Se noi, dunque, partiamo da questi presupposti, il problema
della necessità del Battesimo si colloca in una cornice più ampia.
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ALTRE
UDIENZE
In mattinata il Santo Padre ha
ricevuto anche alcuni presuli della Conferenza
Episcopale della Polonia, in visita "ad Limina". Il Papa questo
pomeriggio riceverà il cardinale Roger Etchegaray,
presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e del
Pontificio Consiglio "Cor Unum".
IL PAPA NOMINA TEOLOGO DELLA CASA PONTIFICIA
IL PADRE DOMENICANO WOJCIECH GIERTYCH
Il Papa ha nominato Teologo della Casa Pontificia il padre
domenicano Wojciech Giertych,
membro del Consiglio generale dell'Ordine dei Frati
Predicatori, professore di Teologia morale presso la Pontificia Università San
Tommaso d'Aquino in Roma e nello Studium
della Provincia domenicana di Polonia in Cracovia. Padre Giertych
è nato a Londra il
27 settembre 1951 da famiglia polacca. Ha emesso la professione
nell'Ordine dei Frati Predicatori il 15 agosto 1976 ed è stato ordinato
Sacerdote il 20 giugno 1981. Ha conseguito il Dottorato in Teologia
presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino
in Roma; è anche Magister in Storia. E'
stato Maestro dei Frati studenti della Provincia domenicana di
Polonia, alla quale appartiene. E' stato Socio del Maestro Generale
dell'Ordine per l'Europa Centrale e Orientale (1998‑2002) e, attualmente, per la Vita Intellettuale. Parla 6 lingue:
polacco, inglese, francese, italiano, spagnolo, tedesco, russo.
ALTRE
NOMINE
Il Santo Padre ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di
Chicago il rev. George J. Rassas, del clero della medesima arcidiocesi, vicario generale, assegnandogli
la sede titolare vescovile di Reperi. Il rev.
George J. Rassas è nato il 26 maggio 1942 ed è stato
ordinato sacerdote il
2 maggio 1968.
Il Santo Padre ha poi accettato la
rinuncia al governo pastorale della diocesi di Guarda, in Portogallo,
presentata da mons. António dos Santos,
in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Gli succede mons.
Manuel da Rocha Felício, finora
vescovo coadiutore della medesima diocesi.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina – “I responsabili
delle Nazioni e tutti gli uomini di buona volontà si diano la mano per far
cessare la violenza che sfigura l’umanità”: Benedetto XVI ricevendo gli ambasciatori
di undici Paesi per la presentazione delle Credenziali
lancia un rinnovato appello all’impegno per la pace ad ogni livello della vita
sociale, cominciando dalla famiglia.
Servizio vaticano - Un articolo
dal titolo “La preghiera per la Chiesa missionaria al Santuario della Madonna di La Vang”: la visita pastorale
in Vietnam del cardinale Crescenzio Sepe.
Servizio estero - Iraq: Bush afferma che gli Stati Uniti resteranno finché sarà necessario.
Servizio culturale - Un
articolo di Franco Patruno dal titolo “La figura di
Papa Wojtyla è emersa con dignità e con
autorevolezza”: considerazioni sul film “Giovanni Paolo II” di John Kent Harrison.
Servizio
italiano - In primo piano il tema dell’aborto: iniziative per dare vera attuazione
alla 194; da CDL e Unione diverse proposte.
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1 dicembre 2005
“FERMIAMO
L’AIDS. MANTENIAMO LA PROMESSA”: È L’APPELLO DELLE
NAZIONI UNITE
PER
L’ODIERNA GIORNATA MONDIALE CONTRO L’AIDS
- Con
noi, la dott.ssa Paola Germano e il dott. Gianfranco
Morino -
Le
cifre diffuse dall’Agenzia delle Nazioni Unite contro l’AIDS (UNAIDS) sono allarmanti! E’ quanto ha affermato ieri Benedetto XVI
al termine dell’udienza generale, in vista dell’odierna Giornata mondiale
contro l’AIDS, sottolineando come la cura degli
infermi sia parte integrante della missione della Chiesa. Tema di quest’anno:
“Fermiamo l’AIDS. Manteniamo la promessa”. Una promessa sancita nel giugno del
2001, quando i governi di tutto il mondo, riuniti nel Palazzo di Vetro
dell’ONU, firmarono la Dichiarazione d’Impegno contro l’HIV/AIDS, disponendo
sforzi per la prevenzione, la cura e il sostegno di tutti i malati, che hanno raggiunto quest’anno la cifra record di 40,3 milioni.
