RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
221 - Testo della trasmissione di martedì 9 agosto 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Il
calendario liturgico ricorda oggi Edith Stein
Inaugurato a
Pesaro, con “Bianca e Falliero”, il Rossini Opera
Festival
Rinvenuti in
Egitto i resti di un antico complesso monastico sotto l’eremo di Sant'Antonio
Interrogato in Italia, ma dagli uomini di Scotland Yard, l’etiope fermato per i falliti attacchi del 21 luglio a Londra.
9 agosto 2005
LA PROSSIMA
VISITA DI BENEDETTO XVI ALLA SINAGOGA DI COLONIA:
UN
GESTO CHE PRELUDE AD UN’ERA NUOVA,
DOPO I DRAMMI DEL NOVECENTO
-
Intervista con il prof. Giorgio Rumi e Gianluca Budano -
Tra una settimana
esatta inizierà a Colonia la 20.ma
Giornata mondiale della Gioventù e più di quattrocentomila giovani da duecento
Paesi del mondo si sono finora iscritti per prendere parte all’evento. Secondo
mons. Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio
Consiglio per i Laici, questa cifra costituisce un record nella storia delle Giornate Mondiali
della Gioventù: “Come è noto i giovani non amano le formalità e vengono in
molti di più di quanti si sono iscritti”. Tra gli appuntamenti che scandiranno
la visita di Benedetto XVI nella città tedesca, molto atteso
è quello che porterà il Papa a visitare l’antica sinagoga di Colonia.
L’incontro con la comunità ebraica locale, a 60 anni dalla fine della Seconda
guerra mondiale e dalla Shoah, si preannuncia come un
evento nell’evento. Al prof. Giorgio Rumi, docente di Storia contemporanea all’Università
statale di Milano, Alessandro De Carolis ha chiesto
se il gesto del Papa possa considerarsi un balzo in avanti della storia o più
semplicemente un segno figlio dei tempi:
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R. – Direi
che si tratta di un balzo in avanti della storia, senz’altro. Già nelle
ossature fondamentali dell’evento si capisce la sua eccezionalità. Un Papa
tedesco in una sinagoga, dopo quello che è successo e
che, secondo me, pesa anche troppo sulla vita e sulla coscienza tedesca.
Abbiamo bisogno di una Germania libera da incubi. Io
vedo nel viaggio del Papa, oltre agli ovvii
significati religiosi, anche significati civili. Non è un andare a Canossa, per
paradosso: si tratta invece di un gesto buono, santo, utile e da europeo non
posso che compiacermene.
D. – Si è disquisito a lungo e
giustamente sulla visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma nell’86. Con il suo prossimo gesto, così carico di
simbolismi come lei ricordava, Benedetto XVI si accinge a raccoglierne
l’eredità, ma forse anche a superarla in qualche modo…
R. – Sì. La visita di Roma aveva
un grandissimo significato, proprio perché Roma dal punto di vista religioso è quella che tutti noi conosciamo. C’è poi
anche una storia domestica: a Roma gli ebrei, fino alle tragiche vicende del
’43, in una situazione migliore che non altrove: il governo pontificio, dunque,
non era così “malvagio” come certi invece dipingono. Certamente, la loro
non era una situazione ideale. Giovanni Paolo II,
facendo un viaggio di poche centinaia di metri, ha rotto questa specie di cappa
che gravava sulle nostre coscienze. La visita di Benedetto XVI, in sostanza,
allarga l’orizzonte al mondo. La Chiesa va in sinagoga e questo chiude una
dolorosa storia e ne apre una nuova, che rappresenta
un balzo della storia.
D. – Dall’Olocausto ad oggi, si
sono succeduti sei pontificati, compreso l’attuale appena agli inizi e quello
brevissimo di Papa Luciani. Come valuta l’occhio
dello storico l’evoluzione dei rapporti tra cattolicesimo ed ebraismo in questo arco di tempo?
R. – Lei ha fatto bene a parlare
di cattolicesimo ed ebraismo. Si è passati da quella specie di maledizione o di
deprecazione degli ebrei ad una condizione di
fraternità, anzi una specie addirittura di ‘maggiorasco’, di maggiore dignità
del fratello maggiore ebreo. Il cammino è stato, quindi, lungo ed importante.
In questo caso, è tutta la cattolicità che ritrova un nuovo dialogo con questi
fratelli maggiori.
D. – E questo grazie anche -
possiamo dire - al Concilio Vaticano II e quindi ai due grandi Papi di quel
periodo, e cioè Giovanni XXIII e Paolo VI…
R. – Naturalmente. Non dobbiamo
dimenticare che Papa Montini era il sostituto in
Segreteria di Stato dal ’37, se non sbaglio, e quindi gli anni chiave della
guerra li ha vissuti sulla sua pelle. Giovanni XXIII aveva visto gli ebrei dal
suo osservatorio, soprattutto quello di Costantinopoli, e poi dalla Francia, dove c’era stato il trauma di Vichy, che non fu certo una cosa da poco. I due Papi che
lei ha citato hanno davvero fatto molto ed è bene ricordarlo.
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Tra
i gruppi in partenza per Colonia, anche quello delle ACLI, Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani. Sull’attesa
per questa GMG, Massimiliano Menichetti ha
intervistato Gianluca Budano, presidente di GA, i
giovani delle ACLI:
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R. – C’è attesa per
due ordini di motivi: perché la GMG è sempre carica di emozioni
e perché poi è la prima GMG senza Giovanni Paolo II, che le GMG le ha lanciate
... Quindi, c’è questa carica emozionale nel vedere, nel vivere questo grande,
importante evento di condivisione con un nuovo Papa.
D. – La GMG è
un’occasione per incontrare Cristo vivente ...
R. – E’ un’occasione
per incontrarlo e per condividere il suo messaggio con tante altre migliaia di
giovani provenienti da tutto il mondo. E’ questa esperienza
di condivisione che è importante, che non può diventare però solo un
appuntamento occasionale, ma un sentire costante nella prassi quotidiana di
ognuno di noi.
