RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
241 - Testo della trasmissione di lunedì 29 agosto 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Un bilancio del Meeting di
Rimini che si è svolto sul tema della libertà. Con noi Sandro Ricci
Convegno sul dialogo tra indù e
cristiani. Intervista con mons. Felix Machado
CHIESA E SOCIETA’:
Si aprirà il 4 settembre ad Assisi il “IX simposio
intercristiano sull’Eucaristia”
“L’Honduras vive un genocidio giovanile”. E’ la denuncia di
mons. Rómulo Emiliani Sanchèz
India: sciopero della fame di circa 4.500 minatori di uranio
che reclamano aumenti salariali
Non dimenticate Timor Est,
tra i Paesi più poveri del mondo: l’appello di Kofi Annan
Per l’AGESC in Italia non è riconosciuto il diritto delle famiglie
ad educare liberamente i figli
L’uragano
Katrina avanza su New Orleans. Incalcolabili i danni sull’area colpita, mentre
l’emergenza fa schizzare il petrolio a quasi 71 dollari al barile
29 agosto 2005
PACE,
BENESSERE, PROSPERITA’ E SVILUPPO INTEGRALE:
E’ QUANTO BENEDETTO XVI AUGURA ALL’ECUADOR.
NEL
DISCORSO AL NUOVO AMBASCIATORE,
RICEVUTO A CASTEL GANDOLFO PER LE LETTERE CREDENZIALI, BENEDETTO XVI
RICORDA
POVERTÀ, EMARGINAZIONE E LE SOFFERENZE DELL’EMIGRAZIONE.
Pace, benessere, prosperità, sviluppo integrale: è quanto
augura il Papa all’Ecuador, nel discorso al nuovo ambasciatore del Paese latino
americano ricevuto stamane a Castel Gandolfo per la presentazione delle lettere
credenziali. Al signor Francisco Salazar Alvarado, Benedetto XVI esprime
l’apprezzamento per lo svolgimento del medesimo incarico già dal 1984 al 1988.
Il servizio di Fausta Speranza:
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Rispondere alle necessità di tanti diseredati è priorità
fondamentale. Così il Papa ricorda quanti soffrono in Ecuador, sottolineando
che tra questi molti appartengono alle popolazioni indigene e che gran parte
proprio di tali popolazioni sono vittime di povertà e emarginazione. E
Benedetto XVI ricorda anche le necessità di base che vengono meno: educazione,
salute e alloggio. A proposito della realtà sociale, sottolinea anche le
difficoltà di quanti lasciano il Paese per un “legittimo desiderio” di migliori
condizioni di vita, ricordando il dramma di allontanarsi dalla patria e in
alcuni casi dai propri figli in tenera età. Sottolinea anche il bisogno di
conservare, partendo, quelli che definisce i “ricchi valori culturali e
religiosi” che - dice – “formano il
bagaglio con cui partono gli emigranti”.
Il Papa sottolinea come molti altri Paesi stiano vivendo
problemi di ordine economico, sociale e politico. Per poi ricordare che la parola chiave per affrontarli
deve essere ‘solidarietà’. E qui ricorda l’insegnamento di Giovanni Paolo II
per sollecitare tutti, cittadini di diversi strati sociali responsabili di
diverse realtà politiche ed economiche, alla collaborazione e alla buona
volontà: “per rendere possibile una continua azione dei governanti tra le sfide
del mondo globalizzato”. Obiettivo – spiega – è il bene di tutti e di
ciascuno.
Nel corso dell’incontro, il Papa menziona due
appuntamenti: uno del passato, quando ha partecipato nel 1978 come inviato
straordinario al Congresso mariano nazionale a Guayaquil. E rammenta di aver
potuto visitare le circoscrizioni ecclesiastiche di Cuenca, Ambato e brevemente
Quito, e di aver toccato con mano “l’insieme di fede e di adesione alla Chiesa
cattolica che caratterizzano il popolo ecuadoregno”. Nomina, poi, il
Centenario, nel prossimo anno, del miracolo dell’immagine dell’Addolorata del
Collegio di Quito. Un pensiero anche alla prima santa ecuadoregna, Mariana de
Jesus. La sua statua – ricorda - sarà presto collocata in un posto stabilito
nella Basilica di San Pietro.
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SI E’
SVOLTO IN UN CLIMA DI AMORE PER LA CHIESA
E DI DESIDERIO DI ARRIVARE ALLA PERFETTA COMUNIONE
L’INCONTRO TRA IL PAPA E IL SUPERIORE
GENERALE DELLA “FRATERNITÀ SAN PIO X”,
MONS. BERNARD FELLAY
Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina
nel Palazzo Apostolico di CastelGandolfo il Superiore Generale della
“Fraternità San Pio X”, mons. Bernard
Fellay, che ne aveva fatto richiesta. Il Papa era accompagnato dal cardinale
Darío Castrillón Hoyos, presidente della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”.
“L’incontro – ha affermato il direttore della Sala Stampa
vaticana Joaquín Navarro-Valls
- si è svolto in un clima di amore per la Chiesa e di desiderio di arrivare
alla perfetta comunione. Sebbene consapevoli delle difficoltà, si è
manifestata la volontà di procedere per gradi e in tempi ragionevoli”. Ricordiamo che la Fraternità
Sacerdotale di San Pio X, è stata fondata dall’arcivescovo Marcel Lefebvre,
morto il 25 marzo del 1991.
ALTRE UDIENZE
Il Papa, sempre a Castel Gandolfo, ha
ricevuto oggi anche mons. Juan Guillermo López Soto, vescovo di
Cuauhtémoc-Madera, in Messico, in visita "ad Limina".
