RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 218 - Testo della trasmissione di sabato 6 agosto 2005

 

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La visita di Benedetto XVI al fratello, mons. Georg Ratzinger, dimesso questa mattina dal Policlinico Gemelli, dopo l’intervento di giovedì

 

Lo zelo apostolico di Paolo VI ricordato in una Messa di suffragio in San Pietro da mons. Angelo Comastri, nel 27.mo della morte di Papa Montini

 

Eliminare l’utilizzo di armi definite convenzionali con effetti a lungo termine. A Ginevra l’intervento di mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Circa 55 mila persone a Hiroshima per i 60 anni dalla prima bomba atomica. Da Kofi Annan il monito sul rischio di una proliferazione nucleare a catena: con noi Angelo Baracca

 

In Kamciatka, corsa contro il tempo per salvare i marinai del batiscafo rimasto intrappolato nel fondo del Pacifico: ce ne parla Sergio Romano

 

“Le farfalle non muoiono in cielo”: è il titolo scelto per un libro che racchiude in una storia d’amore l’utopia di pace. L’autrice è Barbara Schiavulli, giornalista e collaboratrice della nostra emittente: con noi l’autrice, Martino Siniga e Anna Maria Mori

 

Il Vangelo di domani: il commento di padre Marko Ivan Rupnik

 

CHIESA E SOCIETA’:

In Togo il Parlamento approva una legge contro il traffico dei minori

 

Avviate in Thailandia indagini su violenze in campo profughi nel distretto di Phop Phra che ospita migliaia di rifugiati

 

Indonesia: dalla tragedia dello Tsunami la rinascita del dialogo tra fedi diverse

 

La missione delle Nazioni Unite in Costa d’Avorio denuncia inammissibili limitazioni alle sue operazioni dopo gli atti di violenza in alcune città

Il XXIII Capitolo generale delle Suore Missionarie di Nostra Signora d’Africa, note come Suore Bianche, ha eletto la nuova superiora generale

 

 

24 ORE NEL MONDO:

Blair annuncia severe misure antiterrorismo in risposta alle minacce di Al Qaeda

 

L’Iran rispetterà le norme internazionali ma non accetterà mai la “sottomissione” a qualsiasi altra nazione: così il presidente al Parlamento

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

6 agosto 2005

 

 

LA VISITA DI BENEDETTO XVI AL FRATELLO, MONS. GEORG RATZINGER,

DIMESSO QUESTA MATTINA DAL POLICLINICO GEMELLI,

DOPO L’INTERVENTO DI GIOVEDI’

 

Mezz’ora di visita al Policlinico Gemelli per accertarsi sulle condizioni di salute del fratello e ripartire rinfrancato. E’ trascorsa così una parte del pomeriggio di ieri di Benedetto XVI, che ha voluto salutare di persona mons. Georg Ratzinger, dimesso questa mattina dal Gemelli, dopo il ricovero d’urgenza di mercoledì scorso e l’intervento chirurgico del giorno successivo per l’impianto di un pacemaker. La cronaca nel servizio di Alessandro De Carolis.

 

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Poco dopo le 17.00, il Papa è giunto in elicottero da Castel Gandolfo atterrando all’eliporto dell’ospedale romano. Di lì, ha raggiunto in auto l’ingresso principale, accolto dalle autorità sanitarie del Gemelli e dagli applausi dei molti pazienti e visitatori affacciati alle finestre per salutarne l’arrivo inatteso. Prima di salire al decimo piano, dov’era ricoverato il fratello, Benedetto XVI ha sostato brevemente in preghiera nella cappellina. Poco dopo ha potuto pregare qualche minuto in compagnia del fratello, attorniato dal cappellano del Policlinico, don Decio Cipolloni e da alcune suore. Scendendo poi dalla stanza, il Papa ha fatto una piccola sosta nei pressi della cappellina, davanti ad una statua che raffigura la Madonna nell’atto di sollevare tra le braccia Giovanni Paolo II. Quindi, ha stretto mani e salutato alcuni bambini nella piccola folla radunatasi per festeggiarlo. Ecco le parole del papà di Monica, una delle bambine abbracciate da Benedetto XVI:

 

“Monica ha detto ‘ciao’ al Papa. Il Papa l’ha presa in braccio e le ha dato un bacio in fronte”.

 

Benedetto XVI, infine, ha rassicurato i presenti sulle stato di salute di mons. Ratzinger ed ha raggiunto in auto l’eliporto del Gemelli per fare rientro a Castel Gandolfo, dove il fratello lo ha nuovamente raggiunto nella mattinata di oggi.

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LO ZELO APOSTOLICO DI PAOLO VI RICORDATO, NELLA MESSA DI SUFFRAGIO

IN SAN PIETRO, DA MONS. ANGELO COMASTRI,

NEL 27.MO DELLA MORTE DI PAPA MONTINI

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

         Un “uomo afferrato da Cristo”, come l’Apostolo di cui scelse di portare il nome: è il ritratto di Paolo VI che l’arcivescovo Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, ha fatto stamattina nell’omelia della Messa da lui celebrata all’Altare della Cattedra della Basilica Vaticana. Nel giorno del 27° anniversario della morte di Papa Montini - avvenuta a Castel Gandolfo il 6 agosto 1978, Festa della Trasfigurazione del Signore – mons. Comastri ha ricordato alcuni aspetti salienti della personalità di Paolo VI, desunti da alcuni suoi scritti, precedenti e successivi all’elezione pontificia, avvenuta nel 1963. Mons. Comastri ha messo in risalto “l’urgenza” della carità manifestata dal futuro Pontefice in una lettera scritta nel 1930 a un suo amico sacerdote, che aveva rifiutato di collaborare con lui nella FUCI, la Federazione degli universitari cattolici, per poi citare le celebri parole che l’allora mons. Montini, all’inizio della sua missione come arcivescovo di Milano, rivolse ai ‘lontani’ dalla Chiesa, scusandosi con loro per la cattiva testimonianza offerta in qualche caso dal clero:

 

“'Talora il loro anticlericalismo nasconde uno sdegnato rispetto per le cose sacre, che credono in noi avvilite. Ebbene, se è così, fratelli lontani, perdonateci!' In queste vibranti parole c’è il missionario, c’è l’apostolo, c’è l’uomo che avrebbe scritto l’Evangelii nuntiandi. C’è già il credente appassionato che il 29 novembre 1971 a Manila, di fronte ad una folla strabocchevole, avrebbe gridato così: 'A voi cristiani io ripeto il suo nome, a tutti lo annuncio: Gesù Cristo!'”.