Il servizio di Roberta Moretti:
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Le ultime stime parlano di un’epidemia in espansione, con
5 milioni di nuovi contagiati e più di 3 milioni di morti solo nel 2005, tra
cui 570 mila bambini con meno di 15 anni. Con 25,8 milioni di
sieropositivi o malati, il 64 per cento del numero totale nel mondo, resta
l’Africa subsahariana la regione più colpita, mentre si registra un picco di
contagi in Europa dell’Est, Asia centrale e Federazione Russa. Nella
regione, le infezioni dovute a trasmissione sessuale e all’uso di droga sono
incrementate di un quarto, con 1,6 milioni di contagiati, e i decessi sono
addirittura duplicati, con 62 mila morti nell’ultimo anno. Per la lotta
all’AIDS nei Paesi in via di sviluppo, la comunità internazionale destina attualmente 8 miliardi di dollari l’anno, rispetto ai 300
milioni di 10 anni fa, come sottolinea, nel messaggio per la Giornata, il
segretario generale dell’ONU, Kofi Annan. Ed oggi i
riflettori sono puntati soprattutto sulle terapie di contenimento: con i nuovi
farmaci antiretrovirali è possibile, infatti, condurre
una vita quasi normale. C’è da dire, inoltre, che circa il 27 per cento dei
centri per la prevenzione e la cura del virus nel mondo sono
cattolici. Tra questi, ricordiamo il Programma DREAM
della Comunità di Sant’Egidio, con oltre 25 mila pazienti in tutta l’Africa. La
dott.ssa Paola Germano, coordinatrice del Programma:
R. – L’Obiettivo del nostro programma è soprattutto curare
le donne in gravidanza, prevenire che i bambini nascano
con l’AIDS, con la treat terapia. Allo stesso
tempo, curare le madri per non creare una generazione di orfani.
La donna africana ha un ruolo molto importante nella famiglia e nella società.
Una donna africana incinta non ha soltanto quel bambino che deve nascere, ma ne
ha molti altri. E quando viene a mancare, non solo genera
orfani, ma crolla tutta la famiglia.
Ed è proprio sulla solidità
famigliare che punta il presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale
della Salute, cardinale Javier Lozano
Barragán. Nel messaggio per la Giornata, il
porporato indica la necessità di combattere l’AIDS attraverso l’educazione dei
figli “alla retta comprensione dell’attività sessuale, quale dono di Dio per la
donazione amorevole piena e feconda”. Un appello alla speranza e all’ottimismo
viene, infine, dal SECAM, il Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e
del Madagascar, che così richiama la comunità internazionale: “Il continente
africano non ha bisogno di pietà, ma di amore genuino,
solidarietà e giustizia”.
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Come
abbiamo ascoltato, resta l’Africa la regione più
colpita dal virus HIV. Tuttavia, le stime parlano anche di un declino dei casi
d’infezione in alcuni Paesi, tra cui il Kenya. Per una riflessione su questo
dato, ascoltiamo, al microfono di Roberta Moretti, il
dott. Gianfranco Morino, medico nelle baraccopoli di Nairobi e fondatore del
programma per la lotta all’AIDS, World Friends:
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R.
– Nella mia esperienza ho visto che i dati che riguardano soprattutto la sieroposività e poi l’Aids conclamato sono
spesso ospedalieri. La stragrande maggioranza dei pazienti viene dalle
baraccopoli e spesso non accede agli ospedali per
motivi finanziari. Per cui, o rimangono malati in baracca, oppure, comunque, sono sieropositivi senza saperlo, perché non
accedono ai test. Allora la mia domanda è: può davvero la UNAIDS
essere così sicura di dati riferiti alla popolazione in generale, quando è
davvero difficile il monitoraggio?
D. – Qual è la situazione concreta che vivono
i malati di AIDS in queste baraccopoli?
R. – E’ una situazione di ultimi
tra gli ultimi. Quello che succede in città non succederebbe
nelle campagne, perché nell’Africa rurale, nonostante le povertà presenti, c’è
ancora la famiglia e la comunità. Nelle baraccopoli i bambini si vedono
scomparire la famiglia intorno: prima il padre, che magari non è mai esistito,
o che si ammala e poi muore; poi, la mamma ed infine i fratellini più piccoli,
che hanno preso il virus dalla madre. Rimangono questi bambini di 9, 10 anni,
che non fanno che ingrossare le fila dei ragazzi di strada.
D. – Cos’è davvero possibile fare, dal suo punto di vista,
per vincere l’AIDS?
