RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 221 - Testo della trasmissione di martedì 9 agosto 2005

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La prossima visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Colonia, un gesto che prelude a un’era nuova, dopo i drammi del Novecento: il commento dello storico Giorgio Rumi e Gianluca Budano

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Seimila persone al Parco della Pace di Nagasaki 60 anni dopo la seconda bomba atomica. E torna    nella chiesa di Nagasaki, la statua della Madonna trovata allora tra le macerie

 

Nuovo rapporto d’inchiesta sullo scandalo Oil for Food : ombre sui vertici delle Nazioni Unite, a poche settimane dalla discussione sulla riforma del Palazzo di Vetro: con noi, il prof. Vittorio Emanuele Parsi

 

Terminata la missione dello shuttle Discovery, atterrato in California dopo numerosi rinvii per problemi tecnici e maltempo: intervista con Franco Malerba

 

Diritti e sviluppo delle popolazioni autoctone: al centro del messaggio di Kofi Annan per la “Giornata internazionale degli indigeni nel mondo”: con noi Mauro Di Vieste e Maria Rita Saulle

 

Celebrati dall’arcivescovo di Bari-Bitonto, Francesco Cacucci, i funerali dei cinque baresi vittime della tragedia aerea di sabato scorso, a largo di Palermo: ai nostri microfoni una riflessione dello stesso mons. Cacucci

 

CHIESA E SOCIETA’:

Il calendario liturgico ricorda oggi Edith Stein

 

Diritti violati in Nordcorea: in un rapporto della Commissione sudcoreana per i diritti umani emergono condanne a morte, aborti forzati e abusi sugli esuli

 

Da Aosta al Senegal: solidarietà senza frontiere per il camionista africano che sabato scorso è morto in un incidente coinvolgendo un’auto con tre giovani

 

Inaugurato a Pesaro, con “Bianca e Falliero”, il Rossini Opera Festival

 

Rinvenuti in Egitto i resti di un antico complesso monastico sotto l’eremo di Sant'Antonio

 

24 ORE NEL MONDO:

Interrogato in Italia, ma dagli uomini di Scotland Yard, l’etiope fermato per i falliti attacchi del 21 luglio a Londra.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

9 agosto 2005

 

 

LA PROSSIMA VISITA DI BENEDETTO XVI ALLA SINAGOGA DI COLONIA:

UN GESTO CHE PRELUDE AD UN’ERA NUOVA, DOPO I DRAMMI DEL NOVECENTO

- Intervista con il prof. Giorgio Rumi e Gianluca Budano -

 

Tra una settimana esatta inizierà a Colonia la 20.ma Giornata mondiale della Gioventù e più di quattrocentomila giovani da duecento Paesi del mondo si sono finora iscritti per prendere parte all’evento. Secondo mons. Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, questa cifra costituisce un record nella storia delle Giornate Mondiali della Gioventù: “Come è noto i giovani non amano le formalità e vengono in molti di più di quanti si sono iscritti”. Tra gli appuntamenti che scandiranno la visita di Benedetto XVI nella città tedesca, molto atteso è quello che porterà il Papa a visitare l’antica sinagoga di Colonia. L’incontro con la comunità ebraica locale, a 60 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e dalla Shoah, si preannuncia come un evento nell’evento. Al prof. Giorgio Rumi, docente di Storia contemporanea all’Università statale di Milano, Alessandro De Carolis ha chiesto se il gesto del Papa possa considerarsi un balzo in avanti della storia o più semplicemente un segno figlio dei tempi:

 

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R. – Direi che si tratta di un balzo in avanti della storia, senz’altro. Già nelle ossature fondamentali dell’evento si capisce la sua eccezionalità. Un Papa tedesco in una sinagoga, dopo quello che è successo e che, secondo me, pesa anche troppo sulla vita e sulla coscienza tedesca. Abbiamo bisogno di una Germania libera da incubi. Io vedo nel viaggio del Papa, oltre agli ovvii significati religiosi, anche significati civili. Non è un andare a Canossa, per paradosso: si tratta invece di un gesto buono, santo, utile e da europeo non posso che compiacermene.

 

D. – Si è disquisito a lungo e giustamente sulla visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma nell’86. Con il suo prossimo gesto, così carico di simbolismi come lei ricordava, Benedetto XVI si accinge a raccoglierne l’eredità, ma forse anche a superarla in qualche modo…

 

R. – Sì. La visita di Roma aveva un grandissimo significato, proprio perché Roma dal punto di vista religioso è quella che tutti noi conosciamo. C’è poi anche una storia domestica: a Roma gli ebrei, fino alle tragiche vicende del ’43, in una situazione migliore che non altrove: il governo pontificio, dunque, non era così “malvagio” come certi invece dipingono. Certamente, la loro non era una situazione ideale. Giovanni Paolo II, facendo un viaggio di poche centinaia di metri, ha rotto questa specie di cappa che gravava sulle nostre coscienze. La visita di Benedetto XVI, in sostanza, allarga l’orizzonte al mondo. La Chiesa va in sinagoga e questo chiude una dolorosa storia e ne apre una nuova, che rappresenta un balzo della storia.

 

D. – Dall’Olocausto ad oggi, si sono succeduti sei pontificati, compreso l’attuale appena agli inizi e quello brevissimo di Papa Luciani. Come valuta l’occhio dello storico l’evoluzione dei rapporti tra cattolicesimo ed ebraismo in questo arco di tempo?

 

R. – Lei ha fatto bene a parlare di cattolicesimo ed ebraismo. Si è passati da quella specie di maledizione o di deprecazione degli ebrei ad una condizione di fraternità, anzi una specie addirittura di ‘maggiorasco’, di maggiore dignità del fratello maggiore ebreo. Il cammino è stato, quindi, lungo ed importante. In questo caso, è tutta la cattolicità che ritrova un nuovo dialogo con questi fratelli maggiori.

