RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
218 - Testo della trasmissione di sabato 6 agosto 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Il Vangelo di domani: il commento di padre Marko Ivan Rupnik
CHIESA E SOCIETA’:
In Togo il Parlamento approva una legge contro il
traffico dei minori
Indonesia:
dalla tragedia dello Tsunami la rinascita del dialogo tra fedi diverse
Blair
annuncia severe misure antiterrorismo in risposta alle minacce di Al Qaeda
L’Iran rispetterà le
norme internazionali ma non accetterà mai la “sottomissione” a qualsiasi altra
nazione: così il presidente al Parlamento
6
agosto 2005
LA VISITA DI BENEDETTO
XVI AL FRATELLO, MONS. GEORG RATZINGER,
DIMESSO QUESTA MATTINA DAL POLICLINICO GEMELLI,
DOPO L’INTERVENTO DI GIOVEDI’
Mezz’ora di visita al
Policlinico Gemelli per accertarsi sulle condizioni di salute del fratello e
ripartire rinfrancato. E’ trascorsa così una parte del pomeriggio di ieri di
Benedetto XVI, che ha voluto salutare di persona mons. Georg Ratzinger, dimesso
questa mattina dal Gemelli, dopo il ricovero d’urgenza di mercoledì scorso e
l’intervento chirurgico del giorno successivo per l’impianto di un pacemaker.
La cronaca nel servizio di Alessandro De Carolis.
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Poco dopo le 17.00, il Papa è
giunto in elicottero da Castel Gandolfo atterrando all’eliporto dell’ospedale
romano. Di lì, ha raggiunto in auto l’ingresso principale, accolto dalle
autorità sanitarie del Gemelli e dagli applausi dei molti pazienti e visitatori
affacciati alle finestre per salutarne l’arrivo inatteso. Prima di salire al decimo
piano, dov’era ricoverato il fratello, Benedetto XVI ha sostato brevemente in
preghiera nella cappellina. Poco dopo ha potuto pregare qualche minuto in
compagnia del fratello, attorniato dal cappellano del Policlinico, don Decio
Cipolloni e da alcune suore. Scendendo poi dalla stanza, il Papa ha fatto una
piccola sosta nei pressi della cappellina, davanti ad una statua che raffigura
la Madonna nell’atto di sollevare tra le braccia Giovanni Paolo II. Quindi, ha
stretto mani e salutato alcuni bambini nella piccola folla radunatasi per
festeggiarlo. Ecco le parole del papà di Monica, una delle bambine abbracciate
da Benedetto XVI:
“Monica ha detto ‘ciao’ al Papa.
Il Papa l’ha presa in braccio e le ha dato un bacio in fronte”.
Benedetto XVI, infine, ha rassicurato
i presenti sulle stato di salute di mons. Ratzinger ed ha raggiunto in auto
l’eliporto del Gemelli per fare rientro a Castel Gandolfo, dove il fratello lo
ha nuovamente raggiunto nella mattinata di oggi.
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LO ZELO APOSTOLICO DI PAOLO VI
RICORDATO, NELLA MESSA DI SUFFRAGIO
IN SAN PIETRO, DA MONS. ANGELO COMASTRI,
NEL 27.MO DELLA MORTE DI PAPA MONTINI
- A cura di Alessandro De Carolis -
Un
“uomo afferrato da Cristo”, come l’Apostolo di cui scelse di portare il nome: è
il ritratto di Paolo VI che l’arcivescovo Angelo Comastri, vicario generale del
Papa per la Città del Vaticano, ha fatto stamattina nell’omelia della Messa da
lui celebrata all’Altare della Cattedra della Basilica Vaticana. Nel giorno del
27° anniversario della morte di Papa Montini - avvenuta a Castel Gandolfo il 6
agosto 1978, Festa della Trasfigurazione del Signore – mons. Comastri ha
ricordato alcuni aspetti salienti della personalità di Paolo VI, desunti da
alcuni suoi scritti, precedenti e successivi all’elezione pontificia, avvenuta
nel 1963. Mons. Comastri ha messo in risalto “l’urgenza” della carità
manifestata dal futuro Pontefice in una lettera scritta nel 1930 a un suo amico
sacerdote, che aveva rifiutato di collaborare con lui nella FUCI, la
Federazione degli universitari cattolici, per poi citare le celebri parole che
l’allora mons. Montini, all’inizio della sua missione come arcivescovo di
Milano, rivolse ai ‘lontani’ dalla Chiesa, scusandosi con loro per la cattiva
testimonianza offerta in qualche caso dal clero:
“'Talora il loro
anticlericalismo nasconde uno sdegnato rispetto per le cose sacre, che credono
in noi avvilite. Ebbene, se è così, fratelli lontani, perdonateci!' In queste
vibranti parole c’è il missionario, c’è l’apostolo, c’è l’uomo che avrebbe
scritto l’Evangelii nuntiandi. C’è
già il credente appassionato che il 29 novembre 1971 a Manila, di fronte ad una
folla strabocchevole, avrebbe gridato così: 'A voi cristiani io ripeto il suo
nome, a tutti lo annuncio: Gesù Cristo!'”.
L’intero servizio ministeriale
di Papa Montini - ha sottolineato mons. Comastri - fu attraversato “dal
desiderio di annunciare Cristo a tutti, come Paolo”. Un nome che – annota
ancora il vicario del Papa, citando lo stesso Paolo VI – costui si impose “per ammirazione dell’Apostolo missionario
che porta il Vangelo al mondo, al suo tempo, con criteri di universalità: il
prototipo della cattolicità”. E in conclusione dell’omelia, osserva ancora:
“E con meravigliosa sintonia,
assumendo ogni volta tonalità personali e inconfondibili, il fremito apostolico
che Paolo VI aveva ereditato da Pio XI e da Giovanni XXIII è passato inalterato
nel cuore di Giovanni Paolo I ed è esploso, con impeto irrefrenabile, nel
lungo e denso pontificato di Giovanni
Paolo II, per riaffiorare nei primi accenti del nuovo Pontefice, Benedetto XVI
(…) Benediciamo il Signore per il dono del ministero petrino, uno e vario,
attraverso il quale Gesù ci guida nel cammino bello della fede”.