R. – Investire sull’educazione e
la prevenzione, avendo come obiettivo principale un’età che va dagli 8 ai 15
anni e poi giovani tra i 15 e i 18 anni. Perché purtroppo ci siamo già persi una
generazione, che è quella che va dai 20 ai 40 anni, dove c’è la grande maggioranza di malati di AIDS. Per cui, il nostro
programma nelle scuole, che tra l’altro è l’unico riconosciuto a Nairobi dal
ministero dell’Educazione, sta avendo, dopo alcuni anni, i primi successi. Ad
esempio, nella riduzione degli abusi sessuali da parte degli insegnanti, nella
riduzione delle gravidanze nelle adolescenti, tutto con la formazione degli insegnanti,
dei genitori per chi ce l’ha e soprattutto dei
ragazzi.
D. – Abbiamo parlato di prevenzione. Per quanto riguarda
invece la terapia, a che punto siamo e quali risultati sono stati ottenuti?
R. – Meglio che in passato, perché solo alcuni anni fa la
terapia anti-retrovirale costava mille dollari al mese. Un abitante delle baraccopoli che lavora, anche se
l’80 per cento sono disoccupati, guadagna sui 20-25
dollari al mese. Adesso, naturalmente, con le campagne,
principalmente quelle del Sudafrica, si è raggiunta sicuramente una diminuzione
dei prezzi. E qui attualmente costa sui 30-35
euro al mese. Saranno circa 300 mila pazienti con l’AIDS che necessitano
di terapia antiretrovirale: attualmente, solo il 5
per cento è sotto terapia.
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QUINDICI ANNI A TUTELA DEI DIRITTI UMANI E DELLA
DIGNITÀ DELLA PERSONA
IN AMBITO BIOMEDICO: NEL 1990 NASCEVA
IL
COMITATO NAZIONALE DI BIOETICA ITALIANO
-
Intervista con Francesco D’Agostino -
Quindici anni d’impegno per il Comitato Nazionale di
Bioetica italiano. Dal 1990 il Comitato opera a tutela dei diritti umani e
della dignità della persona in ambito biomedico. Con
un convegno che si è aperto ieri alla Camera e proseguirà fino al 3 dicembre
presso il CNR il mondo istituzionale e scientifico
s’interroga sulle future sfide bioetiche che la società si trova ad affrontare.
Per un bilancio di questa lunga attività Stefano Leszczynski ha intervistato il
professor Francesco D’Agostino, presidente del Comitato Nazionale di Bioetica:
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R. - Il Comitato ha seguito con attenzione l’evolversi
vorticoso della biomedicina in questi ultimi anni,
affrontando esplicitamente tematiche complesse come la
clonazione, la manipolazione genetica, le forme più recenti di sperimentazione
dei farmaci, il problema delle nanotecnologie e della
biometria. Non c’è tema della biomedicina
contemporanea che il Comitato nazionale non abbia consapevolmente
affrontato.
D. – Il Comitato nazionale, in questo senso, si è posto
anche come punto di riferimento non solo per la comunità scientifica, ma anche
per il mondo politico…
R. – Molto spesso l’opinione pubblica può cadere in inganno quando vede che su alcune questioni di massimo
interesse, una tra tutte la fecondazione assistita, la classe politica mantiene
una assoluta capacità di iniziativa e una relativa poca attenzione verso il Comitato
nazionale. Ma quando prendiamo in considerazione il 90 per cento delle
questioni bioetiche rilevanti, che hanno bisogno di regolamentazione normativa
e che magari non arrivano sulla prime pagine dei
quotidiani, su questo tipo di problemi noi veramente possiamo dire che il
Parlamento ci ha sempre dedicato la massima attenzione ed ha sempre considerato
con il massimo interesse i nostri pronunciamenti.
D. – Qual
è la questione che in questo momento impegna maggiormente il Comitato?
R. – Abbiamo appena approvato documenti che hanno per
oggetto l’alimentazione dei pazienti in coma persistente e l’eventualità di
introdurre dei tagli alla cosiddetta adozione prenatale degli embrioni
congelati, prodotti per finalità di procreazione assistita e poi abbandonati
nei centri e nelle banche degli embrioni. I temi che andremo
ad affrontare nelle prossime settimane sono diversi, i più importanti
sicuramente sono quelli che riguardano gli anziani e subito dopo abbiamo il
problema, che è diventato comunque urgente, dell’aiuto alle donne in
gravidanza.
D. – Le materie che voi trattate spesso vi trovano vicini
alle posizioni che sono poi le posizioni espresse
dalla Chiesa, posizioni di tipo etico e religioso. Come riuscite a dirimere la
questione di fronte alla società e di fronte al mondo
laico?
