RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 235 - Testo della trasmissione di martedì 23 agosto 2005

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

L’eredita’ spirituale della GMG di Colonia, un aspetto da coltivare con attenzione nei giovani. Ai nostri microfoni, il cardinale Karl Lehmann, i vescovi Vincenzo Paglia e Francesco Lambiasi e Mimmo Muolo

 

A Taizé, i solenni funerali di Frere Rogèr, davanti a migliaia di persone. Le esequie presiedute dal cardinale Walter Kasper: interviste con fr. Alois e fr. John

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

In Iraq, raggiunta un’intesa sulla nuova Costituzione. Entro giovedì prossimo il parlamento sarà chiamato ad approvare il testo costituzionale: ce ne parla Alberto Negri

Al Meeting di Rimini, l’eco delle parole del successore di mons. Giussani, Julian Carron: “E’ la dipendenza da Dio la libertà dell’uomo”

In corso ad Assisi, il 63.mo Corso internazionale di studi cristiani sul tema “La salvezza, grande domanda muta?”: con noi mons. Lorenzo Chiarinelli e Stefano Zamagni

 

CHIESA E SOCIETA’:

La crisi della democrazia europea al centro del dibattito in un Congresso a Vienna organizzato dalla Compagnia di Gesù

 

Promossa dall’UNESCO la “Giornata internazionale per la commemorazione della tratta schiavista e della sua abolizione”, in memoria dell’insurrezione degli schiavi avvenuta a Santo Domingo nel 1971

 

Rotto il monopolio delle multinazionali nella produzione di prodotti farmaceutici contro l’Aids

 

L’arcivescovo del San Salvador ha presentato i nuovi corsi di avviamento al lavoro per i giovani che fanno parte delle bande criminali diffuse in tutto il Centroamerica

 

Nasce a Mosca un centro studi sull’emigrazione russa costretta all'esilio dopo la rivoluzione bolscevica

 

24 ORE NEL MONDO:

In Medio Oriente, entrato nella fase finale il piano di evacuazione dei coloni dalla Cisgiordania

 

In Ecuador iniziate le trattative tra i vertici delle compagnie petrolifere e i leader della rivolta che avevano bloccato la produzione di greggio

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

23 agosto 2005

 

 

IL CAMMINO VERSO CRISTO PROSEGUE: I GIOVANI DI TUTTO

 IL MONDO TORNANO A CASA, RAFFORZATI NELLA FEDE DOPO L’ESPERIENZA

 DELLA GMG DI COLONIA, LA PRIMA DI PAPA BENEDETTO XVI.

AI NOSTRI MICROFONI, LE RIFLESSIONI DEL CARDINALE KARL LEHMANN,

 DEI VESCOVI VINCENZO PAGLIA E FRANCESCO LAMBIASI

 E DELL’INVIATO DI AVVENIRE, MIMMO MUOLO

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

La Chiesa è viva, la Chiesa è giovane: le vibranti parole di Benedetto XVI, nella Messa di inizio Pontificato, sono risuonate forti tante volte nei giorni della GMG di Colonia. Uno straordinario evento ecclesiale, che non resta tuttavia un momento fine a se stesso. I ragazzi che hanno preso parte alla ventesima Giornata Mondiale delle Gioventù, infatti, sono ora chiamati a proseguire il cammino indicato dalla stella ai Re Magi, simbolo della GMG di Colonia. Il servizio di Alessandro Gisotti:

        

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(INNO GMG 2005)

 

Far fruttificare quanto seminato a Colonia: con questo spirito i giovani che hanno preso parte alla ventesima GMG sono tornati o stanno facendo ritorno a casa, alla vita quotidiana. Il primo corale abbraccio con Benedetto XVI, i momenti di gioia vissuti con i ragazzi di ogni parte del mondo resteranno esperienze indelebili per i partecipanti alla GMG. Ma fondamentali, per il cammino di fede, sono state anche le catechesi che hanno accompagnato gli eventi principali dell’incontro di Colonia. Ecco la testimonianza del vescovo di Terni-Narni-Amelia, Vincenzo Paglia, cofondatore della Comunità di Sant’Egidio:

 

R. – Mi sembra che sia un rapporto intenso, innanzitutto sotto il profilo umano: Papa Benedetto si è presentato così com’è, direi proprio al naturale, con quella mitezza e tenacia che hanno un grande fascino sui giovani. E poi, direi che la cosa si intreccia con un dialogo a livello di fede tra il Papa ed i giovani che lascia davvero ben sperare. Anche questa profondità di fede, sembra davvero sia un segnale molto alto per tutta la Chiesa.

 

D. – Come, secondo lei, la GMG, questo evento straordinario, influirà sulla pastorale giovanile portando poi ad un percorso che proseguirà fino a Sydney 2008?

 

R. – Ritengo che contribuisca innanzitutto con una ripresa di fiducia perché solo intrecciando un rapporto di fiducia con i giovani è possibile dire anche a loro la bellezza del Vangelo e della fede. Io penso che il barometro della fiducia dopo Colonia segni davvero al bello!

 

A Colonia c’era anche il vescovo Francesco Lambiasi, assistente ecclesiastico dell’Azione Cattolica Italiana, che si sofferma sul rapporto tra i giovani e il nuovo Papa, alla prova con la sua prima Giornata Mondiale della Gioventù:

 

R. – Io ho fatto due catechesi e debbo dire che è stata un’esperienza assolutamente straordinaria. Vorrei dire che sono stati quasi dei veri esercizi spirituali in cammino. Vedere questi giovani, nonostante la stanchezza e i disagi, vederli la mattina, essere lì dalle nove fino a mezzogiorno e mezzo, l’una, attenti, ad ascoltare e pregare, devo dire che è stata una ricchezza di scambi spirituali veramente sorprendente ed è uno degli aspetti che rende le GMG particolarmente significative. E’ una crescita di coscienza, di responsabilità, di comprensione… Le catechesi sono i momenti nei quali questo appare con maggiore evidenza perché è possibile intervenire, è possibile parlare, direttamente con i giovani. Non sono incontri “di massa” perché sono preceduti da incontri personali avuti nei giorni precedenti…

 

L’inviato di Avvenire, Mimmo Muolo, ha seguito tutte le Giornate Mondiali della Gioventù. Ai nostri microfoni, sottolinea le caratteristiche di questa GMG di Colonia, già ribattezzata come la “Giornata dei due Papi”:

        

R. – Ho visto giovani che sono arrivati veramente molto preparato a questa Giornata mondiale della Gioventù; è forse la prima GMG che, in qualche modo, è stata vissuta non come evento in se stesso, ma come parte di un cammino che è iniziato prima e continua dopo. Io penso che la specificità di questa GMG di Colonia sia appunto il fatto che i giovani hanno capito che bisogna continuare il cammino.