 

D. – E questo grazie anche - possiamo dire - al Concilio Vaticano II e quindi ai due grandi Papi di quel periodo, e cioè Giovanni XXIII e Paolo VI…

 

R. – Naturalmente. Non dobbiamo dimenticare che Papa Montini era il sostituto in Segreteria di Stato dal ’37, se non sbaglio, e quindi gli anni chiave della guerra li ha vissuti sulla sua pelle. Giovanni XXIII aveva visto gli ebrei dal suo osservatorio, soprattutto quello di Costantinopoli, e poi dalla Francia, dove c’era stato il trauma di Vichy, che non fu certo una cosa da poco. I due Papi che lei ha citato hanno davvero fatto molto ed è bene ricordarlo.

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Tra i gruppi in partenza per Colonia, anche quello delle ACLI, Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani. Sull’attesa per questa GMG, Massimiliano Menichetti ha intervistato Gianluca Budano, presidente di GA, i giovani delle ACLI:

 

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R. – C’è attesa per due ordini di motivi: perché la GMG è sempre carica di emozioni e perché poi è la prima GMG senza Giovanni Paolo II, che le GMG le ha lanciate ... Quindi, c’è questa carica emozionale nel vedere, nel vivere questo grande, importante evento di condivisione con un nuovo Papa.

 

D. – La GMG è un’occasione per incontrare Cristo vivente ...

 

R. – E’ un’occasione per incontrarlo e per condividere il suo messaggio con tante altre migliaia di giovani provenienti da tutto il mondo. E’ questa esperienza di condivisione che è importante, che non può diventare però solo un appuntamento occasionale, ma un sentire costante nella prassi quotidiana di ognuno di noi.

 

D. – Quindi è un cammino, non un arrivo ...

 

R. – E’ un evento all’interno di un percorso, un momento in cui ci si confronta, un momento in cui ci si incontra. Si vive un percorso di condivisione con altri giovani, quindi con altre tradizioni all’interno della matrice cattolica che unisce la partecipazione di tutti i giovani a questo grandissimo, importante evento ecclesiale.

 

D. – Che cosa vi aspettate di portare con voi al ritorno dalla GMG?

 

R. – Auspichiamo e preghiamo perché questo entusiasmo possa essere rinnovato e perché da questo incontro – penso al nostro incontro dei giovani lavoratori e sul tema del lavoro siamo impegnati tanto – possano nascere delle idee. Da un lato, quindi, pensiamo di rinnovare, confermare un entusiasmo, ma anche di creare delle condizioni perché poi questo entusiasmo possa realizzarsi in azioni concrete, conoscendo l’esperienza di tanti altri giovani come noi, credenti, che vogliono fare però anche un percorso di azione sociale.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina l'Iraq, dove imperversano attacchi ed agguati. Allarme della FAO: a rischio nel Paese mediorientale la sicurezza alimentare.

Sempre in prima:  49 anni fa la tragedia di Marcinelle, in Belgio, in cui morirono 262 minatori, 136 dei quali italiani.

 

Nelle vaticane, una pagina sulla prossima Giornata mondiale della Gioventù a Colonia.

Una pagina dedicata al cammino della Chiesa in Italia.  

 

Nelle estere, Medio Oriente: rapimenti e violenze nei Territori, le fazioni radicali sfidano l'Autorità palestinese nell'imminenza del ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Susanna Paparatti su una mostra - nella Basilica Palladiana di Vicenza - dedicata a cinquant'anni di scultura italiana (1950-2000).

 

Nelle pagine italiane, in primo piano l'inchiesta sul disastro aereo avvenuto sabato nel mare di Palermo.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

9 agosto 2005

 

SEIMILA PERSONE AL PARCO DELLA PACE DI NAGASAKI

60 ANNI DOPO LA SECONDA BOMBA ATOMICA.

E TORNA NELLA CHIESA DI NAGASAKI,

 LA STATUA DELLA MADONNA TROVATA ALLORA TRA LE MACERIE

 

A tre giorni dalle celebrazioni di Hiroshima, il Giappone ricorda oggi il 60.mo anniversario della seconda bomba atomica della storia, quella sganciata su Nagasaki. Davanti alla folla giunta per la celebrazione, il sindaco di Nagasaki ha ricordato la distruzione della città ad opera della bomba statunitense, denunciando i ritardi nel processo di disarmo. Il servizio di Andrea Cocco:

 

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Alle 11.02 in punto sono partite le sirene, i rintocchi di campana e poi il silenzio ha avvolto le seimila persone radunate al Parco della Pace di Nagasaki. Un’ora indelebile nel ricordo del Giappone, che segna il momento esatto in cui l’ordigno atomico, sganciato il 9 agosto del 1945, toccava il suolo di questa città portuale abitata, tra l’altro, da oltre 40 mila cattolici, radendola al suolo. Sono 140 mila le vittime causate dall’esplosione e dalle radiazioni che continuano a produrre i loro drastici effetti. Eppure ancora oggi rimangono oscuri i reali motivi che spinsero gli Stati Uniti a colpire un Giappone, già piegato da Hiroshima. Un attacco necessario per ottenere la resa dell’imperatore nipponico, secondo alcuni storici; mentre per altri la decisione servì a sperimentare la potenza del plutonio. Stamani, dopo il lancio di colombe e gli omaggi resi ai sopravvissuti, l’attenzione è però tornata su preoccupazioni tutte attuali. Come quelle sottolineate con parole forti dal sindaco di Nagasaki, che rivolgendosi al popolo americano lo ha esortato a prendere posizione contro la politica nucleare del presidente Bush. “Vi sentite veramente più sicuri - ha detto il primo cittadino - con un governo che ha 10 mila ordigni atomici, conduce test nucleari e studia la realizzazione di nuove armi atomiche miniaturizzate?”. A fargli eco, l’appello lanciato dal premier Koizumi che si è detto pronto a rilanciare la campagna per l’abolizione delle armi nucleari e la non proliferazione.