D. – Quindi è un cammino, non un arrivo ...
R. – E’ un evento
all’interno di un percorso, un momento in cui ci si confronta, un momento in
cui ci si incontra. Si vive un percorso di
condivisione con altri giovani, quindi con altre tradizioni all’interno della
matrice cattolica che unisce la partecipazione di tutti i giovani a questo
grandissimo, importante evento ecclesiale.
D. – Che cosa vi aspettate di portare con voi al ritorno dalla
GMG?
R. – Auspichiamo e
preghiamo perché questo entusiasmo possa essere
rinnovato e perché da questo incontro – penso al nostro incontro dei giovani
lavoratori e sul tema del lavoro siamo impegnati tanto – possano nascere delle
idee. Da un lato, quindi, pensiamo di rinnovare, confermare un entusiasmo, ma
anche di creare delle condizioni perché poi questo entusiasmo
possa realizzarsi in azioni concrete, conoscendo l’esperienza di tanti altri
giovani come noi, credenti, che vogliono fare però anche un percorso di azione
sociale.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina
l'Iraq, dove imperversano attacchi ed agguati. Allarme della FAO: a rischio nel
Paese mediorientale la sicurezza alimentare.
Sempre in prima: 49 anni fa la tragedia di Marcinelle,
in Belgio, in cui morirono 262 minatori, 136 dei quali italiani.
Nelle vaticane, una pagina sulla prossima Giornata mondiale della
Gioventù a Colonia.
Una pagina dedicata al
cammino della Chiesa in Italia.
Nelle estere, Medio
Oriente: rapimenti e violenze nei Territori, le fazioni radicali sfidano
l'Autorità palestinese nell'imminenza del ritiro israeliano dalla Striscia di
Gaza.
Nella pagina culturale, un articolo di Susanna Paparatti
su una mostra - nella Basilica Palladiana di Vicenza - dedicata a cinquant'anni di scultura italiana
(1950-2000).
Nelle pagine italiane, in primo piano l'inchiesta sul disastro aereo
avvenuto sabato nel mare di Palermo.
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9 agosto 2005
SEIMILA PERSONE AL PARCO DELLA PACE DI
NAGASAKI
60 ANNI DOPO LA SECONDA BOMBA ATOMICA.
E TORNA NELLA CHIESA DI NAGASAKI,
LA STATUA
DELLA MADONNA TROVATA ALLORA TRA LE MACERIE
A tre giorni dalle celebrazioni di Hiroshima, il Giappone ricorda oggi il
60.mo
anniversario della seconda bomba atomica della storia, quella sganciata su
Nagasaki. Davanti alla folla giunta per la celebrazione, il sindaco di
Nagasaki ha ricordato la distruzione della città ad opera
della bomba statunitense, denunciando i ritardi nel processo di disarmo. Il
servizio di Andrea Cocco:
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Alle
11.02 in punto sono partite le sirene, i rintocchi di campana e poi il silenzio
ha avvolto le seimila persone radunate al Parco della Pace di Nagasaki. Un’ora indelebile nel ricordo del Giappone, che segna il momento
esatto in cui l’ordigno atomico, sganciato il 9 agosto del 1945, toccava il
suolo di questa città portuale abitata, tra l’altro, da oltre 40 mila
cattolici, radendola al suolo. Sono 140 mila le vittime causate
dall’esplosione e dalle radiazioni che continuano a produrre i loro drastici effetti. Eppure ancora
oggi rimangono oscuri i reali motivi che spinsero gli Stati Uniti a colpire un
Giappone, già piegato da Hiroshima. Un attacco necessario per
ottenere la resa dell’imperatore nipponico, secondo alcuni storici; mentre per
altri la decisione servì a sperimentare la potenza del plutonio.
Stamani, dopo il lancio di colombe e gli omaggi resi ai sopravvissuti,
l’attenzione è però tornata su preoccupazioni tutte attuali. Come quelle
sottolineate con parole forti dal sindaco di Nagasaki, che rivolgendosi al
popolo americano lo ha esortato a prendere posizione
contro la politica nucleare del presidente Bush. “Vi
sentite veramente più sicuri - ha detto il primo cittadino - con un governo che
ha 10 mila ordigni atomici, conduce test nucleari e studia la realizzazione di nuove armi atomiche miniaturizzate?”. A fargli eco, l’appello lanciato dal premier Koizumi
che si è detto pronto a rilanciare la campagna per l’abolizione delle armi
nucleari e la non proliferazione.
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A Urakami,
il sobborgo di Nagasaki colpito il 9 agosto del ’45, venne distrutta, tra
l’altro, la cattedrale. Tra i resti delle sue rovine, il prete giapponese Kaemon Noguchi trovò una scultura
lignea raffigurante la Vergine Maria. Ce ne parla Alessandra Pizzuto:
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(musica)
Dopo varie
vicende, solo oggi quella statua lignea raffigurante la Madonna è tornata
sull’altare della chiesa di Urakami
che è la più grande chiesa cattolica dell’Asia. Quando fu ritrovata le sue condizioni erano pessime, era bruciacchiata e il suo volto
aveva perso gli occhi, ma non era stata distrutta completamente dalla bomba.
Per conservarla il sacerdote giapponese, che l’aveva ritrovata con emozione,
decide di custodirla all’interno del convento dove viveva. Il cammino che l’ha
riportata è stato lungo e complicato: infatti nel ‘75
il prete cattolico consegna la scultura al prof. Katoka,
responsabile del Junshin Women’s
college, decide di esporla al museo della bomba atomica a Nagasaki. Nel 1998 un
signore giapponese, Yasuhiko Sata
visitando Nagasaki vede nel museo la scultura raffigurante la madonna e decide
che, essendo oggetto sacro, doveva uscire da quel luogo e tornare nella
cattedrale. Per raggiungere l’obiettivo, Sata crea
una fondazione a suo nome, con sede a Lucerna, con l’intento anche di
raccogliere fondi - attraverso una sottoscrizione ancora in corso - per far inserire la statua nell’elenco dei beni patrimonio
dell’umanità dell’UNESCO. Gli sforzi della fondazione sono stati finalmente
premiati: la statua della Madonna è finalmente tornata a
Urakami.
