RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 240 - Testo della trasmissione di domenica 28 agosto 2005

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

“Un evento provvidenziale per tutta la Chiesa”: così Benedetto XVI ha definito all’Angelus la GMG di Colonia

 

Da Colonia a Sydney, la prossima GMG approderà in Australia nel 2008: certezze e speranze nel pensiero del cardinale George Pell

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Concluso a Rimini il 26.mo Meeting per l’Amicizia tra i Popoli. Grande eco le riflessioni sul tema della libertà: con noi, il cardinale Péter Erdö e mons. Diarmuid Martin

 

Maltempo in Europa: l’opera della Caritas in aiuto alle popolazioni colpite. Ai nostri microfoni, Laura Stopponi

 

Dopo i restauri, riapre oggi in Umbria, nel giorno della sua festa, un’antica chiesa del Trecento, dedicata a Sant’Agostino: ce ne parla p. Pierluigi Sodani

 

La settimana internazionale della critica al Festival di Venezia: intervista con Francesco Di Pace

 

CHIESA E SOCIETA’:

Da venerdì scorso, ad Assisi, la terza settimana nazionale di formazione e spiritualità missionaria

 

Allarme colera in Africa: l’epidemia si è già diffusa in 11 Paesi

 

In Kenya, centinaia di ragazze sottratte alla circoncisione femminile con la cresima, grazie ad una suora messicana

 

L’Organizzazione umanitaria “Save the Children” lancia un appello affinché le ex-bambine soldato impiegate nel conflitto nella Repubblica Democratica del Congo siano inserite nei programmi di reintegrazione e di disarmo

 

Lungo corteo storico e cerimonia solenne, oggi, nella città abruzzese dell’Aquila, teatro della tradizionale festa della Perdonanza Celestiniana, alla presenza del cardinale Carlo Maria Martini

 

24 ORE NEL MONDO:

In Iraq, firmata la versione finale della Costituzione. Nonostante il no dei sunniti, il testo potrebbe essere votato al Parlamento oggi pomeriggio

 

A pochi giorni dal ritiro israeliano dai territori di Gaza, torna la violenza kamikaze in Israele. Almeno 10 feriti ma poteva essere una strage

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

28 agosto 2005

 

“UN EVENTO PROVVIDENZIALE PER TUTTA LA CHIESA”: COSI’ IL PAPA

HA DEFINITO ALL’ANGELUS LA GMG DI COLONIA. SE L’UMANITA’ NON RICERCA DIO, LA DIGNITA’ DELL’UOMO E’ A REPENTAGLIO

 

La GMG di Colonia, straordinaria e provvidenziale per la Chiesa, ha messo in risalto l’urgenza di una evangelizzazione che insegni a giovani e adulti a ricercare e ad adorare il volto di Dio, pena la perdita di valore della dignità umana. E’ questo il pensiero centrale espresso questa mattina all’Angelus da Benedetto XVI, che ha parlato davanti ad una folla entusiasta radunatasi nel cortile del Palazzo apostolico di Castel Gandolfo. Ancora una volta, dunque, la riflessione del Pontefice è stata orientata dalle esperienze vissute nel suo primo viaggio apostolico all’estero. Il servizio di Alessandro De Carolis:

 

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L’onda lunga di Giornata mondiale della gioventù, definita “una straordinaria esperienza ecclesiale”, continua ad ispirare il cuore del Papa. Dopo l’udienza generale di mercoledì scorso, Benedetto XVI ha preso spunto dai giorni di Colonia per riflettere all’Angelus di oggi sulla portata dell’evento della scorsa settimana e sulle prospettive pastorali e missionarie che la GMG ha posto in risalto con una nuova chiarezza. Lo ha affermato subito, sin dalle prime parole pronunciate prima della preghiera mariana:

 

“È stato un evento provvidenziale di grazia per la Chiesa intera. Parlando con i vescovi della Germania, poco prima di far ritorno in Italia, dicevo che i giovani hanno lanciato ai loro Pastori, e in certo modo a tutti i credenti, un messaggio che è al tempo stesso una richiesta: ‘Aiutateci ad essere discepoli e testimoni di Cristo. Come i Magi, siamo venuti per incontrarlo e adorarlo’”.

 

L’adorazione implica la scoperta o riscoperta del “volto autentico” di Dio, ha ribadito Benedetto XVI, e dunque essa diventa per la Chiesa e il mondo di oggi non “un lusso ma una priorità”. Viceversa, c’è un rischio che il Papa ha voluto mettere in chiaro rivolgendosi tanto alla base quanto al vertice della Chiesa: “Laddove Dio non occupa il primo posto – ha detto - laddove non è riconosciuto e adorato come il Bene supremo, la dignità dell’uomo è messa a repentaglio”:

 

“È pertanto urgente portare l’uomo di oggi a ‘scoprire’ il volto autentico di Dio, che si è rivelato a noi in Gesù Cristo. Anche l’umanità del nostro tempo potrà così, come i Magi, prostrarsi dinanzi a lui e adorarlo (…) Cercare Cristo dev’essere l’incessante anelito dei credenti, dei giovani e degli adulti, dei fedeli e dei loro pastori”.