 

L’intero servizio ministeriale di Papa Montini - ha sottolineato mons. Comastri - fu attraversato “dal desiderio di annunciare Cristo a tutti, come Paolo”. Un nome che – annota ancora il vicario del Papa, citando lo stesso Paolo VI – costui si impose  “per ammirazione dell’Apostolo missionario che porta il Vangelo al mondo, al suo tempo, con criteri di universalità: il prototipo della cattolicità”. E in conclusione dell’omelia, osserva ancora:

 

“E con meravigliosa sintonia, assumendo ogni volta tonalità personali e inconfondibili, il fremito apostolico che Paolo VI aveva ereditato da Pio XI e da Giovanni XXIII è passato inalterato nel cuore di Giovanni Paolo I ed è esploso, con impeto irrefrenabile, nel lungo  e denso pontificato di Giovanni Paolo II, per riaffiorare nei primi accenti del nuovo Pontefice, Benedetto XVI (…) Benediciamo il Signore per il dono del ministero petrino, uno e vario, attraverso il quale Gesù ci guida nel cammino bello della fede”.

 

 

ELIMINARE L’UTILIZZO DI ARMI DEFINITE CONVENZIONALI CON EFFETTI

A LUNGO TERMINE. A GINEVRA L’INTERVENTO DI MONS. SILVANO TOMASI,

OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE PRESSO L’ONU

 

Eliminare l’utilizzo di armi definite convenzionali che possono avere effetti a lungo termine. Se ne discute fino al 12 agosto a Ginevra, dove si sta svolgendo un incontro che ha come tema la Convenzione sull’interdizione o limitazione dell’uso di alcune armi convenzionali che possono produrre effetti traumatici eccessivi o indiscriminati. All’undicesima sessione del gruppo di esperti governativi degli Stati firmatari del documento ha preso parte monsignor Silvano Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite e le Istituzioni specializzate a Ginevra. Il problema più discusso è stato quello dell’uso delle bombe a frammentazione. Tiziana Campisi ha chiesto a monsignor Tomasi quali conseguenze causano questi tipi di ordigni:

 

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R. - Queste bombe a frammentazione sono state usate, per esempio, nelle guerre recenti, nella guerra del Golfo del ‘91, la guerra in Kossovo, Jugoslavia, nel ‘99, in Afghanistan nel 2001-2002 e specialmente all’inizio della guerra nell’Iraq nel 2003. Sono state usate bombe che quando vengono gettate spargono su un vasto territorio, delle bombe più piccole che spesso non esplodono o di cui una percentuale abbastanza significativa non esplode. Hanno quindi conseguenze più tardi, quando bambini o lavoratori, o contadini riprendono la vita normale: queste bombe scoppiano, creando quindi migliaia di vittime o persone ferite, mutilate.

 

D. – Come osservatore permanente presso l’ufficio delle Nazioni Unite, le istituzioni specializzate a Ginevra, quale posizione lei ha riportato della Santa Sede a proposito dell’utilizzo di queste armi?

 

R. – Ho chiesto che prima di tutto si crei un gruppo di riflessione e si utilizzi un momento di pausa per consultazioni tra gli Stati, in modo da vedere quali sono veramente i dati precisi dell’impatto umanitario di queste armi, di queste bombe in particolare. Poi che si lavori in seconda battuta per sviluppare un protocollo addizionale o un accordo internazionale, che elimini completamente l’uso di queste bombe a frammentazione per l’effetto deleterio che hanno, sproporzionato alla loro efficacia militare.

 

D. – Come è stata accolta questa richiesta durante la sessione dei lavori?

 

R. – E’ stata accolta con molto interesse, soprattutto dalla società civile e dalle coalizioni di gruppi di organizzazioni non governative. Vari governi sono venuti personalmente a felicitare la delegazione della Santa Sede per aver introdotto in maniera credibile, realistica, questa iniziativa di cui si sente il bisogno da tanto tempo.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina un articolo sulle misure antiterrorismo annunciate dal Primo Ministro britannico, Tony Blair: espulsioni più facili per chi giustifichi o incoraggi la violenza.

La visita di Benedetto XVI al Policlinico "Gemelli" dove il fratello (dimesso stamane) è stato sottoposto ad un intervento.

 

Nelle vaticane, la Lettera del Papa al cardinale Julian Herranz per il cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale.

L'omelia dell'arcivescovo Angelo Comastri durante la Concelebrazione Eucaristica - presieduta stamane nella Basilica Vaticana - in memoria del servo di Dio Paolo VI, nel XXVII anniversario della morte.

 

Nelle estere, l'intervento della Santa Sede, a Ginevra, in occasione dell'XI sessione del gruppo di esperti della Convenzione sull'interdizione o limitazione dell'uso di alcune armi che possono produrre effetti traumatici eccessivi o indiscriminati: "Promuovere un maggior impegno della comunità internazionale nei confronti degli ordigni militari che hanno gravi impatti umanitari".

Hiroshima: appello del sindaco - nel sessantesimo anniversario del bombardamento - affinché siano eliminate le armi atomiche nel mondo.

 

Nella pagina culturale, un elzeviro di Mario Gabriele Giordano dal titolo "Dante Troisi e il silenzio dei soloni".