(musica)
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NUOVO
RAPPORTO D’INCHIESTA SULLO SCANDALO OIL FOR
FOOD
GETTA
OMBRE SUI VERTICI DELLE NAZIONI UNITE, A POCHE SETTIMANE
DALLA DISCUSSIONE SULLA RIFORMA DEL PALAZZO DI
VETRO
- Con
noi, il prof. Vittorio Emanuele Parsi -
Nuovi sviluppi
nello scandalo “Oil for
food”: un ex funzionario dell’ONU si è dichiarato ieri colpevole di avere
ricevuto tangenti per un valore di svariate migliaia. Lo ha reso
noto la procura federale di New York, precisando che Alexander
Yakovlev è il primo personaggio coinvolto nello
scandalo del programma umanitario per
l'Iraq ad essere incriminato. Intanto, prosegue l’inchiesta della commissione
interna alle Nazioni Unite, che ieri ha reso noto il
terzo rapporto dell’indagine. Emergono ombre anche sul segretario generale, Kofi Annan. Ce ne parla
Alessandro Gisotti:
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Giro di vite contro la corruzione
nelle Nazioni Unite: è quanto chiede Paul Voelker, presidente della commissione di inchiesta
sullo scandalo “Oil for food”. In una conferenza
stampa, tenuta ieri a New York, Voelker ha ribadito le accuse contro Benon Sevan, l’ex responsabile del programma umanitario per
l’Iraq. Il funzionario cipriota avrebbe intascato una tangente da 150 mila di
dollari. Sevan si è dimesso ieri dall’ONU, perdendo
così l’immunità diplomatica, e sarà ora sottoposto a processo penale. Dal canto
suo, Mark Malloch Brown, capo del personale del segretario generale dell'ONU, ha assicurato che la corruzione non sarà più
tollerata. “Questa organizzazione – ha detto Brown - ha bisogno di una profonda riforma della gestione”.
Tuttavia, proprio Kofi Annan
viene chiamato in causa dal rapporto: nella lista
degli inquisiti c’è suo figlio Kojo. Annan ha sempre negato di conoscere le attività del figlio,
ma una e-mail, di cui parla il documento pubblicato
ieri, proverebbe il contrario. E lo stesso Sevan,
nella lettera di addio
al Palazzo di Vetro, ha accusato Annan di averlo sacrificato come unico capro espiatorio
della spinosa vicenda.
********
Se, dunque, i vertici delle Nazioni Unite sono alle prese con lo
scandalo “Oil for Food”, si avvicina il momento della
discussione sulla riforma dell’ONU, in programma a settembre al Palazzo di
Vetro. Su questo passaggio cruciale per le Nazioni Unite, Alessandro Gisotti ha
intervistato il prof. Vittorio Emanuele Parsi, docente
di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano:
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R. – A settembre verrà reso noto nei dettagli il Rapporto conclusivo della
Commissione Voelker; settembre sarà anche il momento
in cui capi di Stato e di governo delle varie nazioni si riuniranno in
assemblea generale per discutere della riforma. Per cui, la concomitanza non
potrebbe essere peggiore.
D. – Secondo lei, si può dire che le Nazioni Unite, nonostante le gravi difficoltà, problemi
e “vizi” - se vogliamo - che le
accompagnano quasi dalla sua nascita, è però anche l’unico sistema possibile,
se pur riformabile?
R. – Ogni volta che pensiamo
all’ONU, dobbiamo ricordarci che a parte i casi di corruzione e di malcostume,
di malaffare, che purtroppo nell’amministrazione burocratica delle Nazioni
Unite non sono né una novità né un fatto isolato, a
parte ciò, però, da un punto di vista politico le Nazioni Unite sono quello che
gli Stati ne fanno. Così, quando gli Stati non si accordano, le Nazioni Unite non contano; quando gli Stati riescono ad accordarsi, le
Nazioni Unite riescono ad essere efficaci.
D. – Secondo lei, c’è comunque una necessità percepita non solo dall’opinione
pubblica ma anche dai governi di un sistema di relazioni internazionali
centralizzate?
R. – Bè,
il fatto che debba esistere, che sia deprecabile che
cessi di esistere un’istituzione internazionale a livello globale come sono le
Nazioni Unite, direi che è un dato acquisito. Tutte le critiche che possiamo
muovere all’ONU soprattutto in questi ultimi 10-15 anni, nulla tolgono al fatto
che se le Nazioni Unite non ci fossero, dovremmo
inventarle. Da notare che neanche gli Stati Uniti, che sono stati negli ultimi decenni molto critici dell’opera dell’ONU,
hanno mai pensato di chiudere l’istituzione internazionale. Però, allo stesso
tempo è necessario che questa istituzione sia messa
nelle condizioni di funzionare e quindi che le critiche che devono essere mosse
siano mosse con la massima asprezza, quando è necessario.
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TERMINATA
LA MISSIONE DELLO SHUTTLE DISCOVERY,
ATTERRATO
IN CALIFORNIA DOPO NUMEROSI RINVII
PER PROBLEMI TECNICI E MALTEMPO
-
Intervista con Franco Malerba -
Si è conclusa
positivamente la missione dello shuttle Discovery,
che ha fatto ritorno, toccando terra sulla base aerea di Edwards,
nel deserto della California, alle ore 5.12 locali. Dopo le numerose difficoltà
dei giorni scorsi, quando l’Ente spaziale americano aveva dovuto rinviare più
volte il decollo e il rientro a terra dei sette astronauti dalla Stazione
spaziale orbitante, oggi la scelta del Centro controllo di Houston di spostare
la sede per il rientro dalla Florida alla California
per via del maltempo. Lo shuttle era stato lanciato il 26 luglio ed era rimasto
in orbita per oltre 13 giorni, due più di quanto inizialmente previsto.