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A Urakami, il sobborgo di Nagasaki colpito il 9 agosto del ’45, venne distrutta, tra l’altro, la cattedrale. Tra i resti delle sue rovine, il prete giapponese Kaemon Noguchi trovò una scultura lignea raffigurante la Vergine Maria. Ce ne parla Alessandra Pizzuto:

 

 

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(musica)

 

Dopo varie vicende, solo oggi quella statua lignea raffigurante la Madonna è tornata sull’altare della chiesa di Urakami che è la più grande chiesa cattolica dell’Asia. Quando fu ritrovata le sue condizioni erano pessime, era bruciacchiata e il suo volto aveva perso gli occhi, ma non era stata distrutta completamente dalla bomba. Per conservarla il sacerdote giapponese, che l’aveva ritrovata con emozione, decide di custodirla all’interno del convento dove viveva. Il cammino che l’ha riportata è stato lungo e complicato: infatti nel ‘75 il prete cattolico consegna la scultura al prof. Katoka, responsabile del Junshin Women’s college, decide di esporla al museo della bomba atomica a Nagasaki. Nel 1998 un signore giapponese, Yasuhiko Sata visitando Nagasaki vede nel museo la scultura raffigurante la madonna e decide che, essendo oggetto sacro, doveva uscire da quel luogo e tornare nella cattedrale. Per raggiungere l’obiettivo, Sata crea una fondazione a suo nome, con sede a Lucerna, con l’intento anche di raccogliere fondi - attraverso una sottoscrizione ancora in corso - per far inserire la statua nell’elenco dei beni patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Gli sforzi della fondazione sono stati finalmente premiati: la statua della Madonna è finalmente tornata a Urakami.

 

 

(musica)

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NUOVO RAPPORTO D’INCHIESTA SULLO SCANDALO OIL FOR FOOD

GETTA OMBRE SUI VERTICI DELLE NAZIONI UNITE, A POCHE SETTIMANE

 DALLA DISCUSSIONE SULLA RIFORMA DEL PALAZZO DI VETRO

- Con noi, il prof. Vittorio Emanuele Parsi -

 

Nuovi sviluppi nello scandalo “Oil for food”: un ex funzionario dell’ONU si è dichiarato ieri colpevole di avere ricevuto tangenti per un valore di svariate migliaia. Lo ha reso noto la procura federale di New York, precisando che Alexander Yakovlev è il primo personaggio coinvolto nello scandalo del  programma umanitario per l'Iraq ad essere incriminato. Intanto, prosegue l’inchiesta della commissione interna alle Nazioni Unite, che ieri ha reso noto il terzo rapporto dell’indagine. Emergono ombre anche sul segretario generale, Kofi Annan. Ce ne parla Alessandro Gisotti:

 

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Giro di vite contro la corruzione nelle Nazioni Unite: è quanto chiede Paul Voelker, presidente della commissione di inchiesta sullo scandalo “Oil for food”. In una conferenza stampa, tenuta ieri a New York, Voelker ha ribadito le accuse contro Benon Sevan, l’ex responsabile del programma umanitario per l’Iraq. Il funzionario cipriota avrebbe intascato una tangente da 150 mila di dollari. Sevan si è dimesso ieri dall’ONU, perdendo così l’immunità diplomatica, e sarà ora sottoposto a processo penale. Dal canto suo, Mark Malloch Brown, capo del personale del segretario generale dell'ONU, ha assicurato che la corruzione non sarà più tollerata. “Questa organizzazione – ha detto Brown - ha bisogno di una profonda riforma della gestione”. Tuttavia, proprio Kofi Annan viene chiamato in causa dal rapporto: nella lista degli inquisiti c’è suo figlio Kojo. Annan ha sempre negato di conoscere le attività del figlio, ma una e-mail, di cui parla il documento pubblicato ieri, proverebbe il contrario. E lo stesso Sevan, nella lettera di addio  al  Palazzo di Vetro, ha accusato Annan di averlo sacrificato come unico capro espiatorio della spinosa vicenda.

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Se, dunque, i vertici delle Nazioni Unite sono alle prese con lo scandalo “Oil for Food”, si avvicina il momento della discussione sulla riforma dell’ONU, in programma a settembre al Palazzo di Vetro. Su questo passaggio cruciale per le Nazioni Unite, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano:

 

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R. – A settembre verrà reso noto nei dettagli il Rapporto conclusivo della Commissione Voelker; settembre sarà anche il momento in cui capi di Stato e di governo delle varie nazioni si riuniranno in assemblea generale per discutere della riforma. Per cui, la concomitanza non potrebbe essere peggiore.

 

D. – Secondo lei, si può dire che le Nazioni Unite, nonostante le gravi difficoltà, problemi e “vizi” -  se vogliamo - che le accompagnano quasi dalla sua nascita, è però anche l’unico sistema possibile, se pur riformabile?

 

R. – Ogni volta che pensiamo all’ONU, dobbiamo ricordarci che a parte i casi di corruzione e di malcostume, di malaffare, che purtroppo nell’amministrazione burocratica delle Nazioni Unite non sono né una novità né un fatto isolato, a parte ciò, però, da un punto di vista politico le Nazioni Unite sono quello che gli Stati ne fanno. Così, quando gli Stati non si accordano, le Nazioni Unite non contano; quando gli Stati riescono ad accordarsi, le Nazioni Unite riescono ad essere efficaci.

 

D. – Secondo lei, c’è comunque una necessità percepita non solo dall’opinione pubblica ma anche dai governi di un sistema di relazioni internazionali centralizzate?

 

R. – , il fatto che debba esistere, che sia deprecabile che cessi di esistere un’istituzione internazionale a livello globale come sono le Nazioni Unite, direi che è un dato acquisito. Tutte le critiche che possiamo muovere all’ONU soprattutto in questi ultimi 10-15 anni, nulla tolgono al fatto che se le Nazioni Unite non ci fossero, dovremmo inventarle. Da notare che neanche gli Stati Uniti, che sono stati negli ultimi decenni molto critici dell’opera dell’ONU, hanno mai pensato di chiudere l’istituzione internazionale. Però, allo stesso tempo è necessario che questa istituzione sia messa nelle condizioni di funzionare e quindi che le critiche che devono essere mosse siano mosse con la massima asprezza, quando è necessario.