 

Nelle pagine italiane, in primo piano il terrorismo.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

6 agosto 2005

 

 

 

CIRCA 55 MILA PERSONE A HIROSHIMA PER I 60 ANNI DALLA PRIMA BOMBA ATOMICA.

DA KOFI ANNAN IL MONITO SUL RISCHIO

DI UNA PROLIFERAZIONE NUCLEARE A CATENA

- Intervista con Angelo Baracca -

 

Circa 55 mila persone hanno partecipato questa mattina alla cerimonia che si è tenuta a Hiroshima per commemorare le vittime della bomba atomica. Quest’anno la celebrazione segna i sessanta anni dalla tragedia ma anche la chiusura dell’”anno di memoria e azione per un mondo denuclearizzato”, promosso nel 2004 dal sindaco della città giapponese simbolo della pace. Il servizio di Andrea Cocco.

 

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Fu tristemente soprannominata “Little Boy” la bomba sganciata dal B29 americano alle 8 e 15 della mattina del 6 agosto 1945, sulla città di Hiroshima. Progettata per avere una capacità 2 mila volte superiore a qualsiasi altro ordigno, la sua potenza distruttrice non aveva precedenti nella storia dell’umanità. Si calcola che 140 mila persone, su 350 mila abitanti sono morte a causa dell’esplosione e delle radiazioni che continuano a produrre i loro effetti. Un solo edificio è rimasto in piedi al centro di Hiroshima: l’A-Bomb Dome. Ed è proprio davanti allo scheletro di questa costruzione, oggi monumento alle vittime, che si è svolta la solenne cerimonia di commemorazione. Un lancio di migliaia di colombe, a testimoniare come l’esigenza della pace sia ancora viva, un lungo silenzio, rispettato dalla folla a partire dal momento esatto in cui la bomba toccava il suolo 60 anni fa. E poi le corone di fiori depositate da bambini davanti al memoriale delle vittime. Vestiti di nero, nel parco della rimembranza, c’erano anche gli Hibakusha, i sopravvissuti del 6 agosto. A loro si è rivolto il segretario generale delle Nazioni Unite, Koffi Annan, che in un messaggio letto sul palco ha ricordato come il rischio della armi nucleari rimanga attuale. “Oggi siamo tutti Hibakusha”, ha detto Annan. Un messaggio raccolto dal sindaco di Hiroshima Tadatoshi Akiba che, promotore in questi anni di molte iniziative per la pace e la de-nuclearizzazione, ha lanciato un appello per l’abolizione di tutte le armi atomiche. Contestazioni e slogan sono invece piovute sul premier giapponese Junichiro Koizumi, che ha esaltato il ruolo di Hiroshima come città globale della pace. A lanciarle un gruppo di pacifisti che definiscono ipocrite le celebrazioni e contestano la partecipazione di Tokyo alla guerra in Irak. 

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“L’anniversario di Hiroshima dà a tutti noi l’occasione di riflettere sulla lezione della guerra”. Questo il messaggio dal presidente dell’Episcopato statunitense mons. William Skylstad in una lettera indirizzata al vescovo Augustinus Jun-ichi Nomura, a capo dell’Episcopato giapponese. “Le memorie della II guerra mondiale e della bomba” - si legge nella lettera - “obbligano la nostra conferenza e la Chiesa tutta a continuare a lavorare per la non proliferazione nucleare e l’eliminazione delle armi nucleari”. Nonostante gli sforzi compiuti dalla comunità internazionale, il percorso che dovrebbe portare alla eliminazione delle testate atomiche si è tuttavia pericolosamente interrotto. A giugno si è conclusa con un fallimento la Conferenza che avrebbe dovuto suggellare un ulteriore passo in avanti sul Trattato di Non proliferazione, lo storico accordo promosso da Stati Uniti e Urss in piena guerra fredda. Nessuna nuova iniziativa è stata lanciata per controllare la proliferazione né per rilanciare l’obiettivo del disarmo. Intervistato da Andrea Cocco, Angelo Baracca, professore di Fisica all’Università di Firenze e autore di un libro sull’argomento, spiega i motivi di questo fallimento:

 

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R. – Secondo me, è stato causato in primo luogo dagli Stati Uniti che hanno voluto cancellare ogni riferimento, anche i risultati delle conferenze precedenti. Particolarmente importanti erano quelli della Conferenza del 2000, in cui erano stati firmati 13 passi concreti per avviare realmente il disarmo nucleare, che è prescritto dall’articolo 6 del Trattato di non proliferazione del 1970. L’arma nucleare risulta troppo comoda come minaccia, come deterrente. Quindi, c’è la decisione di non liberarsi mai delle armi nucleari.

 

D. – A luglio, il Senato degli Stati Uniti ha concesso al governo uno stanziamento di 4 milioni di dollari per la costruzione di una nuova generazione di atomiche. La Gran Bretagna studia invece da tempo la realizzazione di un nuovo tipo di bomba nucleare da installare sui sottomarini. Che prospettive si aprono di fronte a questa nuova corsa agli armamenti?

 

R. – Purtroppo, secondo me, si aprono prospettive estremamente allarmanti, perché i trattati internazionali esistenti prendono in considerazione, per metterle al bando, solo le armi esistenti, che si basano sulla reazione a catena nell’uranio o nel plutonio, che ha alcuni inconvenienti, perché è una reazione molto sporca, che produce molta radioattività, per cui queste testate creano problemi, se uno vuole usarle sul campo di battaglia. Le armi di tipo nuovo che si ricercano, di cui si sa anche molto poco, dovrebbero basarsi su processi di tipo nuovo, creando appunto armi che non ricadano nei trattati esistenti, non abbiano gli inconvenienti che dicevo. E così si arriverebbe proprio ad un far-west nucleare in cui qualunque controllo venga eliminato. Per questo io credo che oggi bisogna mobilitarsi per ottenere immediatamente l’eliminazione di tutte le armi nucleari, perché domani potrebbe essere troppo tardi. 

