RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
240 - Testo della trasmissione di domenica 28 agosto 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
La settimana internazionale della critica al Festival di
Venezia: intervista con Francesco Di Pace
CHIESA E SOCIETA’:
Da
venerdì scorso, ad Assisi, la terza settimana nazionale di formazione e
spiritualità missionaria
Allarme colera in Africa: l’epidemia si è già
diffusa in 11 Paesi
In Iraq, firmata la versione finale della
Costituzione. Nonostante il no dei sunniti, il testo potrebbe essere votato al
Parlamento oggi pomeriggio
A pochi giorni dal ritiro
israeliano dai territori di Gaza, torna la violenza kamikaze in Israele. Almeno
10 feriti ma poteva essere una strage
28 agosto 2005
“UN EVENTO PROVVIDENZIALE PER TUTTA LA CHIESA”:
COSI’ IL PAPA
HA DEFINITO ALL’ANGELUS LA GMG DI COLONIA. SE
L’UMANITA’ NON RICERCA DIO, LA DIGNITA’ DELL’UOMO E’ A REPENTAGLIO
La GMG
di Colonia, straordinaria e provvidenziale per la Chiesa, ha messo in risalto
l’urgenza di una evangelizzazione che insegni a
giovani e adulti a ricercare e ad adorare il volto di Dio, pena la perdita di
valore della dignità umana. E’ questo il pensiero centrale espresso questa
mattina all’Angelus da Benedetto XVI, che ha parlato davanti ad una folla
entusiasta radunatasi nel cortile del Palazzo apostolico di Castel Gandolfo.
Ancora una volta, dunque, la riflessione del Pontefice è stata orientata dalle
esperienze vissute nel suo primo viaggio apostolico all’estero. Il servizio di
Alessandro De Carolis:
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L’onda lunga
di Giornata mondiale della gioventù, definita “una straordinaria esperienza
ecclesiale”, continua ad ispirare il cuore del Papa. Dopo l’udienza generale di
mercoledì scorso, Benedetto XVI ha preso spunto dai giorni di Colonia per
riflettere all’Angelus di oggi sulla portata dell’evento della scorsa settimana
e sulle prospettive pastorali e missionarie che la GMG ha posto in risalto con
una nuova chiarezza. Lo ha affermato subito, sin dalle prime parole pronunciate
prima della preghiera mariana:
“È stato
un evento provvidenziale di grazia per la Chiesa intera. Parlando con i vescovi
della Germania, poco prima di far ritorno in Italia,
dicevo che i giovani hanno lanciato ai loro Pastori, e in certo modo a tutti i
credenti, un messaggio che è al tempo stesso una richiesta: ‘Aiutateci ad
essere discepoli e testimoni di Cristo. Come i Magi, siamo venuti per
incontrarlo e adorarlo’”.
L’adorazione
implica la scoperta o riscoperta del “volto autentico” di Dio, ha ribadito
Benedetto XVI, e dunque essa diventa per la Chiesa e il mondo di oggi non “un
lusso ma una priorità”. Viceversa, c’è un rischio che il Papa
ha voluto mettere in chiaro rivolgendosi tanto alla base quanto al vertice
della Chiesa: “Laddove Dio non occupa il primo posto – ha detto - laddove non è
riconosciuto e adorato come il Bene supremo, la dignità dell’uomo è messa a
repentaglio”:
“È pertanto urgente portare l’uomo di oggi a
‘scoprire’ il volto autentico di Dio, che si è rivelato a noi in Gesù Cristo.
Anche l’umanità del nostro tempo potrà così, come i Magi, prostrarsi dinanzi a
lui e adorarlo (…) Cercare Cristo dev’essere l’incessante anelito dei credenti,
dei giovani e degli adulti, dei fedeli e dei loro pastori”.
“Va
incoraggiata questa ricerca, va sostenuta e guidata”, ha insistito Benedetto
XVI, riprendendo un tema sviluppato poco prima di Colonia nell’intervista
concessa alla nostra emittente:
“La fede non è semplicemente l’adesione ad un
complesso in sé completo di dogmi, che spegnerebbe la sete di Dio presente nell’animo
umano. Al contrario, essa proietta l’uomo, in cammino nel tempo, verso un Dio
sempre nuovo nella sua infinitezza. Il cristiano è perciò contemporaneamente
uno che cerca e uno che trova. È proprio questo che rende la Chiesa giovane,
aperta al futuro, ricca di speranza per l’intera umanità”.
Tra i
molti applausi e le acclamazioni che hanno intervallato le parole del
Pontefice, Benedetto XVI ha dedicato un pensiero finale a Sant’Agostino, del
quale la Chiesa fa oggi memoria, ed ha invitato i fedeli a seguirne le orme
nella scoperta del volto di Dio: scoperta, ha concluso, “che non si esaurisce
mai”.
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DA COLONIA A SYDNEY, LA PROSSIMA GMG APPRODERA’ IN
AUSTRALIA NEL 2008.