R. – Io sono convinto che la bioetica riguardi il bene
umano fondamentale e il bene umano fondamentale è preconfessionale. Non può, cioè,
essere oggetto di riflessione semplicemente o strettamente religiosa. Da questo
punto di vista, è vero che noi ci confrontiamo con moltissime tematiche cui la Chiesa dedica il proprio interesse, ma
ricordiamoci che, quando la Chiesa entra nell’ambito morale, lo fa in quanto ritiene
di essere maestra di umanità, prima ancora di ritenere di avere il dovere di
propagare il Vangelo di Cristo. In altre parole, la dottrina bioetica della
Chiesa riguarda tutti gli uomini, di qualunque confessione religiosa o
addirittura senza alcuna confessione religiosa. E’ in
discussione il bene umano, prima ancora che un bene
religioso. Ecco perché il Comitato di bioetica, giustamente, può considerare se
stesso laico nel suo principio ma di una laicità che
non esclude il dialogo con la Chiesa, con qualunque altra confessione
religiosa. Una laicità che attira continuamente questo dialogo nel segno comune
di riferimento del bene dell’uomo.
**********
ANCHE UNA CAMPAGNA DI SMINAMENTO IN BOSNA ERZEGOVINA
NELLE INIZIATIVE PER LA TREGUA OLIMPICA 2006
-
Intervista con Giuseppe Schiavello -
Presentata ieri a Bruxelles la risoluzione del Parlamento
europeo sulla Tregua olimpica per i XX Giochi olimpici
invernali, in programma a Torino a febbraio 2006. Un’iniziativa voluta dal
Comitato internazionale olimpico (CIO) con chiaro riferimento all’antica
Grecia, dove, per permettere lo svolgimento dei giochi, veniva
garantita l'inviolabilità della città di Olimpia e l'incolumità di coloro che
vi si recavano. Oggi la tregua è anche un’occasione per saldare
indissolubilmente gli ideali dello sport ai valori della pace, del dialogo e
del rispetto tra i popoli. Tra le iniziative collegate alla
Tregua olimpica 2006, anche il progetto di bonifica dalle mine antiuomo della
zona di Sarajevo, in Bosnia-Erzegovina. Al microfono di Giada Aquilino,
ce ne parla Giuseppe Schiavello della Campagna
italiana contro le mine, organizzazione che promuove il progetto:
*********
R. - La Campagna italiana contro le mine ha voluto aggiungere un altro significato alla Tregua
olimpica, proponendo il sostegno a un progetto di bonifica per il Monte Trebevic, che domina la città di Sarajevo. È un simbolo
della convivenza pacifica in Bosnia-Erzegovina: rappresentava la meta
domenicale per tutti i cittadini della municipalità ma,
durante la guerra civile del ’92 – ‘95, l’altura è stata utilizzata come punto
da dove sparare con i mortai su Sarajevo. I vari eserciti avanzavano e indietreggiavano,
minando di volta in volta alcuni tratti di quel territorio. Il Monte Trebevic, inoltre, nel 1984 ha ospitato i Giochi olimpici
invernali. Quindi, ora l’iniziativa può avere anche il
significato di voler ricostruire qualcosa oltre la devastazione di quel
periodo.
D. - Oggi, in Bosnia-Erzegovina, qual è l’entità del
pericolo mine?
R. – La Bosnia-Erzegovina ha il 4 per cento dei suoi
territori minati. Bisogna anche pensare che essendo dei territori boschivi sono
particolarmente insidiosi sia per gli sminatori, sia
per la popolazione.
D. – Nello specifico, cosa
prevede il progetto?
R. – Prevede di bonificare parte dei 600 mila mq del Monte
Trebevic, dove sono installate strutture turistiche
sportive: negli anni addietro c’era una pista di bob in questo tratto di
montagna. Ma dalla stessa zona poi i cecchini hanno
sparato con mortai e fucili di precisione. A Sarajevo, camminando per le
strade, ancora si possono vedere quelle che in Bosnia vengono
chiamate “rose di Sarajevo”, buche scavate da colpi di mortaio caduti in mezzo
alla città e che poi sono state riempite di resina rosa, un po’ a monito, un
po’ a ricordo simbolico di quei giorni terrificanti della guerra.
D. – Negli anni Novanta, dalle divisioni tra serbi, croati
e musulmani scaturirono le violenze balcaniche che
tutti ricordiamo. Com’è oggi la situazione sul terreno?
R. - La cosa significativa è
proprio che i gruppi di bonifica sono composti da appartenenti alle tre etnie.
La situazione sembra normalizzarsi, ma sappiamo che i brutti ricordi sono duri
a morire. La speranza è che, attraverso la ricostruzione ed i progetti
umanitari, queste persone imparino a stare insieme di nuovo e a ricostruire un
territorio comune su cui vivere.
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1
dicembre 2005
Dopo le promesse, ora
fermate la guerra: Così l’arcivescovo di Gulu,
John Baptist Odama,
rivolgendosi ai ribelli dell’eservito di resistenza
del signore, che da circa
20 anni insanguinano il nord dell’Uganda
KAMPALA.