 

D. – Ecco, quindi, una GMG che è punto di partenza piuttosto che arrivo …

 

R. – Sì, piuttosto una tappa, direi. E come tutte le tappe sono punto di arrivo ma punto di partenza, anche, per la tappa successiva. In questo, le parole del Papa hanno funzionato meravigliosamente da mappa per continuare il cammino.

 

D. – All’occhio del cronista, dell’osservatore delle GMG, che cosa ti ha colpito in particolare?

 

R. – Io penso che l’immagine-simbolo sia proprio quella del Papa che arriva sul battello sul Reno. E’ un’immagine che ha in sé tanta suggestione ma anche tanto contenuto. Pietro sulla barca di Pietro che viene quasi a reclutare un equipaggio giovane perché questa barca possa continuare la sua navigazione nel futuro.

 

(JESUS CHRIST YOU’RE MY LIFE)

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“La Giornata mondiale della Gioventù ha portato un grande entusiasmo ed un’enorme gioia e voglia di credere in molti giovani”. Sono parole del cardinale Karl Lehmann, vescovo di Mainz, che ha vissuto condiviso con l’episcopato tedesco il vento di novità portato, anche nella Chiesa locale, dall’incontro di Benedetto XVI con i giovani del mondo. Il nostro direttore dei Programmi, padre Federico Lombardi – al seguito del Papa  a Colonia - ha chiesto al porporato un bilancio dell’ultima GMG in rapporto con quelle precedenti:

 

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R. – ALSO, WENN ICH SO ÜBERLEGE … PARIS, ROM, TORONTO, KÖLN … DA MUSS …

Se ci penso un momento – Parigi, Roma, Toronto, Colonia – devo dire che l’essenziale è stato uguale in ognuna di queste tappe: è veramente un fenomeno globale della Chiesa universale, anche con due Pontefici diversi, anche in contesti socio-politici diversi. Mi sembra che ci sia un ‘filo rosso’ che corre attraverso tutte queste GMG.

 

D. – Questa è stata la prima GMG di Benedetto XVI: i giovani che sono venuti, volevano anche vedere come il nuovo Papa avrebbe gestito il rapporto con loro, anche per imparare a conoscerlo. Lei crede che la presenza del Papa sia stata un successo?

 

R. – ALSO, WENN MAN ETWAS FRECH FORMULIEREN DARF, WÜRDE ICH SAGEN: …

Se potessi dare una risposta un po’ scanzonata, direi che il Papa ha brillantemente superato il “test”. Intanto, si è notata la sua attenzione gioiosa nei riguardi dei singoli giovani, la dimostrazione di interesse per ciascuno ma anche per la gioventù nel suo insieme. Poi, c’è stata la profondità delle sue parole e in terzo luogo, pur con tutta la dignità che comporta il ministero di Pietro, il suo apparire è stato umanamente molto umile, discreto. E questo, proprio nell’approccio con i giovani, è un tratto molto importante. Comunque, non bisogna guardare solo ai giovani ma alle centinaia di migliaia di persone che si sono accalcate ai bordi della strada, sulle rive del Reno durante la navigazione: anche i giornalisti incalliti, che usualmente sono piuttosto critici, hanno fatto resoconti sorprendentemente positivi. E credo che tutto questo significhi già un grande successo.

 

D. – Nel corso di questo viaggio ci sono stati anche altri incontri, che non facevano parte nel senso stretto della Giornata mondiale della Gioventù, che però erano molto importanti, come quello nella Sinagoga, quello con le altre confessioni cristiane, con i musulmani: lei crede che questi incontri abbiano avuto una reale importanza?

 

R. –  DIE WUNDERBARE FEIERSTUNDE IN DER SYNAGOGE …

La cerimonia toccante nella Sinagoga, l’incontro con i rappresentanti dell’ecumenismo e con quelli delle comunità musulmani sono perfettamente riusciti, ciascuno a modo proprio. Le persone che vivono nel nostro Paese hanno compreso che noi cattolici non viviamo “da soli”, ma che cerchiamo la pace con gli altri, che cerchiamo di comprenderli, che siamo il dialogo con gli altri … e per quanto ho sentito, i discorsi del Santo Padre, a partire da quello rivolto al presidente della Repubblica, fino a quelli rivolti a personalità della vita pubblica cattolica, sono stati particolarmente apprezzati per questo suo volgersi al singolo, per il suo interessamento al singolo.

 

D. – Uno dei problemi di questi grandi eventi è anche: cosa succede poi? L’impegno è stato enorme, per la Chiesa tedesca e vale la pena portarlo avanti…

 

R. – ALSO, ZUNÄCHST EINMAL MUSS MAN SICH KLAR SEIN UND BESCHEIDEN …

Innanzitutto, è necessario rimanere lucidi e semplici. Un avvenimento di questo genere – ovviamente – non si può copiare né “prolungare”, non conservare artificiosamente. Vogliamo però riuscire a conservare tre elementi. Il primo – e mi affascina sempre ogni volta – è la gioia di credere, che tante persone hanno portato nel nostro Paese, dove spesso tendiamo al vittimismo, mentre sarebbe auspicabile un po’ di spirito di iniziativa. E questa considerazione ha la sua validità al di là della Chiesa. Poi, dobbiamo acquisire una coscienza ancora maggiore – anche se già facciamo molto per gli uomini in tutto il mondo, attraverso l’aiuto allo sviluppo e le opere diocesane – della speranza che vogliamo condividere con gli altri, che questi “altri” ora vanno a casa e che contano su di noi affinché li aiutiamo nella loro condizione di difficoltà … Il terzo elemento è che la Chiesa tedesca, ma anche le altre confessioni e tutti gli uomini di buona volontà, tutti lo hanno visto: questo Papa che viene dal nostro Paese non rinnega di essere tedesco. Certo, egli appartiene alla Chiesa intera, ma in maniera tale che noi siamo orgogliosi di lui.