CERTEZZE E SPERANZE NEL PENSIERO DEL CARDINALE
GEORGE PELL
Domenica
scorsa, dalla collina tedesca del Marienfeld, Benedetto XVI ha annunciato Sydney 2008 quale meta per la prossima GMG a livello
internazionale. Oltre 800 mila i ragazzi di Colonia 2005 che hanno vegliato la
sera di sabato con il Papa, un milione i pellegrini presenti alla Messa di
domenica. Adesso quei ragazzi si sono dati appuntamento fra tre anni nella
metropoli australiana. Sentiamo di Massimiliano Menichetti:
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(Inserto Papa in inglese e
musica)
Così, una settimana fa, il Papa ha dato appuntamento a Sydney 2008 per la prossima GMG, davanti un
milione di giovani riuniti in preghiera sulla spianata del Marienfeld, al
termine della Messa che ha chiuso la XX giornata mondiale della Gioventù di
Colonia 2005. L’esplosione di gioia è stata incontenibile a rimarcare la
dinamicità, la consapevolezza dei giovani del cammino missionario ed
evangelizzatore sulle orme di Cristo. Al microfono di Catherine Smibert,
l’arcivescovo di Sydney, il cardinale George Pell:
R. – Sydney è una bellissima città, con 4 milioni
di abitanti, un milione di cattolici, con dei grandi edifici ed una notevole
organizzazione frutto dei Giochi olimpici. Crediamo dunque di poter preparare
un avvenimento che sarà veramente importante, in senso religioso, come abbiamo
spiegato tante volte ai nostri pellegrini. La GMG è un pellegrinaggio, non è
semplicemente turismo. Anche se noi abbiamo, interessi tra i più diversi, il
centro deve rimanere sempre Cristo.
Circa 2.500 gli australiani che hanno
partecipato alla GMG di Colonia, quasi 100 mila è la stima dei pellegrini che
sbarcheranno da Oltreoceano per Sydney 2008.
Ancora il cardinale Pell:
R. – E’ una chiamata al cristianesimo, a seguire
Cristo. Quando noi seguiamo Cristo, ciò non significa che dobbiamo essere
sempre seri: c’è sempre spazio per l’allegria cristiana. Questi giovani sono
allegri, si vede che sono pieni di speranza.
Mentre
i giovani già pensano alla terra dei canguri con il cuore ancora rapito
dall’esperienza tedesca, la Conferenza episcopale australiana si dice onorata per
la scelta di Benedetto XVI, e prega perché “anche l’Australia possa fare
l’esperienza di questo rifiorire dello Spirito, affinché diventi un pellegrinaggio indimenticabile verso Sidney 2008”.
(musica)
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28 agosto 2005
CONCLUSO A RIMINI IL
26.MO MEETING DI CL, IL PRIMO SENZA MONS. GIUSSANI.
GRANDE ECO, LE RIFLESSIONI SUL TEMA DELLA LIBERTA’
- Interviste con il cardinale Péter Erdö e
l’arcivescovo Diarmuid Martin -
Sono stati 700
mila i visitatori passati quest’anno per i padiglioni della Fiera riminese,
teatro della 26.ma edizione del Meeting di Comunione e Liberazione, conclusosi
ieri con numerose riflessioni sul tema della libertà. La scena, tra dozzine di
incontri e iniziative, è stata dominata dalle parole di don Jualian Carron -
successore del fondatore di CL, mons. Luigi Giussani, scomparso lo scorso
febbraio – e dall’intervento di esordio del Meeting tenuto dal presidente del
Senato italiano, Marcello Pera. Tra i relatori, anche il cardinale Péter Erdö,
arcivescovo di Budapest e Primate d'Ungheria, intervenuto sul tema “Libertà,
Diritto e norma”. Luca Collodi gli ha
chiesto il significato della libertà religiosa nell'esperienza umana:
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R. – Io
spero che la libertà religiosa possa continuare ad essere una delle libertà
centrali, come ha insegnato Giovanni Paolo II, secondo il quale essa non è una
tra tante libertà, ma è una libertà fondamentale, la presenza della quale – poi
– può confermare, può rafforzare tutte le altre libertà nella società.
D. –
Eminenza, a Colonia, a Rimini, anche ai funerali di Frère Roger, abbiamo visto
un fervore di tanti giovani che sono stati intorno al Papa, che hanno
abbracciato degli ideali, dei valori. Lei pensa che questi giovani abbiano poi
anche la coerenza di seguire i valori che il Magistero della Chiesa indica
loro?
R. –
Penso proprio di sì, e non soltanto perché tanti giovani presenti a Colonia
sono d’accordo con gli insegnamenti della Chiesa su tanti punti fondamentali.
Ma anche perché ho fatto l’esperienza che molti di questi giovani che tornano
dai grandi incontri cambiano poi la loro vita. Quindi, non è soltanto un
effetto emozionale, ma si tratta anche di una certa conversione che produce poi
effetti concreti. Nel nostro seminario diocesano ci sono parecchi giovani che
hanno ricevuto la loro vocazione in occasione di incontri internazionali della
gioventù.
D. – Si
va quindi verso un periodo storico di rinnovato vigore della Chiesa?
R. –
Speriamo di sì! E speriamo anche che tra i nuovi linguaggi, nei quali
l’immagine e gli effetti sonori hanno un ruolo eminente, la fede riesca ad
esprimersi e riesca anche a produrre degli effetti concreti.