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TERMINATA LA MISSIONE DELLO SHUTTLE DISCOVERY,

ATTERRATO IN CALIFORNIA DOPO NUMEROSI RINVII

 PER PROBLEMI TECNICI E MALTEMPO

- Intervista con Franco Malerba -

 

Si è conclusa positivamente la missione dello shuttle Discovery, che ha fatto ritorno, toccando terra sulla base aerea di Edwards, nel deserto della California, alle ore 5.12 locali. Dopo le numerose difficoltà dei giorni scorsi, quando l’Ente spaziale americano aveva dovuto rinviare più volte il decollo e il rientro a terra dei sette astronauti dalla Stazione spaziale orbitante, oggi la scelta del Centro controllo di Houston di spostare la sede per il rientro dalla Florida alla California per via del maltempo. Lo shuttle era stato lanciato il 26 luglio ed era rimasto in orbita per oltre 13 giorni, due più di quanto inizialmente previsto. Complessivamente, il Discovery ha coperto quasi 9,3 milioni di chilometri. Si è trattato della prima missione portata felicemente a termine, dopo la tragedia del Columbia nel 2003. Ma qual è il bilancio della missione? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Franco Malerba che ha fatto parte dell'equipaggio portato in orbita dallo shuttle Atlantis nel 1992:

 

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R. – Purtroppo, questa missione non si conclude con un successo totale; bisogna tornare ancora ad analizzare questo rivestimento del serbatoio esterno perché alcuni pezzi continuano a cadere. Ci sono naturalmente anche delle lezioni che gli ingegneri hanno ricevuto per la progettazione delle future navi spaziali, che non dovranno essere fatte come lo shuttle per rendere assolutamente sicuro il volo dello shuttle stesso.

 

D. – Secondo lei, qual è il significato strategico-politico di questa missione all’interno dello scenario internazionale?

 

R. – C’è questo progetto dell’Associazione spaziale internazionale che è diventato soprattutto un progetto politico al quale tutti i Paesi industrialmente avanzati lavorano assieme con l’obiettivo pacifico di conoscere meglio l’universo. La NASA, e soprattutto l’amministrazione americana, ha deciso di mettere in cantiere un sostituto dello shuttle: con questo si dovrebbe andare di nuovo sulla luna e quindi poi poter prendere la strada per Marte, che ci interessa molto perché Marte è un pianeta vivo, dove c’è una metereologia, un clima e quindi qualcosa che assomiglia alla terra. Ci sono in gioco grandi aspettative, sia da parte dell’opinione pubblica, sia da parte dell’industria, che spinge per avere legittimamene un ruolo nella sua continua ricerca di competenze e di sfide. C’è anche, poi, una limitatezza delle disponibilità finanziarie che tutti i governi devono mettere in conto.

 

D. – Guardando al futuro, qual è il ruolo dell’Europa?

 

R. – Né l’Europa né alcuno dei Paesi dell’Europa, in particolare la Francia, che più ha investito e più sente come strategica questa presenza nello spazio, hanno una competenza autonoma per poter mandare uomini nello spazio e riportarli a terra. Se ne parla, ogni tanto, ma tutto questo per il momento è solo nel libro delle ipotesi.

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DIRITTI E SVILUPPO DELLE POPOLAZIONI AUTOCTONE:

AL CENTRO DEL MESSAGGIO DI KOFI ANNAN PER

 LA “GIORNATA INTERNAZIONALE DEGLI INDIGENI NEL MONDO”

- Con noi Mauro Di Vieste e Maria Rita Saulle -

 

“La comunità internazionale deve adoperarsi per difendere i diritti delle popolazioni autoctone e per sostenerne lo sviluppo, nel rispetto delle loro terre e delle loro tradizioni”. Così il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, in occasione della “Giornata internazionale degli Indigeni nel mondo”, che si celebra oggi. Una giornata istituita nel 1994 dall’Assemblea Generale dell’ONU che ha dato una definizione precisa di ‘indigeno’. Lo spiega nel servizio Dorotea Gambardella:

 

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Secondo la Commissione per i Diritti umani delle Nazioni Unite, gli indigeni sono “coloro che, avendo una continuità storica con le società precoloniali sviluppatesi sui loro territori, si considerano distinti dagli altri settori della società ora predominanti su quelle aree”. Nel mondo, sono circa 300 milioni le persone che rientrano in questa definizione. Popoli spesso vittima di sfruttamento, repressione, discriminazione da parte degli Stati in cui risiedono. Proprio per porre l’attenzione sui loro diritti negati, le Nazioni Unite hanno proclamato due decenni internazionali: il primo, terminato l’anno scorso, il secondo che si concluderà nel 2015. Obiettivo: rafforzare la cooperazione intergovernativa per risolvere i problemi degli indigeni. Ma quali le loro rivendicazioni? Mauro Di Vieste dell’Associazione per i Popoli Minacciati:

 

R. – Il diritto all’utilizzo delle proprie risorse, del proprio territorio, che comporta di poter continuare con il proprio stile di vita. Il problema è proprio lo sfruttamento di queste risorse. I popoli indigeni lo sanno fare bene e probabilmente garantiranno che questo possa avvenire per i secoli futuri. Il nostro sistema di sfruttamento, invece, questo non lo garantisce.

 

D. – Che cosa sta facendo la comunità internazionale per poter soddisfare questi bisogni?

 

R. – La situazione, in generale, non è buona. I boshimani del Botswana sono stati cacciati dalla loro riserva nel deserto del Kalahari, proprio per consentire più agevolmente lo sfruttamento delle risorse in quell’area. E questo è più o meno quello che sta succedendo un po’ dappertutto. La ratifica della Convenzione ILO, l’Organizzazione internazionale del lavoro, no. 169, sarebbe il maggior strumento di diritto internazionale per la protezione dei popoli indigeni.

 

D. – Una protezione che il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, sottolinea debba avvenire nel rispetto della cultura e della lingua di queste comunità. Il commento di Maria Rita Saulle, docente di diritto internazionale:

 

R. – Riconoscere i diritti di queste popolazioni significa riconoscere loro quanto hanno avuto tramandato dai loro avi. Tuttavia, c’è una necessità: che queste popolazioni apprendano in ogni caso la lingua, per così dire, maggioritaria. Questo perché l’integrazione implica che esse possano essere comprese da tutti e possano anche a loro volta tendere il tessuto sociale, economico, giuridico e culturale in cui esistono nel rispetto, ovviamente, delle loro proprie culture.