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La GMG di Colonia ha avuto ieri un’appendice nella vicina Bonn con un incontro vocazionale promosso dagli iniziatori del Cammino neocatecumenale: Kiko Argüello, Carmen Hernandez e padre Mario Pezzi. A presiederlo, davanti a 90 mila giovani di 80 Paesi, l’arcivescovo di Colonia, il cardinale Meisner: con lui 10 porporati e 70 vescovi. Presenti, per la Santa Sede, i prefetti della Congregazione per il clero, il cardinale Castrillon Hoyos, e della Congregazione per la Dottrina della Fede, mons. Levada, e il presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, mons. Stanislaw Rylko. Da Bonn, Roberto Piermarini.

 

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Più di 90 mila giovani hanno invaso ieri con canti, balli e preghiere, la tranquilla e grigia città di Bonn. Si sono raccolti nello splendido parco di Rheinaue, lungo il fiume Reno, per discernere la loro vocazione. Tra loro, 20 mila italiani, 14 mila spagnoli, 6 mila polacchi e giovani provenienti da zone calde del mondo, come Israele e Iraq, e per la prima volta anche dal Marocco e dalla Cina popolare, grazie ad uno speciale permesso delle autorità di Pechino. Parlando alla GMG di Colonia, Benedetto XVI aveva invitato i giovani ad essere veri testimoni del Vangelo, rispondendo anche alla chiamata del Signore. E i loro coetanei, raccolti a Bonn, non hanno deluso la sua richiesta. Kiko Argüello, parlando loro, ha detto che per la nuova evangelizzazione sono necessari sacerdoti umili, santi e missionari, che sappiano donarsi per tutta l’umanità. Anche le suore di clausura che pregano nel silenzio di un monastero – ha sottolineato – stanno salvando il mondo. A incoraggiare i presenti, anche il cardinale Meisner, il quale nella sua omelia ha osservato che la chiamata vocazionale è racchiusa in tre parole: “Vieni, rimani e vai”. Così, quasi 3 mila giovani hanno detto il loro “sì” davanti ai presuli presenti. Dopo un percorso vocazionale, molti di loro entreranno nei 60 seminari internazionali Redemptoris Mater, che hanno già dato alla Chiesa 1500 presbiteri. Mentre le ragazze, come hanno già fatto nel mondo in 4 mila, potranno abbracciare la vita religiosa o contemplativa.

 

Durante il loro itinerario verso Colonia, i 90 mila giovani del Cammino hanno predicato per le strade di oltre 100 città europee, proclamando pubblicamente come Cristo abbia trasformato la loro vita. “Oggi lasciate un messaggio - ha detto ieri a Bonn il presidente del dicastero vaticano per i Laici, mons. Rylko - il Papa Benedetto XVI può contare sempre sui giovani del Cammino neocatecumenale”. Infine, l’invito alla prossima GMG di Sidney nel 2008 da parte dell’arcivescovo della città australiana, il cardinale Pell. “So che il mio Paese è molto lontano - ha detto il porporato – ma la vostra testimonianza potrà aiutare tutti i giovani della mia terra, che sono ormai lontani da Dio. Solo con la vostra gioia evangelica e il vostro coraggio potranno ritrovare la speranza”.

 

Da Bonn, Roberto Piermarini, Radio Vaticana.

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A TAIZÉ, I SOLENNI FUNERALI DI FRERE ROGÈR, DAVANTI A MIGLIAIA DI PERSONE.

LE ESEQUIE PRESIEDUTE DAL CARDINALE WALTER KASPER

- Interviste con Fr. Alois e Fr. John -

 

E’ iniziata pochi minuti fa, nella semplice e solenne cornice della Comunità di Taizé, la celebrazione delle esequie di Frere Rogèr Schutz, il fondatore della fraternità francese, ucciso lo scorso 16 agosto. Nonostante la pioggia, almeno diecimila persone sono giunte da molte parti d’Europa e del mondo per porgere l’ultimo saluto ad una delle figure più carismatiche della spiritualità occidentale. La Messa funebre è presieduta dal cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani, e insieme a lui sono presenti personalità della Chiesa cattolica, del Patriarcato ortodosso russo e dell’arcivescovo di Canterbury, oltre al capo di Stato tedesco, Köhler, e al ministro degli Interni francese, Sarkozy. Già nei giorni scorsi, migliaia di persone – in gran parte giovani provenienti dalla GMG – si erano recati a Taizé per l’omaggio alla salma di Frere Rogèr. Il primo tra tutti a tornare subito da Colonia è stato Fr. Alois, che otto anni fa Frere Roger aveva designato come suo successore. Eccolo spiegare, al microfono di Giuseppe Lanzi, quale fase dovrà affrontare ora la Comunità di Taizé:

 

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Con la morte di Frere Roger, il periodo della fondazione della comunità è terminato. Adesso, tutti noi fratelli dobbiamo continuare. Si apre un periodo di continuità adesso. Nessuno può sostituire Frere Roger, potremo però continuare su quel cammino che lui ha aperto. Ci vedremo con tutti i giovani italiani a Milano, alla fine dell’anno.

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La morte di Fr. Roger si è consumata drammaticamente in pochi istanti, la sera di una settimana fa, durante la preghiera collettiva serale, uno dei tre momenti di raccoglimento quotidiani della Comunità. Preghiera che non è mai venuta meno e che costituisce uno dei pilastri spirituali di Taizé, sui quali la Comunità si muove ora verso quel cambiamento che lo stesso Frere Roger aveva predisposto. Lo conferma uno dei membri della Comunità, Fr. John, sempre al microfono di Giuseppe Lanzi:

 

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R. – Dal primo momento, dalla preghiera di martedì sera, la vita è andata avanti. Abbiamo pregato, abbiamo continuato le introduzioni bibliche e tutti gli incontri con i giovani. Io credo che questo sia una testimonianza che per noi cristiani la vita è più forte della morte.

 

D. - Da questa mattina, sulla collina di Taizè, sembra di essere a Marienfeld. Si vedono i cappellini dei volontari, giovani che vengono direttamente dalla GMG. Cosa lega Taizè ai giovani? Cosa lega la collina di Taizè alle Giornate mondiali della gioventù?