IL
CAMMINO DI FEDE ALLA SCOPERTA DEL VOLTO DI DIO
UN’ESPERIENZA
CHE SI RINNOVA PER I CRISTIANI DI OGNI EPOCA:
UN
COMMENTO ALLE PAROLE DI BENEDETTO XVI ALL’ANGELUS DI IERI
-
Intervista con padre Pietro Bellini -
Ricercare
l’amore di Dio e adorarlo, attraverso Cristo, è una delle urgenze della
pastorale contemporanea. La riflessione di Benedetto XVI, all’Angelus di ieri,
scaturisce dai giorni trascorsi a contatto con i giovani della GMG di Colonia e
dal confronto con i vescovi. Ieri, il Papa ha espresso concetti profondi sul
cammino di fede dei credenti: un cammino, ha detto, che consente all’uomo di
trovare ciò che cerca, ovvero un “Dio sempre nuovo nella sua infinitezza”.
Un’esperienza che visse agli inizi del cristianesimo uno dei Padri della
Chiesa, ricordato nella liturgia di ieri: Sant’Agostino. P. Pietro Bellini, superiore
della Provincia agostiniana d’Italia spiega, nell’intervista di Alessandro De
Carolis, l’importanza dell’insegnamento di Benedetto XVI:
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R. – Io credo che sia uno degli inviti particolarmente
adatto all’uomo di oggi. Come dice Benedetto XVI, dove Dio non è riconosciuto e
adorato come bene supremo, la dignità dell’uomo è messa a repentaglio. La
storia recente, quella contemporanea, dà moltissime prove di questo fatto: dove
Dio non ha il suo posto, non c’è posto neanche per la dignità dell’uomo.
D. – Il Papa è tornato anche su un punto ultimamente a lui
piuttosto caro: il cristianesimo – ha detto – non è tanto un complesso di
dogmi e di norme, ma un’esperienza e una scoperta sempre nuove. Il che è poi,
in sostanza, ciò che attrae più i giovani...
R. – Sì. Io credo che la dignità dell’uomo consista nella
somiglianza a Dio: l’essere fatto a somiglianza di Dio, come intelligenza e
come volontà, come capacità di scoprire e come capacità di amare. Io credo che
sia particolarmente insito nel cuore di ogni uomo, particolarmente dei
giovani, il desiderio della scoperta. Anche le esigenze più profonde
dell’esistenza umana, immancabilmente – come ci insegnano i grandi uomini e le
grandi donne della storia – non può non terminare con la scoperta di Dio, in
qualche modo.
D. – Quindi, è come dire che il dogma, che pure esiste e
va rispettato, dev’essere visto in una luce più ampia...
R. – In un orizzonte più ampio, che è l’orizzonte completo
dell’uomo. Credo che l’insoddisfazione generale dell’uomo di oggi, che non ha
delle percezioni precise, deriva esattamente da quel “non potere” o “non
volere” riuscire a scoprire la parte fondamentale dell’uomo che è la parte del
mistero: ovvero, la natura umana stessa, in fondo al quale non può che trovarsi
Dio.
D. – Uno dei modelli del cristiano che, come dice il Papa,
è “contemporaneamente uno che cerca e uno che trova”, è senza dubbio
Sant’Agostino. Cosa racconta la sua esperienza, vissuta nei primi secoli della
vita della Chiesa, ai giovani che ne hanno imboccato il Terzo Millennio?
R. – Credo che il cuore del giovane sia sempre lo stesso.
Il cuore di Agostino giovane è il cuore dei giovani di oggi. Mi fa piacere
Benedetto XVI che ha detto ieri: il cristiano è contemporaneamente uno che
cerca e uno che trova. Agostino ha una bellissima preghiera che dice così:
“Fa’, o Signore, che io Ti cerchi per trovarTi e trovato, che io Ti cerchi con
sempre più desiderio”. Credo che questo desiderio dell’uomo di cercare, di
trovare per ricercare ancora, questa insaziabilità del cuore umano, renda
giovane Agostino e lo renda attuale anche per l’uomo e soprattutto per i
giovani di oggi.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
In prima pagina: “Cercare Cristo: l’incessante
anelito dei credenti”: all’Angelus Benedetto XVI ricorda la straordinaria
esperienza ecclesiale vissuta a Colonia per la GMG e ripropone la necessità di
aiutare l’uomo di oggi a “riscoprire” il volto autentico di Dio. Il discorso del Papa al nuovo
Ambasciatore dell’Ecuador. L’inizio del ministero pastorale di Mons Stanislaw
Dziwisz nell’Arcidiocesi di Cracovia.
Servizio vaticano – “Gli zaini dei pellegrini colmi di gioia e ardore missionario”:
l’eredità spirituale della XX Giornata Mondiale della Gioventù. 50.mo
anniversario della morte del beato Card. Ildefonso Schuster, Arcivescovo di Milano.
Servizio estero –
Iraq: sulla Costituzione deciderà il referendum. Afghanistan: assassinato
un candidato alle politiche. Medio Oriente: torna il terrore in Israele dopo il
ritiro da Gaza. Egitto: dieci arresti per gli attentati a Taba e a Sharm el
Sheikh.
Servizio culturale –
L’articolo di Ferdinando Montuschi: “Il suicidio: un fenomeno che impegna
l’educazione”.
Servizio italiano –
Puglia: protesta tragica degli agricoltori. Un morto e alcuni feriti.
Traffico: drammatico fine settimana.
Conclusa la manifestazione riminese: “Sarà ispirato alla ragione come
esigenza d’infinito il tema del Meeting 2006”.
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29 agosto 2005
Oggi la
chiesa ricorda il martirio di san giovanni Battista.
Un anno
fa giovanni paolo II ribadiva che il sangue immolato
per la
verità e la giustizia è segno della santità della
chiesa.