= “Venite allo scoperto e trasformate in azioni concrete le vostre promesse di
pace”. Lo ha affermato l’arcivescovo di Gulu, John Baptist Odama, dopo che un comandante
dell’Esercito di resistenza del signore (Lord’s resistance army, LRA) si è detto “pronto alle trattative”. “Anche il governo
ugandese – ha dichiarato il presule - dovrebbe
cogliere questa offerta per costruire un clima di
fiducia reciproca”, sottolineando l’importanza di uno sforzo da parte di tutti
per promuovere la pace. Poche settimane fa la Corte penale internazionale (CPI)
ha emesso 5 mandati di cattura contro il fondatore dello
LRA, Joseph Kony, e altri 4 comandanti, tra cui Vincent Otti, che stamani avrebbe
avanzato l’offerta di dialogo parlando a un giornalista della ‘Bbc’. Per l’arcivescovo Odama se
i ricercati si faranno avanti, la Corte potrebbe
sospendere il provvedimento contro di loro. Secondo
informazioni di stampa, invece, la procura della CPI – che indaga su
reati di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità – avrebbe già fissato
una data per l’inizio del processo, nell’estate del 2006. “La gente chiede giustizia – prosegue il
presule – e la proposta dei ribelli dimostra che sono pronti anche a difendersi
davanti alla CPI”. La gente vuole giustizia, tuttavia l’arcivescovo di Gulu, sottolinea la necessità di
porre fine alla guerra, prima di tutto. La riconciliazione,
precisa Odama, “per ora può iniziare solo su piccola
scala: tra le famiglie, i villaggi e all’interno dei campi profughi”, dove secondo
stime recenti si trovano non meno di un milione e mezzo di civili fuggiti negli
anni alle feroci scorribande dei ribelli. “Poi – secondo il presule - è
necessario anche pensare ad iniziative di riconciliazione più ampie, per
risolvere i contrasti tra le tribù dei distretti settentrionali del Paese”. Per
questo, conclude l’arcivescovo di Gulu,
“è necessaria un’iniziativa per la verità e la riconciliazione sul modello del
Sudafrica, nella quale anche la Chiesa è pronta a svolgere un ruolo concreto”. (E. B.)
Bisogna combattere la
povertà e le malattie per garantire lo sviluppo
di timor est. Lo ha affermato mons. Carlos Ximenes Belo, vescovo emerito
di Dili, in occasione del
30 esimo anniversario dell’indipendenza dell’isola
DILI.
= “Abbiamo già raggiunto l’indipendenza, ma ora abbiamo bisogno di un vero sviluppo”.
È quanto ribadito da mons. Carlos
Ximenes Belo, vescovo emerito di Dili
e premio Nobel per la Pace, in occasione del 30° anniversario dell’indipendenza
di Timor Est dalla città portoghese di Pamela, dove si è ritirato. “Dobbiamo
soprattutto combattere contro la povertà – ha continuato mons. Belo – la
malaria, la tubercolosi e altre malattie; ma anche contro il pessimismo e
l’impazienza”. Colonia portoghese per 450 anni, la parte orientale dell’isola
di Timor ottenne l’autonomia il 28 novembre 1975, ma il giorno successivo venne occupata dall’Indonesia che sancì il suo governo con
un controverso referendum. Belo ottenne nel 1996 l’onorificenza dell’Accademia di Oslo insieme a José Ramos-Horta,
ex dissidente e attuale ministro degli Esteri di Timor Est, entrambi premiati
per il loro impegno ad una soluzione pacifica del conflitto est timorose. Più
di 1500 persone furono uccise nel corso della repressione indonesiana alla
dichiarazione d'indipendenza di Timor Est nel 1999 e furono
distrutti il 70% delle infrastrutture dell’Isola. Timor Est, dopo un
interregno dell’ONU, è di nuovo ufficialmente indipendente dal 20 maggio 2002,
tuttavia, la sua economia stenta a decollare. (E. B.)
In Indonesia le proteste
dei fedeli evitano la distruzione
di CINQUE chiese protestanti
da parte delle autorità
JAKARTA.