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CELEBRATI DALL’ARCIVESCOVO DI BARI-BITONTO, FRANCESCO CACUCCI,

NEL CAPOLUOGO PUGLIESE, I FUNERALI DEI CINQUE BARESI VITTIME DELLA

TRAGEDIA AEREA DI SABATO SCORSO A LARGO DI PALERMO

- Ai nostri microfoni l’arcivescovo Francesco Cacucci -

 

Migliaia di persone hanno preso parte stamani, nella cattedrale di San Sabino a Bari, capoluogo delle Puglie, ai funerali dei cinque baresi vittime della tragedia aerea di sabato scorso a largo di Palermo. Le esequie sono state celebrate dall’arcivescovo di Bari-Bitonto, Francesco Cacucci, che nell’omelia ha ricordato: “Soltanto in Gesù crocifisso abbiamo la risposta e solo nel dolore di Dio, cioè di Gesù crocifisso, abbiamo la consolazione. Senza morte e senza dolore, non comprenderemmo il valore della vita”. Ma ascoltiamo il presule stesso al microfono di Luca Collodi.

 

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Gli angeli accompagnano queste persone lungo il percorso della loro vita verso il Paradiso e accompagnano anche, come consolatori, coloro che rimangono affranti dalla sofferenza. Ci sono segni che devono essere discreti, in questi momenti, perché è ovvio che i parenti, i congiunti, da un canto, desiderano la presenza, la vicinanza affettuosa delle proprie comunità, d’altro canto è importante che siano rispettati e siano trattati con discrezione. Io penso che quando poi ritorneranno nelle loro parrocchie, come è normale per la sensibilità del nostro popolo cristiano, saranno accompagnati in questi primi giorni, dopo la tragedia. Ma è importante – ripeto - accompagnare queste persone con discrezione ed affetto.

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CHIESA E SOCIETA’

9 agosto 2005

 

IL CALENDARIO LITURGICO RICORDA OGGI EDITH STEIN. COMPATRONA D’EUROPA,

DA CARMELITANA ASSUNSE IL NOME DI SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE

- A cura di Tiziana Campisi -

 

ROMA. = Ebrea, filosofa, carmelitana, martire: Edith Stein, che la Chiesa annovera fra i suoi santi, è colei che oggi insegna a percorrere cammini di comunione in ambiti e a livelli diversi, ma in punti nodali dell'esperienza umana, cristiana, ecclesiale, interreligiosa. Elevata all’onore degli altari l’11 ottobre 1998 e proclamata compatrona d’Europa, l’anno dopo insieme con Santa Brigida di Svezia e a Santa Caterina da Siena, si adoperò in particolare con scritti, lezioni e conferenze, a promuovere il ruolo della donna nella società e nella Chiesa. Era solita dire: “Il nostro tempo vuole donne che posseggono vera cognizione della vita, prudenza, attitudini pratiche; donne moralmente solide la cui vita sia incrollabilmente fondata in Dio”. Nasce a Breslavia il 12 ottobre del 1891. Dimostrò presto un’intelligenza vivace, particolarmente attratta dalla letteratura. Allevata nei valori della religione israelitica  a  14 anni abbandona la fede dei padri e diviene atea. Brillante negli studi secondari, inizia l’università nella sua città natale, indirizzandosi verso la storia e la letteratura tedesca per poi maturare l’interesse per l’uomo che la induce a frequentare corsi di psicologia. Decisiva per la sua conversione al cattolicesimo, la vita di santa Teresa d’Avila letta in una notte d’estate. È il 1921. Edith racconta: "Presi casualmente un libro dalla biblioteca; portava il titolo ‘Vita di santa Teresa narrata da lei stessa’. Cominciai a leggere e non potei più lasciarlo finché non ebbi finito. Quando lo richiusi, mi dissi: questa è la verità”. L’aveva cercata a lungo e l’aveva trovata nel mistero della croce; aveva scoperto che la verità non è un’idea, un concetto, ma una persona. Il giorno dopo compra un messale e un Catechismo romano, e dopo averli studiati chiede di essere battezzata. Viene accolta nella Chiesa il 1° gennaio 1922. Nel 1933 entra come postulante al carmelo di Colonia. Cinque anni dopo, per motivi di sicurezza, viene trasferita in Olanda, ad Echt, dove la raggiunge anche la sorella Rosa, convertitasi al cattolicesimo dopo la morte della madre. Con l’invasione tedesca del 1940 anche l’Olanda non è più un rifugio sicuro per le due sorelle, sebbene le autorità tedesche avessero assicurato che non avrebbero incluso nella persecuzione gli ebrei cristiani, purché convertiti prima dell’invasione. Il 26 luglio del 1942 i vescovi olandesi condannano in un documento la persecuzione antisemita. La risposta tedesca è immediata: i cattolici olandesi di origine ebrea, vengono deportati, comprese le due sorelle Stein che morirono ad Auschwitz il 9 agosto 1942. Nell'ambito filosofico la carmelitana ha lasciato segni incancellabili di originalità tentando di gettare un ponte tra la filosofia contemporanea e la tradizione medievale espressa dalla filosofia di san Tommaso. Ha scritto: “Chi cerca la verità cerca Dio senza saperlo”. E ancora: “Più che la ragione è la via della fede che ci dà Dio, ma davanti al grande mistero della libertà personale Dio stesso si arresta”. Attraversando invece la spiritualità domenicana e benedettina e approdando alla mistica di santa Teresa d'Avila e di san Giovanni della Croce, sintetizzò nell’esperienza della croce di Cristo il sacrificio e la donazione per la salvezza del suo popolo.