D. –
Eminenza, se lei si rivolgesse a un giovane, che consigli gli darebbe per
vivere nel modo migliore la propria libertà?
R. –
Prima di tutto, bisogna avere i criteri: bisogna cercare la verità in base alla
fede, cioè all’insegnamento della fede. Per questo è una grandissima gioia per
noi la promulgazione del Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica:
perché libertà è contenuto, linea direttrice. Allora, libertà non è un concetto
negativo ma positivo. Cerchiamo la via verso Dio e la via verso gli uomini:
questo è il contenuto della nostra libertà.
D. – Il
cammino della Chiesa dell’Est verso la libertà si sta compiendo?
R. –
Penso di sì. Anche se le difficoltà attuali sono molto più sofisticate di
quelle dell’epoca precedente, perché nell’epoca comunista i problemi erano
molto chiari, molto palesi. Adesso, invece, bisogna riflettere con serietà ed
onestà intellettuale su ciascun problema per trovare “la via cattolica”, “la
via cristiana” in questo contesto complicatissimo nel mondo.
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Sul tema
della libertà è intervenuto al Meeting di Rimini anche l’arcivescovo di
Dublino, Diarmuid Martin. Catherine Smibert lo ha intervistato:
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R. – La
parola libertà la usiamo molto e pensiamo tutti di sapere esattamente di cosa
si tratti. Per molti, la libertà è una “libertà da” e
non una “libertà per”. Significa essere liberi di costruire qualcosa di
diverso, di costruire qualcosa che è anche più grande di noi, se ci apriamo
alla parola di Dio e lasciamo che la verità di Dio agisca nella nostra vita.
Sono rimasto molto colpito dai giovani che a Colonia erano presenti a migliaia
e che hanno preso parte ai dibattiti o visitato mostre sul tema della libertà,
riflettendo su come usare la libertà, le possibilità, le potenzialità che
possiedono, per realizzare la loro vocazione cristiana nel mondo contemporaneo.
Abbiamo bisogno di cristiani che siano liberi dalla
schiavitù del consumismo, per esempio. Liberi da un mondo in cui tutto ha il
suo prezzo, dove si riceve solamente quello per cui
paghi, liberi di portare nel mondo questo amore di Dio che è sovrabbondante e
gratuito e di creare un nuovo tipo di interazione tra i popoli.
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MALTEMPO IN EUROPA: CALA LA
TENSIONE, PROSEGUONO I SOCCORSI.
L’OPERA DELLA CARITAS IN AIUTO ALLE POPOLAZIONI COLPITE
-
Intervista con Laura Stopponi -
Sta lentamente calando il livello di allarme in Svizzera,
dopo l’ondata di maltempo che ha causato piene e inondazioni in diverse parti
del Paese, costringendo centinaia di famiglie a sfollare dalle proprie
abitazioni. Anche nel resto d’Europa la tensione si stempera, anche se in
Germania e nella parte orientale del continente, acqua alta ed esondazioni
hanno provocato vittime e danni ingenti. In questo
difficile scenario, si è mossa la macchina dei soccorsi che ha visto anche la
Caritas in prima linea. Sugli interventi portati dall’organismo ecclesiale,
Fabio Colagrande ha parlato con Laura Stopponi, responsabile dell’Ufficio
Europa della Caritas Italiana:
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R. –
Senza dubbio è stato prestato aiuto immediato a molte famiglie, a persone in grandi
difficoltà nelle campagne, isolate da tutto e da tutti. Sono stati aiutati i
disabili e le persone più anziane che non potevano raggiungere i punti di
raccolta per poter ricevere generi di prima necessità, quali
cibo, coperte, stivali di gomma per poter superare le zone fangose.
D. –
Bulgaria e Romania, i Paesi più colpiti da queste alluvioni. Quali sono stati i
danni e quali gli interventi urgenti, subito messi in opera dalle Caritas?
R. – I
fiumi hanno rotto gli argini, e quindi ci sono molti ettari di campi
completamente invasi dal fango e tante case completamente distrutte. In questa
emergenza, gli sfollati sono stati raccolti in magazzini. Gravi conseguenze si
possono prevedere per i prossimi mesi in quanto, essendo zone rurali dedite
principalmente all’agricoltura, hanno i terreni completamente invasi dal fango.
D. –
Come entra in azione la Caritas, in questi casi?
R. – Le
fasi sono due. C’è stata una prima fase di aiuto soprattutto attraverso i
volontari, gli operatori che hanno potuto aiutare le famiglie a tirarsi fuori dal fango, ma anche a recuperare quel poco che si è
salvato. Nel frattempo, sono già stati studiati dei piani a medio termine, in
modo tale da distribuire generi alimentari e così assicurare la loro
sopravvivenza agli sfollati per i prossimi tre o quattro mesi. Ma gli sforzi
sono tesi anche a pianificare la distribuzione di strumenti per riprendere
l’attività produttiva. Si dovranno distribuire attrezzi agricoli e materiale
per la ricostruzione delle case.