= Le proteste di gruppi di abitanti del Tangerang regency, nella provincia
di Banteng, hanno evitato ieri la distruzione di
cinque chiese protestanti da parte delle autorità, che sono ora incerte se
portare a termine o meno la ‘demolione’. Il governo
del Tangerang aveva reso noto
che le chiese, situate in una zona 50 km a ovest di Jakarta,
sono state costruite senza alcun tipo di permesso e su terreni pubblici. Le
Forze dell’ordine, conosciute come “Satuan Polisi Pamong praja
(Satpol PP)” avrebbero dovuto portare avanti le
operazioni di demolizione. Hendri Manalu,
portavoce della chiesa protestante indonesiana, ha chiesto alle autorità di non
abbatterle affermando che le chiese sono state costruite 5 anni fa senza
violare nessun regolamento. Manalu ha poi aggiunto
che il piano di demolizione sembra essere collegato a
un programma economico di aziende locali. Già a settembre dell'anno scorso,
infatti, un’azienda statale aveva cercato di concordare con gli abitanti un
piano per costruire un complesso commerciale su questo terreno. “Queste persone
- continua Manalu - si definivano come rappresentanti
dello Stato". Generalmente la costruzione abusiva di edifici
sacri viene, tuttavia, spiegata con l’estrema difficoltà nell’ottenere dalle
autorità pubbliche i permessi per costruire legalmente. Capita così che dopo
aver lungamente atteso, gruppi di fedeli decidano di costruirsi la propria
chiesa. Le cinque chiese a rischio demolizione sono: la chiesa
pentecostale protestante, la chiesa pentecostale indonesiana, la chiesa
cristiana Batak, la chiesa pentecostale alleluia e la
chiesa Bethel. Oltre alle chiese il
Satpol PP avrebbe dovuto demolire anche una piccola
moschea nota come mushola. (E.
B.)
il Sudafrica si avvia a diventare il primo Paese in
Africa a consentire il matrimonio fra persone dello stesso sesso. una
controversa sentenza
della corte costituzionale rinvia al parlamento la
decisione finale
PRETORIA. = La Corte
costituzionale sudafricana si è pronunciata oggi a favore del matrimonio
omosessuale dando al Parlamento un anno per modificare la legge. L’attuale definizione
legale – afferma la controversa sentenza della Corte costituzionale - del matrimonio
“è dichiarata incompatibile con la Costituzione e non valida nella misura in
cui non permette alle coppie dello stesso sesso di beneficiare dello status, dei vantaggi, delle responsabilità, concessi
alle coppie eterosessuali”. La legge del 1961 sulla quale si è pronunciata la
Corte costituzionale definisce il matrimonio come
“un’unione di un uomo e una donna a esclusione di chiunque altro”. Il governo
aveva chiesto alla Corte di pronunciarsi in seguito ad una sentenza del 2004
della Corte suprema che aveva ritenuto incostituzionale la definizione del
matrimonio in quanto “unione tra un uomo e una donna”. Il procedimento legale
era stato avviato da una coppia di donne, che vive insieme dal 1994 e che
voleva sposarsi. Sulla scia della sentenza della Corte il Sudafrica si avvia a
diventare il primo Paese a consentire il matrimonio fra persone dello stesso
sesso in Africa. (E. B.)
In albania Migliorano le
condizioni della missionaria aggredita mercoledì da due uomini nel suo convento
TIRANA.
= Due uomini armati e a volto coperto hanno fatto irruzione nella notte di martedì
scorso nella casa delle suore della Carità di S. Giovanna Antida
Thuret a Klos Fane, nel centro nord dell’Albania, ferendo in maniera
grave una suora di origine svizzera e in maniera più
lieve due sue consorelle italiane. L’agenzia MISNA, citando fonti della congregazione
contattate in Italia, ha precisato che suor Marilyse Berra, raggiunta da un proiettile al braccio e con alcune
ferite da arma da taglio all’addome, ha riportato le conseguenze più gravi. La
religiosa è stata operata ieri mattina e adesso le sue condizioni sono state
definite buone. Dopo l’operazione, infatti, è stata suor Marilyse
stessa che ha rassicurato alcune consorelle sul suo stato. È stata dimessa
ieri, invece, suor Gennarina Neri. Sta bene, infine, suor Franca Calabrese che
è l’unica ad essere rimasta nella casa di Klos Fane. Nessun nuovo elemento è emerso riguardo alle
motivazioni dell’aggres-sione.
Le tre suore sono impegnate da anni in attività sociali e sanitarie rivolte
prevalentemente agli abitanti dei piccoli villaggi che sorgono sulle pendici
del monte sulla cui cima sorge Klos Fane. (E. B.)
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1 dicembre 2005
- A cura di Amedeo
Lomonaco e Fausta Speranza -
In Iraq,
è in corso una vasta offensiva dei ribelli a Ramadi,
città della turbolenta provincia di Al Anbar, nel centro del cosiddetto ‘triangolo sunnita’. Il nostro servizio:
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Ramadi, roccaforte della
guerriglia sunnita, è una città in stato d’assedio.
Centinaia di ribelli hanno preso d’assalto una base militare americana e un
edificio governativo. Gli insorti hanno istituito posti di blocco in vari punti
della città e presidiano le principali strade di Ramadi.