 

“Va incoraggiata questa ricerca, va sostenuta e guidata”, ha insistito Benedetto XVI, riprendendo un tema sviluppato poco prima di Colonia nell’intervista concessa alla nostra emittente:

 

“La fede non è semplicemente l’adesione ad un complesso in sé completo di dogmi, che spegnerebbe la sete di Dio presente nell’animo umano. Al contrario, essa proietta l’uomo, in cammino nel tempo, verso un Dio sempre nuovo nella sua infinitezza. Il cristiano è perciò contemporaneamente uno che cerca e uno che trova. È proprio questo che rende la Chiesa giovane, aperta al futuro, ricca di speranza per l’intera umanità”.

 

Tra i molti applausi e le acclamazioni che hanno intervallato le parole del Pontefice, Benedetto XVI ha dedicato un pensiero finale a Sant’Agostino, del quale la Chiesa fa oggi memoria, ed ha invitato i fedeli a seguirne le orme nella scoperta del volto di Dio: scoperta, ha concluso, “che non si esaurisce mai”.

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DA COLONIA A SYDNEY, LA PROSSIMA GMG APPRODERA’ IN AUSTRALIA NEL 2008.

CERTEZZE E SPERANZE NEL PENSIERO DEL CARDINALE GEORGE PELL

 

Domenica scorsa, dalla collina tedesca del Marienfeld, Benedetto XVI ha annunciato Sydney 2008 quale meta per la prossima GMG a livello internazionale. Oltre 800 mila i ragazzi di Colonia 2005 che hanno vegliato la sera di sabato con il Papa, un milione i pellegrini presenti alla Messa di domenica. Adesso quei ragazzi si sono dati appuntamento fra tre anni nella metropoli australiana. Sentiamo di Massimiliano Menichetti:

 

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(Inserto Papa in inglese e musica)

 

Così, una settimana fa, il Papa ha dato appuntamento a Sydney 2008 per la prossima GMG, davanti un milione di giovani riuniti in preghiera sulla spianata del Marienfeld, al termine della Messa che ha chiuso la XX giornata mondiale della Gioventù di Colonia 2005. L’esplosione di gioia è stata incontenibile a rimarcare la dinamicità, la consapevolezza dei giovani del cammino missionario ed evangelizzatore sulle orme di Cristo. Al microfono di Catherine Smibert, l’arcivescovo di Sydney, il cardinale George Pell:

 

R. – Sydney è una bellissima città, con 4 milioni di abitanti, un milione di cattolici, con dei grandi edifici ed una notevole organizzazione frutto dei Giochi olimpici. Crediamo dunque di poter preparare un avvenimento che sarà veramente importante, in senso religioso, come abbiamo spiegato tante volte ai nostri pellegrini. La GMG è un pellegrinaggio, non è semplicemente turismo. Anche se noi abbiamo, interessi tra i più diversi, il centro deve rimanere sempre Cristo.

 

Circa 2.500 gli australiani che hanno partecipato alla GMG di Colonia, quasi 100 mila è la stima dei pellegrini che sbarcheranno da Oltreoceano per Sydney 2008. Ancora il cardinale Pell:

 

R. – E’ una chiamata al cristianesimo, a seguire Cristo. Quando noi seguiamo Cristo, ciò non significa che dobbiamo essere sempre seri: c’è sempre spazio per l’allegria cristiana. Questi giovani sono allegri, si vede che sono pieni di speranza.

 

Mentre i giovani già pensano alla terra dei canguri con il cuore ancora rapito dall’esperienza tedesca, la Conferenza episcopale australiana si dice onorata per la scelta di Benedetto XVI, e prega perché “anche l’Australia possa fare l’esperienza di questo rifiorire dello Spirito, affinché diventi un pellegrinaggio indimenticabile verso Sidney 2008”.

 

(musica)

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OGGI IN PRIMO PIANO

28 agosto 2005

 

CONCLUSO A RIMINI IL 26.MO MEETING DI CL, IL PRIMO SENZA MONS. GIUSSANI.

GRANDE ECO, LE RIFLESSIONI SUL TEMA DELLA LIBERTA’

- Interviste con il cardinale Péter Erdö e l’arcivescovo Diarmuid Martin -

 

Sono stati 700 mila i visitatori passati quest’anno per i padiglioni della Fiera riminese, teatro della 26.ma edizione del Meeting di Comunione e Liberazione, conclusosi ieri con numerose riflessioni sul tema della libertà. La scena, tra dozzine di incontri e iniziative, è stata dominata dalle parole di don Jualian Carron - successore del fondatore di CL, mons. Luigi Giussani, scomparso lo scorso febbraio – e dall’intervento di esordio del Meeting tenuto dal presidente del Senato italiano, Marcello Pera. Tra i relatori, anche il cardinale Péter Erdö, arcivescovo di Budapest e Primate d'Ungheria, intervenuto sul tema “Libertà, Diritto e norma”.  Luca Collodi gli ha chiesto il significato della libertà religiosa nell'esperienza umana:

 

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R. – Io spero che la libertà religiosa possa continuare ad essere una delle libertà centrali, come ha insegnato Giovanni Paolo II, secondo il quale essa non è una tra tante libertà, ma è una libertà fondamentale, la presenza della quale – poi – può confermare, può rafforzare tutte le altre libertà nella società.