ELIMINARE L’UTILIZZO DI ARMI DEFINITE
CONVENZIONALI CON EFFETTI
A LUNGO TERMINE. A GINEVRA L’INTERVENTO DI MONS.
SILVANO TOMASI,
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE PRESSO
L’ONU
Eliminare l’utilizzo di armi definite convenzionali che possono avere
effetti a lungo termine. Se ne discute fino al 12 agosto a Ginevra, dove si sta
svolgendo un incontro che ha come tema la Convenzione sull’interdizione o
limitazione dell’uso di alcune armi convenzionali che possono produrre effetti
traumatici eccessivi o indiscriminati. All’undicesima sessione del gruppo di
esperti governativi degli Stati firmatari del documento ha preso parte
monsignor Silvano Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso
l’Ufficio delle Nazioni Unite e le Istituzioni specializzate a Ginevra. Il
problema più discusso è stato quello dell’uso delle bombe a frammentazione.
Tiziana Campisi ha chiesto a monsignor Tomasi quali conseguenze causano questi
tipi di ordigni:
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R. - Queste bombe a frammentazione sono state usate, per esempio, nelle
guerre recenti, nella guerra del Golfo del ‘91, la guerra in Kossovo, Jugoslavia,
nel ‘99, in Afghanistan nel 2001-2002 e specialmente all’inizio della guerra
nell’Iraq nel 2003. Sono state usate bombe che quando vengono gettate spargono
su un vasto territorio, delle bombe più piccole che spesso non esplodono o di
cui una percentuale abbastanza significativa non esplode. Hanno quindi
conseguenze più tardi, quando bambini o lavoratori, o contadini riprendono la
vita normale: queste bombe scoppiano, creando quindi migliaia di vittime o
persone ferite, mutilate.
D. – Come osservatore permanente presso l’ufficio delle Nazioni Unite, le
istituzioni specializzate a Ginevra, quale posizione lei ha riportato della
Santa Sede a proposito dell’utilizzo di queste armi?
R. – Ho chiesto che prima di tutto si crei un gruppo di riflessione e si
utilizzi un momento di pausa per consultazioni tra gli Stati, in modo da vedere
quali sono veramente i dati precisi dell’impatto umanitario di queste armi, di
queste bombe in particolare. Poi che si lavori in seconda battuta per sviluppare
un protocollo addizionale o un accordo internazionale, che elimini
completamente l’uso di queste bombe a frammentazione per l’effetto deleterio
che hanno, sproporzionato alla loro efficacia militare.
D. – Come è stata accolta questa richiesta durante la sessione dei
lavori?
R. – E’ stata accolta con molto interesse, soprattutto dalla società
civile e dalle coalizioni di gruppi di organizzazioni non governative. Vari
governi sono venuti personalmente a felicitare la delegazione della Santa Sede
per aver introdotto in maniera credibile, realistica, questa iniziativa di cui
si sente il bisogno da tanto tempo.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina un
articolo sulle misure antiterrorismo annunciate dal Primo Ministro britannico,
Tony Blair: espulsioni più facili per chi giustifichi o incoraggi la violenza.
La visita di Benedetto
XVI al Policlinico "Gemelli" dove il fratello (dimesso stamane) è stato
sottoposto ad un intervento.
Nelle vaticane, la
Lettera del Papa al cardinale Julian Herranz per il cinquantesimo anniversario
di ordinazione sacerdotale.
L'omelia
dell'arcivescovo Angelo Comastri durante la Concelebrazione Eucaristica - presieduta
stamane nella Basilica Vaticana - in memoria del servo di Dio Paolo VI, nel
XXVII anniversario della morte.
Nelle estere,
l'intervento della Santa Sede, a Ginevra, in occasione dell'XI sessione
del gruppo di esperti della Convenzione sull'interdizione o limitazione
dell'uso di alcune armi che possono produrre effetti traumatici eccessivi o
indiscriminati: "Promuovere un maggior impegno della comunità internazionale
nei confronti degli ordigni militari che hanno gravi impatti umanitari".
Hiroshima: appello del
sindaco - nel sessantesimo anniversario del bombardamento - affinché siano
eliminate le armi atomiche nel mondo.
Nella pagina culturale,
un elzeviro di Mario Gabriele Giordano dal titolo "Dante Troisi e il
silenzio dei soloni".
Nelle pagine italiane,
in primo piano il terrorismo.
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6
agosto 2005
CIRCA
55 MILA PERSONE A HIROSHIMA PER I 60 ANNI DALLA PRIMA BOMBA ATOMICA.
DA
KOFI ANNAN IL MONITO SUL RISCHIO
DI UNA
PROLIFERAZIONE NUCLEARE A CATENA
-
Intervista con Angelo Baracca -
Circa
55 mila persone hanno partecipato questa mattina alla cerimonia che si è tenuta
a Hiroshima per commemorare le vittime della bomba atomica. Quest’anno la
celebrazione segna i sessanta anni dalla tragedia ma anche la chiusura
dell’”anno di memoria e azione per un mondo denuclearizzato”, promosso nel 2004
dal sindaco della città giapponese simbolo della pace. Il servizio di Andrea
Cocco.
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Fu
tristemente soprannominata “Little Boy” la bomba sganciata dal B29 americano
alle 8 e 15 della mattina del 6 agosto 1945, sulla città di Hiroshima.