 

D. - Le nuove tecnologie a disposizione e lo smantellamento degli arsenali delle ex repubbliche sovietiche aprono al rischio che non solo le potenze minori ma anche i gruppi terroristici accedano all’atomica…

 

R. – Indubbiamente questi rischi ci sono. Chiaramente fra il disporre del materiale e fare una bomba ce ne corre. Occorre avere poi anche dei lanciatori, perché una bomba non si può tirare con una fionda. Questo, da parte dei gruppi terroristici, sembra per fortuna problematico. Quanto agli Stati, indubbiamente questo rischio esiste, bisogna però stare anche molto attenti. Certo è una tecnologia a doppio uso, perché si può arricchire ulteriormente l’uranio e fare delle bombe. La gente, però, deve essere consapevole che il problema non è solo l’Iran, la Corea o altri Stati. Basterebbe ricordare che la Germania e il Giappone, a differenza dell’Iran, possono farsi una bomba nel giro di pochi mesi.

 

D. - Come garantire oggi i controlli sul nucleare?

 

R. Nel trattato di non proliferazione esistono i controlli delle agenzie internazionali per l’energia atomica. Quindi, oggigiorno esistono i mezzi per verificare il disarmo nucleare totale completo. Ci vuole l’accordo anche a proibire la ricerca di armi nucleari future. Ma se non  si eliminano queste di oggi, come si fa ad imporre anche la proibizione ad elaborare armi future?

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IN KAMCIATKA CORSA CONTRO IL TEMPO PER SALVARE I MARINAI

DEL BATISCAFO INTRAPPOLATO NEL FONDO DEL PACIFICO
- Intervista con Sergio Romano -

 

Continuano gli sforzi per salvare i 7 marinai del batiscafo russo rimasto bloccato nel fondo del Pacifico, a sud della penisola di Kamciatka. Il presidente russo Vladimir Putin ha tenuto, stamani, una riunione con i vertici della sicurezza del Paese per raccogliere dettagli sull’incidente. In serata è previsto, inoltre, un tentativo di salvataggio ad opera di squadre di soccorso russe, americane e britanniche. Il servizio di Giuseppe d’Amato:

 

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Tentativo dopo tentativo, i russi le stanno provando proprio tutte. Il mini-sommergibile è prigioniero di un’antenna per il controllo costiero e non di una rete da pesca come era stato comunicato in un primo momento. Inizialmente sono state gettate ancore, sperando di strappare ciò che non permette l’emersione del batiscafo. Successivamente, con un cavo è stata agganciata l’imbarcazione. Tecnologia sofisticata permette, inoltre, la visione sott’acqua. Ieri all’alba, il batiscafo è stato trainato per circa un chilometro verso acque più basse ed un banco di sabbia. Lo ha reso noto l’ammiraglio Viktor Fyodorov, della flotta del Pacifico. Nelle prossime ore, dovrebbero entrare in azione i sommozzatori. Ma l’operazione è ancora estremamente lenta e non si sa ancora quanto ossigeno rimanga dentro al batiscafo. Presto dovrebbero arrivare gli aiuti internazionali. La corsa contro il tempo continua.

 

Da Mosca, per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.

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L’incidente del batiscafo riporta alla memoria una tragedia costata la vita a 118 marinai: quella del Kursk, il sottomarino russo affondato il 12 agosto del 2000. In questo caso, diversamente da quanto accaduto cinque anni fa, le autorità di Mosca hanno chiesto aiuto a squadre di soccorso straniere. Questa decisione della Russia è dettata solo dalla gravità della situazione o è anche il segnale di un cambio di mentalità? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto all’ex ambasciatore italiano in Russia, Sergio Romano:

 

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R. – Le ragioni possono essere più d’una. Innanzitutto, una delle ragioni potrebbe essere proprio l’esperienza fatta allora: il governo vuole evitare di essere messo sul banco degli accusati dalla propria opinione pubblica nell’eventualità di un disastro e quindi corre ai ripari fin d’ora facendo appello all’assistenza internazionale. Potrebbe esserci anche un’altra ragione: nel caso della tragedia del sottomarino nucleare del 2000, è possibile che la Russia non abbia voluto chiamare in aiuto potenze straniere perché voleva mantenere la segretezza. Nel caso del batiscafo, invece, l’esigenza della segretezza è minore.

 

D. – Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la gestione e il monitoraggio dell’arsenale militare sovietico rimangono punti cruciali. Come sta affrontando queste insidie il governo di Mosca?

 

R. – Il governo di Mosca è alle strette perché ha ereditato dall’Unione Sovietica un’enorme potenza militare, ma mancano i mezzi economico-finanziari per mantenere quella straordinaria potenza e conservarla in stato di efficacia. Non dimentichiamo che per un lungo periodo, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’economia russa ha singhiozzato. Tra il ’98 e il ’99 ha subito, peraltro, una pesante crisi. Adesso le cose vanno meglio: grazie all’aumento del prezzo del petrolio, il prodotto interno lordo sale del 6-7 per cento all’anno, ma non ci sono i soldi per tenere in piedi la grande macchina che l’Unione Sovietica aveva costruito.

 

D. – Quali nodi legano ancora l’eredità dell’ex patrimonio sovietico con l’attuale economia russa?

 

R. – Le forze armate russe erano anche il risultato delle straordinarie responsabilità internazionali dello Stato. Queste responsabilità internazionali sul piano geopolitico sono state ereditate dalla Russia di Eltsin e dalla Russia di Putin. Le forze armate, tuttavia, hanno enormemente cambiato il loro carattere. Nel sistema sovietico, erano il motore della ricerca, dell’innovazione e della modernizzazione del Paese. Tutto questo, in una economia che si è andata progressivamente privatizzando, non è più possibile. Questo pone diversi problemi perché le forze armate non sono più autonome: prima invece lo erano sotto molti aspetti.