 

 

Diritti violati in Nordcorea: IN UN RAPPORTO DELLA COMMISSIONE SUDCOREANA PER I DIRITTI UMANI EMERGONO condanne a morte,

aborti forzati E ABUSI SUGLI ESULI

 

SEOUL. = Esecuzioni pubbliche, aborti forzati, morte per fame: sono alcune fra le più comuni violazioni dei diritti umani nella Corea del Nord. Lo ha stabilito la Commissione nazionale per i diritti umani in Corea del Sud dopo aver intervistato e raccolto materiale da circa 150 esuli nordcoreani fuggiti al sud. Il rapporto è stato preparato da un gruppo dell’università Dongguk, guidato dal prof. Koh Yu-hwan. Il documento presenta una cruda immagine realtà nordcoreana. Almeno 75 dei testimoni intervistati hanno assistito a pubbliche esecuzioni. La condanna a morte viene inflitta per crimini che vanno dal furto di una mucca fino alla vendita di materiale pornografico. Una rifugiata che ha tentato varie volte la fuga, prima in Cina e poi nella Corea del Sud, testimonia che un’infermiera in un ospedale ha fatto abortire una donna colpendola ripetutamente al ventre spiegando che nella struttura sanitaria non ci sono medicine adeguate. Alcuni testimoni raccontano poi della fame che soffre molta parte della popolazione; i morti si trovano anche per strada, a fianco ai venditori di riso. Secondo organizzazioni internazionali, negli ultimi anni in Corea del Nord, sono morte almeno 2 milioni di persone per fame. La crisi alimentare è dovuta ad una serie di disastri naturali, come allagamenti e siccità, e ad errori nella politica agricola della dittatura militare. A causa di questi problemi, centinaia di nordcoreani tentano di scappare in Cina o verso il sud. La Cina, a sua volta, per evitare un flusso enorme di profughi, tende a far ritornare in Nord Corea i fuggiaschi. I fuggitivi reimpatriati dalla Cina sono portati nei campi di concentramento di Musan e Chongjin e all’Ufficio 927 di Hysan. (T.C)

 

 

DA AOSTA AL SENEGAL: SOLIDARIETÀ SENZA FRONTIERE PER IL CAMIONISTA AFRICANO CHE SABATO SCORSO È MORTO IN UN INCIDENTE

COINVOLGENDO UN’AUTO CON TRE GIOVANI

 

SAINT CHRISTOPHE. = “È un modo semplice per esprimere la nostra solidarietà a chi abbandona il proprio Paese e la famiglia per venire in Italia a darci una mano”. Sono le parole di Roberto Miozzi, di Saint Christophe, alle porte di Aosta, che ha inviato poco più di 4.800 euro per il rimpatrio della salma del camionista senegalese che la scorsa settimana ha provocato un incidente nel genovese nel quale è morto suo figlio Luca, 19 anni. Un gesto spontaneo: una colletta tra amici e parenti delle tre giovani vittime – oltre a Luca, anche Davide Donzel, 20 anni e Michel Val, di 19 – che al funerale hanno voluto devolvere le offerte per garantire le spese di trasferimento in Senegal della salma di Kebe Mamadou Bamba, 46 anni. Il camionista africano, residente da anni a Pontedera, in provincia di Pisa, aveva speronato l’auto dei tre giovani valdostani spingendola giù da un viadotto nei pressi di Voltri, non lontano da Genova. Loro sono deceduti sul colpo dopo un volo di 80 metri, lui dissanguato per le ferite. “Ci siamo trovati con un fratello del camionista e un imam di Pontedera al momento del riconoscimento delle salme”, ha detto all’agenzia Misna Roberto Miozzi. “Questa persona si è scusata, temeva che fossimo infuriati solo perché l’autista del tir era un africano. In realtà il problema è un altro: migliaia di immigrati in Italia si fanno carico di lavori che noi rifiutiamo, spesso in condizioni di insicurezza, come forse è successo a chi guidava quel camion”. I parenti non hanno esitato: sabato scorso, ai funerali celebrati da uno zio di Luca nella cattedrale di Aosta, le offerte sono state destinate al camionista senegalese. Per il rimpatrio servivano 4.800 euro: “Sarà una coincidenza – aggiunge il padre di Luca – ma abbiamo raccolto esattamente 4.840 euro. Non possiamo permetterci di pensare che ogni islamico abbia uno zainetto pieno di esplosivo: quest’uomo è una vittima del lavoro, non un terrorista”. Il camionista era uno dei circa 600 senegalesi regolari della comunità di Pontedera, dove gran parte degli extracomunitari lavora nell’indotto del settore motociclistico. Mamadou aveva lasciato la moglie e sei figli a Kebemer, circa 160 chilometri dalla capitale Dakar. (T.C.)

 

 

INAUGURATO A PESARO, CON  “BIANCA E FALLIERO”, IL ROSSINI OPERA FESTIVAL.

 NELLO SPETTACOLO, DIRETTO DA RENATO PALUMBO,

 DANIELA BARCELLONA NEL RUOLO DI FALLIERO

- Servizio di Luca Pellegrini -

 

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PESARO. = Un corrusco enorme e livido leone di Venezia domina la scena e dal suo ventre si aprono squarci di classiche vedute lagunari. Gioco di immagini, di doppi specchi, di sogni e sentimenti,  di affetti e di ragion di Stato. Scorrono le oltre tre ore di musica della rarissima “Bianca e Falliero”, opera eroica e dolente, che ha inaugurato ieri sera il Rossini Opera Festival. Scritta dal 1819 e qui ripresa nel 1986 in una storica ed indimenticata edizione, ed ora nuovamente sul palcoscenico per evitare il rischio dell’oblio. Molta attesa, dunque, per un spettacolo che non ha purtroppo entusiasmato né sotto il profilo musicale né sotto il profilo scenico. Renato Palumbo dirige senza sfumature, appiattendo ogni modulazione drammatica. Sola Daniela Barcellona, nel ruolo di Falliero, surclassa nel canto di agilità e nell’eroico incedere le diverse mancanze del cast. Ma è lo spettacolo di Jean-Louis Martinoty, che si rivela piuttosto dozzinale: affastellato ed appesantito da insipienze drammaturgiche ed iconografiche. Che senso ha inserire nel tabernacolo di un altare un teschio ghignante? E gioca con effetti di luci che nulla hanno del fascino veneto. Nella prima cavatina di Bianca, non eccelle Maria Bayo nel ruolo: sparge contromosse da operetta, creando il più velleitario e problematico equivoco della serata. Si insiste nel voler contaminare un’opera seria rossiniana con elementi farseschi che non le competono, supponendo di fare un servizio benemerito a Rossini, allo spettatore, ad un Festival che ha indiscutibilmente tra i suoi cromosomi la fedeltà ad un autore ossia la sua ragione di vita.