Secondo testimoni oculari, partecipano all’offensiva oltre 400 miliziani
integralisti organizzati in pattuglie. Fonti locali sostengono che sono ribelli
appartenenti al gruppo del terrorista giordano Al Zarqawi. L’azione degli insorti non è condotta solo con le
armi. I ribelli, infatti, hanno distribuito volantini nei quali si afferma che
il controllo di Ramadi è stato assunto da ‘al Qaeda’. Fonti giornalistiche presenti a Ramadi
dichiarano che, al momento, le truppe americane e le forze irachene sembrano
assenti. Intanto, illustrando il documento diffuso dalla Casa Bianca intitolato
“Strategia per la vittoria in Iraq”, il presidente americano, George Bush, ha
detto ieri che fin quando sarà lui al comando, “l’America non scapperà” dallo
Stato arabo. Sulla missione delle truppe americane in Iraq, Bush ha ribadito che non sarà fissato un calendario. Gli Stati Uniti
- ha spiegato - resteranno nel Paese arabo per tutto il tempo
necessario. Il capo della Casa Bianca ha quindi definito un “compito enorme”
l’addestramento delle forze di sicurezza irachene per garantire la stabilità in
Iraq. Riconoscendo alcuni errori fatti in passato, Bush ha poi affermato che le
elezioni irachene del prossimo 15 dicembre costituiscono un appuntamento
cruciale. “Il nostro obiettivo – ha aggiunto – è una vittoria completa”. Il
nemico – ha concluso il presidente americano – deve
essere sconfitto su tutti i versanti di battaglia e l’Iraq costituisce il
fronte centrale della lotta contro il terrorismo”. Il piano messo a punto dagli
Stati Uniti prevede in Iraq ‘scacco matto’ agli insorti con le seguenti 8 mosse: sconfitta dei
ribelli, transizione del Paese alla piena autonomia, formazione di un governo
democratico, realizzazione dei servizi essenziali per la popolazione, sviluppo
economico, promozione dei diritti civili, aiuti internazionali e consenso da
parte dell’opinione pubblica alle forze della coalizione.
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Israele si prepara già alle elezioni anticipate del 28 marzo prossimo.
Ariel Sharon e Shimon Peres
hanno deciso di unire le forze e di appoggiare insieme il progetto del nuovo
partito centrista Kadìma, fondato del premier israeliano. Peres ha infatti annunciato ieri la sua decisione di uscire dal Labour, dopo oltre mezzo secolo di militanza.
Il protocollo
di Kyoto, entrato in vigore nel febbraio scorso, da ieri è pienamente
operativo. La Conferenza mondiale sul clima, in corso a Montreal, ha infatti adottato gli ultimi regolamenti per rendere
funzionante l’accordo che limita le emissioni dei gas che provocano il
cosiddetto effetto serra. Il servizio di Elena Molinari:
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L’intesa prevede che i 34 Paesi firmatari limitino
l’emissione di CO2 fino al 2012, in base ad un complesso sistema di quote. Ora,
dunque, la conferenza può dedicarsi al punto più scottante all’ordine del
giorno: discutere cioè cosa fare dopo quella data e
stendere un patto per il dopo Kyoto. La speranza, questa volta, è di ottenere
anche l’adesione degli Stati Uniti, il Paese maggiore inquinatore del mondo, e
dell’Australia, che nel 2001 ritirarono la firma al
protocollo di Kyoto. E nel nuovo patto potrebbero rientrare
in qualche modo anche i giganti emergenti come Cina ed India, finora esclusi
dai vincoli di Kyoto, perché considerati Paesi in via di sviluppo. Ed è proprio questa distinzione ad aver suscitato il “no” di
Washington. Gli USA lamentano infatti di essere
penalizzati economicamente fra Paesi emergenti come Cina ed India, che
consumano molte risorse e non vengono sottoposti ai doveri internazionali.
Elena Molinari,
per la Radio Vaticana.
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Vertice italo-spagnolo
oggi a Roma, con immigrazione e prospettive finanziarie dell'Unione europea al
centro dei colloqui tra il premier italiano Berlusconi e il collega spagnolo Zapatero, riuniti a Villa
Madama. Sul fronte immigrazione, Roma e Madrid chiedono di convocare una
conferenza euromediterranea e una riunione dei ministri degli Interni dei 25 entro la fine dell'anno.