Progettata per avere una capacità 2 mila volte superiore a qualsiasi altro
ordigno, la sua potenza distruttrice non aveva precedenti nella storia
dell’umanità. Si calcola che 140 mila persone, su 350 mila abitanti sono morte
a causa dell’esplosione e delle radiazioni che continuano a produrre i loro
effetti. Un solo edificio è rimasto in piedi al centro di Hiroshima: l’A-Bomb
Dome. Ed è proprio davanti allo scheletro di questa costruzione, oggi monumento
alle vittime, che si è svolta la solenne cerimonia di commemorazione. Un lancio
di migliaia di colombe, a testimoniare come l’esigenza della pace sia ancora
viva, un lungo silenzio, rispettato dalla folla a partire dal momento esatto in
cui la bomba toccava il suolo 60 anni fa. E poi le corone di fiori depositate
da bambini davanti al memoriale delle vittime. Vestiti di nero, nel parco della
rimembranza, c’erano anche gli Hibakusha, i sopravvissuti del 6 agosto. A loro si è rivolto
il segretario generale delle Nazioni Unite, Koffi Annan, che in un messaggio
letto sul palco ha ricordato come il rischio della armi nucleari rimanga
attuale. “Oggi siamo tutti Hibakusha”, ha detto
Annan. Un messaggio raccolto dal sindaco di Hiroshima Tadatoshi Akiba che, promotore in questi
anni di molte iniziative per la pace e la de-nuclearizzazione, ha
lanciato un appello per l’abolizione di tutte le armi atomiche. Contestazioni e
slogan sono invece piovute sul premier giapponese Junichiro
Koizumi, che ha esaltato il ruolo di
Hiroshima come città globale della pace. A lanciarle un gruppo di pacifisti che
definiscono ipocrite le celebrazioni e contestano la partecipazione di Tokyo
alla guerra in Irak.
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“L’anniversario di Hiroshima dà a tutti noi l’occasione di
riflettere sulla lezione della guerra”. Questo il messaggio dal presidente
dell’Episcopato statunitense mons. William Skylstad in una lettera indirizzata
al vescovo Augustinus Jun-ichi Nomura, a capo dell’Episcopato giapponese. “Le
memorie della II guerra mondiale e della bomba” - si legge nella lettera - “obbligano
la nostra conferenza e la Chiesa tutta a continuare a lavorare per la non
proliferazione nucleare e l’eliminazione delle armi nucleari”. Nonostante gli
sforzi compiuti dalla comunità internazionale, il percorso che dovrebbe portare
alla eliminazione delle testate atomiche si è tuttavia pericolosamente
interrotto. A giugno si è conclusa con un fallimento la Conferenza che avrebbe
dovuto suggellare un ulteriore passo in avanti sul Trattato di Non
proliferazione, lo storico accordo promosso da Stati Uniti e Urss in piena
guerra fredda. Nessuna nuova iniziativa è stata lanciata per controllare la
proliferazione né per rilanciare l’obiettivo del disarmo. Intervistato da Andrea
Cocco, Angelo Baracca, professore di Fisica all’Università di Firenze e autore di
un libro sull’argomento, spiega i motivi di questo fallimento:
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R. –
Secondo me, è stato causato in primo luogo dagli Stati Uniti che hanno voluto
cancellare ogni riferimento, anche i risultati delle conferenze precedenti.
Particolarmente importanti erano quelli della Conferenza del 2000, in cui erano
stati firmati 13 passi concreti per avviare realmente il disarmo nucleare, che
è prescritto dall’articolo 6 del Trattato di non proliferazione del 1970.
L’arma nucleare risulta troppo comoda come minaccia, come deterrente. Quindi,
c’è la decisione di non liberarsi mai delle armi nucleari.
D. – A luglio, il Senato degli
Stati Uniti ha concesso al governo uno stanziamento di 4 milioni di dollari per
la costruzione di una nuova generazione di atomiche. La Gran Bretagna studia
invece da tempo la realizzazione di un nuovo tipo di bomba nucleare da
installare sui sottomarini. Che prospettive si aprono di fronte a questa nuova
corsa agli armamenti?
R. – Purtroppo, secondo me, si
aprono prospettive estremamente allarmanti, perché i trattati internazionali
esistenti prendono in considerazione, per metterle al bando, solo le armi
esistenti, che si basano sulla reazione a catena nell’uranio o nel plutonio,
che ha alcuni inconvenienti, perché è una reazione molto sporca, che produce
molta radioattività, per cui queste testate creano problemi, se uno vuole
usarle sul campo di battaglia. Le armi di tipo nuovo che si ricercano, di cui
si sa anche molto poco, dovrebbero basarsi su processi di tipo nuovo, creando
appunto armi che non ricadano nei trattati esistenti, non abbiano gli
inconvenienti che dicevo. E così si arriverebbe proprio ad un far-west nucleare
in cui qualunque controllo venga eliminato. Per questo io credo che oggi
bisogna mobilitarsi per ottenere immediatamente l’eliminazione di tutte le armi
nucleari, perché domani potrebbe essere troppo tardi.
D. - Le nuove tecnologie a
disposizione e lo smantellamento degli arsenali delle ex repubbliche sovietiche
aprono al rischio che non solo le potenze minori ma anche i gruppi terroristici
accedano all’atomica…
R. – Indubbiamente questi rischi
ci sono. Chiaramente fra il disporre del materiale e fare una bomba ce ne
corre. Occorre avere poi anche dei lanciatori, perché una bomba non si può
tirare con una fionda. Questo, da parte dei gruppi terroristici, sembra per
fortuna problematico. Quanto agli Stati, indubbiamente questo rischio esiste,
bisogna però stare anche molto attenti. Certo è una tecnologia a doppio uso,
perché si può arricchire ulteriormente l’uranio e fare delle bombe. La gente,
però, deve essere consapevole che il problema non è solo l’Iran, la Corea o
altri Stati. Basterebbe ricordare che la Germania e il Giappone, a differenza
dell’Iran, possono farsi una bomba nel giro di pochi mesi.