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RINVENUTI IN EGITTO I RESTI DI UN ANTICO COMPLESSO MONASTICO

SOTTO L’EREMO DI SANT'ANTONIO. POTREBBE TRATTARSI

DEL PIÙ ANTICO MONASTERO FINO AD ORA SCOPERTO

 

IL CAIRO. = I resti di quello che probabilmente è il più antico edificio monastico del mondo cristiano, con tracce di una cucina e di un chiostro, sono stati scoperti in Egitto durante lavori di risistemazione del monastero di Sant’ Antonio Abate, a poco più di 100 chilometri a sud-ovest del Cairo. Secondo Padre Maximous, che si dedica al restauro di monumenti copti, notizie della struttura sono presenti in antichi testi ma finora non era stato possibile localizzarla. L’edificio risalirebbe al IV secolo dell’era cristiana e rappresenterebbe il complesso monastico più antico mai ritrovato. In base a una biografia scritta da Atanasio nel quarto secolo e a notizie raccolte nell’antico testo degli ‘Apophthegmata’, Antonio Abate (detto anche ‘Antonio il grande’ oltre che ‘padre dei monaci’) nacque a Coma, vicino ad Heracleopolis Magna, nell’oasi del Fayum, nel 251. Verso il 285 si ritirò da eremita a Pispir (oggi Der el Memum), in un vecchio forte abbandonato nel deserto, ma intorno al 305 venne pregato di assumere la guida di un gruppo di asceti. Dopo cinque o sei anni trascorsi a organizzare la comunità, Antonio scelse di nuovo l’isolamento. Un isolamento in maniera meno rigida rispetto a quello vissuto nel passato, su un’altura del deserto, non lontana dal Mar Rosso, luogo sul quale ancora oggi sorge il monastero noto come ‘Der Mar Antonius’. Proprio lì è stato scoperto l’antico complesso monastico che ora potrebbe offrire importanti elementi di comprensione sulle prime forme di vita del monachesimo orientale. (T.C.)

                                                                                                                     

 

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24 ORE NEL MONDO

9 agosto 2005

 

- A cura di Rosa Praticò e Andrea Cocco -

 

Inizierà il prossimo 7 settembre, in Israele, la demolizione delle abitazioni dei coloni nei 21 insediamenti attualmente esistenti nella Striscia di Gaza, che saranno abbandonati a partire dal 17 agosto. Intanto sul ritiro si è pronunciato questa mattina in Parlamento anche il presidente palestinese Abu Mazen: “Dovrà avvenire in maniera pacifica: dovremo dimostrare di meritarci un nostro Stato”. E Mazen ha poi annunciato anche lo svolgimento di elezioni legislative palestinesi a gennaio. Ma sul terreno la tensione continua a crescere. Il servizio di Barbara Schiavulli:

 

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Risale la Borsa d’Israele, dopo che Sharon ha nominato ministro dell’Economia Ehud Olmert, al posto di Netanyauh, che ha dato le dimissioni per protestare contro il disimpegno. Ma non sono finiti i momenti di tensione per il premier. Il ministro della Difesa ha annunciato che nove disertori, con tanto di arma, sono introvabili. C’è il pericolo che qualcuno voglia emulare l’azione di Eden Natan-Zada, che la settimana scorsa ha ucciso a colpi di mitra quattro arabi israeliani prima di essere linciato. Sul fronte palestinese è stato fermato un presunto kamikaze a Tulkarem, in Cisgiordania. Mentre si è rimasti con il fiato sospeso per la sorte di uno svizzero e di una inglese, entrambi dipendenti delle Nazioni Unite, rapiti ma quasi subito liberati dalla polizia palestinese. Si pensa sia stata una reazione all’arresto a Khan Yunis di un alto ufficiale delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa.

 

Barbara Schiavulli, per Radio Vaticana.

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Il nucleare in Iran. E’ slittata a oggi pomeriggio la riunione a Vienna dei governatori dell’AIEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, convocata d’urgenza ieri dopo la decisione del Paese islamico, di riattivare l’impianto di Isfahan per la conversione dell’uranio. Intanto, alle minacce degli Usa di portare la questione di fronte al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il ministro della Difesa iraniano, Ali Shamkhani, ha avvertito che se i siti nucleari verranno minacciati con attacchi militari, il Paese verrà meno a tutti i suoi obblighi internazionali. Nel frattempo si apprende che il giornalista dissidente Akbar Ganji ha interrotto lo sciopero delle fame intrapreso otto settimane fa, per protestare contro le condizioni di prigionia in cui era tenuto.

 

Si terrà oggi in Iraq l’incontro tra i leader locali per raggiungere un compromesso sulla bozza costituzionale. Incontro che ieri era slittato a causa di una violenta tempesta di sabbia su Baghdad. Il testo dovrebbe essere consegnato fra una settimana per poi essere sottoposto a referendum nel prossimo autunno. E proprio per questo, e in vista delle prossime elezioni politiche, il Pentagono ha fatto sapere di voler rafforzare nell’immediato il contingente presente nel Paese. Il tutto contrariamente ai piani di ritiro annunciati per il medio e lungo termine. Nel frattempo un'agenzia di stampa iraniana ha annunciato la visita di Osama Bin Laden in Iraq in vista del prossimo Ramadan. Mentre sul campo si registra la morte di 10 poliziotti a Baghdad e di un agente a Baquba, assassinati dalla guerriglia locale.