Il
pontefice ricordava inoltre come in alcune parti del mondo
i
cRedenti pagano la loro adesione a cristo e alla chiesa
- Intervista con padre Bernardo
Cervellera -
Oggi,
29 agosto, la Chiesa fa memoria del martirio di San Giovanni Battista che “rese
a Dio la suprema testimonianza del sangue immolando la sua esistenza per la
verità e la giustizia”. Fu infatti decapitato per ordine di Erode, al quale aveva
osato dire che non gli era lecito tenere la moglie di suo fratello. Esattamente
un anno fa, a Castel Gandolfo, all’Angelus, Giovanni Paolo II, richiamandosi a
questo martirio, aveva ricordato come in alcune parti del mondo i credenti
“continuano ad essere sottoposti a dure prove per l’adesione a Cristo”. Il
Pontefice aveva inoltre richiamato tutti a vivere nella propria quotidianità il
Vangelo senza compromessi. Ma qual è il valore del martirio di Giovanni Battista?
Eugenio Bonanata lo ha chiesto a padre Bernardo Cervellera, direttore
dell’Agenzia “AsiaNews”:
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R. – Giovanni Battista, veramente, è il simbolo dei
martiri ma soprattutto è il simbolo dei missionari, perché Giovanni Battista è
il precursore di Gesù e quindi tutto il mondo cristiano, cattolico vede in lui
l’immagine di colui che prepara la via al Signore. Mi ricordo, una volta, uno
studente cinese mi ha detto: “Io e i miei amici della mia comunità di Pechino
siamo come Giovanni Battista: prepariamo la via al Signore in una società che
non crede, che certe volte ostacola addirittura la fede cristiana”.
D. – Guardando alla società attuale, appunto: quali sono
oggi le difficoltà maggiori che il credente incontra per vivere senza eccezioni
il Vangelo?
R. – Ci sono molti Paesi in cui non c’è libertà religiosa,
in cui c’è molta fatica da parte dei credenti e questi sono spesso soppressi,
imprigionati proprio a causa della loro fede. Nei Paesi in cui c’è libertà
religiosa, invece, il martirio è più un disprezzo da parte della mentalità
ufficiale o dell’opinione pubblica: se uno è un cristiano viene preso in giro,
oppure se una madre ha più figli viene guardata se non con disprezzo, però con
sufficienza ... Oppure, un aspetto anche molto importante è la malattia, cioè
le persone malate, le persone anziane che vivono le loro sofferenze nella fede
sono considerate persone perdute, perché il mondo attuale, secolarizzato non sa
il valore né dell’anzianità né della malattia. Nelle società occidentali c’è
anche un altro aspetto che ci viene ricordato da Giovanni Battista. Giovanni
Battista ha detto, di fronte al potere di allora, re Erode: “Non ti è lecito
avere questa donna”, cioè gli ha detto la verità. Ecco, uno dei martiri tipici
della società occidentale è appunto quando si dice la verità nei confronti del
potere. Si è subito perseguitati, tanto che certe volte i cristiani rischiano
di tacere la verità pur di avere una vita tranquilla.
D. – Comunque, tuttora, in diverse parti del mondo i
credenti pagano la loro adesione a Cristo. Guardando lo scenario
internazionale, vuole farci qualche esempio?
R. – L’esempio secondo me più importante, che proprio è
molto simile a quello di Giovanni Battista che venne ucciso nel silenzio, nel
sotterraneo semplicemente per lasciare in festa Erode e Salomè, è l’esempio di
due vescovi cinesi che da sei-sette anni sono scomparsi e nessuno ne sa niente.
Proprio allo stesso modo con cui è avvenuto con Giovanni Battista. Per Giovanni
Battista, almeno ci sono stati i discepoli che hanno chiesto il suo corpo!
Altri esempi sono, secondo me, dall’Arabia Saudita: in Arabia Saudita c’è stato
un inasprimento del controllo perché appunto non vengano introdotte Bibbie,
Rosari, non si preghi, tanto che i cristiani adesso hanno molta paura
addirittura a radunarsi!
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IL FUTURO DELLA COSTITUZIONE
DELL’IRAQ IN MANO AI SUNNITI,
A UN MESE E MEZZO DAL REFERENDUM DEL 15 OTTOBRE
- Intervista a mons.
Philip Najim ed Erfan Rashid -
Il destino della Costituzione irachena è nelle mani dei
sunniti, l’unico gruppo a non aver ancora firmato la bozza. Stamattina a Tikrit,
città natale di Saddam Hussein, molti di loro hanno protestato contro il testo.
Più possibilista, invece, il portavoce del Partito islamico iracheno – una
delle maggiori forze politiche sunnite – che non ha escluso un appoggio alla
Carta fondamentale, purché vengano apportati cambiamenti. Intanto, anche nelle
ultime ore, si registrano violenze sul terreno: quindici iracheni sono stati
giustiziati ieri da uomini armati dopo esser stati bloccati mentre a bordo di
un veicolo percorrevano una strada desertica nella provincia ribelle di
Al-Anbar. Lo ha comunicato stamani una fonte della polizia, sulla scorta di
testimonianze oculari. Ma torniamo alla Costituzione, con il commento del giornalista sunnita Erfan Rashid,
intervistato da Andrea Sarubbi:
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R. – Questo non è un testo definitivo, bensì una bozza che
dovrà essere comunque sottoposta alla discussione dell’Assemblea nazionale che
da qui fino al 15 ottobre, giorno del referendum, avrà tempo sicuramente di
modificare, limare e ottimizzare. La cosa più importante in tutto questo
processo è comunque il coinvolgimento dei sunniti che si sono chiamati fuori
dalle elezioni del 20 gennaio scorso. La maggior parte dei loro esponenti ieri
hanno dichiarato che nonostante il dissenso nei confronti dell’articolo 3, che
riguarda il federalismo e il carattere arabo dello Stato iracheno, loro hanno
dichiarato che comunque parteciperanno alle prossime elezioni. Questo è un
passo positivo nonostante tutto il dissenso.
D. – Quindi potrebbe essere fattibile un accordo in tempi
brevi ...