D. - Come garantire oggi i
controlli sul nucleare?
R. Nel trattato di non
proliferazione esistono i controlli delle agenzie internazionali per l’energia
atomica. Quindi, oggigiorno esistono i mezzi per verificare il disarmo nucleare
totale completo. Ci vuole l’accordo anche a proibire la ricerca di armi
nucleari future. Ma se non si eliminano
queste di oggi, come si fa ad imporre anche la proibizione ad elaborare armi
future?
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IN KAMCIATKA CORSA
CONTRO IL TEMPO PER SALVARE I MARINAI
DEL BATISCAFO INTRAPPOLATO NEL FONDO
DEL PACIFICO
- Intervista con Sergio Romano -
Continuano gli sforzi per
salvare i 7 marinai del batiscafo russo rimasto bloccato nel fondo del
Pacifico, a sud della penisola di Kamciatka. Il presidente russo Vladimir Putin
ha tenuto, stamani, una riunione con i vertici della sicurezza del Paese per
raccogliere dettagli sull’incidente. In serata è previsto, inoltre, un
tentativo di salvataggio ad opera di squadre di soccorso russe, americane e britanniche.
Il servizio di Giuseppe d’Amato:
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Tentativo dopo tentativo, i
russi le stanno provando proprio tutte. Il mini-sommergibile è prigioniero di
un’antenna per il controllo costiero e non di una rete da pesca come era stato
comunicato in un primo momento. Inizialmente sono state gettate ancore,
sperando di strappare ciò che non permette l’emersione del batiscafo.
Successivamente, con un cavo è stata agganciata l’imbarcazione. Tecnologia sofisticata
permette, inoltre, la visione sott’acqua. Ieri all’alba, il batiscafo è stato trainato
per circa un chilometro verso acque più basse ed un banco di sabbia. Lo ha reso
noto l’ammiraglio Viktor Fyodorov, della flotta del Pacifico. Nelle prossime
ore, dovrebbero entrare in azione i sommozzatori. Ma l’operazione è ancora estremamente
lenta e non si sa ancora quanto ossigeno rimanga dentro al batiscafo. Presto
dovrebbero arrivare gli aiuti internazionali. La corsa contro il tempo
continua.
Da Mosca, per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.
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L’incidente del batiscafo riporta
alla memoria una tragedia costata la vita a 118 marinai: quella del Kursk, il
sottomarino russo affondato il 12 agosto del 2000. In questo caso, diversamente
da quanto accaduto cinque anni fa, le autorità di Mosca hanno chiesto aiuto a
squadre di soccorso straniere. Questa decisione della Russia è dettata solo
dalla gravità della situazione o è anche il segnale di un cambio di mentalità?
Amedeo Lomonaco lo ha chiesto all’ex ambasciatore italiano in Russia, Sergio
Romano:
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R. – Le ragioni possono essere
più d’una. Innanzitutto, una delle ragioni potrebbe essere proprio l’esperienza
fatta allora: il governo vuole evitare di essere messo sul banco degli accusati
dalla propria opinione pubblica nell’eventualità di un disastro e quindi corre
ai ripari fin d’ora facendo appello all’assistenza internazionale. Potrebbe
esserci anche un’altra ragione: nel caso della tragedia del sottomarino
nucleare del 2000, è possibile che la Russia non abbia voluto chiamare in aiuto
potenze straniere perché voleva mantenere la segretezza. Nel caso del batiscafo,
invece, l’esigenza della segretezza è minore.
D. – Dopo il crollo dell’Unione
Sovietica, la gestione e il monitoraggio dell’arsenale militare sovietico
rimangono punti cruciali. Come sta affrontando queste insidie il governo di
Mosca?
R. – Il governo di Mosca è alle
strette perché ha ereditato dall’Unione Sovietica un’enorme potenza militare,
ma mancano i mezzi economico-finanziari per mantenere quella straordinaria
potenza e conservarla in stato di efficacia. Non dimentichiamo che per un lungo
periodo, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’economia russa ha
singhiozzato. Tra il ’98 e il ’99 ha subito, peraltro, una pesante crisi.
Adesso le cose vanno meglio: grazie all’aumento del prezzo del petrolio, il
prodotto interno lordo sale del 6-7 per cento all’anno, ma non ci sono i soldi
per tenere in piedi la grande macchina che l’Unione Sovietica aveva costruito.
D. – Quali nodi legano ancora
l’eredità dell’ex patrimonio sovietico con l’attuale economia russa?
R. – Le forze armate russe erano
anche il risultato delle straordinarie responsabilità internazionali dello
Stato. Queste responsabilità internazionali sul piano geopolitico sono state
ereditate dalla Russia di Eltsin e dalla Russia di Putin. Le forze armate, tuttavia,
hanno enormemente cambiato il loro carattere. Nel sistema sovietico, erano il
motore della ricerca, dell’innovazione e della modernizzazione del Paese. Tutto
questo, in una economia che si è andata progressivamente privatizzando, non è
più possibile. Questo pone diversi problemi perché le forze armate non sono più
autonome: prima invece lo erano sotto molti aspetti.