 

R. – Viviamo la stessa ricerca di come aiutare le giovani generazioni a trovare un senso della loro vita in Cristo.

 

D. – Qual è la continuità con il futuro, invece? Cosa cambia rispetto al passato?

 

R. – Io sottolineerei piuttosto la continuità, perché Frere Roger aveva 90 anni e quest’anno aveva parlato di passare la direzione della comunità a Fr. Alois. Si sapeva già che questa transizione doveva avere luogo. Dobbiamo cercare di capire meglio qual è stata la vita e il messaggio di Frere Roger e come possiamo adattare la nostra vita alle nuove sfide che verranno.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina l’articolo di Marco Impagliazzo: “Dio non è fuori moda. I giovani a Colonia entusiasmati dal formidabile compito affidato loro da Benedetto XVI”. Infanzia: undici milioni di bambini uccisi ogni anno dalla miseria: un rapporto presentato a Ginevra dall’OMS conferma una sostanziale assenza di progressi nella lotta alla fame e alle malattie

 

Servizio vaticano – L’incontro di Benedetto XVI con i presuli della Conferenza episcopale tedesca e il discorso prima della partenza dall’aeroporto internazionale

 

Servizio estero – Iraq: Costituzione: ancora rinviato il voto del Parlamento. Maltempo: le piogge torrenziali causano vittime e gravi disagi in molti Paesi d’Europa. Medio Oriente: imminente vertice tra Sharon e Abu Mazen per rilanciare il processo di pace

 

Servizio culturale – Un articolo di Giovanni Marchi sui soggiorni romani di Paul Claudel

 

Servizio italiano – Finanziaria: si annuncia una manovra da 17,5 miliardi di euro. Politica: ad animare il dibattito il “grande centro”. I lavori del XXVI Meeting per l’amicizia fra i popoli.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

23 agosto 2005

 

 

IN IRAQ RAGGIUNTA UN’INTESA SULLA NUOVA COSTITUZIONE.

ENTRO GIOVEDÌ PROSSIMO IL PARLAMENTO SARÀ CHIAMATO

AD APPROVARE IL TESTO COSTITUZIONALE

- Intervista con Alberto Negri -

 

L’Iraq sarà uno “Stato repubblicano, parlamentare, democratico e federale”: è quanto si legge nella bozza della nuova Costituzione che dovrà essere presentata, entro tre giorni, al Parlamento. Il testo, nel quale l’Islam viene riconosciuto come la fonte principale del nuovo ordinamento legislativo, ha ricevuto l’approvazione da parte di sciiti e curdi. La minoranza sunnita si è opposta, invece, all’approvazione del testo e più di duemila sunniti sono scesi in piazza, ad Al Dur, per manifestare contro la Costituzione irachena. Ascoltiamo il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Il Parlamento iracheno ha deciso di posticipare di altri tre giorni la votazione sulla nuova Costituzione. L’ulteriore rinvio è stato chiesto per cercare di convincere la componente sunnita ad aderire al nuovo modello federale. Il processo federalista, chiesto dai curdi e sostenuto dagli sciiti, è considerato dai sunniti l’anticamera per la frantumazione del Paese. I sunniti temono, in particolare, che i proventi delle vendite del petrolio, risorsa disponibile soprattutto nel sud sciita e nel nord curdo, non vengano distribuite equamente. Anche la scelta di adottare l’Islam come principale fonte del diritto, trova una forte opposizione da parte dei sunniti. Ma l’intesa, raggiunta grazie all’accordo tra curdi e sciiti, non sembra ammettere sorprese: il testo è stato ormai ultimato e ed è stato consegnato ai deputati. A questo punto, l’approvazione della bozza costituzionale da parte dell’Assemblea appare una formalità. Le liste sciite, religiose o laiche, hanno insieme 180 dei 275 seggi e i curdi 75. I sunniti, che rappresentano circa il 20 per cento della popolazione, hanno invece meno di dieci seggi. Dopo l’approvazione da parte del Parlamento, la Costituzione sarà poi sottoposta a referendum popolare il prossimo 15 ottobre. In questo caso l’esito della consultazione è meno scontato: in base alla Costituzione provvisoria è infatti sufficiente il voto contrario di due terzi degli elettori di tre delle 18 province del Paese per bocciare la nuova legge fondamentale.

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La nuova Costituzione definisce dunque l’Iraq uno Stato federale ma non precisa nel dettaglio il nuovo modello federalista, auspicato da curdi e sciiti. Sul significato di questo assetto nel nuovo disegno Costituzionale, ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco, l’inviato speciale del Sole 24 Ore, Alberto Negri:

 

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R. – Certamente al centro di questo testo fondamentale c’è il federalismo, che dovrebbe consentire ai curdi di ritagliarsi un’ampia autonomia. Nei progetti dei curdi, questa autonomia potrebbe prevedere, un giorno, la secessione e l’indipendenza. Per quanto riguarda le regioni meridionali sciite, è stata prevista un’ampia autonomia anche per loro in quell’area, il sud iracheno, dove si trovano gran parte delle ricchezze petrolifere. A questo scenario si sono opposti la maggioranza dei rappresentanti sunniti che, data la collocazione geografica dei pozzi di petrolio, si trovano ai margini di una struttura federale favorevole a curdi e sciiti.

 

D. – Il testo prevede un Iraq federale, nel quale l’islam sarà la principale fonte del diritto. Ma quali scenari apre, per il Medio Oriente, questo assetto politico del nuovo Iraq?

 

R. – Bisognerà vedere come la Costituzione verrà applicata. Bisognerà capire come verrà realizzata, per esempio, la legislazione, in conformità alla legge islamica, la sharia. Questo sarà determinante. Come sarà determinante anche vedere se questa Costituzione, verrà poi applicata realmente anche nelle sue parti che riguardano il federalismo. Bisognerà poi aspettare il referendum popolare del 15 ottobre.

 

D. – Il referendum del prossimo 15 ottobre non sembra avere un esito scontato…

 

R. – Non ha un esito scontato, ma soprattutto non è per niente scontato tutto questo processo costituzionale, un processo che è stato praticamente imposto dalla precedente amministrazione americana, guidata del “proconsole” Paul Bremer. Questo processo si è comunque sviluppato in una situazione, in un’atmosfera difficile. Ci troviamo in una zona di guerra, in un Paese che è sempre sull’orlo di un conflitto civile. Tutto, anche il processo di elaborazione della Carta costituzionale, sembra che abbia ulteriormente diviso le varie componenti irachene.

 

D. – A proposito di componenti, la minoranza sunnita è destinata ad avere un ruolo sempre più marginale nel futuro Iraq? 

 

R. – La minoranza sunnita, quella che ha tradizionalmente detenuto il potere negli ultimi 40-50 anni nel Paese, ha comunque un ruolo: è comunque la componente che in gran parte sostiene la guerriglia e il terrorismo. Quindi, bisognerà vedere se questa Costituzione riuscirà a soddisfare le richieste sunnite.