R. – Mi preme dire una cosa, in questa occasione: che il
mondo attende dagli iracheni – sunniti, sciiti, curdi, turkomanni e tutti coloro
che fanno parte della società composita irachena – un miracolo compiuto con la
bacchetta magica. Ma io non credo che esista una Costituzione al mondo che sia
stata approvata fin dalla prima bozza preparata da un Comitato di redazione.
Ovvio che ci saranno dissensi, ovvio che ci saranno punti da discutere, da
approfondire, da rifiutare anche: perché questo è il diritto e la democrazia di
un Paese composito come quello iracheno. Ci sono dei problemi molto più
importanti da affrontare, come trasformare questa Costituzione in una realtà!
D. – Ecco, a proposito di questo, di cosa ha bisogno
l’Iraq per diventare una vera democrazia?
R. – Specialmente per quello che riguarda i diritti delle
minoranze, i diritti delle donne, la libertà di parola, il diritto all’organizzazione
politica, l’organizzazione dello Stato, l’indipendenza della magistratura che è
un pilastro importante dello Stato di diritto: tutte queste cose vanno
affrontate e non nei termini di ‘sunniti contro sciiti’, ‘curdi contro turkomanni’
e viceversa!
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E
l’approvazione della Costituzione è un passaggio importante anche per la comunità caldea dell’Iraq. Lo sottolinea
mons. Philip Najim, procuratore del Patriarcato
caldeo presso la Santa Sede, al microfono di Emer McCarthy:
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R. -
Questa Costituzione è molto importante, specialmente per i cristiani che formano
una comunità cospicua in Iraq; quella cristiana è una comunità antica, nel
senso che questi cristiani sono nativi del Paese, non vengono dall’estero.
Hanno quindi il diritto di essere considerati, di godere di questi diritti per
poter partecipare alla costruzione del nuovo Iraq. Quindi, la Costituzione deve
essere il garante, a protezione dei diritti di questi gruppi etnici minori in
Iraq. La comunità caldea è una Chiesa antica irachena, nata proprio in Iraq, ed
è per questo deve essere presa in considerazione e deve essere rispettata nella
sua partecipazione al futuro dell’Iraq. Quello che manca oggi è la sicurezza,
la tutela del popolo iracheno: se non ci sarà sicurezza, non potremo mettere in
pratica e vivere questa nuova Costituzione!
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UN
BILANCIO DEL MEETING CHE QUEST’ANNO HA RIFLETTUTO SULLA LIBERTA’
- Con
noi il direttore del Meeting Sandro Ricci -
Anche
quest’anno tante presenze e attenzione al Meeting per l’amicizia fra i popoli,
che si è chiuso sabato a Rimini. Organizzato da Comunione e Liberazione,
nell’edizione 2005 il Meeting ha voluto riflettere sulla libertà. “Solo Gesù
rende liberi” ha scritto Benedetto XVI nel messaggio inviato la scorsa settimana a Rimini. Come è stato trasmesso
questo? Debora Donnini ne ha parlato con Sandro Ricci, direttore del Meeting:
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R. – Il Meeting lo ha fatto attraverso la presentazione di
tante esperienze, cioè di persone che tentano di vivere già in atto questa
libertà. Una libertà che non è costituita dal fare ciò che si vuole, ma che è
fatta di un’adesione, di una capacità di stare di fronte alla realtà
cogliendone gli aspetti più profondi e più veri, cioè quelli del rapporto con
l’Infinito.
D. – C’è stato un incontro molto seguito: quello con
Giuliano Ferrara che ha detto di non aver trovato nel mondo comunista e
liberale tanto amore per la libertà quanto nel mondo ‘oscurantista’ e
‘fideista’ cattolico. Parole importanti, vi hanno colpito?
R. – Sì, ci hanno colpito e fanno parte di un rapporto
veramente interessante che si è aperto con questo mondo di laici. E’ un
rapporto fatto non tanto di semplici convenevoli o adesioni, ma fondato su un
affrontare in modo ragionevole la realtà.
D. – In questo Meeting si è parlato di relativismo, con il
discorso di Pera; di identità dell’Europa, di sussidiarietà, di rapporti con
l’islam ... Qual è il rapporto di tutti questi incontri con la libertà?
R. –
Diciamo che fa parte appunto del tentativo che volevano fare con questo
Meeting, cioè di far capire che la libertà non è semplicemente qualcosa su cui
riflettere, ma è un’esperienza. E’ fare esperienza della libertà che ci fa
capire cosa essa sia. Da questo punto di vista, l’invito a tante personalità,
anche di estrazioni culturali, ideologiche e politiche diverse, è proprio
all’interno di questa logica: noi ci sentiamo liberi perché abbiamo la
possibilità di aderire ad una presenza, ad un fatto così significativo ed
importante come la presenza di Cristo, che ci fa essere davanti ad ogni aspetto
della realtà capaci di coglierne l’aspetto positivo o, criticamente, gli
aspetti negativi, senza però una chiusura ideologica che ci renderebbe appunto
più difficoltoso questo rapporto.
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INDU’ E CRISTIANI A CONFRONTO IN INDIA SUL DIALOGO
INTERRELIGIOSO
NEL MAGISTERO DI GIOVANNI PAOLO II
- Intervista con mons. Felix Machado -
La sfida del dialogo tra cristiani ed indù, di
fronte alla minaccia della violenza. Se ne è parlato in questi giorni a Bombay,
in India, dove ieri si è concluso un convegno di due giorni sul “Contributo di
Giovanni Paolo II al dialogo interreligioso”, promosso da una delle più
prestigiose università indù, la K. J. Somaiya Bharatiya Sanskriti Peetham.
