RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
242 - Testo della trasmissione di martedì 30 agosto 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Cattolici,
valdesi e ortodossi ricordano a Torino la figura del compianto Frère Roger
La
Legione di Maria festeggia 50 anni di presenza in Corea
I
giovani delle ACLI a confronto a Napoli su solidarietà e spiritualità
A
Bellaria, la festa d’estate “Gioca con il sorriso” impegna per 10 giorni 5 mila
giovani
“Eucaristia,
missione e realtà nazionale”: il primo simposio boliviano di missiologia a
Cochabamba
Brucia
un'altra casa a Parigi: sette morti, tra cui 4 bambini
In Libano, arrestati tre
ex dirigenti dei servizi di sicurezza in relazione all’omicidio dell’ex
premier, mentre esponenti politici e giornalisti lasciano il Paese
Decine i morti in Iraq per due raid aerei
americani
30 agosto 2005
L’IMMINENTE VISITA AD LIMINA DEI VESCOVI DEL MESSICO:
UN’OCCASIONE PER RIPERCORRERE LA DIFFICILE STORIA
DEI RAPPORTI TRA STATO E CHIESA NEL PAESE
LATINOAMERICANO
Dopodomani, giovedì 1 settembre,
Benedetto XVI incontrerà alcuni vescovi del primo gruppo dell’episcopato
messicano, giunto a Roma per l’inizio della visita ad Limina. Risale al 1994 l’ultima presenza a Roma dei presuli del
Paese latinoamericano a colloquio con Giovanni Paolo II, che si recò in Messico
per cinque volte. La prima, nel 1979, resta indelebile, con i vibranti discorsi
di Papa Wojtyla a Puebla, che orientarono le scelte della Chiesa locale per gli
anni successivi, dandole la scossa necessaria per riemergere dalle ristrettezze
ereditate dal passato. Ce ne parla Alessandro De Carolis.
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Se la fede in Cristo della
popolazione messicana è antica quanto l’evangelizzazione che seguì le grandi
scoperte geografiche del Cinquecento, la storia dei rapporti tra Stato e Chiesa
a partire dall’Ottocento parla per oltre un secolo di drammi, persecuzioni e martiri.
L’eco è risuonata simbolicamente fino ai nostri giorni, quando nel 2000
Giovanni Paolo II canonizzò alcuni di coloro che persero la vita in quella
stagione di sangue. La prima data spartiacque è il 1821, quando il Messico
ottiene l’indipendenza dalla Spagna. La conquista è voluta da cattolici e
laici, ma i liberali rivoluzionari tentano in ogni modo di sottrarre il Paese
all’influenza della Chiesa. La frattura diventa formale e insanabile nel 1917:
il Messico si dota di una Costituzione che dà il via ad uno stillicidio di
abusi: suore, sacerdoti, seminaristi vengono privati dei diritti civili,
nessuna libertà di insegnamento e di stampa concessa ai cattolici. La reazione
al giogo imposto dalle autorità sfocia nella violenza. E’ il 1926 quando
giovani, operai e studenti si coalizzano trasformando la ribellione in un
tragico conflitto. La cosiddetta Guerra dei cristeros
spingerà Pio XI a denunciare la “paurosa situazione” dei cattolici messicani
nell’enciclica Iniquis afflictisque.
Tre anni più tardi, governo e Santa Sede trovano un accordo, ma intanto i morti
si contano a migliaia, anche tra le fila della Chiesa, costretta a vivere della
sola benevolenza delle autorità ma senza garanzie legali.
Mezzo secolo più tardi, la presa
di posizione di Giovanni Paolo II, eletto da pochi mesi, porta l’episcopato
latinoamericano riunito a Puebla ad attuare il rinnovamento del Vaticano II e,
più in generale, a rilanciare la missione dei cristiani nel mondo. Per la Chiesa
messicana, dopo decenni di travagli, arriva l’ora di far sentire la sua voce
sui problemi sociali della nazione, sui quali grava l’onere di una grave crisi
economica e finanziaria. E’ un inizio, che porta Stato e Chiesa alla svolta del
1991 con la riforma costituzionale del Messico, che porta al riconoscimento di
quei diritti negati alla Chiesa per oltre 100 anni. La maggiore libertà di
azione, pur con alcune restrizioni, ha permesso e permette oggi alla Chiesa messicana
di impegnarsi soprattutto in quelle zone di secolare povertà sociale e
individuale che sono il prodotto caratteristico dei Paesi che devono abbinare
lo sviluppo a una grave miseria di fondo.
Crisi della famiglia, del mondo
giovanile e immigrazione sono le questioni principali verso le quali la Chiesa
locale ha orientato i propri piani pastorali. Inoltre, tra i suoi 97 milioni di
abitanti, cattolici al 90%, il Messico registra una crescita dell’indifferenza
religiosa, che si riflette nel calo delle vocazioni, e il serrato proselitismo
delle sette religiose, fenomeno comune a tutta l’America Latina. Come pure il
narcotraffico e i suoi costi sociali hanno indotto i vescovi del nord-est del
Paese a dedicare al problema il loro ultimo documento pastorale. Una frase di
Giovanni Paolo II, pronunciata durante il viaggio in Messico del 1990, descrive
con immutata attualità uno stato di cose e una speranza: “La convinzione –
affermò Papa Wojtyla – è che la Chiesa guarda con solida fiducia alla cultura
messicana, nello stesso modo in cui guarda alla maggior parte delle culture
dell’America Latina. I valori umani e cristiani presenti in questo continente
sono chiamati a liberare tutto il loro potenziale di civiltà che non si è
ancora pienamente manifestato”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
In prima pagina: il venticinquesimo anniversario
della fondazione del sindacato indipendente “Solidarnosc” in Polonia.
USA: l’uragano “Katrina” attraversa gli Stati del
Sud lasciando una scia di morte e di distruzione. Francia: un altro tragico
rogo a Parigi, sette persone, tra le quali quattro bambini, periscono tra le
fiamme. Mauritania: occorre l’aiuto internazionale per fronteggiare la
carestia. Cile: 1500 senzatetto a causa di violente inondazioni.