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AL MEETING DI RIMINI, L’ECO DELLE PAROLE DEL SUCCESSORE DI MONS. GIUSSANI,

JULIAN CARRON: “E’ LA DIPENDENZA DA DIO LA LIBERTÀ DELL’UOMO”

 

La Cooperazione italiana allo sviluppo protagonista, oggi, alla terza giornata del Meeting di Comunione e Liberazione in corso a Rimini. Ieri, pomeriggio, grande emozione per l’intervento di don Julian Carron, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, che ha raccolto l’eredità del compianto don Luigi Giussani, fondatore del movimento. Il servizio di Luca Collodi:

 

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L’ingresso di don Julian Carron al Meeting, il successore di mons. Giussani alla guida di Comunione e Liberazione, è stato salutato da 10.000 giovani e dieci minuti da applausi. Oggi, ha detto Carron, si assiste al paradosso dell’assenza di libertà proprio quando tutti la cercano e la vogliono. Il rifiuto di Dio, prosegue don Carron, non avviene infatti senza conseguenze per la libertà umana e senza il mistero di Dio, l’uomo resta in balia di tutte le forze del potere e delle ideologie che sono in campo, schiavo e insoddisfatto di ogni circostanza. Citando mons. Giussani, don Carron ricorda che ciò a cui l’uomo tende, è trascendente. Il fatto che Dio, come la persona amata, sveli il suo volto e si faccia incontrare, rende storicamente possibile l’esperienza della libertà.

 

L’Europa è tornata poi tra i temi del Meeting con il presidente del Partito popolare europeo, Hans Pöttering, e l’ex premier spagnolo Aznar, a confronto sulla crisi del Vecchio continente. Per Aznar, il terrorismo islamico, il calo demografico, la mancanza dei valori, il falso multiculturalismo, sono alcune tra le cause della crisi dell’unione.

 

Lotta al relativismo, politiche per la sicurezza, maggior controllo dell’immigrazione, tutela della famiglia ed economia di mercato, sono le ricette per superare questa crisi, che per Pöttering ha bisogno di una sferzata nuova che può essere data solo dai valori cristiani.

 

Mons. Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace -  ospite del meeting - ha affrontato il problema della gestione dell’acqua da parte dei privati sottolineando che la Chiesa non è contro il libero mercato ma chiede che venga regolato da norme etico-culturali, e giuridiche, per evitare che l’acqua sia la causa di conflitti e violenze specie nei Paesi del Terzo Mondo. Stasera sarà al Meeting di Rimini, il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, per parlare della dottrina sociale della Chiesa in rapporto all’uomo moderno.

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IN CORSO AD ASSISI IL 63.MO CORSO INTERNAZIONALE DI STUDI CRISTIANI

SUL TEMA “LA SALVEZZA, GRANDE DOMANDA MUTA?”

- Con noi mons. Lorenzo Chiarinelli e Stefano Zamagni -

 

“La salvezza, grande domanda muta?” è il tema sul quale verte il 63.mo Corso internazionale di Studi cristiani, al via ad Assisi da domenica 21 agosto. Obiettivo: esplorare agenti e strumenti di salvezza, in un momento storico attraversato da attacchi terroristici e disastri ambientali, e caratterizzato da una diffusa mancanza di certezze. Presenti personalità religiose, ricercatori, politici, docenti universitari. Al microfono di Dorotea Gambardella, il vescovo di Viterbo, Lorenzo Chiarinelli, spiega l’esigenza di un dibattito sulla Salvezza:

 

 

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R. - L’esistenza umana è segnata dalla precarietà. Questa precarietà porta delle domande: quale ne sarà l’esito? Come liberarsene? Allora ecco che nasce consapevolezza che può diventare bisogno e può diventare invocazione. Nel convegno c’è un sottotitolo preso dal libro di Giobbe: “Preme lo spirito che è in me”. Dentro di noi, lo spirito preme per avere risposta a domande che forse sono già a priori nella nostra realtà, oltre che determinate dai dinamismi di questo nostro oggi. Il che vuol dire che è connaturato, non è un fatto solo congiunturale quello di anelare chiamando una salvezza.

 

D. – Eccellenza, quali sono gli argomenti al centro di questo ciclo di incontri e da che cosa bisogna salvarci?

 

R. – I problemi che riguardano la felicità delle persone, l’ambiente, le relazioni con gli altri, l’economia, la politica, il rapporto fra le diverse religioni.

 

D. – E in questo contesto come si inserisce la fede?

 

R. – Il cristianesimo è essenzialmente salvezza. Noi crediamo in Gesù e Gesù vuol dire Gesù che salva. Come questo entri nella vita delle persone, bisogna riesplorare il rapporto tra l’uomo e se stesso. Se l’uomo sente che il suo orizzonte è chiuso dentro la realtà dello spazio e del tempo, non è in grado di aprirsi alla ulteriorità. Occorre questo cambiamento profondo in cui lo spirito umano si dischiude per sentire il dono che viene dall’alto e che per noi è la salvezza.

 

Durante il ciclo di incontri, l’attenzione è puntata anche sul ruolo dell’economia come strumento per perseguire la salvezza. Sentiamo in proposito una riflessione dell’economista Stefano Zamagni:

 

R. – In questo momento storico, la vera sfida non è tanto legata alle condizioni materiali dell’esistenza. La battaglia, oggi, è essenzialmente culturale, dove culturale vuol dire rimettere al centro del discorso economico, l’uomo con le sue caratteristiche fondamentali. Se invece, presi da impulsi neo-utilitaristici, riteniamo che il benessere consista solo nell’aumentare la produzione delle cose, ci illudiamo, perché oggi la vera scarsità è nelle relazioni, cioè la nostra incapacità di relazionarci agli altri uomini e di riconoscerci in essi.