 

D. – Eminenza, a Colonia, a Rimini, anche ai funerali di Frère Roger, abbiamo visto un fervore di tanti giovani che sono stati intorno al Papa, che hanno abbracciato degli ideali, dei valori. Lei pensa che questi giovani abbiano poi anche la coerenza di seguire i valori che il Magistero della Chiesa indica loro?

 

R. – Penso proprio di sì, e non soltanto perché tanti giovani presenti a Colonia sono d’accordo con gli insegnamenti della Chiesa su tanti punti fondamentali. Ma anche perché ho fatto l’esperienza che molti di questi giovani che tornano dai grandi incontri cambiano poi la loro vita. Quindi, non è soltanto un effetto emozionale, ma si tratta anche di una certa conversione che produce poi effetti concreti. Nel nostro seminario diocesano ci sono parecchi giovani che hanno ricevuto la loro vocazione in occasione di incontri internazionali della gioventù.

 

D. – Si va quindi verso un periodo storico di rinnovato vigore della Chiesa?

 

R. – Speriamo di sì! E speriamo anche che tra i nuovi linguaggi, nei quali l’immagine e gli effetti sonori hanno un ruolo eminente, la fede riesca ad esprimersi e riesca anche a produrre degli effetti concreti.

 

D. – Eminenza, se lei si rivolgesse a un giovane, che consigli gli darebbe per vivere nel modo migliore la propria libertà?

 

R. – Prima di tutto, bisogna avere i criteri: bisogna cercare la verità in base alla fede, cioè all’insegnamento della fede. Per questo è una grandissima gioia per noi la promulgazione del Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica: perché libertà è contenuto, linea direttrice. Allora, libertà non è un concetto negativo ma positivo. Cerchiamo la via verso Dio e la via verso gli uomini: questo è il contenuto della nostra libertà.

 

D. – Il cammino della Chiesa dell’Est verso la libertà si sta compiendo?

 

R. – Penso di sì. Anche se le difficoltà attuali sono molto più sofisticate di quelle dell’epoca precedente, perché nell’epoca comunista i problemi erano molto chiari, molto palesi. Adesso, invece, bisogna riflettere con serietà ed onestà intellettuale su ciascun problema per trovare “la via cattolica”, “la via cristiana” in questo contesto complicatissimo nel mondo.

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Sul tema della libertà è intervenuto al Meeting di Rimini anche l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin. Catherine Smibert lo ha intervistato:

 

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R. – La parola libertà la usiamo molto e pensiamo tutti di sapere esattamente di cosa si tratti. Per molti, la libertà è una “libertà da” e non una “libertà per”. Significa essere liberi di costruire qualcosa di diverso, di costruire qualcosa che è anche più grande di noi, se ci apriamo alla parola di Dio e lasciamo che la verità di Dio agisca nella nostra vita. Sono rimasto molto colpito dai giovani che a Colonia erano presenti a migliaia e che hanno preso parte ai dibattiti o visitato mostre sul tema della libertà, riflettendo su come usare la libertà, le possibilità, le potenzialità che possiedono, per realizzare la loro vocazione cristiana nel mondo contemporaneo. Abbiamo bisogno di cristiani che siano liberi dalla schiavitù del consumismo, per esempio. Liberi da un mondo in cui tutto ha il suo prezzo, dove si riceve solamente quello per cui paghi, liberi di portare nel mondo questo amore di Dio che è sovrabbondante e gratuito e di creare un nuovo tipo di interazione tra i popoli.

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MALTEMPO IN EUROPA: CALA LA TENSIONE, PROSEGUONO I SOCCORSI.

L’OPERA DELLA CARITAS IN AIUTO ALLE POPOLAZIONI COLPITE

- Intervista con Laura Stopponi -

 

Sta lentamente calando il livello di allarme in Svizzera, dopo l’ondata di maltempo che ha causato piene e inondazioni in diverse parti del Paese, costringendo centinaia di famiglie a sfollare dalle proprie abitazioni. Anche nel resto d’Europa la tensione si stempera, anche se in Germania e nella parte orientale del continente, acqua alta ed esondazioni hanno provocato vittime e danni ingenti. In questo difficile scenario, si è mossa la macchina dei soccorsi che ha visto anche la Caritas in prima linea. Sugli interventi portati dall’organismo ecclesiale, Fabio Colagrande ha parlato con Laura Stopponi, responsabile dell’Ufficio Europa della Caritas Italiana:

 

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R. – Senza dubbio è stato prestato aiuto immediato a molte famiglie, a persone in grandi difficoltà nelle campagne, isolate da tutto e da tutti. Sono stati aiutati i disabili e le persone più anziane che non potevano raggiungere i punti di raccolta per poter ricevere generi di prima necessità, quali cibo, coperte, stivali di gomma per poter superare le zone fangose.

 

D. – Bulgaria e Romania, i Paesi più colpiti da queste alluvioni. Quali sono stati i danni e quali gli interventi urgenti, subito messi in opera dalle Caritas?

 

R. – I fiumi hanno rotto gli argini, e quindi ci sono molti ettari di campi completamente invasi dal fango e tante case completamente distrutte. In questa emergenza, gli sfollati sono stati raccolti in magazzini. Gravi conseguenze si possono prevedere per i prossimi mesi in quanto, essendo zone rurali dedite principalmente all’agricoltura, hanno i terreni completamente invasi dal fango.