Complessivamente, il Discovery ha coperto quasi 9,3
milioni di chilometri. Si è trattato della prima missione portata felicemente a
termine, dopo la tragedia del Columbia nel 2003. Ma qual è il bilancio della missione? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Franco Malerba che ha fatto parte
dell'equipaggio portato in orbita dallo shuttle Atlantis
nel 1992:
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R. – Purtroppo, questa missione
non si conclude con un successo totale; bisogna
tornare ancora ad analizzare questo rivestimento del serbatoio esterno perché
alcuni pezzi continuano a cadere. Ci sono naturalmente anche delle lezioni che
gli ingegneri hanno ricevuto per la progettazione delle future navi spaziali,
che non dovranno essere fatte come lo shuttle
per rendere assolutamente sicuro il volo dello shuttle stesso.
D. – Secondo lei, qual è il
significato strategico-politico di questa missione
all’interno dello scenario internazionale?
R. – C’è questo progetto
dell’Associazione spaziale internazionale che è diventato soprattutto un
progetto politico al quale tutti i Paesi industrialmente avanzati lavorano
assieme con l’obiettivo pacifico di conoscere meglio l’universo. La NASA, e
soprattutto l’amministrazione americana, ha deciso di mettere in cantiere un
sostituto dello shuttle: con questo si dovrebbe andare di nuovo sulla
luna e quindi poi poter prendere la strada per Marte, che ci interessa
molto perché Marte è un pianeta vivo, dove c’è una metereologia,
un clima e quindi qualcosa che assomiglia alla terra. Ci sono in gioco grandi aspettative, sia da parte dell’opinione pubblica, sia da
parte dell’industria, che spinge per avere legittimamene un ruolo nella sua
continua ricerca di competenze e di sfide. C’è anche, poi, una limitatezza
delle disponibilità finanziarie che tutti i governi devono mettere in conto.
D. – Guardando al futuro, qual è
il ruolo dell’Europa?
R. – Né l’Europa né alcuno dei
Paesi dell’Europa, in particolare la Francia, che più
ha investito e più sente come strategica questa presenza nello spazio, hanno
una competenza autonoma per poter mandare uomini nello spazio e riportarli a
terra. Se ne parla, ogni tanto, ma tutto questo per il
momento è solo nel libro delle ipotesi.
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DIRITTI
E SVILUPPO DELLE POPOLAZIONI AUTOCTONE:
AL
CENTRO DEL MESSAGGIO DI KOFI ANNAN PER
LA “GIORNATA INTERNAZIONALE DEGLI INDIGENI NEL
MONDO”
- Con
noi Mauro Di Vieste e Maria Rita Saulle -
“La
comunità internazionale deve adoperarsi per difendere i diritti delle popolazioni
autoctone e per sostenerne lo sviluppo, nel rispetto delle loro terre e delle loro tradizioni”. Così il segretario
generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, in occasione della “Giornata internazionale degli
Indigeni nel mondo”, che si celebra oggi. Una giornata istituita nel
1994 dall’Assemblea Generale dell’ONU che ha dato una definizione precisa di
‘indigeno’. Lo spiega nel servizio Dorotea Gambardella:
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Secondo
la Commissione per i Diritti umani delle Nazioni Unite, gli indigeni sono “coloro
che, avendo una continuità storica con le società precoloniali
sviluppatesi sui loro territori, si considerano distinti dagli altri settori
della società ora predominanti su quelle aree”. Nel mondo, sono circa 300
milioni le persone che rientrano in questa definizione. Popoli spesso vittima
di sfruttamento, repressione, discriminazione da parte degli Stati in cui risiedono. Proprio per porre l’attenzione sui loro diritti
negati, le Nazioni Unite hanno proclamato due decenni internazionali: il primo,
terminato l’anno scorso, il secondo che si concluderà
nel 2015. Obiettivo: rafforzare la cooperazione intergovernativa per risolvere
i problemi degli indigeni. Ma quali le loro
rivendicazioni? Mauro Di Vieste dell’Associazione per i Popoli Minacciati:
R. – Il diritto all’utilizzo delle proprie risorse, del proprio
territorio, che comporta di poter continuare con il proprio stile di vita. Il
problema è proprio lo sfruttamento di queste risorse. I popoli indigeni lo
sanno fare bene e probabilmente garantiranno che questo possa
avvenire per i secoli futuri. Il nostro sistema di sfruttamento, invece, questo
non lo garantisce.
D. – Che cosa sta facendo la comunità internazionale per poter
soddisfare questi bisogni?
R. – La situazione, in generale,
non è buona. I boshimani del Botswana
sono stati cacciati dalla loro riserva nel deserto del Kalahari,
proprio per consentire più agevolmente lo sfruttamento delle risorse in quell’area. E questo è più o meno
quello che sta succedendo un po’ dappertutto. La ratifica della Convenzione
ILO, l’Organizzazione internazionale del lavoro, no.
169, sarebbe il maggior strumento di diritto internazionale per la protezione
dei popoli indigeni.
D. – Una protezione che il
segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, sottolinea debba avvenire
nel rispetto della cultura e della lingua di queste comunità. Il commento di
Maria Rita Saulle, docente di diritto internazionale:
R. – Riconoscere i diritti di
queste popolazioni significa riconoscere loro quanto hanno avuto tramandato dai
loro avi. Tuttavia, c’è una necessità: che queste popolazioni apprendano in
ogni caso la lingua, per così dire, maggioritaria. Questo perché l’integrazione
implica che esse possano essere comprese da tutti e possano anche a loro volta
tendere il tessuto sociale, economico, giuridico e
culturale in cui esistono nel rispetto, ovviamente, delle loro proprie culture.
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CELEBRATI
DALL’ARCIVESCOVO DI BARI-BITONTO, FRANCESCO CACUCCI,
NEL
CAPOLUOGO PUGLIESE, I FUNERALI DEI CINQUE BARESI VITTIME
DELLA
TRAGEDIA
AEREA DI SABATO SCORSO A LARGO DI PALERMO
- Ai
nostri microfoni l’arcivescovo Francesco Cacucci -
Migliaia di persone hanno preso
parte stamani, nella cattedrale di San Sabino a Bari, capoluogo delle Puglie, ai funerali dei cinque baresi vittime
della tragedia aerea di sabato scorso a largo di Palermo. Le esequie sono state
celebrate dall’arcivescovo di Bari-Bitonto, Francesco
Cacucci, che nell’omelia ha ricordato: “Soltanto in Gesù crocifisso
abbiamo la risposta e solo nel dolore di Dio, cioè di Gesù crocifisso, abbiamo
la consolazione. Senza morte e senza dolore, non comprenderemmo il valore della
vita”. Ma ascoltiamo il presule stesso al microfono di
Luca Collodi.