Servizio vaticano – Anno dell’Eucaristia:
l’esperienza del Corpo e del Sangue di Cristo nella vita di Santa Maria De
Mattias e l’ardore verso il Santissimo Sacramento della serva di Dio suor
Ambrogina di San Carlo. L’eredità spirituale della XX Giornata Mondiale della
Gioventù. Il cammino della Chiesa in Asia.
Servizio estero – Iraq: il persistere di sanguinose
violenze affianca il duro contrasto sulla Costituzione. Medio Oriente: Israele
non effettuerà un nuovo ripiegamento. Afghanistan: diminuita nel 2005 la
produzione di oppio. Nucleare: rinviata la ripresa dei negoziati a sei sul
programma atomico della Corea del Nord.
Servizio culturale – L’articolo di Irene Iarocci sui
“Romanzi e racconti” di Mishima Yukio.
Servizio italiano – Agricoltori: siglato un accordo,
contributi per l’uva. Alitalia: i rincari del petrolio pesano sull’azienda.
Sicurezza aerea: il ministro conferma il no a “liste nere”.
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30 agosto 2005
DOMANI, RICORRENZA STORICA IN POLONIA: COMPIE 25
ANNI SOLIDARNOSC.
L’INVIATO SPECIALE DEL PAPA,
MONS. STANISLAW DZISWISZ,
PRESIEDERA’ UNA MESSA NEI CANTIERI NAVALI DI DANZICA
- A cura di Roberta Gisotti -
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“Dalla
solidarietà alla libertà”: tema scelto per la Conferenza internazionale, aperta
ieri a Varsavia, per celebrare i 25 anni di Solidarnosc, il Sindacato
polacco sorto il 31 agosto 1980, in pieno regime comunista, dopo gli
scioperi nei cantieri navali di Danzica, che diedero il via ad un lungo e
sofferto cammino per uscire dall’oppressione totalitaria post bellica. E ieri
il suo fondatore, Lech Walesa, Premio Nobel per la Pace nel 1983 ed eletto presidente
polacco nel 1990, ha commemorato l’anniversario nel Parlamento, dichiarando che
è valsa la pena di pagare i prezzi necessari per riottenere la libertà,
auspicando che la Polonia diventi più forte e più sicura anche nella nuova
epoca della globalizzazione. Ricordando quei ‘fatti’ che hanno cambiato la
storia dell’Est europeo, Walesa ha sottolineato l’impatto di un evento che
nessuno aveva previsto, l’elezione di un Papa polacco. “Il Santo Padre – ha
detto Walesa - non ha ordinato colpi di Stato o rivoluzioni”, ma le sue parole
furono cosi incisive da provocare una risposta concreta da parte del suo
popolo.
E domani, a suggellare l’avvenimento sarà una Messa nei
cantieri navali di Danzica, presieduta dall’inviato speciale di Benedetto XVI,
l’arcivescovo di Cracovia, Stanislaw Dziswisz, per 27 anni segretario personale
di Giovanni Paolo II.
Rammentiamo che
soli due anni fa, Papa Wojtyla, nel novembre 2005, ricevendo Walesa
accompagnato da 3 mila aderenti a Solidarnosc, li esortava a vigilare perché la
libertà conquistata con coraggio, saggezza e ponderazione non degenerasse
“nell’anarchia” ma assumesse “la forma di comune responsabilità per le sorti
della Polonia e di ogni suo cittadino”, avanzando anche forti critiche al ruolo
inadeguato del Sindacato nella società polacca odierna.
Ma quale eredità ha comunque lasciato “Solidarnosc” alla
Polonia? Massimiliano Menichetti lo ha chiesto a Tadeusz Konopka,
corrispondente dell’Agenzia ANSA a Varsavia:
R. – Solidarnosc è
stato un grande movimento sociale che, forse un po’ per caso, ha scoperto il
metodo di combattere il regime totalitario. Usando quindi metodi di lotta non
violenti, invocando la giustizia, la verità e la dignità dell’uomo, dimostrando
che ogni sistema basato sulla menzogna prima o poi cade. Solidarnosc, così
facendo, ha cambiato il volto del mondo a cavallo di due secoli. Grazie anche
al contributo della presenza e dell’interessamento da parte di Papa Giovanni
Paolo II, Solidarnosc è quindi riuscita a liberare una parte del mondo, che
viveva ancora sotto il regime totalitario.
D. – Cosa rimane oggi di Solidarnosc?
R. - Solidarnosc
inizialmente è stato un Sindacato, il primo autonomo, indipendente, autogestito
dai lavoratori stessi. Certo, essendo un Sindacato nato sotto il regime totalitario,
ha dovuto anche occuparsi di fattori che non sono di interesse diretto di un
Sindacato: si è infatti occupato di sostituire la classe politica, ha dovuto
rinnovare economicamente questo Paese. Per questo motivo una parte dei seguaci
di Solidarnosc si è sentita delusa, perché sono sicuramente due ruoli diversi
quelli di imporre le tasse e contemporaneamente di tutelare i diritti sociali.
Naturalmente gli anni passano e le nuove generazioni di Solidarnosc sanno solo
quanto leggono dai libri di storia. Per loro il paradosso più sentito è di
sapere che la Polonia ha iniziato il processo di rinnovamento democratico dell’Europa,
ma che oggi è un Paese dove c’è il tasso di disoccupazione intorno al 19 per
cento, il più alto fra tutti i Paesi dell’Unione Europea. Credo che questo solo
dato possa far capire le tensioni ed i problemi che sono ancora da risolvere.
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NON SI
ARRESTA IL FLUSSO DI PERSONE CHE FUGGONO DALLA
COLOMBIA
NEI
PAESI CONFINANTI PER SOTTRARSI AL CONFLITTO
CHE DA QUARANT’ANNI VEDE IMPLICATI ESERCITO,
PARAMILITARI E GUERRIGLIA.