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“LE
FARFALLE NON MUOIONO IN CIELO”: E’ IL TITOLO SCELTO PER UN LIBRO
CHE RACCHIUDE IN UNA STORIA D’AMORE L’UTOPIA
DI PACE. L’AUTRICE
E’ BARBARA SCHIAVULLI, GIORNALISTA E
COLLABORATRICE
DELLA
NOSTRA EMITTENTE
- Con
noi l’autrice, Martino Siniga e Anna Maria Mori -
“Le
farfalle non muoiono in cielo”: si intitola così il primo libro di Barbara
Schiavulli, giornalista e collaboratrice della nostra emittente, edito da La
Meridiana. Il romanzo racconta una storia d’amore tra una ragazza palestinese,
kamikaze suo malgrado, e un soldato israeliano che tenta di fermarla. Nella
seconda parte il libro, pieno di speranza e per qualche verso anche utopistico,
immagina un futuro di pace in Medio Oriente. Il servizio di Isabella Piro:
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(musica)
“Ci sono cose più grandi di noi, cose che non
possiamo capire. Nessuno sano di mente ammazzerebbe tanta gente se non avesse
un buon motivo. Se no, staremmo tutti morendo per nulla”: così un soldato
israeliano di fronte ad una ragazza kamikaze palestinese. Sono loro i due protagonisti
de “Le farfalle non muoiono in cielo”. Una piccola storia d’amore, racchiusa in
una storia di morte più grande, quella guerra tra israeliani e palestinesi che
sembra non trovare pace. Ma ascoltiamo l’autrice:
“L’idea del libro è nata
seguendo e vivendo – ho vissuto per quasi tre anni in Israele – e cercando di
capire quali potessero essere le motivazioni per cui un ragazzino sale su un
autobus e si fa esplodere. Ascoltando le famiglie, ascoltando le vittime, c’era
l’interesse di raccontare una storia che potrebbe essere una storia di
qualunque ragazzino palestinese che fa una scelta che è una scelta terribile”.
Secondo Martino Siniga,
giornalista RAI intervenuto all’incontro di presentazione del testo, la forza
del libro sta nella capacità di rendere semplice una questione difficile come
quella del Medio Oriente:
“Il libro di
Barbara Schiavulli consente di comprendere meglio alcune caratteristiche
importanti dello scenario mediorientale”.
“Le farfalle non muoiono in
cielo” è un libro coraggioso, ha detto la scrittrice Anna Maria Mori:
“Io ritengo che
un libro che mette in scena la complessità, la contraddittorietà, la difficoltà
di schierarsi sia un libro importante. La gente ha bisogno di porsi delle
domande, non di avere risposte prefabbricate”.
Ma allora, se le farfalle non
muoiono in cielo, dove muoiono? Ci risponde l’autrice:
“Non muoiono! Almeno, è quello
che spero io!”.
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Domani 7 agosto, 19a Domenica del Tempo Ordinario, il
Vangelo ci presenta Gesù che cammina sulle acque verso la barca dei discepoli:
questi, spaventati, lo scambiano per un fantasma. Ma il Signore li invita a non
temere. Anche Pietro allora si mette a camminare sulle acque verso Gesù, ma per
la violenza del vento inizia ad avere paura e cominciando ad affondare grida
verso il Maestro che lo afferra dicendogli:
“Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”
Su
questo brano evangelico ascoltiamo il commento del teologo gesuita padre Marko
Ivan Rupnik:
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Non è secondo
la natura umana camminare sulle acque, ma Pietro cammina sulle acque andando
verso Cristo che lo chiama. Il mare, le profondità delle acque sono già nei
testi sapienziali immagine di un mondo disordinato, caotico, dell’agitazione
delle passioni, in più, c’è la notte e un vento violento. Pietro, magari per un
solo istante, presta attenzione a questo scenario, al buio sprofondato sotto i
piedi, alla paura e ai pensieri che essa suscita e subito comincia ad
affondare. Fino a quando la sua attenzione è fissa su Cristo, Pietro cammina
sulle acque, perché è solo per la relazione con Lui che lo può fare. Perciò i
Santi Padri insegnano a non accettare i pensieri di paura che, come in uno sciame,
insistono per essere considerati. Insegnano a non dialogare con la tentazione,
ma a fissare lo sguardo su Cristo, perché l’amicizia con lui è quell’amore che
scaccia ogni paura.
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6
agosto 2005
IN TOGO, IL PARLAMENTO APPROVA UNA LEGGE CONTRO IL
TRAFFICO DEI MINORI.
FINO
A 10 ANNI DI CARCERE PER I RESPONSABILI
LOMÈ. = Una legge per punire i
trafficanti di bambini è stata approvata all’unanimità dal Parlamento togolese.
In base alla nuova legislazione, la prima nel Paese a regolamentare la delicata
materia, i responsabili di traffico di minori e i loro collaboratori potrebbero
scontare fino a 10 anni di carcere e pagare sanzioni fino a 10 milioni di
franchi Cfa (oltre 15.000 euro). Il provvedimento, che deve ancora entrare
ufficialmente in vigore, si prefigge di punire tutti coloro che reclutano,
trasportano, danno alloggio e sfruttano i bambini, ma anche i genitori o i
familiari che si rendono complici di questi traffici. È inoltre previsto che i
genitori o i tutori che accompagnano i minori fuori dal Paese si procurino
un’autorizzazione legale. Per gli organismi umanitari presenti in Togo, il
provvedimento è un primo importante passo, ma c’è ancora molta strada da fare,
per esempio formando personale e ottenendo un maggiore coordinamento tra i vari
ministeri che si occupano del problema. Secondo il dicastero togolese degli
Affari sociali, sono circa 3.000 i piccoli intercettati ogni anno ai confini
del Togo, pronti per essere venduti ad altri Stati, spesso a scopi di
prostituzione. (T.C.)
AVVIATE
IN THAILANDIA INDAGINI SU VIOLENZE IN CAMPO PROFUGHI
NEL DISTRETTO DI PHOP
PHRA CHE OSPITA MIGLIAIA DI RIFUGIATI
BANGKOK. = Il ministro
dell’Interno di Bangkok ha avviato un’inchiesta per verificare la fondatezza di
presunte violenze e abusi in un campo profughi nel distretto di Phop Phra, sul
confine occidentale con il Myanmar. Secondo il giornale locale The Nation,
l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR) ritiene molto
seria la situazione e ha fatto pressioni per aprire un’indagine sul caso.