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“LE FARFALLE NON MUOIONO IN CIELO”: E’ IL TITOLO SCELTO PER UN LIBRO

 CHE RACCHIUDE IN UNA STORIA D’AMORE L’UTOPIA DI PACE. L’AUTRICE

 E’ BARBARA SCHIAVULLI, GIORNALISTA E COLLABORATRICE

DELLA NOSTRA EMITTENTE

- Con noi l’autrice, Martino Siniga e Anna Maria Mori -

 

“Le farfalle non muoiono in cielo”: si intitola così il primo libro di Barbara Schiavulli, giornalista e collaboratrice della nostra emittente, edito da La Meridiana. Il romanzo racconta una storia d’amore tra una ragazza palestinese, kamikaze suo malgrado, e un soldato israeliano che tenta di fermarla. Nella seconda parte il libro, pieno di speranza e per qualche verso anche utopistico, immagina un futuro di pace in Medio Oriente. Il servizio di Isabella Piro:

 

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(musica)

 

“Ci sono cose più grandi di noi, cose che non possiamo capire. Nessuno sano di mente ammazzerebbe tanta gente se non avesse un buon motivo. Se no, staremmo tutti morendo per nulla”: così un soldato israeliano di fronte ad una ragazza kamikaze palestinese. Sono loro i due protagonisti de “Le farfalle non muoiono in cielo”. Una piccola storia d’amore, racchiusa in una storia di morte più grande, quella guerra tra israeliani e palestinesi che sembra non trovare pace. Ma ascoltiamo l’autrice:

 

“L’idea del libro è nata seguendo e vivendo – ho vissuto per quasi tre anni in Israele – e cercando di capire quali potessero essere le motivazioni per cui un ragazzino sale su un autobus e si fa esplodere. Ascoltando le famiglie, ascoltando le vittime, c’era l’interesse di raccontare una storia che potrebbe essere una storia di qualunque ragazzino palestinese che fa una scelta che è una scelta terribile”.

 

Secondo Martino Siniga, giornalista RAI intervenuto all’incontro di presentazione del testo, la forza del libro sta nella capacità di rendere semplice una questione difficile come quella del Medio Oriente:

 

“Il libro di Barbara Schiavulli consente di comprendere meglio alcune caratteristiche importanti dello scenario mediorientale”.

 

“Le farfalle non muoiono in cielo” è un libro coraggioso, ha detto la scrittrice Anna Maria Mori:

 

“Io ritengo che un libro che mette in scena la complessità, la contraddittorietà, la difficoltà di schierarsi sia un libro importante. La gente ha bisogno di porsi delle domande, non di avere risposte prefabbricate”.

 

Ma allora, se le farfalle non muoiono in cielo, dove muoiono? Ci risponde l’autrice:

 

“Non muoiono! Almeno, è quello che spero io!”.

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IL VANGELO DI DOMANI

 

 

Domani 7 agosto, 19a Domenica del Tempo Ordinario, il Vangelo ci presenta Gesù che cammina sulle acque verso la barca dei discepoli: questi, spaventati, lo scambiano per un fantasma. Ma il Signore li invita a non temere. Anche Pietro allora si mette a camminare sulle acque verso Gesù, ma per la violenza del vento inizia ad avere paura e cominciando ad affondare grida verso il Maestro che lo afferra dicendogli:

 

“Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”

 

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del teologo gesuita padre Marko Ivan Rupnik:

 

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Non è secondo la natura umana camminare sulle acque, ma Pietro cammina sulle acque andando verso Cristo che lo chiama. Il mare, le profondità delle acque sono già nei testi sapienziali immagine di un mondo disordinato, caotico, dell’agitazione delle passioni, in più, c’è la notte e un vento violento. Pietro, magari per un solo istante, presta attenzione a questo scenario, al buio sprofondato sotto i piedi, alla paura e ai pensieri che essa suscita e subito comincia ad affondare. Fino a quando la sua attenzione è fissa su Cristo, Pietro cammina sulle acque, perché è solo per la relazione con Lui che lo può fare. Perciò i Santi Padri insegnano a non accettare i pensieri di paura che, come in uno sciame, insistono per essere considerati. Insegnano a non dialogare con la tentazione, ma a fissare lo sguardo su Cristo, perché l’amicizia con lui è quell’amore che scaccia ogni paura.

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CHIESA E SOCIETA’

6 agosto 2005

 

 

IN TOGO, IL PARLAMENTO APPROVA UNA LEGGE CONTRO IL TRAFFICO DEI MINORI.

FINO A 10 ANNI DI CARCERE PER I RESPONSABILI

 

LOMÈ. = Una legge per punire i trafficanti di bambini è stata approvata all’unanimità dal Parlamento togolese. In base alla nuova legislazione, la prima nel Paese a regolamentare la delicata materia, i responsabili di traffico di minori e i loro collaboratori potrebbero scontare fino a 10 anni di carcere e pagare sanzioni fino a 10 milioni di franchi Cfa (oltre 15.000 euro). Il provvedimento, che deve ancora entrare ufficialmente in vigore, si prefigge di punire tutti coloro che reclutano, trasportano, danno alloggio e sfruttano i bambini, ma anche i genitori o i familiari che si rendono complici di questi traffici. È inoltre previsto che i genitori o i tutori che accompagnano i minori fuori dal Paese si procurino un’autorizzazione legale. Per gli organismi umanitari presenti in Togo, il provvedimento è un primo importante passo, ma c’è ancora molta strada da fare, per esempio formando personale e ottenendo un maggiore coordinamento tra i vari ministeri che si occupano del problema. Secondo il dicastero togolese degli Affari sociali, sono circa 3.000 i piccoli intercettati ogni anno ai confini del Togo, pronti per essere venduti ad altri Stati, spesso a scopi di prostituzione. (T.C.)