SU
INIZIATIVA DELL’ACNUR, TANTE STORIE RACCONTATE DA RADIO VENEZUELANE
-
Intervista con Grace Guerrero -
Non si arresta il flusso di colombiani in fuga dal proprio
Paese d’origine. Vittime di un conflitto che da quarant’anni vede implicati
esercito, paramilitari e guerriglia. Secondo i dati diffusi dall’agenzia
dell’Onu per i rifugiati, l’ACNUR, sono oltre due milioni le persone che
dall’inizio della guerra sono state costrette a lasciare le loro terre. La
maggior parte rimane in Colombia nelle baraccopoli che circondano le principali
città. Molti però sono gli sfollati che dopo lunghe peripezie riescono a
raggiungere le frontiere dei Paesi confinanti, come Ecuador, Brasile, Venezuela.
Il servizio di Andrea Cocco:
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Spesso è considerata l’ultima alternativa. Attraversare la
foresta a confine tra Colombia e Venezuela per trovare rifugio nel Paese
vicino. Ma le condizioni che i colombiani devono affrontare negli improvvisati
centri d’accoglienza proprio al di là della linea di frontiera non sono affatto
facili. Divisi tra il trauma delle esperienze vissute e il desiderio di poter
tornare alle loro terre, devono fare i conti con la difficile integrazione
nelle comunità locali, la mancanza di lavoro, di sicurezza. Per raccontare la
loro storia l’Agenzia venezuelana dell’ACNUR ha deciso di utilizzare uno
strumento insolito: le Radionovelas. “Popolo della pioggia, oltrepassare la
linea per sopravvivere”. Questo il titolo di una delle tre serie trasmesse, a
partire dallo scorso 20 luglio, da diverse radio venezuelane. Epopee familiari,
fatte di intrighi, rivelazioni, tradimenti ma anche storie di vita reale che
grazie alla radio puntano a sensibilizzare i venezuelani, su un tema per lo più
trascurato dai mezzi di informazione tradizionali. E’ quanto ci spiega Grace
Guerrero membro dell’ACNUR Venezuela:
R. – ESTAS RADIONOVELAS, SUS HISTORIA…
Queste radionovelas, le storie che raccontano, parlano
della sofferenza, della speranza, della lotta che deve affrontare una persona
costretta a lasciare le terre di origine e attraversare la frontiera di un
Paese sconosciuto. Questa è l’idea o il messaggio che vogliamo trasmettere,
attraverso l’informazione e la sensibilizzazione della gente sulla sofferenza e
la speranza. Quello che vogliamo è far crescere l’attenzione dell’opinione
pubblica sulla questione del diritto alla protezione internazionale dei
profughi. Le persone che attraversano la frontiera lo fanno con grande
sofferenza e hanno bisogno dell’aiuto delle comunità che li ricevono.
Attraverso le radionovelas vogliamo inoltre fornire informazioni dettagliate ai
profughi su dove andare, dove trovare aiuto, quali sono le leggi del rifugiato,
quali i suoi obblighi.
Un genere tra i più seguiti in America latina e molto
popolare quello della Radionovela, che grazie alla collaborazione dell’ONU con
le radio di Caracas, si è trasformato quindi in un capillare strumento di
diffusione delle informazioni. E i venezuelani si sono già appassionati alle
vicende dell’avvocato Andrei Valenti, che solo dopo un esame del sangue scopre
di essere figlio di un rifugiato, o a quella di Ligia costretta a fuggire dalla
Colombia per salvare il figlio. Secondo Radio Fe y Alegria, una delle emittenti
che trasmettono la serie, sono più di un milione gli ascoltatori. A parte il pubblico
delle grandi città, le storie di Popolo della Pioggia, puntano a raggiungere i
Paesi della frontiera dove comunità locali e colombiani convivono in un
difficile equilibrio e dove la radio costituisce spesso l’unico canale di
contatto con il mondo. Obiettivo: scardinare i preconcetti e prevenire forme di
razzismo contro i profughi.
R. – LAS COMUNIDADES QUE
RECIBEN…
Le
comunità che ricevono il rifugiato alla frontiera sono molto povere. Hanno
poche risorse e bisogno di infrastrutture. Quando un colombiano attraversa il
confine deve fare i conti con la diffidenza dei locali. Nei villaggi dove ci
sono molti profughi la disoccupazione è alta e i residenti temono che i nuovi
arrivati ruberanno loro il lavoro. L’aiuto dell’ACNUR in Venezuela consiste nel
creare progetti comunitari, finalizzati a ridurre gli attriti tra locali e profughi.
E la Chiesa cattolica in Venezuela è il principale membro socio-operativo nei nostri
programmi. Con la Caritas, il Servizio dei gesuiti ai rifugiati e i vari
vicariati funzionanti alla frontiera stiamo lavorando assieme alle comunità,
alle organizzazioni locali e ai municipi. Promuoviamo progetti comunitari
proprio per prevenire la xenofobia e la discriminazione tra le persone che
arrivano e quelle che le ricevono.
Progetti rivolti anche alle comunità indigene. Proprio per
avere una maggiore presa, le storie dei rifugiati colombiani sono state
tradotte e trasmesse anche nelle lingue indigene come il Wayuu o lo Yukpa…
R. - A LO LARGO DE LA FRONTERA…
Lungo la frontiera venezuelano-colombiana ci sono
moltissime comunità indigene. La più grande è quella del popolo Wayuu (Uaiu).
Ci sono poi anche i Bari, i Yukpa (Iucpa). Si tratta di popoli che da
molto tempo ospitano, all’interno del proprio territorio, colombiani in fuga.
In alcuni casi le stesse comunità indigene abitavano originariamente in territorio
colombiano e sono state costrette a riparare in Venezuela a causa della guerra.