 

D. – Come entra in azione la Caritas, in questi casi?

 

R. – Le fasi sono due. C’è stata una prima fase di aiuto soprattutto attraverso i volontari, gli operatori che hanno potuto aiutare le famiglie a tirarsi fuori dal fango, ma anche a recuperare quel poco che si è salvato. Nel frattempo, sono già stati studiati dei piani a medio termine, in modo tale da distribuire generi alimentari e così assicurare la loro sopravvivenza agli sfollati per i prossimi tre o quattro mesi. Ma gli sforzi sono tesi anche a pianificare la distribuzione di strumenti per riprendere l’attività produttiva. Si dovranno distribuire attrezzi agricoli e materiale per la ricostruzione delle case.

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NEL GIORNO DELLA FESTA DI SANT’AGOSTINO, IN UMBRIA RIAPRE DOPO I RESTAURI UN’ANTICA CHIESA DEL TRECENTO, DEDICATA AL VESCOVO DI IPPONA

 

Torna ad essere officiata, dopo circa ottant’anni, la chiesa di Sant’Agostino a Cascia. E’ uno dei luoghi di culto più antichi dell’Umbria – risale alla fine del 1300 – e dal ‘99 è stata sottoposta a vari interventi di restauro che hanno riportato alla luce tre nuovi affreschi che raffigurano la Vergine e diversi santi agostiniani. Il servizio di Tiziana Campisi.

 

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Nel cuore dell’Umbria riapre le porte un gioiello del Trecento. E’ la chiesa di sant’Agostino, a Cascia. Costruita su una rocca abitata da eremiti, gli Agostiniani la edificarono nel XIV secolo e la arricchirono di affreschi. Dopo una serie di restauri durati diversi anni, oggi, nel giorno in cui si celebra la memoria di sant’Agostino, viene riconsacrata dall’arcivescovo di Spoleto e Norcia, Riccardo Fontana. Ma qual è la storia di questa chiesa? Ce la racconta padre Pierluigi Sodani, agostiniano, priore della casa di accoglienza Sant’Agostino di Cascia:

 

R. – La Chiesa sorge su una precedente, dedicata a San Giovanni Battista, dove fu battezzata Santa Rita, che era nata a Roccaporena ma non essendovi lì fonte battesimale, venne battezzata qui sulla rocca di Cascia. Il restauro della chiesa ha riportato alla luce diverse opere d’arte danneggiate dai terremoti che si sono susseguiti a Cascia.

 

D. – Perché Cascia è un centro così importante per chi vive la spiritualità di Sant’Agostino?

 

R. – L’Umbria è una regione quasi integralmente francescana. Abbiamo questa isola agostiniana a Cascia dove gli agostiniani hanno creato non soltanto questa splendida chiesa di Sant’Agostino, ma anche, e soprattutto, la Basilica di Santa Rita, il suo monastero e curato la devozione alla sua santità. Qui sono cresciuti addirittura tre Santi: Santa Rita, il Beato Simone Fidati - che è proprio di Cascia ed è uno dei primi autori della letteratura italiana - e poi la Beata Maria Teresa Fasce, la grande badessa del monastero che ha saputo dare a Rita uno spazio che oggi consideriamo non solo uno spazio nazionale, ma addirittura internazionale.

 

D. – Qual è la testimonianza che vogliono dare oggi gli Agostiniani a Cascia?

 

R. – Soprattutto una testimonianza di accoglienza, perché intanto al Santuario giungono persone da ogni parte e si avverte un bisogno di essere accolti, di essere compresi ma allo stesso tempo anche di essere condotti ed aiutati, non soltanto a pregare la Santa degli impossibili, ma anche ad incontrarsi veramente con Dio.

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LA SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA AL FESTIVAL DI VENEZIA:

TRA I FILM SELEZIONATI, INQUIETUDINI E DRAMMI DEL PRESENTE E DEL PASSATO

 

Guerra, fanatismo religioso e terrorismo: è segnata da una forte attualità la selezione ufficiale di opere cinematografiche per la Settimana internazionale della critica, in programma alla Mostra del Cinema di Venezia. Ce ne parla Luca Pellegrini.

 

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Giunta alla sua 20.ma edizione, la Settimana internazionale della critica si propone ancora una volta, e con titoli davvero originali, come una sezione della Mostra veneziana attenta alla scoperta delle nuove tendenze, dei linguaggi filmici più innovativi, un cinema coraggioso, sospeso tra nuove forme estetiche e di linguaggio. A Francesco Di Pace, che guida quest’anno per la prima volta la commissione selezionatrice della Settimana, abbiamo chiesto con quali criteri i critici cinematografici scelgono le opere per questa sezione:

 

R. – Cerca di selezionare un po’ quello che sta succedendo di nuovo sul panorama cinematografico, quindi selezionare nuovi talenti, nuovi sguardi d’autore, nuove tendenze, nuovi modi di vedere il cinema. Sono sette i film in concorso: compongono per l’appunto la Settimana internazionale. Ci saranno anche due eventi speciali. Crediamo di aver fatto un lavoro che un po’ rispecchia le difficoltà ma anche le forti passioni che animano ancora i giovani autori che intendono fare cinema in questo momento.

 

D. – I sette film selezionati riflettono tensioni sociali e politiche oggi più che mai presenti nella situazione internazionale. In che modo?