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NEL GIORNO DELLA FESTA DI SANT’AGOSTINO, IN UMBRIA
RIAPRE DOPO I RESTAURI UN’ANTICA CHIESA DEL TRECENTO, DEDICATA AL VESCOVO DI
IPPONA
Torna
ad essere officiata, dopo circa ottant’anni, la chiesa di Sant’Agostino a
Cascia. E’ uno dei luoghi di culto più antichi dell’Umbria – risale alla fine
del 1300 – e dal ‘99 è stata sottoposta a vari interventi di restauro che hanno
riportato alla luce tre nuovi affreschi che raffigurano la
Vergine e diversi santi agostiniani. Il servizio di Tiziana Campisi.
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Nel
cuore dell’Umbria riapre le porte un gioiello del Trecento. E’ la chiesa di
sant’Agostino, a Cascia. Costruita su una rocca abitata da eremiti, gli
Agostiniani la edificarono nel XIV secolo e la arricchirono di affreschi. Dopo
una serie di restauri durati diversi anni, oggi, nel giorno in cui si celebra
la memoria di sant’Agostino, viene riconsacrata
dall’arcivescovo di Spoleto e Norcia, Riccardo Fontana. Ma qual è la storia di
questa chiesa? Ce la racconta padre Pierluigi Sodani, agostiniano, priore della
casa di accoglienza Sant’Agostino di Cascia:
R. – La
Chiesa sorge su una precedente, dedicata a San Giovanni Battista, dove fu
battezzata Santa Rita, che era nata a Roccaporena ma
non essendovi lì fonte battesimale, venne battezzata qui sulla rocca di Cascia.
Il restauro della chiesa ha riportato alla luce diverse opere d’arte
danneggiate dai terremoti che si sono susseguiti a Cascia.
D. –
Perché Cascia è un centro così importante per chi vive la spiritualità di
Sant’Agostino?
R. –
L’Umbria è una regione quasi integralmente francescana. Abbiamo questa isola
agostiniana a Cascia dove gli agostiniani hanno creato non soltanto questa
splendida chiesa di Sant’Agostino, ma anche, e soprattutto, la Basilica di
Santa Rita, il suo monastero e curato la devozione alla sua santità. Qui sono
cresciuti addirittura tre Santi: Santa Rita, il Beato Simone Fidati - che è
proprio di Cascia ed è uno dei primi autori della letteratura italiana - e poi
la Beata Maria Teresa Fasce, la grande badessa del monastero che ha saputo dare
a Rita uno spazio che oggi consideriamo non solo uno spazio nazionale, ma
addirittura internazionale.
D. –
Qual è la testimonianza che vogliono dare oggi gli Agostiniani a Cascia?
R. –
Soprattutto una testimonianza di accoglienza, perché intanto al Santuario
giungono persone da ogni parte e si avverte un bisogno di essere accolti, di
essere compresi ma allo stesso tempo anche di essere condotti ed aiutati, non
soltanto a pregare la Santa degli impossibili, ma anche ad incontrarsi
veramente con Dio.
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LA SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA AL
FESTIVAL DI VENEZIA:
TRA I FILM SELEZIONATI, INQUIETUDINI E DRAMMI DEL
PRESENTE E DEL PASSATO
Guerra,
fanatismo religioso e terrorismo: è segnata da una forte attualità la selezione
ufficiale di opere cinematografiche per la Settimana internazionale della
critica, in programma alla Mostra del Cinema di Venezia. Ce ne parla Luca
Pellegrini.
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Giunta
alla sua 20.ma edizione, la Settimana internazionale
della critica si propone ancora una volta, e con titoli davvero originali, come
una sezione della Mostra veneziana attenta alla scoperta delle nuove tendenze,
dei linguaggi filmici più innovativi, un cinema coraggioso, sospeso tra nuove
forme estetiche e di linguaggio. A Francesco Di Pace, che guida quest’anno per
la prima volta la commissione selezionatrice della Settimana, abbiamo chiesto
con quali criteri i critici cinematografici scelgono le opere per questa
sezione:
R. –
Cerca di selezionare un po’ quello che sta succedendo di nuovo sul panorama
cinematografico, quindi selezionare nuovi talenti, nuovi sguardi d’autore,
nuove tendenze, nuovi modi di vedere il cinema. Sono sette i film in concorso:
compongono per l’appunto la Settimana internazionale. Ci saranno anche due
eventi speciali. Crediamo di aver fatto un lavoro che un po’ rispecchia le
difficoltà ma anche le forti passioni che animano ancora i giovani autori che
intendono fare cinema in questo momento.
D. – I
sette film selezionati riflettono tensioni sociali e politiche
oggi più che mai presenti nella situazione internazionale. In che modo?
R. – Non
ci sono film direttamente politici, quindi direttamente incentrati su temi
drammatici che ci riguardano negli ultimi anni. Però, tutti questi film hanno
in fondo una tensione politica anche nel parlare di cose private, personali.