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CHIESA E SOCIETA’

23 agosto 2005
 

 

“IL FUTURO DELLA DEMOCRAZIA IN EUROPA”. È IL TEMA DEL CONGRESSO

ORGANIZZATO DALLA COMPAGNIA DI GESÙ A VIENNA CHE COINVOLGE I RELIGIOSI

IMPEGNATI IN ATTIVITÀ DI RICERCA SUI TEMI DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

 

VIENNA. = La crisi della democrazia europea al centro del dibattito in un congresso a Vienna organizzato dalla Compagnia di Gesù. Tema dell’incontro, che si concluderà il 29 agosto, “Il futuro della democrazia in Europa”. Il convegno è curato dal Gruppo “Eurojess”, organismo che riunisce i gesuiti impegnati, nei centri sociali della Compagnia, in attività di ricerca e di approfondimento della dottrina sociale della Chiesa. L’iniziativa prende spunto dalla constatazione degli evidenti segni di crisi della democrazia europea, come la scarsa partecipazione a recenti convocazioni elettorali, la mancanza di fiducia generalizzata nel mondo politico e il cosiddetto “deficit democratico”. La riflessione si inserisce nel progetto di una rete che la Compagnia di Gesù intende attivare a livello internazionale per il coordinamento di tutte le attività che interessano la dottrina sociale della Chiesa. A complemento delle relazioni verranno presentate testimonianze sul lavoro dei gesuiti per la promozione di una cultura autenticamente democratica. (T.C.)

 

 

“RICORDARE SEMPRE E IMPEDIRE CHE ACCADA DI NUOVO”. QUESTO IL DUPLICE

OBIETTIVO DELLA “GIORNATA INTERNAZIONALE per la commemorazione della tratta schiavista e della sua abolizione” PROMOSSA DALL’UNESCO IN MEMORIA DELL’INSURREZIONE DEGLI SCHIAVI AVVENUTA A SANTO DOMINGO NEL 1791

- A cura di Rita Anaclerio -

 

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SANTO DOMINGO. = Per guerra o per nascita, per povertà o per casta, sotto la minaccia delle armi o al chiuso di una cella, nel mondo della globalizzazione: secondo un rapporto sulla schiavitù dell'Ufficio Internazionale del Lavoro (ILO), sono oltre 12 milioni gli schiavi che abitano la Terra. Ricordare sempre una realtà per troppo tempo occultata ed attribuirle la necessaria e giusta collocazione nella coscienza degli uomini è l’obiettivo della “Giornata internazionale per la commemorazione della tratta schiavista e della sua abolizione”. L’iniziativa, sotto l'egida dell'UNESCO, viene osservata nell’anniversario dell’insurrezione degli schiavi avvenuta a Santo Domingo nella notte tra il 22 e il 23 agosto 1791, evento che ebbe un ruolo cruciale nell'abolizione della tratta transatlantica. La “Giornata”, infatti, commemora l’abolizione di una tra le più grandi tragedie della storia dell’umanità che rappresenta anche una ferita del nostro tempo. Con il fiorire di nuove rotte migratorie il fenomeno della schiavitù continua, infatti, ad essere presente nelle società attuali in molteplici e tragiche tipologie, quali lo sfruttamento sessuale e lavorativo e l’impiego di bambini soldato in azioni di guerra. Un esempio: a Myanmar, l'ex Birmania, uomini, donne, soprattutto bambini sono ridotti a mero strumento di profitto, in una fabbrica globale che rende 25 miliardi di euro ogni anno. E da questa piaga non c’è continente che possa dirsi esente. A quanto riporta il rapporto dell'Ufficio Internazionale del Lavoro sono circa 360mila schiavi nei Paesi industrializzati e 210mila in quelli con un’economia di transizione. E per questo in tutto il mondo, in occasione della “Giornata internazionale per la commemorazione della tratta schiavista e della sua abolizione” si sono organizzate una serie di manifestazioni per ribadire ancora una volta: “Mai più”.

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ROTTO IL MONOPOLIO delle multinazionali nella produzione di prodotti

farmaceutici contro l’AIDS. RAGGIUNTO UN ACCORDO TRA ARGENTINA E BRASILE PER LA PRODUZIONE DI FARMACI GENERICI

 

Buenos Aires. = Asse Argentina – Brasile: grazie a un accordo sottoscritto dai rispettivi governi, per la prima volta i due Paesi produrranno congiuntamente medicinali generici destinati a combattere l’HIV/AIDS e altre malattie come leishmaniosi, lebbra e tubercolosi. L’iniziativa, a quanto riferisce l’agenzia missionaria MISNA, rappresenta uno dei passi più avanzati nell’ambito del Mercosur (Mercato Comune del Cono Sud) che permetterà a Buenos Aires e Brasilia di rompere il monopolio delle multinazionali nella produzione e vendita di prodotti farmaceutici contro le pandemie e di mettere in commercio medicinali a un prezzo più basso e accessibile di quelli attualmente disponibili, soprattutto per quanto concerne gli antiretrovirali utilizzati per il trattamento di Hiv e Aids. Argentina e Brasile, quindi, hanno raggiunto l’accordo con la firma di un protocollo d’intesa da parte dei due ministri della Sanità, l’argentino Ginés González García e il brasiliano José Saraiva Felipe. Il risparmio sarà innanzitutto per i governi che in questo modo potranno investire i fondi eccedenti per ampliare la rosa dei pazienti sotto cura. Infatti, secondo i dati del dicastero della Salute argentino, per assicurare le cure a 29.600 malati di HIV (meno di un quarto dei 130.000 malati totali del Paese) ogni anno il ministero deve sborsare 19,5 milioni di dollari, che in Brasile diventano 123 milioni, visto che i malati sotto trattamento sono 161.000 (su 660.000 aventi bisogno). (R.A.)

 

 

“SOLO CON L’AMORE POSSIAMO SALVARE I MAREROS”. COSI’ L’ARCIVESCOVO DEL

SALVADOR HA PRESENTATO I NUOVI CORSI DI AVVIAMENTO AL LAVORO PER I GIOVANI CHE FANNO PARTE DELLE BANDE CRIMINALI diffuse in tutto il Centroamerica

 

EL SALVADOR. = Il 2004 è stato il più violento degli ultimi cinque anni in Salvador, con un totale di 2.762 omicidi, pari a sette al giorno, nonostante il lancio di due piani governativi anti-criminalità contro le bande criminali, le cosiddette “maras”. Con questi dati allarmanti alla mano, l’arcivescovo di San Salvador mons. Fernando Sáenz ha deciso di promuovere corsi di avviamento al lavoro per i ‘mareros’ o ‘pandilleros’, i membri dei gruppi criminali giovanili diffusi in tutto il Centroamerica. Nella prima parte del 2005 la situazione appare ancora più grave: nei primi sei mesi dell’anno gli assassinii sono stati 1.700. “Di fronte a notizie di terribili violenze alcune organizzazioni ecclesiali hanno trovato una soluzione che sembra funzionare: formare i membri di un’intera “mara” per farli entrare nel mercato del lavoro”, ha detto il presule. Mons. Sáenz ha quindi citato l’iniziativa della parrocchia Calle Real a Ciudad Delgado, nella periferia settentrionale della capitale, che ha già sperimentato con successo il reinserimento nella vita sociale di una banda. “Dai risultati ottenuti credo che sia una formula valida. Solo con l’amore e con una prospettiva positiva, come quella di aspirare a un mestiere - ha concluso l’arcivescovo - questi giovani potranno guadagnarsi con le loro mani il necessario per vivere”. (R.A.)