Giorni fa, 33 rifugiati di etnia karen, soprattutto donne, a cui si sono poi aggiunti
altre 23 persone, hanno rotto il silenzio denunciando un gruppo di poliziotti
locali di molestie, abusi, estorsione e sequestro. Il campo di Phop Phra ospita
100.000 rifugiati dal Myanmar, in gran parte appartenenti alla minoranza karen
perseguitata in patria. La stampa lo descrive come una “terra di nessuno” dove
i rifugiati sono vittime dei più diversi traffici. Il capo della polizia di
Phop Pha ha negato il coinvolgimento dei suoi uomini e parla di incomprensioni
e vendette, ma anche il governatore del distretto ha avviato una serie di
accertamenti. (T.C.)
INDONESIA: DALLA TRAGEDIA DELLO TSUNAMI LA
RINASCITA DEL DIALOGO
TRA
FEDI DIVERSE. MUSULMANI E VOLONTARI DI ALTRE RELIGIONI COLLABORANO
PER LA RICOSTRUZIONE DEI VILLAGGI DISTRUTTI
MEDAN . = La tragedia
dello tsunami ha contribuito a ristabilire un dialogo aperto e positivo
tra i musulmani indonesiani e i volontari di altre religioni accorsi in Indonesia
per portare aiuti. Lo confermano, ad oltre sette mesi dal maremoto, monsignor
Alfred Gonti Pius Datubara, arcivescovo di Medan, città in cui hanno cercato
riparo migliaia di sfollati provenienti da Aceh, la provincia indonesiana più
colpita, e padre Bren Brevoort, guardiano della Curia generalizia dei Frati
minori Cappuccini a Roma, nato e cresciuto in Indonesia. Intervistati
dall’agenzia Misna i religiosi hanno ribadito che la popolazione di Aceh,
regione di stretta osservanza islamica, ha accolto e continua ad accogliere
bene gli aiuti provenienti da organismi umanitari di tutte le confessioni. “Ad
Aceh – afferma monsignor Datubara – ci sono moltissimi volontari di ogni fede:
musulmani e cristiani, ma anche buddisti e indù. L’arcidiocesi di Medan ha costituito
un organismo temporaneo per il coordinamento degli aiuti tra cristiani e
islamici e tutti - prosegue il presule - proprio tutti, hanno lavorato e stanno
lavorando con grande impegno per la ricostruzione”. Padre Brevoort, testimone
della crisi causata dal post-tsunami, cita qualche esempio: “A Meulaboh, la
città più colpita dal maremoto insieme con Banda Aceh, inizialmente c’era un movimento
islamico che cercava di opporsi alla distribuzione di aiuti da parte di non
musulmani, ma la gente del luogo si è ribellata accettando i soccorsi al di là
della fede religiosa di chi porta aiuto”. Reazione analoga quella degli
abitanti di Simeulue, un’isola nella provincia di Aceh, in cui ci sono state
poche vittime ma gravi danni. La popolazione ha accettato di buon grado libri e
altri materiali destinati agli edifici scolastici offerti da organismi cattolici.
“In passato non era così; per esempio – ricorda il Cappuccino - a Lhokseumawe,
una località sullo Stretto di Malacca, un centro di riabilitazione cattolico
per disabili fondato nel 1981 scatenò le proteste dei residenti, che chiesero
il trasferimento di tutti i pazienti in un ospedale del luogo; oggi è diverso,
oggi non si fa differenza tra centri sanitari cattolici e governativi”. “La
Chiesa aiuta per aiutare, per portare sollievo alla gente che soffre, e questo
la gente di Aceh lo ha capito”, ha aggiunto l’arcivescovo, specificando
soltanto che le organizzazioni umanitarie di ispirazione cattolica evitano di
usare sigle specifiche che le connotino come tali e anche i sacerdoti
preferiscono non mettere in evidenza simboli religiosi. Dopo il maremoto, che
secondo l’ultimo bilancio in Indonesia ha causato 228.429 morti e 132.000
dispersi, “gli abitanti locali hanno dimostrato molta buona volontà ma scarsa
esperienza, mentre gli operatori delle agenzie umanitarie internazionali
avevano un’adeguata formazione ma mancavano di conoscenze specifiche relative
alla cultura del Paese in cui erano stati inviati”, sintetizza padre Brevoort.
Si sono creati così fraintendimenti e qualche incomprensione: a Meulaboh, per
esempio, dopo una ponderata riflessione è stato raggiunto un compromesso
positivo per un progetto di ricostruzione di 80 abitazioni (di cui 10 sono già
in piedi), realizzato con il contributo di Caritas Germania e Italia, Catholic
Relief Service (Crs) e Missio-Germania. (T.C.)
ONUCI, MISSIONE DELLE NAZIONI UNITE IN COSTA
D’AVORIO, DENUNCIA INAMMISSIBILI LIMITAZIONI ALLE SUE OPERAZIONI DOPO GLI ATTI
DI VIOLENZA IN ALCUNE CITTÀ
Abidjan.= La
missione delle Nazioni Unite in Costa d’Avorio, ONUCI, ha denunciato episodi di
ostruzionismo e impedimenti allo svolgimento del suo mandato che definisce “inammissibili”.