L’appuntamento - nato con l’obiettivo di abbattere il muro di diffidenza che
ancora divide le due comunità nel Paese asiatico - era stato preceduto da un
altro simposio su “Religione e secolarismo”: una riflessione sul diverso
approccio che indù e cristiani danno alla materia. Sull’importanza di questi
incontri, ecco il parere di mons. Felix Machado, sottosegretario del Pontificio
Consiglio per il Dialogo interreligioso, al microfono di Philippa Hitchen:
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R. – E’ importante perché non ci sono molte notizie di un
dialogo indù-cristiano. L’induismo rappresenta la terza grande religione del
mondo ed è quindi necessario per la Chiesa anche un dialogo chiaro, un dialogo
positivo tra gli indù ed i cristiani e, dunque, questa iniziativa mi sembra
essere molto particolare. Dopo la morte di Giovanni Paolo II, gli induisti -
proprio per il loro amore, per il loro affetto e per la loro ammirazione per Karol
Wojtyla – hanno pensato di affrontare il tema “Giovanni
Paolo II: il suo contributo al dialogo interreligioso”.
D. – Indubbiamente
i rapporti tra induisti e cristiani sono molto migliorati, soprattutto sotto
Giovanni Paolo II. Ma secondo lei un convegno a questo livello accademico cosa
può fare per migliorare i problemi e le vere tensioni che esistono tra queste
due comunità a livello locale?
R. – E’ vero che la
verità della Chiesa cattolica non è realmente conosciuta e diffusa. E questo
perché vengono promulgate delle notizie non vere fra la gente semplice, promossa
dai gruppi fondamentalisti. Un convegno come questo potrebbe quindi offrire
alla gente una vera informazione e cioè che indù e cristiani non sono in
conflitto fra loro e che sono in realtà amici e vogliono intendersi e
collaborare insieme per promuovere la pace e l‘armonia nel mondo. La Chiesa
cattolica ha sempre offerto il dialogo in risposta agli attacchi che i
fondamentalisti indù hanno rivolto alla Chiesa, rimanendo sempre fedele al
Vangelo di Gesù Cristo. La Chiesa cattolica non ha risposto alla violenza
compiuta dai fondamentalisti con altra violenza, ma ha sempre offerto in
risposta amicizia, perdono, dialogo interreligioso. Questo convegno è un
ulteriore segno per affermare tutto questo.
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AL
FESTIVAL DELLE NAZIONI DI CITTA’ DI CASTELLO IL COMPOSITORE POLACCO
KRZYSZTOF PENDERECKI HA DIRETTO L’ORCHESTRA DI VILNIUS
- Intervista
con il Maestro -
Krzysztof Penderecki è il più grande compositore polacco
vivente, e la sua musica è parte integrante della storia e della vita religiosa
in Polonia. In questi giorni ha diretto l’Orchestra di Vilnius al Festival
delle Nazioni di Città di Castello, in corso in Umbria: un festival che
quest’anno ha voluto dedicare un omaggio particolare al 25° anniversario della
nascita del sindacato polacco Solidarnosc. Penderecki, nella Chiesa di San
Domenico, ha presentato alcuni suoi componimenti e pagine di Mozart, Boccherini
e Dvrorak. A.V. ha intervistato il maestro:
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(musica)
D. – Maestro Penderecki, la storia recente della Polonia
innerva la sua più importante composizione sacra, il Requiem polacco…
R. – ONE MOVEMENT…
Un tempo è dedicato alla Rivolta di Varsavia, un altro
alle vittime di Katin, dove i russi del KGB uccisero 15 mila ufficiali polacchi
ed anche un mio zio. Poi un movimento è dedicato a San Massimiliano Kolbe, che
offrì la sua vita per un prigioniero ad Auschwitz: quindi è molto connesso con
la storia polacca. Solidarnosc è stato molto importante per tutti noi. Così
nell’80 Lech Walesa mi chiese di scrivere un pezzo dedicato ai lavoratori
assassinati nel 1970 dai comunisti: e ho scritto “Lacrimosa”. Poi morì il
cardinale Wyszynski, una
persona molto importante dopo la guerra e così per il suo funerale ho scritto
“Agnus Dei” ed ora con la morte di Papa Wojtyla, ho deciso di aggiungere un
ulteriore movimento al Requiem “Adagio in memoriam”. Poiché l’intero Requiem è
ricco di momenti corali e solistici, questa nuova parte sarà meditativa. La sto
scrivendo proprio ora.
D. – Lei ha scritto principalmente musica sacra, qual è
stata la sua ispirazione?
R. – IT’S A TRADITION…
E’ una tradizione di famiglia. Mi ricordo – eravamo nel
’39 – che dovevamo lasciare la nostra casa e ci trasferimmo in campagna. Non
potemmo portare molte cose con noi: c’era solo un piccolo carro trainato da
cavalli. Ma mio nonno prese un libro, la Bibbia. Questo unico libro è
sopravvissuto dalla biblioteca. Primo, dunque, il senso di continuità della
tradizione e poi più tardi della tradizione della musica sacra. Come si può
scrivere musica sacra senza Palestrina, Orlando Di Lasso e Bach? Sono le radici
della musica. Un paio di secoli di storia della musica sacra di cui volevo
esser parte, cominciando a comporre. Adesso sto lavorando alla Passione secondo
Giovanni. E’ tutta la mia vita!
D. – Sotto il regime comunista in Polonia, la musica sacra
era censurata?
R. –
POLAND IS VERY CONNECTING…
“La Polonia è molto collegata alla religione e qui non
hanno potuto fare quanto attuarono in Russia, Cecoslovacchia, Bulgaria o in
altri Paesi dell’area sovietica. Ma alle orchestre di Stato non era permesso
eseguire musica sacra e così, a volte, suonavano nelle Chiese, dove non erano
sotto controllo.