 

 

AVVIATE IN THAILANDIA INDAGINI SU VIOLENZE IN CAMPO PROFUGHI

NEL DISTRETTO DI PHOP PHRA CHE OSPITA MIGLIAIA DI RIFUGIATI

 

BANGKOK. = Il ministro dell’Interno di Bangkok ha avviato un’inchiesta per verificare la fondatezza di presunte violenze e abusi in un campo profughi nel distretto di Phop Phra, sul confine occidentale con il Myanmar. Secondo il giornale locale The Nation, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR) ritiene molto seria la situazione e ha fatto pressioni per aprire un’indagine sul caso. Giorni fa, 33 rifugiati di etnia karen, soprattutto donne, a cui si sono poi aggiunti altre 23 persone, hanno rotto il silenzio denunciando un gruppo di poliziotti locali di molestie, abusi, estorsione e sequestro. Il campo di Phop Phra ospita 100.000 rifugiati dal Myanmar, in gran parte appartenenti alla minoranza karen perseguitata in patria. La stampa lo descrive come una “terra di nessuno” dove i rifugiati sono vittime dei più diversi traffici. Il capo della polizia di Phop Pha ha negato il coinvolgimento dei suoi uomini e parla di incomprensioni e vendette, ma anche il governatore del distretto ha avviato una serie di accertamenti. (T.C.)

 

 

INDONESIA: DALLA TRAGEDIA DELLO TSUNAMI LA RINASCITA DEL DIALOGO

TRA FEDI DIVERSE. MUSULMANI E VOLONTARI DI ALTRE RELIGIONI COLLABORANO

 PER LA RICOSTRUZIONE DEI VILLAGGI DISTRUTTI

 

MEDAN . = La tragedia dello tsunami ha contribuito a ristabilire un dialogo aperto e positivo tra i musulmani indonesiani e i volontari di altre religioni accorsi in Indonesia per portare aiuti. Lo confermano, ad oltre sette mesi dal maremoto, monsignor Alfred Gonti Pius Datubara, arcivescovo di Medan, città in cui hanno cercato riparo migliaia di sfollati provenienti da Aceh, la provincia indonesiana più colpita, e padre Bren Brevoort, guardiano della Curia generalizia dei Frati minori Cappuccini a Roma, nato e cresciuto in Indonesia. Intervistati dall’agenzia Misna i religiosi hanno ribadito che la popolazione di Aceh, regione di stretta osservanza islamica, ha accolto e continua ad accogliere bene gli aiuti provenienti da organismi umanitari di tutte le confessioni. “Ad Aceh – afferma monsignor Datubara – ci sono moltissimi volontari di ogni fede: musulmani e cristiani, ma anche buddisti e indù. L’arcidiocesi di Medan ha costituito un organismo temporaneo per il coordinamento degli aiuti tra cristiani e islamici e tutti - prosegue il presule - proprio tutti, hanno lavorato e stanno lavorando con grande impegno per la ricostruzione”. Padre Brevoort, testimone della crisi causata dal post-tsunami, cita qualche esempio: “A Meulaboh, la città più colpita dal maremoto insieme con Banda Aceh, inizialmente c’era un movimento islamico che cercava di opporsi alla distribuzione di aiuti da parte di non musulmani, ma la gente del luogo si è ribellata accettando i soccorsi al di là della fede religiosa di chi porta aiuto”. Reazione analoga quella degli abitanti di Simeulue, un’isola nella provincia di Aceh, in cui ci sono state poche vittime ma gravi danni. La popolazione ha accettato di buon grado libri e altri materiali destinati agli edifici scolastici offerti da organismi cattolici. “In passato non era così; per esempio – ricorda il Cappuccino - a Lhokseumawe, una località sullo Stretto di Malacca, un centro di riabilitazione cattolico per disabili fondato nel 1981 scatenò le proteste dei residenti, che chiesero il trasferimento di tutti i pazienti in un ospedale del luogo; oggi è diverso, oggi non si fa differenza tra centri sanitari cattolici e governativi”. “La Chiesa aiuta per aiutare, per portare sollievo alla gente che soffre, e questo la gente di Aceh lo ha capito”, ha aggiunto l’arcivescovo, specificando soltanto che le organizzazioni umanitarie di ispirazione cattolica evitano di usare sigle specifiche che le connotino come tali e anche i sacerdoti preferiscono non mettere in evidenza simboli religiosi. Dopo il maremoto, che secondo l’ultimo bilancio in Indonesia ha causato 228.429 morti e 132.000 dispersi, “gli abitanti locali hanno dimostrato molta buona volontà ma scarsa esperienza, mentre gli operatori delle agenzie umanitarie internazionali avevano un’adeguata formazione ma mancavano di conoscenze specifiche relative alla cultura del Paese in cui erano stati inviati”, sintetizza padre Brevoort. Si sono creati così fraintendimenti e qualche incomprensione: a Meulaboh, per esempio, dopo una ponderata riflessione è stato raggiunto un compromesso positivo per un progetto di ricostruzione di 80 abitazioni (di cui 10 sono già in piedi), realizzato con il contributo di Caritas Germania e Italia, Catholic Relief Service (Crs) e Missio-Germania. (T.C.)