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Gli angeli accompagnano queste
persone lungo il percorso della loro vita verso il Paradiso e accompagnano
anche, come consolatori, coloro che rimangono affranti dalla sofferenza. Ci
sono segni che devono essere discreti, in questi momenti, perché è ovvio che i
parenti, i congiunti, da un canto, desiderano la presenza, la vicinanza
affettuosa delle proprie comunità, d’altro canto è importante che siano
rispettati e siano trattati con discrezione. Io penso che quando poi
ritorneranno nelle loro parrocchie, come è normale per
la sensibilità del nostro popolo cristiano, saranno accompagnati in questi
primi giorni, dopo la tragedia. Ma è importante –
ripeto - accompagnare queste persone con discrezione ed affetto.
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9 agosto 2005
IL CALENDARIO
LITURGICO RICORDA OGGI EDITH STEIN. COMPATRONA D’EUROPA,
DA
CARMELITANA ASSUNSE IL NOME DI SANTA TERESA BENEDETTA DELLA
CROCE
- A
cura di Tiziana Campisi -
ROMA. = Ebrea, filosofa,
carmelitana, martire: Edith Stein, che la Chiesa
annovera fra i suoi santi, è colei che oggi insegna a percorrere cammini di
comunione in ambiti e a livelli diversi, ma in punti nodali dell'esperienza
umana, cristiana, ecclesiale, interreligiosa. Elevata all’onore degli altari
l’11 ottobre 1998 e proclamata compatrona d’Europa, l’anno dopo insieme con Santa Brigida di Svezia e a Santa Caterina da
Siena, si adoperò in particolare con scritti, lezioni e conferenze, a
promuovere il ruolo della donna nella società e nella Chiesa. Era solita dire:
“Il nostro tempo vuole donne che posseggono vera
cognizione della vita, prudenza, attitudini pratiche; donne moralmente solide
la cui vita sia incrollabilmente fondata in Dio”. Nasce a Breslavia
il 12 ottobre del 1891. Dimostrò presto un’intelligenza vivace, particolarmente
attratta dalla letteratura. Allevata nei valori della religione israelitica a 14 anni abbandona la fede dei padri e diviene
atea. Brillante negli studi secondari, inizia l’università
nella sua città natale, indirizzandosi verso la storia e la letteratura tedesca
per poi maturare l’interesse
per l’uomo che la induce a frequentare corsi di psicologia. Decisiva per la sua conversione al cattolicesimo, la vita di santa
Teresa d’Avila letta in una notte d’estate. È
il 1921. Edith racconta: "Presi casualmente un libro dalla biblioteca;
portava il titolo ‘Vita di santa Teresa narrata da lei stessa’.
Cominciai a leggere e non potei più lasciarlo finché non ebbi finito. Quando lo richiusi, mi dissi: questa è la verità”. L’aveva cercata
a lungo e l’aveva trovata nel mistero della croce; aveva scoperto che la verità
non è un’idea, un concetto, ma una persona. Il giorno dopo compra un messale e
un Catechismo romano, e dopo averli studiati chiede di essere battezzata. Viene accolta nella Chiesa il 1° gennaio 1922. Nel 1933 entra
come postulante al carmelo di Colonia. Cinque anni
dopo, per motivi di sicurezza, viene trasferita in
Olanda, ad Echt, dove la raggiunge anche la sorella
Rosa, convertitasi al cattolicesimo dopo la morte della madre. Con l’invasione
tedesca del 1940 anche l’Olanda non è più un rifugio sicuro per le due sorelle,
sebbene le autorità tedesche avessero assicurato che
non avrebbero incluso nella persecuzione gli ebrei cristiani, purché convertiti
prima dell’invasione. Il 26 luglio del 1942 i vescovi olandesi condannano in un
documento la persecuzione antisemita. La risposta tedesca è immediata: i
cattolici olandesi di origine ebrea, vengono
deportati, comprese le due sorelle Stein che morirono
ad Auschwitz il 9 agosto 1942. Nell'ambito filosofico
la carmelitana ha lasciato segni incancellabili di originalità
tentando di gettare un ponte tra la filosofia contemporanea e la tradizione
medievale espressa dalla filosofia di san Tommaso. Ha scritto: “Chi cerca la
verità cerca Dio senza saperlo”. E ancora: “Più che la ragione è la via della
fede che ci dà Dio, ma davanti al grande mistero della
libertà personale Dio stesso si arresta”. Attraversando invece la spiritualità
domenicana e benedettina e approdando alla mistica di santa Teresa d'Avila e di san Giovanni della
Croce, sintetizzò nell’esperienza della croce di Cristo il sacrificio e la
donazione per la salvezza del suo popolo.