(musica)
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29
agosto 2005
SI APRIRA’ IL 4 SETTEMBRE AD
ASSISI IL “IX SIMPOSIO INTERCRISTIANO SULL’EUCARISTIA”. AD INAUGURARE IL
CONVEGNO SARA’ mons. Giovanni Spitèris,
vescovo di CorfU’
- A cura di padre Egidio
Picucci -
ASSISI. = Prosegue ad Assisi il
dialogo tra cattolici ed ortodossi, avviato da circa venti anni tra l’Istituto
francescano di spiritualità della Pontificia Università Antonianum di Roma ed
il Dipartimento di Teologia della Facoltà teologica dell’Ateneo Aristotele di
Tessalonica. Infatti, si terrà proprio nella cittadina umbra dal 4 al 7
settembre, il “IX Simposio Intercristiano”. Il tema
dell’incontro, “L’Eucaristia nella tradizione orientale ed occidentale
con speciale riferimento al dialogo ecumenico”, è stato suggerito
dall’Anno dell’Eucaristia che sta celebrando la Chiesa cattolica. Ad aprire ed
illustrare il Simposio sarà mons. Giovanni Spitèris, vescovo di Corfù, poi sarà
la volta di 6 professori cattolici e 6 ortodossi. Al convegno, che si tiene ogni due anni ed alternativamente in Italia
ed in Grecia, parteciperanno mons. Ignazio, Metropolita di Dimitrìada ed
Almìros, mons. Fortino, sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Promozione
e l’unità dei cristiani, mons. Padovese, Vicario Apostolico dell’Anatolia e
mons. Paul Yazigi, Metropolita di Aleppo e Alessandretta. Per l’occasione, sono
previsti messaggi di Benedetto XVI e del Patriarca ecumenico, Bartolomeo I, più
due celebrazione ecumeniche, una nella Basilica di Santa Maria degli Angeli,
l’altra nella cappella universitaria di Perugia. L’esperienza ha dimostrato che
il contributo di questi simposi, nati dalla sensibilità ecumenica dei
professori dell’Istituto francescano di spiritualità e da quella dei professori
ortodossi dell’Università di Tessalonica, tutti laici, è stato oltremodo significativo
ed efficace, come riconobbe più volte Giovanni Paolo II nei messaggi inviati
per tale occasione.
“L’Honduras vive un genocidio
giovanile”. Questa la dura denuncia
del responsabile del Dipartimento di Pastorale
Giovanile della Conferenza dei Vescovi dell’Honduras, monS. Rómulo Emiliani SanchÈz
TEGUCIGALPA. = “Il nostro Paese,
l’Honduras, sta vivendo un genocidio giovanile”. A lanciare questo preoccupante
allarme è il responsabile del Dipartimento di Pastorale giovanile della
Conferenza dei vescovi dell’Honduras, mons. Rómulo Emiliani Sanchèz, vescovo
ausiliare di San Pedro Sula. In base ai dati citati dal presule, in Honduras
più di 300.000 bambini abbandonano la scuola per lavorare e il 60% di questi
chiede l’elemosina per le strade per guadagnarsi quel che serve a far mangiare
la propria famiglia. “Una gioventù schiavizzata, ridotta al silenzio e
addormentata fa prevedere un futuro deprimente in Honduras – ha sottolineato il
vescovo - I bassi livelli di scolarizzazione, gli alti indici di dipendenze e
di AIDS, la disoccupazione e la mancanza di famiglia, accanto alla morte
violenta e alla migrazione forzosa verso gli Stati Uniti di migliaia di giovani
minano le basi della nostra patria indebolendo la struttura sociale
produttiva”. Mons. Sanchèz ha esortato a “prendere coscienza del fatto che il
dramma sta aumentando e che bisogna investire le nostre migliori risorse umane
nella formazione dell’infanzia e della gioventù dell’Honduras”. Il presule,
inoltre, riconosce che ai vescovi “addolora come Chiesa contemplare questo
irrazionale bagno di sangue che con una violenza demoniaca fa vittime
soprattutto tra i giovani. Poliziotti, membri di bande, studenti, operai e contadini
giovani vengono assassinati ogni giorno nel Paese”. Secondo alcuni organismi
umanitari, ogni mese in Honduras vengono assassinati tra i 40 e i 50 giovani
per motivi che nella maggior parte dei casi non vengono chiariti dalle
autorità. “La nostra generazione e quelle precedenti hanno una colpa enorme per
il fatto di non essersi preoccupate dei giovani. Il grande furto di risorse
destinate al popolo che ha ingrossato i portafogli dei corrotti durante lunghi
anni di impunità e l’incuria con cui è stata affrontata questa problematica ha
dato come risultato ciò che stiamo vivendo: un mondo giovanile abbandonato e
disorientato”, conclude il comunicato. (R.A.)
sciopero
della fame dI CIRCA 4.500 Minatori di uranio nelle gallerie allagate
DELL’INDIA. I LAVORATORI della
zona di Jadugoda si sono calati
170 metri sotto terra per
protestare contro IL MISERO STIPENDIO
Calcutta. = E’ ormai da due
giorni che circa 4.500 minatori di uranio sono scesi a 170 metri sotto terra,
nelle gallerie di 4 miniere allagate, ed hanno proclamato uno sciopero della
fame. Motivo della protesta è lo scarso stipendio che non consente a questi
lavoratori il giusto sostentamento. Migliaia di disperati minatori, infatti,
hanno chiesto un aumento del 20% delle loro paghe. I lavoratori in sciopero
hanno anche smesso di pompare acqua dai tunnel allagati e rischiano di venire
sommersi. “Se gli ascensori di carico venissero coperti dalle acque – dice
Ashok Kumar Sharma, il magistrato che opera nel distretto – gli uomini avrebbero
molta difficoltà a risalire. Per la loro sicurezza abbiamo chiesto loro di continuare
a pompare acqua”. La forza lavoro di miniere ed impianti è composta in
prevalenza da tribali, pagati molto poco (anche per la media indiana) ed a rischio
costante di malattie connesse alle radiazioni. Secondo la Jadugoda
Organisation Against Radiation - organizzazione non governativa che opera
contro le radiazioni – le esalazioni di uranio hanno ucciso dal 1994 circa 100
uomini, donne e bambini ed hanno causato malattie a decine di migliaia di
tribali che vivono nei pressi delle miniere. Secondo R.V. Dubey, portavoce
dell’UCIL (Uranium Corporation of India Limited), i lavoratori hanno rifiutato
di obbedire all’ordine di tornare in superficie ed hanno ribadito che
risaliranno solo dopo un’accettazione scritta delle loro richieste. “I nostri
sforzi per convincerli a salire – dice Dubey – non hanno prodotto alcun
risultato. Abbiamo provato a far scendere cibo ed acqua con i montacarichi ma
li hanno rifiutati”. (R.A.)