 

 

ONUCI, MISSIONE DELLE NAZIONI UNITE IN COSTA D’AVORIO, DENUNCIA INAMMISSIBILI LIMITAZIONI ALLE SUE OPERAZIONI DOPO GLI ATTI DI VIOLENZA IN ALCUNE CITTÀ

 

Abidjan.= La missione delle Nazioni Unite in Costa d’Avorio, ONUCI, ha denunciato episodi di ostruzionismo e impedimenti allo svolgimento del suo mandato che definisce “inammissibili”. Il portavoce della missione Hamadoun Toure ha portato all’attenzione in particolare due casi: nel primo, un team composto da esperti dei diritti umani e agenti della polizia ha dovuto far rientro da Agboville, a 70 chilometri dalla capitale Abidjan, senza aver potuto valutare la situazione dopo i violenti scontri avvenuti tra il 23 e il 24 luglio e costati la vita ad almeno 13 miliziani. “Mentre gli esperti dell’ONU incontravano le autorità locali – ha detto Toure – uomini armati e incappucciati hanno fatto irruzione nella stanza impedendo i colloqui e costringendoli ad andarsene”. L’altro episodio riguarda un convoglio delle forze francesi dell’operazione “Licorne” che avrebbe dovuto portare rifornimenti alle truppe sudanesi dell’ONUCI a San Pedro, ma al quale attivisti filogovernativi hanno impedito di raggiungere la città. Toure ha aggiunto che simili episodi si sono verificati in diverse zone del Paese sotto il controllo del governo, sia per mano delle Forze di difesa e di sicurezza di Abidjan, sia da parte della popolazione civile. Il portavoce dell’ONUCI ha chiesto maggiore collaborazione dalle parti in campo ricordando che la missione ONU si trova nel Paese su loro richiesta. (T.C.)

 

 

il ventitreesimo Capitolo generale delle Suore Missionarie di Nostra

 Signora d’Africa, note come suore bianche, ha eletto la nuova superiora generale: È suor maria del pilar benavente

 

ROMA. = Il ventitreesimo Capitolo generale delle suore missionarie di Nostra Signora d’Africa, conclusosi nei giorni scorsi a Roma sul tema “Celebrate e costruite la nostra comunione per la missione”, ha eletto come nuova superiora generale suor Maria del Pilar Benavente Serrano. Ai lavori hanno preso parte 42 delegate di 17 Paesi. Le riflessioni sono state centrate sull’attualità del carisma della Congregazione, fondata nel 1869 da monsignor Charles Lavigerie, arcivescovo di Algeri. Il nome della Congregazione delle Suore Missionarie di Nostra Signora d'Africa, più conosciute come Suore Bianche, esprime la loro vocazione: nate in Africa e per l'Africa, solidali con gli africani, attente ai loro problemi e impegnate per il loro avvenire. L'impronta che monsignor Lavigerie, fondatore anche dei Padri Bianchi, volle inculcare nei suoi missionari è riassunta nelle parole di San Paolo "Mi son fatto tutto a tutti per salvarne ad ogni costo qualcuno", un metodo apostolico che valorizza le culture dei vari popoli, di solidarietà e di costante adattamento ispirato dalla carità apostolica, da lui definita "l'arma vincente che penetra i cuori". (T.C.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

6 agosto 2005

 

- A cura di Eugenio Bonanata -

 

 L’Iran si avvia a respingere le proposte dell’Unione Europea per evitare la riattivazione del programma nucleare di Teheran. Intanto, il nuovo presidente della Repubblica Islamica, l’ultraconservatore Ahmadinejad, ha prestato giuramento davanti al parlamento affermando che difenderà l’indipendenza del Paese. Il nostro servizio:

 

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Ahmadinejad si è insediato a tutti gli effetti come nuovo presidente dell’Iran, trovandosi subito sul tavolo una questione, quella del nucleare, che si fa sempre più rovente. Nel suo giuramento ha avvertito che l’Iran rispetterà le norme internazionali ma ha anche specificato che mai accetterà la “sottomissione” a qualsiasi altra Nazione. Ed è palese il riferimento polemico a Stati Uniti, da un lato, e Unione Europea, dall’altro, cui l’Iran si contrappone nella crisi suscitata dal suo programma di sviluppo nucleare. Proprio su questo fronte, infatti, le autorità iraniane hanno definito ancora oggi come “inaccettabili” le proposte di cooperazione avanzate da Gran Bretagna, Francia e Germania in alternativa alla ripresa del programma di sviluppo nucleare di Teheran. L’Iran rischia, così, di essere denunciato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per violazione del Trattato di Non Proliferazione, subendo le conseguenti sanzioni. Se è vero che la risposta ufficiale alle proposte europee si avrà oggi o domani, tuttavia, è anche vero che i toni adottati da Ahmadinejad nel suo primo atto ufficiale non sono stati certo di apertura. “Giuro sul Corano, davanti al popolo e ad Allah, - ha avvertito - di proteggere l’indipendenza politica, economica e culturale del  Paese”. Intanto, una delegazione dell’Aiea, l'Agenzia Internazionale dell'Onu per l'Energia Atomica, è in arrivo nel Paese islamico per sorvegliare la riapertura dell’impianto di Isfahan, minacciata da Teheran.

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 Sanguinosi attentati in diverse città dell’Iraq, da Baghdad a Samarra, hanno ucciso almeno 4 persone e ferito altre 10. Intanto, le truppe americane hanno lanciato una vasta offensiva contro gruppi ribelli nella valle dell’Eufrate, nella zona nord-occidentale del Paese. Sul piano politico, invece, è stata rinviata a domani la riunione della commissione chiamata a redigere la bozza della nuova Costituzione.

 

 Sempre alta la tensione nella Striscia di Gaza, dove un attivista palestinese è stato ucciso mentre tentava di piazzare un ordigno nei pressi degli insediamenti di Gush Katif. Ieri, invece, è  stato giorno di sciopero generale per gli arabi israeliani, proclamato in seguito alla morte di 4 arabi, avvenuta giovedì scorso, per mano di un estremista ebreo. Un gesto, questo, duramente condannato non solo da Onu e Stati Uniti ma anche dalla gente comune.