Diritti violati in Nordcorea: IN UN RAPPORTO DELLA COMMISSIONE SUDCOREANA PER I DIRITTI UMANI
EMERGONO condanne a morte,
aborti forzati E ABUSI SUGLI ESULI
SEOUL. = Esecuzioni pubbliche, aborti forzati, morte
per fame: sono alcune fra le più comuni violazioni dei diritti umani nella
Corea del Nord. Lo ha
stabilito la Commissione nazionale per i diritti umani in Corea del Sud dopo
aver intervistato e raccolto materiale da circa 150 esuli nordcoreani
fuggiti al sud. Il rapporto è stato preparato da un gruppo dell’università Dongguk, guidato dal prof. Koh Yu-hwan. Il documento presenta una cruda immagine realtà nordcoreana. Almeno 75 dei testimoni intervistati hanno
assistito a pubbliche esecuzioni. La condanna a morte viene
inflitta per crimini che vanno dal furto di una mucca fino alla vendita di
materiale pornografico. Una rifugiata che ha tentato varie volte la fuga, prima
in Cina e poi nella Corea del Sud, testimonia che un’infermiera in un ospedale
ha fatto abortire una donna colpendola ripetutamente al ventre spiegando che
nella struttura sanitaria non ci sono medicine adeguate. Alcuni testimoni
raccontano poi della fame che soffre molta parte della popolazione; i morti si
trovano anche per strada, a fianco ai venditori di riso. Secondo organizzazioni
internazionali, negli ultimi anni in Corea del Nord, sono
morte almeno 2 milioni di persone per fame. La crisi alimentare è dovuta ad una serie di disastri naturali, come allagamenti
e siccità, e ad errori nella politica agricola della dittatura militare. A
causa di questi problemi, centinaia di nordcoreani
tentano di scappare in Cina o verso il sud. La Cina, a
sua volta, per evitare un flusso enorme di profughi, tende a far ritornare in
Nord Corea i fuggiaschi. I fuggitivi reimpatriati dalla Cina sono portati nei campi di concentramento di Musan e Chongjin e all’Ufficio
927 di Hysan. (T.C)
DA AOSTA
AL SENEGAL: SOLIDARIETÀ SENZA FRONTIERE PER IL CAMIONISTA AFRICANO CHE SABATO
SCORSO È MORTO IN UN INCIDENTE
COINVOLGENDO
UN’AUTO CON TRE GIOVANI
SAINT CHRISTOPHE. = “È un modo semplice per
esprimere la nostra solidarietà a chi abbandona il proprio Paese e la famiglia
per venire in Italia a darci una mano”. Sono le parole di Roberto Miozzi, di Saint Christophe, alle
porte di Aosta, che ha inviato poco più di 4.800 euro
per il rimpatrio della salma del camionista senegalese che la scorsa settimana
ha provocato un incidente nel genovese nel quale è morto suo figlio Luca, 19
anni. Un gesto spontaneo: una colletta tra amici e parenti
delle tre giovani vittime – oltre a Luca, anche Davide Donzel,
20 anni e Michel Val, di 19 – che al funerale hanno
voluto devolvere le offerte per garantire le spese di trasferimento in Senegal
della salma di Kebe Mamadou
Bamba, 46 anni. Il camionista africano,
residente da anni a Pontedera, in provincia di Pisa,
aveva speronato l’auto dei tre giovani valdostani spingendola giù da un
viadotto nei pressi di Voltri, non lontano da Genova.
Loro sono deceduti sul colpo dopo un volo di 80 metri, lui dissanguato per le
ferite. “Ci siamo trovati con un fratello del camionista e un imam di Pontedera al momento del
riconoscimento delle salme”, ha detto all’agenzia Misna Roberto Miozzi. “Questa
persona si è scusata, temeva che fossimo infuriati
solo perché l’autista del tir era un africano. In realtà il problema è un
altro: migliaia di immigrati in Italia si fanno carico
di lavori che noi rifiutiamo, spesso in condizioni di insicurezza, come forse è
successo a chi guidava quel camion”. I parenti non hanno esitato: sabato
scorso, ai funerali celebrati da uno zio di Luca nella cattedrale di Aosta, le offerte sono state destinate al camionista
senegalese. Per il rimpatrio servivano 4.800 euro: “Sarà una coincidenza –
aggiunge il padre di Luca – ma abbiamo raccolto
esattamente 4.840 euro. Non possiamo permetterci di pensare che ogni islamico
abbia uno zainetto pieno di esplosivo: quest’uomo è una
vittima del lavoro, non un terrorista”. Il camionista era uno dei circa 600
senegalesi regolari della comunità di Pontedera, dove
gran parte degli extracomunitari lavora nell’indotto
del settore motociclistico. Mamadou aveva lasciato la
moglie e sei figli a Kebemer,
circa 160 chilometri dalla capitale Dakar. (T.C.)
INAUGURATO A PESARO, CON “BIANCA E FALLIERO”,
IL ROSSINI OPERA FESTIVAL.
NELLO SPETTACOLO, DIRETTO
DA RENATO PALUMBO,
DANIELA BARCELLONA NEL RUOLO DI FALLIERO
- Servizio di Luca Pellegrini -
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PESARO. = Un corrusco enorme e
livido leone di Venezia domina la scena e dal suo ventre si aprono squarci di
classiche vedute lagunari. Gioco di immagini, di doppi
specchi, di sogni e sentimenti, di
affetti e di ragion di Stato. Scorrono le oltre tre ore di musica della
rarissima “Bianca e Falliero”, opera eroica e dolente, che ha inaugurato ieri sera il Rossini Opera Festival.
Scritta dal 1819 e qui ripresa nel 1986 in una storica ed indimenticata edizione, ed ora nuovamente sul palcoscenico
per evitare il rischio dell’oblio. Molta attesa, dunque, per un spettacolo che non ha purtroppo entusiasmato né sotto il
profilo musicale né sotto il profilo scenico. Renato Palumbo
dirige senza sfumature, appiattendo ogni modulazione drammatica. Sola Daniela
Barcellona, nel ruolo di Falliero, surclassa nel canto di agilità
e nell’eroico incedere le diverse mancanze del cast.
Ma è lo spettacolo di Jean-Louis Martinoty,
che si rivela piuttosto dozzinale: affastellato ed appesantito da insipienze drammaturgiche ed iconografiche. Che
senso ha inserire nel tabernacolo di un altare un teschio ghignante? E gioca con effetti di luci che nulla hanno del fascino
veneto. Nella prima cavatina di Bianca, non eccelle Maria Bayo
nel ruolo: sparge contromosse da operetta, creando il più velleitario e problematico equivoco della serata. Si insiste nel voler
contaminare un’opera seria rossiniana con elementi
farseschi che non le competono, supponendo di fare un servizio benemerito a Rossini, allo spettatore, ad un Festival che ha
indiscutibilmente tra i suoi cromosomi la fedeltà ad un autore ossia la sua
ragione di vita.