Sono tutti film che alludono alla politica, agli scenari di guerra, al
fanatismo religioso, alle difficoltà per alcune minoranze di trovare spazio
nella società d’oggi. In questo senso, ci sembrava di sottolineare quella che
poteva essere individuata come tendenza forzata, forse, ma una tendenza che
raggruppava tutti i film che avevamo scelto, e quindi il parlare di politica,
esprimerla attraverso delle tensioni esistenziali, personali. Direi che alla
politica poi, in senso forse più stretto, ci pensa l’evento speciale, che è un
documentario molto bello, a nostro avviso, sulla memoria della Shoah: si
intitola “Belzec”, un film francese, di Guillaume Moskovitz. L’opera si
concentra su un campo di concentramento polacco, meno conosciuto degli altri,
caratterizzato dal fatto che in questo campo i tedeschi distrussero tutto dopo
averlo usato, cioè non lasciarono traccia. E il lavoro del regista è quello di
far riaffiorare, cinematograficamente, questo luogo, attraverso la
testimonianza degli abitanti, con i movimenti della macchina da presa
all’interno di quello che attualmente è un bellissimo bosco rigoglioso. Ma sono
le parole stesse che ci fanno immaginare quel terrore, quell’orrore.
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28 agosto 2005
DA venerdì scorso, ad Assisi, la Terza settimana
nazionale
di formazione e
spiritualità missionaria
ROMA. = “Corresponsabilità per la missione, i
laici nella parrocchia missionaria”: questo il tema della terza “Settimana
nazionale di formazione e spiritualità” in corso da venerdì scorso presso la
“Cittadella” di Assisi. L’iniziativa, che si concluderà il prossimo 31 agosto,
è promossa dall’Ufficio nazionale per la Cooperazione missionaria tra le Chiese
della Conferenza episcopale italiana. Filo conduttore delle sette giornate “lo
spirito di Assisi”: incontro, dialogo e pace come presupposto per “ripensare la
formazione missionaria”, riscoprendone la “forte e qualificata dimensione
culturale, sul piano teologico, antropologico storico-sociale e pastorale”. Il
tutto, riferisce l’agenzia Misna, prestando attenzione, al “rinnovamento delle
parrocchie in conformità dello stile missionario di Cristo e secondo le
indicazioni della Nota pastorale dell’episcopato italiano”. Ad aprire la
settimana di riflessione, che coinvolge religiosi, operatori pastorali e laici
impegnati nei centri missionari, è stata la preghiera di mons. Luigi Bressan,
arcivescovo di Trento nonché presidente della Fondazione “Missio” e della
Commissione episcopale della CEI per l’Evangelizzazione dei popoli e la
cooperazione fra le Chiese. Il sociologo Dario Nicoli, invece, ha condotto
un’ampia analisi del valore della preghiera e del ruolo della parrocchia
nell’era della globalizzazione. Un’era di frantumazione del legame sociale,
apatia politica, paura dell’abbandono e ossessione per l’estetica in cui,
secondo Nicoli, è necessario superare una concezione
clericale della parrocchia. Quella concezione che la considera solo luogo di
cura pastorale dei fedeli piuttosto che spazio di accoglienza in cui i singoli
possano sentirsi comunità e scoprire di trovare una risposta alle loro esigenze
più profonde nella Chiesa come Gesù l’ha concepita. Solo così facendo, ha
commentato il sociologo, si potrà evitare che i sacerdoti siano caricati di
eccessivi impegni e responsabilità e che i laici vengano
ridotti a meri esecutori di un disegno gestito da un vertice. Sulla necessità
dei laici a non essere massa “anonima e passiva”, ma popolo messianico attivo,
è intervenuto anche padre Vito Del Prete nella sua riflessione sulla
“ministerialità missionaria laicale”. Padre Del Prete ha ricordato che i laici
devono esercitare tutti i ministeri eccetto quello riservato ai presbiteri in
forza dell’ordi-nazione sacerdotale, e sempre in comunione ecclesiale. Di qui
l’appello della CEI, riportato dall’agenzia Misna, affinché non ambiscano
esclusivamente a ministeri all’interno della Chiesa ma
ne assumano di nuovi, “dando vita a forme inedite di educazione alla fede e di
pastorale, nella società e nei diversi ambienti di vita”. (R.P.)
ALLARME
COLERA IN AFRICA. L’EPIDEMIA SI È GIA’ DIFFUSA IN 11 PAESI.
GRAVE LA SITUAZIONE IN
GUINEA BISSAU E LIBERIA
MONROVIA. = Dal Burundi al Niger,
dalla Mauritania alla Senegal: non si arresta
l’epidemia di colera che nelle ultime settimane ha colpito l’Africa. Sono già
undici i Paesi vessati dal virus in rapida diffusione, anche a causa dell’eccezionale
ondata di precipitazioni che sta interessando il continente. E sono proprio le
alluvioni a far temere il peggio anche ai governi degli Stati in cui l’epidemia
non è stata dichiarata ufficialmente, come in Sierra Leone, Repubblica
Centrafricana, Ciad ed Etiopia. Ad oggi la situazione più grave, come riferisce
l’agenzia Misna, resta quella della Guinea Bissau, dove 177 persone sono morte
e più di novemila sono state contagiate. Un triste bilancio al quale si
avvicina progressivamente anche la Liberia. Qui il numero delle vittime si
aggiorna di continuo: dalle 29 dei primi di agosto, infatti, si è passati alle
134 della scorsa settimana. Il virus si è propagato a partire dalle baracche
della cittadina di Butaw, nella parte sudorientale del Paese e, secondo informazioni raccolte da Misna, avrebbe già colpito
20 mila minatori illegali, le braccia della ricca zona mineraria produttrice di
diamanti.