“TIMOR
EST NON VA DIMENTICATO”. QUESTO L’INVITO DEL
SEGRETARIO GENERALE
DELLE
NAZIONI UNITE KOFI ANNAN AL CONSIGLIO DI SICUREZZA, NEL RICORDARE
LA
POSIZIONE DEL PAESE ASIATICO TRA LE 20 NAZIONI PIU’ POVERE DEL MONDO
DILI. = Timor Est ha ancora
bisogno dell’aiuto internazionale e non può essere lasciata senza sostegno.
Questo, da quanto si apprende dall’agenzia MISNA, il contenuto dell’ultimo
rapporto del segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, al Consiglio
di sicurezza sulle condizioni della piccola nazione asiatica. Sebbene la
situazione politica a Timor Est sia stabile e il Paese, divenuto formalmente
indipendente solo tre anni fa, abbia fatto molti progressi, la nazione asiatica
ha il tasso di crescita più basso dell’Asia ed è tra le 20 nazioni più povere
del mondo. Dopo la secessione dall’Indonesia, che l’aveva invasa e annessa a
metà degli Anni ’70, Timor Est deve ora affrontare la difficile sfida di costruire
un’economia prospera e autosufficiente. L’incertezza in cui ancora versa la
possibilità di sfruttare le risorse petrolifere e di gas naturale nei
giacimenti marini davanti alle proprie coste (contese anche dalla vicina e più
potente Australia), il forte tasso di disoccupazione e la progressiva riduzione
di aiuti internazionali bilaterali e multilaterali, sono solo alcuni dei punti
critici per la realizzazione del processo di ricostruzione del Paese. Tra
maggio e giugno scorso, hanno lasciato Timor Est sia i “caschi blu” della
missione ONU sia le forze d’intervento australiane dislocate sei anni fa.
Restano a Dili 120 tra esperti e addestratori incaricati di assistere le
autorità locali nello sviluppo del sistema amministrativo e nella formazione
della polizia, e che dovrebbero anch’essi lasciare il Paese nel maggio del prossimo
anno. (R.A.)
LE FAMIGLIE SONO LIBERE DI
EDUCARE? QUESTA LA DOMANDA CHE IL COMITATOPER LA SCUOLA DELLA SOCIETA’ CIVILE
HA RIVOLTO IN UN APPELLO CONSEGNATO
AL PARLAMENTO ED AL GOVERNO ITALIANO. IL DOCUMENTO
E’ STATO SOTTOSCRITTO ANCHE DALL’ASSOCIAZIONE GENITORI SCUOLE CATTOLICHE
ROMA.
= “In Italia non viene ancora riconosciuto il diritto naturale della famiglia
di educare liberamente i propri figli. Questo diritto implica che la famiglia
possa scegliere liberamente, senza condizionamenti economici, il sistema
scolastico ritenuto più idoneo per i propri figli”. E’ questo, in sostanza, il
contenuto dell’intervento del presidente nazionale dell’Associazione Genitori
Scuole Cattoliche, Enzo Meloni, in occasione della presentazione dell’appello
del Comitato per la Scuola della Società civile rivolto al Parlamento ed al
governo italiano per interventi da realizzarsi nell’ultimo scorcio di
legislatura. Il documento, firmato da rappresentanti delle associazioni di
scuola statale e non statale e da illustri accademici, prende atto che il
percorso di parità scolastica e di riforma dell’istruzione non è ancora stato
portato a compimento. Nell’appello, infatti, viene sottolineato come nonostante
le tante promesse inserite nei programmi di entrambi gli schieramenti
elettorali, non sono seguite azioni adeguate e risolutive. “Noi ci aspettiamo –
si legge nel documento – gli interventi riformatori che avevamo auspicato.
Tuttavia, avendo come orizzonte la promozione del principio di sussidiarietà,
siamo convinti si possano ancora realizzare i seguenti provvedimenti urgenti,
per noi indifferibili: rifinanziamento e rafforzamento normativo nelle scuole
paritarie del contributo per i genitori, risorse finanziarie per le scuole non
statali e per l’integrazione di studenti disabili, formazione dei docenti, determinazione
dei livelli delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da
garantire per tutta la nazione, abolizione del conferimento alle Regioni delle
funzioni amministrative relative i contributi alle scuole non statali ed
infine, approvazione del Decreto legislativo sul secondo ciclo di istruzione”. (R.A.)
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- A cura
di Alessandro Gisotti e Andrea Cocco -
L’uragano Katrina, uno dei più
devastanti degli ultimi anni, si è abbattuto intorno alle ore 13.00 italiane
sulle coste della Louisiana. Oltre un milione di cittadini americani avevano
già abbandonato lo Stato. Ore di paura a New Orleans, città semideserta dopo
l’evacuazione ordinata dalle autorità locali. L’uragano è stato declassato
stamani a tempesta di forza 4, anche se i meteorologi non escludono che possa
riprendere forza. La perturbazione era stata classificata uragano di forza 5,
la massima possibile. Il nostro servizio:
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“Mettetevi
in salvo, trasferitivi in luoghi sicuri”: l’appello del presidente degli Stati
Uniti, Bush, esprime tutta la gravità dell’emergenza Katrina. New Orleans vive
con crescente paura questo conto alla rovescia: la forza distruttiva
dell’uragano si abbatterà sulla città simbolo della Louisiana intorno alle ore
16.00 italiane. Tuttavia, già da alcune ore la pioggia cade copiosa su tutta
l’area e la forza dei venti è in costante aumento. D’altro canto, nonostante
l’esortazione del presidente americano, circa centomila persone sono costrette
a rimanere a New Orleans: 30 mila hanno trovato rifugio nel Superdome, il
grande stadio coperto della città. L’uragano in arrivo dal Golfo del Messico ha
già seminato morte e distruzione a Cuba: una decina di vittime ed 8 mila
sfollati. Quando raggiungerà il suo apice, Katrina si potrebbe abbattere su New
Orleans con venti a 300 chilometri orari, accompagnati da onde alte fino a sei
metri. Distruttive per un città costruita due metri sotto il livello del mare.