L’idea di trasmettere nelle lingue locali nasce dall’esigenza di comunicare
anche con loro, di rispettarli, di non escluderli. Grazie alle radionovelas in
Uaiu o Yukpa siamo riusciti anche a dare informazioni alle comunità locali
spiegando quali sono i loro diritti come popolazioni indigene. E’ una cosa
molto bella, perché è stata la prima volta che una radionovela viene tradotta
in lingua Wayuu (Uaiu) e Yukpa (iucpa).
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I
MILIONI DI MINORI ABBANDONATI NEL MONDO:
AL
CENTRO DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE IN CORSO A BELLARIA,
IN
PROVINCIA DI RIMINI, INTITOLATO “I BAMBINI DEL LIMBO”
- Intervista con Marco Griffini -
“I bambini del limbo”: è questo il titolo
del convegno internazionale sulle adozioni in corso fino a domani a Bellaria,
in provincia di Rimini. Promosso dall’associazione Amici dei bambini, l’evento
vuole portare l’attenzione sui milioni di minori abbandonati dalle proprie famiglie,
in Italia e nel mondo. Ma quali sono i bambini che vivono in questo cosiddetto
limbo? Risponde Marco Griffini, presidente dell’Associazione amici dei bambini,
al microfono di Isabella Piro:
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R. – Bambini che vivono nel limbo in quanto vivono
in una ‘cartolina’ e sono condannati a vivere in istituto senza avere più
legami familiari se non una cartolina che ricevono di tanto a Pasqua e a
Natale. Figli delle firme: coloro cioè che vivono in istituto e l’unico rapporto
che hanno con la famiglia di origine è la firma che ogni anno un genitore pone
su un modulo e che li condanna, un’altra volta, a vivere nel limbo.
D. – Il convegno affronta anche il problema dei
bambini cosiddetti “inadottabili”…
R. – Sì. Bambini grandi o bambini che hanno
qualche problema fisico non sono voluti da nessuno e sono condannati a vivere
tutta la vita senza famiglia.
D. - Verrà presentato anche uno studio comparato
su tutte le forme di genitorialità per ribadire l’importanza della gratuità
dell’adozione internazionale…
R. - Tutte le forme di genitorialità sono
gratuite, dalla genitorialità biologica, all’adottiva nazionale. Non capiamo
per quale motivo l’adozione internazionale non sia totalmente gratuita. Ci sono
infatti delle tariffe che sono state concordate tra gli enti e la Commissione
dei diritti internazionali che sono molto elevate e che vanno dai 15 mila ai 20
mila euro. L’adozione internazionale costa parecchio perché tutta la prassi
viene svolta nei Paesi esteri, i tempi sono molto lunghi ed è diventato un
sinonimo di affare e di mercato. Con questo studio vogliamo porre l’accento sul
fatto che l’adozione internazionale non è una genitorialità di serie B, ma che
anche il bambino straniero ha diritto di essere figlio e di essere accolto da
una famiglia gratuitamente.
D. – Nel nostro Paese quanti sono i bambini
abbandonati?
R. – In Italia abbiamo 24 mila bambini che vivono
in situazioni di limbo, che vivono al di fuori di una famiglia, in centri di
accoglienza ed in comunità.
D. – Durante il convegno ci saranno anche
testimonianze di chi ha vissuto l’esperienza dell’abbandono?
R. – C’è una ragazza di Crotone, che mi ha molto
colpito, che dice: “Non ero figlia, non ero nipote, non ero. Ero solamente
esistita, ma non ero”. Come se avesse sperimentato nella sua vita l’esperienza
del nulla.
D. – Possiamo dire che un bambino adottato è un
bambino che rinasce?
R. – L’adozione ha qualcosa di misterioso. Può
avere una grande similarità con la resurrezione. E’ una rinascita di amore, è
un miracolo vivente che si rinnova ogni giorno.
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DIVERSITA’
CULTURALI, RADICI E MEMORIA, POESIA DEI SENTIMENTI: AL CENTRO DELLE GIORNATE
DEGLI AUTORI, CHE, IN COINCIDENZA CON IL FESTIVAL
DI VENEZIA,
SI
OCCUPANO DI CINEMA SENZA ASSEGNARE PREMI MA
PROMUOVENDO
SPESSORE CULTURALE E ORIGINALITA’
-
Intervista con Giorgio Gosetti -
Lo scambio tra culture, il tema della memoria, il senso
delle radici e la poesia dei sentimenti sono al centro dell’esplorazione
proposta da 11 anteprime cinematografiche mondiali e da tre eventi speciali. Si
tratta della seconda edizione delle Giornate degli Autori, programmate dal 1 al
10 settembre in concomitanza con la Mostra del Cinema di Venezia. Il servizio
di Luca Pellegrini:
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Si
affiancano all’ufficialità delle sezioni principali della Mostra del Cinema di
Venezia con film di notevole spessore culturale e originalità creativa. Sono le
Giornate degli Autori, giunte alla seconda edizione. Senza premi, senza
concorsi, sono un’interessante vetrina dedicata alle più stimolanti opere che
rappresentano le tendenze mondiali del cinema d’autore, per tracciare un
percorso attraverso il valore della ricerca, delle radici culturali dei diversi
Paesi, proponendo le più stimolanti novità artistiche nate dal dialogo e dai
flussi della società. Una serie di film per suscitare discussione, far
incontrare autori e talenti di tutto il mondo, ricostruire un’autentica
comunità del cinema, spiegano i realizzatori. Abbiamo chiesto a Giorgio
Gosetti, delegato generale delle Giornate, se il cinema sente questa come una
vera missione, nei nostri tempi segnati da tragiche contrapposizioni:
R. -
Assolutamente sì. Aggiungo che, detta così, potrebbe sembrare un’impresa leggermente
velata dalla noia. Non è così, perché poi i film, cioè il ‘sale’ di tutto ciò,
sono appassionanti, sono storie, sono aperture sul mondo. E certamente, nel
caso della selezione di quest’anno, sono anche un inno ad una tolleranza
diversa, un piacere di scoprire l’altro, che, a mio parere, è fondamentale nei
nostri temp. E qui emergono specificamente anche i temi dell’ebraismo errante,
come i temi della diaspora palestinese, i temi della scoperta del mondo
occidentale, vista da una lontana Asia, oppure lo smarrimento e lo sbandamento
che può prendere un europeo e un asiatico che si trovano a vivere a New York”.