IN KENYA, CENTINAIA DI RAGAZZE
SOTTRATTE ALLA CIRCONCISIONE FEMMINILE
CON LA CRESIMA, GRAZIE AD UNA SUORA MESSICANA
NAIROBI. = Non dovevano piangere, né
lamentarsi. Per essere rispettate dalla comunità del villaggio, dovevano
accettare di essere percosse, umiliate, recluse: faceva parte di un rito di
iniziazione. Lo chiamano “Kipsiguis” nella lingua della tribù di Mulot, in
Kenya. Il termine significa “essere rinata”: indica la pratica della
circoncisione femminile. Ora, se vorranno, le giovani donne africane potranno
rifiutarla. In centinaia lo hanno già fatto grazie a una suora messicana
appartenente alla Congregazione delle Missionarie del Catechismo, Suor Maria de
Los Angeles Vasquez. Suor Maria, infatti, dal 1985 impegnata in Kenya, è
riuscita a sostituire il barbaro rito con il Sacramento della Cresima. A
raccontarlo, è stata lei stessa, nel corso di un incontro svoltosi al Meeting
di Rimini, lunedì 22 agosto, quando la religiosa è intervenuta sul tema
“Solidarietà e cooperazione nelle grandi crisi umanitarie: il futuro
dell’infanzia”. La missionaria messicana ha spiegato che molte ragazze, pur non
volendo sottoporsi alla circoncisione, la accettavano per timore di non essere
rispettate dalla tribù. Di qui, l’idea di proporre la cresima come cerimoniale
di passaggio alla società adulta. Il 16 dicembre 1995, per la prima volta, un
gruppo di ragazze ha scelto il “nuovo rito”. E da allora, il primo gennaio di
ogni anno, la celebrazione si svolge coinvolgendo un numero sempre maggiore di
giovani donne. La circoncisione resta, comunque, una delle pratiche più diffuse
in Kenya. Secondo un dossier pubblicato dall’Agenzia Fides, che riprende
l’Associazione italiana donne per lo sviluppo – AIDOS News, il 50 per cento
della popolazione femminile del Kenya è sottoposto a questa pratica. Il fenomeno interessa in particolare l’Africa
subsahariana, ma tocca anche alcuni Paesi arabi, come
Egitto e Yemen. Inoltre, secondo stime diffuse da enti
quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’ONU e l’UNICEF, almeno 130
milioni di bambine, tre milioni all’anno, subiscono oggi l’infibulazione (più
devastante della circoncisione). Il triste primato spetta alla
Somalia dove la mutilazione riguarda il 98 per cento delle donne. (R.P.)
CONTINUA LA SOFFERENZA
PER LE EX-BAMBINE-SOLDATO IMPIEGATE NEL CONFLITTO
NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO. L’ORGANIZZAZIONE UMANITARIA
“SAVE THE CHILDREN” LANCIA UN APPELLO AFFINCHÉ
SIANO
INSERITE
NEI PROGRAMMI DI REINTEGRAZIONE E DI DISARMO
KINSHASA. = Sono
circa 12.500 le bambine soldato che hanno combattuto nella Repubblica
Democratica del Congo tra le file dell’esercito
regolare o delle milizie ribelli o filo-governative e che non hanno mai
beneficiato di un programma di reintegrazione e di disarmo. La denuncia viene
dall’organizzazione umanitaria Save the Children, attiva nel Paese proprio nel
recupero dei bambini utilizzati dalle forze in campo nel conflitto. Le
ex-bambine soldato, spiega l’organizza-zione, sono state considerate ex-mogli
più che ex-soldati, visto che venivano soprattutto
sfruttate sessualmente negli accampamenti a favore della soldataglia o erano
impiegate come schiave tuttofare dai capi militari. Secondo quanto riferito
dall’organizzazione Save the Children, è quanto mai necessario dare un
aiuto a queste bambine. Molte, infatti, hanno contratto l’HIV/AIDS e in tante
sono state rifiutate nei villaggi di provenienza, perché malate e dunque prive
di valore economico. L’appello rivolto dall’organizzazione umanitaria, alla
comunità internazionale comunque, non si limita solamente alla Repubblica
Democratica del Congo, ma cerca di focalizzare
l’attenzione su tutti i Paesi nei quali conflitti siano state o siano ancora
oggi impiegate bambine schiave. (MISNA/D.L.)
LUNGO CORTEO STORICO E
CERIMONIA SOLENNE, OGGI, NELLA CITTA’ ABRUZZESE DELL’AQUILA, TEATRO DELLA
TRADIZIONALE
FESTA DELLA PERDONANZA CELESTINIANA,
ALLA PRESENZA DEL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI
L’AQUILA.
= Come ogni anno, si celebra oggi all’Aquila, in Italia, la festa della
Perdonanza, occasione di riflessione e pace introdotta da Papa Celestino V.