La protezione civile è pronta a intervenire ed ha predisposto cibo e medicinali
per almeno cinque giorni. E le prime conseguenze negative sull’economia non si
sono fatte attendere: la minaccia agli impianti petroliferi della Louisiana ha
fatto impennare il prezzo del petrolio verso il nuovo record, sfiorando 71
dollari al barile.
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La Francia ha pubblicato, come preannunciato, la lista nera
delle compagnie aeree a rischio; cinque
le compagnie vietate. La Direzione generale dell’aviazione di Parigi ha reso
noto attraverso Internet l'elenco dei vettori non autorizzati a volare nel
Paese per motivi di sicurezza.
La Corea del Nord ha proposto
oggi di riprendere, il 12 settembre, i negoziati multilaterali sul suo
programma nucleare. E’ quanto annunciato da un portavoce del ministero degli
Esteri di Pyongyang, citato dall’agenzia ufficiale nordcoreana KCNA. Alle trattative partecipano,
oltre alle due Coree, anche Stati Uniti, Russia, Cina e Giappone.
Ancora violenze in Medio Oriente: dopo l’attentato
kamikaze messo a segno ieri a sud di Israele, due palestinesi sono rimasti
uccisi oggi nei pressi di Nablus, a seguito di un'esplosione di cui ancora
non sono note le cause. Prosegue intanto la visita nell’area del rappresentante
per la politica estera dell’Unione Europea, Javier Solana, che ieri ha incontrato
il ministro degli Esteri israeliano, Shalom. Oggi a Gaza è previsto l’incontro
con il presidente dell'Autorità Palestinese, Abu Mazen, e il suo primo
ministro, Abu Ala. Il servizio di Andrea Cocco:
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Aveva giurato vendetta la Jihad islamica per i cinque
palestinesi uccisi mercoledì scorso a Tulkarem dall’esercito israeliano. Così
le Brigate dei Martiri di al Aqsa e le Brigate al Quds hanno giustificato
l’attentato kamikaze alla stazione degli autobus di Beersheva, nel sud di
Israele. In mattinata il bilancio dei feriti era salito a 50 con i due
poliziotti che si erano lanciati all’inseguimento dell’attentatore e che
restano in condizioni molto gravi. La reazione del governo di Tel Aviv
all’attentato, il primo dall’inizio del ritiro da Gaza, è stata dura. “Se
l'ondata terroristica contro i cittadini israeliani proseguirà – ha dichiarato
il ministro degli Esteri - c’è da
temere che il ritiro da Gaza non porterà da alcuna parte e che le speranze di
pace saranno deluse”. In gioco c’è la ripresa dei negoziati sulla Road Map, che
Israele minaccia di bloccare se prima non verranno smantellate tutte le
organizzazioni terroristiche palestinesi. Dal canto suo, il governo
palestinese, che si è unito nella condanna all’atto terroristico, ha dichiarato
che nessuna pace è possibile se lo Stato ebraico continua i suoi piani di
espansione in Cisgiordania, soprattutto nei dintorni di Gerusalemme. Ieri
intanto è stato firmato l’accordo tra Israele ed Egitto per la cessione del controllo
sulla frontiera a sud della Striscia di Gaza. L’intesa, che mercoledì sarà sottoposta
al voto della Knesset, consentirà il definitivo ritiro dei militari israeliani
e il dispiegamento lungo il confine di 750 uomini dell’esercito egiziano.
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La crescita record dell'interscambio bilaterale italo-russo è
stato il tema chiave al centro dell’incontro a Soci, sul Mar Nero, tra il
presidente russo Vladimir Putin e il
premier italiano, Silvio Berlusconi.
Un barcone di
15 metri, con 201 immigrati a bordo, è stato bloccato questa mattina dalla
capitaneria e dalla Guardia di Finanza, attorno alle 7.30, a Cala Pisana nei
pressi di Lampedusa. Sono in corso le operazioni di identificazione, poi
verranno trasferiti al centro d'accoglienza, già stracolmo con i suoi circa
500 ospiti, a fronte di una capienza
di 190 posti.
In Afghanistan,
un comandante dei talebani, che guidava 150 uomini, è stato ucciso la settimana
scorsa dalle truppe americane in scontri avvenuti nella provincia meridionale
dell’Oruzgan. Lo ha comunicato oggi il comando statunitense.
I corpi
di due uomini sono stati ritrovati nella provincia separatista di Aceh, in Indonesia, il giorno dopo un
violento scontro a fuoco tra l’esercito e i ribelli. Incidenti che fanno temere
per l’applicazione degli storici accordi di pace firmati lo scorso 15 agosto
tra governo e ribelli del Gam. Secondo l’esercito, la responsabilità degli
attacchi di ieri sarebbe dei guerriglieri che avrebbero aperto il fuoco su una
pattuglia di militari.
Le
province petrolifere dell’Ecuador hanno minacciato la ripresa dello sciopero interrotto la scorsa settimana se gli accordi firmati
con il governo e le imprese estrattive del greggio non verranno applicati. I
rappresentanti della protesta, che due settimane fa aveva paralizzato
l’attività di estrazione occupando gli impianti, sospettano che governo e imprese
abbiano modificato il contenuto dell’intesa. L’esecutivo, che proprio ieri ha
annunciato la ratifica dell’accordo, ha seccamente smentito le accuse.
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