E mentre
Zapatero arrivava a Ciampino, giungeva notizia
dell’incidente, fortunatamente senza vittime, all’elicottero dove viaggiava il
leader del Partito Popolare Mariano Rajoy. E’
precipitato poco dopo il decollo da Mostoles e mentre
si apprestava a sorvolare il comune della provincia di Madrid. Con Rajoy viaggiava anche la presidente della Comunità di
Madrid, Esperanza Aguirre, anche essa
del Partito Popolare (PP): entrambi sono risultati illesi anche se l'elicottero
è andato parzialmente distrutto.
L’Unione ha riconosciuto a Kiev lo status di economia di
mercato che consentirà alla Repubblica ex sovietica di ottenere una serie di
importanti facilitazioni nell’esportazione dei propri prodotti. Il servizio è di Antonella Ratti:
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Si è aperto oggi a Kiev il primo vertice tra Unione Europea e Ucraina, dopo la
cosiddetta “Rivoluzione arancione” della fine del 2004 che ha portato al
potere, nell’ex Stato sovietico, il presidente Viktor
Yushenko. All’Ucraina è stato riconosciuto lo status di economia di mercato. Il riconoscimento consentirà a Kiev di usufruire di misure protezionistiche per le
esportazioni, evitando le eventuali iniziative antidumping dell’Unione. Durante
il summit, sono stati anche valutati i progressi effettuati da Kiev nell’applicazione del “piano di azione”
siglato nel febbraio a Bruxelles, nel quadro della “politica europea di
vicinato” (European Neighbourhood Policy), istituita dalla Commissione europea nel 2003. Kiev e Bruxelles hanno siglato
inoltre un memorandum di intesa nel campo dell’energia, allo scopo di
consentire “nel lungo termine – secondo quanto riferisce la Commissione –
un’integrazione dei rispettivi mercati energetici”. Sono stati firmati poi altrio due accordi: di partecipazione dello Stato ucraino
al progetto europeo di radionavigazione via satellite (progetto
Galileo) e uno di cooperazione nel campo aereo. L’ex granaio sovietico ha ormai
un notevole interesse a collocare, nei ricchi mercati europei, i propri
prodotti competitivi. Nei rapporti con Mosca, l’Ucraina subisce, invece,
l’impasse di un’inevitabile concorrenza.
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È
arrivata ieri, al Tribunale penale internazionale dell’Aja,
la prima condanna per crimini di guerra commessi in Kosovo. E’ stato condannato a 13 anni di reclusione, per
l’uccisione di otto prigionieri rinchiusi in un
carcere illegale, Haradin Bala,
ex leader dell’UCK, l’esercito di liberazione del Kosovo.
Il Tribunale internazionale ha assolto invece due ex
comandanti della guerriglia albanese (UCK) accusati di crimini di guerra. E per
questo oggi cittadini serbi del Kosovo
hanno protestato, scendendo in strada a Gracanica, la
più grande enclave serba nel Kosovo centrale. Il
portavoce della polizia, Shefki Morina, ha detto che sei civili albanesi sono rimasti contusi e sei
autovetture danneggiate. I soldati della KFOR, forza di pace a guida Nato, sono
intervenuti bloccando il traffico lungo la strada che da Pristina conduce a Gracanica, così da evitare ulteriori
incidenti. La notizia dell'assoluzione
dei due ex comandanti dell’UCK è stata accolta nel
resto del Kosovo albanese con manifestazioni di
gioia. Nel pomeriggio è previsto il
rientro a Pristina di Fatmir Limaj,
uno dei due assolti, recluso all’Aja
dal 2002 e considerato dalla popolazione albanese alla stregua di un eroe.
Continua la spirale di attentati contro palazzi di giustizia in Bangladesh.
Un’esplosione avvenuta nei pressi di un tribunale a Gazipur,
situata 30 Km a nord della capitale Dacca, ha causato
stamani la morte di un uomo e il ferimento di circa 25 persone. È la seconda
volta nell’arco di tre giorni che la città viene
colpita da questi attacchi suicidi. Nello stesso complesso giudiziario, martedì
scorso sei persone sono morte in seguito ad un
agguato. La polizia attribuisce la responsabilità di questi recenti atti
terroristici all’organizzazione integralista islamica ‘Jamiatul Mujahedin’.
Il ministro australiano degli
Affari Esteri, Alexander Downer, ha annunciato al
Parlamento nazionale di aver siglato un importante accordo con Timor Est per la
risoluzione della controversia sul confine marittimo tra i due Paesi.
All’origine della disputa, vi è lo sfruttamento dei ricchi giacimenti di idrocarburi, che vennero scoperti nel mare di Timor
all’inizio degli anni ’70. I dettagli di questo accordo,
che dovrebbe garantire al piccolo Stato dell’Oceano indiano la metà dei
proventi del campo petrolifero “Greater Sunrise”, saranno resi noti nel corso di una cerimonia
ufficiale che si terrà a metà gennaio.
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