 

R. – Non ci sono film direttamente politici, quindi direttamente incentrati su temi drammatici che ci riguardano negli ultimi anni. Però, tutti questi film hanno in fondo una tensione politica anche nel parlare di cose private, personali. Sono tutti film che alludono alla politica, agli scenari di guerra, al fanatismo religioso, alle difficoltà per alcune minoranze di trovare spazio nella società d’oggi. In questo senso, ci sembrava di sottolineare quella che poteva essere individuata come tendenza forzata, forse, ma una tendenza che raggruppava tutti i film che avevamo scelto, e quindi il parlare di politica, esprimerla attraverso delle tensioni esistenziali, personali. Direi che alla politica poi, in senso forse più stretto, ci pensa l’evento speciale, che è un documentario molto bello, a nostro avviso, sulla memoria della Shoah: si intitola “Belzec”, un film francese, di Guillaume Moskovitz. L’opera si concentra su un campo di concentramento polacco, meno conosciuto degli altri, caratterizzato dal fatto che in questo campo i tedeschi distrussero tutto dopo averlo usato, cioè non lasciarono traccia. E il lavoro del regista è quello di far riaffiorare, cinematograficamente, questo luogo, attraverso la testimonianza degli abitanti, con i movimenti della macchina da presa all’interno di quello che attualmente è un bellissimo bosco rigoglioso. Ma sono le parole stesse che ci fanno immaginare quel terrore, quell’orrore.

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CHIESA E SOCIETA’

28 agosto 2005

 

DA venerdì scorso, ad Assisi, la Terza settimana nazionale

di formazione e spiritualità missionaria

 

ROMA. = “Corresponsabilità per la missione, i laici nella parrocchia missionaria”: questo il tema della terza “Settimana nazionale di formazione e spiritualità” in corso da venerdì scorso presso la “Cittadella” di Assisi. L’iniziativa, che si concluderà il prossimo 31 agosto, è promossa dall’Ufficio nazionale per la Cooperazione missionaria tra le Chiese della Conferenza episcopale italiana. Filo conduttore delle sette giornate “lo spirito di Assisi”: incontro, dialogo e pace come presupposto per “ripensare la formazione missionaria”, riscoprendone la “forte e qualificata dimensione culturale, sul piano teologico, antropologico storico-sociale e pastorale”. Il tutto, riferisce l’agenzia Misna, prestando attenzione, al “rinnovamento delle parrocchie in conformità dello stile missionario di Cristo e secondo le indicazioni della Nota pastorale dell’episcopato italiano”. Ad aprire la settimana di riflessione, che coinvolge religiosi, operatori pastorali e laici impegnati nei centri missionari, è stata la preghiera di mons. Luigi Bressan, arcivescovo di Trento nonché presidente della Fondazione “Missio” e della Commissione episcopale della CEI per l’Evangelizzazione dei popoli e la cooperazione fra le Chiese. Il sociologo Dario Nicoli, invece, ha condotto un’ampia analisi del valore della preghiera e del ruolo della parrocchia nell’era della globalizzazione. Un’era di frantumazione del legame sociale, apatia politica, paura dell’abbandono e ossessione per l’estetica in cui, secondo Nicoli, è necessario superare una concezione clericale della parrocchia. Quella concezione che la considera solo luogo di cura pastorale dei fedeli piuttosto che spazio di accoglienza in cui i singoli possano sentirsi comunità e scoprire di trovare una risposta alle loro esigenze più profonde nella Chiesa come Gesù l’ha concepita. Solo così facendo, ha commentato il sociologo, si potrà evitare che i sacerdoti siano caricati di eccessivi impegni e responsabilità e che i laici vengano ridotti a meri esecutori di un disegno gestito da un vertice. Sulla necessità dei laici a non essere massa “anonima e passiva”, ma popolo messianico attivo, è intervenuto anche padre Vito Del Prete nella sua riflessione sulla “ministerialità missionaria laicale”. Padre Del Prete ha ricordato che i laici devono esercitare tutti i ministeri eccetto quello riservato ai presbiteri in forza dell’ordi-nazione sacerdotale, e sempre in comunione ecclesiale. Di qui l’appello della CEI, riportato dall’agenzia Misna, affinché non ambiscano esclusivamente a ministeri all’interno della Chiesa ma ne assumano di nuovi, “dando vita a forme inedite di educazione alla fede e di pastorale, nella società e nei diversi ambienti di vita”.  (R.P.)

 

 

ALLARME COLERA IN AFRICA. L’EPIDEMIA SI È GIA’ DIFFUSA IN 11 PAESI.

GRAVE LA SITUAZIONE IN GUINEA BISSAU E LIBERIA

 

MONROVIA. = Dal Burundi al Niger, dalla Mauritania alla Senegal: non si arresta l’epidemia di colera che nelle ultime settimane ha colpito l’Africa. Sono già undici i Paesi vessati dal virus in rapida diffusione, anche a causa dell’eccezionale ondata di precipitazioni che sta interessando il continente. E sono proprio le alluvioni a far temere il peggio anche ai governi degli Stati in cui l’epidemia non è stata dichiarata ufficialmente, come in Sierra Leone, Repubblica Centrafricana, Ciad ed Etiopia. Ad oggi la situazione più grave, come riferisce l’agenzia Misna, resta quella della Guinea Bissau, dove 177 persone sono morte e più di novemila sono state contagiate. Un triste bilancio al quale si avvicina progressivamente anche la Liberia. Qui il numero delle vittime si aggiorna di continuo: dalle 29 dei primi di agosto, infatti, si è passati alle 134 della scorsa settimana. Il virus si è propagato a partire dalle baracche della cittadina di Butaw, nella parte sudorientale del Paese e, secondo informazioni raccolte da Misna, avrebbe già colpito 20 mila minatori illegali, le braccia della ricca zona mineraria produttrice di diamanti.