D. - Nella fase di selezione delle pellicole, dove avete
trovato una maggiore vitalità artistica e autoriale?
R. - C’è un cinema vitale, molto vitale, che viene dal
nord dell’Europa, dove oggi, secondo me, si notano le novità maggiori del
nostro continente. Viene dalla Danimarca con una storia bellissima di un
pianista di rango internazionale, un grande esecutore di Bach, che ad un certo
momento, al massimo della celebrità, scopre il dramma di aver dimenticato i
propri valori e di aver chiuso la porta ai propri sentimenti. Ma poi andiamo
molto più lontano, nel Quebec, fra gli anni ’60 e gli anni del 2000, con un
film che si chiama “Crasy”, quindi in un Iran riambientato a New York, con
questo film molto bello, forse uno dei più belli della selezione. Si chiama
“L’uomo che spinge il carrello”, “Man push cart”. Poi arriveremo fino a Taiwan,
poi, in Argentina, nella Terra del Fuego, con “El viento”, oppure potremo
ancora andare a celebrare un grande regista italiano, come Elio Petri, di cui
troppo spesso ci si dimentica.
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30 agosto 2005
CATTOLICI, VALDESI E ORTODOSSI RICORDANO A TORINO
LA
FIGURA DEL COMPIANTO FRÈRE ROGER
TORINO.= Cattolici, valdesi e ortodossi della città di
Torino si uniranno in preghiera venerdì 2 settembre nella Chiesa di San
Domenico per ricordare Frère Roger. Da oltre venti anni – si legge in una nota
diffusa oggi e citata dall’Agenzia SIR - ogni primo venerdì del mese, nel
capoluogo piemontese, un gruppo di persone si ritrova nella preghiera legata
alla spiritualità della Comunità di Taizé. Il prossimo appuntamento sarà
dedicato a Frère Roger che verrà ricordato “nel silenzio e nell’ascolto di
testimonianze di chi l’ha conosciuto e amato”. Alla preghiera sono stati
invitati anche laici e religiosi appartenenti alla Chiesa cattolica torinese,
alla Chiesa valdese e alla Chiesa ortodossa. (A.G.)
LA
LEGIONE DI MARIA FESTEGGIA 50 ANNI DI PRESENZA IN COREA
CON UN
CONGRESSO SUL TEMA “VIVERE CON MARIA L’ANNO DELL’EUCARISTIA”
SEOUL.= La Legione di Maria ha
festeggiato, nei giorni scorsi, a Seoul il suo 50.mo anniversario di presenza
in Corea con un congresso cui hanno partecipato circa 13 mila membri
dell’associazione. Nel corso della celebrazione – informa l’agenzia AsiaNews –
sono state presentate le intenzioni dei legionari di “rinnovare lo spirito” e
“divenire agenti di evangelizzazione”. In una risoluzione letta a tutti i
membri, il Comitato direttivo esprime “la volontà di proclamare la Buona
novella al mondo secondo le parole del Signore, di diventare umili e fedeli
collaboratori dei pastori seguendo il modello della santità di Maria e di
condurre una vita di preghiera e servizio secondo il Vangelo e gli insegnamenti
della Legione”. Il congresso, sul tema “Vivere con Maria l’Anno dell’Eucaristia”,
si è svolto con diversi eventi fra cui processioni, recita di rosari e messe.
Durante la solenne messa di ringraziamento, mons. Nicholas Cheong Jin-suk,
arcivescovo di Seoul, ha lodato le attività della Legione di Maria ed ha detto:
“Il tasso di evangelizzazione in Corea, 50 anni fa, era dell’1 per cento mentre
ora tocca il 10 per cento. Oltre alla rapida crescita della Chiesa cattolica è
stato forte e generoso il contributo dei membri della Legione di Maria”. La
Legione di Maria è un’associazione di fedeli laici dediti alla preghiera, a
opere di carità e all’evangelizzazione. È stata fondata nel 1921 dall’irlandese
Frank Duff ed è stata introdotta in Corea da Francis Ig-chin Kim, che ha
tradotto il Manuale mariano in coreano, e dal vescovo Herold Henry, missionario
Colombano e quinto vescovo di Kwangju. Al momento il gruppo conta 2 Senati, 11
Regie, 182 Commissioni, 1.916 Curie, 30.522 Presidii e 291.144 membri attivi
coadiuvati da 267.166 membri ausiliari. (A.G.)
ALLARME
DELLA CARITAS DEL NIGER: A RISCHIO LA VITA DI
MIGLIAIA DI BAMBINI
A CAUSA
DELLA CARESTIA CHE HA COLPITO IL PAESE AFRICANO
CITTA’ DEL VATICANO. = In un rapporto inviato alle Caritas
di tutto il mondo, Caritas Niger mette l’accento sulle difficoltà che
attualmente vivono le vittime della fame. In base ai dati riferiti, un quarto
della popolazione del Paese - tra i 2 e i 3,5 milioni di persone - si trova in
una situazione limite, che durerà fino alla mietitura del prossimo raccolto, a
partire da ottobre. Questi mesi di attesa sono un’autentica prova di
sopravvivenza per le fasce più vulnerabili della popolazione: bambini e donne.
Caritas Niger – riferisce l’agenzia Zenit - è in difficoltà per l’arrivo nei
suoi centri nutrizionali di un numero sempre più alto di bambini denutriti.
Secondo i dati forniti recentemente dal Programma delle Nazioni Unite per lo
Sviluppo, si calcola che in questo momento ci siano in Niger 32.000 bambini in
condizioni di grave malnutrizione, 160.000 in situazione di malnutrizione moderata
e più di 260.000 donne incinte o che allattano colpite da qualche forma di
denutrizione. Di fronte a questa situazione critica, l’azione umanitaria svolta
da Caritas Niger si sta orientando verso questi gruppi maggiormente a rischio.