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RINVENUTI
IN EGITTO I RESTI DI UN ANTICO COMPLESSO MONASTICO
SOTTO
L’EREMO DI SANT'ANTONIO. POTREBBE TRATTARSI
DEL
PIÙ ANTICO MONASTERO FINO AD ORA SCOPERTO
IL CAIRO. = I resti di quello che probabilmente è il
più antico edificio monastico del mondo cristiano, con tracce di una cucina e
di un chiostro, sono stati scoperti in Egitto durante lavori di risistemazione del monastero di Sant’ Antonio
Abate, a poco più di 100 chilometri a sud-ovest del Cairo. Secondo Padre Maximous, che si dedica al restauro di monumenti copti, notizie della struttura sono presenti in antichi testi ma finora non era stato possibile localizzarla.
L’edificio risalirebbe al IV secolo dell’era cristiana
e rappresenterebbe il complesso monastico più antico mai ritrovato. In base a una biografia scritta da Atanasio nel quarto
secolo e a notizie raccolte nell’antico testo degli ‘Apophthegmata’,
Antonio Abate (detto anche ‘Antonio il grande’ oltre
che ‘padre dei monaci’) nacque a Coma, vicino ad Heracleopolis Magna, nell’oasi del Fayum,
nel 251. Verso il 285 si ritirò da eremita a Pispir
(oggi Der el Memum), in un vecchio forte abbandonato nel deserto, ma
intorno al 305 venne pregato di assumere la guida di
un gruppo di asceti. Dopo cinque o sei anni trascorsi a
organizzare la comunità, Antonio scelse di nuovo l’isolamento. Un isolamento in maniera meno rigida rispetto a quello vissuto nel
passato, su un’altura del deserto, non lontana dal Mar Rosso, luogo sul quale
ancora oggi sorge il monastero noto come ‘Der Mar Antonius’. Proprio lì è stato scoperto l’antico
complesso monastico che ora potrebbe offrire importanti elementi di
comprensione sulle prime forme di vita del monachesimo
orientale. (T.C.)
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- A cura di Rosa Praticò e Andrea Cocco -
Inizierà il prossimo 7 settembre,
in Israele, la demolizione delle abitazioni dei coloni nei 21 insediamenti attualmente esistenti nella Striscia di Gaza, che saranno
abbandonati a partire dal 17 agosto. Intanto sul ritiro si è
pronunciato questa mattina in Parlamento anche il presidente palestinese Abu Mazen: “Dovrà
avvenire in maniera pacifica: dovremo dimostrare di meritarci un nostro Stato”. E Mazen ha poi annunciato anche lo svolgimento di elezioni legislative palestinesi a gennaio. Ma sul terreno la tensione continua a crescere. Il servizio di Barbara Schiavulli:
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Risale la Borsa
d’Israele, dopo che Sharon ha nominato ministro
dell’Economia Ehud Olmert,
al posto di Netanyauh, che ha dato le dimissioni per
protestare contro il disimpegno. Ma
non sono finiti i momenti di tensione per il premier. Il ministro della Difesa
ha annunciato che nove disertori, con tanto di arma,
sono introvabili. C’è il pericolo che qualcuno voglia
emulare l’azione di Eden Natan-Zada, che la settimana
scorsa ha ucciso a colpi di mitra quattro arabi israeliani prima di essere
linciato. Sul fronte palestinese è stato fermato un presunto kamikaze a Tulkarem, in Cisgiordania. Mentre
si è rimasti con il fiato sospeso per la sorte di uno svizzero e di una inglese, entrambi dipendenti delle Nazioni Unite, rapiti
ma quasi subito liberati dalla polizia palestinese. Si pensa sia stata una
reazione all’arresto a Khan Yunis di un alto
ufficiale delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa.
Barbara Schiavulli,
per Radio Vaticana.
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Il nucleare in Iran. E’ slittata a oggi pomeriggio la riunione a Vienna dei governatori
dell’AIEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, convocata d’urgenza
ieri dopo la decisione del Paese islamico, di riattivare l’impianto di Isfahan per la conversione dell’uranio. Intanto, alle
minacce degli Usa di portare la questione di fronte al Consiglio di Sicurezza
dell’ONU, il ministro della Difesa iraniano, Ali Shamkhani,
ha avvertito che se i siti nucleari verranno
minacciati con attacchi militari, il Paese verrà meno a tutti i suoi obblighi
internazionali. Nel frattempo si apprende che il giornalista dissidente Akbar Ganji ha interrotto lo
sciopero delle fame intrapreso otto settimane fa, per protestare contro le
condizioni di prigionia in cui era tenuto.
Si terrà oggi in Iraq l’incontro
tra i leader locali per raggiungere un compromesso
sulla bozza costituzionale. Incontro che ieri era slittato a
causa di una violenta tempesta di sabbia su Baghdad. Il testo dovrebbe
essere consegnato fra una settimana per poi essere sottoposto a referendum nel
prossimo autunno. E proprio per questo, e in vista
delle prossime elezioni politiche, il Pentagono ha fatto sapere di voler
rafforzare nell’immediato il contingente presente nel Paese. Il
tutto contrariamente ai piani di ritiro annunciati per il medio e lungo termine.
Nel frattempo un'agenzia di stampa iraniana ha annunciato la visita di Osama Bin
Laden in Iraq in vista del prossimo Ramadan. Mentre sul campo si registra la morte di 10 poliziotti a
Baghdad e di un agente a Baquba, assassinati dalla
guerriglia locale.
In Egitto è stato rilasciato il
chimico arrestato in seguito alla strage del 7 luglio a Londra. Ed oggi per la prima volta funzionari di Scotland
Yard hanno ascoltato a Roma, in Italia, Hamdi Isac,
il quarto presunto attentatore degli attacchi falliti del 21 luglio scorso a
Londra. Il servizio di Rosa Praticò:
E’ durato circa tre ore presso il
carcere romano di Regina Coeli, l’interrogatorio del
27enne etiope arrestato in Italia lo scorso 30 luglio. Come previsto dalle
norme sulle rogatorie internazionali, gli inquirenti inglesi si sono rivolti
all’imputato in presenza del giudice rogato italiano
Domenico Massimo Miceli. Lo stesso giudice che il 17 agosto
dovrà decidere dell’estradizione del presunto terrorista. Se fosse concessa, l’etiope, rischia a Londra una condanna
all’erga-stolo per strage. “Non volevo uccidere nessuno perché il mio era solo
un gesto dimostrativo”, ha detto ieri al suo legale Hamdi
Isac, ribadendo di voler essere giudicato in Italia. Ma questa versione, confermata oggi nel corso
dell’inter-rogatorio, non ha convinto gli investigatori che sospettano
possibili legami tra l’etiope e gli attentatori del 7 luglio. Se così fosse, infatti, l’uomo dovrebbe rispondere anche
della morte dell’italiana Benedetta Ciaccia, avvenuta
nella strage londinese. Nel frattempo il governo inglese sta valutando
l’ipotesi di incriminare per tradimento gli estremisti islamici che istigano
alla violenza e quella di istituire tribunali speciali con udienze senza
giuria, per decidere se ci sono prove sufficienti per incriminare eventuali
sospettati.