 

 

IN KENYA, CENTINAIA DI RAGAZZE SOTTRATTE ALLA CIRCONCISIONE FEMMINILE

CON LA CRESIMA, GRAZIE AD UNA SUORA MESSICANA

 

NAIROBI. = Non dovevano piangere, né lamentarsi. Per essere rispettate dalla comunità del villaggio, dovevano accettare di essere percosse, umiliate, recluse: faceva parte di un rito di iniziazione. Lo chiamano “Kipsiguis” nella lingua della tribù di Mulot, in Kenya. Il termine significa “essere rinata”: indica la pratica della circoncisione femminile. Ora, se vorranno, le giovani donne africane potranno rifiutarla. In centinaia lo hanno già fatto grazie a una suora messicana appartenente alla Congregazione delle Missionarie del Catechismo, Suor Maria de Los Angeles Vasquez. Suor Maria, infatti, dal 1985 impegnata in Kenya, è riuscita a sostituire il barbaro rito con il Sacramento della Cresima. A raccontarlo, è stata lei stessa, nel corso di un incontro svoltosi al Meeting di Rimini, lunedì 22 agosto, quando la religiosa è intervenuta sul tema “Solidarietà e cooperazione nelle grandi crisi umanitarie: il futuro dell’infanzia”. La missionaria messicana ha spiegato che molte ragazze, pur non volendo sottoporsi alla circoncisione, la accettavano per timore di non essere rispettate dalla tribù. Di qui, l’idea di proporre la cresima come cerimoniale di passaggio alla società adulta. Il 16 dicembre 1995, per la prima volta, un gruppo di ragazze ha scelto il “nuovo rito”. E da allora, il primo gennaio di ogni anno, la celebrazione si svolge coinvolgendo un numero sempre maggiore di giovani donne. La circoncisione resta, comunque, una delle pratiche più diffuse in Kenya. Secondo un dossier pubblicato dall’Agenzia Fides, che riprende l’Associazione italiana donne per lo sviluppo – AIDOS News, il 50 per cento della popolazione femminile del Kenya è sottoposto a questa pratica.  Il fenomeno interessa in particolare l’Africa subsahariana, ma tocca anche alcuni Paesi arabi, come Egitto e Yemen. Inoltre, secondo stime diffuse da enti quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’ONU e l’UNICEF, almeno 130 milioni di bambine, tre milioni all’anno, subiscono oggi l’infibulazione (più devastante della circoncisione). Il triste primato spetta alla Somalia dove la mutilazione riguarda il 98 per cento delle donne. (R.P.)

 

 

CONTINUA LA SOFFERENZA PER LE EX-BAMBINE-SOLDATO IMPIEGATE NEL CONFLITTO NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO. L’ORGANIZZAZIONE UMANITARIA

“SAVE THE CHILDREN” LANCIA UN APPELLO AFFINCHÉ SIANO

 INSERITE NEI PROGRAMMI DI REINTEGRAZIONE E DI DISARMO

 

KINSHASA. = Sono circa 12.500 le bambine soldato che hanno combattuto nella Repubblica Democratica del Congo tra le file dell’esercito regolare o delle milizie ribelli o filo-governative e che non hanno mai beneficiato di un programma di reintegrazione e di disarmo. La denuncia viene dall’organizzazione umanitaria Save the Children, attiva nel Paese proprio nel recupero dei bambini utilizzati dalle forze in campo nel conflitto. Le ex-bambine soldato, spiega l’organizza-zione, sono state considerate ex-mogli più che ex-soldati, visto che venivano soprattutto sfruttate sessualmente negli accampamenti a favore della soldataglia o erano impiegate come schiave tuttofare dai capi militari. Secondo quanto riferito dall’organizzazione Save the Children, è quanto mai necessario dare un aiuto a queste bambine. Molte, infatti, hanno contratto l’HIV/AIDS e in tante sono state rifiutate nei villaggi di provenienza, perché malate e dunque prive di valore economico. L’appello rivolto dall’organizzazione umanitaria, alla comunità internazionale comunque, non si limita solamente alla Repubblica Democratica del Congo, ma cerca di focalizzare l’attenzione su tutti i Paesi nei quali conflitti siano state o siano ancora oggi impiegate bambine schiave. (MISNA/D.L.)