Per questo motivo, la rete Caritas si è posta come priorità principale fino al
prossimo raccolto il miglioramento dello stato nutrizionale e sanitario della
popolazione infantile e delle donne incinte e che allattano, così come il
rafforzamento del personale necessario a garantire una risposta efficace di
queste fasce della popolazione. Fino al 26 agosto, la Caritas aveva distribuito
in Niger 1.030 tonnellate di cereali in un totale di 507 centri e ad una
popolazione stimata nelle 175.000 unità, oltre ad aver fornito diverse partite
di grano a 63 banche comunitarie di cereali. (A.G.)
I GIOVANI DELLE ACLI SI
CONFRONTANO A NAPOLI SU SOLIDARIETA’ E SPIRITUALITA’
NAPOLI.= Solidarietà e
spiritualità: questo il binomio al centro dell’incontro dei Giovani delle ACLI,
che si riuniranno da domani fino al 4 settembre a Castellammare di Stabia
nell’ambito della IV edizione del campo estivo di formazione dei giovani delle
ACLI di Napoli. Il tema dell’incontro è “Dalla parte di Marta: tra impegno
sociale e incontro con Cristo”. Il primo settembre i partecipanti dialogheranno
con padre Giorgio Poletti, missionario comboniano che opera a Castelvolturno, e
don Tonino Palmese, referente dell’associazione “Libera” per la Campania. Il
giorno successivo i giovani incontreranno il missionario comboniano Alex
Zanotelli, Paola Vacchina, membro della presidenza nazionale delle Acli, e
Mario Di Costanzo, consigliere nazionale di Azione Cattolica, per discutere sul
ruolo dell’associazionismo nella società italiana. Il 3 settembre si terrà un
confronto con l’ex segretario generale della CISL Sergio D’Antoni. (A.G.)
OLTRE 5 MILA GIOVANI IMPEGNATI
A BELLARIA PER 10 GIORNI NELLA FESTA D’ESTATE GIOCA CON IL SORRISO,
PROMOSSA DALL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE SAN PAOLO
DEGLI ORATORI E CIRCOLI GIOVANILI
RIMINI.= Saranno oltre 5 mila i
giovani atleti italiani, insieme con i loro educatori ed allenatori, che
prenderanno parte, da domani all’11 settembre, alla 25.ma “Festa d’Estate Gioca
con il sorriso” dell’Anspi (Associazione Nazionale San Paolo degli Oratori e Circoli
giovanili). L’appuntamento – informa l’agenzia SIR – è a Bellaria Igea Marina,
in provincia di Rimini. A suggellare l’evento sarà la tavola rotonda del 7
settembre (ore 15.30) sul tema: “La promozione dello sport come strumento di
sviluppo della persona, particolarmente dei giovani”. L’incontro avviene
nell’Anno Internazionale dello Sport indetto dall’ONU, per riflettere sul volto
sano dello sport ma anche per celebrare il riconoscimento dell’ANSPI Sport da
parte del CONI (avvenuto nel febbraio scorso) come “Ente di Promozione Sportiva”.
Agli eventi Anspi sono stati invitati il vescovo di Rimini e presidente della
Consulta Regionale dello Sport, mons. Mariano De Nicolò, il presidente nazionale
del CONI, Giovanni Petrucci, e personaggi del mondo dello sport. A fare gli
onori di casa sarà il sindaco di Bellaria, Gianni Scenna. Alla tavola rotonda
interverranno il presidente nazionale dell’ANSPI Sport, mons. Antenore Vezzosi,
il direttore dell’Ufficio CEI per il Tempo Libero, Sport e Turismo, mons.
Carlo Mazza, e i presidenti di altri enti sportivi (CSI, LIBERTAS, OPES, PGS,
US ACLI). (A.G.)
A COCHABAMBA IL PRIMO SIMPOSIO BOLIVIANO DI
MISSIOLOGIA
SUL TEMA
“EUCARISTIA, MISSIONE E REALTA’ NAZIONALE”
COCHABAMBA.= Il Centro
Missionario di Maryknoll a Cochabamba ha ospitato recentemente il primo
Simposio Boliviano di Missiologia sul tema “Eucaristia, missione e realtà
nazionale”. E’ stato l'istituto di Missiologia dell'Università Cattolica
Boliviana ad organizzare l'evento, che ha contato un centinaio di partecipanti.
Alla sua riuscita hanno collaborato anche lo stesso Centro Missionario di
Maryknoll e la commissione per le missioni dell’arcidiocesi di Cochabamba.
Padre Roberto Tomichà, dei minori conventuali e direttore dell'Istituto di
Missiologia, ha detto che l’obiettivo del simposio boliviano era quello di “riflettere
sulla missione della Chiesa e sulla centralità dell'Eucaristia nella vita
cristiana, specie nelle odierne circostanze in cui vive il Paese”. (A.M.)
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- A cura
di Eugenio Bonanata e Andrea Cocco-
Dopo la tragedia dello scorso
giovedì, in cui sono morte 17 persone, Parigi torna a contare le vittime di un
incendio. In fiamme, ancora una volta, un edificio abitato da migranti, quasi tutti ivoriani. Sette i
morti, tra cui quattro bambini; 15 i feriti, tre dei quali molto gravi. Questa
mattina il messaggio di cordoglio del presidente Chirac, che ha esortato la
conclusione rapida dell’inchiesta sulle cause della tragedia. Riemerge intanto
il problema delle drammatiche condizioni di vita per ampi strati della
popolazione in Francia. Secondo la Fondazione dell’Abbè Pierre, sono almeno 3
milioni le persone che nel Paese vivono in condizioni poco sicure, mentre
scarseggiano gli alloggi sociali.