Il portavoce della missione Hamadoun Toure ha portato all’attenzione in
particolare due casi: nel primo, un team composto da esperti dei diritti umani
e agenti della polizia ha dovuto far rientro da Agboville, a 70 chilometri
dalla capitale Abidjan, senza aver potuto valutare la situazione dopo i
violenti scontri avvenuti tra il 23 e il 24 luglio e costati la vita ad almeno
13 miliziani. “Mentre gli esperti dell’ONU incontravano le autorità locali – ha
detto Toure – uomini armati e incappucciati hanno fatto irruzione nella stanza
impedendo i colloqui e costringendoli ad andarsene”. L’altro episodio riguarda
un convoglio delle forze francesi dell’operazione “Licorne” che avrebbe dovuto
portare rifornimenti alle truppe sudanesi dell’ONUCI a San Pedro, ma al quale
attivisti filogovernativi hanno impedito di raggiungere la città. Toure ha
aggiunto che simili episodi si sono verificati in diverse zone del Paese sotto
il controllo del governo, sia per mano delle Forze di difesa e di sicurezza di
Abidjan, sia da parte della popolazione civile. Il portavoce dell’ONUCI ha
chiesto maggiore collaborazione dalle parti in campo ricordando che la missione
ONU si trova nel Paese su loro richiesta. (T.C.)
il
ventitreesimo Capitolo generale delle Suore Missionarie di Nostra
Signora d’Africa, note come suore bianche, ha
eletto la nuova superiora generale: È suor maria del pilar benavente
ROMA. = Il ventitreesimo
Capitolo generale delle suore missionarie di Nostra Signora d’Africa,
conclusosi nei giorni scorsi a Roma sul tema “Celebrate e costruite la nostra comunione
per la missione”, ha eletto come nuova superiora generale suor Maria del Pilar
Benavente Serrano. Ai lavori hanno preso parte 42 delegate di 17 Paesi. Le
riflessioni sono state centrate sull’attualità del carisma della Congregazione,
fondata nel 1869 da monsignor Charles Lavigerie, arcivescovo di Algeri. Il nome della Congregazione delle Suore
Missionarie di Nostra Signora d'Africa, più conosciute come Suore Bianche,
esprime la loro vocazione: nate in Africa e per l'Africa, solidali con gli
africani, attente ai loro problemi e impegnate per il loro avvenire. L'impronta
che monsignor Lavigerie, fondatore anche dei Padri Bianchi, volle inculcare nei
suoi missionari è riassunta nelle parole di San Paolo "Mi son fatto tutto
a tutti per salvarne ad ogni costo qualcuno", un metodo apostolico che
valorizza le culture dei vari popoli, di solidarietà e di costante adattamento
ispirato dalla carità apostolica, da lui definita "l'arma vincente che penetra
i cuori". (T.C.)
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A cura di Eugenio Bonanata -
L’Iran
si avvia a respingere le proposte dell’Unione Europea per evitare la riattivazione
del programma nucleare di Teheran. Intanto, il nuovo presidente della
Repubblica Islamica, l’ultraconservatore Ahmadinejad, ha prestato giuramento
davanti al parlamento affermando che difenderà l’indipendenza del Paese. Il nostro
servizio:
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Ahmadinejad si è insediato a
tutti gli effetti come nuovo presidente dell’Iran, trovandosi subito sul tavolo
una questione, quella del nucleare, che si fa sempre più rovente. Nel suo
giuramento ha avvertito che l’Iran rispetterà le norme internazionali ma ha
anche specificato che mai accetterà la “sottomissione” a qualsiasi altra
Nazione. Ed è palese il riferimento polemico a Stati Uniti, da un lato, e Unione
Europea, dall’altro, cui l’Iran si contrappone nella crisi suscitata dal suo
programma di sviluppo nucleare. Proprio su questo fronte, infatti, le autorità
iraniane hanno definito ancora oggi come “inaccettabili” le proposte di
cooperazione avanzate da Gran Bretagna, Francia e Germania in alternativa alla
ripresa del programma di sviluppo nucleare di Teheran. L’Iran rischia, così, di
essere denunciato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per violazione
del Trattato di Non Proliferazione, subendo le conseguenti sanzioni. Se è vero
che la risposta ufficiale alle proposte europee si avrà oggi o domani,
tuttavia, è anche vero che i toni adottati da Ahmadinejad nel suo primo atto
ufficiale non sono stati certo di apertura. “Giuro sul Corano, davanti al
popolo e ad Allah, - ha avvertito - di proteggere l’indipendenza politica, economica
e culturale del Paese”. Intanto, una
delegazione dell’Aiea, l'Agenzia Internazionale dell'Onu per l'Energia Atomica,
è in arrivo nel Paese islamico per sorvegliare la riapertura dell’impianto di
Isfahan, minacciata da Teheran.
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Sanguinosi attentati in diverse città dell’Iraq, da Baghdad a
Samarra, hanno ucciso almeno 4 persone e ferito altre 10. Intanto, le truppe
americane hanno lanciato una vasta offensiva contro gruppi ribelli nella valle
dell’Eufrate, nella zona nord-occidentale del Paese. Sul piano politico,
invece, è stata rinviata a domani la riunione della commissione chiamata a
redigere la bozza della nuova Costituzione.
Sempre alta la tensione nella Striscia di Gaza, dove un attivista
palestinese è stato ucciso mentre tentava di piazzare un ordigno nei pressi
degli insediamenti di Gush Katif. Ieri, invece, è stato giorno di sciopero generale per gli arabi israeliani,
proclamato in seguito alla morte di 4 arabi, avvenuta giovedì scorso, per mano
di un estremista ebreo. Un gesto, questo, duramente condannato non solo da Onu
e Stati Uniti ma anche dalla gente comune.
Misure severe per prevenire
qualsiasi azione terroristica. È questa la risposta del premier britannico
Blair alle minacce a Stati Uniti e Gran Bretagna, del numero due di Al Qaeda,
Al Zawahiri, accusato da Blair di essere all’origine degli attentati di Londra.