 

 

LUNGO CORTEO STORICO E CERIMONIA SOLENNE, OGGI, NELLA CITTA’ ABRUZZESE DELL’AQUILA, TEATRO DELLA TRADIZIONALE

FESTA DELLA PERDONANZA CELESTINIANA,

ALLA PRESENZA DEL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI

 

L’AQUILA. = Come ogni anno, si celebra oggi all’Aquila, in Italia, la festa della Perdonanza, occasione di riflessione e pace introdotta da Papa Celestino V. L’iniziativa, infatti, prende il nome dalla Bolla del Perdono che il pontefice emanò nel capoluogo abruzzese nel settembre del 1294 dalla Basilica di Collemaggio. Un evento eccezionale per l’epoca, che concedeva un’indulgenza plenaria e universale a tutta l’umanità. Uniche condizioni per ottenere il perdono: l’ingresso nella Basilica e l’effettivo pentimento. La Bolla è oggi custodita gelosamente dagli aquilani nella cappella blindata della Torre del Palazzo Comunale. E proprio dal Palazzo Comunale verso la Basilica di Collemaggio partirà nel pomeriggio di oggi un lungo corteo: mille figuranti in costume d'epoca, in rappresentanza del gruppo storico del Comune dell'Aquila e di altre città italiane insieme agli esponenti delle amministrazioni. Si vedrà così la Dama della Bolla, con l'astuccio nel quale fino al 1997 era conservata la Bolla del Perdono, e il Giovin Signore con il ramo d'ulivo che il cardinale Carlo Maria Martini, inviato dalla Santa Sede, userà per colpire la Porta Santa della Basilica di Collemaggio, ordinandone l’apertura. A precedere il rito sarà la lettura del documento papale da parte del sindaco, come prescritto dal dettato di Celestino V. La Bolla del Perdono rimarrà esposta per un giorno all'interno della Basilica di Collemaggio e riportata in Comune la sera del 29 agosto, dopo la chiusura della Porta Santa, ad opera dell’arcivescovo dell'Aquila. (R.P.)



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24 ORE NEL MONDO

28 agosto 2005

- A cura di Eugenio Bonanata -

 

Pochi giorni dopo la fine delle operazioni di evacuazione dei coloni da Gaza, torna la violenza dei kamikaze in Israele. Questa mattina, all’ora di punta, un terrorista palestinese si è fatto esplodere nei pressi della stazione degli autobus di Beer Sheba, nel sud del Paese, ferendo almeno decine persone, due delle quali in maniera grave. Il presidente palestinese, Abu Mazen, ha subito condannato l’attentato definendolo “un atto terroristico”. Il nostro servizio:

 

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L’attentatore, un palestinese, ha cercato di entrare all’interno della stazione degli autobus ma alcune guardie, insospettite, lo hanno fermato quasi all’entrata. Ed è allora che l’uomo ha azionato il detonatore e si è fatto esplodere. Poteva essere una strage, visto che nel primo giorno lavorativo della settimana la stazione era piena di gente. E’ il primo attentato di questo genere da quando Israele ha iniziato le operazioni di ritiro da Gaza, un atto che potrebbe compromettere il delicato processo di pace nell’area. Per il momento, l’attentato non è stato rivendicato da nessun gruppo, tuttavia, secondo la radio militare israeliana è possibile che l’attentato sia stato organizzato da una cellula del movimento radicale palestinese di Hamas, attiva ad Hebron, in Cisgiordania. Ma un dirigente del movimento ha affermato che la responsabilità di quanto accaduto ricade solo su Israele, che “pochi giorni fa ha ucciso cinque palestinesi a Tulkarem, in Cisgiordania”. Intanto, un uomo, indicato come possibile complice del terrorista, è stato fermato dai servizi segreti israeliani. Dal canto suo, il capo negoziatore palestinese, Saeb Erakat, condannando anch’egli l’attentato, ha specificato che israeliani e palestinesi devono moltiplicare gli sforzi per mantenere la calma. Ma fra i dirigenti palestinesi c’è forte contrarietà nei confronti del governo israeliano che ha appena deciso di costruire un nuovo tratto della barriera di sicurezza attorno alla colonia-città di Maaleh Adumim: una cosa, questa, che a loro parere rischia di separare fisicamente Gerusalemme est dalla  Cisgiordania. Oggi, il premier palestinese Abu Mazen ha convocato il governo ad Abu Dis, un quartiere a ridosso di Gerusalemme, attraversato dalla Barriera. “Israele vuole chiuderci in un ghetto”, ha esclamato il premier palestinese Abu Mazen, che ha anche messo in guardia dalle gravi ripercussioni di tale politica.

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In Iraq, la versione finale del progetto di Costituzione è stata firmata oggi dalla maggioranza dei membri del Comitato di redazione del testo. Hanno sottoscritto la Carta i rappresentanti sciiti e curdi, mentre restano critici i sunniti che hanno preferito non siglare il documento. Intanto, è iniziata la lettura del testo davanti al Parlamento. Un atto questo che precede la votazione, prevista per oggi pomeriggio. Da parte dei sunniti, che hanno annunciato di non partecipare alla cerimonia che seguirà l’approvazione della bozza, il nodo insolubile resta la questione del federalismo, tuttavia, anche la divisione delle acque rappresenta un problema spinoso per il Paese arabo. Lo conferma, al microfono di Fabio Colagrande, Mirella Galletti, docente di Storia arabo-islamica all’Istituto orientale di Napoli:

 

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R. - L’Iraq è percorso dal Tigri e dall’Eufrate. Senza questi due fiumi, l’Iraq non esisterebbe. Sono fiumi che richiedono grosse opere di controllo e anche di contrattazione con la Turchia, dove nascono. Quindi, solo un forte potere centrale può contrapporsi all’utilizzo delle acque da parte dei Paesi vicini. Io credo che adesso sia molto importante non tanto che gli sciiti si impadroniscano delle ricchezze petrolifere nel sud e i curdi quelle al nord, ma credo ci debba essere una ripartizione delle ricchezze, tenendo conto anche delle acque del Paese. Quindi, ci vorrà una fortissima dose di diplomazia anche per reintegrare gli arabi sunniti al potere.