Conti pubblici italiani bocciati dalla Standard and Poor’s.
L’agenzia di rating ha rivisto infatti l’outlook del Paese, abbassando da
stabile a negativo l’ago che ne misura il trend economico nei prossimi 18 mesi.
La decisione di valutare negativamente le prospettive economiche dell’Italia - sottolinea l’Agenzia - non sarebbe legata alle vicende che
coinvolgono Bankitalia, ma alle prospettive di
bilancio e alla incertezza della situazione politica nel medio termine.
Una commissione d’inchiesta
indagherà sull’incidente che la scorsa settimana ha causato la morte di John
Garang vice presidente del Sudan, precipitato a bordo del suo elicottero mentre tornava dall’Uganda. Finora governo ed ex
ribelli del Spla, di cui
Garang era a capo, hanno sempre escluso l’ipostesi di un attentato. Nei giorni
scorsi tuttavia il presidente ugandese Museveni ha detto che l’elicottero
potrebbe “non essersi schiantato accidentalmente”. L’inchiesta, decisa dal
presidente Oumar el Beshir, servirà a ristabilire la calma dopo gli incidenti
scoppiati nella capitale e nel sud del Paese.
L’Unione
Africana ha deciso l’invio di una delegazione in Mauritania per discutere del
ritorno alla normalità costituzionale dopo il colpo di stato avvenuto lo scorso
mercoledì. Colpito dai moniti della comunità internazionale, la Giunta militare
salita al potere, sta tentando di riallacciare le relazioni con i Paesi vicini.
Nei prossimi giorni a
Nouackchott è attesa anche una delegazione della Lega Araba. Tra le
questioni cruciali che riguardano il Paese, le ricche riserve di petrolio
scoperte nell’oceano. Intanto l’Unione Africana ha rassicurato il
governo sudanese circa il fatto che i negoziati di pace per il Darfur andranno avanti e riprenderanno il prossimo 24
agosto. Solo ieri sulla stampa locale era trapelato che uno dei principali
gruppi combattenti in Darfur aveva deciso di
interrompere i colloqui a seguito della morte di Garang.
Si fanno tese le relazioni tra Caracas e Washington dopo la
decisione del presidente venezuelano Chàvez di
sospendere la collaborazione con l’Agenzia statunitense per la lotta alla
droga, accusata di condurre operazioni di spionaggio in Venezuela. Come
risposta, la Casa Bianca sta considerando di adottare sanzioni contro il Paese
sudamericano. Intanto, mentre si attendono i risultati ufficiali, l’opposizione venezuelana considera una
grave sconfitta per il governo l’alto astensionismo alle elezioni
amministrative di domenica. Secondo il Consiglio elettorale nazionale solo il
30 per cento dell’elettorato si è recato alle urne. “Un indice comunque maggiore di quello registrato nelle municipali del
2000”, ha sottolineato il governo, che ha salutato i risultati parziali del
voto come una storica vittoria.
Elezioni anticipate in Giappone l’11
settembre prossimo. Le ha annunciate oggi il premier
nipponico Junichiro Koizumi
per “stroncare” i dissidenti che all'interno del suo stesso Partito Liberal-Democratico si sono opposti al progetto di
privatizzazione e riforma delle Poste. Ieri il provvedimento è stato bocciato
dalla camera alta del Parlamento e ha causato lo scioglimento di quella bassa.
A causa della difficile situazione internazionale, prosegue la
corsa del petrolio nei mercati mondiali. Il prezzo del greggio ha raggiunto
ieri a New York un nuovo record storico: 64 dollari al
barile.
Continua lo sciopero dei minatori sudafricani, che secondo
i sindacati avrebbe visto l’adesione dell’80 per cento dei lavoratori del
comparto. La
protesta, indetta per chiedere un aumento salariale superiore al 10 per cento,
è la più grande dalla fine dell’apartheid. Il
Sudafrica è il maggior produttore al mondo di oro.
Secondo le grandi compagnie, lo sciopero comporterà ingenti perdite all’eco-nomia
nazionale.
Il presidente nigeriano Mamadou Tanja ha negato che
il suo Paese stia soffrendo una grave crisi alimentare, come da mesi viene sottolineato dall’ONU e dalle organizzazioni non
governative. Secondo Tanja, raggiunto ai microfoni
della BBC, alcune zone del Paese sono colpite da carenze alimentari a causa di
un’invasione di locuste e della siccità dello scorso anno, ma la notizia di una
carestia è stata diffusa solo per interessi politici ed economici
dall’opposizione e dalle agenzie delle Nazioni Unite.
E’ finito in manette, ieri in Argentina, il serbo Milan Lukic, ricercato dal
Tribunale penale dell’Aja per l’assassinio di 147
civili, tra cui vecchi e bambini, durante la guerra nella ex
Jugoslavia. Il TPI ha ora 30 giorni per inviare la documentazione sul caso, in
conformità delle norme vigenti in Argentina in materia di estradizione.
Otto persone sono morte e almeno 7 sono
rimaste gravemente ferite in un violento incendio divampato la notte scorsa a
Berlino. Le fiamme hanno invaso un edificio del quartiere popolare di Moabit abitato prevalentemente da immigrati arabi. Ancora da accertare le cause: le
indagini non escludono la pista dolosa.
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