 

 

NASCE A MOSCA UN centro studi SULL’emigrazione russa costretta all'esilio dopo la rivoluzione bolscevica. LA CREAZIONE DI QUESTO PREZIOSO ARCHIVIO

E’ STATA PROMOSSA DAL PREMIO NOBEL SOLZHENITSYN

 

MOSCA. = Un prezioso centro studi destinato a rimpatriare e a raccogliere numerosi documenti sull’emigrazione russa costretta all’esilio dopo la rivoluzione bolscevica. Restituire il posto che le spetta nella storia e nella cultura di un Paese dopo gli anatemi e le censure dell’era sovietica: è questo il significato di una iniziativa promossa e appena completata sotto il patrocinio di Aleksandr Isaievic Solzhenitsyn, premio Nobel della letteratura. L’archivio è stato finanziato in larga parte con i diritti di “Arcipelago Gulag”, monumento storico-letterario alla memoria delle vittime del comunismo e pietra miliare dell’opera di Aleksandr Isaievic. Il centro studi, fornito di sistemi tecnologici di catalogazione e consultazione all’avanguardia, occupa un intero edificio costruito ad hoc vicino a piazza Tanganskaia, nel cuore della capitale russa. “Aleksandr prese ad organizzare quest’idea negli anni in cui fu mandato in esilio dal regime sovietico”, ha spiegato Natalia Solzhenitsyn, moglie del premio Nobel, ricordando come fin da allora egli avesse rivolto un appello alle personalità dell’emigrazione e ai loro eredi e cominciato a riunire materiale di archivio d’ogni tipo: lettere, testi inediti, memorie, immagini e documenti vari. Un patrimonio che il nuovo centro studi – progettato nel 1995, subito dopo il ritorno in patria di Solzhenitsyn – mette adesso a disposizione di tutti i ricercatori e dei russi in genere. Tra le carte di maggiore interesse, la raccolta comprende gli archivi del granduca Nikolai Nikolaievic Romanov, zio dell’ultimo zar e comandante delle truppe russe nella Prima Guerra Mondiale; l’epistolario dello scrittore e Premio Nobel Ivan Bunin, nonché lasciti di letterati e intellettuali quali Dmitri Merezhkovski, Marina Cvetaeva, Piotr Struve. Non mancano spartiti del cantante lirico Fiodor Shaliapin, leggendario basso d’inizio ‘900, o progetti originali di Igor Sikorski, pioniere degli elicotteri e padre nobile dell’aeronautica russa. (R.A.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

23 agosto 2005

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco e Andrea Cocco -

 

Il presidente palestinese, Abu Mazen, ha telefonato stamani al capo di Stato israeliano, Moshé Katzav, congratulandosi per il completamento del ritiro dalla Striscia di Gaza e prospettando un incontro teso a rilanciare il processo di pace. Ora, il piano di ritiro prosegue in Cisgiordania, dove l’esercito israeliano sta sgomberando le colonie di Sa-Nur e Homesh. Gli altri due insediamenti rimasti nell’area sono stati abbandonati spontaneamente. La cronaca di queste ore, nel nostro servizio:

 

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Lo sgombero di Sa nur e Homesh, ritenute le colonie più radicali di tutta la Cisgiordania, è l’ultimo ostacolo al completamento del piano unilaterale del ritiro. Per portare a termine l’operazione, i militari si sono addestrati per mesi. E questa mattina migliaia di soldati sono entrati contemporaneamente nei due insediamenti, rimuovendo con buldozer i cancelli di ingresso e le barricate fatte di mobili, letti e materiali di scarto. Nonostante i timori, la resistenza dei coloni e dei quasi 2000 sostenitori di destra infiltratisi in queste settimane, non ha prodotto episodi di particolare violenza. A Sanur, gli ultimi oltranzisti asserragliati in una ex stazione di polizia sono stati portati fuori e caricati sugli autobus, dopo lo sgombero della sinagoga. Il piano di ritiro non cessa però di produrre lacerazioni nel resto dello Stato ebraico. Ieri, in una seduta della Knesset, il parlamento israeliano, la destra ha scagliato violente accuse contro il premier israeliano definito bugiardo e corrotto. “Gli ebrei - ha detto un esponente del sionismo religioso - ricorderanno la distruzione che hai seminato nel Paese”. La risposta di Sharon non si è fatta attendere. In un’intervista al quotidiano “Jerusalem Post”, il premier ha difeso la scelta di lasciare Gaza, assicurando che il resto degli insediamenti in Cisgiordania sarà invece mantenuto e rafforzato. Intanto, almeno tre palestinesi sono rimasti feriti nella zona teatro delle operazioni di sgombero, in seguito ad una sparatoria con soldati israeliani.

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Il gruppo di Abu Musab al-Zarqawi, il capo di al Qaeda in Iraq, ha rivendicato su un sito internet l’attacco perpetrato venerdì scorso con razzi katyusha contro due navi statunitensi nel porto di Aqaba, in Giordania. I razzi, che avevano mancato le due navi, avevano provocato l’uccisione di un militare giordano.

 

La minaccia del terrorismo preoccupa l’Australia. Per questo motivo, il premier Howard ha ricevuto stamattina, a Canberra, i rappresentanti delle principali comunità islamiche del Paese, chiedendo loro di impegnarsi a fondo per controllare l’estremismo. Al termine dell’incontro, è stata firmata una dichiarazione comune.

 

La polizia britannica presenterà entro la fine dell'anno un rapporto sulle circostanze che hanno portato all’uccisione da parte di agenti delle squadre speciali antiterrorismo del cittadino brasiliano Jean Charles de Menezes nella metropolitana di Stockwell all’indomani degli attentati di Londra del 21 luglio. Il legale della famiglia di Menezes ha espresso la propria soddisfazione per l’impegno preso della polizia britannica. “La priorità per la famiglia è di capire cosa sia successo e chi sia il responsabile”, ha dichiarato l’avvocato.