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Un candidato alle prossime elezioni afghane del 18 settembre è stato assassinato da presunti ribelli taleban a circa 20 km a sud di Tirin Kot, nella provincia meridionale dell'Oruzgan. E’ il quarto candidato ucciso dalla primavera scorsa, quando fu avviato il processo parlamentare in Afghanistan. In questi ultimi mesi, anche cinque funzionari addetti alle elezioni sono stati assassinati e in generale tutta la campagna elettorale è caratterizzata da intimidazioni, atti di violenza e minacce.

 

L’Iran ha affermato di non considerare Gran Bretagna, Francia e Germania come gli unici partner nei negoziati sul suo programma nucleare, avvertendo questi tre Paesi che potrebbero essere emarginati dalle trattative. “Continueremo a negoziare con loro - ha precisato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Asefi - ma non ci limiteremo solo a questi tre Paesi”. Essi non riconoscono “il diritto dell’Iran ad avere un ciclo di combustibile nucleare”: è questa l’accusa principale che Teheran rivolge ai tre Paesi Europei. In questo quadro, Teheran ha già avviato contatti con Giappone, Malaysia e Sudafrica. Tuttavia, secondo Asefi, “il principale partner dell’Iran nel negoziato resta comunque l’Agenzia internazionale dell’energia  atomica (AIEA)”.

 

Il Commissario europeo al Commercio, Peter Mandelson, presenterà domani agli Stati dell’Unione una serie di proposte per sbloccare le importazioni cinesi di prodotti tessili attualmente fermi alle dogane. Lo ha dichiarato lo stesso Mandelson nel corso di un’intervista al programma News 24 Sunday della BBC. L’intervento del Commissario giunge nel quarto giorno di colloqui tra funzionari europei e cinesi per cercare di rivedere l’accordo sulle importazioni del tessile cinese siglato appena due mesi fa. L’accordo di giugno poneva tetti dell'8-12% alla crescita dell’export tessile cinese in dieci linee di prodotto.

 

Un treno passeggeri è deragliato per un’esplosione avvenuta ieri sui binari nel Daghestan meridionale, al confine con la Cecenia. Secondo un funzionario locale, alcuni sconosciuti avrebbero posto sui binari un ordigno che è esploso al passaggio del treno. Il Daghestan, un territorio vicino al mar Caspio, è stato spesso teatro di episodi di violenza legati alla guerra separatista della Cecenia.

 

Sono circa trenta, fra cui diversi bambini, le persone rimaste ferite a causa di una bomba artigianale esplosa a bordo di una nave traghetto nel sud delle Filippine. Lo hanno reso noto fonti militari, specificando che lo scoppio è avvenuto nella parte posteriore dell’imbarcazione, nei pressi di Lamitan, sull'isola di Basilan, al momento dell’imbarco dei passeggeri. “Lo scopo – specifica la fonte - era chiaramente quello di seminare il terrore”. 

 

Riprenderanno il 15 settembre ad Abuja, in Nigeria, i negoziati tra autorità sudanesi e movimenti ribelli del Darfur, la martoriata regione occidentale del Sudan, teatro dal 2003 di sanguinose violenze. I colloqui tra il governo di Khartoum e i ribelli del Movimento di liberazione e di quello per la Giustizia e l’uguaglianza si erano interrotti a inizio luglio, quando già il bilancio delle violenze oscillava tra le 180 mila e le 300 mila vittime e oltre due milioni di profughi. Ma cosa chiedono i ribelli al governo di Khartoum? Giada Aquilino ha girato la domanda a Fabio Riccardi, responsabile dell’Ufficio Africa della Comunità di Sant’Egidio:

 

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R. – Le richieste sono una maggior partecipazione politica alla gestione del Paese ed in particolare della regione occidentale del Sudan. Si invoca inoltre una maggior partecipazione alle ricchezze, quindi alle risorse economiche. Queste sono però le richieste ufficiali: possiamo dire che entrambi i movimenti del Darfur puntano soprattutto ad un cambiamento nella dirigenza del governo di Khartoum.

 

D. – Dopo anni di violenze nella regione, la popolazione in quali condizioni vive?

 

R. – In grandissime difficoltà. Esistono due grandi nuclei di rifugiati, uno all’interno del Sudan e un altro al di là del confine tra il Sudan e il Ciad.

 

D. – ONU e autorità sudanesi si sono accordati per facilitare il rientro dei profughi. A breve dovrebbero ripartire le trattative di pace. Che tempi ci saranno?

 

R. – Il rientro dei profughi e la pace sono connessi tra loro: i profughi possono rientrare ma, finché non c’è una situazione stabile, loro stessi hanno paura a tornare, temono di dover scappare di nuovo dalle violenze. Quanto dureranno le trattative? Con il Sud Sudan si sono protratte per più di un decennio. Speriamo che in questo caso sia molto minore il tempo, ma la situazione rimane complessa, anche perché i due movimenti ribelli non sono completamente d’accordo tra di loro.

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