 

Misure severe per prevenire qualsiasi azione terroristica. È questa la risposta del premier britannico Blair alle minacce a Stati Uniti e Gran Bretagna, del numero due di Al Qaeda, Al Zawahiri, accusato da Blair di essere all’origine degli attentati di Londra. Il servizio da Londra:

 

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Il primo ministro ha illustrato le linee-guida del nuovo pacchetto anti-terrorismo. Ha annunciato che verranno introdotte nuove misure di rimpatrio contro gli estremisti religiosi e che la Gran Bretagna potrebbe limitare anche i diritti umani al fine di facilitare le espulsioni dei predicatori d’odio e di violenza. A chi nei  giorni scorsi aveva accusato il governo di aver permesso la formazione di ‘londonistan’, paradiso dei radicali islamici che a Londra avevano trovato asilo politico, Blair risponde secco: ‘Niente più rifugio a chi è in odore di terrorismo!’. E grazie ai nuovi provvedimenti, due note organizzazioni integraliste, il cui obiettivo è la conversione del mondo all’islamismo, saranno fuori legge. Applausi dall’opposizione conservatrice, più cauti i liberal-democratici e i gruppi dei diritti civili: Blair – dicono – provocherà lo scontro tra i gruppi etnici e la ribellione dei giovani musulmani.

 

Da Londra, per la Radio Vaticana, Sagida Syed.

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 E la preoccupazione dell’opposizione britannica è condivisa anche da Amnesty International. Sentiamo Andrea Matricati, vicepresidente della sezione italiana, intervistato da Debora Donnini:

 

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R. – Le preoccupazioni di Amnesty International riguardano il rischio che espulsioni più rapide rendano ovviamente più difficile la richiesta di diritto d’asilo da parte di chi ne ha diritto e la possibilità che valide richieste siano esaminate con l’opportuna equità ed attenzione. La preoccupazione è anche che non ci sia una necessaria distinzione tra quelle che sono le opinioni e le istigazioni direttamente collegate ad atti criminali. Invece, apprezziamo che qualsiasi rimpatrio ed espulsione avverrà solo verso Paesi che non mettono a rischio la vita o l’incolumità fisica e psichica delle persone, nel rispetto del diritto internazionale. Ovviamente, apprezziamo il fatto che abbia dato importanza al dialogo con le comunità musulmane, oltre al fatto che condividiamo pienamente la condanna di tutti gli attentati contro i civili in Iraq, Afghanistan, come in Europa.

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 Si va popolando da ore New site, il vecchio accampamento dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan, dove almeno mezzo milione di persone parteciperà oggi ai funerali del vice-presidente John Garang. Poco fa la salma dell'ex comandante delle milizie del sud è giunta a Juba ed è stata subito trasferita nella cattedrale anglicana di Tutti i Santi, dove verrà celebrato il servizio funebre. La formazione del nuovo governo, intanto, è stata rimandata in segno di lutto per la scomparsa del vicepresidente.

 

 C’è preoccupazione nella comunità internazionale per gli effetti politici del golpe dello scorso mercoledì in Mauritania che ha esautorato il presidente Taya. Avviate consultazioni e incontri tra i leader dell’Unione Africana per individuare un’adeguata strategia d’azione. Il servizio è di Giulio Albanese:

 

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La giunta militare, che ha preso il potere in Mauritania mercoledì scorso con un colpo di Stato incruento, ha autorizzato ieri la moglie ed i quattro figli del presidente destituito, Taya, a lasciare il Paese. Intanto, il presidente dell’Unione Africana, il nigeriano Luseguno Obansanjo, ha avviato le consultazioni con gli altri capi di Stato e di governo del continente per concertare - si legge in una nota diffusa ad Abuja - una risposta politica al golpe. Sempre ieri, inoltre, il consiglio di pace e sicurezza dell’Unione Africana ha sospeso la Mauritania dall’Organismo continentale, definendo il colpo di Stato come un “atto inaccettabile”, in ottemperanza, peraltro, al regolamento interno dell’Unione. Nel frattempo, l’ormai ex Presidente della Mauritania Maaouya Ould Sid'Ahmed Taya è uscito allo scoperto e nella prima intervista dal golpe concessa a Radio France si è detto sorpreso e ha definito il colpo di Stato come “il più insensato e drammatico che sia mai stato visto in Africa”.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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 Nuove elezioni si svolgeranno in Etiopia per 29 circoscrizioni a causa di brogli registrati alle legislative del 15 maggio scorso. Ad annunciarlo è stata la Commissione nazionale elettorale proprio dopo aver esaminato le numerose denunce pervenute in questi mesi. Le elezioni si terranno il 21 agosto in un clima ancora teso dopo le violenze esplose ad Addis Abeba a giugno, quando la polizia aprì il fuoco sulla folla uccidendo 37 persone. Per risolvere l’attuale crisi politica i due principali partiti dell’opposizione etiope hanno proposto al premier Melles Zenawi la creazione di un governo di unità nazionale.

 

 14 milioni di venezuelani domani al voto per scegliere seimila amministratori municipali. Secondo l’opposizione, che ha esortato a boicottare le elezioni, la consultazione rappresenta un vero e proprio referendum sul presidente Hugo Chavez. Il servizio di Maurizio Salvi:

 

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Il vice-presidente José Vicente Rangel ha invitato i venezuelani a recarsi alle urne, sostenendo che gli appelli all’astensione effettuati dall’opposizione vadano respinti perché impregnati di gollismo. Al di là dell’appuntamento elettorale, ad ogni modo, il governo di Caracas si compiace per gli sviluppi positivi dell’economia determinati dal prezzo del petrolio  quotidianamente alle stelle sui mercati internazionali. Questo, infatti, permette al presidente Chavez e ai suoi collaboratori di finanziare numerosi progetti sociali, educativi e sportivi realizzati spesso in associazione con cooperanti cubani.

 

Maurizio Salvi, ANSA, per la Radio Vaticana.

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 Tre soldati russi sono morti in seguito all’esplosione di una mina in Cecenia. Un quarto militare e due poliziotti sono rimasti uccisi, inoltre, in diversi episodi di violenza con i separatisti ceceni.

 

 

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