Andrea Sarubbi ne ha parlato con il missionario scalabriniano Lorenzo Préncipe,
per anni direttore del Centro studi emigrazione di Parigi:
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R. - Gli alloggi sociali in
Francia sono scarsi e sono tenuti molto male, al di sotto delle soglie – diciamo
- minime di sopravvivenza di una certa decenza di vita. Ultimamente, molti
comuni hanno deciso di contravvenire alle disposizioni dell’ultima legge
sull’alloggio sociale in Francia che aveva invitato tutti i responsabili dei
comuni delle città con oltre 10.000 abitanti, a creare il 20 per cento di nuovi
alloggi a carattere sociale, appunto per permettere ad una popolazione, i cui
proventi sono bassi, di poter essere alloggiati in condizioni degne ed umane.
Molti comuni disattenderanno questa normativa, per vari motivi; sia per motivi
di spazi che per motivi di convenienza. L’immagine che mi rimane è la determinazione
delle famiglie di non volere più alloggi provvisori. Esse hanno accettato di
occupare la palestra di una scuola fino a che non riceveranno delle proposte di
alloggi e di sistemazioni che siano definitive.
D. - Più in profondità, che cosa dicono queste tragedie
alla Francia e a tutto l’Occidente?
R. – La Francia, come sappiamo
bene, è un Paese che ha quasi 200 anni di storia di immigrazione. Dopo 200 anni,
però, troviamo ancora queste situazioni di palese discriminazione, dove immigrati,
essenzialmente provenienti dall’Africa nera, quelli dal Mali, Senegal, Costa
d’Avorio, si trovano in situazioni disumane perché credo che il ‘peccato originario’
della concezione che abbiamo, e che ha la Francia, dell’immigrazione, non è
ancora stato superato. In fondo in fondo, si considera ancora l’immigrazione,
in Francia o in qualsiasi altro Paese d’Europa, come un fenomeno temporaneo e
al fenomeno temporaneo non si dà stabilità e dignità di alloggio. Si cerca di
correre ai rimedi e ai ripari nel momento in cui succedono questo tipo di
tragedie.
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Tornano
le tensioni politiche in Libano, uscito da pochi mesi dal controllo della Siria.
All’alba di oggi sono stati arrestati alcuni ex dirigenti dei servizi di sicurezza
che erano in carica momento dell'attentato che uccise l’ex primo ministro Rafiq
Hariri. Numerosi politici e giornalisti antisiriani hanno precisato lasciare il
Paese nel timore di attentati. Il nostro servizio:
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Anche
l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, Solana, e
l’inviato delle Nazioni Unite, Larsen, hanno cancellato la visita che separatamente
avevano in programma a Beirut per domenica 4 settembre. Lo riferisce il quotidiano
libanese 'an Nahar' notando che questa decisione coincide con gli ultimi sviluppi
dell’indagine Onu sull’assassinio dell’ex premier Rafik Hariri, avvenuto lo
scorso febbraio. All'alba di oggi, infatti, la polizia ha fermato tre ex capi
dei servizi di sicurezza libanesi, sottoposti a interrogatorio da parte degli
investigatori Onu. Finora, nessuna imputazione è stata formulata contro di
loro, che erano stati accusati da esponenti politici antisiriani di
coinvolgimento nell'assassinio. Intanto, numerosi esponenti politici e
giornalisti libanesi antisiriani hanno preferito trasferirsi in Francia, nel
timore di un’ondata di omicidi politici. Voci sull’esistenza di una “lista
nera” di personalità antisiriane da ''liquidare'' avevano già costretto nelle
settimane scorse il leader druso Jumblatt e il leader cristiano Michel Aoun a
rinchiudersi nelle loro rispettive residenze di montagna, sottoposte a rigida
sorveglianza. Dopo l’uccisione di Hariri, inoltre, il giornalista antisiriano
Samir Kassir e l'ex segretario generale del Partito comunista libanese George
Hawi erano stati a loro volta assassinati in giugno a Beirut in due attentati
con autobomba.
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In Iraq si discute ancora
sul futuro della Costituzione, mentre sul terreno non si fermano gli episodi di
violenza. Questa mattina, a Baghdad, una bomba nascosta sul ciglio della strada
ha causato la morte del capo della polizia del quartiere occidentale di
Ghazaliya. Feriti anche i tre uomini della scorta. Sempre a Baghdad una
portavoce americana, infine, ha precisato che un capo di al Qaida chiamato “Abu
Islam ed un numero imprecisato di suoi militanti, sono stati uccisi oggi in due
raid aerei” lanciati a Karabila, vicino a Qaim, sul confine con la Siria. Secondo
fonti ospedaliere sarebbero almeno 47 i morti.
Prosegue
la visita in Medio oriente dell’Alto rappresentante per la politica estera
dell’Unione europea, Solana, che dopo aver discusso con le autorità israeliane
e palestinesi ha esortato le parti a rilanciare il processo di pace sfruttando
la congiuntura favorevole del ritiro. Nella serata di ieri l’incontro con il
premier palestinese Abu Ala, con il quale ha discusso dei problemi rimasti
ancora in sospeso dopo il ritiro da Gaza, tra cui i futuri collegamenti tra la
Striscia e la Cisgiordania. Intanto, il premier israeliano Sharon non ha
escluso la smobilitazione di altri insediamenti minori in Cisgiordania,
confermando tuttavia che i grandi blocchi di colonie saranno comunque
mantenuti. La situazione di Sharon si fa sempre più difficile però all’interno
del suo partito. Proprio oggi, infatti, si attende la candidatura ufficiale del
suo ‘grande rivale’ Benjamin Netanyahu al vertice del Likud.