 

In Portogallo, sono almeno 30 i focolai di incendio, soprattutto nel centro del Paese, che stanno distruggendo centinaia di ettari di bosco e di verde. Lisbona ha chiesto all’Unione Europea di sbloccare gli aiuti per far fronte alla situazione. Intanto, già 8 Canadair ed elicotteri sono stati inviati in Portogallo da Francia, Spagna, Italia e Germania, altri due sono in arrivo dall’Olanda. È il terzo anno consecutivo che il Portogallo è alle prese con il problema dei roghi. Sull’entità e sui motivi del ripetersi di questa emergenza, Giancarlo La Vella ha sentito Riccardo Carucci, giornalista a Lisbona:

 

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R. – Sono andati distrutti per lo meno 150 mila ettari quest’anno. Quindi, già si è superato ampiamente il livello di distruzione del 2004 e ci si avvicina rapidamente al livello del 2003, che fu considerato un anno tragico. Si può parlare sia di dolo, sia di incuria. Esiste poi il problema della pulizia dei boschi. Si può parlare di una colpa collettiva, sia del governo attuale sia dei predecessori, nell’imporre determinate regole, nell’egoismo dei proprietari dei terreni boschivi, e così via. Quindi, le colpe ci sono. Ogni estate c’è il mea culpa delle perdite non solo economiche, ma anche umane: finora ci sono stati, complessivamente, almeno 13 morti.

 

D. – Alcuni Paesi europei già si sono mossi in aiuto di Lisbona. Tuttavia la macchina della solidarietà dell’Unione fatica a mettersi in moto. Per quale motivo?

 

R. – Il Portogallo non aveva insistito per avere un aiuto tecnico. Il Paese sta attraversando un periodo di grave siccità, che favorisce gli incendi, perché tutto è più secco e più arido. Questa situazione impone un uso di una maggiore quantità di acqua per spegnere un incendio. Si riducono così le già precarie capacità idriche del Paese. L’economia portoghese rischia di subire gravi danni a causa di questi due fenomeni uniti: siccità e incendi.

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L’emergenza degli incendi boschivi colpisce anche la Francia: almeno 650 vigili del fuoco sono stati impegnati, la scorsa notte, nei Pirenei francesi, per delimitare un vasto rogo con diversi fronti. Le fiamme, complice il vento, hanno distrutto finora almeno 1.400 ettari di vegetazione.

 

Prosegue l’allarme maltempo in Svizzera, dove durante la notte centinaia di persone sono state fatte evacuare per le inondazioni che hanno colpito le regioni centrali. Il Paese è teatro, da sabato scorso, di incessanti piogge.

 

Timidi segnali di dialogo in Ecuador, dopo le violente proteste di questi giorni. Nella capitale, Quito, sono iniziate ieri le trattative tra i vertici delle compagnie petrolifere e i leader della rivolta che la settimana scorsa avevano bloccato la produzione di greggio del Paese sudamericano. Ce ne parla Maurizio Salvi:

 

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Pur se le delegazioni di governo, compagnie multinazionali e scioperanti continuano oggi a Quito il dialogo per cercare una via d’uscita alla crisi, la situazione rimane molto tesa nelle province petrolifere del nord dell’Ecuador. Le richieste dei manifestanti, che sono arrivati ad occupare 120 posti e a paralizzare produzione ed esportazione di greggio, sono radicali e prevedono fra l’altro l’annullamento del contratto della statunitense Occidental Petroleum. Inoltre, si chiede una modifica degli accordi presi con le altre compagnie che estraggono l’oro nero dall’Amazzonia ed un vasto programma di investimenti in infrastrutture e servizi delle province interessate. Ieri - va infine detto – il negoziato si è salvato a stento dalla rottura definitiva perché, mentre era in corso la prima riunione, l’esercito è intervenuto duramente nella provincia di Orellana, causando vari feriti.

 

Maurizio Salvi, ANSA, per la Radio Vaticana.

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Terza e ultima fase per le esercitazioni congiunte tra Russia e Cina. Iniziate 8 giorni fa a Vladivostok, nell’estremo oriente russo, le operazioni hanno visto un massiccio dispiegamento militare da parte delle due potenze con l’utilizzo di fanteria, aviazione e marina. Secondo diversi esperti l’esercitazione, la prima eseguita da Mosca e Pechino, costituisce una prova della nuova alleanza tra le due potenze e un messaggio nei confronti degli Stati Uniti, che entrambi i Paesi criticano per le tendenze egemoniche in politica internazionale.  

 

Nonostante l’avvio del processo di disarmo, nell’Irlanda del nord la tensione non si placa: bombe molotov e pietre sono state lanciate la scorsa notte a Belfast. Gli scontri, scoppiati fra giovani repubblicani ed unionisti, sono stati placati dall’intervento risolutivo della polizia.

 

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, è atterrato questa mattina in Niger dove valuterà le condizioni della popolazione, afflitta da una grave crisi alimentare. Ieri, proprio sul caso Niger, l’organizzazione umanitaria “Medici senza frontiere” ha accusato l’ONU di essere intervenuta tardivamente e in modo poco incisivo. “Nella distribuzione degli aiuti alimentari”, ha spiegato l’organizzazione non governativa in comunicato diffuso ieri, “non è stata data priorità alle persone che più hanno bisogno, perché a rischio sopravvivenza”.

 

Tragedia in India: un palazzo è crollato a Mumbay. Dieci persone sono morte e almeno 20 sono rimaste ferite. I vigili del fuoco impegnati sul luogo del crollo hanno salvato una cinquantina di persone, ma si ipotizza che sotto le macerie possano esserne rimaste intrappolate numerose altre. Il palazzo crollato, vecchio e in condizioni precarie, era abitato da 22 famiglie.

 

In Indonesia, continuano a produrre effetti positivi gli accordi di pace del 15 agosto: è iniziata la smobilitazione dei ribelli del GAM, il movimento che per quasi trent’anni si è battuto per l’indipendenza della provincia di Aceh. Almeno 60 guerriglieri hanno abbandonato le postazioni nascoste tra le montagne, annunciando di rinunciare alla lotta armata. L’operazione è stata avviata un giorno dopo il ritiro delle prime truppe governative.

 

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