L’iniziativa, infatti, prende il nome dalla Bolla del Perdono che il pontefice
emanò nel capoluogo abruzzese nel settembre del 1294 dalla Basilica di
Collemaggio. Un evento eccezionale per l’epoca, che concedeva un’indulgenza
plenaria e universale a tutta l’umanità. Uniche condizioni per ottenere il
perdono: l’ingresso nella Basilica e l’effettivo pentimento. La Bolla è oggi
custodita gelosamente dagli aquilani nella cappella blindata della Torre del
Palazzo Comunale. E proprio dal Palazzo Comunale verso la Basilica di
Collemaggio partirà nel pomeriggio di oggi un lungo corteo: mille figuranti in
costume d'epoca, in rappresentanza del gruppo storico del Comune dell'Aquila e
di altre città italiane insieme agli esponenti delle amministrazioni. Si vedrà
così la Dama della Bolla, con l'astuccio nel quale fino al 1997 era conservata la Bolla del Perdono, e il Giovin Signore con
il ramo d'ulivo che il cardinale Carlo Maria Martini, inviato dalla Santa Sede,
userà per colpire la Porta Santa della Basilica di Collemaggio, ordinandone
l’apertura. A precedere il rito sarà la lettura del documento papale da parte
del sindaco, come prescritto dal dettato di Celestino V. La Bolla del Perdono
rimarrà esposta per un giorno all'interno della Basilica di Collemaggio e
riportata in Comune la sera del 29 agosto, dopo la chiusura della Porta Santa, ad opera dell’arcivescovo dell'Aquila. (R.P.)
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28
agosto 2005
-
A cura di Eugenio Bonanata -
Pochi
giorni dopo la fine delle operazioni di evacuazione dei coloni da Gaza, torna
la violenza dei kamikaze in Israele. Questa mattina, all’ora
di punta, un terrorista palestinese si è fatto esplodere nei pressi della
stazione degli autobus di Beer Sheba, nel sud del Paese, ferendo almeno decine
persone, due delle quali in maniera grave. Il presidente palestinese, Abu
Mazen, ha subito condannato l’attentato definendolo “un atto terroristico”. Il
nostro servizio:
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L’attentatore,
un palestinese, ha cercato di entrare all’interno della stazione degli autobus ma alcune guardie, insospettite, lo hanno fermato
quasi all’entrata. Ed è allora che l’uomo ha azionato il detonatore e si è
fatto esplodere. Poteva essere una strage, visto che nel primo giorno
lavorativo della settimana la stazione era piena di gente. E’ il primo
attentato di questo genere da quando Israele ha
iniziato le operazioni di ritiro da Gaza, un atto che potrebbe compromettere il
delicato processo di pace nell’area. Per il momento, l’attentato non è stato
rivendicato da nessun gruppo, tuttavia, secondo la radio militare israeliana è
possibile che l’attentato sia stato organizzato da una cellula del movimento
radicale palestinese di Hamas, attiva ad Hebron, in
Cisgiordania. Ma un dirigente del movimento ha affermato che la responsabilità
di quanto accaduto ricade solo su Israele, che “pochi giorni fa ha ucciso
cinque palestinesi a Tulkarem, in Cisgiordania”. Intanto, un uomo, indicato
come possibile complice del terrorista, è stato fermato dai servizi segreti
israeliani. Dal canto suo, il capo negoziatore palestinese, Saeb Erakat,
condannando anch’egli l’attentato, ha specificato che israeliani e palestinesi
devono moltiplicare gli sforzi per mantenere la calma. Ma fra i dirigenti
palestinesi c’è forte contrarietà nei confronti del governo israeliano che ha
appena deciso di costruire un nuovo tratto della barriera di sicurezza attorno
alla colonia-città di Maaleh Adumim: una cosa, questa, che a loro parere
rischia di separare fisicamente Gerusalemme est dalla Cisgiordania. Oggi, il premier
palestinese Abu Mazen ha convocato il governo ad Abu Dis, un quartiere a
ridosso di Gerusalemme, attraversato dalla Barriera. “Israele vuole chiuderci
in un ghetto”, ha esclamato il premier palestinese Abu Mazen, che ha anche
messo in guardia dalle gravi ripercussioni di tale politica.
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In Iraq, la versione finale del progetto di Costituzione è stata firmata
oggi dalla maggioranza dei membri del Comitato di redazione del testo. Hanno
sottoscritto la Carta i rappresentanti sciiti e curdi, mentre restano critici i
sunniti che hanno preferito non siglare il documento. Intanto, è iniziata la
lettura del testo davanti al Parlamento. Un atto questo che precede la
votazione, prevista per oggi pomeriggio. Da parte dei sunniti, che hanno
annunciato di non partecipare alla cerimonia che seguirà l’approvazione della
bozza, il nodo insolubile resta la questione del federalismo, tuttavia, anche
la divisione delle acque rappresenta un problema spinoso per il Paese arabo. Lo
conferma, al microfono di Fabio Colagrande, Mirella Galletti, docente di Storia arabo-islamica all’Istituto orientale
di Napoli:
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R. -
L’Iraq è percorso dal Tigri e dall’Eufrate. Senza questi due fiumi, l’Iraq non
esisterebbe. Sono fiumi che richiedono grosse opere di controllo e anche di
contrattazione con la Turchia, dove nascono. Quindi, solo un forte potere
centrale può contrapporsi all’utilizzo delle acque da parte dei Paesi vicini.