 

In Egitto è stato rilasciato il chimico arrestato in seguito alla strage del 7 luglio a Londra. Ed oggi per la prima volta funzionari di Scotland Yard hanno ascoltato a Roma, in Italia, Hamdi Isac, il quarto presunto attentatore degli attacchi falliti del 21 luglio scorso a Londra. Il servizio di Rosa Praticò:

 

E’ durato circa tre ore presso il carcere romano di Regina Coeli, l’interrogatorio del 27enne etiope arrestato in Italia lo scorso 30 luglio. Come previsto dalle norme sulle rogatorie internazionali, gli inquirenti inglesi si sono rivolti all’imputato in presenza del giudice rogato italiano Domenico Massimo Miceli. Lo stesso giudice che il 17 agosto dovrà decidere dell’estradizione del presunto terrorista. Se fosse concessa, l’etiope, rischia a Londra una condanna all’erga-stolo per strage. “Non volevo uccidere nessuno perché il mio era solo un gesto dimostrativo”, ha detto ieri al suo legale Hamdi Isac, ribadendo di voler essere giudicato in Italia. Ma questa versione, confermata oggi nel corso dell’inter-rogatorio, non ha convinto gli investigatori che sospettano possibili legami tra l’etiope e gli attentatori del 7 luglio. Se così fosse, infatti, l’uomo dovrebbe rispondere anche della morte dell’italiana Benedetta Ciaccia, avvenuta nella strage londinese. Nel frattempo il governo inglese sta valutando l’ipotesi di incriminare per tradimento gli estremisti islamici che istigano alla violenza e quella di istituire tribunali speciali con udienze senza giuria, per decidere se ci sono prove sufficienti per incriminare eventuali sospettati.

 

Conti pubblici italiani bocciati dalla Standard and Poor’s. L’agenzia di rating ha rivisto infatti l’outlook del Paese, abbassando da stabile a negativo l’ago che ne misura il trend economico nei prossimi 18 mesi. La decisione di valutare negativamente le prospettive economiche dell’Italia - sottolinea l’Agenzia - non sarebbe legata alle vicende che coinvolgono Bankitalia, ma alle prospettive di bilancio e alla incertezza della situazione politica nel medio termine.

 

Una commissione d’inchiesta indagherà sull’incidente che la scorsa settimana ha causato la morte di John Garang vice presidente del Sudan, precipitato a bordo del suo elicottero mentre tornava dall’Uganda. Finora governo ed ex ribelli del Spla, di cui Garang era a capo, hanno sempre escluso l’ipostesi di un attentato. Nei giorni scorsi tuttavia il presidente ugandese Museveni ha detto che l’elicottero potrebbe “non essersi schiantato accidentalmente”. L’inchiesta, decisa dal presidente Oumar el Beshir, servirà a ristabilire la calma dopo gli incidenti scoppiati nella capitale e nel sud del Paese.

 

 

L’Unione Africana ha deciso l’invio di una delegazione in Mauritania per discutere del ritorno alla normalità costituzionale dopo il colpo di stato avvenuto lo scorso mercoledì. Colpito dai moniti della comunità internazionale, la Giunta militare salita al potere, sta tentando di riallacciare le relazioni con i Paesi vicini. Nei prossimi giorni  a Nouackchott è attesa anche una delegazione  della Lega Araba. Tra le questioni cruciali che riguardano il Paese, le ricche riserve di petrolio scoperte nell’oceano. Intanto l’Unione Africana ha rassicurato il governo sudanese circa il fatto che i negoziati di pace per il Darfur andranno avanti e riprenderanno il prossimo 24 agosto. Solo ieri sulla stampa locale era trapelato che uno dei principali gruppi combattenti in Darfur aveva deciso di interrompere i colloqui a seguito della morte di Garang.

 

Si fanno tese le relazioni tra Caracas e Washington dopo la decisione del presidente venezuelano Chàvez di sospendere la collaborazione con l’Agenzia statunitense per la lotta alla droga, accusata di condurre operazioni di spionaggio in Venezuela. Come risposta, la Casa Bianca sta considerando di adottare sanzioni contro il Paese sudamericano. Intanto, mentre si attendono i risultati ufficiali, l’opposizione  venezuelana  considera una  grave sconfitta per il governo l’alto astensionismo alle elezioni amministrative di domenica. Secondo il Consiglio elettorale nazionale solo il 30 per cento dell’elettorato si è recato alle urne. “Un indice comunque maggiore di quello registrato nelle municipali del 2000”, ha sottolineato il governo, che ha salutato i risultati parziali del voto come una storica vittoria.

 

Elezioni anticipate in Giappone l’11 settembre prossimo. Le ha annunciate oggi il premier nipponico Junichiro Koizumi per “stroncare” i dissidenti che all'interno del suo stesso Partito Liberal-Democratico si sono opposti al progetto di privatizzazione e riforma delle Poste. Ieri il provvedimento è stato bocciato dalla camera alta del Parlamento e ha causato lo scioglimento di quella bassa.

A causa della difficile situazione internazionale, prosegue la corsa del petrolio nei mercati mondiali. Il prezzo del greggio ha raggiunto ieri a New York un nuovo record storico: 64 dollari al barile.

 

Continua lo sciopero dei minatori sudafricani, che secondo i sindacati avrebbe visto l’adesione dell’80 per cento dei lavoratori del comparto. La protesta, indetta per chiedere un aumento salariale superiore al 10 per cento, è la più grande dalla fine dell’apartheid. Il Sudafrica è il maggior produttore al mondo di oro. Secondo le grandi compagnie, lo sciopero comporterà ingenti perdite all’eco-nomia nazionale.

 

Il presidente nigeriano Mamadou Tanja ha negato che il suo Paese stia soffrendo una grave crisi alimentare, come da mesi viene sottolineato dall’ONU e dalle organizzazioni non governative. Secondo Tanja, raggiunto ai microfoni della BBC, alcune zone del Paese sono colpite da carenze alimentari a causa di un’invasione di locuste e della siccità dello scorso anno, ma la notizia di una carestia è stata diffusa solo per interessi politici ed economici dall’opposizione e dalle agenzie delle Nazioni Unite.

 

E’ finito in manette, ieri in Argentina, il serbo Milan Lukic, ricercato dal Tribunale penale dell’Aja per l’assassinio di 147 civili, tra cui vecchi e bambini, durante la guerra nella ex Jugoslavia. Il TPI ha ora 30 giorni per inviare la documentazione sul caso, in conformità delle norme vigenti in Argentina in materia di estradizione.

 

Otto persone sono morte e almeno 7 sono rimaste gravemente ferite in un violento incendio divampato la notte scorsa a Berlino. Le fiamme hanno invaso un edificio del quartiere popolare di Moabit abitato prevalentemente da immigrati arabi. Ancora da accertare le cause: le indagini non escludono la pista dolosa.

 

 

 

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