Il servizio da Londra:
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Il primo ministro ha illustrato
le linee-guida del nuovo pacchetto anti-terrorismo. Ha annunciato che verranno
introdotte nuove misure di rimpatrio contro gli estremisti religiosi e che la
Gran Bretagna potrebbe limitare anche i diritti umani al fine di facilitare le
espulsioni dei predicatori d’odio e di violenza. A chi nei giorni scorsi aveva accusato il governo di aver
permesso la formazione di ‘londonistan’, paradiso dei radicali islamici che a
Londra avevano trovato asilo politico, Blair risponde secco: ‘Niente più rifugio
a chi è in odore di terrorismo!’. E grazie ai nuovi provvedimenti, due note
organizzazioni integraliste, il cui obiettivo è la conversione del mondo
all’islamismo, saranno fuori legge. Applausi dall’opposizione conservatrice,
più cauti i liberal-democratici e i gruppi dei diritti civili: Blair – dicono –
provocherà lo scontro tra i gruppi etnici e la ribellione dei giovani musulmani.
Da Londra, per la Radio
Vaticana, Sagida Syed.
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E la preoccupazione dell’opposizione britannica è condivisa anche
da Amnesty International. Sentiamo Andrea Matricati, vicepresidente della
sezione italiana, intervistato da Debora Donnini:
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R. – Le
preoccupazioni di Amnesty International riguardano il rischio che espulsioni
più rapide rendano ovviamente più difficile la richiesta di diritto d’asilo da
parte di chi ne ha diritto e la possibilità che valide richieste siano esaminate
con l’opportuna equità ed attenzione. La preoccupazione è anche che non ci sia
una necessaria distinzione tra quelle che sono le opinioni e le istigazioni
direttamente collegate ad atti criminali. Invece, apprezziamo che qualsiasi
rimpatrio ed espulsione avverrà solo verso Paesi che non mettono a rischio la
vita o l’incolumità fisica e psichica delle persone, nel rispetto del diritto internazionale.
Ovviamente, apprezziamo il fatto che abbia dato importanza al dialogo con le
comunità musulmane, oltre al fatto che condividiamo pienamente la condanna di
tutti gli attentati contro i civili in Iraq, Afghanistan, come in Europa.
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Si va popolando da ore New site, il vecchio accampamento
dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan, dove almeno mezzo milione di
persone parteciperà oggi ai funerali del vice-presidente John Garang. Poco fa
la salma dell'ex comandante delle milizie del sud è giunta a Juba ed è stata
subito trasferita nella cattedrale anglicana di Tutti i Santi, dove verrà
celebrato il servizio funebre. La formazione del nuovo governo, intanto, è
stata rimandata in segno di lutto per la scomparsa del vicepresidente.
C’è preoccupazione nella comunità internazionale per gli
effetti politici del golpe dello scorso mercoledì in Mauritania che ha
esautorato il presidente Taya. Avviate consultazioni e incontri tra i leader
dell’Unione Africana per individuare un’adeguata strategia d’azione. Il
servizio è di Giulio Albanese:
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La giunta militare, che ha preso
il potere in Mauritania mercoledì scorso con un colpo di Stato incruento, ha
autorizzato ieri la moglie ed i quattro figli del presidente destituito, Taya,
a lasciare il Paese. Intanto, il presidente dell’Unione Africana, il nigeriano
Luseguno Obansanjo, ha avviato le consultazioni con gli altri capi di Stato e
di governo del continente per concertare - si legge in una nota diffusa ad
Abuja - una risposta politica al golpe. Sempre ieri, inoltre, il consiglio di
pace e sicurezza dell’Unione Africana ha sospeso la Mauritania dall’Organismo
continentale, definendo il colpo di Stato come un “atto inaccettabile”, in
ottemperanza, peraltro, al regolamento interno dell’Unione. Nel frattempo,
l’ormai ex Presidente della Mauritania Maaouya Ould Sid'Ahmed Taya è uscito
allo scoperto e nella prima intervista dal golpe concessa a Radio France si è
detto sorpreso e ha definito il colpo di Stato come “il più insensato e
drammatico che sia mai stato visto in Africa”.
Per la Radio Vaticana, Giulio
Albanese.
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Nuove elezioni si svolgeranno in Etiopia per 29 circoscrizioni a
causa di brogli registrati alle legislative del 15 maggio scorso. Ad annunciarlo
è stata la Commissione nazionale elettorale proprio dopo aver esaminato le
numerose denunce pervenute in questi mesi. Le elezioni si terranno il 21 agosto
in un clima ancora teso dopo le violenze esplose ad Addis Abeba a giugno,
quando la polizia aprì il fuoco sulla folla uccidendo 37 persone. Per risolvere
l’attuale crisi politica i due principali partiti dell’opposizione etiope hanno
proposto al premier Melles Zenawi la creazione di un governo di unità
nazionale.
14 milioni di venezuelani domani al
voto per scegliere seimila amministratori municipali. Secondo l’opposizione,
che ha esortato a boicottare le elezioni, la consultazione rappresenta un vero
e proprio referendum sul presidente Hugo Chavez. Il servizio di Maurizio Salvi:
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Il vice-presidente José Vicente
Rangel ha invitato i venezuelani a recarsi alle urne, sostenendo che gli
appelli all’astensione effettuati dall’opposizione vadano respinti perché impregnati
di gollismo. Al di là dell’appuntamento elettorale, ad ogni modo, il governo di
Caracas si compiace per gli sviluppi positivi dell’economia determinati dal
prezzo del petrolio quotidianamente
alle stelle sui mercati internazionali. Questo, infatti, permette al presidente
Chavez e ai suoi collaboratori di finanziare numerosi progetti sociali,
educativi e sportivi realizzati spesso in associazione con cooperanti cubani.
Maurizio Salvi, ANSA, per la
Radio Vaticana.
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Tre soldati russi sono morti in seguito all’esplosione di una mina
in Cecenia. Un quarto militare e due poliziotti sono rimasti uccisi, inoltre,
in diversi episodi di violenza con i separatisti ceceni.
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