Io credo che adesso sia molto importante non tanto che gli sciiti si impadroniscano
delle ricchezze petrolifere nel sud e i curdi quelle al nord,
ma credo ci debba essere una ripartizione delle ricchezze, tenendo conto
anche delle acque del Paese. Quindi, ci vorrà una fortissima dose di diplomazia
anche per reintegrare gli arabi sunniti al potere.
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Un candidato
alle prossime elezioni afghane del 18 settembre è stato assassinato da presunti
ribelli taleban a circa 20 km a sud di Tirin Kot, nella provincia meridionale
dell'Oruzgan. E’ il quarto candidato ucciso dalla primavera scorsa, quando fu avviato il processo parlamentare in Afghanistan. In
questi ultimi mesi, anche cinque funzionari addetti alle elezioni sono stati
assassinati e in generale tutta la campagna elettorale è caratterizzata da
intimidazioni, atti di violenza e minacce.
L’Iran ha affermato di non considerare Gran Bretagna, Francia e Germania come gli unici partner nei negoziati sul suo programma nucleare, avvertendo questi tre Paesi che potrebbero essere emarginati dalle trattative. “Continueremo a negoziare con loro - ha precisato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Asefi - ma non ci limiteremo solo a questi tre Paesi”. Essi non riconoscono “il diritto dell’Iran ad avere un ciclo di combustibile nucleare”: è questa l’accusa principale che Teheran rivolge ai tre Paesi Europei. In questo quadro, Teheran ha già avviato contatti con Giappone, Malaysia e Sudafrica. Tuttavia, secondo Asefi, “il principale partner dell’Iran nel negoziato resta comunque l’Agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA)”.
Il
Commissario europeo al Commercio, Peter Mandelson, presenterà domani agli Stati
dell’Unione una serie di proposte per sbloccare le importazioni cinesi di
prodotti tessili attualmente fermi alle dogane. Lo ha dichiarato lo stesso
Mandelson nel corso di un’intervista al programma News 24 Sunday della BBC.
L’intervento del Commissario giunge nel quarto giorno di colloqui tra
funzionari europei e cinesi per cercare di rivedere l’accordo sulle
importazioni del tessile cinese siglato appena due mesi fa. L’accordo di giugno
poneva tetti dell'8-12% alla crescita dell’export tessile cinese in dieci linee
di prodotto.
Un treno
passeggeri è deragliato per un’esplosione avvenuta ieri sui binari nel
Daghestan meridionale, al confine con la Cecenia. Secondo un funzionario
locale, alcuni sconosciuti avrebbero posto sui binari un ordigno che è esploso
al passaggio del treno. Il Daghestan, un territorio vicino al mar Caspio, è
stato spesso teatro di episodi di violenza legati alla guerra separatista della
Cecenia.
Sono
circa trenta, fra cui diversi bambini, le persone rimaste ferite a causa di una
bomba artigianale esplosa a bordo di una nave traghetto nel sud delle
Filippine. Lo hanno reso noto fonti militari,
specificando che lo scoppio è avvenuto nella parte posteriore
dell’imbarcazione, nei pressi di Lamitan, sull'isola di Basilan, al momento
dell’imbarco dei passeggeri. “Lo scopo – specifica la fonte - era chiaramente
quello di seminare il terrore”.
Riprenderanno il 15 settembre ad Abuja, in Nigeria, i
negoziati tra autorità sudanesi e movimenti ribelli del Darfur, la martoriata
regione occidentale del Sudan, teatro dal 2003 di sanguinose violenze. I colloqui tra il governo di Khartoum e i ribelli
del Movimento di liberazione e di quello per la Giustizia e l’uguaglianza si
erano interrotti a inizio luglio, quando già il bilancio delle violenze
oscillava tra le 180 mila e le 300 mila vittime e
oltre due milioni di profughi. Ma cosa chiedono i ribelli al governo di
Khartoum? Giada Aquilino ha girato la domanda a Fabio Riccardi, responsabile
dell’Ufficio Africa della Comunità di Sant’Egidio:
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R. – Le
richieste sono una maggior partecipazione politica alla gestione del Paese ed in
particolare della regione occidentale del Sudan. Si invoca inoltre una maggior
partecipazione alle ricchezze, quindi alle risorse economiche. Queste sono però le richieste ufficiali: possiamo dire che entrambi
i movimenti del Darfur puntano soprattutto ad un cambiamento nella dirigenza
del governo di Khartoum.
D. –
Dopo anni di violenze nella regione, la popolazione in quali condizioni vive?
R. – In
grandissime difficoltà. Esistono due grandi nuclei di rifugiati, uno
all’interno del Sudan e un altro al di là del confine tra il Sudan e il Ciad.
D. – ONU
e autorità sudanesi si sono accordati per facilitare il rientro dei profughi. A
breve dovrebbero ripartire le trattative di pace. Che tempi ci saranno?
R. – Il
rientro dei profughi e la pace sono connessi tra loro: i profughi possono
rientrare ma, finché non c’è una situazione stabile, loro stessi hanno paura a
tornare, temono di dover scappare di nuovo dalle violenze. Quanto dureranno le
trattative? Con il Sud Sudan si sono protratte per più di un decennio. Speriamo
che in questo caso sia molto minore il tempo, ma la situazione rimane
complessa, anche perché i due movimenti ribelli non sono completamente
d’accordo tra di loro.
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