Il
peggio è passato, ma le conseguenze della forza devastante dell’uragano Katrina
sono terribili: almeno 70 i morti, New Orleans parzialmente inondata, danni
incalcolabili all’economia dell’area colpita. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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Almeno 50 persone sono morte
nello Stato del Mississippi, la maggior parte delle quali nella città di
Biloxi, uccise nel crollo di un edificio. Dalle 19.00 di ieri ora locale, le
02.00 italiane, Katrina non è più un uragano: dopo avere devastato Louisiana,
Mississippi e Alabama, la perturbazione è stata “degradata” a tempesta tropicale,
con venti non superiori ai 100 chilometri l’ora che risalgono verso nord in
direzione del Tennessee e dell'Ohio. Si rafforza l'impressione che
le prime stime di impatto siano state eccessivamente ottimiste. Intanto, il
presidente americano, Bush, ha già liberato fondi federali per le aree colpite
e sta ora valutando se autorizzare il ricorso parziale alle riserve petrolifere
strategiche, per fare fronte alla riduzione delle capacità di raffinazione
lungo la costa sul Golfo del Messico. Secondo le prime stime, nella sola
Louisiana, sarebbero 40.000 le case allagate e centinaia le persone rifugiatesi
ai piani alti, o sui tetti, in attesa di soccorsi. D’altro canto, vi sono
ancora località non raggiunte dalle squadre di soccorso. Il governatore della
Louisiana, Kathleen Blanco, ha invitato gli evacuati a non tornare per ora a
casa, perché le strade sono pericolose, le inondazioni non sono state assorbite
e dunque la sicurezza non può ancora essere garantita. A rendere ancora più
grave la situazione, poi, i casi di saccheggi di proprietà incustodite. Ieri
quasi un milione di persone era rimasta senza luce, durante il passaggio di
Katrina. La furia distruttiva dell’urgano ha divelto linee di alta tensione e
messo in ginocchio il sistema di rifornimento per molte ore.
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Sono
iniziate ieri le trattative tra i 33 Paesi del comitato delle Nazioni Unite
incaricato di trovare una proposta comune per la riforma dell’Onu, in vista
dell’atteso vertice di settembre. Secondo Jean Ping, presidente dell’Assemblea
generale dell’ONU, i negoziati proseguiranno fino al raggiungimento di un accordo.
Ma le divisioni tra i Paesi del comitato restano molte, soprattutto sulla questione
del terrorismo, sul disarmo, sulla riforma dell’organizzazione e la creazione
di una Commissione per la pace.
E proprio la riforma dell’ONU è
stata al centro dei colloqui fra il presidente russo Putin e il premier italiano
Berlusconi a margine di un colloquio di lavoro svoltosi a Soci, sul Mar Nero.
Mosca non è contraria all’ingresso di Germania e Giappone tra i membri permanenti
del Consiglio di sicurezza, se c’è il ‘sì’ all’Onu. Berlusconi, invece,
rivendica la legittimità del ‘no’ italiano a tale proposta di riforma, che penalizzerebbe
il ruolo di Roma.
Il commissario europeo al
commercio, Peter Mandelson, ha rinnovato stamani un appello agli Stati membri perché sostengano la sua proposta per
sbloccare le merci cinesi ferme nei
porti europei. Se non si arrivasse ad una soluzione - ha detto il commissario -
potrebbero “esserci conseguenze dolorose per i piccoli dettaglianti con il
rischio di penuria e prezzi più elevati”. Mandelson sta cercando in questi
giorni di risolvere un confronto a distanza con i Paesi del nord, preoccupati
perché i milioni di capi di abbigliamento cinesi bloccati hanno superato i
limiti all’import, e i Paesi produttori come Francia e Italia, che vogliono,
invece, un rispetto più stringente delle quote fissate ai primi di giugno. Per
il commissario, che la prossima settimana sarà in Cina, nessuno Stato deve mettere
a repentaglio quell’accordo; mentre la Cina “ha l’obbligo di dare un contributo
per trovare una soluzione allo sblocco delle merci”.
L’Alto Commissario dell’Onu per
i Diritti Umani, la signora Louise Arbour, è da ieri in Cina dove rimarrà per
una settimana. Previsti incontri con il presidente, Hu Jintao, il ministro
della Giustizia e il Capo della Corte Suprema. Scopo del viaggio è la verifica
degli abusi sui diritti umani nel Paese asiatico e dei ritardi
nell’applicazione delle normative internazionali a difesa delle prerogative
fondamentali della persona. Il servizio è di Bernardo Cervellera:
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Tra i temi in discussione vi è
la tortura, usata in abbondanza, e l’uso indiscriminato della pena di morte: la
Cina ha il primato delle esecuzioni capitali, oltre 10 mila, che superano di
gran lunga la somma delle esecuzioni in tutto il mondo. Vi è poi un uso senza
scrupolo del carcere preventivo e delle sentenze preconfezionate nei Tribunali.
Ma i dialoghi vertono soprattutto sulla riforma del sistema giudiziario, anzitutto
sul sistema del “laogai”, la rieducazione attraverso il lavoro che permette di
condannare a quattro anni di lavori forzati una persona anche senza processo.
Vi sono attualmente 26 mila persone condannate al “laogai” e fra queste, dissidenti
democratici, attivisti per i diritti umani, personalità religiose. Infine, e soprattutto,
la Commissione vorrebbe fissare una data per la ratifica della Convenzione ONU
sui diritti civili e politici. Pechino ha sottoscritto la Convenzione nel ’98,
ma non l’ha ancora ratificata il Parlamento né l’ha assorbita nella legislazione.
Per la Radio Vaticana, Bernardo
Cervellera.
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Tra India e Pakistan
continuano i segnali di disgelo. L’ultimo è rappresentato dalla due giorni di
colloqui, iniziata ieri, incentrata sulla lotta al terrorismo ed al narcotraffico,
ma soprattutto sullo scambio di centinaia di prigionieri.
E’
partita ufficialmente, in Giappone, la campagna per le elezioni anticipate dell'11
settembre. Il premier Koizumi chiede un voto a favore delle riforme. La decisione
del primo ministro di andare alle urne è stata presa dopo la bocciatura del
parlamento alla proposta di riforma delle poste, di fatto la banca più grande
del mondo con depositi per oltre 2,3 miliardi di euro. Oltre 1.000 i candidati
registrati per i circa 500 seggi della Camera Bassa. In testa ai sondaggi ancora
il partito Liberaldemocratico dell’ex premier Koizumi, seguito da quello Democratico
del riformista Katsuya Okada.
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